Tag: università

  • Ricerche svelate, una web serie tra i cubi dell’Unical

    Ricerche svelate, una web serie tra i cubi dell’Unical

    La web serie “Le ricerche svelate” è un progetto innovativo avviato dal Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali (Dispes) e dall’Area Comunicazione dell’Università della Calabria, con l’obiettivo di rendere accessibili al pubblico le ricerche scientifiche condotte all’interno dell’ateneo. Ideata da Daniele Dottorini, docente di cinema, da Antonio Martino e dal sottoscritto, che da anni si occupano di cinema documentario antropologico e di osservazione, la serie rappresenta una collaborazione tra i Laboratori di ricerca del Dispes e l’Area Comunicazione dell’Unical, con il contributo di Laura De Leo, Fabio Grandinetti, Francesco Montemurro, Aldo Presta e Vittorio Scerbo.

    OBIETTIVI E METODOLOGIA

    Il progetto si basa sulla convinzione che il linguaggio audiovisivo possa superare le barriere linguistiche e concettuali che spesso rendono le ricerche accademiche inaccessibili ai non addetti ai lavori. Attraverso immagini, suoni e narrazioni, molti concetti complessi possono essere presentati in modo più intuitivo e immediato, facilitando la comprensione e stimolando l’interesse del pubblico. L’audiovisivo, infatti, ha la capacità di coinvolgere emotivamente gli spettatori, creando un legame più profondo con il contenuto presentato e incentivando ulteriori approfondimenti.

    WEB SERIE UNICAL: UMANIZZARE LE RICERCHE

    La nostra visione è quella di “umanizzare la scienza”, ossia di presentare le ricerche scientifiche attraverso il racconto delle storie personali dei ricercatori, le loro motivazioni e il loro impegno quotidiano. Questo approccio antropologico permette di avvicinare la scienza alla società, rendendola più comprensibile e rilevante per la vita quotidiana delle persone. Ad esempio, quando un ricercatore di biochimica racconta la sua lotta personale contro il cancro e l’impatto delle sue scoperte sulla cura della malattia, il pubblico può comprendere meglio l’importanza del lavoro scientifico e sentirsi maggiormente coinvolto.

    MONNA LISA SMILE

    Il sorriso enigmatico di Monna Lisa è la prima puntata della serie, dedicata allo studio di Alessandro Soranzo, ricercatore del Dipartimento di Fisica, che ha analizzato l’enigmatico sorriso della Monna Lisa. Utilizzando la teoria psicologica dell’organizzazione percettiva, Soranzo ha svelato come la percezione dell’espressione della Gioconda sia influenzata dalla visibilità dei dettagli nell’area attorno alla bocca, introducendo il concetto di “tocco artistico di ambiguità”. Lotta al cancro, la promessa di Marco è la seconda puntata che si concentra sulla storia del dottor Marco Fiorillo, giovane ricercatore calabrese di biochimica, rientrato all’Unical dopo un decennio di esperienze all’estero. Il suo lavoro ha contribuito alla scoperta di nuovi potenziali farmaci per il trattamento dell’adenocarcinoma polmonare, la forma più letale di cancro ai polmoni. Altre puntate sono in fase di realizzazione.

    WEB SERIE UNICAL: IMPATTO E PROSPETTIVE FUTURE DELLE RICERCHE

    La divulgazione scientifica attraverso l’audiovisivo rafforza il ruolo dell’università nella cosiddetta “terza missione”, ossia l’interazione con la società e la condivisione della conoscenza al di fuori dell’ambito accademico. La web serie “Le ricerche svelate” rappresenta un esempio significativo di come l’audiovisivo possa essere utilizzato efficacemente per la divulgazione delle ricerche universitarie e dei centri di ricerca del nostro paese. Attraverso questo format, l’Università della Calabria riesce a portare le proprie scoperte al di fuori dei confini accademici, rendendole accessibili e interessanti per un pubblico più ampio, e contribuendo così alla diffusione della conoscenza e al progresso culturale della società.

    Gianfranco Donadio
    documentarista

  • Fenomenologia di Brunori Sas: quando le canzoni (e non solo) diventano patrimonio identitario

    Fenomenologia di Brunori Sas: quando le canzoni (e non solo) diventano patrimonio identitario

    «C’è una identità che scalpita per essere rappresentata, che ha bisogno di un portavoce, di un ambasciatore, di un condottiero», dice con convinzione Olimpia Affuso, sociologa dell’Unical e vice coordinatrice del corso di studio di Media e società digitale, fornendo una spiegazione possibile all’impazzimento collettivo verso Dario Brunori.
    È pressoché sicuro che il cantautore cosentino non si senta un condottiero, eppure durante l’ultima edizione del Festival della canzone ha incarnato la rappresentazione di un territorio e di una cultura anticamente relegati alla pena del silenzio o, peggio, incatenata ai ceppi di una narrazione nefasta.

    I commenti social

     

    Brunori Sas e la nuova narrazione della Calabria

    Per una manciata di giorni questa narrazione si è spezzata e al suo posto sono emerse dolcezze e poesia e appresso a loro un inatteso orgoglio. Ma le cose sono sempre più complesse di quanto appaiano e per muoversi con disinvoltura dentro l’articolata fenomenologia brunoriana c’era bisogno di uno sguardo in grado di cogliere le sfumature psico-sociali.

    Paola Bisciglia, psicologa e psicoterapeuta, Giap Parini, sociologo e direttore del Dispes e la già citata Olimpia Affuso, sono stati i compagni di un viaggio dentro un fenomeno collettivo fatto di entusiasmo, rivendicazione e senso di appartenenza, tutti sentimenti che hanno trovato in Brunori Sas il riferimento. E considerata la veemenza fideistica che a un certo punto ha invaso i social, c’è il rischio che possa vagamente avverarsi la profezia espressa con la consueta intelligente autoironia dallo stesso Dario: quella di immaginarsi come una Madonna portata a spalla e con i devoti che attaccano banconote al suo mantello, come ancora avviene durante certe processioni nei nostri paesi.

