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  • SPORTELLATE | Derby noiosi, tagliagole e regali di troppo

    SPORTELLATE | Derby noiosi, tagliagole e regali di troppo

    L’analisi del derby Cosenza-Reggina (0 a 1) a due giorni di distanza dal triplice fischio finale, più che aggiungere elementi nuovi alla narrazione, rischia di trasformarsi in un esercizio di stile retorico fine a sé stesso. Proverò a non cadere nella trappola dicendo subito ciò che probabilmente venerdì sera avrà pensato un calabrese su due: la partita è stata brutta, bruttissima, come quasi tutte quelle di una categoria, la B, che da circa un ventennio a questa parte, viene definita una A2 da esperti del settore, o pseudo tali, privi di fantasia. Come se la serie A, poi, fosse un campionato di fenomeni, con De Sciglio e Bernardeschi titolari della Juve e una marea di 40enni che dettano legge sotto porta.

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    La splendida coreografia dei tifosi del Cosenza nel derby

    Al “San Vito-Marulla” l’altra sera il clima era ideale per una sfida d’altri tempi. Piovigginava senza fastidio, i gradi erano una quindicina e sugli spalti lo show offerto dai paganti era – quello sì – di categoria superiore. Tutto questo avrebbe meritato giocate d’alta scuola e divertimento. Invece no. La squadra più forte ha vinto senza dannarsi l’anima, mentre chi ha perso non lo ha fatto a testa alta. Anzi.

    Un vincitore, due delusioni

    D’altronde, che la direzione dell’evento fosse questa si era capito già alla vigilia della partita guardando in faccia i due allenatori. Da una parte Aglietti, sicuro dei fatti suoi a tal punto da strapazzare pubblicamente uno come Jeremy Menez («È fuori dai radar»). Dall’altra Zaffaroni, pensieroso e teso come una corda di violino ancora prima di aprire bocca.
    Insomma, due conferenze stampa le loro più rivelatrici di quelle messe in scena nel dopo gara. Eppure, nonostante sia emerso un vincitore, entrambe hanno deluso.

    Certo, criticare una squadra come la Reggina (22 punti e vetta della classifica assaporata per qualche ora) sarebbe da folli. Ma da una rosa come quella amaranto, che può permettersi di snobbare uno come Menez, sarebbe stata gradita una recita migliore. Anche perché di fronte aveva un Cosenza piccolo piccolo. Senza la difesa titolare, con una mediana incapace di fare più di due passaggi di fila e un attacco abbandonato al suo destino.

    Rossoblù e amaranto

    Approfondendo un po’ il discorso sui rossoblù, lascia perpless il cambio di mentalità delle ultime settimane, da propositivo a totalmente rinunciatario. A fine agosto il ds Goretti e Zaffaroni sostenevano che il vero Cosenza sarebbe venuto fuori tra la metà di ottobre e i primi di novembre. Fino a quel momento, dunque, bisognava arrabattarsi alla meno peggio. Invece, a novembre i Lupi ci sono arrivati rimpiangendo il mese e mezzo precedente quando lo stile della manovra era nettamente più ragionato. Non si tirava a campare di palle lunghe e pedalare e la saggezza tattica di Palmiero (voto 5), in coppia con Carraro, permetteva di immaginare un futuro migliore. Ovviamente non è ancora il caso di spaventarsi.

    Per chi avesse la memoria corta, c’è da rammentare come un mantra l’inizio di stagione ad handicap e le assenze pesanti dei vari Vaisanen, Tiritiello, Boultam, Bittante, Eyango e Anderson. A volte, però, pur riconoscendo l’ottimo lavoro svolto da Zaffaroni (voto 5,5), viene il dubbio sul perché si debba insistere su certe scelte. Vedi Corsi a sinistra, Gerbo centrocampista e non esterno destro (suo ruolo, ben interpretato, negli ultimi tre anni) e Millico in campo una manciata di minuti.

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    I tifosi della Reggina al San Vito-Marulla

    Tornando alla Reggina, l’ha spuntata con esperienza, solidità difensiva e compattezza tra reparti. Un po’ meno con la fantasia, lasciata a farsi esami di coscienza in panchina (e non mi riferisco al solo Menez). La squadra ha mantenuto con facilità il possesso palla rendendosi pericolosa quasi mai. Questo a conferma che lì davanti, nonostante i grandi nomi, non tutto fila come dovrebbe. I tredici gol in campionato sono poca roba se si vuole puntare in alto. Ecco perché fa bene Aglietti (voto 6,5) a non esaltarsi troppo. La strada che avvicina la città al ritorno in serie A non è ancora così delineata come qualcuno, tra i soliti esperti del settore o pseudo tali, vorrebbe far credere.

    Il tagliagole

    Due dei tredici gol reggini stagionali li ha messi a segno Adriano Montalto, match winner del derby e titolare poco fisso di Aglietti. Che, però, quando vede il Cosenza si rianima. Due anni fa, con la maglia del Venezia, fu protagonista di un siparietto nervoso con il portiere dei silani Pietro Perina. Rigore realizzato ed esultanza non apprezzata dall’avversario, con tanto di rissa sfiorata. In quell’occasione l’attaccante di Erice, provincia di Trapani, disse che il gesto di mimare uno sgozzamento dopo un gol gli appartiene da sempre. Non è un caso che il suo soprannome sia proprio il “tagliagole” (contento lui). Al “San Vito-Marulla” lo ha riproposto sotto il settore dei suoi sostenitori.

    Voto 7,5 alla coerenza del killer.

    I presidenti

    Nel post derby si sono rivolti ai rispettivi popoli. Luca Gallo con un tweet, Eugenio Guarascio con una nota stampa. Il patron amaranto ha sottolineato il successo storico della Reggina a Cosenza a vent’anni dopo l’ultima volta: rete di Bogdani al San Vito e promozione in serie A a fine stagione. «Un’altra pagina di storia – ha cinguettato – da regalare alla tifoseria» che lo ama.
    L’imprenditore lametino ha ringraziato la città, che non lo sopporta, per aver «regalato un grande spettacolo alla Calabria intera» e alle sue tasche (8.506 spettatori).
    Ruffiani entrambi, con le dovute differenze di linguaggio e di ambizioni.

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    Il neo sindaco di Cosenza Franz Caruso con Eugenio Guarascio e il suo collega reggino Giuseppe Falcomatà al San Vito
    Voto 6 ai regali che ognuno può permettersi di fare.
    Crotone triste ma ancora vivo

    Se si parla di regali, non si può evitare di pensare anche al Crotone. Prima della sfida dello “Scida” contro il Monza bello senz’anima di Berlusconi e Galliani, parlando con i cronisti Pasquale Marino (voto 6,5) aveva deciso di partire dalle basi: «Le vittorie bisogna cercarle, non arrivano da sole». Un’ovvietà gigantesca che, però, sarà stata trasferita ai suoi calciatori con un tono di voce da attore consumato. Le conseguenze si sono viste in campo. Soprattutto nel secondo tempo: gioco arrembante, azioni da gol e, soprattutto, tanto cuore. Peccato soltanto (e qui ritorna il tema dei regali) per l’immancabile incertezza difensiva che ha permesso ai brianzoli di passare in vantaggio con Colpani.

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    Donsah del Crotone esulta dopo il gol del pareggio

    Il gol del definitivo 1 a 1 di Donsah (voto 7) a pochi passi dal 90’ è stato accolto come una liberazione, ma resta l’amarezza per una partita giocata alla grande e non vinta. La classifica resta deficitaria e piccoli passi e complimenti nel calcio non servono a niente. In casi come questo, per non buttare tutto a mare e lasciarsi mangiare dalla depressione, l’unica cosa da fare è affidarsi ai progressi che, almeno questa volta, non sono stati pochi. Uno su tutti, il cambio di modulo. Il 4-3-3 con cui i pitagorici si sono opposti alla squadra dell’ex Stroppa ha fatto capire che la difesa a tre proposta testardamente da Modesto era un’idea sbagliata. Per strada si sono persi punti e sicurezze che il tecnico di Marsala dovrà ora recuperare alla velocità della luce. Ha l’esperienza e il carisma per farlo. Ma ancora non è chiaro se il giovane materiale umano a sua disposizione saprà seguirlo fino in fondo.

    Il Catanzaro stavolta esulta

    Chiudo con la serie C. La prima notizia che mi va di dare è la seguente: la maledizione della mancata esultanza dopo un gol del Catanzaro si è interrotta. Dopo il no ai festeggiamenti di Cianci contro il suo Bari e di Curiale in Coppa contro il Palermo, oggi i calciatori giallorossi hanno riassaporato il gusto della gioia alla Tardelli. Contro il Messina (2 a 0 il risultato finale di una gara iniziata in ritardo per la presunta positività al Covid di un peloritano) a sbloccare l’incantesimo ci ha pensato Carlini (voto 7), seguito a ruota da Vandeputte (6,5). Palla in rete e urla, abbracci e testa alta.

    La seconda notizia è il ritorno al successo in campionato delle Aquile. Meritato, anche se la prestazione, specie in fase di impostazione, non è stata indimenticabile. Contava solo vincere per riagguantare il secondo posto perso in terra pugliese una settimana fa. Obiettivo raggiunto anche grazie alla Vibonese che sabato in casa ha bloccato sul pareggio (1 a 1) il Monopoli, avanti tre punti sui giallorossi. Nelle ultime sei partite, i ragazzi di D’Agostino (voto 6 per non essersi fatto condizionare dai malumori dell’ambiente) hanno raccolto una vittoria, una sconfitta col Palermo e quattro pareggi. Pensando a com’erano partiti, c’è da tirare un sospiro di sollievo. Non lunghissimo però. Se i segnali positivi emersi di recente non sono ancora bastati a lasciare i bassifondi del girone, vuol dire che alla base c’è un progetto fallimentare (voto 4 a chi prometteva una annata esaltante). Da salvare con ogni mezzo a disposizione.

  • SPORTELLATE | Poker di sconfitte in campo, vincono solo i tifosi

    SPORTELLATE | Poker di sconfitte in campo, vincono solo i tifosi

    Novembre non poteva iniziare nel modo peggiore per le squadre calabresi:poker di sconfitte e ritorno sulla terra soprattutto per Reggina e Cosenza, reduci in settimana da due vittorie niente male con Perugia e Ternana. Il Crotone, invece, pur cambiando guida tecnica, ha mantenuto il suo passo lento, tanto da collocarsi al terzultimo posto in classifica con appena sette punti in undici partite. Infine il Catanzaro: a Bari si giocava il primo posto e l’idea di un torneo diverso dal solito. È andata male e Cianci ha pure chiesto scusa per aver segnato un gol.

    Amaranto stanchi psicologicamente

    L’entusiasmo a volte fa male. Non so se sia stato questo il limite odierno della Reggina, sconfitta a sorpresa al “Granillo” dal Cittadella 1 a 0. Di certo, lo spettacolo messo in mostra dagli amaranto non è stato all’altezza delle uscite più recenti. Nulla di grave, sia chiaro, ma resta l’idea che nella rosa a disposizione di Aglietti manchi ancora qualcosa – non troppo – per competere per la promozione diretta in serie A con le big del torneo. Vincere oggi avrebbe significato raggiungere, seppure solo per qualche ora, la vetta solitaria della classifica. Non averlo fatto probabilmente aiuterà ambiente e calciatori meno saggi a mantenere i piedi ben saldi a terra.

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    Una azione di gioco di Reggina-Frosinone

    A parziale giustificazione per il primo ko casalingo stagionale, c’è comunque da ricordare che in mezzo al campo (in un campo ancora una volta al limite della sopportazione) è mancata come il pane la regia di Crisetig. Ciononostante, la squadra ha creato diverse occasioni da gol sventate da un Kastrati in giornata di grazia. Aglietti ha parlato di sconfitta immeritata e di squadra stanca soprattutto psicologicamente. Non ha nascosto più di tanto le prove opache di Menez e Cortinovis (5,5 per entrambi) e ha evidenziato la bravura degli avversari. Insomma, pensando al derby di Cosenza di venerdì prossimo, da buon padre di famiglia ha cercato di non drammatizzare troppo. Sarà interessante adesso capire come risponderanno i suoi ragazzi alla prova di maturità del “San Vito-Marulla”

    Voto 4 all’occasione buttata al vento.

    Florenzi non si brucia

    Niente da fare, il Cosenza formato trasferta non funziona: cinque sconfitte su sei. Una cosa antipatica ma al tempo stesso prevedibile, molto più dei 13 punti su 14 conquistati fin qui al “San Vito-Marulla”. Al “Via del Mare” contro la corazzata Lecce dell’ex ds Trinchera (3 a 1 il risultato finale) si era partiti convinti di poter fare una gara migliore di Benevento. Invece, dopo pochi minuti di gioco era già chiaro come sarebbe andata a finire. A complicare il cammino, ci si è messo anche l’infortunio di Tiritiello (sostituito da Minelli, voto 4) che aggiunto a quello di Vaisanen, in appena un mese ha trasformato l’ottima difesa rossoblù in un ospedale calabrese, privo di risorse umane e strumenti adatti ad arginare le emergenze più elementari.

    Gori del Cosenza in azione a Lecce
    Gori del Cosenza in azione a Lecce

    Per il gusto della critica si potrebbe parlare di tante cose: dell’immancabile buco centrale sul primo gol subito (con la Ternana Mazzocchi, oggi Strefezza), di Palmiero che da un po’ non è Palmiero o dell’esclusione di Florenzi dall’undici di partenza per dare spazio allo svogliato Djavan Anderson (voto 5). Ma non credo sia corretto mettere sotto processo una squadra che finora ha fatto miracoli. Almeno non adesso.

