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  • Cosenza: fidarsi di Goretti, mai di Guarascio

    Cosenza: fidarsi di Goretti, mai di Guarascio

    La chiusura del calciomercato, decretata alle 20 di avantieri sera in un’epoca in cui il “tempio” del mercato pallonaro della penisola sembra essersi trasformato in un luogo asettico di camicie bianche e disperazione causa crisi economica, ha aperto subito l’era dei processi e dei giudizi per direttissima. In serie B, che poi è la categoria che ci riguarda da vicino, le più grosse testate nazionali e i bookmakers inglesi hanno messo il Cosenza calcio tra gli organici candidati alla retrocessione in C, mentre Crotone e Reggina pare possano dormire sonni tranquilli.

    Nulla di nuovo, verrebbe da dire, anche perché la lunga vicenda della riammissione (o ripescaggio, che ognuno, a seconda della propria coscienza, chiami questa cosa come gli pare) arrivata quando mezza cadetteria era già in ritiro da quasi un mese, ormai è cosa nota a tutti e non interessa più a nessuno. Eugenio Guarascio escluso, ovviamente.

    Goretti tenta il miracolo

    Interessa più che altro vedere cosa accadrà da adesso in avanti, tenendo conto che le premesse, restando sempre con i pensieri a ciò che accade in riva al Crati, sono realmente poco confortanti. Prima, però, se proprio un giudizio si vuole dare a qualcuno alla luce di quanto visto negli ultimi giorni nel capoluogo lombardo, non si può non pensare a Roberto Goretti, neo direttore sportivo, che in poco più di due settimane è riuscito a mettere in piedi quasi da zero, come nelle migliori tradizioni del calcio bruzio in salsa guarasciana, una rosa di calciatori.

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    Il nuovo ds del Cosenza, Roberto Goretti

    Il suo voto – e me ne assumo tutte le responsabilità – è alto, altissimo e non perché la squadra, piena zeppa di sconosciuti con l’aggiunta di Palmiero, Millico e pochi altri, a guardarla con la lente d’ingrandimento sia di grande qualità, ma per la pazienza e il sangue freddo con cui ha saputo gestire ogni minima trattativa sentendo, 24 ore su 24, il fiato sul collo del suo riconoscibilissimo datore di lavoro, per la prima volta in undici anni di presidenza rossoblù presente laddove si concludono gli affari.

    Costruirò una grande squadra

    Dichiarazioni di circostanza a parte, sarebbe interessante sapere cosa pensa davvero oggi, dopo i due giorni di Milano, il neo ds rossoblù dell’imprenditore ambientale. Ne aveva parlato bene nel giorno della sua conferenza stampa di presentazione, affidandosi, forse ingenuamente, alle frasi ad effetto dei suoi predecessori Meluso e Trinchera per rendere l’idea: «Prima di accettare Cosenza, li ho chiamati ed entrambi mi hanno parlato bene di Guarascio». Che mattacchioni.

    Da lì in poi, com’era prevedibile, il suo lavoro è stato una corsa contro il tempo e contro l’eccitazione che aveva prima della firma del contratto. È vero, si veniva da giorni di precarietà e di incertezza, tali da giustificare il ritardo nella costruzione della rosa, ma le esternazioni dell’assente presidente Guarascio lasciate in dono al sindaco Mario Occhiuto («mi ha detto che stavolta costruirà una grande squadra»), lasciavano intravedere, almeno in chi crede ancora a Babbo Natale, uno spiraglio di luce in fondo al tunnel, o qualcosa che gli somigliasse.

    Alle tradizioni non si rinuncia

    Ma, in un batter d’occhio, tutto è tornato al suo posto. La partenza ad handicap è diventata un alibi e al “San Vito-Marulla”, dopo lo sballottato tecnico Zaffaroni, è piombato un manipolo di calciatori, quasi tutti più adatti alla C che alla B. Calciatori volenterosi che, senza batter ciglio, indossando la casacca dell’anno scorso (perché, pare che senza la certezza della categoria, non si potessero neanche avere delle divise nuove) hanno accettato come kamikaze giapponesi di giocarsi la pelle contro Fiorentina, Ascoli e Brescia.

    Il resto è storia recente, si aspettava almeno una punta da doppia cifra e invece non si è riusciti ad andare oltre il sogno Emmanuel Rivière. Il suo ritorno, sponsorizzato dallo stesso Guarascio, a un certo punto sembrava cosa fatta: «C’è l’accordo con il calciatore» – urlavano gli esperti di mercato – «Il Cosenza pagherà il suo ingaggio per intero»; «Il patron per lui è disposto a superare il budget abituale».

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    Emmanuel Rivière nella stagione in cui ha indossato la maglia del Cosenza

    Poi, però, non se n’è fatto più niente, più che altro perché oltre a dialogare amabilmente con il diretto interessato e col suo procuratore, sarebbe stato opportuno rivolgersi anche al Crotone, proprietario del suo cartellino. Invece, come dichiarato dalla stessa società pitagorica in uno strano ma eloquente comunicato stampa, nessun dirigente del Cosenza ha mai mostrato interesse per l’attaccante martinicano.

    A meno che, ma qui rischiamo di addentrarci in un territorio che ha a che fare più con il fantacalcio che con la realtà acquisita, lo stesso Cosenza non abbia deciso di attendere la rescissione del contratto del calciatore per ingaggiarlo da svincolato. Per ora, l’unica cosa da fare è raccontare i fatti, e i fatti dicono che l’attacco silano è un’incognita.

    Una marea di se

    Nonostante i pronostici abbiano già decretato la morte sportiva del team di Zaffaroni, è oggettivamente troppo presto per capire che fine farà questa squadra. Dal discorso potrebbero spuntare fuori una marea di se, come accade quando sei povero e sogni l’impossibile o scommetti tutto quello che hai sul cavallo più scarso per vincere di più. “Se” Rigione riuscirà a governare la difesa come faceva Dermaku, “se” Palmiero sarà quello di tre anni fa, “se” Millico non si farà male un giorno sì e l’altro pure come accaduto nella scorsa stagione, “se” Gori sarà il nuovo Margiotta e tanti altri di quei se che non basterebbe un altro articolo a contenerli tutti insieme.

    Però, a pensarci bene, forse non è questo che conta realmente. Alla fine, sul campo o fuori, si potrà anche raggiungere l’ennesima striminzita sopravvivenza, in grado di far respirare una città che di pallone vive e si nutre per dimenticare ciò che la circonda. Ma cosa resterebbe del Cosenza e della sua gente innamorata e rassegnata ormai al minimo sindacale? Come accade guardando passivamente il degrado in cui è caduta rovinosamente la città, negli occhi di tutti resterebbe il solito vuoto, telecomandato da chi, quell’entusiasmo potenziale, da 11 anni a questa parte lo tiene in pugno e non lo lascia esplodere a dovere.

    Niente scuse

    Il presidente del Cosenza calcio Eugenio Guarascio, dopo le dure e meritate contestazioni dei mesi scorsi, ha deciso di chiudersi nel suo fortino di Lamezia. Non parla, non passeggia più su corso Mazzini col gelato in mano, è offeso duramente con l’intera città, non la stima neanche un po’ e non ha nessuna intenzione di abbandonarla. Non ha nessuna intenzione di chiederle scusa per i recenti danni emotivi e di immagine che le ha causato.

    Resta lì, sul suo trono, per un appalto e per un capriccio che continua ad arricchirlo mentre il popolo ai suoi piedi si impoverisce di speranza. Sa benissimo che per gestire come si deve una società di calcio professionistica, non basta un direttore sportivo coraggioso e competente. Sa bene che servirebbero anche un direttore generale, un settore giovanile all’avanguardia che lavori in collaborazione con altre società satellite, uno staff sanitario di prim’ordine. E poi, ancora, strutture attrezzate, un’area scouting di primo piano e una mentalità aperta. È consapevole che dovrebbe puntare con decisione sulla comunicazione, oggi più che mai fattore indispensabile per una azienda sportiva ad alti livelli.

    La fortuna durerà in eterno?