    Cultura alta e cultura pop

    Questo richiamo divertito a una religiosità devozionale ancora viva in Calabria non è stato il solo riferimento a radici culturali profonde, come quando sapientemente, nel corso di una intervista, ha spiegato l’affascino e i riti magico-religiosi per neutralizzarlo, citando, senza citarlo davvero, De Martino. Sud e magia sul palco dell’Ariston, un passaggio tra cultura alta e quella pop, che ha suscitato non solo il sorriso, ma la rivendicazione orgogliosa «di una storia di cui ci vergogniamo», dice Paola Bisciglia, spiegando che la parola necessaria a comprendere alcune cose è proprio questa: la vergogna da cui vogliamo riscattarci.

    «Si ha l’impressione che i calabresi detestino la Calabria e invece la amano, ma se ne vergognano», continua la psicologa. Poi arriva Brunori, che con la sua autenticità parla a una platea nazionale raccontando della scirubetta, «che per noi è come una cosa intima, solo nostra, e lui lo fa sfidando e vincendo quel senso di pudore che noi abbiamo per le cose che consideriamo private e da non esporre, come il dialetto, l’inflessione cosentina che Dario ha disinvoltamente esibita, la perifericità dei luoghi. In sintesi, ha ridefinito in positivo i limiti».

    La psicologa avverte che tutto questo è avvenuto senza strategia, ma con assoluta autenticità e ha fatto scattare la dinamica dell’immedesimazione. Dario «è diventato uno di noi ed è forte la voglia di riconoscersi in lui». Brunori insomma ci dice che non dobbiamo nasconderci, che possiamo parlare di noi, di come siamo davvero, che possiamo rivendicare la nostra indolenza mediterranea, che il nostro ni sicca è espressione del pensiero meridiano fiero e alto. È repulsione infastidita dell’urgenza imposta dalla post modernità, noi che manco abbiamo avuto la modernità.

    Brunori a Sanremo

    Brunori Ipertesto, segno della contemporaneità

    «Lui ha una caratteristica tipica della contemporaneità: è un ipertesto – dice Olimpia Affuso – dove si collegano testi, codici culturali diversi, parole, immagini e anche tecnologie della narrazione differenti ma con un intento unitario. E questo oggi è la chiave del successo».
    Parini invece osserva il fenomeno da un punto di vista diverso. Per lui Brunori è espressione di una storia solida, capace di rappresentare «una cultura un poco blasé, disincantata, che potrebbe essere la cifra di una certa cosentinità colta, ironica, spesso antagonista, ma non certamente pensiero subalterno. Anzi, si tratta di una cultura forte». Da questo punto di vista il cantautore per Parini «rinverdisce un orgoglio che già c’era e che aveva le sue radici in una città che è stata – e, in parte, è ancora rispetto ad altre aree della regione – colta, moderna, intellettuale».

    La Pizzica e la Tarantella

    L’essere blasé però non aiuta a cambiare le cose: altrove la Pizzica è diventata identità culturale, mentre noi consideriamo la tarantella un ballo tamarro.
    È mancato fin qui il salto per capovolgere il paradigma. La politica non sembra interessata a una operazione di rivendicazione orgogliosa, tocca quindi alla cultura cercare di fare il passo.

    Il sociologo Franco cassano

    «In Puglia c’era un gioco di squadra tra Vendola e Franco Cassano, tra la visione  politica e le aule universitarie», aggiunge Olimpia Affuso, ricordando come Sergio Bisciglia, docente di Sociologia urbana, abbia sottolineato che lo sviluppo turistico della Puglia sia passato dalle università. Il confronto tra la Puglia di Vendola e la Calabria di Occhiuto sembra piuttosto audace ed è vero, come avverte Parini, che tra qualche tempo l’eco sanremese si sarà stemperato, «ma intanto abbiamo trovato un ambasciatore che ha nazionalizzato la Calabria».

    Brunori e la potenza della bellezza

    Di tutto questo adesso resta «la potenzialità politica della bellezza», come conclude Affuso e che è stata rappresentata dall’arte di Dario Brunori.
    Dobbiamo trovare l’intelligenza per trasformare questa bellezza in azione. Ma più di tutto ce la dobbiamo meritare.

     

  • Unical e I Calabresi: quando giornalismo e università lavorano insieme

    Unical e I Calabresi: quando giornalismo e università lavorano insieme

    «Tutto quel che è solido si dissolve nell’aria», avvisano Berman e, ben prima di lui, Marx. Non è una bella cosa che quelle quattro certezze cui proviamo da attaccarci siano anche esse destinate a svanire, ma questo è quanto succede. E dentro questi accadimenti, spesso tumultuosi, vogliamo stare per comprenderli e interpretare la complessità dei fatti.
    Per riuscirci ci siano attrezzati al meglio: il nostro giornale, I Calabresi, ha avviato una collaborazione con il Dipartimento di Scienze politiche e sociali dell’Unical. Una idea lungamente coltivata, poi diventata progetto e finalmente giunta a compimento grazie alla sensibilità del direttore del Dipartimento, Ercole Giap Parini e alla disponibilità dei docenti dei vari corsi di laurea.

    L’Unical e il nuovo percorso per I Calabresi

    Per I Calabresi è l’occasione per esplorare un nuovo sentiero, stavolta da percorrere insieme all’Unical, e nel corso di questo cammino comune vogliamo caratterizzarci come un giornale attento alle dinamiche sociali, all’osservazione dei fenomeni economici e politici, ai mutamenti dell’agire collettivo, seguendo la bussola della interdisciplinarità, che oggi appare il solo strumento in grado di offrire l’opportunità di cogliere le molte sfumature della realtà e la complessità dentro cui ci muoviamo.
    Di qui l’ambizione di avviare un dialogo con tutti gli ambiti di ricerca, sempre più necessari a fornire uno sguardo differente, eppure ineludibile al fine di governare gli eventi cogliendone il senso e la radice. Un impegno di ricerca che parte dai cubi del Dispes, ma vuole correre lungo tutto il Ponte Bucci, cercando di coniugare le Scienze sociali e politiche con le Stem, la sensibilità sociologica con la scommessa dell’IA, l’economia con i territori.

