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  • Unical, 5 borse di studio per studenti palestinesi

    Unical, 5 borse di studio per studenti palestinesi

    Da oggi i giovani palestinesi possono candidarsi a UnicalPass – Unical for Palestinian Students Scholarships, un programma attivato dall’Università della Calabria che offre cinque borse di studio finalizzate alla frequenza dei corsi di laurea magistrale internazionali dell’Ateneo per l’anno accademico 2025/2026.

    UnicalPass nasce come gesto concreto di solidarietà e cooperazione, con l’obiettivo di promuovere il diritto allo studio, l’accesso all’istruzione superiore e la crescita personale in un contesto di dialogo interculturale e di integrazione. Grazie a questo programma, l’Università della Calabria rafforza la propria vocazione internazionale, caratterizzandosi sempre più come luogo di incontro e responsabilità sociale.

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    Le parole del rettore Greco

    «Siamo consapevoli delle difficoltà che accompagneranno questa iniziativa, in particolare in relazione alla necessità di attivare corridoi umanitari per l’effettivo arrivo in Calabria di studentesse e studenti palestinesi. Riteniamo però essenziale offrire il nostro contributo con responsabilità e generosità» – afferma il rettore dell’Università della Calabria, Gianluigi Greco. «Crediamo che anche un piccolo gesto possa fare una grande differenza: non è solo un sostegno economico, ma un investimento sociale e culturale. Le storie di libertà e coraggio delle studentesse e degli studenti palestinesi ci ricordano quanto l’istruzione superiore sia talvolta anche un privilegio, un potente strumento di emancipazione, di dialogo e speranza. Per noi è un atto di responsabilità morale sostenere queste giovani vite, contribuire a costruire ponti di conoscenza e ad aprire opportunità reali di studio e futuro».

    Unical, borse di studio per studenti residenti nei territorio palestinesi

    Le cinque borse di studio sono rivolte a candidati residenti nei territori palestinesi, che intendano iscriversi a uno dei corsi di laurea magistrale internazionali attivi nelle aree Ingegneria e Tecnologia, Scienze della Salute, Scienze e Socio-Economico.

    Ogni borsa prevede un sostegno complessivo del valore di 12.000 euro annui, che comprende l’esenzione totale dalle tasse universitarie, vitto e alloggio gratuiti, la copertura sanitaria, le spese di viaggio, un corso gratuito di lingua e cultura italiana e un contributo personale di 7.500 euro per anno accademico. Si tratta di un aiuto concreto e completo, che accompagna gli studenti in tutte le fasi del loro percorso formativo e di integrazione nella vita universitaria.

    Le parole della professoressa Loprieno

    «Questo programma rappresenta un primo, importante segnale dell’attenzione che l’Università della Calabria riserva alle studentesse e agli studenti che arrivano da contesti di guerra» – afferma Donatella Loprieno, Delegata per l’Accesso e il sostegno degli studenti rifugiati. «Offrire loro un’opportunità concreta di studio significa riconoscere il diritto all’istruzione e sostenere chi, nonostante condizioni difficili, continua a credere nella forza della conoscenza».

    Le candidature dovranno essere presentate via email, senza alcun costo di iscrizione, dal 14 al 21 novembre 2025. La graduatoria finale sarà pubblicata il 24 novembre 2025. I candidati selezionati dovranno poi richiedere il visto di studio entro il 30 novembre 2025 e completare l’immatricolazione entro il 28 febbraio 2026.

    Per proporre la propria candidatura: refugee@unical.it. Maggiori informazioni sui requisiti di partecipazione sono consultabili nella call UnicalPass in allegato.

  • Telesio e il mondo magico ed ermetico (VIDEO)

    Telesio e il mondo magico ed ermetico (VIDEO)

    Bernardino Telesio da Cosenza è uno dei fari del pensiero filosofico. Francesco Bacone, l’autore del Novum Organum, pensava fosse il primo dei moderni per la sua capacità di superare frontiere e barriere. A spiegare il cammino del più illustre dei cosentini, seppure mai amato davvero, è stato il professore Roberto Bondì, ordinario di Storia della Filosofia all’Università della Calabria. Bondì ha aperto la Biennale di Filosofia a Cosenza in uno dei luoghi simbolo della cultura e della memoria pubblica cittadina, l’Archivio di Stato adiacente alla Chiesa di San Francesco di Paola. Tra libri antichi e pezzi importanti di storia, Bondì ha dialogato con i ragazzi delle scuole superiori.

    Bernardino Telesio ci ha insegnato che per capire noi stessi e il mondo che ci circonda possiamo fare riferimento a principi che sono solo naturali. Bondì ha spiegato anche il rapporto tra l’autore del De Rereum Natura iuxta propria principia e tutta la tradizione magica ed ermetica. Da una parte abbiamo continuità, dall’altra profonda rottura; soprattutto nella concezione democratica del sapere in Telesio che non poteva in alcuno modo condividere l’impostazione elitaria e iniziatica delle correnti esoteriche. Una rottura nella continuità. Perché non esiste mai una divisione totalizzante tra le idee ma un mescolamento che produce novità, superamenti, innovazioni, fratture.

  • Paolo Virno e noi del Cubo 18 C

    Paolo Virno e noi del Cubo 18 C

    «Ci vediamo tra due sigarette». Quelle che Paolo Virno avrebbe fumato nell’intervallo tra la prima e la seconda ora di lezione all’Università della Calabria. Il prof ci ha lasciati a 73 anni. Ricordo bene la forza del suo insegnamento e quei pomeriggi passati ad ascoltarlo e prendere appunti seduto tra i banchi del cubo 28C. Ho fatto parte pure io della cantera di FSCC (Filosofia e scienze delle comunicazione e delle conoscenza) un po’ di anni fa, il nostro cubo di riferimento era il 18 C.

    A distanza di tempo rileggo quegli appunti e trovo sempre quella circolarità e quella quadratura delle sue lezioni, simili a certe partiture geometriche di Bach. Ah, Bach, Virno lo chiama in causa quando parla dell’attività senza opera (autotelica) di Aristotele nelle mani del pianista “artista esecutore” Glenn Gould, quello delle Variazioni Goldberg. Il prof poi spiegava l’altra faccia di questa medaglia, la creatività che cambia le regole (Chomsky), l’azione trasformativa rintracciata nel Saggio sul motto di spirito di Freud.

    PAOLO VIRNO, IL VOCABOLARIO DELLA “MOLTITUDINE”

    Virno aveva una potenza intellettuale notevole. Tutto compresso in quel gigante magro con il viso scavato e gli occhi azzurri, lo sguardo malinconico di uno che ne ha viste tante; troppe. Compresa la militanza politica in Potere operaio, le accuse, il carcere e poi l’assoluzione. Ha condiviso la voglia di leggere nelle contraddizioni del capitalismo con autori, alcuni anche suoi amici, come Toni Negri. Lo ha fatto cogliendo i fiori di pensatori fuori dagli schemi come Baruk Spinoza e in quella sua “moltitudine”, parola con dentro un mondo che ha alimentato il vocabolario del Movimento. Da leggere, tra i suoi libri, proprio “Grammatica della moltitudine” (DeriveApprodi 2014).

