Due punti di penalizzazione in classifica per la Reggina e 45 giorni di inibizione per il numero uno della società amaranto, Luca Gallo. A deciderlo, il Tribunale federale nazionale della Figc, presieduto da Carlo Sica. Le sanzioni arrivano dopo il deferimento della società dello Stretto nelle scorse settimane.
Gallo non avrebbe versato entro il termine del 16 febbraio scorso le ritenute Irpef riguardanti gli emolumenti dovuti ai tesserati per il periodo marzo-ottobre 2021. Idem per i contributi Inps relativi agli emolumenti dovuti ai tesserati per il periodo luglio-ottobre 2021. L’amministratore avrebbe dovuto comunicare alla Covisoc, entro lo stesso termine, l’avvenuto pagamento delle somme in questione.
La penalizzazione per la Reggina e lo stop per Gallo scatteranno già durante la stagione in corso. Ma, vista la posizione a metà classifica degli amaranto, in serie B le squadre in corsa per la promozione e la salvezza restano sostanzialmente identiche.
«La proposta è seria, il gruppo solido e presente nel mondo del calcio da anni, dove opera come fondo d’investimento. Le polemiche? Ne so poco, certo quando ho accettato il mandato della Devetia Limited ho chiarito le cose: se volete che sia io a gestire questa vicenda, devo gestirla a modo mio». Torna sotto i riflettori della cronaca l’interessamento di Oleg Patakarcishvili e del suo gruppo ucraino per le sorti del Cosenza.
Usmanov scompare, resta Patakarcishvili
Leopoldo Marchese, l’avvocato che ha inoltrato alla società di Guarascio una formale richiesta di trattativa d’acquisto, è il professionista a cui è stato commissionato l’incarico di portare avanti la trattativa. Una trattativa che, dal mese di dicembre, si rincorre tra voci impazzite, smentite sdegnate e video dal sapore demenziale. E mentre la giostra riparte – con la squadra impantanata nei bassifondi della classifica e pronta ad un nuovo ribaltone in panchina dopo l’esonero di Occhiuzzi – un po’ di quella nebbia che aveva sepolto l’intera vicenda comincia a diradarsi.
Alisher Usmanov insieme a Vladimir Putin. Il magnate uzbeko ha smentito ogni coinvolgimento nella trattativa per il Cosenza
«Non so niente di Usmanov. Io ho accettato il mandato a trattare dal gruppo del signor Patakarcishvili che da quanto so non ha nulla a che fare con l’oligarca». Dal canto suo, il magnate uzbeko, raggiunto dalle voci che da mesi lo accostano alla società rossoblu, ha smentito ieri ogni interessamento «al club specificato o altro club in Italia», ridimensionando lo strano risiko di interessi internazionali che aveva circondato il primo tempo di questo strano film.
Dodici milioni: offerti o richiesti?
In campo ora, resta ufficialmente solo la Devetia, con la sua storia di acquisizioni societarie eccellenti e cessioni altrettanto rumorose. «È troppo presto per parlare di cifre – dice ancora l’avvocato Marchese – prima di tutto bisogna vedere le carte del club. Serve una due diligence prima di qualsiasi altra cosa: le persone che rappresento devono capire la situazione finanziaria reale della società, poi potremo sederci e parlare di cifre. Da quanto è a mia conoscenza, le voci riguardo ai 12 milioni circolate nei mesi scorsi, dovrebbero riferirsi a quanto richiesto dal Cosenza. Ma io non mi occupavo ancora della trattativa, ripartiamo da zero».
Il circo
La partenza di questa seconda fase della trattativa per l’acquisizione del Cosenza Calcio, sembra quindi avere rinunciato alle stranezze che ne hanno caratterizzato gli albori. Scomparsi i link “manomessi” che parlavano di improbabili processi in Ucraina a carico del presidente Guarascio e quelli dei precedenti rapporti economici tra lo stesso “re dei rifiuti” e la Devetia ai tempi dell’investimento sulla squadra brasiliana del Corinthians.
Fernando Martinez Vela, protagonisti di alcuni video in cui si millanta fin dal titolo la presenza di Alisher Usmanov nella trattativa per l’acquisto del Cosenza, gestita ora dall’avvocato Leopoldo marchese
Tornato ai suoi incarichi sportivi nel gruppo Devetia, anche il “beckettiano” Fernando Vela, autore di una serie di compulsivi video su Youtube dove si districava tra surreali tutorial sul mondo del calcio e degli investimenti e non richiesti “consigli” (de)piliferi ai giornalisti. «Pensiamo a quelli come periodi bui – dice ancora l’avvocato – e poi lo sappiamo come sono fatti questi russi. Sono impulsivi, si accendono subito. Ora però sono io a gestire le cose e non ci saranno altri video né altre dichiarazioni azzardate».
Cosenza, la palla passa da Devetia a Guarascio
Compiuto quindi il primo passo ufficiale con l’invio della mail certificata con la dichiarazione d’interesse, la palla ora passa alla dirigenza rossoblu, chiamata a rispondere alle sollecitazioni arrivate dal fondo d’investimento ucraino. «Questo è un gruppo serio, con grosse disponibilità finanziarie. Hanno interessi in Calabria e hanno veramente intenzione di rilevare il Cosenza. Ma prima bisogna vedere le carte. Aspettiamo una risposta dalla dirigenza che ancora non è arrivata, anche se bisogna dire che è passato ancora pochissimo tempo. Poi cominceremo a guardarci attorno».
Tifosi del Cosenza al San Vito-Marulla prima che gli spalti si svuotassero
Il Piano B
La prima scelta resta quindi il Cosenza, manon è l’unica: se Guarascio dovesse rispondere picche infatti, gli interessi del gruppo potrebbero indirizzarsi dal Cosenza verso un’altra realtà calcistica calabrese. La Vibonese sembra purtroppo destinata a tornare tra i semi-pro della Lega D. Quindi la rosa si restringerebbe alle altre “tre sorelle” del mondo della pedata regionale. «Il costo più alto? – chiosa Marchese – non sarebbe un ostacolo, il gruppo non ha problemi di denaro».
«Certi video caricati su Youtube sono la pagina scura di questa vicenda», racconta alla collega il legale calabrese che cercherà di condurre in porto la trattativa tra gli ex sovietici ed Eugenio Guarascio. Già, perché Patakarcishvili – dichiara ufficialmente l’avvocato Marchese – il Cosenza lo vuole per davvero e ora la prossima mossa tocca proprio a Guarascio.
Usmanov e Guarascio
Il presidente rossoblù, che aveva bollato il precedente tentativo d’acquisto come una vera e propria boutade, è sempre più nell’occhio del ciclone. Esonerato Roberto Occhiuzzi dopo l’infelice ritorno in panchina, Guarascio deve fare i conti con una piazza con la quale i rapporti sono ormai ai minimi storici. La concretezza dell’interesse degli investitori venuti dall’Est, in questo caso, appare ai tifosi come la possibilità di invertire un destino che pare segnato.