    Lo sa bene Guarascio, ma per lui non è importante. A lui basta avere un direttore sportivo senza grilli per la testa, affidargli ogni anno uno dei budget più bassi dell’intero panorama professionistico e pretendere che vada tutto bene. E può anche andare bene ogni tanto, perché no? Il direttore sportivo pesca nel mucchio (rigorosamente con la formula del prestito) una decina di ragazzini girovaghi alle prime armi (sconosciuti al mondo ma osannati dagli eternamente fiduciosi come se fossero dei Messi in rampa di lancio) e magari accade che un paio di questi, proprio quando giocano per te, beccano l’annata perfetta o si scoprono addirittura dei campioncini in grado di tenerti a galla. E tutti lì a dire: che bravo però il direttore sportivo, che fiuto il patron Guarascio.

    A volte funziona, a volte no. A volte si resiste e a volte si retrocede. Salvo poi cavarsela miracolosamente grazie a una pandemia che stravolge gli equilibri, grazie a un gol di Jallow al 91’ e a un fallimento improvviso di una squadra che ti riapre le porte di un torneo che avevi abbandonato con disonore.
    Tutto qui. Ormai si sa che è tutto qui. Ma oggi, 2 settembre 2021, a cosa serve ricordarlo? Oggi è tempo di rinnovati pronostici, di critiche ed applausi.
    C’è una squadra nuova da tifare e da contestare per dimenticare.

    Francesco Veltri

  • Mendocita, il 10 calabrese che fece tunnel a Pelè

    Mendocita, il 10 calabrese che fece tunnel a Pelè

    Quando in un campo di periferia sboccia un talento per il calcio, oltre quella polvere può stagliarsi il destino di un futuro re, o addirittura un dio. In Sudamerica vale in Brasile e in Argentina, in Uruguay e pure in Cile, in Paraguay e in Perù. Vale dappertutto, ma non in Venezuela.

    Per le strade di Caracas, infatti, si osserva una religione diversa: El beisbòl, una passione popolare che nasce negli scambi commerciali di inizio ‘900 con gli Stati Uniti e che scoppia dopo il 1941, quando la squadra nazionale venezuelana torna dalle Amateur Baseball World Series a Cuba con il titolo, dopo un’epica finale con i padroni di casa. Da allora è esploso un movimento che ha portato la compagine nazionale di baseball a vincere tre volte la coppa del mondo di disciplina. La Nazionale di calcio venezuelana, invece, resta l’unica della Confederación sudamericana de Fútbol (Conmebol) a non averlo mai disputato un Mondiale.

    All’insegna di questo sogno, vedere il Venezuela ai Mondiali di calcio, è vissuta la storia di Luis Alfredo Mendoza Benedetto, da tutti chiamato Mendocita: il miglior calciatore venezuelano di sempre. È una storia d’altri tempi la sua, che comincia dalla Calabria.

     

    Mendocita - Infografica

    Da Scalea a Caracas

    A inizio del secolo Biagio Benedetto parte da Scalea, sul Tirreno cosentino, per approdare a Caracas, dove da sua figlia nasce il 21 giugno del 1945 il piccolo Luis Alfredo “Mendocita”. Cresce pensando solo al pallone, ma quando ha 12 anni i venti di dittatura costringono la sua famiglia a ripercorrere la rotta migratoria.

    Rieccoti Italia, prima a Genova e poi a Parma, dove il padre decide di iscriversi all’Università per laurearsi in Economia. Mendocita gioca ovunque riesce, tutto il giorno, ma in Italia può farlo solo come amatore. Le regole del tempo non danno accesso agli stranieri nelle formazioni giovanili.

    Passano tre anni così, a meravigliare chiunque ha l’opportunità di vederlo giocare, poi si torna in Venezuela, nel frattempo passato a una nuova era democratica. Da mattina a sera ricomincia a correre dietro a un pallone insieme ai suoi amici nell’Avenida San Martin. Poi, un giorno qualunque, l’allenatore del Banco Agrícola y Pecuario, El Indio Clemente Ortega, si accorge di lui.

    Passa da quelle parti per caso e subito pensa di non aver mai visto nulla di simile. Gli si avvicina e gli offre un ingaggio. Così Mendoza esordisce immediatamente nel campionato professionistico, inizialmente come attaccante esterno. Poi arriva il 1963, l’anno della consacrazione. Il Deportivo Italia, una delle società più forti e ambiziose, riesce a strapparlo alla concorrenza e lo trasforma in un centrocampista di classe sopraffina. Ad appena 16 anni arriva la chiamata nella “Vinotinto”, la Nazionale venezuelana, chiamata così per l’inconfondibile rosso vino che ne colora le divise.

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    Mendocita insieme a suo figlio prima di una partita del Deportivo Italia

    Comincia la passione più intensa della sua vita. Testa alta, palla incollata ai piedi, dribbling e falcata da leader assoluto. Il numero dieci gli appartiene di diritto, anche la fascia da capitano. Dodici gol messi a segno in 55 partite. Lotta come un leone in tre fasi di qualificazione, verso Inghilterra ’66, Messico ’70 e Germania ’74, ma il sogno non si realizza mai. Lo sport non è solo questione di vittorie però; specie quando era fatto di poche partite in tv, quando era animato soprattutto dalla leggenda che correva di bocca in bocca, questo figlio di calabresi è stato un protagonista assoluto.

    El gol del siglo

    In Venezuela gli amanti del calcio di ogni età conoscono il racconto dell’impresa di Mendocita in una calda notte di Caracas del 1969. Era il 2 di agosto, per le qualificazioni mondiali il Venezuela ospita la Colombia di Francisco Zaluaga che all’andata ha vinto 3-0. Al minuto cinquantuno il gioco è fermo sullo 0-0. Il terzino David Mota vede improvvisamente Mendocita smarcarsi e corrergli incontro: con gli occhi infuocati da una scintilla gli chiede urgentemente il pallone.

    Nessuno in campo sta minimamente considerando la possibilità che quest’uomo che ora controlla con i piedi l’oggetto del suo desiderio ha già visto cosa sta per succedere. Ok, la Colombia non si può battere, ma tutta quella gente non può tornare a casa delusa. Un passo in avanti palla al piede, due oltre la lunetta del centrocampo e poi da quel prato verde decolla senza ali una parabola geniale, in grado di solcare l’aria per quasi 40 metri prima di finire in rete.

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    Il grande Pelè con Mendocita

    Un miracolo sportivo che resiste al tempo, il punto più magico della sua carriera da professionista, terminata a 41 anni, passando il testimone al figlio. Mendocita giocando al calcio per il suo paese ha fatto il tunnel a Pelè e dato del tu a Maradona, e oggi di stagioni della vita ne ha collezionate 76, ha sconfitto due volte il cancro e ha messo su una famiglia unita, gira ancora i campi di periferia di tutto il Venezuela in cerca del suo sogno, sempre con la dieci vinotinto addosso, come la divisa di un eroe in missione per conto del calcio.

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    In uno scatto che ha fatto il giro del mondo, Mendocita parla con Chavez, in campo con Maradona e Morales
    A Coverciano col Trap

    Ha lavorato anche per la federazione e per la selezione nazionale, affiancando il commissario tecnico Manuel Plasencia alle Olimpiadi del 1980, quando il Venezuela venne ripescato all’ultimo. Ai due, sorpresi dalla notizia mentre erano al ristorante, toccò scrivere su un tovagliolo i nomi da portare a Mosca.
    È tornato anche in Italia Mendocita, ha studiato a Coverciano insieme a Fabio Capello da professori come Enzo Bearzot e Giovanni Trapattoni. Ma ancora una volta non erano le luci della ribalta che cercava, il suo sogno è rimasto collettivo. Alla panchina in qualche squadra professionistica ha preferito girare in lungo e largo per far crescere il movimento, per stare in mezzo ai giovani e farli innamorare del calcio.

    La Rabona dello Stretto

    La crescita della nazionale maschile venezuelana negli ultimi decenni è avvenuta soprattutto grazie all’apporto di una nuova schiera di calciatori decisamente più talentuosi dei loro predecessori. Anche sui campi del Belpaese un po’ di anni fa iniziarono ad affacciarsi alcuni venezuelani. Per ricostruirlo tocca tornare ai dilemmi amletici dei giovanissimi collezionisti delle figurine, che faticavano a spiegarsi la presenza negli album di giocatori nati in Venezuela, ma con una carriera costellata di esperienze fatte solo in Italia.

