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  • Genova per noi | Venti mesi di 20 anni fa in 20 parole: una cronologia minima tra locale e globale

    Genova per noi | Venti mesi di 20 anni fa in 20 parole: una cronologia minima tra locale e globale

    Antefatti
    17 marzo 2001, Napoli

    Scontri durante il vertice internazionale del Global forum. Violente cariche della polizia in assetto antisommossa, una sessantina di feriti tra i manifestanti che volevano raggiungere piazza del Plebiscito. Quattro mesi prima di Genova, arriva per la prima volta in Italia l’onda lunga partita tra giugno e novembre del 1999 a Colonia e Seattle. Prima la catena umana del movimento Jubilee2000 attorno all’edificio che ospita il G8, poi la protesta dei 50mila in occasione del Wto (Organizzazione mondiale del commercio). In seguito, altri scontri a Praga (settembre 2000, summit Banca mondiale – Fondo monetario internazionale) e Nizza (dicembre 2000, vertice del Consiglio europeo).

    Bernard
    25-30 gennaio 2001, Porto Alegre

    L’anno di Napoli e Genova si era aperto a Porto Alegre (Brasile) negli stessi giorni del Forum economico di Davos (Svizzera): del primo Forum sociale mondiale resterà una frase che farà da slogan per i movimenti a seguire («Un altro mondo è possibile», pronunciata da Bernard Cassen, presidente dell’associazione francese Attac).

    Canada
    21 aprile 2001, Québec

    Centinaia di arresti e decine di feriti dopo gli scontri tra forze dell’ordine e manifestanti: una barriera di persone circonda l’edificio che ospita il vertice dei capi di Stato riuniti per discutere del progetto di una zona di libero scambio nelle Americhe (Nafta).

    Danesi e tedeschi
    15 giugno 2001, Göteborg

    Ancora scontri tra polizia e attivisti: due feriti gravi tra i 20mila manifestanti accorsi in Svezia (da Danimarca e Germania, soprattutto) per contestare il vertice dei capi di Stato dell’Ue.

    Emigrazione
    19 luglio 2001, Genova

    La prima grande manifestazione del G8 di Genova è per rivendicare i diritti dei migranti: sfilano pacificamente in 50mila, portando l’agenda politica su uno dei temi caldi del movimento.

    Ferro
    20 luglio 2001, Genova

    È la giornata più tragica: scontri dalla mattina, si vedono i black bloc, manganellate e ferimenti, cariche contro i pacifisti della rete Lilliput in piazza Manin (60 feriti) e sul corteo delle tute bianche. In sede processuale si stabilirà che in questo secondo caso alcuni carabinieri hanno agito in modo illegale, senza coordinamento con la centrale operativa e, in qualche caso, con mazze di ferro e armi non di ordinanza.

    Giuliani, Carlo
    20 luglio 2001, Genova

    Le violente cariche in via Tolemaide si spostano tra via Caffa, via Tommaseo e piazza Alimonda. Qui, uno dei due Defender dei carabinieri in ritirata, rimasto senza lacrimogeni e bloccato da un cassonetto della spazzatura, viene attaccato dai manifestanti. Intorno alle 17,40 un carabiniere di 21 anni, Mario Placanica, spara due colpi di pistola, uno dei quali uccide Carlo Giuliani, 23 anni, che ha raccolto un estintore da terra. La camionetta passerà per due volte sul suo corpo prima di lasciare piazza Alimonda.

    «Hanno colpito la porta»
    notte del 21 luglio nella scuola “A. Diaz”, Genova

    «Era mezzanotte e dormivamo nei sacchi a pelo. Hanno colpito la porta gridando: polizia. D’istinto chi si è alzato è scappato di sopra. È stato un errore, certo, ma stavamo tutti dormendo. Ci hanno fatti stendere pancia a terra, hanno rovesciato tutto, spaccato ogni cosa, strappato documenti. Ci insultavano e picchiavano coi manganelli la gente distesa, urlando. Ho visto ragazzine svenire. Uno diceva: attenti che non muoiano. Io sono scappato quando hanno aperto per far uscire il primo massacrato» (testimonianza di Michael Gieser a Concita De Gregorio, La Repubblica, 23 luglio 2001)

    Inchiesta No global
    14 novembre 2002, Cosenza

    A pochi giorni dal festoso e pacifico corteo no global di Firenze, scattano le manette: “Retata no global, venti arresti al sud per cospirazione” titolano i quotidiani nazionali. Il blitz all’una di notte: i reati contestati sono associazione sovversiva, cospirazione politica e attentato agli organi costituzionali dello Stato. Cosenza al centro delle attenzioni mediatiche si prepara a vivere la sua settimana più importante, il movimento pulviscolare e litigioso per definizione si ricompatta attorno ai compagni in carcere. È il giorno in cui papa Wojtyla in parlamento chiede «clemenza per i detenuti» e Lina Sotis parla di «tendenza Cosenza» sul Corriere della Sera, paragonando la città di provincia a una piccola Parigi di cui in tanti non conoscono neanche l’esistenza. Per ironia della sorte, per molti proprio da quel giorno non sarà così.