    I PARADOSSI DI PAOLO VIRNO

    Inconfondibile quel suo accartocciare la mano, quasi volesse trattenere i concetti. Ha lasciato una traccia importante all’Università della Calabria per poi passare all’Università Roma Tre. Amante di paradossi (in greco parà-doxa cioè contro l’opinione comune) – spiegati da Zenone a Russell -, non fu da meno quando un giorno iniziò un suo corso con una delle sue frasi memorabili: «Parleremo di un Marx anti-marxista». Noi tutti spiazzati, ci guardavamo disorientati. Poi capimmo il perché. Eravamo abituati al materialismo dialettico, ma ci eravamo persi il gran finale dell’autore dei “Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica”.

    Scoprimmo con Virno che Marx aveva intuito perfettamente cosa sarebbe successo a ridosso dei nostri anni: il Capitale va oltre la tipica e violenta aggressione al lavoro, salario, risparmio. Il suo obiettivo più ambizioso e subdolo resta la natura umana, la creatività. E la natura umana è quella che i greci chiamavano logos, pensiero e linguaggio. Eccolo, il linguaggio azzannato dove Virno incollava il nuovo fordismo dei call center. Io le ricordo ancora quelle lezioni: dal Frammento sulle macchine (che già a evocarlo sembra esserci una sorta di mistica) alla dimensione transindividuale, al General intellect.
    Virno non si è mai sottratto a dare il suo contributo. Nei suoi libri, nelle conferenze, nelle pagine scritte per Il Manifesto dove di tanto in tanto rincontravo le sue parole. Oggi quelle parole mancheranno un po’ a tutti noi del cubo 18 C.

    Alfonso Bombini

  • Catasti e clientelismi, la Calabria di Gioacchino Murat è adesso

    Catasti e clientelismi, la Calabria di Gioacchino Murat è adesso

    Mezzo secolo fa, Umberto Caldora si spegneva nelle residenze dell’Università della Calabria, l’ateneo che aveva contribuito a fondare e che lo aveva appena nominato ordinario di Storia Moderna. La sua morte interrompeva un percorso intellettuale che, a partire dagli archivi napoletani, aveva saputo trasformare la polvere dei dispacci in una mappa vivente delle società rurali. Il lascito più denso di questo metodo è “La Calabria nel 1811. Le relazioni della statistica murattiana”, (originariamente pubblicato negli anni ’60; ed. definitiva a cura del Centro Editoriale e Librario dell’Università della Calabria, 1995, ISBN 978-8886067232), un volume che è un’operazione di antropologia storica ante litteram.

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    Umberto Caldora, storico meridionalista, tra i primi docenti dell’Unical

    La “Statistica murattiana”

    Nel 1811 Gioacchino Murat, cognato di Napoleone e re di Napoli dal 1808, ordina una “statistique générale” del regno meridionale. Lo strumento con cui l’Impero intende tradurre il territorio in numeri, rendendolo leggibile e quindi riformabile. In Calabria, la circolare del 15 marzo 1811 arriva ai sindaci dei 405 comuni della provincia attraverso i prefetti di Cosenza, Catanzaro e Crotone. Il questionario è lungo 37 punti: popolazione per sesso ed età, bestiame, colture, strade, scuole, ospedali, debiti pubblici, usi civici, consuetudini matrimoniali.

    Caldora non si limita a trascrivere le 1.200 pagine manoscritte conservate nell’Archivio di Stato di Napoli (Fondo Intendenza, buste 1811-1813). Le confronta con i verbali delle sottocommissioni provinciali, le lettere di accompagnamento dei sindaci, le annotazioni marginali dei funzionari francesi. Ne emerge un testo ibrido dove da un lato si nota il linguaggio amministrativo di Parigi, dall’altro la voce filtrata delle comunità, spesso reticente o strategica.

    La “fotografia” della Calabria

    La Calabria del 1811 conta 498.732 abitanti (dato medio tra le tre province), con una densità di 33 ab./km², concentrata lungo le valli del Crati e del Savuto. Caldora evidenzia la struttura piramidale delle famiglie: nuclei di 7-9 persone, con alta natalità (42‰) compensata da mortalità infantile del 28%.

    Un caso paradigmatico è il comune di Acri (Cosenza), dove il sindaco don Giuseppe Salfi dichiara 11.214 anime, ma Caldora scopre che il numero è gonfiato per ottenere più esenzioni dalla leva. Confrontando i registri parrocchiali conservati nella curia vescovile, l’autore riduce la stima a 10.680, rivelando una pratica diffusa di “famiglie fittizie” create per eludere la coscrizione. Qui la statistica diventa etnografia: il censimento non registra solo corpi, ma strategie di sopravvivenza parentale.

    Il 78% della superficie è montagna o collina; solo il 12% è seminativo. La relazione di “Castiglione Cosentino descrive 1.200 ettari di uliveti, ma Caldora nota che i sindaci omettono sistematicamente i terreni demaniali usurpati. Attraverso le denunce al tribunale di Cosenza, ricostruisce la mappa delle “difese” (recinti abusivi) che riducono la transumanza del Pollino.

    Lo studio delle forme di economia

    Un altro dato: la produzione di seta greggia è di 42.000 kg annui, concentrata nelle mani di 180 famiglie di commercianti ebrei a Rossano. Caldora usa le bollette doganali per tracciare la filiera fino ai mercati di Lione, mostrando come l’occupazione francese trasformi una risorsa locale in merce imperiale.

    Le donne sono il 51% della popolazione attiva nei campi, ma compaiono solo nei capitoli “mortalità” e “matrimoni”. Caldora integra le relazioni con i processi per bigamia e abbandono di coniugi: nel 1811 si contano 42 casi a Catanzaro, tutti legati alla leva maschile. Emerge un quadro di “resistenza domestica”: donne che falsificano certificati di vedovanza per riscattare i fratelli, o che gestiscono il contrabbando di sale lungo il Neto. La statistica murattiana, pensata per razionalizzare, diventa involontariamente archivio di pratiche subalterne.

    A Caldora è stata intitolata una delle aule architettonicamente più rappresentative dell’Unical

    E dei mutamenti sociali

    L’edizione del 1995 è arricchita da “cinque appendici”. Una tabella sinottica dei 405 comuni con variazioni demografiche 1806-1811; un indice dei toponimi con varianti dialettali; un glossario di termini amministrativi francesi tradotti in calabrese;  una serie di carte tematiche (riprodotto da Caldora su lucidi negli anni ’70); un repertorio delle fonti secondarie (oltre 120 titoli).