Usmanov aveva quattrini a sufficienza per comprare l’intera serie B, non solo il Cosenza. Devetia invece? E se, come sostiene, non le mancano, bisognerà capire se voglia (e gli sarà data la possibilità di) spenderli proprio in riva al Crati. Marchese sul punto è stato piuttosto chiaro: Devetia vuole una squadra in Calabria e se Guarascio non vuol vendere è pronto a cambiare obiettivo senza troppi problemi.
Quanto vale il Cosenza Calcio e il ruolo di Caruso
Ai potenziali acquirenti non sarebbe andato giù il modo con cui Guarascio aveva liquidato le puntate precedenti di quella che aveva tutti i contorni di una telenovela: «A dispetto di quanto da Lei affermato nelle varie interviste rilasciate, il mio cliente tiene a precisare che l’interesse ad iniziare a portare a termine la trattativa di acquisizione è sempre stata seria, concreta e reale. Ovviamente, l’eventuale accordo dovrà passare attraverso una accurata valutazione economica della società», scrive Marchese a Guarascio. A mediare tra le parti potrebbe essere il neo sindaco Franz Caruso, raggiunto dal legale che rappresenta la cordata straniera.
“Come si cambia” canta Fiorella Mannoia. E come sono cambiati a Reggio Calabria il clima e l’umore nei confronti del presidente della Reggina, Luca Gallo. Arrivato in riva allo Stretto da trionfatore, rilevando la società dalla famiglia Praticò, Gallo è stato, per anni, osannato. Quasi idolatrato. Esternazioni di giubilo, propositi di risalita, per una società che, nei primi anni 2000, è stata capace di rimanere in serie A per circa un decennio. Cori allo stadio. Amato più dei bomber che gonfiavano le reti in campo. I tifosi preferivano una foto con Gallo piuttosto che uno scatto con El Tanque, German Denis. O un autografo del “presidentissimo”, anziché la firma dell’ex Roma e Milan, Jeremy Ménez. Ma qualcosa sembra essersi rotto.
Gli scarsi risultati
I primi anni, con la promozione dalla Lega Pro alla serie B lasciavano presagire un miracolo amaranto. Con una città che, notoriamente, ha sempre vissuto a pane e calcio, i tifosi sognavano ritornare a vincere all’Olimpico. O fare ammattire Inter e Milan. A far uscire la Juventus con le ossa rotte dal Granillo. Ma la spinta propulsiva dell’avvio dell’esperienza in riva allo Stretto, sembra essersi un po’ spenta per Luca Gallo e il suo entourage.
Una società che, negli anni, ha cambiato diverse volte il proprio organigramma. Con il fedelissimo Vincenzo Iriti, prima vicinissimo al presidente con il ruolo di direttore generale, poi scomparso dai radar con le dimissioni e ora, solo recentemente, rientrato nei ranghi. Ma anche la fugace esperienza di una bandiera della Roma come Tonino Tempestilli, per un po’ di tempo responsabile dell’area giovanile amaranto. Poi dimessosi senza troppe spiegazioni. Per non parlare dell’altrettanto oscura (e polemica) interruzione del rapporto con un altro dg, Giuseppe Mangiarano.
Le scelte sbagliate
Insomma, è possibile da tempo udire distintamente gli scricchiolii nel percorso di Gallo a Reggio Calabria. E anche l’operato del direttore sportivo Massimo Taibi, ex grande portiere amaranto, è sul banco degli imputati. Tra acquisti improbabili, giocatori pagati a peso d’oro a fine carriera e scelte di mercato che continuano a non convincere, l’attuale stagione della Reggina, iniziata con fiducia e con ottimi risultati in serie B, sta prendendo una piega preoccupante.
La dirigenza aveva puntato sull’appartenenza amaranto. E così, all’inizio della stagione, il ruolo di trainer era stato affidato una vecchia gloria come Alfredo Aglietti. Indimenticato attaccante delle stagioni in serie C, prima di approdare al Napoli. Un avvio promettente fino al secondo posto in classifica, che aveva fatto immaginare un po’ a tutti una stagione alla ricerca dei playoff. Ma poi un crollo verticale che, alla fine, è costata la panchina all’allenatore.
Mimmo Toscano, ex tecnico della Reggina (foto pagina Facebook Reggina1914)
E così, Gallo e Taibi hanno tentato di sistemare le cose con una scelta low cost. Richiamando cioè l’ex allenatore Mimmo Toscano, reggino doc, ancora sotto contratto, dopo l’esonero della scorsa stagione. Poche partite, risultati, se possibile, ancor più deludenti, anche sotto il profilo del gioco espresso. A costare la panchina a Toscano è stata la sconfitta in casa del Monza.
Tre allenatori in metà stagione
La crisi amaranto sembra senza fine. L’ultima mossa del duo Gallo-Taibi è ancora nel solco della tradizione. Con l’esonero di Toscano, infatti, arriva il terzo tecnico nella sgangherata stagione amaranto. Questa volta la società punta su Roberto Stellone, ex attaccante della Reggina nella stagione 2003-2004.
Ma adesso gli obiettivi sono ben altri. La Reggina, infatti, si trova attualmente in 14esima posizione con 23 punti. Viene da un solo pareggio nelle ultime otto giornate. E deve guardarsi le spalle, dato che la maggior parte delle squadre dalla 13esima posizione in giù ha addirittura disputato una partita in meno rispetto agli amaranto. Insomma, il rischio di perdere ulteriori posizioni, quando alcune gare rinviate per Covid saranno recuperate, è concreto. E inquietante.
La presentazione di Stellone
A Stellone, quindi, la dirigenza ha chiesto di evitare i playout. Una vera e propria lotteria che potrebbe condurre la Reggina alla clamorosa retrocessione in Lega Pro. Che dopo le spese pazze di questi anni potrebbe aprire scenari fin qui inesplorati sul futuro di Luca Gallo in riva allo Stretto e, quindi, della società amaranto.
Tempi bui per Luca Gallo?
Sì perché in questi anni Luca Gallo ha speso tanto. Male, ma tanto. Lui che ha acquistato la Reggina per togliersi uno sfizio. Per alimentare il proprio ego. Per emulare grandi presidenti del calcio italiano, spostatisi con successo dal proprio core business ai campi verdi. Lui che, nella vita, ha costruito le sue fortune su altri aspetti. Per qualcuno, sullo sfruttamento degli esseri umani, spolpati professionalmente senza troppe garanzie.
Da anni, le attività di somministrazione della manodopera delle aziende del presidente della Reggina sono al centro di accertamenti e polemiche. La sua azienda, la M&G, con sede a Roma, fornisce dipendenti ad alcune migliaia di aziende. Oltre 4.000, secondo le ultime stime. Ma già da tempo, a seguito di diverse segnalazioni, la società è finita nel mirino dell’Ispettorato del Lavoro. Soprattutto in Emilia Romagna, ma non solo. In diversi casi sono stati segnalati il mancato pagamento di uno o più stipendi ed il mancato versamento dei contributi previdenziali.
