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  • FUORI RECINTO| Alla scoperta della Calabria che resiste

    FUORI RECINTO| Alla scoperta della Calabria che resiste

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    I viaggiatori del Settecento e dei secoli successivi hanno alternato nei loro diari impressioni contrastanti su questo lembo d’Italia chiamato Calabria, esaltandone alcune straordinarie bellezze e denunciandone le brutture. Quando la regione non veniva saltata a piè pari perché terra di ruberie, truffe e raggiri, assalti e uccisioni, in molte occasioni, per edulcorare a se stessi le delusioni, nei romantici diari di viaggio si attenuavano le profonde ed evidenti precarietà che la Calabria rappresentava e racchiudeva, nella medesima forma di paradigma delle negatività italiane di oggi.

    Edward Lear, disegno di viaggio in Calabria, 1847

    È pure vero che i frettolosi visitatori dimenticavano una certa quantità di eroi, soprattutto nel secolo risorgimentale. Così come pochi riuscivano a cogliere, in quei medesimi periodi, le tracce dell’antica bellezza magnogreca che pure ha interessato l’intera Calabria. Una storica frase dell’archeologo Lenormant, nel suo passaggio nei pressi dell’antica Sibari, rimane tutt’oggi memorabile: «Non credo che esista in nessuna parte del mondo qualcosa di più bello della pianura dove fu Sibari. Vi è riunita ogni bellezza in una volta: la ridente verzura dei dintorni di Napoli, la vastità dei più maestosi paesaggi alpestri, il sole e il mare della Grecia».

    Un viaggio tra slanci e ritardi

    Sarà la nostalgia di un passato affascinante, il richiamo di radici profonde e lontane quanto attuali, il senso di impotenza e disagio a spingermi a scrivere. L’obiettivo è scorgere, nelle pieghe di un tessuto urbano e sociale lacerato, slanci e sprazzi di vitalità che pure esistono e stanno emergendo. Scavare nelle macerie della nostra malconcia modernità alla ricerca della bellezza che sopravvive. Parlare dei nuovi eroi che la tengono attiva con iniziative che superano ogni difficoltà in una diversa forma di risorgimento sociale calabrese. Ritardi e slanci, quindi.

    Eroi nel Crotonese

    La chef Caterina Ceraudo nell’orto della sua azienda agricola

    La Regione Calabria si presenta alla Bit di Milano con ambizioni, premesse e promesse che pretendono di farla sembrare la Florida, ma il turismo che interessa la nostra terra è ancora di scarso livello culturale, con modeste ricadute socio-economiche. Però, proprio nei padiglioni milanesi della Bit, si accende una luce su una delle nostri giovani eroine: Caterina Ceraudo. Chef stellata, da tempo stupisce tutti con i suoi piatti che affondano le radici nella tradizione calabrese, nei prodotti di questa terra, con rivisitazioni che conquistano. Suo padre Roberto Ceraudo con sana testardaggine calabra ha realizzato dal nulla e conduce una azienda agricola bellissima, tutta ecologica, nei pressi di Strongoli.

    Caterina Ceraudo, Piatto Sottobosco, omaggio alla Sila

    Alla stessa maniera hanno fatto, poco vicino, gli altri nuovi eroi: i Librandi. Da generazioni rinnovano una cultura enologica di rara qualità, che include l’aver saputo rigenerare persino il vitigno calabrese per eccellenza, quel Gaglioppo capace di conservare l’origine della bellezza greca. E lo fanno in un contesto – tra Crotone e Cirò – saccheggiato dalla malavita, dall’abusivismo sulle coste, dalla moria progressiva dell’ex tessuto industriale crotonese. I Librandi hanno superato, da soli, la logica dell’assistenzialismo. Di generazione in generazione hanno acquisito prestigio: dai sei ettari iniziali oggi ne coltivano 232, con una produzione di 2,3 milioni di bottiglie e un nome noto nel mondo.

    I Librandi in un vigneto dell’azienda di famiglia

    La Sila che attira i turisti e quella che li respinge

    Per rimanere nell’ambito della nuova stagione del cibo, quest’anno la stella Michelin è toccata anche al lavoro certosino di ricerca e bellezza, tra odori e sapori dei boschi della Sila, di Antonio Biafora, del ristorante Hyle, a pochi chilometri da San Giovanni in Fiore. Nella stessa località ha sede anche il Consorzio Tutela Patata della Sila, una sfida vinta contro infiniti luoghi comuni avversi all’idea che al Sud si possa fare associazionismo e prodotti della terra di qualità ed ecologici.

    Lo chef stellato Antonio Biafora tra i boschi della Sila

    Tuttavia, a queste eccellenze e a una natura esuberante e di rara bellezza dei boschi di pino laricio fa da contrasto la povertà dei tessuti urbani dei principali centri silani. Fuori dalle cinture storiche, presentano una drammatica precarietà edilizia, estetica, mancanza di elementi minimi di decoro. Sono densi di provvisorietà, esito di ritardi culturali e miopia urbanistica. Certo non sono capaci di attrarre alcun turista intelligente. E non aiutano affatto il prestigio di Biafora, tantomeno della Patata della Sila, così come di altre eccellenze silane.

    San Giovanni In Fiore, Luca Chistè 2020

    Errori pubblici e privati

    Quanto accaduto negli ultimi cinquant’anni ai centri urbani calabresi, dietro al fallimento di ingenti investimenti pubblici con aree produttive vuote e fantasmagoriche, è frutto di una totale mancanza di strategie capaci di uno sguardo che non fosse oltre la soglia di casa. Così, più si scende verso Sud e più la cultura urbana e della manutenzione si fa chimera.

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    Rifiuti nel centro storico di Cosenza (foto Alfonso Bombini)

    Ma qui in Calabria, oltre questa assenza, si tratta di una diffusa condizione di disinteresse civico, di totale disattenzione verso qualsiasi segno di rinascita che si opponga al decadimento. E, se non fosse per il virtuosismo di iniziative private e di alcuni illuminati amministratori, il disagio e il divario verso altre realtà sarebbero ancora maggiori.

    Un’altra Calabria è possibile

    Questo, però, è anche un viaggio di speranza, di fiducia. Per accendere luci dove ci sono e smetterla con la cultura del lamento, ma seguire nel realizzare un panorama diverso dentro ai ritardi e alle devastazioni. Costruire una geografia positiva, capace nei prossimi anni di ribaltare le negatività e invertire la rotta, può tradursi in una ulteriore spinta per non sprecare l’occasione del Piano di Ripresa e Resilienza, che ha il Sud come obiettivo principale perché a Bruxelles lo sanno che è qui il punto nevralgico dell’Italia.

    Luci e ombre a Reggio Calabria

    Tra le ombre lunghe di Reggio Calabria, oltre il suo magnifico lungomare in cui una stupenda installazione dell’artista Edoardo Tresoldi conferisce a questo luogo la magia dell’Arte urbana, la città, nelle pieghe del suo tessuto più densamente abitato, esplode in un dedalo di conflitti urbani e diffusa marginalità. Con un aeroporto scalcinato indegno di tale nome, più verso la collina i pezzi di università che contrastano il degrado; un Museo del Mare mai finito, megalomane progetto dell’allora sindaco Scopelliti; fiumare abusivamente abitate e intasate di cemento.

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    I Bronzi nel Museo di Reggio Calabria

    Poi ci sono i Bronzi, felicemente ritrovati, in un Museo Archeologico che merita molto di più di ciò che ha e che può offrire. Per esempio qualcosa di più dell’inadeguato, recente, marchio per i 50 anni del ritrovamento delle due bellissime sculture, realizzato come sempre senza una sana competizione tra i migliori graphic designer italiani, ma affidato in modo superficiale a qualche miope “sguardo” localistico.

    Anche a Reggio si accendono da tempo luci tra le ombre. Nei numerosi ritardi accumulati dalla città dello Stretto si scorge lo slancio di giovani eroi che fanno cultura, innovazione, ricerca. Alcuni – intorno alla docente di UNIRC, Consuelo Nava, attivissima ricercatrice che dirige un produttivo laboratorio di tecnologia sostenibile sulle possibilità di un abitare ecologico in Calabria e nel Mediterraneo – accendono più di una speranza. Nella stessa università, pur in tempesta per le recenti indagini della procura locale, il dipartimento di Giurisprudenza è tra i più innovativi e avanzati nel settore e di recente è stato riconosciuto come Eccellenza dal MUR.

    L’importanza della scuola

    Proprio sulla tematica del costruire sostenibile, di recente, un ingente investimento statale ha consentito di mettere in sicurezza oltre 700 edifici scolastici calabresi. Le scuole sono di importanza vitale: qui si formano i cittadini futuri, le classi dirigenti e molti di essi rappresentano il segnale negativo di quanto poco interesse si ha per la qualità, il decoro, la funzionalità, diciamolo per la bellezza nelle sue diverse forme attuali. Mi fa piacere, in questo caso, accendere una luce sulla nuova Scuola d’infanzia “Virgilio” di Locri, un esempio di bioedilizia.