    Liberateli
    15 novembre 2002, Cosenza

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    L’aula del consiglio comunale di Cosenza occupata per solidarizzare coi no global arrestati

    Assemblea al cinema Italia per chiedere la liberazione degli arrestati: il movimento s’impone alla politica e un mini-corteo spontaneo muove verso il Comune dove è in corso una seduta del Consiglio. L’aula viene occupata e i lavori interrotti con il beneplacito del sindaco Eva Catizone, eletta appena 5 mesi prima. Accogliere i manifestanti sarà un primo modo per schierarsi: sfilerà in corteo e terrà aperte le finestre del Municipio, sempre illuminato, facendo tornare alla mente di molti l’accorato sostegno di Giacomo Mancini – il compianto sindaco che l’ha designata per la successione – dopo i blindati all’Unical di vent’anni prima.

    Magistratura democratica
    17 novembre 2002, Cosenza

    Md nota che gli stessi reati di cospirazione politica contestati ai 18 attivisti meridionali furono usati per incriminare Gelli e Mazzini, o i comunisti durante il Ventennio. I capi d’imputazione sono definiti «retaggio autoritario dell’epoca fascista». Da altri vengono evocati il codice Rocco e il teorema Calogero («il 14 novembre come un nuovo 7 aprile» in riferimento agli arresti del 1979).

    Il senatore comunista Francesco Martorelli scrive «L’operazione che ha portato alla cattura di molti giovani si segnala per “un errore di ortografia giudiziaria” e per un “insieme di errori maldestri”, come dice lucidamente, in un articolo sul Manifesto del 19 novembre, il giudice Giuseppe Di Lello. Il dato giudiziario è stato certamente sconvolgente perché espressione di “altra cultura” che si è manifestata in quegli uffici giudiziari. È proprio questa “altra cultura” che ci impensierisce» (Quotidiano della Calabria, 22 novembre 2002).

    Intanto, seconda partecipatissima assemblea al cinema Italia: con la delegazione cosentina che ha visitato i detenuti nelle carceri speciali ci sono anche il leader delle tute bianche Luca Casarini (che ai microfoni di Radio Ciroma dirà «spero nel carnevale di Cosenza, è questa la nostra potenza») e don Vitaliano Della Sala, il parroco di Sant’Angelo alla Scala «amico di disobbedienti e comunisti» che sarà poi sospeso a divinis per sei mesi. Quell’assemblea della domenica pomeriggio si chiude con un corale “Bella ciao”.

    «Non ci avrete mai…»
    22 novembre 2002, Arcavacata di Rende

    «… come volete voi». A una settimana dalla prima assemblea spontanea, il Movimento si conta nuovamente e si prepara al mega-corteo dell’indomani. L’ateneo si offre come collettore di storie e volti da tutta Italia. Alimentari e bar della zona offrono convenienti pacchetti take-away per i manifestanti, costo: 3 euro.

    Ottantenni
    23 novembre 2002, Cosenza

    È il giorno dei settantamila in piazza. Immagine simbolo: da un balcone di viale della Repubblica, al passaggio del serpentone, una ultraottantenne sventola una bandiera rossa dalla sua casa popolare del Ventennio. Dai balconi vengono esposte lenzuola bianche e lanciate rose, per strada banchetti con dolci fatti in casa offerti ai manifestanti. L’assessore Franco Piperno ha suggerito di sistemare arance e vino agli angoli delle strade percorse dal corteo (al prefetto dice «il tragitto dev’essere lungo, dobbiamo sfiancarli, mi creda me ne intendo di manifestazioni»).

    Qualche commerciante resta aperto, come il compagno Fuccilla, antifascista di lunga data, che vende elettrodomestici a un passo dal Comune, sul corso Mazzini non ancora pedonalizzato; a piazza XI Settembre il bar resta aperto senza problemi: «Tutti gentilissimi, si vede che sono forestieri…». Tornano in piazza le generazioni dei sessantottini, del 77 e del post-riflusso. Slogan: liberi tutti, siamo tutti sovversivi, disobbedire non è reato, il sud è ribelle, Presila sovversiva; si riaffaccia “un altro mondo è possibile” coniato quasi due anni prima a Porto Alegre. «Non avevo mai visto tanta integrazione tra una città e un corteo» (Pietro Fantozzi, docente di sociologia Unical, ai microfoni del tg di La7).

    Pinocchio

    «Un’operazione contro i no global? Mi si allunga il naso! Mi ha fatto impressione ricevere la notizia, ho fatto un saltello come quelli che fa il mio Pinocchio» (il commento a caldo di Roberto Benigni che mima il suo personaggio, da poco nelle sale).