La galassia aziendale di Luca Gallo
Qualche anno fa il Ministero del Lavoro sosteneva che il sistema con cui opera Gallo racchiudesse una serie di illeciti, penali e amministrativi. Ma anche recuperi contributivi per circa 30 milioni di euro.
Nel 2018, la M&G si è anche impegnata a versare 7 milioni di euro all’Agenzia delle Entrate, evitando in questo modo l’insorgere di una lite tributaria. Questo perché la Guardia di Finanza, nel giugno 2017, avrebbe effettuato delle indagini a carico della M&G, con riferimento ai pagamenti riguardanti il quadriennio d’imposta 2013-2016. Trovando, evidentemente, delle irregolarità per svariati milioni di euro.
Nel corso della scorsa estate, peraltro, a quasi tutti i dipendenti della Reggina 1914 srl è stato chiesto di “traslocare” il proprio contratto presso la società Azione Lavoro srls, di recente creazione, con sede a Roma e di proprietà di Luca Gallo. Una mossa che è stata interpretata come un alleggerimento sul piano economico e, forse, anche fiscale.
La battaglia con l’Ordine Nazionale dei Consulenti del Lavoro
Sì perché quella è una delle principali accuse mosse nei confronti del modo di operare di Gallo. Da tempo, infatti, l’Ordine Nazionale dei Consulenti del Lavoro taccia Gallo e le sue aziende di sfruttamento delle persone. Sul sito ufficiale dei Consulenti del Lavoro è possibile trovare anche una lettera aperta alla M&G in cui la si invita “a certificare la genuinità dei contratti di appalto da questa stipulati, attraverso le Commissioni di certificazione istituite presso i Consigli Provinciali dei Consulenti del Lavoro; nonché ad asseverare con l’AsseCo la regolarità dei rapporti di lavoro instaurati dalla Cooperativa”. Secondo le denunce dei sindacati, i soldi che la M&G dovrebbe versare all’INPS non arriverebbero mai. Parliamo di 13esime, 14esime e persino i tfr.
L’interrogazione di Laura Boldrini
Tra il luglio 2020 e la fine dello stesso anno, sono anche arrivate anche due interrogazioni al Ministero del Lavoro sulle aziende di Gallo. Una delle due è firmata, tra gli altri parlamentari, anche dall’ex presidente della Camera, Laura Boldrini: «Nella sola Bologna sono state presentate circa 90 denunce da parte di lavoratori che non si sono visti corrispondere la tredicesima, il trattamento di fine rapporto o parte dei contributi e i controlli effettuati hanno messo in luce l’irregolarità di almeno 43 aziende. La questione è stata denunciata all’Ispettorato nazionale del lavoro, che aveva già inviato un’informativa alle sezioni territoriali per metterle in guardia sulla vicenda e avviare i controlli e che, sempre secondo quanto riportato dal quotidiano, stava svolgendo attività di vigilanza» – è scritto nell’interrogazione al Ministero.
Gallo e Reggio: la fine del feeling
Adesso, per Gallo sembra anche essere finita la “luna di miele” con una piazza esigente come Reggio Calabria. Lui che, nei primi mesi, ci aveva saputo fare. Puntando sulla goliardia e sull’orgoglio del popolo amaranto. Rimane celeberrima la maglietta “Lavati i peri e va curcati” dopo il derby con il Catanzaro. Il sindaco Giuseppe Falcomatà(oggi sospeso) gli ha anche conferito la cittadinanza onoraria.
Quando Luca Gallo, presidente della Reggina, sfotteva i tifosi del Catanzaro dopo la vittoria nel derby
Tempi che sembrano molto lontani. Al momento, la Curva Sud, cuore pulsante del tifo amaranto, si è limitata solo a qualche coro per stigmatizzare il difficile momento sportivo vissuto dalla Reggina. Ma online, sul forum ufficiale dei tifosi, su alcune pagine social seguitissime, iniziano ad apparire i primi segni di una contestazione nei confronti del presidente.
Per adesso virtuale, ma col tempo chissà. «Gallo non è diverso dagli altri che ci mettono i soldi» – scrive un utente da 3 stelle su 6 nel ranking del forum ufficiale Regginalife. «Vero colpevole: la società. Inefficiente e alla deriva più che mai, il resto è una conseguenza» gli fa eco chi, invece, è un utente ancor più storico e attivo, con 5 stelle su 6.«La cosa più grave di tutta questa situazione è che né la squadra né soprattutto la società hanno capito la gravità della situazione, ancora non hanno preso coscienza che così retrocederemo sicuro al 100%» – risponde un altro tifoso. E si inizia a puntare il dito sull’aspetto gestionale: «Agire subito prima che sia la fine, se non ci sono i soldi per farlo, allora che si ritorni pure in serie D e basta!» si legge ancora sul forum.
Dagli striscioni di repertorio a quelli veri?
Molti contestano a Gallo una gestione dissennata delle finanze, l’affidamento totale a persone giudicate incompetenti e un atteggiamento smargiasso e accentratore, con sparate, dette in varie occasioni, come «voglio la serie A subito» oppure «porto subito la Reggina in A e poi mollo». La realtà, adesso, è tutt’altra. Lo spettro della Lega Pro inizia a materializzarsi. E tutto ciò potrebbe portare a conseguenze ben più gravi dell’insuccesso sportivo.
Striscioni accompagnano il disappunto dei supporter della Reggina contro la società (foto Instagram Regginanews)
Non è solo il forum ufficiale del malcontento (per adesso virtuale) che cresce attorno alla società e al suo presidente. Negli ultimi giorni, il seguitissimo profilo Instagram “Regginanews” ha pubblicato due foto di repertorio, dove campeggiano due striscioni che sembrano dei chiari segnali alla società. Il primo afferma: «Non basta una vittoria per ricominciare, il nostro sostegno lo dovete meritare. Solo per la maglia». Ancor più esplicito l’altro, dove si legge: «Oltre i risultati, oltre i presidenti, la Reggina siamo noi!».
Un evidente messaggio al presidente che, un tempo, non riusciva a fare due passi in città senza che qualcuno gli chiedesse una foto o un autografo. E se quegli striscioni, quando il calciomercato, tra pochi giorni, sarà chiuso dovessero essere veri e non più di repertorio?
Striscioni accompagnano il disappunto dei supporter amaranto contro la società (foto Instagram Regginanews)
Gianni Di Marzio conosceva bene il paradosso di Achille e della tartaruga. E lo applicava. Su un muro di Città 2000, il quartiere dove abitò da allenatore e lavorò da dirigente – la società si era trasferita lì tra un’esperienza e l’altra – del Cosenza, nell’anno culminato con la promozione c’era un adesivo che celebrava l’amore del mister per l’andatura lenta ma costante di quell’animale. Sarebbero stati i piccoli passi a permettere alla squadra di arrivare al traguardo lasciandosi alle spalle le rivali in classifica. Lo diceva spesso Di Marzio e i risultati gli diedero ragione.