    Il primo della lista è Ricardo Paciocco, punta cresciuta nel settore giovanile del Torino con una brevissima esperienza nel Milan post-serie B. Poi Lecce, Pisa e Reggina nella cadetteria.
    Proprio in riva allo Stretto, con la maglia degli amaranto, Paciocco scrive la leggenda. Nei minuti finali del match contro la Triestina, con l’importante match fermo sull’1-1, ha la folle idea di segnare un calcio di rigore con la rabona. Portiere spiazzato e gol partita, un gesto tecnico mai visto prima che in molti fecero fatica persino a comprendere. Allenatore dei calabresi all’epoca era Bruno Bolchi detto “Maciste”, pare che quando si girò verso i componenti della panchina per scoprire perché Paciocco prendeva la rincorsa sul piede sbagliato, dovettero tenerlo in cinque.

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    Reggina-Triestina, la rabona su rigore di Paciocco

    Paciocco nonostante tutto quel coraggio e quell’estro, tuttavia, non giocò mai con la maglia del Venezuela. Lo fece, invece, Massimo Margiotta, puntero classe 1977 nato a Maracaibo, ma che ha giocato soltanto in club italiani, tra cui il Cosenza, nella stagione 1997-1998. Per lui 19 reti nel torneo di serie C e promozione in B nell’anno che lo lancia nel calcio che conta.

    Attaccante forte fisicamente e abile di testa, Margiotta fece la spola tra A e B durante i primi dieci anni del nuovo secolo, togliendosi la soddisfazione di diventare il miglior bomber europeo del Perugia, nonostante una permanenza di soli sei mesi in Umbria. Dopo qualche leggendaria partita internazionale con l’Udinese (doppietta al Bayer Leverkusen di Ballack e Ze Roberto) e una lunga militanza nelle rappresentative giovanili della nazionale italiana, nel febbraio del 2004 capisce che il suo spazio negli anni della generazione di fenomeni (Vieri, Inzaghi, Montella, Gilardino, Di Natale etc) sarà poco e quindi cede alle “lusinghe” del Venezuela.

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    Massimo Margiotta con la maglia del Cosenza di Giuliano Sonzogni

    Ci mette un po’ a decidere perché ha paura di volare, ma la voglia di affrontare il Brasile di Kakà e l’Argentina di Messi fanno miracoli. Così, con la numero dieci vinotinto che fu di Mendocita, colleziona 11 presenze e due reti, una delle quali bellissime, segnata contro il Perù nell’ennesima Coppa America chiusa senza vittorie dal Venezuela.

    L’eredità di Mendocita

    Nell’ultimo lustro la Vinotinto è riuscita a raccogliere risultati sorprendenti nei tornei giovanili. Certo, il cammino è ancora lungo. Ma la sensazione è che i “nipotini terribili” di Mendocita abbiano tutte le carte in regola per realizzare il vecchio sogno: portare la Vinotinto al suo primo mondiale di calcio. Anche perché c’è stata una notte particolare per il calcio vinotinto, una di quelle che ti dice che tutto è possibile.

    È andata in scena il 3 ottobre del 2016, ad Amman, in Giordania. Si sta giocando una partita del mondiale Under 17 tra il Camerun e il Venezuela, siamo al 93’ minuto e la formazione africana ha appena raggiunto il pareggio. Resta il tempo di riprendere il gioco e poi arriverà il fischio finale: un punto a testa e la strada della Vinotinto, che si ferma di nuovo, come sempre. Qualcuno su quel campo però, ha di nuovo la scintilla del genio, come 48 anni prima. È sulla linea del centrocampo, ha la fascia da capitano al braccio e la palla sul destro, proprio come Mendocita. Gol da centrocampo, il miracolo si ripete, ma stavolta davanti agli occhi del mondo. Grazie ai social l’impresa diventa presto virale e arriva in finale al Premio Puskas della Fifa.

    Non solo è la prima volta per il Venezuela, è la prima volta per una donna. A realizzare questo gol è stata la giovanissima Deyna Cristina Castellanos Naujenis. Una ragazza che viene da un polveroso campo di Maracay, dove giocava contro il volere del padre. Perché se già è così difficile imporsi per un venezuelano, figurati per una venezuelana. Invece Deyna ora è l’astro nascente del calcio femminile mondiale, la calciatrice più seguita sui social, dai quali ogni giorno parla a milioni di persone.

    Un fiore mai appassito

    Finalmente c’è un nuovo fiore vinotinto, e il suo sogno sportivo stavolta sarà impossibile da ignorare. Infatti, il calcio in Venezuela prende sempre più piede approdando anche nel mondo della musica. Il rapper Nk Profeta ha scritto una canzone con centinaia di migliaia di streaming. Si chiama La Vinotinto e nelle barre dice: «I tempi in cui indossavi il giallo applaudendo Ronaldinho sono finiti…quando compravi la maglia di Messi e non la nostra. Non siamo più Cenerentola e ci guadagniamo rispetto… non dubitare che il mondo sarà il tuo premio…Venezuela insieme e unito: padroni del nostro destino, senza dimenticare Luis Mendoza».
    Un fiore sbocciato nel campo sbagliato, ma mai appassito.

    Alfredo Sprovieri, Francesco Veltri, Pasqualino Bruno

     

  • Cosenza, stavolta ci siamo: sarà Serie B

    Cosenza, stavolta ci siamo: sarà Serie B

    La notizia che tutti a Cosenza aspettavano è arrivata. Con tutta calma, ma è arrivata. Il Chievo è fuori dalla serie B e dal calcio professionistico, respinto anche dal Tar del Lazio il suo ricorso per chiedere l’iscrizione al campionato. Troppe le inadempienze dei veronesi con il fisco, anche il tribunale amministrativo ha confermato quanto già ampiamente sancito dalla giustizia sportiva. Niente più X sul calendario della Serie B 2021/2022, la casella finora vuota ha un nuovo inquilino: la società di Eugenio Guarascio.

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    La decisione del Tar sull’istanza presentata dal Chievo

    Si chiude così una telenovela prolungatasi fin troppo, per la strana decisione della Figc di non dare seguito immediato a quanto stabilito a più riprese dai suoi organi a luglio. Una prudenza, quella di Gabriele Gravina e i suoi, apparsa ingiustificata agli occhi di molti e rivelatasi superflua. La decisione della sezione I-Ter del Tar del Lazio non si discosta da quelle già arrivate, per cui niente sospensiva al provvedimento di esclusione come richiesto dal Chievo. Niente procedura d’urgenza come volevano i veneti. Infondato il reclamo avverso la sentenza emessa dal Collegio di Garanzia dello Sport del Coni. Il provvedimento fissa l’udienza in camera di consiglio nei tempi stabiliti dal giudice. Ora la Figc dovrà ratificare la decisione, poi per il Cosenza sarà serie B.

    Sarà la quarta stagione consecutiva per i Lupi tra i cadetti, la seconda di fila per merito dei gialloblù. La penultima stagione, infatti, si era chiusa in trionfo grazie a un goal last minute del clivense (ma cosentinissimo) Luca Garritano, che aveva evitato al Cosenza i playout dopo una rincorsa da record. In quest’ultima, invece, è stato l’autogol di Campedelli e i suoi a spalancare le porte per una permanenza in B che il Cosenza non aveva fatto nulla per meritare sul campo.

     

  • Cosenza o Chievo in B? Il Tar prende tempo

    Cosenza o Chievo in B? Il Tar prende tempo

    Chievo fuori, Cosenza dentro. Oppure l’esatto contrario. Ancora una volta bisognerà attendere prima di conoscere quale sarà la ventesima squadra della serie B 2021/2022. La decisione del Tar del Lazio, attesa per il pomeriggio di oggi, non è arrivata. Il tribunale, proprio come gli organi federali nei giorni scorsi, ha deciso di prendersi un altro po’ di tempo prima di pronunciarsi sul ricorso dei veronesi. Il verdetto, salvo ulteriori rinvii, arriverà nella mattinata di domani.