    Qatar
    novembre 2001, Doha

    Piccolo flashback per riflettere su come, nel frattempo, gli attentati dell’11 settembre 2001 oscurarono i fatti di Genova e l’anno caldo dei movimenti anti-globalizzazione, collocando il terrorismo internazionale in testa alle priorità dell’agenda politica: la nuova assemblea della Wto – ora che il mondo ha iniziato a familiarizzare con un’altra sigla, simile: il Wtc delle Torri Gemelle di Manhattan – si tiene in un luogo lontano mentre «è cambiata la situazione del pianeta, per la comparsa di uno degli effetti più dannosi dell’interdipendenza: il terrorismo globale» (Joaquìn Estefanìa, El Pais, 10 novembre 2001). A due anni esatti dal Wto di Seattle, è come se si fosse chiuso un cerchio.

    Ros

    «Accade che il Raggruppamento Operazioni Speciali (Ros) dell’Arma dei Carabinieri si convinca che dietro i disordini di Napoli (7 maggio 2001) e di Genova (21 luglio 2002) non ci sia soltanto il distruttivo, nichilistico furore di casseur europei o il violento spontaneismo delle teste matte (e confuse) di casa nostra, ma addirittura un’associazione sovversiva. Concepita l’ipotesi, gli investigatori dell’Arma intercettano, spiano, osservano, pedinano. In assenza di contraddittorio, s’acconciano come vogliono cose, frasi, dialoghi, eventi, luoghi edificando una conveniente e coerente cabala induttiva. È il sistema che più piace agli addetti: “lavorare su materia viva, a mano libera”.

    Organizzato il quadro, occorre ora trovare un pubblico ministero che lo prenda sul serio. Alti ufficiali del Ros consegnano il dossier, rilegato in nero, di 980 pagine più 47 di indici e conclusioni ai pubblici ministeri di Genova. Che lo leggono e concludono che “quel lavoro è del tutto inutilizzabile“. Gli investigatori dell’Arma non sono tipi che si scoraggiano. Provano a Torino. Stesso risultato: “Questa roba non serve a niente“. Il dossier viene allora presentano ai pubblici ministeri di Napoli. L’esito non è diverso: il dossier, da un punto di vista penale, è aria fritta. Finalmente gli ufficiali del Ros rintracciano a Cosenza il pubblico ministero Domenico Fiordalisi. Fiordalisi si convince delle buone ragioni dell’Arma dei Carabinieri» (Giuseppe d’Avanzo, la Repubblica, 16 novembre 2002).

    Serafini, Alfredo
    novembre 2002, Cosenza

    Il procuratore capo del tribunale di Cosenza si scaglia contro il vescovo Giuseppe Agostino, lo stesso che nel 1970 aveva aperto ai “Boia chi molla” suoi concittadini e ora difende le ragioni della contestazione no global: «Senza conoscere neanche una delle 27.000 pagine del fascicolo processuale, giudica i soggetti basandosi solo su una loro conoscenza di tipo parrocchiale».

    Tortura
    1 luglio 2021

    Alla vigilia del ventennale dai fatti di Genova, nuove violenze nelle carceri riaprono ferite mai suturate. «Nei confronti di persone inermi tanto alla scuola Diaz quanto nella caserma di Bolzaneto attrezzata a centro provvisorio di detenzione, venne praticata la tortura: pestaggi violentissimi (la “macelleria messicana” descritta dall’allora vicequestore di Genova Michelangelo Fournier), atti crudeli come lo spegnimento di sigarette sui corpi dei detenuti, umiliazioni degradanti» (analisi di Riccardo Noury, Amnesty Italia, sul quotidiano Domani).

    Umanità

    «Li abbattiamo come vitelli (…) Domate il bestiame» (dalla chat degli agenti della polizia penitenziaria protagonisti delle violenze sui detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020). «Una orribile mattanza» (il gip sull’inchiesta che ha portato a 52 misure cautelari e 110 indagati).

    Vedere
    14 luglio 2021, Santa Maria Capua Vetere

    «Quando si parla di carcere, bisogna aver visto, come ci ricordano le celebri parole di Piero Calamandrei che sapeva bene cosa significasse la vita del carcere. Occorre aver visto. Occorre correggere una visione del diritto penale incentrata solo sul carcere» (Marta Cartabia, ministro della Giustizia, dal discorso pronunciato nel carcere teatro di violenze sui detenuti).