    Ogni relazione è accompagnata da note critiche che confrontano i dati ufficiali con le memorie orali raccolte da Caldora nei mercati di Castrovillari e Spezzano Albanese tra il 1958 e il 1965. È qui che la storia si fa antropologia: il documento non è mai neutro, è sempre negoziato tra potere centrale e comunità periferica.

    A cinquant’anni dalla morte, il volume rimane “l’unico censimento integrale” della Calabria napoleonica. Eppure, è anche un monito, dal momento che le inchieste dall’alto producono conoscenza, ma anche silenzi. I comuni arbëreshë (San Basile, Lungro) dichiarano solo il 30% della popolazione reale per evitare la coscrizione; i pastori del Sila omettono i capi vaccini per non pagare la tassa sul bestiame.

    L’osservazione della storia e della vita quotidiana

    Rileggere Caldora oggi significa riconoscere che la Calabria contemporanea – con i suoi 1,9 milioni di abitanti e un tasso di emigrazione del 2,1% annuo – porta ancora le cicatrici di quelle griglie napoleoniche: catasti incompleti, clientelismi radicati, resistenze silenziose. Il viale di Castrovillari intitolato al suo nome non è solo toponomastica, ma è un invito a continuare a leggere tra le righe dei questionari, dove la storia ufficiale incontra la vita quotidiana.

  • Biennale filosofia a Cosenza: tutti gli appuntamenti dal 31 ottobre

    Biennale filosofia a Cosenza: tutti gli appuntamenti dal 31 ottobre

    Il 31 ottobre 2025 prenderà il via la Biennale di Filosofia di Cosenza, un grande evento che per tre mesi riporterà il pensiero filosofico fuori dalle aule universitarie per restituirlo alla città, ai giovani e alla comunità, restituendo alla filosofia il suo ruolo originario: interrogare la realtà e generare coscienza collettiva. Il macrotema di questa prima edizione è la parola “Natura”. Dall’Archivio di Stato alla Biblioteca Nazionale, dai musei dell’Università della Calabria alla Taverna dei Tre Filosofi ai fino al Beat Music Club, la filosofia tornerà nei luoghi della vita quotidiana, riaffermando che il pensiero non è patrimonio di pochi, ma bene comune.

    BIENNALE FILOSFIA COSENZA: FOCUS SU TELESIO

    Il cuore della Biennale sono le quattro maratone filosofiche, vere giornate di immersione nel dialogo, con interventi dalle 8:30 del mattino fino alla sera. La prima maratona, intitolata “Bernardino Telesio e la Natura”, si terrà il 31 ottobre all’Archivio di Stato, nel Chiostro di San Francesco, e sarà dedicata al filosofo cosentino nato nel 1509, autore del De rerum natura iuxta propria principia, che per aver osato osservare la natura con i propri occhi e non attraverso le dottrine aristoteliche venne inserito nell’Indice dei libri proibiti. Interverranno, dialogando con Luigi Gallo, lo storico Luigi Bilotto, che indagherà l’intreccio tra storia e filosofia, parlandoci del suo ambiente, della sua epoca, e delle sue vicende familiari; Roberto Bondì, che metterà Telesio accanto a Galileo per capire cosa significa rivoluzionare lo sguardo; Riccardo C. Barberi, che intreccerà fisica e pensiero. E i ragazzi del Polo Fermi-Brutium non saranno spettatori, ma co-protagonisti. Perché una filosofia che non passa alle nuove generazioni non è futuro, è archeologia.

    Nel pomeriggio Mimmo Tàlia affronterà il tema degli algoritmi che decidono la nostra vita, e dopo di lui Delly Fabiano in un dialogo con Antonio Romeo affronterà le connessioni tra la Matematica e la filosofia. A chiudere la prima giornata sarà, alle ore 18:00, il concerto lirico “Voci per Gaza”, un momento di intensa riflessione civile a cura del Conservatorio “Giacomantonio”, con Pietro De Rose (baritono), Chiara De Carlo e Maria Maiolino (soprano), Fabio Napoletani (tenore) e Luigi Sassone al pianoforte.

    Inoltre il 31 Ottobre alle 11:00, presso l’Archivio di Stato, al centro storico di Cosenza, verrà inaugurata una mostra documentale dedicata a Bernardino Telesio, con l’esposizione di carte originali e testimonianze storiche che restituiranno l’immagine di una Cosenza centro propulsore del pensiero europeo.
    La Biennale Filosofia è ideata e presieduta da Stefania Maranzano, socia fondatrice della Civitas Solis Cosenza aps, l’associazione organizzatrice dell’intera manifestazione. Con il sostegno della Fondazione Carical, proseguirà il 20 e 27 novembre con la seconda e la terza maratona, “Interazioni” e “Interconnessioni”, ospitate stavolta presso la Biblioteca Nazionale di Cosenza, nella sala Giorgio Leone, in piazzetta Toscano, dedicate rispettivamente al dialogo tra i saperi e alle reti visibili e invisibili che definiscono il nostro mondo iperconnesso.

    IL SIGILLO DI ALARICO

    La quarta ed ultima maratona del 2025, il 4 dicembre, “Intelligenza e psiche”, torna alla sede iniziale, l’Archivio di Stato. La giornata si concluderà con la consegna del Premio “Sigillo di Alarico”, ispirato alla figura del re visigoto che, secondo la leggenda, venne sepolto nel fiume Busento con un tesoro mai ritrovato, simbolo del patrimonio nascosto e ancora vitale della nostra terra.
    Parallelamente, la Biennale intreccerà col il SiMU e il Polo Fermi-Brutium, filosofia, letteratura e arti attraverso la rassegna “LibriAmo – Conversazioni con l’autore”, programmata tra novembre e gennaio, con incontri pensati per difendere lo spazio della lettura in un tempo in cui si legge sempre meno.
    Elemento distintivo della Biennale è il coinvolgimento attivo delle scuole superiori attraverso i Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento (PCTO) e i “Salotti filosofici a scuola” che si svolgeranno al Polo Fermi-Brutium nei giorni 4 e 11 novembre e 22 gennaio. Si tratta di laboratori dialogici, non lezioni frontali, in cui docenti e studenti discutono alla pari recuperando la tradizione dei salotti filosofici come luoghi di libertà intellettuale.

    L’intero percorso sarà affiancato da visite guidate e conferenze ai musei afferenti al SiMU – il Sistema Museale dell’Università della Calabria – tra cui il RiMuseum dedicato alla Biodiversità, l’Orto Botanico, Paleontologia, Zoologia, Mineralogia. Gli studenti saranno coinvolti come protagonisti della ricerca, osservando reperti, toccando la natura, comprendendo la complessità dei sistemi viventi non come sfondo inerte, ma come organismo da tutelare.