    La scuola “Virgilio” di Locri, prima del suo genere in Calabria

    È la prima in Calabria realizzata secondo una sintesi perfetta tra efficienza energetica, comfort e sostenibilità ambientale. La progettazione esecutiva e realizzazione sono di un’impresa calabrese, la Cesario Legno, con sede a Zumpano, dove tra capannoni anonimi e una natura bellissima, a due passi dal fiume Crati, si progettano case domotiche d’avanguardia.

    La Calabria che non si parla e quella che non si rassegna

    Da questo viaggio emerge quanto la Calabria sia in parte persa nei suoi diffusi e disarticolati territori, “che non si parlano”. Quanto questa terra di “bellezza e orrore” resti tanto chiusa nelle proprie estese e preoccupanti contraddizioni che ne amplificano il degrado. Ma emerge anche il coraggio di un esteso manipolo di resistenti, residenti, non assuefatti all’oblio, non rassegnati alla sconfitta, che alimentano già una letteratura vasta che include calabresi e non, illustri e meno noti.

    Una Calabria di oggi, dunque, ancora diffusamente punteggiata da slanci e ritardi. Dove ad aree industriali dismesse o mai decollate, strade non finite, edifici pubblici fatiscenti, luoghi della perenne precarietà, pontili nel nulla, porti senza navi, aeroporti senza aerei e senza qualità, perenni vuoti senza mai pieni, opere pubbliche faraoniche, si oppongono il desiderio del fare e un anelito al cambiamento diffusi ovunque. Alla scoperta di luci che diradano, nel tempo, le ombre più cupe, segnando una necessaria inversione di tendenza.

  • Unical: sedici prof tra i migliori scienziati del mondo

    Unical: sedici prof tra i migliori scienziati del mondo

    Sono sedici i docenti dell’Università della Calabria inseriti tra i Top scientist da Research.com, una piattaforma accademica che cura ranking dedicati alla ricerca accademica nelle varie discipline, avvalendosi di un ampio database che contiene i profili di 27mila scienziati, i dati di oltre 1.200 conferenze e più di 950 riviste scientifiche.

    Il ranking (cioè il giudizio) è elaborato sulla base dell’h-index, o indice di Hirsch, un indicatore che misura l’impatto scientifico di un autore sulla base del numero di pubblicazioni scientifiche e di citazioni ricevute. Research.com prende in considerazione solo ricercatori con un h-index molto elevato (da 30 a 40, in base all’area disciplinare) e ricava i dati da Microsoft Academics, il più grande database bibliometrico aperto.

    Di seguito, i docenti presenti nel ranking.

    Biologia e Biochimica. Tra i top scientist sono presenti i docenti Monica Rosa Loizzo e Cesare Indiveri. Le università censite in tutto il mondo sono mille.

    Chimica.  In quest’area si registra l’ingresso, tra i top scientist, del professor Bartolo Gabriele. Anche qui le università presenti nel ranking sono mille.

    Elettronica e ingegneria elettrica. Tra i docenti con l’h-index più alto per l’area – che prende in considerazione 646 università in tutto il mondo – ci sono, per l’Unical, i docenti Giancarlo Fortino e Antonio Iera.

    Genetica e biologia molecolare. Nel ranking dei migliori scienziati per quest’area disciplinare è presente il professor Giuseppe Passarino. In totale gli atenei presenti in classifica, in tutto il mondo, sono 537.

    Informatica. Sono cinque i docenti Unical inseriti tra i top scientist. Nel ranking compaiono i professori Giancarlo Fortino, Nicola Leone, Alfredo Cuzzocrea, Domenico Talia e Antonio Iera. Sono 940 le università prese in considerazione.

    Ingegneria e tecnologiaQui tra i top scientist Unical compaiono i docenti Efrem Curcio, Felice Crupi e Francesca Guerriero. Gli atenei presenti nel ranking per questa categoria sono mille.

    Ingegneria meccanica e aerospaziale. Tra i top scientist Unical sono nel ranking – in cui rientrano 431 atenei di tutto il mondo – i professori Giuseppe Carbone e Domenico Umbrello.

    Matematica. In quest’area l’Unical è presente con il professor Yaroslav Sergeyev. Le università nel ranking sono 616.

    Scienze della Terra. L’Unical è nel ranking con il professor Salvatore Critelli. Le università presenti, in totale, sono 625.

  • «Ho lottato da sola, ora spero che anche altri denuncino»

    «Ho lottato da sola, ora spero che anche altri denuncino»

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    Clarastella Vicari Aversa è l’architetta di Messina che con il suo esposto penale ha portato all’inchiesta ‘Magnifica’ che ha decapitato i vertici dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria, con l’interdizione del rettore Santo Marcello Zimbone e del prorettore Pasquale Catanoso.

    Classe ’71, abilitata dal ’96, è vicepresidente dell’Ordine degli Architetti di Messina e ha maturato una vasta esperienza anche all’estero. Intervistata da I Calabresi ci ha raccontato dell’esperienza vissuta in questi anni tra ricorsi ed esposti e della solitudine che spesso si prova combattendo battaglie di legalità. Oggi, però, sta vivendo un momento di rivincita e riscatto, con molte persone che la contattano e le esprimono solidarietà e stima.

    Lei denunciando ha scoperchiato il vaso di Pandora all’Università di Reggio Calabria, oggi crede ancora nel sistema universitario italiano?

    «Ci credo nel senso che ci devo credere. Cosa ci resta se perdiamo la speranza in una istituzione così importante come l’Università. È quella che forma il futuro, quella che forma i giovani di domani. Come possiamo rassegnarci a che non funzioni? È proprio questo che mi conduce a portare avanti questa battaglia. Non è una lotta per un posto che posso pensare sia mio, né una questione di principio e basta, è una lotta per la legalità. È una lotta per sperare che prima o poi qualcosa che nel contesto universitario – nella parte che non funziona, perché non posso pensare che sia tutto così – cambi».

    Il suo, diciamolo, è stato un atto di coraggio, quanto è stato difficile metterci la faccia? Molti suoi colleghi non hanno firmato l’esposto, lo ha fatto solo lei…

    «È stato difficilissimo. È difficile anche parlarne, infatti non l’ho fatto per tanti anni. Questa è una battaglia che conduco in solitudine sostanzialmente da 14 anni. Per diversi anni sono andata avanti solo con ricorsi amministrativi, tutti accolti al Tar e al Consiglio di Stato, una quarantina. Solo di recente anche a seguito di vicende analoghe conosciute tramite l’associazione Trasparenza e merito, e anche su consiglio dei legali che hanno ipotizzato potessero sussistere diversi illeciti penali, ho presentato l’esposto in Procura. Ho avuto la sensazione che la via amministrativa non fosse sufficiente, che arrivava fino a un certo punto. L’Università disattendeva tutto ciò che disponeva la giurisprudenza amministrativa».

    Tra l’altro ha raccontato che negli accessi agli atti che faceva in Università si trovavano degli errori macroscopici nelle valutazioni nei concorsi…

    «Se tornassimo indietro e avvolgessimo il nastro, io non avrei mai pensato di fare un ricorso. Ma quando ho fatto l’accesso agli atti per curiosità e ho visto delle cose inverosimili o stavo zitta, o mi giravo dall’altra parte e me ne andavo o affrontavo la cosa. Altri colleghi non hanno fatto ricorso perché magari la volta dopo in altre sedi avrebbero potuto rifare il concorso secondo loro. Altri, invece, non se la sono sentita. Una collega in particolare, pur non facendo ricorso, mi è stata vicina. Almeno mi attestava solidarietà, ma, in generale, ho condotto questa vicenda in totale solitudine. Ora, invece, sto ricevendo tantissimi messaggi dai miei ex studenti. Io per 10 anni ho insegnato alla Mediterranea, ero docente a contratto, ho lavorato, ero correlatore di tesi di laurea. Avevo un rapporto meraviglioso con gli studenti e ritrovare questi attestati di stima oggi è emozionante. È avvilente, invece, quello che altri continuano a fare in una istituzione, non è un bell’esempio».

    Dalle sue parole mi sembra di capire che lei volesse bene all’Università Mediterranea…

    «Io volevo tanto bene a quell’Università. Per me è stata una delusione. Era il posto dove mi ero formata. Io a 17 anni mi sono iscritta a questa Università piena di speranze, poi ho fatto molte cose fuori. Ma mi piaceva lavorare in quell’istituzione, era un arricchimento e una forma di crescita, mi piaceva la ricerca».

    Conosceva, quindi, coloro che ha denunciato…

    «Non avrei mai pensato di fare l’esposto penale. C’erano cose un po’ pesanti fin dall’inizio, molto pesanti, ma sono cose prescritte. Non me la sono sentita perché queste persone le avevo conosciute, avevamo fatto workshop insieme, era capitato di organizzare cose insieme. Di alcuni conoscevo il marito, la moglie. Una come si sente nel fare un esposto penale sapendo cosa possono rischiare? La prima volta ho pensato ad un errore. Qualcuno in Università mi ha detto che erano stati pasticcioni nella commissione d’esame, ho detto proviamo a vedere se fanno un concorso con meno pasticci. Ma così non è stato. Quando ho fatto l’esposto penale, era una cosa per me troppo intima per parlarne, lo sapevo io, l’avvocato, mio marito e il procuratore».