    La terza missione

    I fenomeni migratori, il mutamento della costruzione del consenso sociale, la difesa degli spazi di autodeterminazione personale e comunitaria, le forme della comunicazione nell’era digitale e della post verità, le relazioni possibili tra l’umano e il post umano, saranno alcuni degli argomenti cui ci piacerà rivolgere lo sguardo curioso e autorevole, perché basato sul lavoro di ricercatori e accademici di vaglia.
    In questo modo I Calabresi si candida a diventare spazio di confronto, luogo didattico, palestra di scrittura, estensione delle aule, strumento di divulgazione di iniziative, seminari e ricerche, provando a dare un contributo alla realizzazione della Terza missione dell’Unical.
    Perché solo il sapere condiviso è davvero potente e cambia i destini delle persone e dei luoghi.

  • Il patriarcato uccide, ma dirlo è ancora difficile

    Il patriarcato uccide, ma dirlo è ancora difficile

    L’aula è affollata, qualcuno si siede sui portaombrelli, alcuni rimangono in piedi, molti cercano di ascoltare dal corridoio. Ma il silenzio è totale. Il brusio della quotidianità ha lasciato spazio alle emozioni, difficili da esprimere, e alla voce pacata di Gino Cecchettin, il padre di Giulia, che in collegamento da Padova parla con gli studenti del Dispes in un incontro organizzato dallo stesso dipartimento. A guidare il dialogo è il docente di Relazioni internazionali Marco Clementi, che dà subito la parola al direttore del Dispes, Giap Parini e  poi alla  sociologa Giovanna Vingelli, Delegata Pari Opportunità e Diversità, ben presto subentrano i numerosi interventi, in un botta e risposta continuo fatto di riflessioni, ascolto reciproco e un forte carico emotivo.

    Un’aula piena di persone ed emozioni

    Tra gli studenti qualcuno si scusa per la voce tremante, o anche solo per aver posto una domanda. Ci si sente inopportuni, indelicati, si sente di non avere il diritto di chiedere niente a un uomo le cui sofferenze sono indescrivibili e che tuttavia offre tutta la sua disponibilità a questo dialogo intenso ed emozionante. Parlare è difficile, ma si prova a farlo lo stesso e dal confronto emergono riflessioni preziose. Tutto ha origine con Giulia, una ragazza di 22 anni la cui storia è diventata a noi tragicamente nota l’anno scorso, quando il suo ex ragazzo la uccise.

    La sua vita ci viene restituita oggi dalle parole amorevoli di suo padre, che la ricorda come una ragazza generosa, una fonte di gioia per i suoi cari. Gino racconta di aver imparato molto da lei. Forse è proprio nel ricordo della capacità di Giulia di riconoscere il lato bello delle cose, che lui trova la forza di definirsi una persona fortunata. Come può essere fortunato un uomo che ha perso sua figlia, poco dopo aver perso sua moglie? Lo spiega lui stesso. Dice: “ho vissuto 22 anni con Giulia”, un regalo che rende sopportabile vivere col dolore della sua perdita.

    Dal dolore la scelta di dare vita a una Fondazione

    Gino è un padre affranto ma anche un uomo dotato di forza e lucidità, è concreto, razionale, consapevole del problema collettivo della violenza di genere e desideroso di fare del bene. Il dolore, dice, lo accompagnerà sempre, ma rabbia e odio non vuole portarli con sé. Lo sguardo è proiettato verso il futuro. E la Fondazione Giulia Cecchettin, che come simbolo ha scelto uno dei disegni di Giulia, diventa quindi un modo per onorarne la memoria ma anche offrire sostegno alle vittime di violenza e portare avanti progetti di sensibilizzazione su tematiche di cui si parla troppo poco e spesso male. Su questo Gino è molto chiaro: per il dolore personale ha ricevuto sostegno da parte di tutti, dalle persone estranee alle cariche pubbliche, ma quando si è cercato di interrogarsi sul perché dell’accaduto è calato il silenzio. Parla di distacco istituzionale.

    La pericolosa illusione che il patriarcato sia finito

    “Empatizzano con la storia,” afferma “ma si ha difficoltà a condividerne le cause”. Nell’analisi del fenomeno a un certo punto la discussione si è fermata, forse perché, sostiene Gino, non esiste la reale volontà di mettere in discussione il proprio passato e l’attuale presente. Perché non illudiamoci, che il patriarcato sia finito non è altro che una lettura distorta della realtà a discapito dei fatti e delle persone che ne pagano le conseguenze ogni giorno, donne e uomini. Quando poi sono cariche istituzionali a sostenere che esso non esista, la situazione è grave, per non dire pericolosa.

    Lo stesso pericolo, nonché la stessa subdola negazione, si annida nella parola “mostro”. Affermare che uno stupratore sia un mostro afferma Gino, equivale a “delegare la responsabilità al singolo individuo”, mentre la violenza, soprattutto forse se violenza di genere, non è mai solo un atto personale, ma un fenomeno socioculturale. E bisogna affrontarlo in tutte le sue sfaccettature. Perché il sessismo non si conclude nei gesti, ma si costruisce e rigenera anche nelle forme di narrazione che descrivono la donna come vittima passiva e intrinsecamente colpevole. Persino le forme di prevenzione assumono connotati maschilisti, sottolinea una studentessa: si insegna alle donne come difendersi, ma non si è disposti a decostruire l’immaginario collettivo della figura e del potere maschile.