    (Fonti: “Genova 2001”, Internazionale extra n. 15 – estate 2021; “Calabria in prima pagina. Un anno visto dal di dentro – il Quotidiano 10 anni dentro la Calabria”, 2005; “Novembre 2002: le giornate di Cosenza”, speciale Coessenza)

     

     

  • Genova per noi | Il G8 e la Calabria, vent’anni dopo

    Genova per noi | Il G8 e la Calabria, vent’anni dopo

    Non ha mai smesso di viaggiare il treno che in quel luglio 2001 da Genova ci riportò in Calabria dopo il G8. Un elastico invisibile ci lega a quelle giornate. Con Gianfranco Tallarico rendemmo omaggio alla lapide per Carlo Giuliani nel primo anniversario. Pochi mesi dopo, ci arrestarono con l’accusa d’aver cospirato, sovvertito, impedito al Governo l’esercizio delle sue funzioni, ostacolato la globalizzazione dei mercati.

    Dal G8 di Genova al tribunale di Cosenza

    Nel 2001 Gianfranco assisteva i bambini disabili. Dopo le manette, perse il lavoro. In seguito fu prosciolto in fase preliminare. Adesso è istruttore di pugilato, plurilaureato, s’è costruito una palestra con le sue mani. Educa i ragazzi di quartiere al rispetto, coadiuva la riabilitazione delle persone disabili. Anch’io per 15 giorni fui sospeso dall’insegnamento. Ma la mia scuola di Lauropoli impose al Ministero di richiamarmi subito in servizio. A Cosenza 50mila persone manifestarono per chiedere la nostra liberazione. Nei tre gradi del lungo processo, fummo tutti assolti con formula piena.

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    L’ingresso del tribunale di Cosenza

    Nel processo il compianto avvocato Giuseppe Mazzotta, sarcastico, propose la convocazione in aula, come persone informate sui fatti, degli “otto grandi della Terra”. George Bush incluso. Il Pm non si oppose. È letteratura il controesame in corte d’Assise a Cosenza del teste d’accusa Spartaco Mortola, dirigente Digos nei giorni di Genova. L’avvocato Maurizio Nucci gli mostrò le immagini delle cariche dei carabinieri su corso Torino. E il poliziotto: «Quello fu un comportamento criminale».

    Uno specchio elastico lega il G8 di Genova ai due decenni successivi; non c’è istante di quelle giornate che non riverberi nel presente. La sequenza dell’assalto al carcere di Marassi di allora, se rivista, si riflette nei filmati di oggi sulla polizia penitenziaria che infierisce sui detenuti a Santa Maria Capua Vetere.

    Le vite parallele

    Hanno fatto carriera, senza separazione, le persone che ci arrestarono. Nadia Plastina era Gip, oggi fa il Pm; Domenico Fiordalisi era pm, adesso consigliere in Cassazione. La sua inchiesta costò allo Stato almeno tre milioni di euro. Polizia e Ros dei Carabinieri lavorarono in tandem. Tonino Gentile propose in Senato promozioni per loro. Il Ros ha poi vissuto momenti bui: sentenze del 2018 lo incastrano nella trattativa Stato-mafia negli anni di Falcone e Borsellino. L’ex senatore Gentile ha ottenuto più di un sottosegretariato prima di finire invischiato, da esterno al processo, nella vicenda Oragate e allontanarsi dai palcoscenici politici più in vista. La Procura di Cosenza è retta dai discepoli di chi la resse 20 anni fa.

    Oscar Greco, studioso di storia contemporanea, era in quei giorni nella città della Lanterna: «Rappresentarono insieme l’ultimo capitolo del ‘900 e il primo del secolo entrante». Abilitato all’insegnamento da associato, avendo rifiutato le clientele baronali nell’Università della Calabria, dopo tanti anni di gavetta oggi Oscar si ritrova senza cattedra.

    Francesco Cirillo si presentò in piazza con la valigia in cartone, emblema del sud migrante e ribelle ai diktat neoliberisti. Anche Francesco sarà arrestato e poi assolto. In questi 20 anni ha confezionato succosi romanzi, accompagnando con gioia gli squarci di ribellione in Calabria: manifestazioni in difesa dei beni comuni, onda studentesca, rivolta dei braccianti neri a Rosarno, occupazioni di case, movimenti femministi, mobilitazioni per la sanità pubblica. Tutti sogni concreti che già a Genova presero fiato ma furono respinti da gas tossici, proiettili, torture, manette.

    Il sesto senso del reggino Mimmo Tramontana ci salvò dalla mattanza. Per sfuggire agli agguati a freddo che le varie polizie stavano perpetrando sui manifestanti in uscita da Genova, l’ultima sera fummo tentati di fermarci a dormire nella scuola Diaz. E Mimmo: «Compa’, andiamocene da qui. C’è un’aria che non mi piace» Oggi, col Consorzio Equosud, da lui fondato, guida i forestieri sui sentieri narranti d’Aspromonte ed esporta prodotti alimentari calabresi, liberi da sfruttamento del lavoro, acquistabili nei mercatini solidali dell’Italia centrale.