    Giusto un appunto sul ragazzino ex Primavera però mi va di farlo: era reduce da una prestazione super con la Ternana e oggi, appena è entrato in campo, ha procurato il gol della bandiera di Caso, con tanto di tunnel da applausi a un avversario e sgroppata di quaranta metri palla al piede. All’ottimo Zaffaroni lo chiedo a bassa voce: non sarebbe il caso di farlo giocare sempre e comunque? Non credo proprio che si corra il rischio di bruciarlo.

    Voto 8 al tecnico milanese se mi accontenterà.

    Crotone beffato e malandato

    Non si poteva certo pensare che Pasquale Marino, chiamato in panchina al posto di Modesto, in appena due giorni cambiasse i connotati del Crotone (oggi modulo e uomini in campo sono stati più o meno gli stessi dell’era appena conclusa, anche perché le alternative o non ci sono o non sembrano all’altezza della situazione). Quindi perdere a Frosinone 2 a 1 in questo momento non era e non è assolutamente il problema principale. Certo, crollare al 94’ dopo essere anche passati in vantaggio con Maric (voto 6), fa rabbia. Soprattutto se si pensa al secondo tempo, giocato nettamente meglio del primo. La sensazione, però, è sempre la stessa: quella pitagorica è una squadra fragile mentalmente, con ottime individualità ma non abbastanza per affrontare al meglio un campionato complesso come quello di serie B.

    Pasquale Marino neo tecnico del Crotone
    Pasquale Marino neo tecnico del Crotone

    L’allenatore siciliano al suo arrivo in città era stato chiaro: «Non guardiamo la classifica, servono pazienza e tranquillità». Stasera, terminata la partita in terra ciociara, ha ripetuto più o meno lo stesso concetto, aggiungendo che non è mai semplice ripartire dopo una retrocessione come quella dell’anno scorso. «Bisogna ricreare entusiasmo – ha ribadito – facendo buone prestazioni». Che poi è proprio quello che manca. Il totale disinteresse mostrato negli ultimi mesi dai tifosi pitagorici verso le vicende che riguardano gli “Squali”, sembra infatti di difficile risoluzione. Senza il sostegno della gente, questa squadra piena zeppa di giovani rischia seriamente di affondare.

    Voto 6 al coraggio di Marino.

    Scuse da melodramma e bei gesti

    Sabato Bari-Catanzaro 2 a 1. Era l’attesissimo scontro al vertice, quattro punti di distacco, entrambe venivano da due brutte sconfitte. Antonio Calabro (voto 5,5) alla vigilia aveva provato a fare il Mourinho dei bei tempi: «Per noi è una gara come le altre. Quelli che devono vincere per forza sono loro”» Vabbè, non ci credeva neanche lui a questa cosa, ma doveva dirla. Ci stava. Così come ci sta il risultato finale, condizionato da un errore evitabilissimo di Fazio (voto 4) sul gol vittoria di Simeri. Un risultato che fa male al morale e allontana, chissà quanto irrimediabilmente, la promozione diretta delle “Aquile” in serie B.

    Quello che ci sta un po’ meno è l’esibizione melodrammatica di Pietro Cianci dopo aver realizzato la bella rete del pareggio giallorosso. Da barese purosangue ed ex di turno che pagherebbe per tornare in biancorosso, aveva detto «se segno al San Nicola non esulto». E ha mantenuto la promessa. Comprensibile, per carità. Però perché strafare con quelle scuse rivolte alla curva di casa? Che poi, invece di perdonarlo, lo ha fischiato sonoramente.
    Ecco, certe volte penso che quando questa storia del gol non festeggiato finirà – se finirà – forse il calcio inizierà ad essere una pratica più sana.

    Concludo con una pagellina per i tifosi del Catanzaro (voto 8) che nel viaggio che li portava verso Bari, hanno trovato il tempo e la voglia di fermarsi a Roseto Capo Spulico. Sul marmo che ricorda Denis Bergamini, simbolo dei rivali cosentini, hanno lasciato una rosa bianca avvolta dalla loro sciarpa. In un mondo conformista e ipocrita come quello pallonaro, non è un caso che siano sempre i “pericolosi” ultrà a mettere in scena rappresentazioni libere e spontanee.

    Voto 9 alle esultanze antipatiche e scomposte alla Pippo Inzaghi.

    Bar Sport Lucarelli

    Il mondo del calcio avrebbe bisogno di tanti Cristiano Lucarelli. Un toscanaccio che di costruito non ha niente, perché non ha paura di svelare la sua fede politica, perché le sue conferenze stampa sembrano cene tra amici e buon vino che non finiscono mai. E poi anche perché quando parla ti dà la possibilità di scegliere tra una ventina di titoli possibili per il tuo giornale.
    Gli allenatori di una volta erano così. Oggi, davanti ai microfoni e ai taccuini dei cronisti, quasi tutti annoiano e si annoiano.

    Il tecnico della Ternana Cristiano Lucarelli
    Il tecnico della Ternana Cristiano Lucarelli

    Dopo la sconfitta di Cosenza nel turno infrasettimanale, da ex bomber rossoblù il tecnico della Ternana aveva emozionato tutti ricordando Gigi Marulla. Due giorni fa, analizzando con più profondità la trasferta bruzia, ha detto questa cosa qui: «Ho ricevuto il messaggio di una persona su Messenger: mi diceva che mi ero venduto la partita di Cosenza. Onestamente mi dispiace. Gli ho anche risposto: vieni giovedì mattina alle 9.30 in un dato bar, che parliamo. Io al bar c’ero, lui non si è presentato».

    Voto 10 alle chiacchiere da bar, 2- a quelle da social.

  • SPORTELLATE | Ménez e Haitem: Reggio tra gioia e dolore

    SPORTELLATE | Ménez e Haitem: Reggio tra gioia e dolore

    Per la Calabria calcistica è stato un fine settimana quasi del tutto disastroso. Per il quasi c’è da ringraziare la Reggina, unica squadra a conquistare la vittoria contro il Parma di Gigi Buffon, 43enne che al “Granillo” mancava da ben 12 anni. Era il 2009 e quella fu anche l’ultima stagione degli amaranto in serie A.
    Oggi, di fronte a 8.693 spettatori (record stagionale per la B), l’highlander dei portieri ha sfoderato un paio di interventi da ventenne e, nel recupero del match, si è anche fiondato in attacco alla ricerca del pareggio. In un tempo in cui si discute animatamente di riforma delle pensioni, ho il sospetto che lui miri a superare quota 100, 102 e 104.

    Le domande del Crotone

    Questa volta parto dal Crotone, primo team calabrese a scendere in campo venerdì scorso. Dopo la convincente vittoria casalinga, la prima stagionale, contro la capolista Pisa, ero convinto che il peggio ormai fosse passato. Invece dovevo fidarmi di Francesco Modesto (voto 5). Il giovane allenatore dei pitagorici col suo inconfondibile tono di voce monocorde riesce a trasformare anche la conferenza stampa più agitata in una puntata di Sottovoce, il programma di Gigi Marzullo scandito da frasi rituali che hanno il pregio di far cambiare canale alla velocità della luce.

    Prima della trasferta di Alessandria, il tecnico parlava di problemi non risolti. Dopo Alessandria viene da dire che aveva ragione da vendere. Peccato soltanto che spetterebbe proprio a lui modificare ciò che non funziona. Il suo Crotone si è trovato di fronte un avversario… modesto, che, chissà perché, si esalta solo quando di fronte si trova squadre calabre. Su nove partite disputate finora, due soli successi: con Cosenza e Crotone.

    Ciò che preoccupa di più è che i grigi di Longo sono riusciti a spuntarla nonostante in campo avessero diversi esordienti. Bisogna dirlo, dopo il rigore parato da Contini (uno dei pochi a salvarsi, voto 6.5) a Corazza, una reazione degli “Squali” c’è stata: una traversa di Cuomo e due paratoni di Pisseri su Mogos e Mulattieri. Poca roba, però, se si pensa al valore delle due rose.

     

    A fine gara, Modesto ha ammesso che la difesa, specie sulle palle alte, non funziona e i 17 gol subiti lo confermano ampiamente. Il giovane albanese Kolaj (decisiva la sua rete e la sua prova) di fronte a Canestrelli (5) e Nedelcearu (4) avrà pensato di avere qualità più grandi di quelle che realmente possiede.

    Insomma, al “Moccagatta” il 3-4-1-2 pitagorico si è rivelato ancora una volta lento e poco fluido. Per non parlare dell’atteggiamento mentale di chi è sceso in campo, tutto meno che propenso al sacrificio. Cosa fare quindi? Molti tifosi chiedono la testa del condottiero. E tutto lascia pensare che la scarsa presenza di pubblico allo “Scida” degli ultimi due mesi si protrarrà ancora a lungo.

    L’organico, dopo la serie A e gli addii di Simy e Messias, resta forte, ma è stato rinnovato quasi del tutto, con una drastica riduzione dell’età media. Si sapeva fin dall’inizio che non sarebbe stato un torneo di vertice. Eppure nessuno forse, a partire dell’orgoglioso Gianni Vrenna, si aspettava così tante difficoltà.

    Cosa deciderà il patron? Si farà condizionare dal pessimo clima che si respira in città, oppure andrà avanti per la sua strada? Il solito Marzullo di cui sopra, in una delle sue originalissime riflessioni, sosteneva che «chi vince ha sempre ragione, chi perde ha sempre torto». E allora, prima di cambiare canale definitivamente, facciamoci tutti una domanda e diamoci una risposta.

    Voto 3 a chi risponde ad alta voce.

    Ménez è rimasto acceso

    Contro il Parma, nel 2014, realizzò forse il gol più bello della sua carriera. Indossava la maglia del Milan e con un folle colpo di tacco ammutolì lo stadio “Tardini”. Jérémy Ménez (voto 8) oggi si è ripetuto con addosso la casacca della Reggina. Non proprio come sette anni fa, ma ugualmente con una giocata da applausi. Un gol spettacolare, capace di buttar giù dalla torre delle big del torneo il Parma dei grandi nomi. Un piattone sotto l’incrocio, su assist di Di Chiara (6.5) che Buffon ha potuto solo ammirare.

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    Il gol di Ménez

    D’altronde era proprio il francese l’uomo che tutti attendevano. A iniziare da Alfredo Aglietti che in settimana aveva chiesto al suo asso di rimanere sempre acceso. Ed è ciò che è accaduto. Specie nel primo tempo, l’ex Psg e i suoi compagni hanno dettato legge a ritmo alto, mettendo gli emiliani in costante difficoltà. Nella ripesa, un rigore con Var di Galabinov (quinto centro e 7 in pagella) ha portato al raddoppio.

    La rete nel finale di Vazquez ha solo messo un po’ di pepe alla contesa, ma nulla di particolare. Una prova di forza che costringe la Reggina a non nascondersi. Il terzo posto in classifica a un solo punto dal Brescia (secondo) e a quattro dalla vetta, spinge inevitabilmente Reggio Calabria a sognare la massima serie. Dodici anni dopo l’ultima volta. Dodici anni dopo il ritorno di Buffon al “Granillo”.

    Voto 8 alle coincidenze benaguranti.

    Cosenza sull’altalena

    Giudicare il Cosenza di quest’anno è un lavoro complicato. Probabilmente sarà così fino alla fine del torneo. Colpa del fallito Chievo Verona, della Figc che lo ha fatto fallire fuori tempo massimo, e colpa di Eugenio Guarascio che, pur sapendo prima degli altri, si è mosso con ritardo. Ma questo è un discorso contraddittorio, anacronistico e quindi finisce qui. Non finirà, invece, quell’altalena di sensazioni schizofreniche che i ragazzi di Zaffaroni (voto 5,5 per ieri) procureranno ai loro tifosi partita dopo partita. Ogni tanto si parlerà di playoff a portata di mano e, magari, sette giorni dopo si invocherà un nuovo miracolo per evitare l’ennesima retrocessione.

    La disfatta di Benevento (3 a 0) racconta proprio questa storia: dopo il buon pareggio con il Frosinone si veniva da giorni di fiducia. È bastato perdere malamente in terra campana, tra l’altro davanti a 700 tifosi rossoblù, per cambiare gli umori e le prospettive future di gran parte della gente. Da ieri c’è chi attacca Zaffaroni per quell’atteggiamento eccessivamente attendista che prima andava bene, c’è chi se la prende con il reparto offensivo apparso sterile e isolato e c’è chi dice che senza Palmiero lì in mezzo non si va da nessuna parte.

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    I tifosi del Cosenza a Benevento

    Può darsi che sia corretto tutto, può darsi che lo sia anche il contrario. Eviterei, però, di prendermela troppo con il tecnico milanese, forse l’unico vero fuoriclasse della rosa da capire e aspettare. Mi assumo il rischio di dire che senza di lui questo Cosenza avrebbe la metà dei punti che ha e un andamento ondulatorio come quello delle ultime tre gare se lo sognerebbe. Come un qualcosa di impossibile da raggiungere.

    Invece, nonostante la partenza ad handicap, l’infortunio determinante per gli equilibri difensivi di Vaisanen; nonostante le assenze, l’inesperienza di Sy e Vallocchia, la scelta discutibile di Gerbo in mediana e non sulla fascia destra e tantissime altre cose, il Cosenza ha un’identità, un attaccante, un regista, ha un paio di seconde punte di spessore. E, rispetto a un anno fa di questi tempi, ha molte più probabilità di mantenere la categoria.

    Certo, con quel tifo sugli spalti sarebbe logico attendersi di più, ma anche questo rischia di diventare un discorso anacronistico e contraddittorio. Soprattutto se si pensa che sugli spalti c’è anche un presidente che dopo dieci anni di monarchia assoluta, non ha ancora compreso qual è il valore reale del suo regno.