    FILOSOFIA E CONVIVIALITÀ

    Il 27 novembre, alla Taverna dei Tre Filosofi in via Trento, si terrà un pomeriggio letterario con approfondimenti letterari e culturali, nel segno della filosofia intesa come esperienza conviviale e comunitaria. Il 4 dicembre, all’Archivio di Stato, dopo la quarta maratona filosofica, nel pomeriggio si svolgerà l’evento “PoEtica – Variazioni Cromatiche”, con letture sceniche di brani di tre poetesse, a cura degli attori emergenti laboratorio teatrale “Cilla”, e un concerto di chitarra e flauto del Conservatorio Giacomantonio. Il 18 dicembre, al Beat Music Club su corso Telesio, l’appuntamento “La filosofia incontra la poesia – Inonija. Visioni, suggestioni, versi” unirà parola e musica in un evento dedicato alla forza evocativa del pensiero poetico.

    La Biennale è coordinata da una commissione scientifica che riunisce figure di alto profilo: Vittoria Carnevale, direttrice del SiMU; Luciana De Rose, presidente di Italia Nostra-Cosenza; Luigi Gallo, membro dell’Accademia Cosentina; Antonello Lavergata, docente e membro del comitato scientifico della Fondazione Collegio San Carlo di Modena; Anna Ziviello ed Eduardo Zumpano, docenti calabresi.

    L’inaugurazione si terrà il 31 ottobre 2025 alle ore 8:30 presso l’Archivio di Stato di Cosenza, nel Chiostro di San Francesco, per lavori di restauro della facciata attualmente l’accesso sarà dall’ingresso laterale in via Paparelle. La Biennale durerà fino a gennaio 2026 e tutti gli eventi saranno ad ingresso libero.

    Le sedi coinvolte includono l’Archivio di Stato nell’ex convento di San Francesco di Paola, la Biblioteca Nazionale di Cosenza, in piazzetta Toscano, sala Giorgio Leone, la Taverna dei Tre Filosofi in via Trento, il Beat Music Club su corso Telesio, il Sistema Museale dell’Università della Calabria e il Polo Fermi-Brutium, con un calendario che comprenderà maratone filosofiche, salotti, incontri con gli autori, concerti, laboratori e visite guidate. Durante tutto il periodo saranno attivati percorsi formativi e laboratoriali destinati alle scuole, riportando la filosofia là dove è nata: nella vita reale, tra le persone.

  • Gianluigi Greco nuovo rettore dell’Unical

    Gianluigi Greco nuovo rettore dell’Unical

    Il professore Gianluigi Greco è il nuovo rettore dell’Unical. Guiderà l’Università della Calabria per il sessennio 2025-2031. Nelle elezioni rettorali celebrate oggi, il direttore del Dipartimento di Matematica e informatica ha prevalso su Franco Ernesto Rubino, direttore del Dipartimento di Scienze giuridiche e aziendali, ottenendo complessivamente 643,6 voti, pari al 78%, contro i 175,6 dell’avversario (22%).

    I VOTI

    In particolare, Greco ha ricevuto 556 voti dal corpo docente (143 Rubino). Ha poi ottenuto 125 voti dagli studenti (voto pesato 22,9), rispetto ai 54 ottenuti da Rubino (voto pesato 9,9), nonché 351 voti dal PTA (voto pesato 48,8) contro i 157 (voto pesato 21,8) dell’avversario e 68 voti dai ricercatori RTDA (voto pesato 6,8) rispetto agli 8 (voto pesato 0,8) di Rubino.

    L’introduzione del voto elettronico tramite la piattaforma Eligere e della modalità telematica per chi si trovava impossibilitato a raggiungere il Campus per comprovati impegni istituzionali o per certificati motivi di salute, hanno garantito la piena espressione del diritto di voto, un regolare svolgimento delle operazioni elettorali e un’ampia partecipazione, testimoniata da un’altissima affluenza.

    GIANLUIGI GRECO ELETTO NUOVO RETTORE UNICAL

    L’elezione di Gianluigi Greco segna l’affermazione di un candidato giovane ma già conosciuto a livello nazionale, che assicura una certa continuità di visione con la governance uscente. Infatti ha lavorato fattivamente all’interno degli organi di governo – in particolare come coordinatore della Commissione didattica del Senato accademico e della Commissione per le politiche strategiche di Ateneo – contribuendo concretamente al raggiungimento degli ottimi risultati che hanno contrassegnato il sessennio guidato dal rettore Nicola Leone. Con l’elezione di Gianluigi Greco, per la seconda volta nella storia dell’Ateneo, l’Unical sarà guidata da un suo ex studente. Il mandato inizierà ufficialmente il 1° novembre 2025 e terminerà il 31 ottobre 2031.

    IL PROF DI INFORMATICA

    Nato a Cosenza nel 1977, Gianluigi Greco è professore ordinario di Informatica presso l’Università della Calabria, dove ricopre dal 2018 il ruolo di Direttore del Dipartimento di Matematica e informatica. Dal 2018 è anche membro del Senato Accademico, organo in cui dal 2020 coordina la Commissione Didattica. Dal 2019 è altresì coordinatore della Commissione “PRO3” per la definizione e il monitoraggio delle politiche strategiche di Ateneo. In precedenza, dal 2019 al 2022, è stato coordinatore del Corso di Dottorato di Ricerca in Matematica e Informatica e, dal 2017 al 2020, è stato membro del Comitato Tecnico Scientifico del Centro Linguistico di Ateneo.

    Con all’attivo oltre 200 pubblicazioni scientifiche nell’ambito dell’Intelligenza Artificiale, il prof. Greco ha ricevuto i più importanti premi e riconoscimenti scientifici nel settore, tra cui l’AAIA Fellowship (nel 2022, per i contributi alla diffusione dell’intelligenza artificiale a livello internazionale), l’EurAI Fellowship (nel 2020, per le attività di ricerca considerate tra le più rilevanti condotte in Europa), l’IJCAI Distinguished Paper Award (quale migliore lavoro scientifico a livello internazionale dell’anno 2018), il Kurt Gödel Fellowship Award (nel 2014, conferito dalla prestigiosa società austriaca Kurt Gödel Society), il Marco Somalvico Award (nel 2009, quale migliore ricercatore in Italia) e l’IJCAI-JAIR Best Paper Award (nel 2008, per la migliore ricerca degli ultimi 5 anni). È membro del comitato editoriale di numerose riviste di informatica e, in particolare, è Associate Editor della rivista “Artificial Intelligence Journal”, riferimento internazionale nel settore.

    AI VERTICI DELL’IA

    Da gennaio 2022 il prof. Greco è Presidente dell’Associazione Italiana per l’Intelligenza Artificiale, società scientifica di riferimento nel settore, fondata nel 1988 e cui afferiscono oltre 2000 professori e ricercatori di Università e centri di ricerca. In rappresentanza dell’ecosistema italiano della ricerca, dal 2023 coordina la task force sull’IA istituita presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Dal 2024 è, inoltre, membro del Joint Advisory Group on AI, gruppo consultivo italo-canadese sull’Intelligenza Artificiale.