    Parlare ai ragazzi di oggi che saranno gli adulti di domani

    Da questo punto di vista, la Fondazione desidera impegnarsi per portare il dibattito all’interno delle scuole, assicura Gino. Una ragazza lì presente ne coglie l’importanza, sostenendo che è necessario parlare di violenza nelle università ma non sufficiente, perché “è già troppo tardi”. Azzarda poi l’ipotesi di un’educazione per adulti, mista alla preoccupazione per le voci autoritarie che minimizzano la questione di genere.

    Gino ha le idee chiare in proposito: i cambiamenti si mettono in atto lentamente e trasversalmente, attraverso la non violenza (che magari fa meno rumore, ma è la via più giusta ed efficace) e la tempestività: è necessario mobilitarsi da subito perché “i ragazzi di oggi sono gli adulti di domani”. E questo forse restituisce anche un po’ il senso di creare una fondazione. Non solo il desiderio e la necessità di ricordare una persona amata, ma anche e soprattutto la volontà di costruire una strada per le generazioni future, favorire processi di mutamento che si realizzeranno solo con il tempo. “Forse io non vedrò questo cambiamento, ma voi sì” conclude. L’atto ultimo di generosità, fare qualcosa per gli altri senza vederne mai i frutti.

    Mariaida Cicirelli

     

     

  • Oltre il culto delle immagini, voce e vita sociale al Dispes dell’Unical

    Oltre il culto delle immagini, voce e vita sociale al Dispes dell’Unical

    Viviamo in un mondo in cui comandano le immagini. E’ dal secolo scorso che le nostre vite sono impregnate di forme di comunicazione legate all’uso delle figure, la fotografia prima, poi il cinema e la televisione e infine i social. E la voce? Che fine ha fatto la voce? Probabilmente è da questa domanda che è partita la spinta che ha mosso Olimpia Affuso, docente di Sociologia presso il Dispes dell’Unical a cercare il ruolo e il senso della voce nella costruzione di relazioni sociali.

    Una ricerca che sin da subito è apparsa alla studiosa come ineludibilmente interdisciplinare, bisognosa cioè di sguardi multipli, di punti di vista diversi, in grado di cogliere le numerose forme della comunicazione parlata, ma anche del suo contrario, della comunicazione non verbale.

    L’iniziativa del Dispes dell’Unical

    Di qui l’organizzazione di un dibattito a più voci, per scandagliare e rivendicare quanto è fondante l’uso della parola nei legami sociali, ma pure quanto è forte la potenza del silenzio, che non è assenza di comunicazione. Del resto per coglierne l’essenzialità della voce basta andare indietro nella memoria, ai giorni della clausura, della pandemia che ci aveva obbligati a incontri di lavoro online, dove la massima preoccupazione era assicurarsi di essere uditi dagli altri partecipanti. Nella parole di Olimpia Affuso, che del dibattito è stata l’artefice, la lingua assume anche il ruolo di confine e di superamento del confine stesso, come confronto tra persone che parlano idiomi diversi, ma è anche strumento per manifestare emozioni, stati d’animo e perfino l’assenza della voce, il silenzio, è destinato a portare significati. E non basta, perché modulando la voce, cambiandone l’intonazione, abbiamo perfino il potere di mutare il significato stesso delle parole, quando l’uso del sarcasmo ne capovolge il senso.

     

    Ortega y Gasset e Marshall McLuahn

    Che il modo di osservare il ruolo sociale della voce fosse obbligatoriamente multiforme l’abbiamo già detto, del resto l’interdisciplinarità è sfida che sta molto a cuore a Giap Parini, che del Dispes è il direttore. Nessuno stupore dunque se è proprio lui a sottolineare come «la voce stia sul confine delle discipline” che assieme ne definiscono le sfumature e i sensi altrimenti destinati a sfuggire. Probabilmente l’intellettuale che maggiormente colleghiamo allo studio della comunicazione e dunque alla voce è McLuhan, che meglio di altri ha colto il passaggio dall’oralità della parola alla scrittura che è una forma di parola silenziosa e singolare. Parini nel suo intervento lo dice con efficacia, rinvenendo nelle pagine del sociologo canadese perfino una anticipazione dell’egemonia attuale dei social che McLuhan non ha potuto vedere. I social, infatti, sono l’estensione della lettura solitaria, della parola senza voce, una forma di esasperazione dell’individualismo appena stemperato dall’illusione della condivisione virtuale. La voce e il suo ruolo però non  sono argomento di studio solo delle scienze sociali, ma anche della Paleontologia, disciplina necessaria per capire come il linguaggio si sia sviluppato dalla necessità di comunicare quando le mani erano impegnate e a sostenere questa interpretazione fornita da Parini giunge Ortega y Gasset, che appunto afferma che “la voce è una forma del gesticolare”. L’intellettuale spagnolo, assai caro ai sociologi del Dispes e particolarmente a Parini stesso, rivela quel che già sappiamo senza averne piena consapevolezza e cioè che non c’è atto verbale che non sia ampiamente accompagnata dal corpo.

    Parlo, dunque gesticolo.

    Chi invece conosce bene l’inscindibilità del corpo dalla sua voce è Paolo Jedlowski, che prima iniziare il suo intervento chiede se può fare a meno del microfono, spiegando che “quando parlo gesticolo”. Lo si fa per potenziare il senso, rafforzarne il significato, il corpo segue la voce e le espressioni della faccia più di ogni altra cosa. Ma Jedlowski propone un altro aspetto della voce, quello di suscitare memoria, di sostenere i ricordi delle persone, ovviamente, quelle lontane, o che non ci sono più, ma pure dei tempi e dei luoghi. Il sociologo chiama in causa Joyce, che scrive nelle sue pagine l’opportunità “di mettere un grammofono nelle tombe”, per avere il ricordo della voce di chi manca. La voce dunque quale testimone della memoria, esattamente come lo sono le fotografie. La voce però continua ad esser anche altro, canzoni, per esempio, ed ecco apparire sullo schermo il duetto tra Nora Jones e Keith Richards in Love hurts, oppure film , come Paris Texas  di Wenders, in cui i protagonisti parlano senza vedersi, celati da uno specchio unidirezionale, ma riconoscendosi proprio dalla voce.