    Tra gli anti-G8 del sud, anch’egli arrestato e poi assolto, c’era pure Michele Santagata. Adesso fa il giornalista. Di recente, un istante dopo aver subito un pestaggio mafioso che avrebbe voluto tarpargli la penna, ha smascherato i suoi aggressori avvalendosi del quarto potere nel web.

    La ragione dei vinti

    Oltre al settantasettino slogan “vogliamo tutto”, il movimento del 2001 ebbe l’inedita attitudine a proporre. Abolire i brevetti su farmaci e vaccini, tassare i profitti delle multinazionali: oggi siffatte rivendicazioni sono condivise dall’intera umanità. Dopo aver vissuto quelle giornate, qualsiasi partecipazione al gioco della rappresentanza, magari entrando nelle istituzioni, per molti di noi è divenuta improponibile. Ne ha approfittato Beppe Grillo, riciclando quei temi per catalizzare consenso e farsi Stato. Noi abbiamo perso, sì. Eppure è opinione quasi unanime che avessimo ragione. È raro, ma capita pure che siano gli sconfitti a scrivere la propria storia.

  • Genova per noi | Black bloc e polizia, diario dall’inferno della zona rossa

    Genova per noi | Black bloc e polizia, diario dall’inferno della zona rossa

    Black bloc e polizia, il G8 di Genova è stato l’inferno per la zona rossa. Pensavamo che un altro mondo fosse possibile. Adesso abbiamo raggiunto il porto insicuro di una chiusura individualista, ripiegata e arresa. Ho passato anni a fuggire dall’ombra del ricordo di quella che ero prima di quei giorni.

    Con i piqueteros, leggendo Impero di Toni Negri

    Ero da poco rientrata da una lunga esperienza di vita e lavoro in Argentina, dove le avvisaglie del movimentismo anti sistema erano emerse grazie ad “Impero”, il saggio di Toni Negri e Michel Hardt. Io avevo visto dal vivo il movimento piqueteros, quindi guardavo con un pizzico di sarcasmo e di curiosità ai disobbedienti e al movimento italiano. Non condividevo molte analisi, tuttavia ero parte di quella generazione in un giorno che mai dimenticheremo. Un giorno in cui siamo stati schiacciati tra black bloc e polizia.

    L’Italia mi aveva imborghesito

    All’epoca vivevo a Bologna, dove lavoravo per una multinazionale dei servizi bancari. Che paradosso. Il mio rapporto di coppia era in crisi, il mio compagno si era trasferito a vivere in Calabria. «L’Italia mi aveva imborghesito», sentenziava davanti alle bollette da pagare. Il fine settimana precedente al G8 avevo pranzato dai miei. Erano preoccupati dalle pieghe che la protesta stava assumendo anche sui media, avevano cercato di dissuadermi dal partecipare alla manifestazione programmata per il sabato successivo.

    Quel Casarini non mi piace

    «A me quel Casarini am pies gnanc un poc» (a me quel Casarini non piace manco un po’), diceva mio padre, vecchio comunista avvezzo alle lotte e alle manifestazioni di massa. Mia mamma, l’aveva buttata sul ricatto emotivo: «Mi farai morire di crepacuore». Per non farli preoccupare, li rassicurai, baciandoli, dicendo che non sarei andata a Genova per le proteste contro il G8. Dissi loro che sarei andata in Calabria a trovare Facundo, il mio fidanzato argentino.

    Decidiamo di andare a Genova

    Decidemmo di andare a Genova con i miei colleghi. E poi il Movimento, soprattutto grazie alla mediazione di Agnoletto e alle componenti cattoliche, come Mani Tese, non avrebbe abboccato alle provocazioni. Io, Nicola e Bruno così ci trovammo all’alba di un venerdì di fine luglio caldo e assolato, alla stazione ferroviaria di Bologna, con un piccolo zaino con gli effetti per una gita fuori porta.

    Un viaggio lungo e lento

    Partimmo con l’entusiasmo dei giusti, ci sciroppammo un viaggio lungo e lento. A Bolzaneto incontrammo altri manifestanti, disorientati come noi. Io avevo fretta di raggiungere Genova perché volevo assolutamente partecipare nel primo pomeriggio ad una assemblea organizzata dal movimento “Drop the debt”. Qualcuno ci disse che c’erano dei bus di linea per Genova Marassi, il quartiere dello stadio e delle carceri. Andammo baldanzosi a imbarcarci verso l’ultima tappa del nostro viaggio, prima della tragedia.

    Il clima era cambiato

    Il clima a Genova era cambiato. Una cappa di umidità grigia soffocava la città, cominciammo a vedere fumi neri salire in lontananza da più parti. Numerosi elicotteri volavano nel cielo e il flop flop delle eliche – rumore che assocerò da lì in avanti alla paura, alla violenza e alla sopraffazione – sovrastava di poco quello delle ambulanze.