    L’ex Rettore Catanoso si rivolge a lei definendola “quella grandissima puttana”, cosa ha pensato nel leggere queste parole?

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    Pasquale Catanoso

    «È una cosa bruttissima per me, ma anche per le donne. È un insulto sessista, ma non fa una bella figura chi lo dice. La cosa più raccapricciante non è quello che uno legge. Rispetto a quello che ho visto io in 14 anni, queste sono solo coltellate che si aggiungono su ferite aperte».

    C’è speranza per l’Università Mediterranea di scrostarsi da questo sistema?

    «Io me lo auguro. Sono una gocciolina, però la goccia scava la roccia come si sa. Però da sola no, bisogna diventare un fiume in piena. Dobbiamo essere in tanti. Spero che tanti altri che sono vittime denuncino. Invito a contattare l’associazione Trasparenza e Merito. Porterà a non sentirsi soli come mi sono sentita io. La speranza per il contesto universitario c’è, ma è necessario che le rivoluzioni partano da dentro. Qualche attestato di stima l’ho avuto da persone dell’Università Mediterranea, ma vorrei che fossero attestati pubblici e non privati. Ripeto, le distanze vanno prese da chi è dentro l’istituzione».

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    La facoltà di Architettura nell’Università Mediterranea di Reggio Calabria

    C’è molta paura…

    «Deve essere difficile per chi è dentro vedere queste cose e girarsi dall’altra parte. La paura è tanta, ma anche la paura mia era tanta quando ho fatto il ricorso. La paura c’è sempre quando si fa una battaglia, ma bisogna trovare il coraggio. Molti mi dicono “tu hai una forza che io non ho”, ma io la forza non ce l’ho, io la forza me la do. Affrontiamo le nostre paure, le cose possono cambiare. Altrimenti non ci chiediamo perché i nostri figli vanno all’estero… Con i soldi pubblici si fanno concorsi pubblici secondo le regole della Costituzione, altrimenti cambino la Costituzione se non si vogliono fare concorsi regolari!»

  • Concorsi pilotati a Reggio: gli intrecci con Catanzaro e il silenzio del rettore

    Concorsi pilotati a Reggio: gli intrecci con Catanzaro e il silenzio del rettore

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    Dall’ordinanza del Gip Vincenzo Quaranta sull’inchiesta “Magnifica” che ha decapitato l’Università ‘Mediterranea’ di Reggio Calabria emerge quello che si potrebbe chiamare il manuale della clientela perfetta. Circostanze tutte da passare al vaglio della magistratura giudicante, ma le intercettazioni agli atti riaprono, a distanza da tre anni dall’inchiesta “Università bandita” che ha coinvolto l’ormai ex rettore dell’Università di Catania, interrogativi sulle presunte distorsioni del mondo universitario.

    Non per soldi ma…

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    Pasquale Catanoso

    L’ex rettore dell’ateneo reggino, Pasquale Catanoso, dalle carte parrebbe essere il garante di un sistema di potere ben radicato e con profonde relazioni politiche e istituzionali.
    «Emerge un quadro istituzionale sconcertante. Nulla avviene nella legalità in sede di selezione, tutto è soffocato da logiche clientelari e di favoritismo», scrive il giudice per le indagini preliminari. Quali possano essere le finalità perseguite le spiega, invece, il pubblico ministero negli atti di inchiesta: «Ciò che li spinge ad una gestione così illegale della cosa pubblica non è “la mazzetta” ma un’utilità ben più articolata, fatta di prestigio, presenza e notorietà in ambito professionale e disponibilità di risorse materiali da investire nei propri progetti».

    Abitudini radicate

    Tra gli indagati eccellenti spunta Michele Trimarchi, ordinario di Scienza delle Finanze alla “Magra Graecia” di Catanzaro. La stessa università, per intenderci, che esprime un componente del Csm in quota M5S, l’ “anonimo professore” (Palamara dixit) Fulvio Gigliotti; un deputato del Pd, Antonio Viscomi; una ex candidata regionale e ex candidata al Senato con il Pd, Aquila Villella; un candidato sindaco del capoluogo, Valerio Donato.

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    Michele Trimarchi

    Trimarchi dirige il centro di ricerca in Economia e Management dei Servizi. In un’intervista al magazine economico Costozero dello scorso dicembre affermava che «bisogna avere una visione laica della cultura». Dalle carte dell’inchiesta, però, emergerebbe ben poco di laico. Ad esempio, l’interessamento di Trimarchi per una studentessa che avrebbe partecipato al concorso di dottorato in architettura della “Mediterranea”. Nell’ordinanza il Gip rileva «quanto sia radicata l’abitudine ad interferire con le dinamiche di selezione tra candidati di un concorso, quale il dottorato, aperto ad esterni e interni all’Ateneo che lo bandisce, nell’ottica di sistemazione dei propri pupilli».

    Seconda per principio

    È proprio in questo sistema che si sarebbe mosso Trimarchi, indagato insieme alla sua presunta pupilla Francesca Sabatini. La ragazza, estremamente competente e che sarebbe potuta arrivare prima nella graduatoria di merito, secondo quanto riferiscono tutti gli altri indagati nelle intercettazioni (che la mettono al secondo posto solo «per principio», secondo quanto si legge nell’ordinanza) – si ritrova invece in questo presunto, ma potenzialmente abietto, sistema di spintarelle.

    A fine luglio del 2018 l’Università Mediterranea dà il via a una selezione per il dottorato di ricerca in “Architettura e territorio”. Inizialmente le borse di studio sono 6 (su 8 posti), poi divenute 8 su 10 posti: tre finanziate dall’ateneo reggino, altrettante dalla Magna Graecia e due da fondi POR Calabria 2014/2020. Tra le vincitrici del dottorato con borsa di studio di Catanzaro c’era proprio Sabatini, arrivata seconda con un punteggio 104/120.

    Per garantirle un posto al dottorato, il docente Umg si sarebbe letteralmente “fatto in quattro” unitamente all’allora rettore della Mediterranea, Pasquale Catanoso. Secondo la Procura, i candidati “favoriti” hanno conseguito «indebiti e ingiusti vantaggi patrimoniali, legati alla remunerazione e alla progressione di carriera discendenti dall’ammissione al corso di dottorato in architettura e territorio – XXXIV Ciclo dell’Ateneo».

    Le intercettazioni

    Proprio due giorni fa, Trimarchi ha scritto sul suo profilo Facebook: «Miei cari, per circostanze complesse non ho più il cellulare. Per salvare insieme la galassia accontentiamoci dei messaggi su fb, ig, linkedin, etc.».
    Quello stesso cellulare durante le indagini è stato oggetto di intercettazioni, dalle quali emergerebbe il forte interesse del docente affinché non una, ma due “sue” candidate la spuntassero all’esito del concorso di dottorato, con relativa borsa di studio triennale. Un desiderio, però, che dovrà ridimensionare perché l’allora rettore Catanoso spiega di poter “garantirgli” soltanto un posto sul totale di quelli banditi.

    Inoltre, in altra conversazione, il professore dell’Umg specifica di aver già segnalato due anni prima una ragazza (non indagata), chiamandola “la mia dottoranda”, pur essendo all’Università di Reggio Calabria, dove Trimarchi non è docente.
    Trimarchi e Catanoso, ignari di avere i telefoni sotto controllo, ne parlano l’1 agosto 2018. Il primo si duole perché negli anni precedenti solo uno dei candidati che ha segnalato, si legge nell’ordinanza, «è stato effettivamente favorito»:

    «Trimarchi: senti, volevo anticiparti una cosa banale ma, importante che posso dirla solo a te… Quest’anno avrei due candidate per il dottorato
    Catanoso: eh
    Trimarchi: in forza delle tre borse che fa… Reggio ogni tanto
    Catanoso: se puoi… fartene una… no veramente, vabbè poi ti spiego perché… se puoi mettine una
    Trimarchi: se posso preferisco due
    Catanoso: comunque il concorso è… rigoroso si… il concorso è rigoroso
    Trimarchi: sono sono bravissime queste qua… mi… mi vergognerei di presentarle insomma… so proprio brave, però mi sembrava carino parlarne con te
    Catanoso: il concorso è rigorosissimo… si il concorso è rigorosissimo… perciò ti voglio… capito?
    Trimarchi: va bene, perché io… l’anno scorso, una su tre… due anni fa una su tre… ricordiamocelo
    Catanoso: si ma non c’entra… poi ti dico
    Trimarchi: lo so che non c’entra lo dico anch’io non c’entra niente, però… voglimi bene, va bene? Ciao Ciccio grazie…»

    Una sì, due no

    Massimiliano Ferrara

    Michele Trimarchi – un mese dopo, il 4 settembre 2018 – in un’ulteriore conversazione telefonica intercettata, parla con un altro indagato, Massimiliano Ferrara, direttore del dipartimento di Giurisprudenza. Si lamenta perché da due anni non fa parte della commissione esaminatrice per la selezione dei candidati per il dottorato in architettura. Manifesta all’interlocutore la speranza che stavolta lo inseriscano, anche perché «ha due candidate» da far entrare. Il problema che paventa Trimarchi è che il rettore gli ha fatto, invece, intendere che due candidati sarebbero stati troppi. Ma quest’ultimo, afferma, «non deve rompere i cogl…». Così annuncia di voler parlare della questione con il coordinatore del dottorato, Gianfranco Neri (altro indagato nell’inchiesta).