    La voce e la sua assenza nel cinema, nei documentari e nei fumetti

    Il cinema resta miniera per chi lavora sull’uso della parola, ed è Daniele Dottorini, sociologo e responsabile del corso di Laurea in Media e società digitale, a proporre nel dibattito un film difficile, eppure essenziale per comprendere la dialettica voce – silenzio.  Il Grande silenzio è il film diretto dal tedesco Groning,   che racconta la quotidianità in un monastero dove i monaci hanno fatto il voto del silenzio e che nelle parole di Dottorini è “potente e disturbante”. Quello di Groning, spiega ancora Dottorini, è più propriamente un documentario, dove l’assenza della parola assorbe interamente l’attenzione.

    Ma c’è anche una produzione documentaristica che fa ampio uso della voce fuori campo e a spiegarcene il ruolo e le dinamiche è stata Alma Mileto, ricercatrice impegnata, tra e altre cose, sul ruolo della voce narrante nel cinema, che ha spiegato come la voce non serva solo a capire le immagini, ma a suscitare pathos. C’è poi il mondo del fumetto e lì la voce manca, esattamente come nella letteratura, eppure proprio come nei romanzi, ha spiegato Sergio Brancato, sociologo dei processi comunicativi, la voce e anche i suoni sono nella mente del lettore, che legge le parole circoscritte nella nuvoletta che sovrasta i personaggi e dà loro tono, senso, in altre parole il suono della vita.

     

     

     

  • “Salute, società e territorio”, parte il think tank targato Unical

    “Salute, società e territorio”, parte il think tank targato Unical

    Dalla teoria alla prassi, si sarebbe detto una volta. Dopo le recenti riflessioni attuate tra i Cubi dell’Unical sulla necessità di andare oltre i confini delle scienze, prende corpo il primo progetto di natura potentemente interdisciplinare e rivolge la propria attenzione verso ambiti e argomenti che possono essere osservati appunto da prospettive differenti, eppure utilmente convergenti. Nasce infatti un nuovo centro studi che si occuperà di Salute, società e territorio. Un think tank cui partecipano nove dipartimenti universitari: Scienze politiche, Ingegneria e Informatica, Ingegneria meccanica, Economia e Statistica, Farmacia Scienze dalla Salute, Matematica e Informatica, Culture Educazione e Società, Ingegneria dell’Ambiente e Biologia.

    vincenzo-carrieri-a-capo-nuovo-centro-studi-unical
    La presentazione del centro studi oggi a Cosenza

    L’economista Vincenzo Carrieri alla guida del think tank

    A guidare questa nutrita pattuglia è il professor Vincenzo Carrieri, economista del Dispes, fortemente convinto della natura eminentemente sociale della disciplina che insegna. Si tratta di un progetto che ha visto i primi passi un anno e mezzo fa, «sostenuto dall’interesse del Rettore Leone», spiega Carrieri.

    La Casa delle culture, nel centro storico, a rappresentare la vocazione verso il territorio

    La presentazione del progetto dentro la Casa della Culture, nel cuore della città vecchia, parte nobile eppure abbandonata, è un modo per rappresentare questo impegno sociale del nuovo centro studi «che è caratterizzato da una marcata vocazione territoriale». Tale vocazione si tradurrà in studi applicati al contesto sociale ed economico e in termini di restituzione al territorio stesso degli esiti delle ricerche che vedranno la contaminazione interdisciplinare delle scienze “dure” con quelle propriamente sociali. I temi cui sarà rivolta l’attenzione dei ricercatori saranno quelli della salute – questione oggi maggiormente attuale dopo l’approvazione dell’autonomia differenziata – che non deve essere separata dal contesto territoriale.

    Indagare la relazione tra salute e ambiente sociale

    Tutto questo significa indagare i rapporti tra la salute dei cittadini e l’ambiente sociale in cui vivono, cogliere i nessi tra benessere individuale e di comunità. A tale scopo verranno messe in campo le molteplici e differenti competenze tipiche dell’interdisciplinarità che caratterizzano i partecipanti al gruppo di studi. Il lavoro, spiega subito Carrieri, non si rivelerà facile, ma è necessario. Scarseggiano o mancano del tutto infatti dati statistici che riguardano la Calabria, mentre altrove le informazioni relative al rapporto tra Sanità e salute sociale esistono e in una certa misura questo vuoto di informazioni è una delle facce che rivela il mancato sviluppo di un’area territoriale.

    Promuovere politiche pubbliche basate sulla ricerca

    Da questo punto di vista i lavori del nuovo centro studi Salute, società e territorio potrebbero avere una ricaduta reale in termini di indirizzo, «promuovendo l’adozione di politiche pubbliche basate sulla evidenza scientifica». In Calabria sarebbe una novità, sulla quale tuttavia è prudente non nutrire eccessive illusioni.