Il Cosenza di Gianni Di Marzio, primo in Serie C1 al termine del campionato 1987-88
“Occh’i vitro”
Lo chiamavano occh’i vitro già all’epoca, quando il politically correct era più lontano della regola dei tre punti a vittoria. Ma sembrava uno di quei soprannomi un po’ cattivi che si affibbiano a un amico ironico, convinti che il primo a riderne sarà lui. Diventò occhio stuartu, con tanto di coro in facile rima col più classico degli insulti locali, poco tempo dopo. Il tentativo dei tifosi rossoblù di ostentare indifferenza nei suoi confronti non riuscì granché bene. Si era ripresentato in città da allenatore del Catanzaro, che pure aveva già guidato fino alla serie A ben prima di approdare a Cosenza. E il calcio in quei giorni era passione viscerale e identitaria, certi tradimenti era difficile mandarli giù in fretta.
Il Catanzaro di Gianni DI Marzio promosso in serie A: nella stagione 1975 – ’76.
L’uomo che aveva scoperto Maradona
Ma Di Marzio, oltre che di calcio, era uomo di mondo e sulla panchina dei Lupi ci tornò in breve tempo. Una salvezza insperata non bastò per una vera riconciliazione con la città. Quella arrivò quando portò in riva al Crati da direttore generale la sua esperienza di talent scout pochi anni dopo. E che talent scout: era l’uomo che aveva “scoperto” Maradona quando era solo un ragazzino in Argentina. Quel calcio di stadi pieni a mezzogiorno, partite la domenica, numeri da 1 a 11 ed entusiasmo popolare, però, era già al crepuscolo. Rimanevano brandelli di sogno, sepolti sotto il fuoco della passione che per fortuna ancora oggi la tv non ha spento del tutto.
Prigionieri di un sogno
Sogno pieno, e più reale che mai, era stato quello della promozione di pochi anni prima e Di Marzio tornò presto ad esserne l’iconico protagonista nella memoria collettiva. Un eroe, come un simpatico Achille dal tallone giallorosso. E come i giocatori della sua squadra tartaruga che i tifosi ripetono ancora oggi in sequenza, quasi fossero versi di una filastrocca. “Mai più prigionieri di un sogno”, quello del ritorno in B atteso dagli anni ’60, avevano scritto d’altronde in uno striscione in curva gli ultrà quando il trionfo era ormai cosa fatta. E di striscioni ne erano spuntati un po’ ovunque nei quartieri durante i giorni della festa. Perché la città festeggiò per giorni, non una sera soltanto come si fa adesso.
Le scritte sui muri diventano cult cittadino
I ragazzini facevano collette per comprare la vernice e lasciare il loro segno sui muri e nei cortili, fosse anche una semplice lettera B. Pubblicità e proverbi ispiravano le scritte dei più grandi. Alla Massa erano più tecnologici, col telefunkeniano “Potevamo stupirvi con effetti speciali, ma noi non siamo fantascienza: siamo i tifosi del Cosenza”. A via degli Stadi il mitico “L’uomo del monte ha detto Bi”. Il migliore? “Il lupo perde il pelo ma non il B…izio”, probabilmente. Di Marzio, quando glielo ricordavano, sorrideva. A ripensarci, ora che non c’è più, viene da piangere.
[…] Un altro dei simboli popolari della crisi d’identità che affligge oggi la Grande Cosenza è il calcio cittadino. Precipitato nelle polemiche della gestione Guarascio e ben al di sotto dei fasti del passato. Un adagio ben noto tra gli appassionati di pallone dice che la piazza calcistica di Cosenza ha un tifo da serie A, una storia da serie B e una dirigenza di quarta serie. Oggi la squadra che fu arena consacrata da atleti simbolo come Bergamini e Marulla, è rimasta orfana di calciatori-bandiera. Quelli che segnano un’epoca e diventano leggenda, anche lontano dai campi di calcio.
Una serata fredda di dicembre di anni molti fa, un po’ prima di Natale ero in un bar di Roges, periferia urbana di Cosenza, e mi capitò di incontrare forse l’ultimo dei grandi pedatori passati dal prato declassato del San Vito-Marulla di Cosenza. C’era un’aria ferma, i vetri appannati. Fuori quasi si gelava per la gala di ghiaccio che scende dalla Sila. Dentro solo pochi avventori. Un paio seduti a un tavolino. Poi io e una mia amica bionda che rivedevo dopo molto tempo. Un po’ di chiacchiere lontano dagli affanni.
L’attuale San Vito-Marulla visto dall’alto
Solo, in piedi, affacciato sui gomiti davanti al banco, c’era un ragazzo magro e dinoccolato. Un tipo sopra la trentina, i capelli lunghi tirati indietro a coda, fermati da un elastico. Qualche filo di grigio già a inargentare le tempie. Un orecchino gli dava invece un’aria un po’ truce. La ragazza che serviva dietro al bancone con lui fa la gatta. Si mostra, si affaccia col petto sul bancone. Gli fa smorfie per invogliarlo. Lui sembra il più annoiato e taciturno dei presenti. Addosso ha una tuta sportiva e un marsupio, calza scarpe da ginnastica. Ha la faccia stanca e un’aria persa e stralunata. I suoi gesti sono lenti, come rappresi nell’aria. Poche parole scambiate con la barista gli escono di bocca come spezzate dalla noia dell’abitudine.
«Un lattuccio»
Potrebbe essere uno dei tiratardi, borgatari del posto. Però parla troppo basso, senza la voga strascicata di questi rioni di periferia. Un buon italiano corretto e senza accenti, che gli esce di bocca con un rintocco gentile e malinconico. A un certo punto è lui che si rivolge alla ragazza del banco, dopo che lei gli aveva chiesto con smorfie più insistenti cosa poteva preparargli. Lascia cadere l’invito in una pausa che dura quasi un minuto, l’aria assente. Poi le dice piano piano: «Per favore puoi scaldarmi un lattuccio?». Dice proprio: «un lattuccio».
Uno così mi sembra d’averlo già visto, lontano da questo bar di periferia. Certe cose non sono mai come te le immagini. Quella sera nel freddo di quel bar di Roges mi sono chiesto cosa stava a farci a Cosenza in una squadretta da campetti parrocchiali scivolata nell’inferno della D uno bravo come lui. Prima di ricominciare dalla quarta serie del pallone, gli avevano offerto di nuovo soldi buoni e ingaggi di prestigio la Fiorentina in B e pure la Sampdoria in A. Ma quel ragazzo triste aveva preferito il Cosenza in D ed era pronto a dare una mano alla squadra che aveva lasciato in B prima del fallimento.
Capitani impolverati
E invece era stato messo fuori squadra da allenatori da oratorio. Si era allenato, ma è chiaro che in D non erano i suoi soliti ritmi. Non si gioca di fino sui campetti spelacchiati dei semiprofessionisti. Sono ring da zuffa, rettangoli sconnessi dove si suda e si sgomita senza complimenti. Dicevano che ormai era spompato, che gli mancava la partita vera. Ma aveva lavorato con gli altri per fare il capitano, per presentarsi bene. Non giocava, ma non se l’era sentita lo stesso di lasciare Cosenza.