    «Trimarchi: no, la situazione è questa qua, allora, io sono al collegio nel dottorato, ovviamente ci rimango, quest’anno… ora non ho capito perché loro per due anni non mi hanno messo nella commissione… quest’anno gli avevo detto, eventualmente gli avevo detto eventualmente di met… dovrei avere due candidate visto che ogni anno diamo tre borse da Catanzaro
    Ferrara: eh ma ci sono le tue candidate?
    Trimarchi: eh
    Ferrara: si sono candidate? Hanno presentato la domanda?
    Trimarchi: si si serie… si si certo
    Ferrara: e… entrato sempre quello del DarTe no?
    Trimarchi: del DarTe si, tanto conoscendomi bene sai che non faccio candidare gente scarsa cioè…
    Ferrara: ma che stai scherzando?
    Trimarchi: però appunto io vedo di capire che cosa succede in questa tornata di dottorati… Pasquale mi ha subito detto… ah però… due sono troppi qua e la… e Pasquale deve rompere i coglioni
    Ferrara: che cazzo vuole dire… e si perché quelli che candidano quegli altri sono belli…?
    Trimarchi: e non me lo dire a me… io adesso ne parlo direttamente con Neri che rimane il coordinatore del dottorato e confido che non mi rompano i coglioni dopodiché ne parliamo con calma, però insomma dovrebbe essere una cosa tranquilla, quindi adesso guarda, facciamo così, io appena capisco com’è la situazione perché non so manco quando saranno le prove di ammissione al dottorato…»

    Rapporti da salvaguardare

    Alla fine, Trimarchi deve ridimensionare la sua “pretesa”, come gli ha anticipato Catanoso ad agosto. Quest’ultimo, però, in sede di concorso, pare adoperarsi comunque a favore della Sabatini. Così scrive il Gip: «Il Catanoso ha manifestato un fortissimo interesse a che la candidata Sabatini superasse il concorso, anzi l’ha preteso, si è fatto in quattro per assicurare la vincita del concorso, ritenendo che da tale fatto dipendessero le sorti dell’Università reggina. Le conversazioni hanno fatto emergere l’interesse del Catanoso a favorire la Sabatini, uno dei candidati catanzaresi, al fine di non compromettere i rapporti con Catanzaro, per assicurarsi la futura collaborazione sul piano dello stanziamento di somme da destinare al dottorato di ricerca».

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    La facoltà di Architettura nell’Università Mediterranea di Reggio Calabria

    Nella tarda serata della data di conclusione della prova orale per l’ammissione al dottorato, il 19 settembre 2018 alle ore 22, Catanoso chiede al direttore generale dell’Università, Ottavio Amaro, se siano passati candidati di Catanzaro, riferendosi proprio alla Sabatini, la candidata “segnalata” da Trimarchi.

    «Catanoso: è passato qualcuno di Catanzaro?
    Amaro: si è stata la prima, la più brava mi hanno detto
    Catanoso: eh brava si va bene va bene
    Amaro: la Sabatini
    Catanoso: vabbè, grazie Ottavio»

    Massima riservatezza

    Il concorso è stato bandito, come si è detto, nel luglio 2018, mentre le prove sono state a settembre. Quattro mesi prima dell’emanazione del bando, risulta dall’ordinanza del Gip una conversazione tra il coordinatore Gianfranco Neri (indagato) e Trimarchi circa lo stanziamento delle borse di studio finanziate dalla ‘Magna Graecia’ a favore del dottorato reggino (una delle quali, come risulta dagli atti, andrà alla “segnalata” Sabatini).

    Come scritto dal Gip, «l’intervento del Trimarchi risulta essere stato decisivo per lo stanziamento ma non è possibile però ipotizzare, a livello di gravità indiziaria, a carico del Trimarchi il compimento di atti contrari ai doveri del proprio ufficio con riferimento alla fase dello stanziamento delle borse/fondi». «Non si conoscono – prosegue il giudice – le dinamiche che sono state attivate dallo stesso Trimarchi, anche se è emerso come lo stesso Rettore (Giovambattista De Sarro, ndr) avesse chiesto di tenere il massimo riserbo sulla questione (non si individua l’esigenza di cotanta segretezza)». Sempre nell’ordinanza si legge che «il Trimarchi nella veste di professore ordinario e quindi di pubblico ufficiale è sicuramente nella condizione di poter influenzare le scelte dell’Ateneo catanzarese in tema di stanziamento di borse di studio in favore di altri Atenei».

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    Il rettore De Sarro

    A differenza di quanto sostenuto dal pubblico ministero, però, per il Gip «gli elementi che si hanno portano a ravvisare, secondo le valutazioni che sono proprie della presente fase procedimentale, la fattispecie di cui all’art. 318 e 321 cp in relazione alla quale il Trimarchi riveste la qualità di corrotto e il Catanoso (ma anche Neri, Amaro e Tornatora) la qualità di corruttore».

    Ecco il testo della conversazione telefonica, datata 28.3.2018, tra Neri e Trimarchi sullo stanziamento dei fondi per le borse di studio:
    «Trimarchi: Sentimi sono riuscito finalmente a parlare con il Rettore e ha detto va bene.
    Neri: va bene d’accordo…
    Trimarchi: Quindi stasera gli mando una lettera, ha detto naturalmente di fare…far stare la cosa nel più massimo silenzio possibile
    Neri: D’accordo
    Trimarchi: perchè loro c’hanno sai
    Neri: D’accordo»

    Subito dopo aver parlato con Trimarchi, riportano gli atti, Neri chiama la moglie del Dg dell’Università ‘Mediterranea’ Ottavio Amaro, la docente Marina Tornatora per renderla edotta di quanto gli hanno comunicato.

    «Neri: Senti ho sentito Michele Trimarchi…
    Tornatora: si
    Neri: Si, il quale mi ha detto che ha parlato con il Rettore e che… domani mattina… che sta tutto a posto per lui va bene, domani mattina ci comunicheranno questa cosa…Mi diceva, ma lo dirà pure a te di avere il massimo… massima riservatezza su questa cosa perché il Rettore vuole così, il Rettore di Catanzaro…»

    Il silenzio del rettore

    Nessun commento è pervenuto al momento da parte del rettore dell’Università di Catanzaro, Giovambattista De Sarro. Nè è chiaro se nella prossima seduta del C.d.a. universitario o del Senato accademico si parlerà del “caso Trimarchi”.
    Certo è che l’Umg già tre anni fa, nell’ambito dell’inchiesta “Università Bandita, venne scalfita con l’inserimento tra gli indagati di docenti dell’ateneo catanzarese.

    Allora si mise tutto sotto il tappeto, ma certamente De Sarro dovrebbe spiegare come mai avrebbe imposto il silenzio sui fondi “sollecitati” da Trimarchi a favore del dottorato in architettura dell’Università di Reggio Calabria. Al tramonto del suo settennato, su De Sarro (che, si sottolinea, non è indagato) pende questa situazione assai scomoda. I molteplici organi istituzionali dell’Ateneo o i rappresentanti degli studenti gliene chiederanno conto?

  • Concorsi truccati all’Università di Reggio Calabria: “Mediterranea” decapitata

    Concorsi truccati all’Università di Reggio Calabria: “Mediterranea” decapitata

    Doveva “aspettare il proprio turno”. Avrebbero funzionato così i concorsi all’Università Mediterranea di Reggio Calabria. È un vero e proprio bubbone quello che ha fatto scoppiare l’inchiesta “Magnifica”, condotta dalla Procura reggina ed eseguita dalla Guardia di Finanza.

    Decapitata l’Università Mediterranea di Reggio Calabria

    A essere coinvolti, 6 professori ordinari e 2 dipendenti dell’area amministrativa dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Tra le persone sottoposte alla misura cautelare del divieto temporaneo all’esercizio del pubblico ufficio ricoperto presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria figurano anche l’attuale rettore dell’Ateneo, Santo Marcello Zimbone, sottoposto ad una misura interdittiva della durata di 10 mesi.

    Il rettore Zimbone

    Catanese di nascita, si è laureato in Ingegneria civile idraulica all’Università degli Studi di Catania e ha conseguito il dottorato di ricerca in Idronomia all’Università degli Studi di Padova nel 1994. È il rettore dell’Università degli Studi “Mediterranea” di Reggio Calabria da alcuni anni.