    Voto 1 a chi non sa o non vuole mai guardare oltre.

    Catanzaro ko nel momento sbagliato

    Antonio Calabro presentando la sfida casalinga del suo Catanzaro con il Monopoli aveva rassicurato tutti: «State tranquilli, nessuno qui è con la testa alla partita di Bari», prossimo avversario in campionato. D’altronde come si fa a giocare contro un avversario pensando a quello successivo? Il punto è che, pur creando tanto, la squadra giallorossa è sembrata meno attenta del solito in fase difensiva e sprecona sotto porta.

    Veniva da quattro vittorie consecutive e vedeva il primo posto in classifica (attualmente di proprietà del Bari) non troppo lontano, soprattutto in vista dello scontro diretto di sabato prossimo. Con il Monopoli (1 a 2 il risultato finale) è andato tutto storto, a cominciare dall’arbitraggio, contestato a fine gara. Ovviamente nulla è ancora compromesso, ma per riaccendere la speranza della promozione diretta servirà un’impresa in terra pugliese.

    Prima di ieri una buona striscia di risultati l’aveva collezionata anche la Vibonese di mister D’Agostino. Con il Palermo, però, è stato fatto un passo indietro. L’illusione per il gol del vantaggio di Golfo, è stata prontamente cancellata dalla rimonta rosanero. Un ko che riconsegna ai rossoblù il posto di cenerentola del torneo, seppure in compagnia del Latina. Insomma, serve urgentemente una vera svolta. Lo sforzo mentale fatto fin qui per recuperare il terreno perso a inizio stagione, non è ancora sufficiente.

    Voto 4 ad entrambe per l’occasione persa.

    Haitem

    Haitem Jabeur Fathallah non ha avuto la stessa fortuna di Christian Eriksen. Aveva 32 anni, laureato in Economia Aziendale e Management e giocatore di basket di serie C Gold, uno dei migliori della categoria. Domenica scorsa, sul parquet del PalaLumaka di Reggio Calabria, stava guidando la sua Fortitudo Messina al successo, quando un malore, probabilmente una crisi ipoglicemica, lo ha fatto crollare a terra.

    Soccorso tempestivamente da cinque medici (uno di campo e quattro presenti casualmente sugli spalti), sembrava essersi ripreso. Si era seduto in panchina ad attendere l’arrivo dell’ambulanza. «Sto meglio, ora torno», aveva detto ai suoi compagni prima di salirci sopra. Da quel momento in poi le sue condizioni sono peggiorate drasticamente, fino al più triste degli epiloghi, pochi attimi dopo l’arrivo in ospedale.

    Non so perché mi è venuto da paragonare questa vicenda a quella del fuoriclasse della Danimarca e dell’Inter. In fondo, la vita di ognuno di noi è fatta di attimi, di situazioni favorevoli e non, di luci dei riflettori più accese di altre. E lo accettiamo.
    Il celebre Eriksen ha rischiato la pelle in mondovisione per un attacco di cuore, nel bel mezzo di un seguitissimo Europeo di calcio. È stato assistito in un lampo, come meglio non si poteva, e ce l’ha fatta.

    Dicono – e non fatico a crederlo – che la sua storia verrà ricordata per sempre. Quella di Haitem invece no e soltanto le indagini della Procura di Reggio Calabria (che ha aperto un fascicolo) per un po’ manterranno accesa l’attenzione sulla sua e esistenza e sulla sua morte inattesa.
    Servirà a poco, oppure a molto. Di certo, banale dirlo, non a rendere meno trasparenti certi drammi di serie C.

    Voto 10 a quel campionato che da oggi in poi porterà il suo nome: “Memorial Haitem Fathallah”.

  • Il balletto del San Vito: il nuovo stadio a Cosenza tra propaganda e strani numeri

    Il balletto del San Vito: il nuovo stadio a Cosenza tra propaganda e strani numeri

    «Il nuovo stadio Marulla si farà». È stato questo l’ultimo futuristico colpo ad affetto della campagna elettorale del candidato sindaco di Cosenza del centrodestra Francesco Caruso, già vice del vero ideatore del progetto Mario Occhiuto. Di nuovo stadio in città si parla infatti dalla campagna elettorale del 2016, era uno dei cavalli di battaglia dell’architetto che riconquistò a furor di popolo Palazzo dei Bruzi dopo il successo alle urne del 2011. Un progetto lungo già più di cinque anni, quindi, che nel corso del tempo ha conosciuto numerose metamorfosi, impennate propagandistiche e frenate silenziose.

    La presentazione a Roma

    Chi tra gli appassionati di calcio cosentino non ricorda la presentazione romana, nel febbraio 2017, del piano di realizzazione della nuova struttura sportiva cittadina? Oltre al sindaco Mario Occhiuto, nella sede dell’Istituto per il Credito Sportivo erano presenti il Commissario del Credito Sportivo Paolo D’Alessio, l’allora presidente della Lega Nazionale Professionisti B Andrea Abodi, l’assessore allo Sport Carmine Vizza e il presidente del Cosenza calcio Eugenio Guarascio, partner del progetto (almeno così all’epoca veniva riferito).

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    Una delle slide presentate a Roma mostrava ricavi e costi previsti per il club col nuovo stadio

    Nello studio di pre-fattibilità, si ipotizzava per ragioni di sostenibilità economica dell’operazione, una capacità di 11.000 posti espandibili di ulteriori 5.000 per un costo complessivo di 37 milioni di euro. Ciononostante, analizzando i dati relativi ai costi dello stadio, viene da chiedersi come sarebbe stato possibile mantenere certi standard di gestione. L’aspetto forse più assurdo riguardava il denaro per l’affitto dell’impianto che la società guidata da Eugenio Guarascio avrebbe dovuto sborsare: oltre 400mila euro annui. Una cifra spropositata se si pensa alle incrollabili politiche al risparmio dell’imprenditore lametino. Oggi, giusto per intenderci, il Cosenza Calcio paga un affitto al Comune di circa 5.500 euro al mese. Certo, si ipotizzavano grandi incassi: tra questi, anche i soldi dei biglietti (8 euro l’uno) di ben 11mila visitatori annui previsti nel nascituro museo dedicato alla squadra.

    Tre anni dopo…

    Da allora, di acqua sotto i ponti ne è passata molta e, giusto per non allontanarci troppo dalle fantasie occhiutane, quasi mai è stata navigabile.
    «Nei prossimi tre anni – aveva dichiarato in quella circostanza Occhiuto dopo aver valutato il percorso finanziario del piano di lavoro – realizzeremo il nuovo stadio, noi le promesse le manteniamo».

    Tre anni dopo, esattamente nel gennaio 2020, e con un dissesto finanziario del Comune con cui fare i conti, lo stesso primo cittadino si rammaricava dal suo profilo Facebook. Purtroppo non era ancora stato possibile far partire i lavori «nonostante l’immutata disponibilità dell’Istituto del Credito Sportivo, perché il fondo immobiliare Invimit ha rallentato le approvazioni del finanziamento a causa del rinnovo del management. Noi proveremo ad andare avanti, ma non so ormai se riusciremo ad avviare e completare le opere prima della fine del mio mandato. Spero che chi verrà dopo di noi abbia la volontà e la capacità di continuare su questa strada».

    L’autogol

    Tornando all’attualità delle recenti elezioni comunali di Cosenza, c’è da sottolineare il clamoroso autogol di Francesco Caruso in vista del ballottaggio. Credeva, grazie al dio pallone, di recuperare il terreno che un altro Francesco (De Cicco) gli aveva fatto perdere con la sua sorprendente “affiliazione” al centrosinistra. Invece ha finito per peggiorare la situazione.

    Il popolo di fede rossoblù, infatti, tranne i soliti puri e duri a morire di speranze e illusioni, stanco di ascoltare promesse mai mantenute, aveva accolto con freddezza l’uscita del candidato a perdere. Caruso, dal canto suo, era andato avanti come un treno aggrappandosi alle rassicurazioni (e non poteva essere altrimenti) di Roberto Occhiuto, fratello di Mario nonché fresco di elezione a governatore calabro.

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    Lo scambio su FB sull’affidamento del progetto che ha fatto scalpore tra i cosentini prima del voto

    Sulla sua pagina Facebook Francesco Caruso sindaco (da qualche giorno misteriosamente scomparsa), il 15 ottobre scorso si era espresso in questi termini: «#NuovoStadioMarulla, progetto già affidato e inglobato nella Città dello Sport».
    Un’uscita sensazionalistica che, oltre a collezionare una marea di sfottò da parte della tifoseria delusa, aveva fatto emergere un aspetto inquietante: l’aggiudicazione di quel progetto da parte di un raggruppamento di specialisti tra cui figurano gli architetti Alfonso Femia e Rudy Ricciotti, non è mai stata verbalizzata dalla commissione esaminatrice.

    La Regione che non c’era

    Per dirla con parole ancora più semplici, i vincitori del concorso internazionale indetto dal Comune di Cosenza per il progetto della “Città dello Sport” che comprende, appunto, la riqualificazione dello stadio comunale San Vito-Marulla e la valorizzazione e riqualificazione delle aree limitrofe, non hanno mai ricevuto alcuna comunicazione in merito. Ecco perché è apparso alquanto bizzarro leggere le parole di Caruso, a cui sono seguite poi, sempre su Facebook, quelle del presidente della commissione consiliare Sport di Palazzo dei Bruzi Gaetano Cairo in risposta all’ingegnere Claudia Grandinetti che aveva fatto notare che nulla ancora è stato affidato.

    «La soluzione progettuale rappresentata nel rendering – aveva scritto Cairo – è quella proposta dall’architetto Rudy Ricciotti e dall’architetto Alfonso Femia con cui probabilmente l’arch. Grandinetti ha collaborato nell’ambito del gruppo di lavoro. La soluzione risulta vincitrice dell’espletato concorso di idee per lo sviluppo del progetto di fattibilità tecnica ed economica della Città dello Sport, un concorso già aggiudicato ma non formalizzato ovviamente a causa della non disponibilità del finanziamento. Il finanziamento verrà garantito dal governatore della Regione Calabria Roberto Occhiuto».

    Ma è proprio su quest’ultima affermazione di Cairo che vengono fuori le perplessità maggiori: cosa c’entra la Regione Calabria con la vicenda stadio? E, soprattutto, in che termini un finanziamento che dovrebbe essere di competenza del Credito Sportivo verrà garantito dal governatore? Difficile se non impossibile pensare che esista un canale di finanziamento dedicato unicamente allo stadio cosentino. Più plausibile, invece, che lo stesso governatore nei giorni roventi del pre-ballottaggio abbia avallato una promessa elettorale dalle basi non troppo solide.

    Capienza (parecchio) variabile e ritocchi

    Il progetto vincitore del concorso prevede(va) l’estensione di circa 60.000 mq solo per lo stadio, con una capienza flessibile, a differenza degli 11.000 del 2017, di ben 40.000 posti (il capitolato speciale d’appalto ne richiedeva, a sua volta, tra i 16.000 e i 20.000), con aree VIP, sky boxes e business lounges e un museo con negozi. E poi ancora la realizzazione di cinema, un hotel, attività commerciali, una biblioteca e un centro medico-sportivo. Di milioni, tra l’altro, ne dovrebbe costare 47, dieci in più di quelli che Invimit non era più disposta a cofinanziare.

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    Ma dalle nostre ricerche è emersa una particolarità di non poco conto: il rendering (o meglio, per dirlo alla buona, i cosiddetti fotomontaggi) che da tre anni l’ex sindaco Mario Occhiuto e più di recente il suo quasi erede Francesco Caruso stanno facendo circolare sui social network, non corrisponderebbe a quello che è il progetto originale vincitore del concorso, ideato – è sempre bene ricordarlo – da Rudy Ricciotti, uno dei più grandi architetti francesi contemporanei, Alfonso Femia che può vantare tre studi in Italia e in Francia e poi ancora Pino Scaglione, Antonio Trimboli e molti altri illustri professionisti cosentini.
    Insomma, qualcuno avrebbe modificato ad arte le immagini, chissà se per renderle più accattivanti agli occhi della gente. Se la situazione non fosse già abbastanza tragicomica di suo, si potrebbe parlare tranquillamente di violazione del diritto d’autore.

    L’appello dei tifosi al neo sindaco Franz Caruso

    Il punto di tutta questa avventura paradossale è che, nonostante la sconfitta del centrodestra e l’elezione a sindaco della città di Franz Caruso del centrosinistra, c’è ancora in città chi spera nel miracolo della realizzazione del nuovo stadio. Pur avendo un intenso sapore elettorale, le esternazioni di Francesco Caruso e quelle di Gaetano Cairo sulla disponibilità del presidente della Regione Calabria a interessarsi finanziariamente alla vicenda, sembrano aver riacceso ugualmente una fiammella di speranza in una parte della tifoseria, evidentemente timorosa che tra le due parti (Regione e Comune) non si riesca a stringere un dialogo costruttivo.

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    L’attuale San Vito-Marulla visto dall’alto

    Nelle ultime ore il direttivo dell’associazione “Cosenza nel Cuore” ha chiesto un incontro al neo eletto sindaco Franz Caruso anche per discutere di una auspicabile implementazione e rigenerazione dello stadio cittadino. Lo fa fatto con una nota in cui ricorda «l’informazione, fornita dal neo Presidente della Giunta Regionale, On. Roberto Occhiuto, secondo la quale tale progetto sembrerebbe suscettibile di immediato finanziamento sui fondi PNRR o simili. È opinione dell’Associazione – prosegue il documento – che un’occasione del genere non debba essere persa e che una tale opera non possa avere un colore politico, ma rappresentare unicamente un elemento di crescita territoriale, sociale ed anche economica».