    I timori dei tifosi del Cosenza

    Al momento l’unica certezza è che, nel caso il Tar confermi l’esclusione del Chievo dalla cadetteria, sarà il Cosenza, come quart’ultima dello scorso campionato, a rilevarne il posto. Le certezze dei giorni scorsi sul prossimo ripescaggio, seguite alle plurime bocciature della giustizia sportiva alle istanze dei veneti, tra i tifosi rossoblù però cominciano a vacillare. L’atteggiamento pilatesco assunto dal presidente Gravina, che invece di riammettere subito i Lupi ha deciso di aspettare, fa il paio infatti con il tempo extra che pure il Tar si è riservato prima di dire la sua sulla questione.

    Sospensiva sì o no?

    L’udienza di oggi è cominciata verso le 16:30 e vedeva Coni, Figc e Cosenza schierate contro il ricorso del Chievo. Ma già un’oretta e mezza dopo circolava la notizia del nulla di fatto. Il nodo su cui dovranno pronunciarsi i giudici riguarda le inadempienze fiscali dei gialloblù, ritenute insanabili dalla giustizia sportiva nei precedenti gradi di giudizio. Ma ora la partita è di nuovo aperta e se dalla sezione I-Ter del tribunale amministrativo laziale la società di Campedelli dovesse ottenere l’agognata sospensiva al provvedimento di esclusione per quella di Guarascio sarebbe davvero dura continuare a sperare.

    Il Chievo continua a sperare

    Gravina, infatti, a quel punto sarebbe legittimato a reinserire il Chievo come ventesima squadra del campionato. Poi bisognerebbe attendere l’udienza collegiale del Tar, che al momento è in programma il 7 settembre. Poco importa che sarà senz’altro anticipata, considerato che l’inizio del campionato è fissato per il 20 agosto. Chi “vincerà” domani difficilmente potrebbe perdere in quella seconda occasione e gli eventuali ricorsi non potrebbero che arrivare a campionato già cominciato, rendendoli con ogni probabilità vani.

     

  • Figc, la riforma della B tiene in bilico il Cosenza

    Figc, la riforma della B tiene in bilico il Cosenza

    «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi»: è quasi automatico pensare alle parole di Tancredi Falconeri ne Il Gattopardo dopo la decisione della Figc di non riammettere già da ieri mattina il Cosenza in serie B.
    Una scelta inedita, quella di attendere le motivazioni della sentenza prima di eseguirla, che ha fatto storcere il naso a parecchi. Il nuovo modus operandi adottato per la prima volta con (o, secondo qualcuno, a danno de)i Lupi, che già pregustavano la riammissione, non è privo di fondamenti giuridici. O, almeno, non lo è del tutto.

    A spiegarlo a I Calabresi è Vincenzo Ferrari, professore emerito dell’Università degli Studi di Milano e già preside e direttore della Scuola di dottorato della facoltà di Giurisprudenza dell’ateneo meneghino. «L’attesa della motivazione rientra nella discrezionalità della Federazione che deve dare esecuzione alla sentenza», spiega l’accademico. Ma quella discrezionalità ha comunque vita breve: «Cesserà immediatamente – aggiunge Ferrari – non appena verrà depositata la motivazione».

    Lo Sport si inchina al Tar?

    Quello che al professore non torna è che la Figc, nel lasciare la patata bollente in mano al suo presidente Gravina, abbia chiamato in causa in un comunicato di ieri anche «le eventuali impugnazioni al Tar con richiesta di provvedimento monocratico» che potrebbero arrivare dal Chievo. «Non sarebbe in ogni caso legittimo – precisa Ferrari – attendere la decisione del Tar, poiché quello sportivo è un ordinamento autonomo e le decisioni vanno attuate senza ritardo dagli organi sportivi».

    Eppure a coinvolgere nel discorso i tribunali amministrativi è proprio la Figc, quasi come se quelli che hanno già respinto il ricorso dei veronesi (a cui invece dovrebbe fare riferimento la Federazione) rinunciassero alla propria autonomia. O come se nelle udienze “contro” il Chievo non ci fosse la Federazione stessa. «È un po’ strano – prosegue ancora Ferrari – che si dica “aspettiamo il Tar”, la giustizia sportiva è indipendente da quella ordinaria. Ed è alle decisioni della prima che la FIGC si dovrebbe adeguare». Stranezza che aumenta quando si pensa che ad esprimersi contro i veneti sono già stati la Covisoc, il Consiglio federale e il Collegio di Garanzia del Coni. Tre gradi di giudizio evidentemente non bastano, se nel calendario della prossima stagione di B, quantomeno fino al 2 agosto, per il momento resta una X al posto della ventesima squadra iscritta.

    La politica alza la voce

    In riva al Crati, nel frattempo, si grida al complotto per paura che dopo una riammissione che sembrava ormai certa possano arrivare spiacevoli sorprese. La politica, com’è scontato che sia, prova a blindare la “vittoria” dei rossoblu. Il consigliere comunale Giovanni Cipparrone invita alla battaglia «tutta la deputazione cosentina e calabrese», chiedendo che presenti un’interrogazione parlamentare «cazzuta». «Non solo si sta perpetrando un danno ad un’intera città calcistica, ma si sta cercando di far passare per giusti degli evasori riconosciuti da tutti fino ad oggi.». Il suo collega Sergio Del Giudice, a propria volta, non usa troppi giri di parole, commentando «l’ennesima grottesca baggianata degli organi federali». Auspica anche lui interrogazioni parlamentari, ma anche che sia Cosenza stessa a dare un segnale. «Chiedo – scrive – al sindaco Occhiuto ed alla Giunta tutta, nonché allo stesso presidente Guarascio ed ai suoi legali, di presentare formale diffida alla Figc ed al suo presidente Gravina al fine di predisporre l’immediata riammissione del Cosenza Calcio al campionato di Serie B. Diciotto anni fa, per cose molto meno gravi, proprio il Cosenza fu fatto sparire dal calcio che conta per favorire la Fiorentina».

    Occhiuto alle diffide per ora non pensa. Ma dichiara che «alla luce del pronunciamento del Consiglio federale, la serie B per il Cosenza non può più essere messa in dubbioné dalle motivazioni del Collegio di garanzia che il presidente Gravina ha chiesto di attendere, né da tardivi ricorsi al Tar. Cosenza e la sua squadra di calcio – prosegue – meritano rispetto. Fiduciosi nella positiva conclusione di questa vicenda – conclude il sindaco – vigileremo contro ogni eventuale colpo di mano affinché trionfino i valori dello sport e della correttezza».

    Le differenze tra 2021 e 2003

    Quanto al precedente del 2003 rievocato da Del Giudice, quasi vent’anni dopo quella decisione che favorì la Viola è ancora dura da digerire per i tifosi rossoblu. Ma anche per chi a quei tempi guidava il Cosenza. Luca Pagliuso – figlio dell’allora presidente dei Lupi, Paolo Fabiano – racconta come il parallelo tra quanto accaduto allora e gli ultimi avvenimenti sia però improprio. «All’epoca subimmo un danno economico enorme, con un parco giocatori che valeva decine di milioni che si svincolò». «Penso che fosse stato tutto deciso già da mesi, il Cosenza fu ucciso dalla Figc e da altri», aggiunge alludendo all’inchiesta del pm Facciolla che vide coinvolto – e poi assolto con formula piena negli anni successivi – suo padre.

    Tornando all’attualità, Pagliuso Jr preferisce non esprimere giudizi sulla gestione Guarascio. Ma la scelta della Figc ha lasciato pure lui perplesso e un consiglio al presidente rossoblù alla fine prova a darlo. «La società dovrebbe diramare un comunicato in cui dichiara che in base alle decisioni arrivate si considera riammessa in B, cominciare ad acquistare giocatori per la categoria e depositare i loro contratti. Così facendo metterebbe spalle al muro la Federazione, paventandole il rischio di dover risarcire poi i Lupi se quei contratti si dovessero stracciare per la mancata riammissione».
    Difficile pensare che a via degli Stadi gli diano retta: la proverbiale parsimonia di Guarascio non lascia immaginare esborsi nel breve, tanto più con la possibilità di ritrovarsi sul groppone stipendi più alti della media di un eventuale campionato di C.