    Sul fronte del trasferimento tecnologico, numerose sono le iniziative progettuali che il prof. Greco ha coordinato con partnership industriali, supportando altresì diversi soggetti istituzionali nell’adozione di tecnologie digitali, tra cui recentemente AGENAS, AGID e MEF.

    È membro del Consiglio di Amministrazione nonché responsabile delle attività di trasformazione digitale e trasferimento tecnologico dell’ecosistema Tech4You, finanziato dal MUR per promuovere l’innovazione tecnologica in Calabria e Basilicata. È socio fondatore di due spin-off universitari. È membro del consiglio direttivo del Digital Innovation Hub Calabria, e del comitato tecnico-scientifico del Polo di Innovazione ICT e Terziario Innovativo “Pitagora”. È inoltre Presidente del Centro Studi Internazionali Telesiani, Bruniani e Campanelliani.

  • Unical e Palestina: si può stare in silenzio?

    Unical e Palestina: si può stare in silenzio?

    L’Università della Calabria ha celebrato da poco l’inaugurazione del suo 54º anno accademico, un momento di riflessione e orgoglio per un ateneo che si conferma tra i più dinamici del Sud Italia. Tuttavia, a segnare l’evento è stata un’azione dirompente: l’irruzione di studenti e attivisti del “Coordinamento Cosenza Unical per la Palestina” durante il discorso del rettore Nicola Leone.

    Il Rettore Nicola Leone durante l’inaugurazione dell’anno accademico

    Con slogan come “Palestina libera!” e striscioni che denunciavano la “complicità delle università con Israele”, i manifestanti hanno interrotto la cerimonia per protestare contro gli accordi accademici con atenei israeliani e le collaborazioni con industrie belliche come Leonardo e Thales, accusate di alimentare il conflitto a Gaza. L’episodio, pur senza degenerare in violenza, ha messo in luce una tensione profonda: il ruolo delle università come spazi di sapere neutrale versus la richiesta di posizioni politiche nette su questioni globali.
    Questa protesta, che si inserisce in un’onda nazionale di mobilitazioni pro-palestinesi negli atenei italiani, solleva interrogativi cruciali. Da un lato, i manifestanti hanno esercitato il loro diritto alla libertà di espressione, dando voce a un’urgenza etica condivisa da molti: la solidarietà con il popolo palestinese in un contesto di crisi umanitaria. Le loro accuse di “complicità” toccano un nervo scoperto, quello delle responsabilità istituzionali in un mondo interconnesso, dove collaborazioni accademiche e industriali possono avere implicazioni politiche. Dall’altro lato, l’irruzione ha interrotto un momento simbolico di unità accademica, sollevando critiche su modi e tempi della protesta. L’Università della Calabria, descrivendo l’episodio come un “confronto vivo”, ha cercato di riaffermare il suo ruolo di spazio di dibattito. Ma è davvero possibile, o desiderabile, che un’università rimanga neutrale su questioni così divisive?

    Libertà accademica e attivismo politico

    Il cuore del problema sta nel bilanciamento tra libertà accademica e attivismo politico. Le università sono luoghi di confronto, dove idee opposte devono poter coesistere senza censure, ma anche senza che il dialogo venga soffocato da azioni che, pur legittime, rischiano di polarizzare invece che costruire. La protesta di oggi ha avuto il merito di accendere i riflettori su una questione globale, amplificata da immagini e video condivisi in tempo reale su piattaforme social e web.
    Tuttavia, il rischio è che il messaggio si perda in una dialettica di scontro, anziché tradursi in un dialogo strutturato che coinvolga studenti, docenti e istituzioni.
    L’Unical, con i suoi oltre 30.000 studenti e un ruolo centrale nel Mezzogiorno, ha l’opportunità di trasformare questo episodio in un’occasione di crescita. Organizzare tavoli di discussione aperti, con esperti di geopolitica e rappresentanti di tutte le sensibilità, potrebbe essere un passo per canalizzare l’energia della protesta in un dibattito costruttivo. La sfida è chiara: come conciliare l’eccellenza accademica con la responsabilità sociale, senza cedere né alla neutralità ipocrita né alla politicizzazione divisiva? La risposta non è semplice, ma l’università, come luogo di pensiero critico, è chiamata a cercarla.

    Un momento della protesta

    La protesta del “Coordinamento Cosenza Unical per la Palestina”, rappresenta un caso emblematico delle tensioni che attraversano le istituzioni accademiche in un’epoca di crisi globali. L’irruzione nell’Aula Magna, con slogan come “Palestina libera!” e “Se bloccano la flottilla, blocchiamo tutto!”, non è stata solo un atto di dissenso, ma un tentativo di forzare l’università a prendere posizione su un conflitto che, pur geograficamente lontano, ha profonde ripercussioni etiche e politiche. Analizzando l’evento, emergono tre nodi critici: il diritto di protesta, la “neutralità” accademica e il rischio di polarizzazione.

     Il diritto di protesta e la sua messa in scena

    L’azione del Coordinamento è stata pacifica ma volutamente dirompente, con l’irruzione e l’affissione di striscioni come quello sul Ponte Bucci (“complicità e responsabilità delle università con Israele”). La scelta di interrompere un evento simbolico come l’inaugurazione accademica ha garantito visibilità, amplificata da post sui social che hanno documentato l’evento in tempo reale. Tuttavia, questa strategia solleva una questione: la teatralità della protesta, pur efficace nel catturare l’attenzione, rischia di alienare chi potrebbe essere aperto al dialogo? I manifestanti hanno denunciato accordi con atenei israeliani e collaborazioni con aziende come Leonardo e Thales, accusate di sostenere il conflitto a Gaza. La loro richiesta – la rottura di questi legami – è chiara, ma la modalità scelta ha lasciato poco spazio a un confronto immediato, trasformando l’evento in uno scontro simbolico più che in un’occasione di dibattito.

    Una fase della protesta a favore della Palestina

    La neutralità accademica: un mito insostenibile?

    L’Unical ha risposto descrivendo l’episodio come un “confronto vivo”, riaffermando il suo ruolo di spazio di dibattito. Ma la pretesa di neutralità accademica è problematica. Le università non operano in un vuoto: gli accordi con atenei stranieri o industrie belliche non sono mai solo “tecnici”, ma portano con sé implicazioni politiche. La protesta ha messo in discussione il silenzio istituzionale su queste connessioni, accusando l’Unical di complicità indiretta in un conflitto che molti studenti percepiscono come un “genocidio”. Tuttavia, la neutralità ha anche un valore: garantisce che l’università rimanga un luogo di pluralismo, dove tutte le voci – incluse quelle pro-israeliane o neutrali – possano esprimersi. Rompere accordi accademici con Israele, come chiesto dai manifestanti, potrebbe essere visto come un atto di censura verso studiosi e istituzioni israeliane, non tutte necessariamente allineate con le politiche del loro governo. Qui si gioca la sfida: come bilanciare responsabilità etica e apertura intellettuale?