    Insomma, una storia tanto infinita quanto ingannevole che, probabilmente conoscerà nuovi capitoli. Ovviamente a discapito di chi tifa Cosenza Calcio e crede da sempre nei sogni che lo circondano.

  • SPORTELLATE | Dazn elettorale e Modesto fa Oronzo Canà

    SPORTELLATE | Dazn elettorale e Modesto fa Oronzo Canà

    Dopo due settimane di pausa, torno a dare i voti alle partite, ma, ahimè, non solo di pallone. A Cosenza, infatti, in vista del ballottaggio per la carica di sindaco, il Francesco Caruso del centrodestra ha rispolverato un vecchio cavallo di battaglia del suo predecessore Mario Occhiuto: la costruzione del nuovo futuristico stadio cittadino. Un tormentone che va avanti da anni e che ritorna, puntualmente.

    Dazn fa infuriare Franz

    Insomma, tutto nella norma, se non fosse che durante la sfida tra il Cosenza e il Frosinone di ieri pomeriggio, il telecronista di Dazn, Giorgio Basile, ha pensato fosse opportuno rammentare il progetto di Caruso con un ingenuo «se ne sono sentite tante di promesse di questo tipo in tutta Italia, speriamo che questa volta sia vero» .
    Apriti cielo.
    Il candidato sindaco del centrosinistra Franz Caruso, venuto a conoscenza della riflessione del giornalista in pieno silenzio elettorale, si è immediatamente rivolto alle autorità competenti, pubblicando poi a seguire un post di denuncia sul suo profilo Facebook: «Ennesimo maldestro tentativo di inquinare la competizione elettorale».

    Un Dazn senza interruzioni prende le distanze

    Per la cronaca politica e aziendale (perché di quella sportiva parlerò più avanti), va detto che Dazn ha preso le distanze dal suo dipendente, stavolta però – ed è qui a mio avviso la notizia vera – in tempo reale e senza alcun ritardo di connessione. Come andrà a finire, invece, la vicenda tra i due “carusi” non è dato sapere. Anche se, pensando a ciò che accade da tempo a livello nazionale, si può ipotizzare che il tutto verrà dimenticato. Probabilmente insieme alla costruzione del nuovo stadio.

    Voto 3 a chi sostiene ancora che il calcio è solo un gioco.

    Galabinov: l’uomo del monte ha fatto gol

    Andrej Asenov Galabinov è un gigante bulgaro di quasi due metri. Carattere tosto e una passione per la montagna. Eppure – parole sue – in carriera si è quasi sempre ritrovato a giocare in città di mare. Sorrento, Livorno, Genova, La Spezia e Reggio Calabria sono solo alcune delle sue tappe da bomber. Arrivato in Italia nel 2005 grazie all’ingaggio del papà come allenatore della Pallavolo Modena, anno dopo anno ha collezionato tanta gavetta in C e B e alcune esperienze non troppo fortunate in A, specie nello Spezia (suo il primo storico gol degli “Aquilotti” nella massima serie).

    Il gigante bulgaro Andrej Asenov Galabinov

    In Liguria, appena un anno fa, stava andando tutto secondo i piani, poi un brutto infortunio e il pessimo rapporto con il tecnico Italiano, hanno frenato la sua convinzione di poter finire la stagione in doppia cifra. Ma è proprio grazie a quell’imprevisto che oggi la Reggina di Aglietti può goderselo da vicino. D’altronde, il direttore sportivo Massimo Taibi poche settimane fa era stato chiaro: «Se non avesse avuto guai fisici, oggi Andrej non sarebbe qui», con il mare sotto casa e l’Aspromonte a un tiro di schioppo.

    Il presidente amaranto non si sbilancia

    Ieri, con la sua quarta prodezza stagionale da bomber d’altra categoria, gli amaranto hanno affondato fuori casa (0 a 1) il Vicenza di Brocchi, mettendo a tacere i malumori della piazza per la deludente sconfitta di Pisa. Una vittoria che ha messo in evidenza ancora una volta la solidità difensiva del gruppo (7 reti subite) e – “Galagol” a parte – qualche problemuccio di troppo in attacco (tra i reparti peggiori del torneo). Il ritorno in campo di Menez, insieme alla crescita di Cortinovis e Rivas (tutti da 6 in pagella), da qui in avanti potrebbe portare dei benefici, anche se la sensazione è che per mantenersi nelle zone di vertice della classifica fino alla fine servirà qualcosa di più.

    E quel qualcosa, ovviamente, può portarlo in dote Luca Gallo con i suoi investimenti nel mercato di gennaio. In settimana il patron, un po’ da filosofo consumato e un po’ da politico paraculo, ha entusiasmato il suo popolo così: «Di vita ne abbiamo una sola e, solo una volta, ho potuto comprare la Reggina. Se avessi cento vite, però, cento volte comprerei la Reggina». Reggina che, dopo le spese esagerate dei primi tempi, lo ha fatto anche diventare più saggio: «Lo scorso anno – ha ricordato – parlavo di serie A e ad un certo punto stavamo per retrocedere. Meglio quindi fare un passo alla volta».

    Voto 8 al bomber mare&monti, 7+ al potere della saggezza.

     

    Qualcuno dia un passaggio a Caso

    Da bambino sognavo come tanti di diventare un calciatore famoso, un fuoriclasse. Facevo il fantasista e non passavo il pallone nemmeno per errore. Quando finalmente ho capito perché non funzionava, avevo qualche capello in meno sulla testa e un po’ più giù una pancetta niente male. Ora, io non voglio dire che Giuseppe Caso (voto 7 sulla fiducia) avrà una sorte simile alla mia, ci mancherebbe altro. Già il fatto che a 22 anni giochi in serie B con il 10 sulle spalle mentre io alla sua età ero perennemente in debito d’ossigeno in Prima Categoria, è roba di cui andare fieri fino alla pensione, se non oltre. Resta, però, nella mente quel maledetto vizio che mi perseguitava e che – ormai è chiaro anche ai suoi parenti più stretti –perseguita il funambolo silano. Ed è un vero peccato perché della partita tra Cosenza e Frosinone (1 a 1), lui è stato ancora una volta un protagonista indiscusso con un rigore procurato (e trasformato da Gori, da 7- insieme a Carraro e Tiritiello) e tante altre buone giocate individuali. Almeno fino a inizio secondo tempo, quando gli applausi del pubblico bruzio, si sono trasformati in mugugni, qualche fischio e frasi non adatte ai minori di 14 anni.

    Il numero 10 dei Lupi, Giuseppe Caso, durante la partita Cosenza-Frosinone
    Lo scugnizzo di Torre Annunziata ha un limite

    Poco prima che lo squadrone di Fabio Grosso ricevesse un bel pacco regalo confezionato da Vigorito (voto 5 nonostante una bella parata su Canotto), lo scugnizzo di Torre Annunziata era stato capace di mandare all’aria in modo fastidioso almeno due ripartenze in superiorità numerica, sempre per via di quell’ossessione da supereroe di sfidare il mondo tutto da solo con le maniche della maglia arrotolate.

    Ma la colpa del pari ciociaro non è sua

    Ovviamente, la colpa del pari ciociaro non è soltanto sua (le immancabili distrazioni difensive, le assenze per infortunio e il solito calo fisico a centrocampo sono concause), ma c’è sullo sfondo l’amarezza per un limite che non si riesce proprio a superare di uno dei migliori della rosa rossoblù e forse del campionato intero. Toccherà per forza di cose a mister Zaffaroni, a Goretti e magari a qualche bravo analista, il compito di trovare le parole giuste per far comprendere al ragazzo che la differenza tra un fuoriclasse e un buon calciatore, sta proprio nella capacità di controllo del proprio talento. In sintesi: Caso, se vuole, ha tutte le qualità che servono per portare in alto i “Lupi” e sé stesso. Molto prima che stempiatura e pancetta decidano di palesarsi in modo irrimediabile. Basta solo volerlo veramente.

    Voto 2 alle mie ambizioni giovanili, 6- all’ennesima occasione mancata dal Cosenza.

    Modesto e quella gioia alla Oronzo Canà

    Per gli amanti de “L’allenatore nel pallone” e del 5-5-5 di Oronzo Canà (alias Lino Banfi), consiglio di vedere e rivedere l’esultanza scomposta di Francesco Modesto al termine di Crotone-Pisa (2 a 1). Un’esibizione piuttosto sgraziata che però dice tanto, più di quanto già si sapeva, sullo stato emotivo del giovane condottiero rossoblù, osannato a inizio stagione dai suoi superiori e giunto probabilmente fino a ieri pomeriggio a pochi passi da una pericolosa crisi di nervi.

    Un balletto alla Oronzo Canà per l’allenatore del Crotone, Francesco Modesto

    È vero, gli sono servite otto partite per vincerne almeno una (la prima da allenatore cadetto), ma la sensazione è che lo scontro con la capolista possa essere la svolta tanto desiderata, lo sblocco psicologo che allontana un esonero che era dato da molti ormai per certo. Stavolta, a differenza del recente passato, l’ex terzino sinistro di Genoa, Parma e tante altre è riuscito ad associare il bel gioco alla concretezza sotto porta.

    Ovviamente deve dire grazie ai suoi ragazzi per l’impegno, in special modo a Zanellato (che dovrebbe giocare sempre dal primo minuto) e Mulattieri, quest’ultimo bravo a vincere il duello a distanza con Lucca, cannoniere come lui del campionato che nelle ultime settimane è diventato inaspettatamente il principale oggetto del desiderio dei migliori top club del Paese, quasi come un Calenda al ballottaggio romano per le amministrative.

    Il Crotone da’ il primo dispiacere stagionale alla capolista

    Insomma, il Crotone che ha dato il primo dispiacere stagionale alla capolista toscana, sembra aver trovato la ricetta giusta per non sprofondare. Non so se alla lunga riuscirà a mettersi alla pari delle altre grandi del torneo, ma è evidente che qualcosa di nuovo si sta finalmente muovendo. A tratti, lo ammetto, ho temuto che Modesto potesse fare la stessa fine del fin troppo aziendalista Roberto Occhiuzzi, fatto passare un anno fa dalla dirigenza del Cosenza calcio come un nuovo Guardiola per poi finire rottamato come un Pirlo qualunque. Per ora il pericolo dalle parti dello “Scida” è scongiurato, ma guai ad abbassare la guardia.

    Voto 4 agli allenatori che si fidano troppo dei loro datori di lavoro.

    Questo Catanzaro fa paura

    Una domenica così in serie C non si vedeva da mesi: Catanzaro e Vibonese vittoriose e convincenti. Impossibile criticarle. Ma, com’è giusto che sia, parto dalle “Aquile” di Calabro, capaci di rifilare tre gol al temibile Taranto (con Cianci, Vandeputte e Vázquez). Dopo un avvio di campionato problematico in zona offensiva, i giallorossi con tre successi di fila (8 reti all’attivo e una sola al passivo) stanno dando ragione a chi sosteneva che sarebbero stati loro i rivali principali del Bari per la corsa alla promozione diretta in B. Bravi anche i ragazzi di D’Agostino che superando in casa 2 a 0 il Latina (Golfo e Spina), hanno raggiunto due obiettivi di non poco conto: il primo successo stagionale e la fuga dall’ultima posizione in classifica. Ovviamente, visti i disastri recenti, nulla è ancora risolto, ma col buonumore, forse, si può iniziare a pensare a un futuro migliore.

    Voto 10 a tutte e due.

    Il contratto di Rivière

    La breve parentesi crotonese di Emmanuel Rivière, sarà giudicata nei secoli come una specie di mistero buffo non adatto ai duri e puri del pallone.
    Attaccante franco-martinicano che in piena pandemia salvò coi suoi gol il Cosenza dall’inferno della C, nella città pitagorica si è rivelato una vera e propria scheggia impazzita. Un gol all’esordio in serie A e poi il nulla assoluto, condito da tanti infortuni e altrettante panchine. A fine torneo, dopo la retrocessione degli “Squali” in serie B e con ancora un anno di contratto da smaltire, l’ex Monaco e Newcastle se n’era tornato nella sua casa natale a godersi – beato lui – le ricchezze naturali del posto e quelle materiali del suo portafoglio, a quanto pare sconfinate. Il Crotone lo aveva aspettato invano per l’intera estate, fino a decidere poi di intavolare trattative a destra e a manca per la sua cessione. Tutto questo senza consultarsi col diretto interessato, il cui smartphone dicono squillasse sempre a vuoto, anche e soprattutto nelle ore cruciali del calciomercato.

    Guarascio lo avrebbe ripreso, ma a costo zero

    Si diceva addirittura che il proprietario del Crotone Gianni Vrenna per la sua cessione avesse chiesto un milione di euro, una cifra scoraggiante per chi come il presidente del Cosenza Eugenio Guarascio, voleva riportarlo gratuitamente in riva al Crati. Vabbè, insomma, tutto questo pippone per dire che tre giorni fa il Collegio arbitrale della Figc ha accolto la richiesta del Crotone di chiudere il contratto con Rivière “per grave inadempimento dello stesso, così dichiarando l’interruzione del rapporto per fatto e colpa del tesserato a decorrere dal 13 agosto 2021”.
    In conclusione, da adesso in avanti, per il mondo del calcio, Rivière sarà ricordato come un goleador piuttosto bravo che, a un certo punto della sua carriera, a un oneroso stipendio nella ridente Calabria ha preferito le spiagge caraibiche di casa sua. Verrebbe da esclamare “chiamalo fesso”. Ma non lo faccio.

    Voto 9 a chi può permettersi il lusso di non emigrare per campare.