Gigi Lentini in azione sulla fascia con la maglia del Cosenza
Chissà se c’è un vero perché in storie così. Forse era rimasto per un amore che voleva resuscitare, forse per la speranza di ricominciare in provincia una vita normale dopo le mille illusioni ruffiane del grande calcio. Forse a 35 anni Gianlugi Lentini era solo un uomo che non aveva più voglia di rientrare nel tritacarne del sistema-calcio. Uno che viene solo per tirare calci alla palla, che gioca solo per giocare e non per caricarsi di responsabilità che ti schiantano, di nuove delusioni. Pensai che forse era rimasto perché ancora, non importa su quale campo, davvero gli piaceva correre così come sapeva fare lui. Scartando e caracollando dietro a una palla persa per inventare un cross che non ti immagini, per cercare lo spazio più imprevisto, come un acrobata che rimane in bilico sul filo bianco teso a bordocampo.
Campioni malinconici
Forse a Cosenza ci si poteva stare senza farsi male, perché in un bar di periferia, da solo in una serata fredda di dicembre, uno come lui, un campione vero, può chiedere «un lattuccio» alla ragazza che serve al bancone senza vergognarsi, senza sentirsi addosso tutta la nostalgia e il peso del declino. Un artista malinconico del football, Lentini. La sua era una storia di passione luminosa, di grandezza vera. Di quelle rare nel calcio già ridotto a un Barnum per televisioni e affaristi magliari.
Sarà sempre così. In questo sport contano gli incanti della fantasia, le ascese degli uomini quanto le cadute. Senza la passione il football è una cosa morta. Solo 22 uomini grandi e grossi che corrono su un prato e danno calci ad una palla. Sono solo la passione e la fantasia che ci mettono certi giocatori di genio a farlo diventare una cosa importante, una cosa estetica. Un istante di bellezza adolescente, un’acrobazia figurata che somiglia all’arte.
Tre generi di giocatori
Sono passati molti anni da quella sera, ma ricordo bene. Il Cosenza di adesso se la batte malissimo in B, una squadra raccogliticcia, senza capitani veri e uomini simbolo come fu Lentini. Raccolgo a mente i ricordi e gli ultimi istanti di quello strano incontro in una notte d’inverno al bar di Roges. Non c’erano stelle in cielo, e nemmeno la luna. Tirava il vento della Sila, quella tramontana che taglia la faccia. Io e la mia amica ci avviamo senza parlare. Poi mi torna in mente un grande racconto all’interno di Fútbol di Osvaldo Soriano.
«Lo conosci?», chiedo alla mia amica distrattamente, prima di accompagnarla fuori nelle strade senza nome di quella periferia. Ad un certo punto, le dico che c’è una pagina in cui Soriano scrive che “ci sono tre generi di calciatori. Quelli che vedono gli spazi liberi, gli stessi spazi che qualunque fesso può vedere dalla tribuna, e li vedi e sei contento e ti senti soddisfatto quando la palla cade dove deve cadere. Poi ci sono giocatori che all’improvviso ti fanno vedere uno spazio libero, uno spazio che tu stesso e forse gli altri avrebbero potuto vedere se avessero osservato attentamente. Quelli ti prendono di sorpresa. E poi ci sono quelli che creano un nuovo spazio dentro un rettangolo di gioco, dove non avrebbe più dovuto esserci nessuno spazio, nessun pallone”.
Quello lì, quello che alla barista lì dentro chiedeva di scaldargli «un lattuccio», è uno di loro. Uno di questi profeti dell’innocenza che inventa figure impossibili, uno che aveva nei nervi quel tremore che spinge gli uomini a giocare su un prato dietro a una palla di cuoio. È un poeta sconfitto, era un astro tramontato del gioco del pallone. Tu non lo conosci. Si chiama Gianluigi, Gigi Lentini, era un campione.
Gigi Lentini contrastato da Jocelyn Angloma durante la finale di Champions League tra Milan e OM del 1993
Prima di andare via dal bar con la mia amica, mi sono avvicinato. Ho chiesto un autografo a quel ragazzo dalla faccia triste. Sorrise, sorpreso che qualcuno lo avesse riconosciuto in quel posto, a quell’ora, in quella situazione. Qualcuno che si ricordava di lui come calciatore, quando fino a qualche anno prima calcava i palcoscenici del calcio vero. Lentini scrisse su un pezzetto di carta, con una biro che le passò la ragazza dietro al bancone, calmo e gentile. Poi quasi sottovoce mi chiese per chi era l’autografo. «È per mio figlio», rispondo io. Non è vero. L’ho tenuto per me.
Cosenza oggi
Oggi Cosenza per me è questo: l’aria di periferia di certi bar e negozietti fuori moda, certi angoli svisti tra i palazzoni di periferia, l’odore delle cucine che la domenica preparano il pranzo di buon’ora tra le case popolari. Rumore di stoviglie, i balconi spalancati sul mattino, i panni stesi, le stanze che si affrettano al riordino. Un vecchio in pigiama che è sceso nel cortiletto di una vecchia casa colonica assediata dal cemento ad annaffiare del basilico che cresce in una grossa lattina di conserva arrugginita. Una imprecazione che sembra un proverbio antico, qualche risata di gola che arriva da lontano, una donna che rimprovera un bambino in un dialetto che sa ancora di cantilena.
Sullo stradone il camioncino del venditore viaggiante di patate della Sila che chiama a raccolta donne col suo verso da muezzin, la macchina con gli scarichi truccati che passa correndo via e lo stereo acceso forte sulle canzoni di un cantante neomelodico. Il buongiorno di una domenica qualsiasi in un posto senza grilli per la testa, le officine e i gommisti che armeggiano tra i marciapiedi e le strade piene di buche, il mercato degli ambulanti, i saluti e la festa del mattino nel quartiere popolare in cui sono venuto ad abitare da un paio d’anni.
La città-chimera
Da qui, da questo margine, si dileguano come in una nebbia opalescente le sagome tristi della teoria infinita di casermoni, strade e circonvallazioni, luci al neon, semafori intermittenti e file d’auto incolonnate nel traffico del rientro pomeridiano. La vita che ristagna tra le siepi di palazzoni multipiano degli attici in vetrocemento che riflettono il profilo scialbo della Grande Cosenza. La città-chimera, che non c’è mai stata e che non si farà. E con lei eclissa forse per sempre da queste sponde antiche anche il mito della città ribelle, socialista, colta, libertaria.
Resti di palazzi crollati si affacciano su corso Telesio
Restano solo le spoglie del suo centro storico svuotato di senso e popolato solo da invisibili e clandestini. La ridotta sbriciolata dei palazzi patrizi di Cosenza Vecchia, nobile e decaduta, e fuori da quella cerchia vetusta, a far perno nel vuoto del cielo invernale solo il lungo traliccio strallato del ponte di Calatrava. Poi le orbite involute del traffico e i pilastri di cemento armato di quella foresta di cubature sfuse che occupa lo spazio sfilacciato come una bandiera al vento che si prolunga per miglia e miglia oltre i ponti nella valle del Crati.