    La riforma dei campionati dietro la scelta della Figc

    Il vero nodo della questione, più che la giurisprudenza, le dietrologie e le strategie, sembra essere la riforma del calcio professionistico che Gravina e Figc vorrebbero concludere nel giro di tre anni. La riduzione da 20 a 18 squadre della B mal si concilia con l’ipotesi che nella stagione 2021/2022 ce ne possano essere 21 a sfidarsi. Riammettere il Cosenza fin da subito, come logica avrebbe voluto dopo l’ennesima bocciatura delle ragioni del Chievo, non implica automaticamente che i veronesi non possano vederle riconosciute dal Tar nel futuro prossimo. Questo obbligherebbe la Figc a far rientrare in serie cadetta anche i gialloblu oltre ai Lupi. E passare da 21 a 18 è più complicato che farlo partendo da 20.

    E allora, proprio come nel libro di Tommasi di Lampedusa, per far restare tutto come è ora, senza squadre di troppo, meglio cambiare tutto. Ossia non fare quello che si chiedeva di fare – in aula contro il Chievo c’era la Figc stessa, non il Cosenza – nonostante la decisione arrivata sia favorevole. Poi prendere ancora tempo in attesa delle fatidiche motivazioni della propria vittoria. Se è per essere sicuri che l’esclusione dei veronesi sia blindata e non modificabile dal Tar oppure per far fuori il Cosenza si potrà capire solo tra qualche giorno.

  • Calcio, la Figc ci ripensa? Cosenza nel limbo

    Calcio, la Figc ci ripensa? Cosenza nel limbo

    La Figc smentisce se stessa. Il Consiglio federale, dopo aver promesso per oggi la definizione dei partecipanti ai vari campionati di calcio della prossima stagione, decide di prendersi qualche altro giorno di tempo. Ad annunciarlo è la Gazzetta dello Sport in un articolo a firma di Nicola Binda. L’esclusione dalla B del Chievo resterebbe quindi in sospeso, nonostante la decisione in tal senso del Collegio di Garanzia del Coni.

    Stando alla Rosea, a porre la parola fine alla diatriba, quindi, dovrà essere il presidente della FIGC Gravina. Si attende la pronuncia anche del Tar del Lazio, al quale i veronesi – così come altre società escluse dalla C – presenteranno ricorso per provare a ribaltare il verdetto avverso incassato ieri.

    Calcio nell’incertezza ancora per giorni

    Resterebbe dunque nel limbo il Cosenza, che già stamattina si aspettava di leggere il proprio nome al posto della X presente finora sui calendari. Niente riammissione per il momento in cadetteria, in attesa di ulteriori valutazioni. La conclusione della vicenda dovrebbe arrivare nei primissimi giorni di agosto (il 2 o il 3 probabilmente, sempre secondo la Gazzetta dello Sport).

    Per quale motivo i vertici nazionali del calcio, che solo ieri ribadivano tramite i loro legali la necessità di estromettere il Chievo dalla B, avrebbero cambiato linea adottando quella della prudenza? Con ogni probabilità a influire nella scelta sarebbe il rischio che, riammettendo il Cosenza e con una successiva vittoria al Tar del Chievo, il campionato di B si ritrovi nuovamente con 21 squadre iscritte. Un controsenso in condizioni normali, ancora di più con la prospettiva di ridurre a 18 le squadre partecipanti da qui al 2024.

    Il comunicato della Figc

    Nel pomeriggio la Figc ha rilasciato un lungo comunicato, con un passaggio dedicato proprio alla questione della riammissione del Cosenza: «Il Consiglio ha dato delega al presidente federale, insieme ai presidenti delle componenti, per procedere al completamento delle vacanze di organico attese le motivazioni del Collegio di Garanzia del Coni e le eventuali impugnazioni al Tar con richiesta di provvedimento monocratico.

    In applicazione del Comunicato Ufficiale n.288/A del 14 giugno sono arrivate due domande di riammissione in Serie B da parte delle società Cosenza e Reggiana. Il Consiglio ha preso atto del parere delle Commissioni e dei criteri del Comunicato Ufficiale n.279/A del 14 giugno per l’integrazione dell’organico e ha indicato il Cosenza quale società con priorità per la riammissione al campionato di Serie B».

    Ora non resta che aspettare la prossima puntata della telenovela, col presidente Gravina protagonista.

     

  • Calcio: Cosenza riammesso in B, addio alla favola Chievo

    Calcio: Cosenza riammesso in B, addio alla favola Chievo

    Il Cosenza torna in serie B e il Chievo saluta il calcio professionistico. È arrivata in serata la notizia che tutti nel capoluogo bruzio aspettavano. Niente più retrocessione per i rossoblù, nonostante la società e la squadra abbiano fatto di tutto per meritarla nella passata stagione. I Lupi, salvo ulteriori inversioni di rotta della Lega dopo lo scontato ricorso dei veronesi al Tar, tornano in serie cadetta senza passare dalla C in cui erano precipitati a fine campionato. A tirarli fuori dal baratro, proprio come l’anno scorso, sono stati ancora i gialloblù, stavolta per problemi economici.

    La decisione a Roma

    I legali della Figc nel pomeriggio hanno chiesto la conferma dell’esclusione dei veronesi, ribadendo la posizione già espressa dalla Covisoc. La tesi che hanno sostenuto è che non potevano esserci trattamenti di favore per il Chievo, visto che le altre società hanno rispettato le tempistiche fissate per tutti. Gli avvocati clivensi, dal canto loro, hanno portato avanti la tesi secondo cui gli arretrati accumulati tra il 2014 e il 2018 dalla società non avrebbero implicato in automatico l’esclusione della squadra dalla serie B. Alla fine il Collegio di Garanzia ha ritenuto che la ragione l’avesse la Figc e, di riflesso, il Cosenza.

    I problemi del Cosenza restano

    A prescindere dal successo di oggi, i problemi per il Cosenza Calcio restano identici a ieri. La strappo tra i vertici societari e la tifoseria non sembra ricucibile: la stagione fallimentare appena conclusa e il successivo, prolungato e ingiustificabile silenzio del presidente Guarascio sulle prospettive per il 2021/2022 non si cancellano con una sentenza, positiva o meno che sia. La programmazione rimane, come da diversi anni a questa parte, un’illustre sconosciuta a via degli Stadi. Il nuovo ds è arrivato nei giorni scorsi, l’allenatore non c’è ancora. Quanto ai giocatori, la rosa al momento non è sufficiente nemmeno a organizzare una partitella amatoriale tra amici, figuriamoci affrontare un ritiro e un campionato ormai alle porte. E se la questione non era di poco conto per una squadra di C, figuriamoci per una di B.

  • Cinque cerchi, cinque zeri: quasi 600mila euro alla Rai per il Muccino olimpico

    Cinque cerchi, cinque zeri: quasi 600mila euro alla Rai per il Muccino olimpico

    La Regione pagherà poco meno di 600mila euro alla Rai per l’esordio a cinque cerchi del discusso cortometraggio di Gabriele Muccino sui canali della tv nazionale. Nonostante la presentazione dello spot risalga alla tarda estate del 2020, nei successivi undici mesi la battaglia legale tra la Cittadella e la Viola Film, società di produzione individuata dal regista, per la condivisione anticipata del filmato ha fatto sì che quest’ultimo circolasse, con non troppe fortune e numerose parodie, soltanto sul web. Passata la tempesta di critiche iniziali, le visualizzazioni si sono sempre più ridotte mentre l’estate si avvicinava.

    Un aiuto in regia per Muccino

    Il corto, però, ufficialmente è rimasto nei cassetti fino a fine luglio. La diatriba in tribunale si è chiusa in primavera con uno sconticino alla Regione, che si è accaparrata l’opera per poco meno di un milione e 400 mila euro (circa 300mila in meno del previsto), e la promessa di ritocchi – a spese (circa 90mila euro, recitano gli atti) della Viola – per qualche scena particolarmente infelice.