    Il nostro primo incontro con i black bloc

    A Marassi capimmo di essere finiti in un campo di battaglia. Una ventina di ragazzi, tutti vestiti di nero, casco integrale, mazze di ferro in mano. Erano capeggiati da un porta bandiera che rollava il tempo della marcia, avanzavano spaccando macchine e vetrine. Fu il nostro primo incontro con il black bloc, la falange avanzava indisturbata con la bandiera nera al vento. Rimanemmo bloccati più dallo stupore che dalla paura per una ventina di secondi, poi Bruno ci gridò di scappare. Dallo schieramento di polizia cominciavano a sparare lacrimogeni.

    Verso la zona rossa

    Alcuni manifestanti stavano saccheggiando un supermercato. La polizia era all’angolo opposto, noi ricominciammo a scappare. A quel punto la paura si era già impadronita di me, il disorientamento di fronte alla sproporzione di forze impiegate e ai black bloc, che agivano indisturbati, mi stava facendo salire il panico. Man mano che ci avvicinavamo alla zona rossa, incrociavamo ragazzi come noi terrorizzati, feriti, che scappavano e ci dicevano di allontanarci da lì ma non sapevamo dove andare.

    Hanno ucciso Carlo Giuliani

    A un certo punto sentimmo distintamente degli spari. Mentre scappavo, correvo, senza sapere bene cosa stesse succedendo, in un pulsare frenetico della città, mi vibrò il cellulare in tasca. Impaurita e stupita, lo guardai. Era un Alcatel blu, sullo schermo campeggiava la scritta “mamma”. Risposi simulando un affanno da scalata in montagna, i miei mi sapevano sul Pollino, in Calabria. Senza lasciarmi parlare mi disse: «Ninì, hai visto che hai fatto bene a dar retta ai tuoi genitori e a non andare a Genova! Hanno appena ammazzato un manifestante, un ragazzo come te».
    Era Carlo Giuliani, a piazza Alimonda.

    Alessia Alboresi

    consigliere comunale Corigliano-Rossano

     

  • Alarico, da Mancini a Occhiuto la supercazzola continua

    Alarico, da Mancini a Occhiuto la supercazzola continua

    La questione Alarico è più trasversale e lontana nel tempo di quanto si pensi. La responsabilità di questa operazione di riapparizione del mito, una vera e propria supercazzola, è di «Giacomo Mancini e del festival Invasioni, ovviamente con scopi, senso e obiettivi diversi rispetto a quelli di Mario Occhiuto» – commenta l’antropologo Giovanni Sole, che ha persino scritto un libro (Il Barbaro buono e il falso beato, Rubbettino), dove racconta l’ossessione dei calabresi – dei cosentini in particolare – per gli invasori e l’odio riversato verso i figli più illustri.

    «Telesio è stato perseguitato da questa città rimasta essenzialmente simile a quella raccontata dai viaggiatori del passato». Una comunità capace di «odiare e boicottare – sostiene il docente dell’Unical in pensione – le sue menti migliori, perché i suoi abitanti sono fatti così, spacconi che scimmiottano le grandi metropoli, con una borghesia fondiaria desiderosa di conquistare quarti di nobiltà, senza nessuno spirito di innovazione e cambiamento. Altro che Atene della Calabria!». Giovanni Sole parla del passato per decifrare il presente. «Mario Occhiuto ha capito perfettamente la psicologia dei cosentini rimasta invariata nel corso del tempo e ne ha tratto benefici politici per se stesso». Lo studioso intravede una sostanziale continuità tra la città del leone socialista e quella dell’architetto di Forza Italia.

    Giovanni Sole, antropologo e docente universitario
    La leggenda del re marcatore

    Il tesoro di Alarico sta progressivamente diventando come quello di Tutankhamon. Porta male. Occhiuto fu sfiduciato (poi rieletto con percentuali bulgare) durante la prima consiliatura a metà febbraio del 2016. Il giorno dopo era previsto un convegno sul re dei goti con annesso film, mai girato, che avrebbe dovuto dare lustro a Cosenza e lavoro a un esercito di maestranze locali. Di recente è toccato a Fausto Orsomarso, assessore regionale con delega anche al Turismo, subire gli effetti della maledizione ed essere bersagliato su Facebook.

    Su un manifesto della sua #Calabriastraordinaria tra i marcatori identitari da promuovere è comparso il fantomatico tesoro di Talarico, con una ingombrante “t” in più. E, siccome «non si hanno notizie certe, di quello di Alarico» – sostiene ancora Sole – probabilmente l’autore del testo intendeva riferirsi al «re del morzello di Catanzaro», come si legge in uno dei tanti commenti ironici apparsi sui social. Altri ricordano il brand di cravatte di alta sartoria oppure un delizioso caciocavallo silano.