  • SPORTELLATE | Modesto, Millico e un coraggio da Leone

    SPORTELLATE | Modesto, Millico e un coraggio da Leone

    Oggi e domani in Calabria voteremo tutti o chi ci crede ancora. Negli articoli sportivi come questo, nei seggi elettorali, nelle chiese sperando in una grazia.
    Io, visto che ho sempre considerato il pallone una sorta di specchio della politica e viceversa, darò i voti qui dentro con le stesse incertezze di fondo con cui li darò fuori da qui.
    Osvaldo Soriano, grande narratore argentino di fútbol e rifugiato politico durante la dittatura di Jeorge Videla, sosteneva che il calcio è dubbio costante e decisione rapida. Un po’ come una x da mettere su una scheda piena di simboli, mi verrebbe da dire. Ognuna, però, con la sua anima a cui dare ascolto.

    Il Modesto triste

    La conferenza stampa post Crotone-Ascoli (2 a 2) di Francesco Modesto è stata cupa ma leggera, a tratti persino soporifera. Nessuna domanda scomoda e tantissimi complimenti (giusti, per carità) da parte dei giornalisti per la prestazione convincente e sfortunata della sua squadra. L’allenatore ha utilizzato, senza alcun risparmio, tutte le frasi standard del caso: «Prendere il gol del pareggio a cinque secondi dalla fine sa di beffa»; «entrare nello spogliatoio a fine partita non è stato facile»; «i ragazzi hanno messo in campo tutto quello che avevano»; «siamo stati puniti da un episodio» e così via.

    L’allenatore del Crotone, Francesco Modesto
    Gli Squali barcollano dopo 7 giornate

    Effettivamente stavolta agli Squali non si può contestare granché. La gara l’hanno fatta loro e – qui la frase standard ce la metto io – meritavano molto di più. Ma al di là delle gentili parole di circostanza, resta un problema che neanche gli eterni ottimisti possono nascondere sotto il tappeto: dopo sette giornate di campionato quella che, a detta di esperti e non, doveva essere una candidata alla promozione in serie A, barcolla nelle posizioni di bassa classifica con quattro punti, neanche una vittoria all’attivo e lo sguardo del suo condottiero che sembra volerti dire: io più di così non so che fare. Sia chiaro, le altre big del torneo o presunte tali, non è che stiano facendo sfracelli, vedi soprattutto il Parma e il Monza dei veterani Buffon e Berlusconi.

    Peccati di gioventù

    Il Crotone, però, bisogna ammetterlo, sembra avere qualche lacuna che richiede maggiore attenzione. Più che altro per l’inesperienza della sua rosa, la più giovane del campionato. Vrenna e Ursino sono stati bravi come al solito a portare nella città di Pitagora alcuni tra i migliori talenti in circolazione come i nazionali Under 21 Mulattieri (5 gol) e Canestrelli (sue le due reti di ieri a cui è seguita un’espulsione sciocca), ma c’è il sospetto che tutto ciò non basti a reggere il peso di un progetto ambizioso. Intorno a ragazzini dal futuro assicurato, al momento i vari Estévez (6.5), Molina (6) e gli alti e bassi cronici di Benali (ieri da 5 in pagella) non tengono botta. D’altronde, lo stesso Modesto ha ammesso che manca sempre quel pizzico di furbizia che potrebbe permettere a suoi ragazzi di dare un senso alle buone prestazioni che finora non sono mancate quasi mai. E allora che fare? Niente di particolare, a parte, naturalmente, lavorare e attendere umori, risultati e parole migliori.

    Voto 4 alle intramontabili beffe a tempo scaduto, 5.5 alle frasi standard.

     

    L’incubo di Vincenzo Millico

    Sette mesi fa, con un post di Instagram, si era sentito in dovere di chiedere scusa a tutti. A chi lo aveva sempre incoraggiato e a chi gli era stato vicino, « soprattutto in questa stagione così terribile che sembra un incubo ». Dal ritiro estivo fino a quel 4 marzo, era stato costretto ad alzare bandiera bianca per ben sei volte: tre con il suo Torino (affaticamento muscolare, positività al Covid e distrazione alla coscia destra) e tre con il Frosinone (sempre a causa dei suoi muscoli di cristallo). Una sorta di Giuseppe “Pepito” Rossi, oppure, per non andare troppo indietro con la memoria, un piccolo Stefano Sensi. Aveva chiesto scusa Vincenzo, come se farsi male giocando a pallone fosse una colpa. Ieri, ad Alessandria, con addosso la maglia da titolare del Cosenza, è arrivata l’ennesima batosta dopo uno scatto apparentemente innocuo: dolore al flessore e giù le lacrime. Mentre scrivo, non si conosce ancora l’entità del suo guaio, c’è chi lo sottovaluta e chi no. Si può comprendere, invece, il suo dolore.

    Le lacrime di Vincenzo Millico ad Alessandria dopo l’infortunio
    Senza guai fisici avrebbe giocato il Derby della Mole

    Ad appena 21 anni Millico ne ha già passate non poche. Senza guai fisici, uno come lui non giocherebbe a Cosenza e neanche in serie B. Senza malasorte, ieri pomeriggio, anziché quella dei Lupi, avrebbe indossato la maglia granata nel derby con la Juventus. E, magari, grazie al suo talento, quella partita sarebbe finita in un altro modo. Invece, anche per il suo infortunio, a cui si aggiungono il portiere Vigorito e il difensore Väisänen, la squadra di Zaffaroni con i Grigi (vittoriosi 1 a 0) ha dato spazio a una performance dimenticabile. Magari utile per il futuro ma, nel presente, abbastanza antipatica, in special modo nell’atteggiamento, molto simile a quello messo in mostra dal presuntuoso Crotone al “San Vito-Marulla” una settimana fa. Come se le tre vittorie consecutive su quattro avessero fatto scordare da dove si viene e dove si spera di andare.

    Frenato l’entusiasmo dei Lupi

    Insomma, è bastato un avversario con una mentalità battagliera da Lega Pro (alla sua prima vittoria in B dopo 46 anni) per riportare l’entusiasmo sulla terra ferma. Al “Moccagatta” è andato tutto storto: dagli infortuni alla superiorità tecnica sfruttata male, dalle sostituzioni ai virtuosismi inutili dei fortissimi Eyango (5) e Caso (4.5). Soprattutto quest’ultimo ha dimostrato di avere qualche difettuccio di generosità verso il prossimo: non passa la palla neanche quando a chiederglielo, in ginocchio, è la sua coscienza. Insomma, durante la pausa, Zaffaroni avrà molto da (ri)lavorare sulla testa e, qualunque sia la sua fede, da pregare affinché i “feriti” possano rimettersi in piedi al più presto.

    Lo striscione per Mimmo Lucano

    Finale con una nota di cronaca sociale, che a sinistra avrà fatto piacere, a destra molto meno, nel PD chi lo sa veramente? Ieri, dal settore ospiti occupato dai tifosi cosentini, sono spuntati fuori due striscioni, uno per ricordare Enzo Spinello, un tifoso dell’Alessandria scomparso di recente, l’altro con su scritto “L’umanità non si processa. Mimmo Lucano innocente”. In entrambi i casi, standing ovation dell’intero stadio.

    Voto 9 a Millico per tutte le volte che saprà rialzarsi, 10 all’umanità.

     

    Reggina senza punti e punte

    A differenza di Nino Spirlì (uno dei tifosi reggini più famosi del momento) che si è sempre detto sicuro del primo posto della sua squadra alle elezioni regionali, Massimo Taibi, serio e affidabile direttore sportivo amaranto, non ha mai parlato di vittoria del campionato. E lo ha precisato a chiare lettere nella settimana appena conclusa. Un voler mettere le mani avanti per evitare facili entusiasmi e cadute rovinose? Forse. Ma, in fondo, si sapeva già.
    Giusto per rimanere ingiustificatamente nel campo politico-calcistico, la Reggina, pur essendo una squadra solida, ad oggi non ha la forza e gli avversari strampalati del centrodestra calabrese. Lo ha dimostrato la sconfitta evitabilissima di ieri contro un’altra entità indefinita (più o meno come Spirlì) del momento: il Pisa (2 a 0).

     

    Fortuna toscana

    È vero, il team toscano ultimamente sembra essere unto dal Signore: gol stratosferici, regali degli avversari in abbondanza e fortuna sfacciata. Addirittura il suo attaccante principe, tale Lucca da Moncalieri (che già Taibi aveva adocchiato tempo fa senza riuscire a portarlo in Calabria), potrebbe finire presto nella nazionale campione d’Europa di Roberto Mancini. Ma nonostante tanta grazia, almeno un punto si poteva portare a casa lo stesso. Lo ammetto, guardando la partita ho pensato anch’io, come tanti, a quanto la formazione di Aglietti fosse stata scalognata negli episodi chiave della gara; autogol di Cionek (5), errori sotto porta di Galabinov (5), Rivas (6) e Cortinovis (6), rigore ed espulsione ingenua di Micai (4.5). Poi, però, mi sono detto che il calcio è questo. Lo so, non una riflessione tra le più ingegnose del secolo, ma comunque onesta. La Reggina ha perso per la prima volta quest’anno anche perché ha fallito delle occasioni da rete che, per professionisti della materia come quelli citati poco sopra, dovrebbero essere un gioco da ragazzi. Sette gol realizzati in sette partite sono poca roba. Basterà il prossimo ritorno di Menez ad invertire la rotta?

    Voto 3 alla mia domanda.

     

    I se del Catanzaro

    Fra le tante frasi pronunciate negli ultimi tempi dal tecnico giallorosso Antonio Calabro per giustificare l’andamento lento della sua corazzata (giovedì ad Avellino è arrivato il quinto pareggio di fila), ce n’è soprattutto una che ha attirato la mia attenzione. Niente di particolare, sia chiaro, ma se ne parlo è perché subito dopo averla ascoltata, ho pensato (devo ancora capire se con nostalgia o meno) a Vujadin Boškov, l’allenatore serbo dalle battute fulminanti.
    Erano le fasi successive della gara pareggiata al “Ceravolo” 1 a 1 con il Catania e, incalzato dalle domande dei giornalisti che chiedevano spiegazioni sulla scarsa brillantezza della sua squadra, il mister pugliese aveva replicato in questo modo: «Se oggi avessimo fatto un gol in più degli avversari, il vostro giudizio sulla prestazione sarebbe stato diverso. Io lo so che è così».

    Ammetto di aver riflettuto a lungo su questa cosa e, obiettivamente, a quasi una settimana di distanza dall’accaduto, non me la sento proprio di contraddire Calabro. In sintesi – e spero di non sbagliarmi – ha dichiarato che se il Catanzaro avesse vinto, tutti gli avrebbero fatto i complimenti. Che dire se non chapeau.

    Voto 8.5 alle verità lapalissiane, s.v. alla nostalgia.

     

    Delusione Vibonese

    Niente da fare. C’è poco da aggiungere su quanto già scritto nelle ultime settimane. Oggi per il team rossoblù era attesa l’ennesima svolta del campionato. Dopo la sconfitta infrasettimanale con la Paganese, si affrontava il Potenza, penultimo in classifica, in poche parole non una macchina da guerra. L’occasione per smentire le critiche e i malumori era lì, a portata di mano. Ma, come detto, non c’è stato niente da fare. Nel finale di partita, al vantaggio ipponico realizzato da Vergara, ha replicato Zampa per i lucani. Morale della storia, se ne resta una: se non si vincono neanche queste sfide, il destino della squadra di D’Agostino (che a questo punto rischia grosso) sembra segnato.

    Voto 3 come i punti in classifica.

     

    La sua curva

    Pochi giorni fa, esattamente il primo di ottobre, è ricorso il triste anniversario della morte di Massimiliano Catena, talentuoso centrocampista del Cosenza calcio a inizio degli anni ‘90. In quel tragico giorno del 1992, dalle parti di Tarsia perse il controllo della sua automobile e la vita. A soli 23 anni. Stava tornando da Roma dove era andato a trovare suo padre Monaldo, malato gravemente. Max, così come lo chiamavano tutti, gli aveva raccontato del suo bellissimo gol alla Ternana, realizzato quattro giorni prima allo stadio “San Vito”. Una botta imparabile da venticinque metri, proprio sotto la Curva Nord ancora in costruzione e che, strana beffa del destino, avrebbe poi portato il suo nome.
    L’esordio da giovanissimo in serie A con la maglia del Torino nella sfida col Cesena, e poi tante prestazioni da applausi, su tutte quella contro il Milan del trio olandese Gullit-Van Basten-Rijkaard.

    Massimiliano Catena, talentuoso centrocampista dei Lupi prematuramente scomparso nel 1992

    Era un predestinato, dopo la gavetta di Cosenza avrebbe sicuramente spiccato il volo, lo dicevano tutti. Invece non è andata così. 29 anni fa, e non sembra neanche ieri. Nelle ultime settimane, quella curva, dopo un lungo silenzio, si è ripopolata nuovamente di cori e passione rossoblù. Da quel momento, sotto quella curva, si realizzano soltanto gol straordinari. Alla Massimiliano Catena.

    Voto 10 a quel bolide eterno da venticinque metri.

     

    Un coraggio da Leone

    Dopo Catena, chiudo con un’altra vita spezzata sul più bello. Ieri 2 ottobre, Daniel Leone, ex portiere campano di Reggina e Catanzaro, ha gettato la spugna definitivamente a causa di un cancro al cervello. Nel 2014, proprio mentre militava nella squadra amaranto, aveva scoperto il suo male. L’immediato intervento chirurgico agli Ospedali Riuniti di Reggio Calabria e una lunga fase di cure, gli avevano donato una forza incredibile e contagiosa, a tal punto da tornare in campo. Ma nel 2017 la bestia era tornata a farsi viva, chiudendo di fatto la sua carriera di calciatore. Poi una nuova operazione e tanti alti, bassi e speranze, svanite a soli 28 anni. Reggina e Catanzaro, nel loro messaggio di condoglianze, hanno ricordato l’incredibile coraggio dimostrato dal loro numero uno. Io chiudo come ho iniziato, con una frase semplice e innocente di Osvaldo Soriano: «Sono così le storie del calcio: risate e pianti, pene ed esaltazioni».