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    Nino Spirlì sul set a Palmi per la nuova versione di Calabria Terra mia

    «Come può raccontare l’Amore, l’Eterno Bello, le profonde rughe dell’Arte, che sono l’Anima di questa Calabria, morbida e tortuosa, solennemente silenziosa e guardinga, seppur maternamente amorevole, un uomo che non conosce la fraternità, il “cum patire”, la solidarietà, l’equità?», chiedeva, d’altra parte, proprio Spirlì soltanto dieci mesi fa riferendosi a Muccino. All’inizio di giugno, invece, il successore di Jole Santelli era sul set di Palmi per la realizzazione della nuova versione riveduta e corretta dello spot.

    Tokyo costa

    Nonostante l’illustre supporto istituzionale alle riprese, per avere il remake di Calabria Terra mia – questo il titolo scelto da Muccino – in Cittadella hanno atteso il 2 luglio 2021 e altri quindici giorni sono passati per il preventivo della Rai. In Regione avranno pensato che, visto che un anno era andato già perso, tanto valeva far partire la campagna promozionale in ritardissimo ma col botto. E cosa fa più spettatori delle Olimpiadi in questo periodo? Nulla. In più Tokyo 2020 arriva un anno dopo il previsto. Proprio come lo spot, che avrebbe dovuto portare i turisti quest’anno e non il prossimo.

    Quindi ecco 482.435,45 euro per mamma Rai, di cui 417.437,45 per il piano TV e 65.000 per quello digital. Tutto condito da un altro centinaio abbondante di migliaia di euro per l’Iva. Totale 588mila e rotti euro, che sommati al milione e quattro speso per girare il corto portano il costo dell’operazione Muccino a poco meno di due milioni.

    Sulla Rai per due settimane

    Ma è un conto che presto dovrà essere aggiornato: l’accordo con la Rai prevede la trasmissione degli spot soltanto dal 24 luglio all’8 agosto. Poi per farci rivedere ancora Raul e Rojo sul piccolo schermo alla Cittadella toccherà di nuovo allentare i cordoni della borsa. Sarà anche per questo che sempre Spirlì dalla sua bacheca Facebook ha annunciato urbi et orbi gli orari indicativi della messa in onda dei filmati per il weekend, non sia mai ce ne perdessimo uno.

    Dopo il bombardamento di sabato, infatti, con il corto di Muccino andato in scena una quindicina di volte, stando al palinsesto diffuso dal presidente f.f. già domenica si era scesi a cinque passaggi in tv. Aumenteranno di nuovo? Diminuiranno? Ai followers l’ardua sentenza. Per capire se, invece, gli spot porteranno davvero nuovi turisti ormai toccherà aspettare l’estate prossima.

  • Guarascio, il signore dei rifiuti andato nel pallone

    Guarascio, il signore dei rifiuti andato nel pallone

    Non ci sono più gli imprenditori di una volta. In provincia è finito il tempo in cui qualcuno inventava un prodotto o un servizio, lo lanciava sul mercato e se aveva successo ne traeva profitto, dando lavoro in maniera più o meno onesta a un po’ di persone. Dalla fine dello scorso millennio ovunque si è affermata una nuova leva di aziende che fanno dell’intermediazione il loro punto di forza. Assorbono risorse pubbliche per ruminarle in attività indipendenti dalla forbice tra domanda e offerta. In Messico li chiamano “coyote”.

    Le fonti di energia più o meno rinnovabili, lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, il calcio e la sanità hanno tra di loro qualcosa in comune. Essendo beni e servizi che comportano una domanda inesauribile, le imprese impegnate in questi settori possono dettare le condizioni dell’offerta. È la più classica delle cornucopie.
    A quale delle due tipologie di imprenditori appartiene Eugenio Guarascio? A quella classica, dei produttori di farina, vino o liquori, che in provincia di Cosenza non sono mai mancati? Oppure alla nuova leva delle imprese sagaci? Egli stesso, nella sua autobiografia, così ama definirsi: «lungimirante».

    Calcio e spazzatura, un binomio ad alto rischio

    Tutti sanno che esiste un forte legame tra il football cosentino dell’era Guarascio e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Proprietaria del Cosenza Calcio è infatti la 4el Group, con sede a Lamezia Terme. Come tutte le holding, essa controlla altre società che possono far parte di un unico processo produttivo oppure operare in settori indipendenti. Ed è proprio qui che sta il problema.

    L’errore più grave che il signor Guarascio abbia commesso in questi anni consiste nel “modus operandi”, per usare un termine caro a un’altra delle società da lui guidate: la Hexergia che mette a disposizione il suo «know how, come general contractor, per realizzare insieme alle imprese locali l’efficientamento energetico richiesto dal superbonus 110%».

    Sempre nobili propositi, quindi, subordinati però alla circolazione di fondi pubblici. Pensare di poter gestire una società di calcio come un’azienda di smaltimento dei rifiuti è un atto di presunzione. Già tanti, in altri contesti geografici, lo hanno pagato caro. E con essi, soprattutto, a farne le spese sono state le tifoserie legate ai colori di quelle società. Retrocesse, fallite, in alcuni casi cancellate dal panorama calcistico nazionale.

    La strana coppia

    Fu il sindaco Mario Occhiuto, all’inizio dello scorso decennio, a instradare male Guarascio. Gli propose di assumere la guida di un cammino, quello del Cosenza Calcio, che da ormai tanti anni sbandava tra fallimenti, inchieste giudiziarie e conduzioni avventuriere. L’appalto da circa 8 milioni di euro per lo smaltimento dei rifiuti, a suo tempo aggiudicato alla società Ecologia Oggi di Eugenio Guarascio, certificava la sua capacità potenziale di “far girare i soldi”. E chi, se non un uomo dotato di questa disponibilità economica, potrebbe accollarsi un’impresa ardua come una società calcistica dalla tormentata storia recente? Occhiuto ha però tralasciato di spiegare a Guarascio che il football è una cosa, l’immondizia un’altra.

    La trattativa tra Guarascio e… Guarascio

    Anche il calcio produce energia rinnovabile, ma è una fonte sociale. Oltre a denaro e pallonate sforna simboli, miti, relazioni, linguaggi e comportamenti non sempre monetizzabili. Ed è l’unico campo della vita pubblica e dell’economia sottoposto al controllo popolare. Se in Italia la politica, la sanità e la scuola riscuotessero lo stesso livello di attenzione e monitoraggio che la cittadinanza riserva al calcio, questo Paese forse potrebbe divenire una democrazia meno incompiuta. È improbabile che un gruppo spontaneo di cittadini si organizzi per studiare il bilancio del Comune di Cosenza. Di solito si delega questo compito ai consiglieri, la maggioranza dei quali lo fa poco e male.

    «È opportuno aver dato corso alla transazione su una parte di credito vantato dal Cosenza Calcio nei confronti di Ecologia Oggi, tuttora top sponsor della società, derivante appunto da sponsorizzazione, di ben 450mila euro? In pratica si è fatta una transazione con se stesso, del tutto lecita per carità, ma opportuna?»

    Invece nulla sfugge ai tifosi sinceri. Inchiodanti, tanto per formulare un esempio, sono le domande di recente poste dal blog La Bandiera rossoblù a Eugenio Guarascio in merito al bilancio della società rossoblu nel 2018: «È opportuno aver dato corso alla transazione su una parte di credito vantato dal Cosenza Calcio nei confronti di Ecologia Oggi, tuttora top sponsor della società, derivante appunto da sponsorizzazione, di ben 450mila euro? In pratica si è fatta una transazione con se stesso, del tutto lecita per carità, ma opportuna? […] Presidente, da un’attenta analisi dei conti societari si evince che, a fronte di un risparmio maniacale sul lato sportivo che ha contraddistinto il Suo operato da quando è amministratore del Cosenza Calcio, certificato dai budget più bassi della categoria che annualmente mette a disposizione dei Suoi collaboratori, si registra probabilmente uno spreco in altri settori, dove i costi per servizi e oneri diversi di gestione rappresentano quasi la metà delle uscite societarie e risultano essere di gran lunga superiori rispetto a società che hanno costi più consistenti».