    Foto

     La polarizzazione e il dialogo

    La protesta si inserisce in un’onda nazionale di mobilitazioni studentesche pro-palestinesi, come i sit-in all’Aquila contro Leonardo. Questo movimento riflette una crescente sensibilità tra i giovani per le questioni globali, ma anche una tendenza alla polarizzazione. I critici dell’azione, che l’hanno definita “controversa”, sottolineano che politicizzare un momento celebrativo come l’inaugurazione rischia di alienare chi non condivide la causa. Sui social noto che commenti si dividono: alcuni utenti lodano il coraggio degli attivisti, altri lamentano la “mancanza di rispetto” per l’evento accademico. La “frattura profonda” evidenziata dall’episodio non è solo tra studenti e istituzione, ma anche all’interno della comunità accademica, dove sensibilità diverse si scontrano senza un terreno comune. La richiesta di “dialogo strutturato” avanzata da alcuni osservatori è sensata, ma richiede volontà da entrambe le parti: i manifestanti devono accettare la complessità del tema, e l’università deve riconoscere che la neutralità non è sempre una risposta sufficiente.

    Alcuni militanti del coordinamento Cosenza Unical per la Palestina

    Il ruolo dell’Unical nell’area del Mediterraneo 

    La protesta all’Unical è un microcosmo delle tensioni globali che attraversano le università, chiamate a essere al contempo templi del sapere e arene di confronto politico. L’azione del Coordinamento ha avuto il merito di portare il conflitto israelo-palestinese al centro del dibattito, ma ha anche evidenziato i limiti di un approccio che privilegia l’irruzione al dialogo. L’università ha l’opportunità di trasformare questa frattura in un’occasione di crescita, promuovendo spazi di confronto che includano prospettive diverse, da quelle degli attivisti a quelle di chi difende la cooperazione accademica internazionale. La sfida è costruire un dibattito che non semplifichi la complessità geopolitica, ma la affronti con rigore e apertura. Solo così l’Unical potrà onorare il suo ruolo di faro culturale nel Mezzogiorno, senza cedere né al silenzio né alla polarizzazione.

  • Ma quanto ci manca Emmevubì?

    Ma quanto ci manca Emmevubì?

    Tre anni fa, il 14 luglio 2022, ci lasciava Marcello Walter Bruno, figura poliedrica, docente, critico cinematografico e studioso di fotografia contemporanea all’Università della Calabria. La sua scomparsa ha lasciato un vuoto profondo non solo nell’ateneo calabrese, ma in tutti coloro che hanno avuto la fortuna di incrociare il suo cammino. Io sono stato uno di questi.

    Una vita dedicata alla cultura

    Marcello Walter Bruno nasce a Carolei, in provincia di Cosenza, nel 1952. La sua formazione si snoda tra esperienze eterogenee che ne forgiano il profilo eclettico: ex impiegato di banca, ex regista RAI, ex pubblicitario, come lui stesso amava definirsi, fino a trovare la sua vocazione come docente universitario. Formatosi a Bologna sotto la guida di Umberto Eco, porta al DAMS dell’Università della Calabria una visione innovativa, plasmata dalla semiotica e dalla capacità di leggere il mondo attraverso le immagini.

    All’Unical, dove insegna critica cinematografica e fotografia contemporanea, diventa un punto di riferimento per generazioni di studenti, grazie alla sua abilità di rendere la cultura accessibile e viva.
    La sua carriera è costellata di saggi, articoli e volumi che esplorano il cinema e la fotografia come strumenti per comprendere la realtà. Tra i suoi contributi più significativi, ricordiamo il suo approccio alla comunicazione visiva, capace di svelare il “filo di mistero” nascosto nelle immagini, spingendo studenti e colleghi a interrogarsi sul “cosa abbiamo visto?” e a dubitare delle apparenze.[

    “Sublime intellettuale meridionale”

    Marcello, o “Emmevubi” come lo chiamavano affettuosamente studenti e colleghi giocando con le sue iniziali, era un intellettuale nel senso più autentico del termine. La sua curiosità insaziabile e il suo acume lo portavano a vedere oltre la superficie, a illuminare zone d’ombra che sfuggivano agli altri. Era un docente che non si limitava a insegnare, ma ispirava. La sua aula non era solo un luogo fisico, ma uno spazio di dialogo continuo, dove il sapere si costruiva insieme, senza barriere.

    Lasciava pile di libri, foto e opuscoli sul davanzale del “cubo” 17 dell’Unical, un’edicola simbolica aperta a chiunque volesse appropriarsi di cultura, senza imposizioni, solo con il desiderio di stimolare riflessioni.
    La sua personalità era un intreccio di rigore e ironia, di passione e libertà. Non era solo un docente, ma un narratore che trasformava ogni lezione in un’esperienza estetica, come testimoniato da chi lo ha conosciuto. La sua cadenza cosentina, il suo sorriso sornione e quella barba che incorniciava il volto erano tratti distintivi di un uomo che viveva il sapere come un atto di condivisione e provocazione intellettuale.

    Il nostro rapporto: un dialogo oltre l’aula

    Il mio incontro con Marcello è stato uno di quei momenti che segnano un percorso di vita. Ero uno studente di materie antropologiche, affascinato ma intimorito dalla sua erudizione, quando lo incontrai la prima volta mentre ero occupato al montaggio di un documentario. La sua capacità di trasformare un film o una fotografia in una porta verso la comprensione della realtà mi colpì profondamente. Emmevubi’ era un mentore che spronava a guardare oltre, a mettere in discussione ciò che sembrava scontato. Ricordo le sue domande, “Cosa abbiamo visto? Ne siete sicuri? Ne sei sicuro Dronadio?” (come amava chiamarmi) che non erano semplici esercizi retorici, ma inviti a scavare dentro di noi e nel mondo.
    Il nostro rapporto si è consolidato fuori dall’aula, nei corridoi, a mensa, nello studio sempre affollato dove Marcello accoglieva chiunque con disponibilità e attenzione. Con me, ha condiviso anche aneddoti personali, riflessioni sul Sud, sulla Calabria, sul senso di “osservare” in un territorio spesso marginalizzato. Mi ha insegnato che la cultura non è un privilegio, ma un diritto da diffondere, un’arma per comprendere e agire nella realtà. È stato un dialogo che non si è mai interrotto, che ancora oggi porto con me come un’eredità preziosa.