Una periferia senza centro
Il fiume di cemento si arresterà mai prima di sboccare la sua corsa finale verso lo Ionio? Fin lì Cosengeles per ora è solo un groviglio di centri commerciali, strade che si perdono nella campagna scassata dagli abusi, tra gli avamposti delle burocrazie e del terziario rigonfiato. Cosenza è oggi un organismo aspira-tutto che prospera risucchiando il vuoto intorno a sé e assommando intorno ad un’enorme periferia senza centro tutta la popolazione di giovani che si raccoglie nei paraggi dell’Università.
Studenti in attesa dei bus all’ingresso dell’Unical
Qui si radunano nel posatoio provvisorio degli studi, delle lauree tecnologiche e delle specializzazioni da Silicon Valley in riva al Crati, i pochi giovani rimasti a vivere in tutta la Regione. Ma anche loro restano giusto il tempo di ripartire. Prima che volino via altrove, come uccelli di passo. Un flusso provvisorio che ancora per un po’ terrà viva Cosenza e tutta la sua cosiddetta area urbana.
Mito e apparenze
È questa in fondo l’unica forza viva che alimenta da quarant’anni il mito della Grande Cosenza. Un mito provvisorio che sembra di tanto in tanto risorgere senza mai diventare vero oltre le apparenze. Ma solo perché è la Calabria intera che si squaglia intorno a Cosenza, che ogni giorno rimpicciolisce e diventa sempre più scarsa, più scolorita e spaesata.
Codici rossi Interpol, estradizione, qualche mese di galera senza processo in Ucraina e, soprattutto, una bella rasatura dal barbiere. C’è un po’ di tutto nel video che Fernando Martinez Vela (queste le generalità indicate nell’account Youtube da cui posta i suoi messaggi) ha voluto dedicare al nostro collega Vincenzo Imperitura e condividiamo poche righe più giù. Vincenzo, infatti, pur tifando Reggina e non avendo mai incontrato in vita sua il presidente del Cosenza Calcio (che questo giornale ha peraltro attaccato più volte fin dal suo primo numero), Eugenio Guarascio, sarebbe un «amico de Guaracho». Mica un cronista che ha fatto il suo mestiere raccontando in un articolo le stranezze che hanno riguardato l’ipotetica compravendita della società rossoblù negli ultimi dieci giorni. Lo dicono i «soci in Calabria» di Vela e chi siamo noi diretti interessati per smentirli?
Un consiglio
Così, ecco un bel video anche per lui, dopo quelli di Fernando e altri su “Guaracho” apparsi nell’ultima settimana. È un «buonissimo consiglio» – ci tiene a precisare il presunto intermediario della sorprendente trattativa – e non certo «una minaccia». Fesso chi pensa male solo perché Fernando suggerisce al nostro collega che, se non ritratta il suo scritto, potrebbe essere oggetto di uno «scambio di figurine» tra il Belpaese e l’Ucraina. L’Italia, d’altra parte, è sempre pronta a consegnare in giro per il mondo un suo cittadino se lo accusano di aver commesso un’ipotetica diffamazione a mezzo stampa. Un cittadino che, sottolinea con sobria eleganza Vela, per di più guadagna meno del suo giardiniere «in una settimana». E che ha pure la barba troppo in disordine per i gusti dei potenziali acquirenti dei Lupi.
La nostra posizione
Nell’esprimere la massima vicinanza a Vincenzo, l’intera redazione e il direttore de I Calabresi ribadiscono che proseguiranno il loro lavoro come sempre, senza curarsi di intimidazioni, vere o false che siano, e nell’esclusivo interesse dei loro lettori.
Il magnate uzbeko e la società londinese, il giornalista spagnolo e il faccendiere italiano: sembra una storiella di quando eravamo bambini e invece sono (alcuni) dei presunti protagonisti che dalla notte prima della vigilia di Natale rimbalzano tra i muri di Cosenza, raccontando dell’interesse di un potente oligarca nei confronti della squadra di calcio della città, da anni nelle mani del “re dei rifiuti”, Eugenio Guarascio. Una storia urlata da un piccolo sito sportivo napoletano e lievitata piano piano, rimbalzando sui social e sui media tradizionali fino ad arrivare sulla scrivania del patron rossoblu, che ha bollato tutto sotto la voce boutade.
Una storia che mischia nomi altisonanti, personaggi più che chiacchierati e funambolici appalti per “l’allargamento” del porto di Gioia Tauro o il waterfront di Lamezia. In attesa che le ruspe uzbeke spianino San Ferdinando per fare posto all’allargamento dello scalo, la storia della vendita del Cosenza, giorno dopo giorno, si arricchisce di nuovi improbabili elementi, in un caravanserraglio felliniano dove ormai mancano solo Gradisca e Saraghina.
https://www.youtube.com/watch?v=KkG-5Icd-zs
L’oligarca
In questa spystory dai contorni un po’ pecorecci, il ruolo da assoluto protagonista spetterebbe a Alisher Usmanov, quasi settantenne oligarca di origine uzbeka con un patrimonio stimato di 17 miliardi di dollari e un passato recente in club che hanno fatto la storia del football come l’Arsenal. Emerso da una prigione sovietica dopo sei anni di condanna (poi cancellata dal governo Putin), Usmanov si ritaglia un posto al sole con il nuovo regime.
Alisher Usmanov insieme a Vladimir Putin
Dirigente di primo piano di Gazprom, magnate dell’industria, alfiere della scherma e filantropo, Usmanov è stato a lungo sotto i riflettori dei media inglesi per le sue condotte più che spregiudicate negli affari, finendo anche sul taccuino dell’ex presidente Trump, a cui l’ala più oltranzista dei repubblicani si era appellata per ottenerne la messa all’indice. Famoso per avere un pessimo rapporto con la stampa non allineata, Usmanov avrebbe messo sul piatto 12 milioni di euro in tre trancheper ottenere il controllo del 90% del Cosenza Calcio.
L’ufficio stampa del gruppo del magnate uzbeko, però, ha tenuto a precisare con un’email alla nostra redazione che «le informazioni che indicavano Alisher Usmanov come possibile acquirente del club del calcio italiano Cosenza non corrispondono alla realtà. Il signor Usmanov non prende in considerazione né l’acquisto del club specificato, né di un altro club in Italia».
Calcio moderno
Partner di questa trattativa, ad andare dietro alle mille voci di questa strana vicenda, sarebbe la Devetia Limited, esempio paradigmatico della nuclearizzazione del calcio moderno. La società in questione, con base a Odessa, fu protagonista, in partnership con la inglese Media Sport Investment, della scalata al Corinthians, antica roccaforte brasiliana della “democratia” cantata da Socrates (l’ex stella della Selecao e leader anarchico della Fiorentina di prima anni ’80), e finita suo malgrado a vendersi e ricomprarsi giocatori che restavano di proprietà di Devetia e Msi.