  • SPORTELLATE | Conte, Bergomi, derby, Dazn e nichilismo

    SPORTELLATE | Conte, Bergomi, derby, Dazn e nichilismo

    Eccomi di nuovo qui a dare le pagelle allo sport di casa nostra. Lo dico subito, questa settimana ho dedicato ogni pensiero soltanto al pallone. Certo, avrei potuto occuparmi anche della maratona elettorale in Calabria dell’ex premier Giuseppe Conte che, sfoggiando un fisico bestiale da atleta d’altri tempi, ha illegalmente assembrato come un Cristiano Ronaldo le piazze di ogni dove, scatenando violente reazioni ormonali di sostenitrici Under/Over e polemiche compatte di famosi artisti di musica e teatro.

    bergomi-derby
    Beppe Bergomi assiste al derby Cosenza-Crotone in tribuna al San Vito-Marulla

    Avrei potuto dare un voto a questa cosa qui, ma ho preferito lasciar perdere. Anche perché, poi, ci ha pensato il derby Cosenza-Crotone (1 a 0) a riportate la folla (8 mila anime vaccinate e greenpassate) alla sobrietà. Un giudizio lo do piuttosto a Beppe Bergomi, coraggioso a preferire il San Vito-Marulla a San Siro, dove la sua Inter affrontava l’Atalanta. Follia? Può darsi. Ma si sa, per i figli si fa questo e altro (per chi non lo sapesse, lo “zio” è il suocero del bomber dei silani Gabriele Gori).

    Voto 10 al partitone meraviglioso di Milano che Bergomi si è perso.
    Derby/1

    Eugenio Guarascio in tribuna, senza giacca, quasi a non crederci; Gianni Vrenna in panchina, ingiacchettato, a reggersi il broncio a fatica con la mano destra.
    È questa una delle tante immagini del derby. Emblematica, simbolica, rappresentativa di due uomini che fanno gli imprenditori ambientali nella stessa regione e non sono amici neanche un po’. A inizio torneo tutti pronosticavano per entrambi un destino opposto: il patron dei Lupi in fondo alla classifica e quello degli Squali nelle zone di vertice. Ma non c’è niente da fare, il calcio è traditore. Capace, quando vuole, di sorprendere persino se stesso, la retorica, la coerenza e quei tifosi, non pochi, che dicevano che allo stadio, con Guarascio presidente, non ci sarebbero tornati più.

    E invece niente, allo stadio ci sono tornati. In tanti, tantissimi, e va bene così. Sì, perché il Cosenza, costruito in cinque minuti, nella narrazione popolare delle sue imprese, ha già attratto a sé tutti gli aggettivi della favola, ovviamente di provincia. Si sacrifica, picchia, soffre e vince con la classe e con la fortuna che, dopo un anno di letargo, è tornata a farsi strada di prepotenza. Certo, ancora è presto, prestissimo per allontanare i cattivi pensieri. Ma il gol di Carraro alla Maradona – o per rimanere di provincia, alla Buonocore – sembra dire che, forse, almeno per quest’anno, le delusioni in riva al Crati saranno minori. Le tre vittorie conquistate in sei partite e nelle ultime quattro (contro le due dello scorso torneo dopo 19 giornate) raccontano una storia che nessuno si aspettava.

    In poche settimane, sorprendendo tutto e tutti, i ragazzi di Zaffaroni hanno offuscato il tragicomico recente passato. Tutto questo mentre l’imprenditore lametino, con appena dieci anni di ritardo, pare si sia finalmente convinto a mettere in piedi uno staff dirigenziale accettabile, con l’ingresso in società di un direttore organizzativo al quale, come da comunicato stampa, manca solo qualche titolo nobiliare per raggiungere la perfezione assoluta.

    Nei prossimi giorni, compatibilmente con i tempi del presidente, dovrebbe essere ufficializzato anche un responsabile scouting ex Milan. Insomma, tutto grasso che cola. L’augurio è che tanta grazia non sia un fuoco di paglia e che, dopo una lunga fase di medioevo, porti realmente la società rossoblù nel 2021.

    Voto 8 alle favole di provincia.
    Derby/2

    Dicevamo di Vrenna, apparso nervosissimo e tormentato come poche volte si era visto prima. Ha seguito quella che doveva essere la partita della svolta del suo Crotone seduto in panchina a confabulare nervosamente con Maurizio Perrelli, ex mediano del Cosenza e collaboratore tecnico di Modesto, altro ex dei Lupi. La sensazione è che se avesse potuto (e non è escluso che in futuro non decida di farlo), avrebbe preso il controllo delle operazioni, mettendo nello sgabuzzino il suo giovane allenatore, bravo a far giocare a pallone la squadra, meno a fargli fare gol.

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    La delusione di Vrenna in panchina nei minuti finali del derby calabrese disputato sabato

    D’altronde non è un caso se Mulattieri ha messo dentro cinque delle sette reti realizzate finora dai rossoblù. Ed è proprio questo che preoccupa maggiormente. Non per ripetere sempre la solita solfa, ma le assenze di Simy e Messias fanno malinconia. E non si può affidare tutto il peso di un reparto fondamentale a un ventenne, seppure talentuoso. Sia chiaro, il tempo per riprendersi c’è tutto, forse, però, da domani in avanti, quando si andrà in campo, servirà essere meno presuntuosi e più concreti. E non solo a parole. Bisognerà indossare nuovamente l’abito sporco dei provinciali, che poi è quello che chiedeva proprio Modesto alla vigilia della sfida col “piccolo” Cosenza. In fondo è così che il Crotone nelle ultime stagioni si è ritrovato in serie A più di una volta.

    Voto 4 alla provincia perduta
    Reggina a passo lento

    Non me ne voglia nessuno ma, forse, il momento più emozionante di Reggina-Frosinone è stato l’ultimo saluto del “Granillo” a Massimo Bandiera, segretario della società di 48 anni scomparso una settimana fa per una brutta malattia. L’abbraccio del presidente Luca Gallo a Cecilia (la compagna di Bandiera) e lo striscione in curva Nord“Reggino d’adozione… Professionista esemplare” – hanno fatto scendere ai presenti qualche lacrima di commozione.

    striscione_reggina
    Lo striscione dei tifosi della Reggina per Massimo Bandiera

    La partita è stata piuttosto noiosa. Un po’ come quei film al cinema pompati all’inverosimile dai media che invece finiscono quasi per addormentarti. E, bisogna dirlo, a parte un paio di guizzi, da Aglietti e Grosso ci si aspettava qualcosa di più. Resta l’imbattibilità di entrambe e l’amarezza dei tecnici per ciò che poteva essere e non è stato. L’ospite, campione del mondo nel 2006, ha detto che per quanto visto nel primo tempo, i suoi ragazzi meritavano la vittoria. Il padrone di casa ha ribattuto con un quasi identico «per quanto visto nel secondo tempo meritavamo i tre punti». Insomma, punti (appunto) di vista che restano tali e danno un giusto senso al risultato finale.

    Voto 10 al ricordo toccante al dirigente buono.
    Disastro Vibonese

    Pippo Caffo, dopo aver iscritto la squadra al campionato di Lega Pro, aveva promesso ai suoi tifosi una stagione esaltante. Era stato seguito a ruota dal direttore sportivo Gigi Condò: «Ci toglieremo grandi soddisfazioni». Da allora, se si escludono i sentimenti degli avversari di turno, di esaltante e soddisfacente dalle parti di Vibo Valentia non si è visto nulla. La classifica parla chiaro: ventesimo posto su venti con due pareggi e tre sconfitte. L’ultima, disastrosa, proprio oggi al “Luigi Razza” (1 a 4) contro una Turris che già dopo il calcio d’inizio sembrava il Barcellona e invece era soltanto la Turris. In 20 minuti gli uomini di D’Agostino erano sotto di tre reti. Più chiaro di così, si muore. O, al massimo, si retrocede.

    Voto 2 come i punti in classifica dei rossoblù (nessun voto al Catanzaro che domani sera ospiterà al “Ceravolo” il Catania).
    Berardi

    Dopo la vittoria dell’Europeo con la nazionale italiana, se n’era andato in vacanza, convinto che, nel frattempo, uno dei tanti top club a lui interessati (Milan, Tottenham, Real Madrid, Inter, Roma, Lazio, Atalanta e non mi ricordo più chi altro), gli facesse pervenire l’offerta giusta. Insomma, sembrava l’anno perfetto per l’addio al solito Sassuolo. Persino la sua compagna di vita Francesca, sassolese doc, si era spinta a dichiarare pubblicamente che Mimmo meritava molto di più. Invece niente.

    berardi-europeo
    Domenico Berardi festeggia sul campo la vittoria contro l’Inghilterra in finale agli Europei

    Giorno dopo giorno il talento di Bocchigliero ha visto sfumare il suo obiettivo, cercato, forse, fuori tempo massimo. E così, nell’estate dei trasferimenti eccellenti (vedi Messi, Ronaldo e Lukaku a Psg, Manchester United e Chelsea) e della sfiancante trattativa Juventus-Locatelli, Berardi è rimasto imprigionato nel suo castello emiliano che più volte in passato lo ha protetto dalle sue insicurezze.
    Negli ultimissimi giorni di mercato, forse più per disperazione che per altro, pur di cambiare aria, aveva sperato in un guizzo della Fiorentina del corregionale Rocco Commisso. Ambiziosa, per carità, ma non certo in grado di fargli fare quel salto di qualità che desiderava. Anche in quel caso, però, niente da fare.

    Morale della storia triste: oggi l’ex ragazzo prodigio di Calabria, che qualche anno fa rifiutò la Juventus perché non si sentiva alla sua altezza, per il decimo anno di fila si ritrova a fare il leader di una fiaba antica che non somiglia né al Cagliari di Gigi Riva (che alla Juve disse di no perché a Cagliari voleva restarci per sempre), né al Vicenza di Paolo Rossi. Anzi, a guardarlo bene oggi il Sassuolo, smembrato dei suoi pezzi migliori tranne il più pregiato, sembra uno sbiadito ricordo di un calcio romantico che da tempo si è perso chissà dove.

    Voto 3 a Berardi per essersi accorto troppo tardi (rima casuale) di quanto gli stia stretto il ruolo di bandiera di provincia.
    Dazn e nichilismo

    Sulle ormai tradizionali interruzioni del segnale durante le partite trasmesse da Dazn sono state già spese un mucchio di parole, a volte di rabbia, altre di sfottò. Insieme a sportivi neutrali e tifosi accaniti costretti ad abbonarsi alla piattaforma britannica perché serie A e B quest’anno sono lì, persino un intellettuale del calibro di Michele Serra ha sprecato un suo pensiero di “Satira preventiva” sull’Espresso. Io, sinceramente, in tutta questa storia non ci vedo nulla di sorprendente.

    Michele-Serra
    Il giornalista e scrittore Michele Serra

    Si sapeva, dai, che sarebbe andata a finire così. In fondo questa vicenda è lo specchio dei tempi che viviamo, parliamo e facciamo di tutto senza potercelo permettere.
    E allora, dopo aver visto un po’ di partite al pc nell’ultimo weekend, ho deciso di aggregarmi umilmente alla categoria dei polemisti nichilisti, adottando questo slogan: abbonarmi a Dazn è come votare alle regionali calabresi. Non avendo alternative, mi affido a un partito qualunque sapendo già in partenza che la connessione prima o poi mi abbandonerà.

    Voto 9 a tutti quei tiri in porta che non si sa che fine hanno fatto.
  • Daniele Lavia, il campione scoperto dal prof cosentino

    Daniele Lavia, il campione scoperto dal prof cosentino

    Se Daniele Lavia oggi è uno degli atleti di punta della nazionale italiana di volley, gran parte del merito è di Giacomo Bozzo, uno dei suoi primi allenatori. No, non siamo noi a dirlo, ma lo stesso schiacciatore rossanese, protagonista assoluto del titolo europeo portato a casa domenica scorsa dalla squadra di Ferdinando (detto Fefè) De Giorgi dopo la finale contro la Slovenia.

    Giacomo Bozzo è originario di Donnici, contrada di Cosenza, ma vive a Vicenza, città nella quale oltre a portare avanti la sua passione per lo sport (dopo aver fatto salire in A3 la Volley Castellana di Monteggio Maggiore, oggi di quella stessa squadra è direttore tecnico e allenatore dell’Under 17), insegna matematica e fisica al Liceo Scientifico “Quadri”. Tutto questo dopo aver lavorato come ricercatore all’Università di Verona.

    Insomma, una sorta di docente prestato alla pallavolo, o viceversa. Prima di arrivare in Veneto, però, ha vissuto a lungo nella sua Calabria. Una breve carriera da giocatore (pare fosse un discreto alzatore) nella Pallavolo Cosenza e nella compagine del suo paese, fino alla decisione, già nel 1998, a soli 22 anni, di iniziare la carriera di allenatore, partendo dall’Under 17 della Volley Donnici per raggiungere in breve tempo le categorie più importanti. Sempre alternando libri (titoli di studio e dottorati) e palazzetto con lo stesso impegno.

    «Tutto questo – ci dice – alla lunga ha pagato. Nel mio percorso sportivo, ho incontrato persone che hanno creduto in me e che mi hanno chiesto di occuparmi della selezione provinciale, per poi passare a quella regionale. Da lì ho maturato una serie di esperienze che mi hanno portato, due anni fa, a far parte dello staff tecnico della nazionale Under 19 campione del mondo».