    Uno sguardo antropologico sui temi di Marcello

    Sebbene Marcello Walter Bruno non fosse un antropologo, i suoi studi sul cinema e sulla fotografia offrono spunti per riflessioni antropologiche molto profonde. La sua insistenza sull’andare oltre l’immagine, sul dubitare delle apparenze, richiama il concetto di “crisi della presenza” di memoria demartiniana, intesa come la necessità di rielaborare culturalmente la realtà per non esserne sopraffatti. Le immagini, per Marcello, non erano mai solo estetica: erano testi portatori di significati che richiedevano un’interpretazione attiva. Questo approccio si avvicina all’antropologia culturale, che vede nei simboli e nelle pratiche visive un modo per decifrare le dinamiche sociali e identitarie.
    La sua attenzione al Sud, alla Calabria, si rifletteva nella sua capacità di leggere il cinema e la fotografia come strumenti di narrazione di una terra complessa, spesso stereotipata. Come un antropologo sul campo, Marcello osservava e interpretava, costruendo ponti tra discipline e immaginari. La sua idea di cultura come dono gratuito, accessibile a tutti, richiama l’antropologia del dono di Marcel Mauss: la cultura, per Marcello, era un atto di reciprocità, un’offerta che generava comunità e dialogo.

    Un’eredità che vive

    Marcello Walter Bruno ci ha lasciato un’eredità che va oltre i suoi scritti e le sue lezioni. Ci ha insegnato che il sapere è un atto di libertà, che le immagini sono specchi della nostra umanità e che il Sud può essere un laboratorio di idee universali. La sua perdita è stata un duro colpo, ma il suo spirito vive nei suoi studenti, nei suoi colleghi, in chi continua a interrogarsi sul “cosa abbiamo visto”. In un’epoca in cui la cultura è spesso mercificata, Marcello ci ricorda che essa è, e deve restare, un bene comune.
    A tre anni dalla sua scomparsa, il suo invito a dubitare, a cercare, a immaginare relazioni inattese resta un faro per tutti noi. Grazie, Emmevubi, per averci mostrato che il sapere è un viaggio senza fine, e che ogni immagine, ogni storia, è un passo verso la comprensione del mondo.

     

  • La sanità in Calabria, pochi dati e inadeguati

    La sanità in Calabria, pochi dati e inadeguati

    «La salute è un fatto sociale totale» e dunque esige uno sguardo interdisciplinare per poter essere osservata e più ancora per provare ad avanzare qualche proposta politica. Non è un caso che al Centro studi su società, salute e territorio, il think tank targato Unical, partecipino ben nove dipartimenti, oltre a quello di Scienze politiche che ne è il capofila (Ingegneria meccanica; Ingegneria informatica; Statistica e finanza; Farmacia e Scienze della salute; Matematica e informatica; Culture, educazione e società; Ingegneria dell’ambiente; Biologia e Scienze della terra). Scienze “dure” e “molli”, ingegneri e ricercatori sociali, stregoni dell’Intelligenza artificiale e umanisti, perché per studiare il legame tra benessere sociale e individuale, tra l’uso delle risorse e la qualità della vita, si deve essere pronti a superare i confini delle discipline.

    L’interdisciplinarità come metodo per migliorare il sistema sanitario

    Il tema dell’interdisciplinarità, assai caro Giap Parini, sociologo e direttore del Dispes, viene evocato praticamente subito nell’intervento d’apertura del dibattito su “Dati, Sistema informativo in Sanità”. Parini va al cuore delle cose: «la salute e la sanità sono forme sociali che vanno osservate in tutte le loro dimensioni», dunque l’aspetto giuridico, economico, sociale, devono trovare coniugazione efficace. Vincenzo Carrieri, docente di Scienze delle finanze e direttore del Centro studi su società e salute, parte dal problema che sta all’origine di ogni ricerca e cioè la raccolta dei dati, le informazioni sulla base delle quali si costruisce una strategia. Il suo sguardo va audacemente alla Danimarca, ma pure alla Gran Bretagna, dove esiste una consolidata “cultura dei dati” e dove i cittadini che si rivolgono ai sistemi sanitari sono tracciati in modo tale da garantire efficienza nel percorso diagnosi – terapia. Qui è tutto differente: «abbiamo dati incompleti, poche Regioni hanno avviato la raccolta delle informazioni e finiscono per influenzare gli orientamenti in materia di politiche sanitarie», dice Carrieri.

    Le Regioni nel nord impongono i loro dati

    Vuol dire che i dati raccolti in Emilia, in Toscana o in Lombardia, (le Regioni meglio attrezzate da questo punto di vista) pur non essendo rappresentativi del Paese, vengono assunti come indicazioni nazionali per disegnare la sanità di tutti. Ma c’è un altro problema con cui fare i conti, come avvisa Mariavittoria Catanzariti, giurista dell’Università di Padova e docente dell’European University Institute e riguarda la tutela della riservatezza e i dati relativi alla salute delle persone sono una mole di informazioni di straordinaria delicatezza. Una questione che invoca l’intervento di chi con i dati e il loro trattamento lavora da un pezzo. Gianluigi Greco, direttore del Dipartimento di Matematica e informatica dell’Unical e presidente dell’Associazione italiana per l’Intelligenza artificiale, ci tiene a spiegare come i dati siano «la traccia dell’attività umana nella vita sociale», per questo devono essere disponibili e trasparenti. Sembra di sentire un sociologo, non un informatico, soprattutto quando Greco pone l’attenzione sull’aspetto che potremmo definire politico, spiegando che «i dati vengono oggettivati, considerati cioè assolutamente veri, perché elaborati da macchine cui noi attribuiamo il dono dell’infallibilità». Per questo servono l’uomo e le sue competenze, per guardare e capire.

    La platea del convegno

    La Babele della sanità, dove le strutture non dialogano tra loro

    Oggi nel mondo della sanità la situazione non è tranquillizzante: «le strutture non dialogano tra loro, usano sistemi differenti e la scelta del campionamento della popolazione da monitorare non è neutrale», tenendo conto prevalentemente delle aree ricche del Paese. Ma non solo: ad oggi «nessuno dei sistemi diagnostici italiani usa l’Intelligenza artificiale». Se cercate consolazione, non rivolgetevi a un informatico, vi spiegherà implacabilmente che siamo messi male, ma non rivolgetevi nemmeno a un fisico. Francesco Valentini è docente di Fisica della materia, ma guarda il cielo con gli occhi di chi collabora con le agenzie spaziali italiana ed europea. Che ci fa uno scienziato di questo tipo a un convegno sulla sanità? E’ venuto per spiegare che la raccolta dei dati, sia nell’universo della sanità, che in quello osservato dalla ricerca spaziale, deve affrontare lo stesso problema, quello della Babele delle lingue, che impedisce di comunicare efficacemente, per questo «è urgente unificare i linguaggi, standardizzare la raccolta e uniformare i sistemi di ricerca».

    Il paradosso della medicina digitale e il lavoro degli infermieri

    In tutto questo emerge un paradosso: la medicina digitale non sempre velocizza il lavoro. Accade infatti, come racconta Nicola Ramacciati, docente Unical presso il corso di Infermiersitica, che «il tempo che gli infermieri impiegano nel trasferire i dati relativi ai pazienti, possa soverchiare quello da dedicare al paziente stesso», causando frustrazione e stress. Per questo appare urgente «progettare sistemi di raccolta dei dati  implementando l’uso delle I.A».