    È il successore di Pasquale Catanoso, attuale prorettore vicario e anch’egli colpito dall’inchiesta “Magnifica”. Per Catanoso, da anni uomo assai influente nelle dinamiche accademiche, è arrivata una misura interdittiva della durata di 12 mesi. Nei confronti di quest’ultimo, il GIP ha altresì disposto l’esecuzione di un sequestro preventivo del valore di circa 4 mila euro.

    L’indagine

    L’arco temporale investigato è molto significativo e va dal 2014 al 2020. Secondo gli inquirenti, all’interno dell’Ateneo sarebbe esistita in tutto questo periodo un’associazione dedita alla commissione di delitti contro la pubblica amministrazione e contro la fede pubblica. Una vera e propria “Concorsopoli”, che mette nel mirino la direzione e gestione dell’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria e delle sue articolazioni compartimentali.

    Sulla base di quanto emerso dalle indagini, la perpetrazione di molteplici e reiterati atti contrari ai doveri d’ufficio di imparzialità, lealtà, correttezza e fedeltà si manifestava, soprattutto, in occasione delle varie procedure concorsuali e comparative, nella selezione delle commissioni esaminatrici attraverso la scelta di componenti ritenuti “affidabili” e pertanto idonei a garantire un trattamento favorevole ai singoli candidati scelti “direttamente” o a seguito di “segnalazione”.

     “Aspettare il proprio turno”

    Le indagini traggono origine da un esposto, presentato alla Procura della Repubblica reggina, retta da Giovanni Bombardieri. A denunciare tutto, una candidata non risultata vincitrice, che avrebbe segnalato condotte irregolari perpetrate in occasione dell’espletamento della procedura di valutazione comparativa per un posto di ricercatore universitario.

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    Il procuratore Bombardieri

    La denuncia penale è stata solo l’extrema ratio decisa dalla candidata, che inizialmente aveva promosso presso la Giustizia amministrativa dei ricorsi. Ma arriverebbe qui, stando al racconto, la frase “incriminata”. Non solo sotto il profilo penale, ma anche sotto il profilo sociale. Sarebbe stato infatti suggerito di rinunciare all’azione giudiziaria intrapresa ed “aspettare il proprio turno” per avere accesso a future opportunità professionali all’interno del Dipartimento.

    Le perquisizioni

    È un bubbone perché, oltre a essere coinvolti i vertici, finiscono nelle maglie delle Fiamme Gialle anche altri docenti ordinari. Nonché alcuni membri del personale amministrativo.  Sono in tutto quattro i docenti interdetti dai due ai quattro mesi.

    Si tratta di Ottavio Salvatore Amaro, professore associato del Dipartimento di architettura ed ex direttore generale dell’ateneo; Adolfo Santini, direttore del Dipartimento di architettura; Massimiliano Ferrara, direttore del Dipartimento di giurisprudenza, economia e scienze umane; Antonino Mazza Laboccetta, professore associato dello stesso Dipartimento di giurisprudenza. L’interdizione riguarda, inoltre, anche due funzionari dell’Area tecnico-scientifica elaborazione dati dell’Ateneo, Alessandro Taverriti e Rosario Russo.

    Contestualmente, i finanzieri hanno eseguito perquisizioni domiciliari e personali nei confronti di 23 soggetti. L’obiettivo della Guardia di Finanza è quello di scovare materiale probante nei sistemi informatici/telematici in uso alla “Mediterranea”. Le procedure comparative e concorsuali riguardavano indistintamente le posizioni di ricercatori, di professori ordinari e associati, di assegnisti di ricerca nonché le selezioni per l’accesso ai dottorati di ricerca e ai corsi di specializzazione.

    Lo sperpero di denaro all’Università di Reggio Calabria

    Gli indagati rispondono infatti di associazione per delinquere, concussione, corruzione, abuso d’ufficio, falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atti pubblici, peculato e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente.

    Alla Mediterranea, infatti, sarebbe stato documentato un sistematico sperpero di risorse universitarie. E, quindi, di soldi pubblici. Le autovetture di servizio, infatti, sarebbero state sistematicamente sottratte alle loro finalità istituzionali per essere utilizzate ai fini privati. L’indebito utilizzo delle risorse dell’ente non ha riguardato solo le autovetture di servizio. Le contestazioni di peculato concernono, infatti, anche le carte di credito intestate all’Università, reiteratamente utilizzate per pagare spese di natura prettamente personale.

    Ma è quella degli appalti la questione apparentemente più grave: l’affidamento di lavori edili di manutenzione dei locali universitari, infatti, sarebbe arrivato in assenza di apposite procedure di gara e sulla base di false prospettazioni della realtà fattuale.

    • Sono 52 in totale le persone che figurano nel registro degli indagati:
    • Elvira Rita Adamo, 1990, Cosenza
    • Renata Giuliana Albanese, 1957, Roma
    • Salvatore Ottavio Amaro, 1959, Reggio Calabria (professore associato Dipartimento Architettura)
    • Nicola Arcadi, 1953, Reggio Calabria
    • Giuseppe Bombino, 1971, Reggio Calabria
    • Pasquale Catanoso, 1953, Reggio Calabria (pro rettore università di Reggio Calabria)
    • Antonio Condello, 1973, Taurianova
      Zaira Dato, 1949, Catania
    • Alberto De Capua, 1964, Reggio Calabria
    • Roberto Claudio De Capua, 1961, Reggio Calabria
    • Lidia Errante, 1989, Reggio
    • Philipp Fabbio, 1976, Villorba (Tv)
    • Giuseppe Fera, 1950, Messina
    • Massimiliano Ferrara, 1972, Reggio Calabria (direttore del dipartimento Giurisprudenza, Economia e Scienze Umane)
    • Giovanna Maria Ferro, 1977, Reggio Calabria
    • Gaetano Ginex, 1953, Palermo
    • Giovanni Gulisano, 1959, Catania
    • Rita Iside Laganà, 1994, Reggio Calabria
    • Filippo Laganà, 1964, Reggio Calabria
    • Maria Teresa Lombardo, 1990, Roccella Ionica
    • Demetrio Maltese, 1988, Reggio Calabria
    • Chiara Manti, 1991, Campo Calabro
    • Domenico Manti, 1955, Campo Calabro
    • Antonino Laboccetta Mazza, 1972, Reggio Calabria (professore associato dipartimento Giurisprudenza)
    • Martino Milardi, 1962, Reggio Calabria
    • Carlo Francesco Morabito, 1959, Villa San Giovanni
    • Gianfranco Neri, 1952, Roma
    • Stefania Ilaria Neri, 1991, Pavia
    • Paolo Neri, 1961, Reggio Calabria
    • Rossella Panetta, 1991, Galatro
    • Adele Emilia Panuccio, 1988, Reggio Calabria
    • Giuseppe Pellitteri, 1954, Palermo
    • Giulia Ida Presta, 1993, Cosenza
    • Antonello Russo, 1972, Messina
    • Valerio Maria Rosario Russo, 1956, Salerno (funzionario area tecnica)
    • Francesca Sabatini, 1994, Roma
    • Giovanni Saladino, 1963, Bova marina
    • Adolfo Santini, 1955, Catania (direttore dipartimento Architettura)
    • Leonardo Schena, 1971, Monopoli
    • Andrea Sciascia, 1962, Palermo
    • Aurelia Sole, 1957, Cosenza (ex rettore dell’Università della Basilicata)
    • Vincenzo Tamburino, 1953, Catania
    • Alessandro Taverriti, 1959, Messina (funzionario area tecnica)
    • Laura Thermes, 1943, Roma
    • Marina Rosa Tornatora, 1970, Reggio Calabria
    • Michele Trimarchi, 1956, Roma
    • Giuseppe Tropea, 1975, Soverato
    • Agostino Urso, 1965, Reggio Calabria
    • Giovanna Zampogna, 1990, Palmi
    • Giuseppe Zampogna, 1954, Palmi
    • Antonio Demetrio Zema, 1970, Reggio Calabria
    • Agrippino Marcello Santo Zimbone, 1961, Catania (rettore dell’Università di Reggio Calabria)
  • Liberi di studiare: 57 detenuti “in attesa” di laurea

    Liberi di studiare: 57 detenuti “in attesa” di laurea

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    Cinquantasette detenuti che sognano di laurearsi dal carcere in Calabria. Sono i numeri che nell’anno accademico in corso delineano i tratti della parte meno nota del sistema di istruzione universitario calabrese: quella di chi si è rimesso a studiare con l’obiettivo di trovare sui libri un riscatto che galere troppo spesso sovraffollate non riescono a garantire. A fare da traino è il penitenziario “Ugo Caridi” di Catanzaro, che, sulla scorta di una collaborazione ormai consolidata con l’Università Magna Græcia, conta ben 26 aspiranti dottori.

    Altri quattro che scontano la pena lì risultano iscritti all’Unical. L’ateneo rendese martedì ha festeggiato la prima laurea specialistica in Sociologia di un detenuto a Rossano, penitenziario nel quale a sognare il titolo sono in 12. Sei gli studenti Unical rinchiusi a Paola, tre – uno per carcere – quelli a Lauretana di Borrello, Vibo Valentia e Castrovillari.