    Senza dimenticare la parentesi Rossano, giunta un po’ per caso…

    «Era il 2010 – spiega Bozzo – ed eravamo lì con la selezione regionale per il Trofeo delle Regioni dove abbiamo raggiunto il miglior risultato di sempre per la Calabria. In quel gruppo, classe ‘94, c’era già un Lavia, ma non Daniele, bensì il fratello Antonio, anche lui un grandissimo giocatore, per tanto tempo nel giro della nazionale. Alla fine del torneo i dirigenti della Pallavolo Rossano, con in testa Pino Campana, mi chiesero se mi andava di iniziare un nuovo percorso con loro. Io accettai, anche perché da quelle parti c’è da sempre una grossa tradizione pallavolistica».

    È in quel momento che nella sua vita entra Daniele Lavia?

    «Sì, Daniele nel 2010 aveva 11 anni e io per quasi quattro anni l’ho allenato seguendo passo dopo passo i suoi incredibili progressi. Non dimenticherò mai la prima riunione tecnica. Avevo appena conosciuto il gruppo e parlando subito di Daniele con i componenti del mio staff Luigi Zangaro e Antonio Godino ho detto loro che avevamo in casa un talento più unico che raro e se non fossimo riusciti a farlo arrivare in nazionale, avremmo dovuto tutti strappare il tesserino di allenatore. L’unico nostro compito era quello di non fare danni, al resto ci avrebbe pensato Daniele. E infatti così è stato».

    Insomma, una scommessa vinta…

    «Certo, anche se ammetto che in quel momento pensavo più che altro all’obiettivo delle nazionali juniores. Soltanto qualche anno dopo ho capito che quel ragazzo avrebbe potuto raggiungere risultati ancora più grandi. Ha fatto due ottimi anni a Corigliano, ma probabilmente è stato il passaggio alla Materdomini Volley di Castellana Grotte a farlo maturare ulteriormente. Perché quando alleni un atleta del genere in Calabria, il problema è sempre lo stesso: non bastano le tue capacità per far emergere tutto il talento che possiede, ma è determinante anche il contesto in cui lo fai lavorare. Purtroppo, da questo punto di vista, pur facendo tanti sforzi, la nostra terra qualche limite strutturale e di competitività a livello giovanile lo ha. Ora che ci penso, mi viene in mente un altro aneddoto su Daniele».

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    Daniele Lavia mostra il premio di miglior giocatore Under 15 dopo le finali regionali di volley
    Quale?

    «Credo fosse il 2015, lui era appena passato al Corigliano Volley, mentre io ero da poco rientrato da un viaggio in Spagna. Non lo vedevo da tempo e mi disse, senza dare troppo importanza alla cosa, che era stato convocato con una nazionale Under 17 per un torneo internazionale che si sarebbe svolto a Cinquefrondi. Lo andai a vedere, senza aspettarmi chissà che cosa. Quella è stata la prima volta che l’ho visto con addosso la maglia dell’Italia e mi è venuta la pelle d’oca. Ma l’emozione più grande è stato scoprire che lui, di quella formazione, non era un semplice giocatore. Era il capitano e il leader assoluto. In quel contesto nessuno era più forte di lui. Ammetto di essermi commosso. Lì ho realizzato definitivamente che era andato oltre le mie più rosee aspettative e che la cosa ci era sfuggita un po’ di mano, in positivo naturalmente. Quando un atleta calabrese raggiunge vette così alte, tendiamo quasi a non crederci, per i motivi che ho spiegato prima».

    Da quel 2015 la sua carriera in nazionale è stata inarrestabile…

    «Non ne è uscito più e io ho seguito tutto il suo percorso da lontano. Al mondiale juniores del 2019 è stato premiato come migliore schiacciatore della competizione. Un piccolo grande campione».

     

    Pochi giorni dopo la vittoria con l’Italia agli Europei, Daniele ha dichiarato che lei è stato l’allenatore più significativo della sua carriera…

    «Un pazzo (ride, ndr). Sicuramente è stata una bella soddisfazione, ma io quello che dico sempre a Daniele, e non lo faccio per falsa modestia, è che il campione è lui. Io ho avuto la fortuna di allenare tanti giocatori bravi e di farli emergere per quanto era possibile, ma il talento di Daniele è evidente e non ha eguali. Lo riconosci subito, già da bambino era una forza della natura. Ancora oggi, durante i corsi di aggiornamento per allenatori a cui partecipo, utilizzo dei video di dieci anni fa con Daniele in azione e già lì ti rendi conto di quanto fosse forte, elegante, bello da vedere. Un paio di giorni fa gli ho scritto questo in un messaggio: tu sei il talento, io ho avuto la fortuna di trovarmi al posto giusto nel momento giusto. Sì, è vero, avevo vinto tanto a livello giovanile fino a quel momento, ma giocatori come Daniele Lavia ti capitano una sola volta nella vita. Se ti va bene».

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    Daniele Lavia – primo da destra e già il più alto della sua squadra – alle finali provinciali Under 14
    Qual è la dote migliore del Daniele atleta?

    «Daniele è forte soprattutto mentalmente. È un campione dentro, nonostante la giovane età. Non molla mai, è costante e severo negli allenamenti e si carica la squadra sulle spalle, senza paura delle responsabilità. È abituato fin da piccolo ad essere determinante nei momenti decisivi. Ricordo che gli dicevo sempre che spettava a lui colmare le lacune dei suoi compagni di squadra. Poi, se dobbiamo entrare ancora di più nello specifico, dico che oltre a essere un formidabile schiacciatore, ma questo lo sanno tutti, è anche un grandissimo ricettore. Lui e Michieletto sono straordinari sia in attacco che in ricezione, difficilmente se ne trovano così in giro. Nella pallavolo moderna avere a disposizione giocatori così completi è una grande opportunità, e hanno ancora ampi margini di miglioramento».

    Come lo giudica come persona?

    «È un ragazzo per bene. Va comunque detto che il mondo della pallavolo, specie a livello giovanile, è sano, pulito, permette a tutti di crescere al meglio. I giovani hanno a che fare continuamente con persone intelligenti che studiano e dedicano tanto tempo allo sport e all’evoluzione nel tempo degli atleti. Daniele è sempre stato un ragazzo con la testa sulle spalle, bravissimo a scuola, prendeva sempre volti alti, e l’ultimo ad andarsene dal palazzetto quando c’erano gli allenamenti. Un esempio per tutti».

    Cosa ha provato dopo l’ultimo punto nella finale dell’Europeo?

    «Una gioia indescrivibile. Anche perché Daniele secondo me è stato il protagonista assoluto della partita, in questo Europeo ha fatto un salto di qualità impressionante. Per come la squadra aveva iniziato a giocare, in maniera contratta, penso che senza di lui l’Italia difficilmente sarebbe riuscita a giocarsi la gara fino alla fine con la Slovenia. È stato un punto di riferimento, capace di mandare in difficoltà avversari di grande valore ed esperienza. Ha fatto delle giocate di una difficoltà unica. Anche al servizio, ha tirati fuori alcuni colpi da fuoriclasse. Fare dei punti simili a 21 anni in una finale europea, significa che hai delle doti tecniche da fenomeno assoluto».

    E ora, secondo lei, cosa dobbiamo aspettarci?

    «Daniele ha nelle corde ancora una crescita mostruosa. Anche la scelta che ha fatto per il futuro mi piace molto. La decisione coraggiosa di lasciare una società fortissima come Modena per passare alla Trentino Volley a mio avviso dimostra quanto lui gestisca in maniera intelligente la sua carriera. Perché sì, da un lato abbandona una corazzata in grado di vincere tutto, ma dall’altro, a Trento, avrà più possibilità di completarsi definitivamente. E poi giocherà insieme a due titolarissimi della nuova Italia come Michieletto e Pinali. Ci sarà da divertirsi».

  • SPORTELLATE | Ori, “Pippo” Mulattieri, ds e Tour de Franz

    SPORTELLATE | Ori, “Pippo” Mulattieri, ds e Tour de Franz

    Come ogni settimana, è il momento di dare un voto ai fatti di sport, con il solito ingiusto occhio di riguardo verso il calcio. Prima di iniziare, però, bisogna complimentarsi con Daniele Lavia, schiacciatore titolare della Nazionale italiana di volley. Nato a Cariati 21 anni fa ma cresciuto a Rossano, ha conquistato l’oro da protagonista assoluto nella finale degli Europei contro la Slovenia. Dopo Domenico Berardi nel calcio, un altro grande traguardo per un atleta calabrese.

    Voto 10.

    Un breve cenno anche a Catanzaro e Rende che sono state nominate da ACES Città Europee dello Sport 2023. Nel 2018 lo stesso riconoscimento fu conferito a Cosenza per l’anno 2020. Determinante, per il giudizio finale degli ispettori, fu il progetto presentato dall’amministrazione Occhiuto di realizzazione del nuovo stadio cittadino con conseguente cittadella dello sport e rigenerazione delle aree più marginali. A distanza di tre anni, di quell’opera dal sapore elettorale si sono perse le tracce, mentre nel vecchio stadio “San Vito-Marulla” oggi si chiudono i settori per infiltrazioni d’acqua. Spero di sbagliarmi, ma ho la sensazione che certi attestati contino quanto un green pass a un’assemblea di Fratelli d’Italia.

    Voto 3 o 4 (ottobre).

    “Pippo” Mulattieri

    La scorsa settimana scrivevo che al Crotone, nonostante la presenza in organico del talentuoso Samuele Mulattieri, tra partenze (Messias e Simy) e latitanze (Rivière) di lusso, forse mancava qualcosina in attacco. Dopo quanto visto venerdì sera nel corso della partita degli “Squali” sul campo della capolista Brescia, mi rimangio tutto.
    Partito dalla panchina, il ventenne di Arcola provincia della Spezia, ha deciso di indossare gli abiti del Pippo Inzaghi di turno (suo idolo e mister, non a caso, delle “Rondinelle”). E in appena un quarto d’ora, con i suoi sotto di due reti, ha letteralmente mandato in tilt una delle migliori difese della cadetteria. Risultato finale: doppietta personale (già cinque i suoi centri in campionato) e un 2 a 2 da portarsi a casa come se fosse un trofeo.

    A impresa compiuta, sono andato a cercarmi un po’ di storia di questo piccolo grande bomber (per ora di provincia) e ho scoperto che fino a pochi mesi fa giocava nella seconda divisione olandese con la maglia del Volendam, in prestito dall’Inter, sua squadra del cuore. Perché era finito lì? Semplicemente non gli erano piaciute le offerte della B nostrana, giudicate poco coraggiose. Dell’Olanda, causa pandemia, ha visto poco, solo campi da calcio e il suo appartamento. Oltre a realizzare un mucchio di gol, a tempo perso e forse un po’ per noia, ha anche imparato a suonare il pianoforte e a parlare l’inglese.

    mulattieri
    Samuele Mulattieri con la maglia del Volendam

    Insomma, capacità più o meno grandi che in Italia, probabilmente, non avrebbe mai scoperto di possedere. Ma ciò che conta adesso è solo il fiuto per il gol. Il Crotone, che ha puntato quasi tutto su di lui (10 al ds Beppe Ursino), potrà goderselo per un annetto scarso, poi, Samuele, come tanti giovanotti di belle speranze, si prenderà il posto che non merita: in serie A con la sua Inter, come quarta o quinta scelta per l’attacco. Salvo sorprese, dovrebbe andare più o meno così.

    Voto 10 a chi crederà davvero nel suo talento e alla noia che insegna sempre qualcosa di buono.

    I nastrini di Taibi

    Dopo l’addio dell’esageratamente cosentino Giuseppe Mangiarano, i quasi pieni poteri concessi dal patron della Reggina, Luca Gallo, a Massimo Taibi (direttore sportivo, responsabile del settore giovanile e in futuro, chissà, magari anche direttore generale o tagliatore di teste aziendale) dimostrano quanto nell’ambiente amaranto, al momento, regni un clima di consenso totale. D’altronde, all’ex portierone di Milan e Manchester United va riconosciuto il merito di aver evitato alla società una dura crisi economica, sbarazzandosi di tutti quei calciatori sotto contratto (che lui stesso aveva ingaggiato) dallo stipendio alto ma dal rendimento scadente.

    I risultati, oggi, si vedono tutti: la squadra di Aglietti è forte, più leggera di testa e di gambe. La vittoria convincente al cospetto della forte Spal (2 a 1) firmata Hetemaj e Montalto, dice che il primo posto in classifica non è lontanissimo. La domanda, quindi, è d’obbligo: questo gruppo può arrivare in serie A? Per sapere cosa ne pensa il popolo reggino, si potrebbero commissionare un paio di sondaggi ad aziende di settore. Col serio pericolo, però, specie di questi tempi, di creare pericolosi entusiasmi e aspettative esagerate. Meglio, per ora, affidarsi solo alle certezze del presente e chi vivrà vedrà.
    Finale con nota triste e senza voto per la scomparsa del segretario della società amaranto Massimo Bandiera, giornalista e in passato dirigente anche di Siracusa e Cosenza calcio.

    La giornata particolare di Goretti

    Il giorno dell’addio amaro alla sua Perugia nell’estate 2020 fu sincero: «Retrocedere in C con questa squadra era un’impresa impossibile e noi ci siamo riusciti». A beneficio del Cosenza, bravo ad approfittare proprio del crollo inatteso dei grifoni per salvare una categoria che sembrava persa già a gennaio. Ma questa, ormai, è acqua passata. Oggi il direttore sportivo Roberto Goretti appartiene a un Cosenza nuovo di zecca, indicato dai bookmakers come la squadra materasso dell’anno. Insomma, un’altra impresa impossibile, di quelle però da capire come si deve prima che sia troppo tardi.