    Mario & Eugenio, nemiciamici

    Ecco perché Occhiuto avrebbe dovuto essere più chiaro col suo amico Eugenio tanti anni fa, a costo di apparire brusco e perentorio. Invece, il loro sodalizio non è mai entrato davvero in crisi. I rapporti tra i due non si sono incrinati tutte le volte che Ecologia Oggi ha tardato nel retribuire i suoi dipendenti. Né quando la città ha vissuto giornate di emergenza nella raccolta dei rifiuti. Guarascio ha scaricato le responsabilità su Palazzo dei Bruzi, che in questi anni di soldini gliene ha versato tanti, al di là dei fisiologici e congeniti ritardi della pubblica amministrazione. La base d’asta del capitolato d’appalto prevede 6.696.321 euro solo per la retribuzione del personale. Ai costi di gestione delle attrezzature (mastelli, carrellati ecc.) sono destinate 152.943 euro. Soltanto per le buste se ne spendono 252.240 e 1.351.787 in automezzi.

    Il loro rapporto di amicizia si è ricomposto anche dopo lo scaricabarile in mondovisione, all’indomani della figuraccia galattica rimediata il 1° settembre 2018, quel Cosenza-Verona che avrebbe dovuto consacrare il ritorno della città in serie B, invece non si disputò e finì 3-0 a tavolino per gli scaligeri a causa dell’impraticabilità del manto erboso, un evento inedito nella storia del calcio italiano.

    Il progetto del nuovo stadio del Cosenza

    E Mario ed Eugenio non hanno litigato nemmeno quando il sindaco propose all’imprenditore un oneroso investimento nel project financing che avrebbe dovuto partorire il nuovo stadio “San Vito-Marulla” a gestione privata. Il progetto sfumò forse anche per l’incapacità di trovare un attore locale. Del resto, Guarascio era stato chiaro sin dall’inizio. Lui di calcio capisce poco e niente. Avrebbe svolto il suo “compitino” riportando la squadra nel professionismo ma lasciandola galleggiare. Si sarebbe guardato bene dall’effettuare spese pazze, badando soprattutto a mantenere in equilibrio il bilancio societario.

    Cambia la categoria, non il modus operandi

    La svolta è avvenuta inattesa, quasi per caso o comunque in conseguenza di quello che all’unanimità è stato definito un “miracolo sportivo”: la promozione in serie B del Cosenza 2017-18, allenato da mister Braglia. È stato a quel punto che Guarascio s’è reso conto di quanto possa divenire redditizio questo “settore” della sua holding.

    Peccato, però, che abbia coltivato l’assolutistica pretesa di mutuare il modus operandi dalla sua impresa attiva nello smaltimento dei rifiuti: poche le risorse impegnate nella valorizzazione del personale e nella comunicazione, scarsissimo rischio negli investimenti, strategia del salvadanaio, massimo del risultato da ottenere col minimo sforzo economico. Nei rifiuti questo è possibile, nel calcio no.

    Tutta colpa dei cosentini

    Sia Guarascio che Occhiuto diranno che se in città la raccolta differenziata non sempre è svolta in modo “europeo”, e le nostre strade spesso sono punteggiate da mini-discariche condominiali, la colpa non è né del Comune né di Ecologia Oggi. Ma a entrambi bisognerebbe chiedere se le campagne di sensibilizzazione pubblica per favorire il corretto svolgimento della raccolta differenziata, previste e finanziate dal capitolato d’appalto, siano state effettuate davvero in modo incisivo. Perché è chiaro che se la cittadinanza fosse stata educata alle buone pratiche, maggiore sarebbe la domanda di mastelli, sacchetti per il conferimento e ritiro degli oli esausti a domicilio.

    Se la richiesta dall’utenza non c’è, sebbene il servizio sia predisposto, l’erogatore non è tenuto a procedere con l’erogazione del servizio, quindi può risparmiare sui costi di lavorazione. Quanti mastelli e quante buste rimangono “nella pancia” di Ecologia Oggi perché nessuno ne fa richiesta? Eppure appaltante e appaltatore dovrebbero avere interesse a incentivare la differenziata. Nel capitolato Palazzo dei Bruzi riconosce a Ecologia Oggi detrazioni per 668.450 euro di ricavi annui derivanti dal conferimento di materiali riciclabili alle piattaforme Conai.

    A beautiful mind

    Riversare questa “filosofia” da imprenditore stop and go nel football è il vero peccato mortale del signor Guarascio. Nello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, quando un dipendente è inviso ai superiori o poco compatibile con l’azienda, lo si licenzia. Nell’impresa del pallone questa prassi è impraticabile. Contano i risultati sul campo, altrimenti l’enciclopedia mondiale del calcio non conterrebbe le sacre icone di Paul Gascoigne e George Best. E dalle nostre parti, non avremmo mai potuto osannare talenti come Michele Padovano e Marco Negri.

    Nella valorizzazione dell’immondizia si può fare a meno di una figura geniale come Ilenia Caputo che aveva contribuito notevolmente a costruire il brand Cosenza Calcio. E si può rinunciare ad assumere un direttore generale. Nel football del terzo millennio si ha bisogno più di siffatte figure che del pallone per giocare. Ma questo a Guarascio nessuno lo ha spiegato. E siccome egli stesso definisce la propria mente «brillante e carismatica», è chiaro che ritiene di non aver bisogno di consiglieri.

    È un vero peccato. Quel che manca a lui come a tanti imprenditori del nostro tempo è una formazione umanistica. Se l’ecologico patron avesse letto Pasolini, Galeano, Desmond Morris o i nostri Francesco Gallo e Francesco Veltri, chissà, forse il Cosenza avrebbe meritato sul campo la permanenza in serie B.

  • Guarascio, tasche piene e pallone sgonfiato

    Guarascio, tasche piene e pallone sgonfiato

    Per i suoi concittadini – è nato a Parenti ma vive a Lamezia Terme – Eugenio Guarascio è un po’ un oggetto misterioso. Lo conoscono di più, loro malgrado, i cosentini. Non tanto per l’azienda che si occupa della spazzatura in città, quanto per essere il patron della loro squadra di calcio. Che davano per retrocessa in serie C e ora potrebbe trovarsi miracolosamente ad affrontare la quarta stagione consecutiva nel campionato cadetto. Lo scorso 15 luglio il Consiglio federale ha infatti deliberato la mancata iscrizione del Chievo Verona aprendo, per adesso ufficiosamente, le porte alla riammissione in B dei lupi. La società Cosenza Calcio ha dunque rotto un lungo silenzio e ha fatto sapere di essere «in procinto di depositare tutta la documentazione necessaria per la riammissione al Campionato di Serie B 2021/2022 comprensiva della fideiussione di 800mila euro».

    La fortuna e il Chievo tornano in soccorso

    Uno scenario inaspettato che ha dato la stura all’ironia social sulla fortuna di Guarascio. Per la società si tratta del «risultato di una gestione societaria decennale improntata sui principi di legalità, trasparenza e sul rispetto delle norme e dell’equilibrio economico». Ma nessuno può davvero sapere se in cuor suo il patron sia contento. Non è mai sembrato uno sfegatato ultras rossoblu, d’altra parte. Tant’è che c’è chi pensa che sotto sotto possa essere quasi contrariato per l’impegno economico che la B imporrebbe.

    guarascio-portafortuna
    L’ennesimo colpo di fortuna di Eugenio Guarascio ha scatenato l’ironia del web: qui il suo santino portafortuna circolato in rete

    Certo è che il rapporto con la piazza sembra compromesso irrimediabilmente, a prescindere dalla categoria. Salvata, se il verdetto del Consiglio federale trovasse conferma, di nuovo solo grazie ai veronesi. Già nella penultima stagione, infatti, era stato un goal del clivense (ma cosentino doc) Garritano ad assicurare ai lupi una miracolosa permanenza nella serie cadetta.

    C’è poi chi instilla il dubbio, sulla scia di quanto dichiarato pubblicamente da un assessore comunale già prima dell’ipotesi ripescaggio, che questo ulteriore impegno per la squadra bruzia possa magari tradursi in un potenziale vantaggio da ottenere in veste di imprenditore dei rifiuti. Le solite malelingue che dicono tutto e il contrario di tutto.