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    L’Università di Catanzaro

    La scommessa del penitenziario di Catanzaro

    Due dei 29 detenuti che si sono laureati nelle patrie galere nel corso del 2021 hanno conseguito il titolo nel “Caridi”: Salvatore Curatolo a luglio, Sergio Ferraro a ottobre. Ma dietro le sbarre c’è anche chi non si limita a studiare e fa da tutor a quelli che per portare a termine il proprio percorso formativo hanno bisogno di una spinta in più. La collaborazione tra Magna Græcia e Unical in carcere a Catanzaro passa anche da una serie di seminari per gli studenti detenuti in Alta sicurezza.

    I corsi sono di Sociologia giuridica e della devianza e Sociologia della sopravvivenza. I temi spaziano dal populismo penale alla giustizia riparativa, passando da violenza e diritto, prostituzione e pornografia, police brutality e tortura, terrorismo, lotta armata, resistenza e molto altro. È un’iniziativa mai sperimentata prima in Italia e tra i relatori ha visto anche il calabrese Giuseppe Spadaro, oggi presidente del Tribunale dei minori di Trento.

    La Dad dietro le sbarre

    Tutto si svolge in carcere, con i 16 detenuti coinvolti che diventano protagonisti di lezioni che poi arrivano in streaming ai cosiddetti “studenti normali”, tra cui quelli dell’Università di Bologna e di un liceo di Palermo. La Magna Græcia e il “Caridi” hanno così trasformato il freno della Dad imposta dalla pandemia in un’occasione per rendere fruibile all’esterno lezioni che i detenuti hanno svolto in presenza. Tutto nella massima attenzione alla tutela della sicurezza: i detenuti non possono interagire con gli altri studenti.

    Quello di Catanzaro è comunque l’unico polo universitario penitenziario d’Italia nel quale i corsi rivestono carattere di ufficialità. Qui i docenti non sono più volontari del sapere, una delibera recentemente approvata dal dipartimento di Giurisprudenza, Economia e Sociologia consente loro di sfruttare il tempo compreso nel proprio monte ore personale esattamente come quando insegnano in facoltà.

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    Angela Paravati, direttore del carcere di Catanzaro

    Carcere in Calabria: a Catanzaro la cultura è di casa 

    Non mancano le richieste di trasferirsi in questo carcere per soli uomini diretto da una donna, avanzate da detenuti che nel capoluogo calabrese vedono lo sbocco naturale del loro percorso formativo. Tra i 588 ospiti del “Caridi”, in effetti, la cultura è di casa. A puntarci è la direttrice Angela Paravati, a stimolarla il coordinatore del corso di laurea in Giurisprudenza, Andrea Porciello, e il delegato del rettore nella Rete per i poli universitari penitenziari, Charlie Barnao.

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    La casa circondariale di Catanzaro

    Dolci evasioni

    Neppure il regime di Alta sicurezza 1 fa da freno. Anzi, chi esce dal 41 bis cede spesso al fascino dei libri e a Catanzaro trova gli stimoli giusti. Ma tra quelle mura c’è spazio pure per le ghiottonerie di chi, nonostante l’ergastolo ostativo, il suo riscatto l’ha cercato nei dolci. È il caso di Fabio Valenti, che nel profumo dei suoi dolci trova golosissimi momenti di evasione apprezzati dentro e fuori il carcere. È il pasticcere del penitenziario di Catanzaro e coi suoi manicaretti ha attirato pure l’attenzione del maestro della pasticceria Luca Montersino. Per iniziare gli sono bastate due pentole capovolte, il suo forno l’ha creato così.

    Nelle 280 pagine del libro Dolci (c)reati, curato da Ilaria Tirinato ed edito da Città del Sole, c’è tutto il buono delle pratiche educative che aiutano anche chi ha trascorso in carcere 27 dei suoi 50 anni e sa che di avere dinnanzi il “fine pena mai”. La sua è un’altra storia di passioni assecondate e sostenute. Arriva anche da qui la scelta di dare i nomi alle sue ricette associando a ogni dolce un articolo del codice penale. Perché in fondo dietro le sbarre resta sempre la consapevolezza che ogni azione ha una conseguenza.

    Antonella Scalzi

  • Non solo Bronzi, i tesori da scoprire sotto i nostri mari

    Non solo Bronzi, i tesori da scoprire sotto i nostri mari

    La Calabria ha 800 km di costa, da queste acque sono passate navi dei Greci e dei Romani, di Garibaldi e degli Americani. Ma il mare per i calabresi ha anche un significato più ampio. È una minaccia sin dai tempi delle incursioni saracene e, al contempo, è anche una importantissima risorsa, un fattore di sviluppo. A proposito di mare, nel 2022 ricorrono 50 anni dalla scoperta dei Bronzi al largo della costa di Riace nell’ormai lontano 1972. «Si è discusso molto senza trovare un accordo su una questione che resta fondamentale: la possibilità che la coppia di statue costituisse in origine un gruppo più ampio. In realtà nulla sappiamo sulla composizione del carico», scrive Maurizio Paoletti nel libro, edito da Donzelli, Sul buono e sul cattivo uso dei Bronzi di Riace.

    Vestiti come dei Bronzi per Sandro Pertini

    Considerati il simbolo per antonomasia della Calabria, utilizzati a volte con esiti poco felici, hanno fatto scatenare più volte polemiche a livello nazionale. Le due statue bronzee – con particolari in argento, calcite e rame – sono tra le testimonianze più significative dell’arte greca classica. Secondo l’Istituto centrale per il restauro di Roma, furono prodotte direttamente ad Argo in Grecia nel V secolo avanti Cristo. Sandro Pertini, rimase folgorato dalla loro straordinaria bellezza e nel 1980 decise di farle esporre al Quirinale. Oggi i Bronzi sono la principale attrazione del Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria e si poggiano su basi antisismiche progettate dall’agenzia Enea.

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    La Testa del filosofo

    Il museo più visitato in Calabria

    I numeri del museo dal 2016 al 2020 parlano chiaro: qui sono arrivati quasi 900 mila visitatori. Corrispondono alla metà delle persone che negli stessi anni hanno visitato tutti i luoghi culturali gestiti dallo Stato in Calabria. Dal rimanente fasciame del relitto di Porticello (datato tra il 470/440 ed il 420 a. C), nello stretto di Messina, arrivano gli altri tesori esposti ora nella sala con i Bronzi: la Testa del Filosofo e la Testa di Basilea. Cosa c’entra la Svizzera con una scultura greca trovata in fondo al mare? Semplice: la Testa era conservata in un magazzino del museo di Basilea, dopo essere stata trafugata. Solo in seguito ritornò allo Stato italiano.

    Archeologia amatoriale

    La cosiddetta archeologia subacquea qui in Calabria nasce negli anni ’70, proprio con questi due rinvenimenti fortuiti: il relitto di Porticello e i Bronzi di Riace. «Se il rinvenimento del relitto di Porticello fu effettuato nel corso di scavi clandestini, la piaga dell’archeologia subacquea dalla quale nemmeno la ricerca terrestre è esente, quello dei Bronzi di Riace si verificò durante lo svolgimento di un’attività amatoriale, anch’esso un caso classico in questo campo di indagine», ci spiega l’archeologa Maria Teresa Iannelli.

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    Il relitto di Capo Bianco a Crotone

    Tesori sommersi: Calabria seconda solo alla Sicilia

    In realtà già nei primi anni del Novecento a Punta Scifo nel crotonese, l’archeologo trentino Paolo Orsi, con l’utilizzo di palombari, aveva rinvenuto un relitto antico. C’è comunque ancora tanto da scoprire nei fondali del nostro Mediterraneo? Gli esperti dicono di sì. Secondo la piemontese Alice Freschi, che ha condotto anni fa una serie di indagini con la cooperativa Aquarius per conto della Soprintendenza calabrese allora diretta da Elena Lattanzi, «in Italia il mare della Calabria è secondo solo alla Sicilia in termini di reperti sommersi e antichi relitti». Dalle ricerche effettuate, basate anche sulle tracce lasciate da Orsi oltre un secolo fa, si è potuto ricavare molto. Lo testimoniano le varie pubblicazioni scientifiche e alcuni musei archeologici calabresi.

    I resti del passato sepolti nei mari calabresi

    Turismo sostenibile in fondo al mare

    Il turismo archeologico subacqueo è un fenomeno in forte espansione ovunque nel mondo. E rappresenta anche un tipo di turismo sostenibile in grado di generare nei territori in cui è possibile svolgerlo un elevato ritorno economico.
    Salvatore Medaglia, ricercatore di Topografia antica presso l’Unical, spiega che «in Italia sono aperti alle visite alcuni siti archeologici subacquei. Ci si può immergere con guide appositamente autorizzate e secondo modalità specifiche. Si tratta di parchi archeologici come quello di Egnazia in cui è possibile visitare i resti sommersi del porto romano. O come nel caso di Baia, in cui alcuni diving convenzionati, con il consenso del Parco Archeologico dei Campi Flegrei, organizzano tour subacquei di grande suggestione tra le rovine di sontuose dimore d’età romana».