  • Un nuovo centro studi per l’Unical

    Un nuovo centro studi per l’Unical

    Martedì 25 giugno alle ore 17, presso la Casa delle Culture di Cosenza, è in programma una conferenza stampa di presentazione del nuovo Centro Studi su Salute, Società e Territorio dell’Università della Calabria. Il Centro rappresenterà la più grande struttura di ricerca interdipartimentale ospitata dall’ateneo, coinvolgendo nove dei suoi dipartimenti: il dipartimento di scienze politiche e sociali (capofila), il dipartimento di ingegneria informatica, modellistica, elettronica e sistemistica; il dipartimento di ingegneria meccanica, energetica e gestionale; il dipartimento di economia, statistica e finanza; il dipartimento di farmacia e scienze della salute e della nutrizione; il dipartimento di matematica e informatica; il dipartimento di culture, educazione e società; il dipartimento di ingegneria dell’ambiente; il dipartimento di biologia, ecologia e scienze della terra. Nel dibattito pubblico sulla Calabria, ritorna frequentemente il tema della sanità. Salute e sanità, tuttavia, non sono sinonimi. L’obiettivo del CST è quello di riflettere e produrre ricerca attorno al tema della salute, intesa come stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non semplicemente l’assenza di malattia e di infermità, come ricorda l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Ma cosa determina questo benessere? Le sue determinanti sono molteplici: biologiche, genetiche, ma anche sociali, economiche ed ambientali. Da questa prospettiva, dunque, per rispondere al bisogno di salute ed estendere il benessere sociale, non è sufficiente ragionare solo in termini di offerta di posti letto nelle strutture ospedaliere o di prestazioni specialistiche. Le diverse competenze scientifiche che animano il Centro lavoreranno esattamente in questa direzione: interrogarsi su come intervenire per poter migliorare lo stato di salute e benessere individuale e di comunità e promuovere la cultura dell’adozione di politiche pubbliche basate sulle evidenze scientifiche. In questo ambizioso obiettivo confluiranno due delle tre missioni che ha l’Unical come ogni ateneo: produrre ricerca e restituire alla cittadinanza i frutti del processo scientifico diffondendo le conoscenze acquisite attorno ai temi studiati. La conferenza stampa inaugurale sarà l’occasione per avviare il lavoro divulgativo del CST presentando i risultati di studi recenti, in cui si utilizzano dati sulla Calabria elaborati dai componenti del centro per esplorare tematiche di grande rilevanza per la regione. Verranno presentati i risultati di ricerche circa gli effetti delle tecnologie sanitarie, i servizi digitali e l’elaborazione di dati complessi per la diagnosi e la cura delle malattie, il ruolo della nutrizione e degli stili di vita sulla salute fisica e la longevità, i servizi di salute mentale in Calabria e gli studi sul benessere psicologico di bambini ed adulti, e studi sugli effetti dei disastri ambientali sulla salute della popolazione calabrese e sugli effetti delle politiche territoriali sul benessere sociale delle comunità.

  • Interdisciplinarità, ecco l’Unical che fa quadrato

    Interdisciplinarità, ecco l’Unical che fa quadrato

    «Scienziate e scienziati di ogni dove, prendete posto», esordiscono Sonia Floriani e Vincenzo Carrieri nel dare il via al secondo appuntamento organizzato dal Dispes dell’Unical (il primo incontro si era svolto Giovedì 16 Maggio) sul tema della interdisciplinarità. L’ “ogni dove” cui fanno riferimento i due docenti riguarda proprio i mondi accademici diversi da cui provengono i relatori che hanno tracciato il percorso di questo secondo viaggio attraverso i confini tra le scienze.

    Alan Turing pioniere dell’interdisciplinarità

    Una esplorazione avventurosa, visto che ci porta fino a Turing, che tutti conoscono per aver contribuito in modo determinante a decifrare codici militari nel corso della Seconda guerra mondiale. Eppure lo scienziato inglese nelle parole di Gianluigi Greco, direttore del Dipartimento di Matematica e Informatica, diventa subito una specie di sintesi di una completa forma di interdisciplinarità. A dare la prova di tale “pluralità” di sguardi è la lapide di Turing, che ricorda come lui sia stato un matematico, il padre della “Computer science”, un appassionato di Logica e alla fine purtroppo anche vittima del pregiudizio e dunque suo malgrado testimone di uno dei fenomeni massimamente studiati dalle Scienze sociali. Siamo certi che quest’ultimo aspetto Turing se lo sarebbe volentieri evitato, ma il fatto che la sua figura sia stata riscattata dall’immeritato oblio cui era stata relegata è il segno di come le società mutino. Il ragionamento interdisciplinare proposto da Greco porta Turing ad avere buoni compagni di viaggio, da Pitagora a Chomsky (in questi giorni vittima di una fake sulla sua morte), fino a Godel: numeri, logica, linguaggi, significati. Cose apparentemente separate e invece vicinissime, se si ha il coraggio di superare le iperspecializzazioni disciplinari.

    Le sinergie già in campo tra Ematologia, Farmacia e Informatica

    Greco però da scienziato “duro” resta aderente ai fatti e racconta di come l’interdisciplinarità possa avere molte facce, forme differenti di collaborazione tra ambiti di ricerca e cita esempi concreti, come la sinergia tra il mondo dell’Informatica, la facoltà di Farmacia e il reparto di Ematologia dell’ospedale di Cosenza. Ma questo è il presente, il tempo che deve venire è proiettato sullo schermo, quando Greco manda il trailer di un film fatto assieme da registi e informatici utilizzando l’AI e che affronta l’ipotesi che un giorno le macchine si ribellino all’uomo.

    L’uomo tra biologia, genetica e influenze sociali

    A proporre un tema complesso, eppure necessario sono arrivate le parole del filosofo Felice Cimatti, raccontando l’esperienza scientifica di Giorgio Prodi, che da medico ha indagato l’origine per così dire “biologica” dei significati. Un tema che mischia l’antropologia fisica, la chimica e la semantica, cercando di capire se il significato che noi attribuiamo alle cose tramite il linguaggio o i segni, sia solo il prodotto di sedimentazioni culturali oppure se abbia anche basi appunto biologiche. Cimatti, attraverso gli studi di Prodi , propone di cercare anche tramite uno sguardo medico- biologico, l’origine di fenomeni che crediamo solo sociali. Del resto che l’ambiente, inteso come la somma delle condizioni sociali e naturali in cui agiamo, influenzi le nostre vite è ben noto, anche sul piano propriamente genetico. A spiegare come il mondo e il modo in cui viviamo siano importanti è Giuseppe Passarino, genetista e Direttore del Dipartimento di Biologia, Ecologia e Scienze della Terra. Lo scienziato ha spiegato come l’essere umano sia una cosa complessa, determinata certamente dal Dna e da fattori ereditari e tuttavia un ruolo importante lo hanno svolto il caso e anche i modi di costruire relazioni sociali. Nell’intervento di Passarino  la spiegazione rigorosa dell’origine della vita si sovrappone a punti di osservazioni tipicamente legati alle esperienze della ricerca sociale, in particolare al presente distopico specifico del capitalismo della sorveglianza, che con algoritmi previsionali può trasformare in merce le nostre caratteristiche genetiche. E qui entra in gioco l’antica questione circa la presunta neutralità delle scienze e delle tecnologie. 