    Gli affari a Gioia Tauro e nella Locride

    In provincia di Reggio Calabria, specie al porto di Gioia Tauro e nella Locride, la sua creatura imprenditoriale Ecologia Oggi – nata nel lontano 1987, divenuta poi Srl e dal 2008 Spa, oggi parte della holding 4EL Group – è nota per avere una buona fetta di appalti sui rifiuti. Nello scalo portuale della Piana gestisce un centro che tratta anche gli scarti che arrivano dalle navi e i rifiuti sanitari infetti provenienti dal circuito internazionale di natura organica.

    Sulla sponda jonica reggina invece la sua azienda rappresenta il partner privato della “Locride Ambiente S.p.a.”, una società mista che si occupa della raccolta differenziata, del trasporto e del conferimento. I soci pubblici sono i Comuni di Bagnara, Bovalino, Condofuri, Grotteria, Melito di Porto Salvo, Monasterace, Palmi, San Luca, San Pietro di Caridà e Siderno. In questa zona i disservizi sui rifiuti non mancano, soprattutto nei centri più popolosi come quello sidernese, ma la società mista che se ne occupa fa notare che i problemi – come in verità in molte altre aree della Calabria – sono dovuti alla saturazione di impianti e discariche.

    Guarascio e Cosenza, 10 anni di appalti milionari

    Più complesso – e per certi versi misterioso – è il rapporto che lega da ormai un decennio il Comune di Cosenza e l’azienda di Guarascio è presidente del Cda e socio di maggioranza. Il primo appalto viene aggiudicato il 20 maggio del 2011 e, tra le due ditte ammesse, lo vince “Ecologia Oggi” per un importo di poco superiore ai 40 milioni di euro. Appena dieci giorni dopo Mario Occhiuto sarebbe stato eletto sindaco al ballottaggio per la prima volta.

    Il secondo appalto con “Ecologia Oggi” – tra la scadenza naturale del primo, le successive proroghe e soprattutto i primi alti e bassi nei rapporti con l’amministrazione comunale – ottiene il via libera da Palazzo dei Bruzi nell’agosto del 2017. È più oneroso (circa 10 milioni di euro all’anno per 5 anni), viene aggiudicato con un ribasso dello 0,79% e, secondo qualcuno, prevederebbe meno servizi del primo.

    Al di là dei tecnicismi, sull’efficienza del servizio i cittadini possono giudicare con i loro occhi. Le condizioni di lavoro degli operatori, invece, sono materia di rapporti spesso burrascosi con i sindacati. Tra i lavoratori, in verità, Guarascio non sembra essere malvisto. Discorso diverso per quanto riguarda la dg Rita Scalise – il suo braccio destro sui rifiuti cosentini – che spesso si è scontrata con i rappresentanti delle tute gialle.

    Guerra e pace

    Il rapporto altalenante tra Palazzo dei bruzi e la società resta comunque il vero nodo della questione. Se ne occupa una sorta di triumvirato composto dal sindaco Occhiuto e due assessori: uno più compassato (Carmine Vizza), l’altro più battagliero (Francesco De Cicco). I problemi affiorano a inizio del 2018. A Palazzo dei Bruzi arriva un decreto ingiuntivo di “Ecologia Oggi” per il pagamento di 9,2 milioni di euro per «non meglio specificati servizi di igiene ambientale». Il Comune impugna il decreto. Ma, soprattutto, chiede alla società di Guarascio 4,4 milioni di euro «a titolo di sanzioni amministrative comminate per disservizi contestati nel corso di un rapporto di fatto». Poi, in un caldo consiglio comunale di giugno 2019, alla presenza dei lavoratori in stato di agitazione, per la prima volta è lo stesso Occhiuto ad ammettere apertamente che «la qualità del servizio è peggiorata».

    Oggi il centrodestra – e in particolare Salvini – ha concesso al fratello Roberto ciò che ha negato a lui. Ma all’epoca Mario è attivissimo nella prospettiva di diventare «il sindaco della Calabria». Dunque si capisce che in ballo c’è una fetta importante di consenso sociale in cui si incastra anche il destino calcistico del Cosenza. Comunque: Guarascio vuole oltre 9 milioni dal Comune, che risponde che invece è lui che deve pagarne quasi 4,5. Il contenzioso finisce con una sentenza del Tribunale civile di luglio 2020. Nessuna istruttoria e, dopo vari rinvii per tentare una definizione bonaria, le parti si mettono d’accordo. Decreto ingiuntivo ritirato e silenzio sulle sanzioni.

    Il Cosenza come “contentino”?

    Ma è recente una coda politica che forse è un po’ passata sotto silenzio. L’autore è l’assessore De Cicco che adesso, con Occhiuto in scadenza del secondo mandato, vuole candidarsi a sindaco. In una dichiarazione pubblica, commentando la parabola calcistica del Cosenza, dice: «Al presidente Guarascio interessava l’appalto della raccolta differenziata a Cosenza e l’ha ottenuto per la quinta volta. Assumere il comando della squadra è il classico “contentino”». Affermazione grave: sobbarcarsi la squadra, secondo un assessore in carica, sarebbe stato una sorta di piccolo sacrificio in cambio dell’appalto per i rifiuti. Non si ha notizia, al momento, di smentite o repliche.

    Il mantra di Guarascio: la «legalità»

    Nel curriculum consultabile sul suo sito personale, dopo la stringata voce “Istruzione e formazione” («completa gli studi tecnici»), c’è quella identificata come “capacità e attitudini”. E lì si legge: «Sostenitore della trasparenza e legalità, principi cardine del percorso personale ed imprenditoriale». La parola «legalità» compare più volte, quasi come un mantra, nella descrizione del profilo dell’imprenditore. Non c’è motivo di dubitare che ne sia un indefesso sostenitore, ma un episodio recente e uno più datato vanno citati per completezza d’informazione.

    Il fatto più vecchio riguarda notizie di stampa su alcune dichiarazioni del collaboratore di giustizia lametino Gennaro Pulice. Ritenuto in generale attendibile anche dalla Cassazione con la sentenza “Andromeda”, Pulice avrebbe riferito agli inquirenti di una presunta e mai dimostrata protezione dell’imprenditore da parte del clan Pesce di Rosarno. Va però chiarito che si tratta di una dichiarazione di un killer pentito che non ha avuto, per quel che se ne sa, nessuna conferma in sede giudiziaria finora.

    Più recente è invece la richiesta di rinvio a giudizio per il caso Santapaola. Guarascio è imputato per maltrattamenti di cui, secondo la Procura di Cosenza, sarebbe stato vittima Pietro Santapaola, calciatore 17enne che è stato messo alla porta dalla società che lo aveva sotto contratto. Pur avendo un cognome e parentele ingombranti, il ragazzo non avrebbe nulla a che fare con la criminalità organizzata siciliana.

    In missione per conto di Doris

    A Lamezia, dove è anche editore di un quotidiano online molto seguito in città e nell’hinterland, Guarascio è più in vista come politico che come imprenditore. Sul territorio la sua azienda ha un impianto di termodistruzione e una piattaforma di stoccaggio. Le sue attività nel settore dei rifiuti, però, hanno avuto un boom altrove. Non sono note sue iniziative rilevanti in campo sportivo e in molti, infatti, gli contestano di non essersi interessato alla Vigor nei momenti in cui la società ha attraversato forti difficoltà. A novembre del 2019 si è candidato a sindaco, però, a capo del movimento “Nuova era”.

    Nella corsa alle Comunali ha avuto anche il sostegno ufficiale del Pd, ma non è bastato. Alla fine, è arrivato terzo dopo il sindaco (al momento sospeso) Paolo Mascaro e il candidato del centrodestra “ufficiale” Ruggero Pegna. In consiglio comunale non è certo un baluardo dell’opposizione dura e pura. E anche nei lavori delle tre commissioni di cui fa parte è spesso assente. Tutti, a mezza bocca, concordano sul fatto che il suo principale sponsor politico sia Doris Lo Moro, già magistrato, senatrice e assessore alla Sanità dell’era Loiero. Ultima curiosità: la sede legale di “Ecologia Oggi” e lo stesso domicilio di Guarascio si trovano in una via in cui sorgono immobili che, dicono a Lamezia, sarebbero stati almeno in passato di proprietà del marito della senatrice.