    L’eccellenza della Nuova Zelanda

    Potrebbe non bastare, visto che le criticità stanno ben dentro «l’architettura del sistema sanitario», come svela Domenico Conforti, docente Unical e fondatore del Dehealth lab, il centro di ricerca che coniuga l’ingegneria con l’erogazione della assistenza sanitaria. L’idea di Conforti ha il pragmatismo che ci si attende da un ingegnere, per il quale «la gestione dei dati deve essere integrata con i modelli di cura e di organizzazione, la gestione delle risorse e i servizi digitali». Il suo racconto ci porta a Canterbury, in Nuova Zelanda, dove la sanità viene organizzata in cerchi concentrici con diversi livelli di gestione della salute e percorsi assistenziali che vedono gli ospedali posti sul cerchio più esterno, come ultimo presidio cui il paziente giunge per la terapia. Ma quello è letteralmente un altro modo.

    E il ritardo del servizio sanitario della Calabria

    Qui abbiamo 21 sistemi sanitari diversi, e in Calabria «la raccolta dati è frammentaria, la loro interpretazione difficile». A dirlo è Alfredo Pellicanò, dirigente regionale e responsabile del settore che si occupa di transizione digitale. Dargli torto è impossibile, infatti l’ultimo allarme lo ha lanciato il presidente Occhiuto, mentre cittadini lo gridano vanamente da molto prima.

     

     

     

     

  • Dalla Polis alle metropoli, come cambia il destino urbano delle comunità

    Dalla Polis alle metropoli, come cambia il destino urbano delle comunità

    Sullo schermo dell’aula Caldora scorrono le immagini in bianco e nero dei biplani che passano audacemente sotto strade alte e sospese, sulle quali si inseguono veloci treni e automobili, tutto sovrastato da giganteschi grattacieli. E’ la città immaginata da Lang nel suo film Metropolis, del 1927 e per la verità subito viene in mente l’altra megalopoli, pure immaginaria ma non meno algida e disumana, quella del film Blade Runner, di Ridley Scott. Del resto la città, le sue trasformazioni, il suo rapporto potentemente simbolico con la modernità, sono stati i temi scelti per una delle tre giornate che il Dispes ha dedicato  all’inizio del nuovo anno accademico e il cinema è certamente il modo più adeguato per raccontare tutto questo. Tre giorni di discussione, per capire il presente, che è già invecchiato, e il futuro che si annuncia, con le lenti delle Scienze sociali, ma non solo. Ecco quindi la città multiforme, la spinta della modernità sul concetto di luogo abitativo, le radici e la marginalità delle aree calabresi. E se come appare evidente la città nella concezione attuale è il prodotto di una certa idea dominante di modernità, il mezzo migliore per raccontarla sono le immagini. “Il cinema è moderno, veloce e intenso come la città”, racconta Angela Maiello, docente di Critica digitale e Nuovi media. La scelta di sedurre i presenti con le immagini di Lang è sua ed è straordinariamente efficace per spiegare il rapporto emulativo tra cinema e città.

    Il cinema e i media digitali per raccontare le città

    Ma lo sguardo di Lang non è il solo stile narrativo, a questo la Maiello contrappone “L’uomo con la macchina da presa”, di Vertov. Obbligatoriamente pure in bianco e nero, il film ha uno sguardo più documentaristico, quasi antropologico, qui la città è quella reale, vissuta e attraversata dalle persone. I due modi di raccontare la città non potrebbero essere più diversi, con Lang immaginifico e Vertov affascinato dalla vita della gente. C’è un terzo capitolo nella narrazione che si è prodotta della città, ed è la forma più drammatica e attuale. Sullo schermo scorrono le immagini dell’attacco alle Torri gemelle. Questo evento, spiega la docente, introduce una novità: le storie vengono raccontate mentre accadono, il fatto e il suo racconto diventano inscindibili.  E’ la stagione del citizen journalism, in cui tutti sono dotati di dispositivi in grado di riprendere e riprodurre in Rete ciò che accade attorno a loro, e non è detto che sia una buona stagione, anche perché la città raccontata dai new media è anche una città iper controllata, in cui la vigilanza sociale è la cifra più rappresentativa. Qui il cittadino è al tempo stesso osservatore e osservato, sempre, come nel Panopticon digitale evocato da Byung Chun Han.

    La “geografia intima” dei luoghi abitati: lo sguardo antropologico

    Ma se i luoghi sono abitati dagli uomini, per coglierne la simbiosi servono le lenti dell’antropologo ed ecco le parole di Fulvio Librandi, docente appunto di Antropologia culturale, che suggerisce di cogliere il rapporto tra le persone e i contesti abitativi. Essi sono la “geografia più intima”, quella dalla quale non ci separiamo mai, perché i luoghi diventano come un abito indossato, un fenomeno culturale legato al corpo stesso. Il futuro che si annuncia è urbano, la crescita demografica riguarderà le metropoli, “alcune di esse sono già ora snodi strategici di informazioni, scambi finanziari, controllo politico, disegnando nuovi poteri” non sempre e non subito visibili, spiega Librandi. Le vittime sacrificali di questo futuro diseguale e tumultuoso, saranno le aree marginali e qui emerge prepotente la delusione per aver, forse ingenuamente, creduto che la globalizzazione avrebbe ridato fiato alle periferie, invece è accaduto il contrario, con una concentrazione che è funzionale all’economia, acutizzando le disuguaglianze.

    L’ultima frontiera delle metropoli: l’Intelligenza artificiale.

    Il corpo della città è multiforme e rappresenta un campo di indagine perfetto per uno sguardo che pretenda di essere interdisciplinare. A riproporre questa urgenza è un informatico in mezzo ai sociologi. Non è la prima volta che Gianluigi Greco, direttore del dipartimento di Matematica e informatica ed esperto di Intelligenza artificiale esplora universi complessi accanto a scienziati sociali con i quali condivide la visione per la quale l’interdisciplinarità che caratterizza il Dispes deve diventare uno spirito che attraversi il Ponte Bucci per abitare in ogni Cubo. Il tema della Polis e degli spazi abitati è troppo seducente per chi guarda alle città come frontiera della sperimentazione di servizi digitali. Così Greco racconta di città in cui già adesso alcuni servizi sono governati da forme di intelligenza non umana ma al servizio degli umani, fino ad esperienze avanzate in cui le città sono riprodotte interamente in forma digitale e dove si è in grado di valutare l’impatto dello spostamento demografico sui servizi e sulla loro efficienza. E’ vero che solo nei film di fantascienza le macchine sottometteranno l’uomo, ma intanto dare vita a un nuovo umanesimo non sarebbe male.