    Le Tecnoscienze non sono neutrali

    Giuseppina Pellegrino, sociologa e studiosa delle comunicazioni non sta a girarci troppo attorno: non c’è neutralità, le tecnoscienze hanno una loro etica e un discreto fardello di responsabilità nel costruire il mondo in cui abitiamo. La sociologa va oltre, perché oggi tentare di capire le cose che ci accadono attorno guardando solo i comportamenti degli umani non basta, occorre fare attenzione ai “non umani”, all’artificiale, alle macchine perché contribuiscono nel modificare il mondo, condizionando le relazioni tra uomini, gli artefatti e il contesto. Di qui la necessità di una interdisciplinarità che superi la tentazione dei primati tra le scienze e che sia capace di una reale ibridazione.  Questi scenari che prospettano l’andare oltre i limiti delle discipline hanno trovato parole – ma non solo –  tra i Cubi del ponte Bucci e il Dipartimento di Scienze sociali e Politiche si candida come punto di contatto tra i molti ambiti di ricerca che tra quei Cubi si realizzano. Un compito non facile né scontato, ma necessario, perché come ha spiegato il Direttore del Dispes, Giap Parini, dalla cui proposta è partito questo percorso, il concetto di confine merita di ritrovare la sua origine etimologica di spazio condiviso.

    L’interdisciplinarità come comprensione dell’altro

    Non dunque una separazione, ma un punto di coniugazione, uno spazio di saperi partecipati e più ampi, «una comprensione dello sguardo dell’altro». Un progetto ambizioso che può trasformarsi in una opportunità e che può essere colta solo da una università pubblica. L’Unical è pronta a percorrere questo sentiero con la consapevolezza necessaria alle cose nuove e audaci.

  • Onda nera e astensionismo, l’Unical interroga il voto

    Onda nera e astensionismo, l’Unical interroga il voto

    C’è un fantasma che si aggira per l’Italia e pure in Europa. Dovrebbe spaventare parecchio, ma nessuno pare curarsene davvero. Tranquilli, non è il comunismo, si chiama astensionismo. L’allarme emerge dall’ormai consueto appuntamento con l’analisi del voto che viene puntuale dopo le elezioni dalle aule del Dipartimento di Scienze politiche e Sociali dell’Unical.
    Si tratta di un incontro ormai consolidato, che fornisce una interpretazione dei flussi elettorali, della mobilità del voto, di chi ha vinto o perso e perché. Anche questa volta a presentare il quadro delle cose sono stati sociologi e politologi, che assieme hanno fornito uno sguardo su come sono andate le cose, con particolare attenzione alla Calabria.

    onda-nera-e-astensionismo-unical-interroga-il-voto
    L’analisi del voto all’Unical. Da sinistra i docenti del dipartimento di Sociologia Giorgio Giraudo, Roberto De Luca, Antonello Costabile, Valeria Tarditi e Piero Fantozzi

    Le Europee 2024 secondo l’Unical

    I numeri parlano, ma serve saperli ascoltare. Per farlo occorre sensibilità sociologica e dimestichezza con i mutamenti sociali, ma poi è necessario anche il coraggio di dire cose che non consolano affatto. Del resto Antonello Costabile, sociologo della politica, lo dice quasi in premessa: «Se cercate consolazione non siete nel posto giusto, qui facciamo altro». Infatti il docente pone subito sul piatto la questione, «perché di astensionismo si parla per tre giorni, poi basta», invece è il solo punto su cui varrebbe la pena di soffermarsi.
    La ragione per la quale la politica è distratta è semplice e inquietante al tempo stesso. Si chiama “razionalità limitata” ed è un meccanismo banale che si basa sull’opportunismo politico. I leader infatti pensano che se si può vincere mobilitando una parte residuale di elettorato, perché mai impegnarsi nel cercare di coinvolgere l’altra parte della popolazione e rischiare di perdere? Il ragionamento non fa una piega, ma nasconde un rischio, quello del dileguarsi della legittimità popolare.

    Un passaggio d’epoca

    Costabile è impietoso e spiega come per la prima volta nella storia di questo Paese sia andato alle urne meno della metà degli elettori. Una contrazione che, spiegano dall’Unical, per quanto riguarda le Europee 2024 è impressionante. «Noi eravamo il Paese più europeista, nel 79 votò l’85% dell’elettorato, nel corso di quaranta anni siamo arrivati al 49%». Gli altri Paesi europei hanno pure conosciuto contrazioni della partecipazione, ma di grado inferiore e altalenante. Questa separazione dal voto, particolarmente evidente in Italia, porta un rischio grave, perché la partecipazione è l’architettura della democrazia e venendo meno la prima, si indebolisce la seconda.

    Siamo davanti a «un vero passaggio d’epoca» e dopo l’estinzione dei partiti di massa che avevano tenuto assieme un Paese che è sempre stato duale, oggi sembra venire a mancare un collante sociale e nazionale. Il futuro che ci aspetta non sembra essere rassicurante, anche perché «il 49% dei votanti è un dato che tiene conto del fatto che si sono svolte anche elezioni di tipo amministrativo, normalmente assai sentite», quindi, avvisa il docente, il dato vero sarebbe stato anche inferiore.