Le future stelle Carlos Tevez e Javier Mascherano passano dal Corinthians al West Ham United: è il primo grande (e discusso) affare della Msi nel mondo del calcio
A rappresentare questa oscura società di intermediazione calcistica ci sarebbe poi – così racconta lo screenshot di una presunta pec inviata al rappresentante del Cosenza per confermare l’interessamento all’acquisto da parte del magnate Usmanov – l’avvocato Roberto Rodríguez Casas: già protagonista nelle tormentate trattative per il passaggio di mano di Malaga e Real Murcia ad altrettanti miliardari dell’est, il legale spagnolo è una vecchia conoscenza della giustizia iberica.
Nel 2011 finì agli arresti in una storia di riciclaggio di denaro proveniente dal business della droga sulle piazze della movida madrilena. Secondo gli investigatori sarebbe stato lui – difensore dell’uomo considerato a capo della mafia bulgara nella capitale spagnola – il punto di contatto con uno dei boss del narcotraffico.
La lettera di Rodríguez Casas che attesterebbe la veridicità della trattativa
Il circo
A confondere le acque ci sono poi una serie di link che da qualche giorno girano tra i cronisti di mezza Calabria. Vecchi articoli online in cui si parla di Guarascio come partner della Devetia con cui sarebbe in affari già dal 2014, oscuri blog spagnoli in cui si riferisce di un fantomatico processo a Odessa contro Campisano e Guarascio, del quale la magistratura locale avrebbe chiesto l’estradizione all’autorità giudiziaria italiana.
Il blog spagnolo che parla dei presunti legami in Brasile datati 2014 tra Guarascio e gli ipotetici acquirenti del Cosenza: il dettaglio sul presidente del Cosenza, però, da una verifica alla cache sarebbe stato aggiunto solo di recente al post
Secondo quanto si legge nei resoconti firmati con il nome del giornalista televisivo madrileno Ramon Fuentes – che sui social informa i suoi follower ogni volta che si soffia il naso e che retwitta compulsivamente ogni suo pezzo, meno, ovviamente, quelli che parlano di Guarascio e del Cosenza – i due sarebbero a processo (in Ucraina) per una presunta combine durante Pordenone–Cosenza e, testimone d’accusa, sarebbe Oleg Patakarcishvili, che della Devetia sarebbe il padre padrone.
Lo stesso blog spagnolo pochi giorni prima di Natale riferisce di un’inchiesta a Odessa sulla partita Pordenone-Cosenza
Un circo senza senso in cui è finito di tutto, anche una telefonata surreale, poi rimossa da Youtube, tra un rappresentante del Cosenza Calcio e i presunti rappresentanti del gruppo acquirente. Un circo dentro cui fa la sua figura anche il faccione di «Fernando del gruppo d’investitori Devetia», alias Fernando Martinez, che da sabato sera gira su Youtube con un video degno di Terry Gilliam.
Capello laccato e albero sullo sfondo, “Fernando del gruppo ecc” si rivolge direttamente al popolo, aizzandolo contro «Guaracho» e minacciando di portate a supporto delle sue tesi, testimoni «che hanno vinto la Champions e che non sono dilettanti come questo Guaracho». Un video che è un capolavoro di nonsense e che mischia «i lavori del porto di Lamezia che fruttano 3000 posti», presunte trattative con le squadre di mezzo pianeta e pistolotti di real politik sul marcio che gira nel calcio e dentro cui il suo gruppo, legittimamente, si pregia di prosperare.
Il precedente
Un circo da cui ci si aspetta, da un momento all’altro, un nuovo elemento che tenga alta l’attenzione su quello che succede attorno al Cosenza. Un circo su cui non è ancora calato il sipario e che ricorda da vicino la vicenda della scalata alla Lazio che Giorgio Chinaglia, oltre 15 anni fa, portò avanti a forza di bordate contro la dirigenza che «non voleva mostrare le carte». Nel 2006, il tribunale di Roma determinò l’arresto di “Long John”.
L’ex bandiera della Lazio e della nazionale era stato messo a capo di un fantomatico gruppo di miliardari dell’est che volevano allungare le mani sulla squadra della capitale, subentrando a Lotito, che quella squadra l’aveva presa dal crack Cragnotti e la cui luna di miele con la tifoseria biancoceleste era già finita da un pezzo. Una storia paradossale che, un paio di anni dopo, si arricchì di una nuova indagine della digos che dimostrò come dietro al fantomatico gruppo dell’est ci fossero i soldi dei Casalesi in combutta con criminali del calibro di Fabrizio “Diabolik” Piscitelli, giustiziato qualche anno dopo in un parco di Roma sud con un colpo alla nuca.
Molière è vivo e lotta insieme a noi. Lo fa attraverso Arpagone, il suo Avaro (e avaro per eccellenza della commedia dell’arte), che in Calabria ha raggiunto la versione 4.0 e a Cosenza sta per evolversi ulteriormente. Il nuovo Arpagone non ha la faccia di Paolo Villaggio (che lo interpretò alla grande tra un Fantozzi e l’altro a fine anni ’90) ma quella di Eugenio Guarascio, il big dello smaltimento rifiuti col pallino dell’editoria e un incompreso – soprattutto incomprensibile – interessamento al calcio. Pecunia non olet, i soldi non puzzano, ci mancherebbe. E non c’è nulla da obiettare se il duce di 4EL, brillante e carismatico per autodefinizione, ha fatto un botto di quattrini con la monnezza. Ché anzi è un servizio nobile reso alla comunità. Il problema è che i soldi non possono restare in cassaforte.
Un’edizione dell’Avaro di Molière
«Peste all’avarizia»
Nessuno si permette di fare i conti in tasca a mister Guarascio. Però una cosa va detta: c’è una differenza – a volte sottile, ma c’è sempre – tra un imprenditore e un tirchio. Sta in una parola rara, altrove scontata ma quasi magica al Sud: investire.
Quel che il presidente di Ecologia Oggi ha promesso puntualmente per il Cosenza Calcio e, finora, disatteso con altrettanta puntualità.
Ora, che certe dichiarazioni se le siano bevute Mario Occhiuto e Franco Iacucci ci sta. Ma il sindaco uscente e non ricandidabile della città che ha tra i simboli proprio la squadra di Guarascio non poteva dire altro. Così come non poteva dire altro un presidente di Provincia che aspirava al salto a Palazzo Campanella.
Non ci si può aspettare che certe promesse se le bevano i cittadini, che magari sborsano quattrini per andare al San Vito-Marulla. Pecunia non olet ma pesa. Nelle sue tasche aggiungiamo noi.
Striscione contro Guarascio durante una partita del Cosenza
Nell’Avaro i servi, chi più chi meno, protestavano e si ribellavano come potevano ad Arpagone, dissimulando quel minimo per non farsi prendere a bastonate. I tifosi, invece, non le mandano a dire: lo testimonia la valanga di commenti che esplode ritualmente dopo le partite del Cosenza.