    Esposizione dei reperti subacquei nel Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria

    Il sentiero marino di Capo Rizzuto

    Anche in Calabria è possibile visitare siti archeologici sommersi? «Nell’Area Marina Protetta “Capo Rizzuto”, con il supporto della Soprintendenza – aggiunge Medaglia, che è anche docente di Archeologia subacquea presso l’Università della Tuscia – è attivo da alcuni anni un sentiero archeologico subacqueo, fruibile sia con l’autorespiratore sia mediante snorkeling sul relitto romano Punta Scifo D. Nella stessa area marina è pure possibile, sempre accompagnati dai diving autorizzati, visitare il relitto delle colonne romane di Capo Cimiti».

    D’altra parte «le acque crotonesi serbano una straordinaria concentrazione di testimonianze, forse quella maggiore del Mediterraneo». Medaglia, che insieme ad altri esperti ne studia da quindici anni i relitti sommersi, ricorda le centinaia di tonnellate di ceramiche e marmi che ha ammirato. Compreso «il più grande relitto lapidario di età imperiale che si conosca» a Punta Scifo D. Senza dimenticare le ultime ricerche in ordine di tempo nelle acque di Capo Rizzuto. C’è quella sul piroscafo Bengala – della flotta della “Navigazione Generale Italiana”, una delle maggiori compagnie europee dell’epoca – che naufragò lì nel 1889. O le indagini su due relitti del XVII-XVIII che «ha evidenziato la presenza di nove cannoni in ghisa, di due enormi ancore e di una bellissima campana in bronzo».

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    Tecnologie all’avanguardia targate 3D Research, spin-off targata Unical

    L’impresa spin-off nata all’Unical

    Praticamente un paradiso sott’acqua ancora in attesa di essere portato a galla. E che è possibile vedere, dunque, solo grazie a strumentazioni digitali e immersioni autorizzate. In questo campo la tecnologia ricopre un ruolo rilevante. Siamo andati allora a trovare all’Università della Calabria l’azienda spin-off 3D Research Srl che ha progettato, tra l’altro, dei tablet subacquei utili ai divers e videogiochi per gli smartphone.

    Si tratta di una realtà con 15 dipendenti nata nel dipartimento di Ingegneria Meccanica, Elettronica e Gestionale che lavora nel campo della valorizzazione e della tutela dei beni culturali. Fabio Bruno, professore associato di Virtual and Augmented Reality, guida un team di tecnici e ingegneri provenienti dall’Unical che ha praticamente rivoluzionato il modo di intendere queste antiche bellezze. Un’eccellenza tutta calabrese che si sta facendo valere in giro per l’Europa, partecipando a progetti di rilievo internazionale. Ecco cosa ha raccontato al nostro giornale.

     

  • Piano telematico, lo spartiacque su cui si è infranto il sogno del Cud

    Piano telematico, lo spartiacque su cui si è infranto il sogno del Cud

    Nel gran discutere di Dad in conseguenza del virus, ha fatto bene Giacomantonio, su queste colonne, a riaprire il dossier Cud, Consorzio Università a Distanza, iniziativa degli anni Ottanta del secolo scorso varata in Calabria ad opera di Sergio De Julio.
    Un Consorzio fra vari soggetti, nazionali e internazionali, a carattere culturale e imprenditoriale, che si calava – così sembrava, così era progettato – nella realtà di quegli anni, carichi di tensione verso l’innovazione, la formazione, la modernità condivisa, in un contesto qual è quello calabrese bisognoso di interventi radicali.

    Il Cud e gli orticelli

    Ci fu fin da subito chi non fece salti di gioia nell’apprendere del progetto, così come fece storcere il muso la precedente nascita del Cisam, Centro interdipertimentale studi aree montane, anche questo grazie a Sergio De Julio.
    Che cos’è che disturbava in questi consorzi e centri interdipartimentali, se non l’idea stessa del consorzio e dell’inter fra i dipartimenti, l’azione fra più attori, cioè, il coordinamento tra più istanze, il superamento dell’atomismo e dell’orticello da recintare e difendere. Una prassi, cioè, consolidata e che proprio nell’università, che era nata anche per scardinare questo retaggio, vedeva il centro propulsore perché ciò si inverasse.

    Solo che, per porsi su un altro versante, certe azioni abbisognano di tempi e di modi altrimenti si ricade nel cosiddetto “teorema Andreatta” secondo cui la shocking wave di importare sulle colline di Arcavacata cervelli culturalmente “eversivi” (non solo culturalmente e anche senza virgolette) poteva essere l’arma giusta per svegliare i calabresi. E invece la melassa calabrese assorbì e in buona misura depotenziò il teorema, così come il passo in avanti del Cud fu visto come troppo divaricante, indipendente e libero da padrinaggi politici di vario genere e colore.

    Erano quelli, in aggiunta, tempi in cui per davvero si poteva prescindere dal rapporto diretto, in presenza, fra docente e discente, si poteva d’emblée, superare il gap della riottosità e della scarsa empatia calabrese ponendo giovani e meno giovani davanti un computer, oppure aveva ragione Negroponte individuando proprio nelle caratteristiche geografiche e orografiche, di collegamento, quelle che Placanica individua come ostacoli strutturali nella comunicazione e nella stessa indole calabrese, i migliori e più potenti atout per fare uscire i calabresi dall’isolamento?

    Padri padroni e padrini

    Fatto sta che fu gioco facile da parte di chi voleva continuare ad esercitare il suo ruolo di padre padrone incontrastato liquidare baracca e burattini avvalendosi di fatto di uno strumento forte qual era il nascente Piano Telematico, un “contenitore” ampio e ricco che ebbe nei padrinaggi politici un partner attento quanto dominante.
    E il depotenziamento del Cud risultò, ahimè, vincente grazie a un argomento sottile e insidioso che fu palesemente esposto: quello che addebitava al Cud stesso l’incapacità di attrarre e di vivere di investimenti e commesse che non fossero solo quelle statali o comunque pubblici: un’accusa, come si vede, di assistenzialismo, quell’assistenzialismo che il Cud era nato per combattere.
    Ciò che avvenne all’interno delle politiche del Piano telematico, delle sue azioni, costituisce una sorta di banco di prova per le classi dirigenti calabresi, non solo politiche, un vero e proprio spartiacque fra il prima e il dopo: lì, sarebbe quanto mai opportuno accendere i riflettori.

    Massimo Veltri
    Professore ordinario all’Unical ed ex senatore della Repubblica

  • Presi per il Cud: l’Unical del futuro sognava in vhs però andò a picco come il Titanic

    Presi per il Cud: l’Unical del futuro sognava in vhs però andò a picco come il Titanic

    C’è stata una stagione, ormai lontana e inesorabilmente perduta, in cui la Calabria sembrava avere avuto lo sguardo proiettato verso il futuro. Era la prima metà degli anni Ottanta e qui nasceva un’idea che sarebbe stata potentemente pionieristica nel panorama nazionale, quella di dare vita ad una università a distanza. Si chiamava Cud. Una sfida straordinaria per una regione con lo stigma di una terra perennemente in ritardo sulla modernità, ancorata all’immagine di una arretratezza endemica.

    La prima università a distanza d’Italia

    Mentre il modello di sviluppo classico fondato sulla fabbrica andava in frantumi ovunque senza essere mai stato davvero applicato nel meridione, con straordinaria lungimiranza in Calabria c’era chi pensava di fare un salto in un futuro che era stato esplorato in alcuni paesi, come l’Inghilterra e l’Australia, ma era sconosciuto in Italia. La prima università a distanza del Paese nasceva sulle colline di Arcavacata.

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    L’Università della Calabria

    C’erano pure la Sapienza, Olivetti, Ibm e Telecom

    Tutto ha origine dal Dpr 382 del 1980, che autorizzava “le università italiane ad unirsi in consorzi ed a sperimentare forme alternative a quelle tradizionali per erogare i propri corsi.” E nell’84 arrivò il Cud, consorzio università a distanza. Ad aderire all’idea, e dunque al consorzio, sono Università della Calabria, Università degli Studi “La Sapienza” di Roma, Politecnico di Milano, Università di Bari, quella di Padova, di Siena e di Trento. Ma anche realtà private come il Consorzio per la ricerca e l’applicazione dell’informatica (Crai) e poi Olivetti, Confindustria, Ibm, Telecom Italia (ex Sip), Rai, Telespazio.

    Con questi soci il Cud doveva essere una corazzata imbattibile, invece affondò come il Titanic. Le risorse economiche, ingenti, per far partire la corazzata vennero dall’Intervento straordinario per il Mezzogiorno. Alcuni docenti Unical, come Sergio De Julio (che divenne successivamente deputato dell’allora Pci), Ivar Massabò e Franco Lata (tutti provenienti dall’esperienza Crai) presentarono il progetto.