    Resta nelle cronache di questa città la brochure presentata alla Bit di Milano con l’immagine di Himmler, capo delle SS arrivato a Cosenza anche lui per trovare l’inesistente tesoro. Il sindaco Occhiuto e l’assessore alla Cultura del Comune di Cosenza, Rosaria Succurro, hanno cercato di difendere quella scelta. Come? Virando sul valore storico di quell’episodio e sul solito ritornello delle strumentalizzazioni politiche di avversari e odiatori di varia natura e genere.

    Alarico, il tesoro e il museo che non c’è
    La statua equestre dedicata ad Alarico. Alle spalle, quel che resta dell’ex hotel Jolly

    Il primo cittadino nel re barbaro ha visto, invece, un modo per fare marketing e per cercare di costruire un museo senza reperti, senza un monile o una pietra preziosa del tesoro. Giovanni Sole fa notare come esista anche una «segnaletica nella città vecchia con una freccia che fornisce indicazioni per raggiungere proprio il tesoro di Alarico». E che «le fonti su Alarico non hanno alcun valore storico».

    Poco importa, si direbbe. Gli scavi sono iniziati lo stesso. Poi però li ha bocciati il Mibact. Anche la demolizione dell’edificio destinato ad ospitare il museo è diventata questione per i tribunali. Un classico di Palazzo dei Bruzi in questi anni. Proprio come l’utilizzo di celebrità amiche per promuovere un progetto (Sgarbi, Luttwak o il sinologo Sisci) o il ricorrere di nomi legati ad altre vicissitudini comunali.

    A supportare il Rup della “Riqualificazione della confluenza dei fiumi Crati e Busento e realizzazione del museo di Alarico” è Mario Capalbo, architetto ex socio del sindaco. Occhiuto lo aveva messo al vertice dell’Amaco. Sotto la sua presidenza, però, la municipalizzata ha accumulato perdite per circa 3,5 milioni di euro. Occhiuto per premiarlo di cotanto successo lo aveva “promosso” dirigente del Comune, salvo fare marcia indietro nel giro di poche ore. Ma solo perché aver presieduto l’Amaco fino a poco prima rendeva Capalbo incompatibile col nuovo incarico in municipio. Non con quello da quasi 40mila euro legato ad Alarico però.

    Se ad affiancare il Rup è Capalbo, la direzione dei lavori del fantomatico museo dedicato al barbaro, invece, è stata invece affidata alla Sigeco Engineering. Tra i soci compare Antonino Alvaro, che risulta tra gli indagati dell’inchiesta sul collaudo di piazza Bilotti. Ad oggi sulla confluenza del Crati e del Busento rimane soltanto una statua equestre dedicata al condottiero e lo scheletro del piano terra del Jolly, mostro architettonico già sede dell’Aterp. Nulla più.

  • Civica allo Stato? La politica si divide, l’Accademia sogna

    Civica allo Stato? La politica si divide, l’Accademia sogna

    Il presidente dell’Accademia cosentina, Antonio D’Elia, ne è convinto: la Civica si salva solo se si statalizza. Nei piani ottimistici dell’accademico entro due anni l’operazione si dovrebbe concludere con l’istituzione di una Sezione Civica della Biblioteca Nazionale di Cosenza. A spiegare il da farsi è l’avvocato Antonio Gerace: «Per poter avviare la procedura di statalizzazione è necessario saldare prima i debiti. Su questo lo Stato non transige. Posto che si riesca a sanare il deficit, il procedimento prevede cinque step: parere favorevole del Consiglio comunale e di quello provinciale; delibera dirigenziale Mibact o decreto ministeriale; parere del Cda della Civica; scioglimento dell’ente morale e trasformazione della Biblioteca in sezione Civica della Biblioteca Nazionale». Non esattamente il più rapido degli iter burocratici per una struttura ridotta alla canna del gas.

    Oneri allo Stato, onori all’Accademia

    Morta la vecchia Civica, resterebbe in vita l’Accademia Cosentina. Che di lasciare il passo proprio non ne ha intenzione. Saldati tutti i debiti pregressi – salvo un provvidenziale e sperato condono – tutti gli oneri resterebbero in capo al Mibact (lavoratori, manutenzione, etc.) mentre gli onori all’Accademia. Che, estromessi Comune e Provincia, si aprirebbe all’associazionismo cittadino mantenendo il controllo sul patrimonio librario in qualità di comitato scientifico. Oltre alla valutazione di tutte le opere da acquisire, manterrebbe la paternità sui circa 250mila volumi attualmente presenti che resterebbero nella sede di piazza XV marzo perché beni vincolati dalla Soprintendenza e inalienabili. Il pennacchio sarebbe salvo, gli scempi delle passate gestioni a braccetto con gli enti locali un ricordo da non rinverdire.