    Sabato i “Lupi”, al cospetto del neo promosso Perugia e nel giorno del 59esimo compleanno di Donato Bergamini, hanno sfoderato una nuova prova tutta grinta e personalità, con un paio di giocate di classe sopraffina e qualche ingenuità da evitare (vedi Sy: timido, e Palmiero: espulso). Ne è venuto fuori un 1 a 1 meritatissimo e sofferto, riagguantato con i denti grazie a una prodezza del croato di proprietà della Reggina SuperMario Šitum, che così porta a quattro i gol, tutti in prestito, messi a segno dal Cosenza in questo torneo.

    Roberto-Goretti-DS-Cosenza
    Roberto Goretti, direttore sportivo del Cosenza

    Per Goretti deve essere stata una giornata particolare, iniziata la notte prima dell’esame “Curi” quando è stato avvistato nel centro storico del capoluogo umbro insieme ai suoi amici di sempre. Un breve tuffo nel passato e poi il presente, lo stadio che conosce come le sue tasche e la soddisfazione, tenuta rigorosamente dentro, di aver messo in piedi dal nulla e con il nulla nel portafoglio, una squadretta da impresa possibile.

    Voto 8 all’eurogol del pareggio e 10 al ds senza portafoglio.

    Catanzaro e Vibonese in cerca d’autore

    Il Catanzaro non decolla, la Vibonese nemmeno, ma poteva andare peggio. Lo so, più banale di così si muore, ma non trovo un modo diverso per riassumere la giornata delle due calabresi di C. I giallorossi – lo dicono tutti gli esperti della materia, perché non credergli? – lotteranno fino alla fine per la serie B. Al momento, però, non vincono.

    Il pareggio 0 a 0 a Palermo (il terzo di fila che poteva essere una sconfitta se Brunori non avesse sbagliato un rigore) ha messo in mostra una squadra spuntata e poco cazzuta. Buona parte della tifoseria ce l’ha con il tecnico Calabro che, a sua volta, a un giornalista che gli ha chiesto se questo è il suo Catanzaro oppure no, ha risposto di no. Ad Andria, il suo collega della Vibonese D’Agostino ha salvato la panchina (1 a 1) all’89’ grazie a Sorrentino. Che farebbe anche rima, ma a guardare la classifica di poetico c’è poco.

    Voto 5 alla Vibonese di D’Agostino e al Catanzaro di nessuno.

    Schiaffi e donazione

    Poche settimane fa era stato preso a schiaffi pesantemente da alcune persone nei pressi di un locale molto noto a Lamezia Terme. Addirittura qualcuno aveva parlato di dramma sfiorato, esagerando un po’. Protagonista della vicenda Felice Saladini, giovane presidente della nuova squadra di calcio cittadina che milita nel campionato di serie D. Pare che a molti non fosse andato giù il suo progetto sportivo (per la cronaca, oggi nel lametino le squadre di calcio sono ben cinque). Da allora di Saladini si è parlato poco e niente. Fino a oggi pomeriggio, quando don Fabio Stanizzo, anche a nome del vescovo Giuseppe Schillaci, ha ringraziato pubblicamente l’imprenditore per la donazione di 2.150 euro alla Caritas diocesana, incasso della partita Fc Lamezia-Rende di una settimana fa. Un modo originale per riportare la pace?

    Voto 0 agli schiaffi, 10 alle donazioni intelligenti.

    Torromino

    In un periodo storico in cui i calciatori giocano ad alti livelli fino a 40 anni e i miei coetanei brizzolati con pancetta e parastinchi continuano a organizzare inguardabili partite di calcetto, c’è chi come Giuseppe Torromino (attaccante crotonese di 33 anni, promosso in serie B con la Ternana), nonostante un contratto di lavoro resistente, decide di svincolarsi e trasferirsi all’Us Livorno in Eccellenza. Che, per chi è poco pratico di categorie pallonare, è un po’ come se Amadeus lasciasse Raiuno per andare a condurre I soliti Ignoti su Teleuropa Network.

    Ora, tornando a Torromino, le cose sono due: o si è stancato del professionismo e delle sue dinamiche stressanti e poco umane, o il Livorno, sponsorizzato addirittura dall’Università telematica Niccolò Cusano (fondata, guarda caso, dal presidente livornese della Ternana Stefano Bandecchi), gli ha offerto una barca di soldi. D’istinto, propenderei per la seconda ipotesi.

    Voto 7- a Torromino per lo spirito aziendale, 10 a Bandecchi per quello ultrà.

    Tour de Franz

    Mi rendo conto che qui rischio di forzare un po’ la mano stravolgendo il senso di questa rubrica che è nata per parlare solo di sport. Ma quando ho visto l’ultimo progetto elettorale di Franz Caruso (candidato a sindaco di Cosenza in uno dei tanti schieramenti di sinistra, o pseudo tale, che dovrebbero sfidare la destra e invece la favoriscono), non ho resistito. Anzi, dopo lunga riflessione, mi sono addirittura convinto, probabilmente in malafede, che lo sport in questo discorso c’entra davvero qualcosa. Vabbè, vado al punto: l’avvocato cosentino ha lanciato a sorpresa il suo “Tour de Franz”.

    In sintesi, il capitano del team PD-PSI percorrerà in bici la città, dividendo il suo percorso a tappe. Qui, si spera affiancato da gregari, ammiraglia e sanitari, potrebbe incontrare, nell’ordine, i suoi tifosi, il traffico, le buche, l’immondizia, qualche topo e magari anche un paio di avversari, come ad esempio i sinistri Bianca Rende e Valerio Formisani, candidati come lui. E chissà che, in un epico momento di fatica in stile Coppa Cobram, con almeno uno di questi non si riesca a riproporre il celeberrimo scambio della borraccia tra Coppi e Bartali.

    Voto 6- allo spin doctor di Caruso, 10 alla borraccia (preferibilmente non avvelenata).

    Francesco Veltri

  • SPORTELLATE | Derby, morti, medaglie e il trionfo del Caso

    SPORTELLATE | Derby, morti, medaglie e il trionfo del Caso

    Comincia oggi la rubrica Sportellate. Più o meno ogni lunedì, a partire da oggi, daremo le pagelle a ciò che, calcisticamente e sportivamente parlando (che spesso sono due cose diverse), nella settimana appena trascorsa ci è sembrato degno di nota o giù di lì.
    Buona lettura.

    Il derby della Magna Grecia

    Prima e durante Crotone-Reggina (1 a 1) è successo di tutto. Un uomo, che aveva una agenzia di pompe funebri di fronte allo stadio “Ezio Scida”, è stato ucciso in un misterioso agguato; il maltempo, da allarme rosso sullo Jonio, come al solito ha tenuto tutti col fiato sospeso; intorno al 20’ minuto della partita tra “squali” rossoblù e amaranto, un tifoso reggino è precipitato rovinosamente da una balaustra ed è stato trasportato in ospedale in codice rosso (per fortuna niente di grave).

    E poi, sono arrivati i gol, di Galabinov per la squadra di Aglietti e di Benali per i ragazzi di Modesto. Una sfida sentita ma non eccezionale, giocata su un campo pesante e di fronte a poco più di duemila spettatori che si sarebbero aspettati di più. Soprattutto dal Crotone, che ha creato tanto e concretizzato quasi niente. Anche perché lì davanti, pur non sottovalutando affatto il talentuoso Mulattieri, si vede che manca qualcosa. Sono partiti Simy e Messias e chi, come Rivière, risulta in rosa tra gli attaccanti, non è ancora rientrato dalle vacanze. Altro mistero su cui, però, nessuno pare stia indagando.

    Forse, la cosa migliore della serata, è arrivata da Venezia dove, in contemporanea con la partita, si è svolta la cerimonia di premiazione della 78esima mostra del cinema. Lì, il regista Michelangelo Frammartino, nato a Milano da genitori di Caulonia, dopo essere salito sul palco per ritirare il premio speciale della giuria per il film “Il buco”, ha ricordato a tutti che la Calabria è la regione più bella d’Italia. Agguati mortali e cadute a terra rovinose escluse naturalmente.

    Voto 6 di stima alla Magna Grecia.

    Zaffaroni

    Fino a ieri pomeriggio, l’allenatore del Cosenza sembrava un po’ l’Amalia Bruni del calcio calabrese. Chiamato in causa fuori tempo massimo da Eugenio Guarascio (che la parte del Partito democratico è in grado di interpretarla alla perfezione, vedi amministrative di Lamezia del 2019), all’ex, per poco, Chievo Verona, proprio come accaduto alla candidata a governatore del PD alle elezioni regionali, il presidente ha affidato un’impresa impossibile: evitare l’ennesima débâcle del secolo.

    Dopo due sconfitte consecutive in campionato, contro il Vicenza, a sorpresa, i Lupi hanno dimostrato di avere voglia di lavorare, identità e idee. Roba da fare invidia persino al centrodestra di Roberto Occhiuto che, invece, vincerà e governerà tutte le prossime partite senza lasciare sul campo un goccio di sudore.
    Il ritorno da capitano di Palmiero (perché uno così non è in A?) è stato stratosferico, Gori ha fatto il Rivière rientrato dalle vacanze, mentre Caso (dal nome mai tanto in sintonia con una società da sempre improvvisata e legata al fato), ha sorpreso tutti con un assist e un gol da campione.

    A proposito di fato, se oggi il Cosenza gioca ancora tra i cadetti, deve ringraziare proprio il Vicenza sconfitto ieri (2 a 1). Ultima giornata dello scorso torneo, al 91’ Yallow punisce la Reggiana e regala ai rossoblù il quartultimo posto in classica, fondamentale per il successivo ripescaggio. Per non perdere il contatto con la realtà, è sempre bene ricordarlo.

    Quindi, voto 10 a Zaffaroni e al Caso. 

    Gigi Marulla e il candidato

    Nativo di Stilo, ma diventato a furor di popolo bandiera rossoblù, lunedì scorso all’ex bomber scomparso nel 2015, è stata finalmente conferita la cittadinanza onoraria di Cosenza. Alla cerimonia nel cimitero di colle Mussano erano presenti, tra gli altri, la famiglia di Gigi, l’ex presidente della squadra Giovanni Paolo Fabiano Pagliuso, naturalmente il sindaco Mario Occhiuto. Un po’ meno naturalmente, il vicesindaco Francesco Caruso, candidato a primo cittadino del centrodestra alle Amministrative d’inizio ottobre. Quest’ultimo, prima di mettersi in posa davanti a telecamere e flash dei fotografi, ha deposto una corona di fiori sulla lapide di Marulla. Chi meglio di lui avrebbe potuto farlo?

    Voto 9 all’efficacia della campagna elettorale e -9 allo stile. 

    Lo spot 

    Da qualche giorno, in occasione del GP d’Italia di Formula Uno che si è svolto ieri a Monza, sta girando sul web un bellissimo video spot che mette in mostra in modo affascinante e con uno stile narrativo originale, le bellezze di Palermo, dal mercato di Ballarò fino a Villa Bonanno, da corso Vittorio Emanuele al Foro Italico e al parco della Favorita, per concludere la sua “corsa” sulla spiaggia di Mondello. L’operazione si chiama “Ciao Palermo, Monza is calling” e a realizzarla, per omaggiare l’Italia, è stata la Red Bull Racing che ha voluto che a girare il cortometraggio fosse un regista palermitano, Carlo Loforti, coadiuvato dal suo concittadino Alessandro Albanese.

    La particolarità del video sta nel fatto che tutto lo splendore del capoluogo siciliano e della sua gente viene messo in luce, senza stereotipi e forzature, attraverso il percorso che Max Verstappen, pilota della scuderia austriaca di Formula Uno, compie a bordo della sua monoposto. Lo spot, patrocinato dal Comune di Palermo, ha provocato qualche polemica, specie per la cifra irrisoria di 182 euro sborsata da Red Bull per l’occupazione del suolo pubblico. La visione spettacolare del video, però, sembra aver cancellato in un colpo solo ogni malumore.

    «Riuscire a portare un progetto così importante a Palermo – ha detto Loforti – è, da palermitano, una gratificazione straordinaria». Il sindaco Leoluca Orlando, a sua volta, ha parlato di una «grande occasione di promozione internazionale della città». Insomma, il consiglio, per chi non lo avesse ancora fatto, è di ammirare questo spot il prima possibile. Con una sola avvertenza: se non volete avvelenarvi il fegato, evitate di fare paragoni con il corto milionario girato da Gabriele Muccino in Calabria.

    Voto 10 allo spot palermitano, -10 a coppola, bretelle e asinello calabresi made in Sicilia. 

    Enza Petrilli e Anna Barbaro

    Sono le prime atlete calabresi della storia ad aver conquistato due medaglie (d’argento) alle recenti Paralimpiadi di Tokyo, rispettivamente nel tiro con l’arco e nel triathlon classe PTVI.

    Enza, taurianovese, dopo un grave incidente d’auto, è stata costretta a salire su una sedia a rotelle, mentre Anna, nata a Reggio Calabria, a causa di un brutto virus ha perso la vista. Due giovani vite stravolte improvvisamente, ma che hanno saputo rialzarsi proprio grazie allo sport. Bene anche Raffaella Battaglia, arrivata sesta con le altre azzurre nel torneo di Sitting Volley.

    Da queste parti, e non solo, se n’è parlato poco o non abbastanza. Perché, si sa – in fondo lo facciamo anche noi per pigrizia e convenienza – il calcio (maschile) di ogni livello, anche quando non ha niente da dire e da dare, mette in ombra tutto quello che non gli appartiene, persino le stelle più luminose.

    Di conseguenza, voto 10 alle stelle cadenti e 0 a tutti noi che le guardiamo senza esprimere mai desideri veramente rivoluzionari.

    Francesco Veltri