    Il guru australiano

    Era una idea dell’altro mondo. E, infatti, a guidare i primi passi di quell’avventura chiamarono uno che stava dall’altra parte del mondo: si chiamava Desmond Keegan ed era australiano. Era il massimo pioniere dell’educazione a distanza, impegnato nello studio dell’uso delle tecnologie applicate all’insegnamento e sulle strategie necessarie per aumentare l’equità di accesso. L’australiano venne in Calabria, ma tornò presto nella terra dei canguri, forse perché aveva capito che quell’idea bellissima qui aveva una cattiva sorte.

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    “Principi di istruzione a distanza” è il titolo italiano del libro di Keegan

    Cud, dieci anni finiti male

    Il Cud resistette poco più di dieci anni ma gli ultimi furono parecchio travagliati, tra mobilità e cassa integrazione del personale. Una fine annunciata causata dalla ferocia predatoria della classe politica, ma non solo. Eppure la vocazione all’educazione a distanza era nei geni dell’Unical, che era posta fisicamente sulle colline di Rende, ma aveva l’ambizione di essere università regionale e di raggiungere quindi tutti gli studenti calabresi, anche quelli che non avrebbero trovato posto nel campus.

    Timidi inizi di multimedialità

    Una idea di decentramento educativo in un tempo in cui ancora il web non esisteva, si basava sulla costruzione di programmi didattici veicolati su videocassette. «C’erano centri di studio, luoghi posti in aree urbane strategiche nella regione, dove gli studenti avrebbero potuto accedere al materiale e studiare le lezioni confezionate nella sede del Cud», racconta Massimo Celani, uno dei primissimi protagonisti di quella storia. Proveniva da una esperienza di programmista Rai e dunque con altri padroneggiava le tecniche del linguaggio video, indispensabili per costruire le lezioni multimediali. Celani, assieme ai primi professionisti formati in quella fase iniziale, costituiva la schiera di “redattori”, o “metodologi dell’insegnamento”. Così venivano chiamate le prime professionalità impiegate nel Cud. «Non si trattava di video lezioni frontali – prosegue Celani – ma di programmi strutturati, con un senso narrativo, al cui interno già emergeva una qualche forma di multimedialità».

    Adesso sembra preistoria: una videocassetta degli anni Ottanta

    La Calabria che voleva modernizzarsi

    L’idea ambiziosa è quella di far diventare la formazione a distanza una forma concreta di alternativa all’università tradizionale. Il Cud cresce dentro un contesto in cui i fermenti intellettuali e imprenditoriali sono molto vivaci. È una delle aziende più innovative, assieme al Crai e a Intersiel. La Calabria con queste aziende partecipa come protagonista alla partita della modernità, immaginando un diverso modello di sviluppo che non è basato sull’industria o sull’agricoltura, ma sui saperi e sulla diffusione delle tecnologie. Nasceva quella che poi avremmo chiamato “lavoro cognitivo”, ma allora non lo sapevamo. I settori di intervento didattico del Cud furono all’inizio i corsi di Informatica e di Lingue. Si estesero poi alla Formazione professionale e alla formazione dei docenti delle scuole superiori di tutta Italia all’interno nel nascente Piano nazionale informatico.

    Gli appetiti della politica

    Il punto debole di quella avventura si rivelò presto la sua natura societaria. «L’essere un consorzio sembrava diluire le responsabilità, sbiadire la guida», ricorda Marina Simonetti, che nel Cud fu prima borsista, e poi progettista di formazione. Una fragilità che rendeva il Cud facile preda di conquista degli appetiti politici, che praticarono indiscriminatamente l’arte della clientela. In breve tempo, da poche decine di professionisti accuratamente selezionati, il personale si estese a più di cento impiegati, molti dei quali autisti. Inoltre un management molto esteso e assai costoso fece la sua parte nell’indebolire la vitalità del Cud.

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    Marina Simonetti, prima borsista del Cud

    L’immancabile sede romana per il Cud

    Come nelle migliori avventure calabresi, fu subito acquistata una costosa e bellissima sede romana di rappresentanza, in Corso Vittorio, mentre intanto sorgevano in Italia altre esperienze di università a distanza, come per esempio Nettuno, che avevano meno pretese sul piano metodologico, ma con maggiore pragmatismo conquistavano quote di mercato. Poco per volta i vari soci si sfilarono e nel maggio del ’98 si presentò il curatore fallimentare per chiudere la baracca. Per quanti vi lavoravano cominciava la diaspora, tra università e aziende private.

    Finisce tutto con il Piano telematico

    Con la chiusura del Cud non moriva solo una opportunità, ma si consumava lo spreco di un sapere collettivo. La fine del Cud però è anche altro. È la fine di una stagione in cui complessivamente la Calabria aveva conosciuto stimoli plurali. «C’era una società vivace, capace di pensare più in là, di puntare ad un risveglio tecno scientifico», dice Emilio Viafora, sindacalista della Cgil e allora segretario del sindacato. Per lui la presenza di quella società civile, sensibile ed accogliente verso gli stimoli che venivano dall’Unical, fu l’alchimia necessaria per far nascere l’ambizione di aprire nuove frontiere.

    A condannare il Cud e tutta quella stagione furono molte cose. Viafora ricorda una scarsa attenzione verso nuovi modi di vedere gli interventi europei, facendo prevalere una logica «conservativa e assistenziale», ma anche l’inadeguatezza della classe politica del tempo. La fine giunse quasi di colpo, con l’avvio del Piano telematico e le sue immense risorse. Era stato annunciato come il più grande investimento per la modernizzazione della Calabria, sul quale si avventarono i partiti del tempo.

    Oggi si parla molto della detestata Dad, eppure nella prima metà degli anni Ottanta la Calabria aveva visto più lontano di tutti, aveva capito che le tecnologie possono costruire e diffondere saperi sofisticati. Il Cud è stato, per questa regione, un breve ed emozionante viaggio in un futuro che abbiamo fatto morire.

  • Il futuro si gioca a Bruxelles, ma la Calabria non ha nulla da dire?

    Il futuro si gioca a Bruxelles, ma la Calabria non ha nulla da dire?

    Sta per cominciare sui tavoli europei, quelli che contano sul serio, la discussione politica sulle regole di bilancio dell’Unione Europea: il famoso fiscal compact del quale, nel decennio appena trascorso, ogni angolo dell’opinione pubblica ha decantato le presunte virtù salvifiche. Presunte, appunto.

    Regole Ue, una sintesi da raggiungere

    Due i punti focali della disputa, che sono poi quelli sui quali i governi degli stati nazionali che animano il governo dell’Ue dovranno trovare una sintesi, necessariamente politica.

    1. Servirebbe un nuovo modello di crescita che preveda la possibilità di fare maggiori investimenti pubblici per innovare la struttura economica. Si parla tanto, anche meritoriamente, di “transizione ecologica”. Ebbene, servirebbe una quantità poderosa di risorse pubbliche per “innovare” da una parte, e per compensare gli effetti negativi dall’altra. In caso contrario, la “distruzione creativa” sarà solo distruzione economica. E produrrà macerie sociali, come sempre accade quando si lascia a sé il mercato senza alcuna regolazione da parte dell’autorità pubblica/politica;
    2. Bisognerebbe, per dar corso al punto 1, mandare in soffitta una volta per tutte il paradigma dell’austerità espansiva, che in questi anni ha prodotto macerie sociali (oltre che tanto conformismo, dentro e fuori l’Accademia). Si è rivelato del tutto inadeguato dinnanzi ad uno shock economico dirompente ed inatteso, un vero e proprio “cigno nero”, come quello prodotto dalla pandemia. La controprova dell’affermazione circa la dannosità sta nella sospensione delle regole “austerity” di bilancio che hanno guidato le scelte di politica economica. Fossero state adeguate a superare lo shock economico causato dalla pandemia non le avrebbero sospese.

    Mediterranei vs Frugali

    Il presidente del Consiglio pro tempore, capo del governo italiano, ha – ed è del tutto evidente – l’autorevolezza politica per guidare un consorzio di paesi (i cosiddetti “mediterranei“) finalizzato a rimettere in discussione il paradigma dell’austerità espansiva, che i paesi cosiddetti “frugali” vorrebbero ripristinare attraverso la riattivazione di quelle regole di bilancio tanto insensate sul piano scientifico quanto deleterie su quello economico: le decisioni “contabili” prese a Bruxelles si riverberano sulla vita reale delle persone, in special modo su quelle che vivono nelle aree territoriali più svantaggiate, proprio come la Calabria.
    Per questo è quanto mai opportuno affermare che i destini della Calabria si disputeranno, ancora una volta, a Bruxelles. E questa volta in modo dirimente.

    Ma le nostre università stanno a guardare?

    In conclusione, credo sia lecito chiedersi: l’Accademia calabrese, nella quale fiorisce una tradizione di studi economici originale e per certi aspetti assai brillante, riesce a sviluppare un pensiero politico, magari innovativo, sulla questione del debito pubblico europeo o si limita a recepire i voli pindarici di chi (nelle università, specie del Nord, dove si orienta il dibattito pubblico) è passato dal “guai a fare debito pubblico: sarebbe un disastro” al “fare debito pubblico non è più un problema”?
    Speriamo di capirlo al più presto, magari in un futuro che non sia troppo anteriore.

    Francesco Capraro