    Vincono i leader e i catalizzatori di consenso

    Nello specifico i flussi elettorali delle Europee 2024 vengono illustrati da Roberto De Luca, docente di Sociologia dei fenomeni politici all’Unical, che spiega come Forza Italia sia stata premiata in Calabria sulla spinta del presidente della Regione, mentre Alleanza Verdi e Sinistra si siano avvantaggiati dalla figura carismatica di Mimmo Lucano. E’ il potere della capacità dei singoli di attrarre consensi, come accade nel piccolo ma significativo paesello di San Pietro in Amantea, dove il sindaco che prima era leghista ora è meloniano, trascina fino al 50% per cento dei votanti verso Fratelli d’Italia.

    Dall’Italia all’Europa, l’avanzata della “zona nera”

    Da San Pietro fino a Strasburgo, lo sguardo si allarga ed è il docente di Organizzazione politica europea Giorgio Giraudo a spiegarci che oltre alla “zona nera”, rappresentata dalle destre emergenti, c’è complessivamente il rischio di uno spostamento conservatore  dell’equilibrio politico e il docente ipotizza che il Ppe faccia propria una vecchia abitudine tutta italiana, quella «della politica dei due forni, appoggiandosi, a seconda dei casi, un po’ al progressisti e un po’ agli ultraconservatori». In ogni caso si profila una politica europea molto condizionata dai vari e diversi interessi nazionalistici.

    Europee 2024, le conclusioni dell’Unical

    Dentro questo quadro, la chiave strategica per acquisire il consenso è stata la comunicazione, tutta giocata sulla personalizzazione delle leadership, come ha spiegato Valeria Tarditi, sociologa della comunicazione politica. La destra, secondo la docente, ha puntato su parole che sottolineavano l’antagonismo tra l’Europa dei burocrati e quella dei popoli, mentre la sinistra ha abbandonato l’euro entusiasmo, seducendo così una parte dell’elettorato più radicale.

    La società separata dalla politica

    Su tutto resta pesante come un macigno la considerazione finale di Piero Fantozzi, storica voce della sociologia dell’Unical, che vede come lo «sfilacciamento del legame tra società e politica» sia innegabile e  pure lo siano le spinte all’utilitarismo contro il senso di solidarismo.

  • Con segni e parole, il racconto di un tempo vissuto… “In Bilico”

    Con segni e parole, il racconto di un tempo vissuto… “In Bilico”

    Il potere dei segni e la potenza delle parole. Se coniugate, queste due cose diventano capaci di raccontare storie, stati d’animo, persone e momenti. Insomma, la vita stessa.
    Si corre il rischio di scoprire che il senso profondo di questi tempi è lo stare in “bilico”, come con spietata precisione dice il titolo del libro di Aldo Presta, designer e progettista della comunicazione, e Silvia Vizzardelli, docente di Estetica presso l’Unical, edito da LetteraVentidue.

    In bilico tra i disegni di Presta e le parole di Vizzardelli

    Restiamo sospesi in attesa di eventi, ma più di tutto in allarme, perché questo presente che viviamo e il futuro che si annuncia non ci piacciono per nulla. Questa è la suggestione che viene dai disegni di Presta, tratti semplici eppure densi di significati, capaci di evocare la sospensione, l’attesa, i desideri incompiuti eppure ancora tenacemente coltivati.
    Le parole che sceglie Vizzardelli invece ci introducono in un viaggio attraverso Barthes, Derrida, Foucault. Disegni che danno forma a pensieri, parole scritte che offrono un modo per impadronirsene.  Entrambi i linguaggi vengono a dirci che se il presente non ci aggrada e il tempo che si annuncia ci spaventa almeno un poco allora ci restano poche opportunità: scappare via oppure affrontare i mostri.

    La copertina del libro di Presta e Vizzardelli

    Il difficile equilibrio degli acrobati

    Il sentirsi in “bilico”, come coraggiosi acrobati, di cui parla il libro è forse anche questo: il sentire forte la tentazione di mollare ogni cosa, ma rimanere lo stesso, per tigna, per tenacia, perché è giusto contrastare il declino di una società di cui per forza siamo parte. I disegni di Presta, accompagnati dalle parole di Vizzardelli, raccontano questo: il sentirsi fuori posto in un mondo in cui pare che l’egemonia culturale, come l’avrebbe chiamata il vecchio sardo, sia rappresentata dal pensiero mancato, dall’arretramento delle idee, dalla solitudine nella folla, dalla povertà nell’abbondanza, ma forse soprattutto da una attesa insoddisfatta.
    Solo a un distratto potrebbe sfuggire il senso politico che si disvela pagina dopo pagina, rivelando “l’inappartenenza” ad un mondo fatto ad ogni costo di identità forzate, di certezze inviolabili, di elusione della complessità, di separazioni tra il “noi” e gli “altri”, di mancanza di senso di solidarietà, di progetti condivisi, di comunità.

    Vivere come isole distanti

    I temi sono la dissoluzione della politica come antica pratica collettiva, l’assenza di senso, la perdita dell’idea di bene comune, le domande mancate, la guerra e il clima, il vivere come isole distanti. Il mondo che si palesa attraverso i segni e le parole degli autori è un universo lontano dai libri che abbiamo amato leggere, diverso dal mondo che consideriamo giusto. Per questo gli autori e non solo loro restano, appunto, in bilico, sospesi tra l’impegno cui sono/siamo chiamati e la rinuncia che ci tenta. Stanchi disertori di questo tempo carico di menzogna, ma anche soldatini coraggiosi ancora nella trincea della costruzione di un mondo diverso.
    È tempo di scegliere, sapendo però che il destino di alcuni è quello di essere sempre fuori posto.