    Il bluff a Santa Chiara per risparmiare sull’affitto
    L'ingresso del complesso di Santa Chiara
    L’ingresso del complesso di Santa Chiara

    Qualcosa di simile è già accaduto di recente. Il 24 luglio 2020 il Mibact-Segretariato regionale per la Calabria ha acquisito il Complesso di Santa Chiara, costola della Civica, dall’Agenzia del Demanio. Questo passaggio ha consentito alla Biblioteca di non avere più l’onere di versare i 7000 euro di canone di affitto mensile per la struttura. In che modo? Grazie a un successivo accordo, si è prevista la cessione per un controvalore simbolico di 79mila euro del complesso di Santa Chiara alla Provincia. Il patto non cancella i debiti nei confronti del Demanio, ma almeno non ne genera di nuovi. «Un bluff» lo ha definito il presidente della Provincia, Franco Iacucci, che, se fosse stato fatto per tempo, avrebbe consentito un risparmio di 600mila euro invece di creare un debito di pari entità. Nessuno, però, ci ha pensato prima, neanche Occhiuto che pure per un breve periodo ha guidato contemporaneamente sia il Comune che la Provincia. O, se lo ha fatto, ha aspettato a lungo prima di passare dalle idee ai fatti. Intanto il debito aumentava.

    Civica allo Stato? I debiti non si cancellano

    Il professore Gimigliano propone «l’iscrizione della Civica nel registro dell’Unesco come patrimonio culturale del mondo». L’ipotesi che sia ancora lo Stato a levare le castagne dal fuoco, d’altra parte, al momento non è affatto scontata come si potrebbe credere. Chiare a riguardo le parole di Anna Laura Orrico, ex sottosegretario di Stato ai Beni e le Attività culturali del Governo Conte: «La statalizzazione non risolve la problematica debitoria pregressa. Tale evenienza può verificarsi solo nel momento in cui i soggetti che governano la Civica esprimono in maniera formale una volontà precisa in tal senso». Il Governo ha già stanziato 10 milioni per la biblioteca, chiedere anche che a Roma rinuncino agli affitti arretrati sembrerebbe troppo. Se l’unica speranza a cui aggrapparsi secondo l’Accademia è il trasferimento della biblioteca allo Stato, non sembrano del tutto d’accordo però gli altri soci.

    Municipalizzare la Civica: l’idea c’è, i soldi no

    Il meno intransigente è il presidente della Provincia, Franco Iacucci. «Anche se come ente non abbiamo più la delega alla Cultura, alla statalizzazione pura preferirei una formula mista». Mario Occhiuto, invece, ad aprile 2020 si è rivolto a D’Elia dicendo di essere stanco di foraggiare la Civica, dimenticando forse che Palazzo dei Bruzi non versa un centesimo da un paio d’anni. Poi ha avanzato l’ipotesi di una municipalizzazione dell’ente morale. Se la Biblioteca fosse del Comune – questa la posizione del sindaco – sarebbe possibile un «nuovo indirizzo gestionale». A quello, sosteneva, seguirebbero le «attività propedeutiche al suo effettivo rilancio».

    Non semplice, però, secondo il parere del dirigente comunale del settore Cultura, Francesco Giovinazzo. Che a novembre 2020 ha spiegato ai consiglieri che nel bilancio post dissesto al vaglio del Governo «quello alla Biblioteca è stato considerato come un contributo. Come tale non rappresenterebbe una spesa obbligatoria. Il servizio che ne deriva è catalogato tra quelli non essenziali». Una dichiarazione che, se dovesse trovare conferma, metterebbe una seria ipoteca sul futuro della Civica. Sempre Giovinazzo: «Va sviluppato un ragionamento per stabilire se si configura a carico del Comune un obbligo di partecipazione, se si tratta veramente di un contributo e come è possibile prevedere somme che nel bilancio stabilmente riequilibrato non ci sono». Con la municipalizzazione si troverebbero? Visti i recenti investimenti sulla cultura è difficile dirlo.

    Barricate bipartisan

    Rigida la posizione della consigliera comunale di opposizione Bianca Rende, che boccia la statalizzazione e tira in ballo la Regione. «Per me i volumi della Biblioteca Civica sono inalienabili come i Bronzi di Riace. Difendere la Civica è difendere il genoma di Cosenza. Serve una classe dirigente che pensi alla cultura, nessuno ha ancora portato a compimento la legge regionale che istituisce un sistema unico delle Biblioteche regionali».
    Sulla stessa barricata la collega di maggioranza Annalisa Apicella. «Non si può rinunciare a un patrimonio identitario di Cosenza e di tutta la provincia. Bisogna avere il coraggio di affrontare il tema, anzitutto partendo dallo statuto e senza pregiudizi ideologici, altrimenti non ne usciremo».
    Agli oltranzisti dell’inamovibilità dei libri, la direttrice della biblioteca, Antonella Gentile, ha replicato con sconsolata ironia. «A lasciare deperire e perdere definitivamente il patrimonio librario preferisco un trasferimento ovunque purché i libri siano tutelati e valorizzati».