«Peste all’avarizia e agli avari», gridava Freccia, un servitore di Arpagone, al padrone che lo perquisiva. «Guarascio, facci un regalo: vattene», invocano a gran voce i cosentini sui social. Come si vede, non c’è quasi differenza.
Investire vuol dire spendere
I numeri parlano. E quelli del calcio sono tra i più eloquenti: nelle sue partite più recenti, il Cosenza ha inanellato quattro sconfitte, tra qui quella dolentissima con la Reggina, e un pareggio. È quintultimo in classifica, cioè in posizione di agonia con unica aspirazione la salvezza.
La si direbbe una squadra “avara”. In realtà, è solo una squadra povera che celebra costantemente le nozze coi fichi secchi sotto lo sguardo severo del patron.
Guarascio parla poco, ma sta sempre attento, come Arpagone, che a tavola non si sprechi il cibo. Neanche nel banchetto nuziale ordinato alla meno peggio per accasare la figlia con un agiato anziano, disposto a sposarla «senza dote», e per impalmare una ragazza, da cui spera invece una dote.
Questa citazione riassume il duplice rapporto, calcistico e imprenditoriale, che ha con Cosenza.
Investire nelle emozioni
Non entriamo nel merito del ciclo rifiuti, sebbene le lamentele sull’andamento della differenziata e non poche polemiche sindacali siano eloquenti. Concentriamoci solo sull’aspetto sportivo: se c’è un settore in cui i risultati costano, è lo sport, il calcio in particolare. E il campionato del Cosenza è l’esito di una campagna acquisti fatta a velocità lampo con un budget risicato. Più o meno come i cavalli, denutriti e senza ferri agli zoccoli, con cui Arpagone voleva andare alla fiera.
Nel calcio non si può risparmiare tagliando sui costi, come in un’azienda normale. A volte si può guadagnare (coi biglietti, gli sponsor e i diritti). Ma per farlo occorre spendere, perché l’investimento è nelle emozioni, prima ancora che negli uomini e nei mezzi. Le emozioni dei tifosi e dei cittadini comuni, che magari sui disservizi chiudono pure il classico occhio, ma allo spettacolo settimanale non vogliono rinunciare.
Spendere non è sprecare
Guarascio ha una nemesi, che non proviene dal teatro ma dal cinema. È Benito Fornaciari, il presidente del Borgorosso Football Club, a cui prestò il proprio volto Alberto Sordi, che si cappottò finanziariamente per salvare la squadra ereditata dal padre.
Fornaciari è l’esempio opposto da non seguire, intendiamoci: nessuno si deve rovinare per farsi amare dai tifosi. Ma da qui a mettere in cima alle preoccupazioni il “rigore nei conti”, come ha dichiarato e ribadito Guarascio, ne corre. I conti devono essere tenuti sotto controllo, ci mancherebbe, ma non sono tutto, quando si lavora con le emozioni del pubblico. Altrimenti, il confronto con Arpagone, disposto a sacrificare gli affetti dei figli pur di salvaguardare i suoi diecimila scudi, diventa troppo calzante…
La fortuna è un merito solo per quelli bravi
Sotto Natale, sempre a proposito di avari, si potrebbe citare il vecchio Scroodge di Dickens. Ma la vicenda del Cosenza non è una favola, anzi merita un’ironia per la quale non basterebbero dieci Molière particolarmente ispirati: si ride per non arrabbiarsi troppo.
Ciononostante, due fortune arridono a Guarascio: il miracoloso ripescaggio a danno del Chievo Verona e l’amore dei tifosi per il simbolo della città.
Ma la fortuna non è eterna e premia chi la cerca, non chi se ne approfitta. E prima o poi i tesori si volatilizzano. Come quello di Arpagone, che alla fin fine e a dispetto di tanti sacrifici, riempiva sì e no un cofanetto.
Nell’anno in cui l’Italia è riuscita a vincere di tutto e di più nello sport, la Calabria, nonostante segnali positivi e barlumi di speranza futuri, segna il passo. E nel dossier de Il Sole 24 Ore sulla sportività delle 107 province italiane, le 5 calabresi sono tutte nell’ultima parte della classifica. La provincia di Cosenza risulta addirittura quartultima, al 104esimo posto generale; Catanzaro 95esima; Crotone 93esima; Vibo Valentia 90esima; Reggio Calabria 85esima.
Gli indicatori del report
L’indice totale del report, giunto alla 15esima edizione, è calcolato su 36 indicatori suddivisi in quattro categorie: strutture sportive, sport di squadra, sport individuali e sport e società. Tiene conto dei risultati degli atleti nell’ultimo anno solare (nel calcio, basket, volley, rugby, ciclismo, atletica, nuoto, tennis, sport invernali, acquatici, indoor, outdoor, motori ecc.) fino alle Olimpiadi e alle Paralimpiadi di Tokyo. Ma anche dei servizi, dei tesserati e delle strutture sportive presenti nella varie province italiane.
Successi importanti, ma non basta
Il segnale del trend negativo era arrivato proprio dalle recenti Olimpiadi. L’Italia aveva chiuso i giochi con 40 medaglie, nuovo record storico, ma nessuna di esse proveniente dalla Calabria (insieme a Valle d’Aosta, Basilicata, Abruzzo). Diverso il discorso, invece, per le Paralimpiadi con gli argenti per Anna Barbaro nel triathlon edEnza Petrillinel tiro con l’arco e l’ottima prestazione di Raffaella Battaglia nel sitting volley.
Enza Petrilli, impegnata nella gara al termine della quale ha conquistato la medaglia d’argento alle Paralimpiadi di Tokyo
Questi successi – oltre alle performance del cosentino Domenico Berardi, che ha contribuito a riportare il campionato europeo di calcio in Italia dopo oltre 50 anni – non sono bastati però a migliorare gli indici di sportività delle province calabresi nel dossier annuale de Il Sole 24 Ore. Né è servito il trionfo di Daniele Lavia, sempre agli Europei (di volley nel suo caso).
Senza strutture, niente futuri campioni
Le carenze strutturali purtroppo continuano a fare la differenza. Proprio Berardi finì giovanissimo al Sassuolo perché il Cosenza, pronto a inserirlo nella Primavera, non aveva una foresteria dove ospitarlo. Insomma gli atavici problemi calabresi non agevolano gli atleti già professionisti, men che meno i giovani che sono costretti poi ad emigrare anzitempo. Ed è più che evidente che la Calabria sforni sempre meno campioni perché se non ci sono gli incentivi giusti e adeguati finanziamenti diventa sempre più difficile stanare nuovi talenti per trasformarli in professionisti.
Domenico Berardi, calabrese di Bocchigliero (CS), festeggia la vittoria degli Europei a Wembley
Il ruolo della Regione
Nella scorsa primavera dalla Regione era arrivato il nuovo avviso “Sport in Calabria due”, pubblicato in pre-informazione sul portale “Calabria Europa”, per sostenere il settore sportivo e, in particolare, le associazioni e società sportive dilettantistiche che operano sul territorio regionale e che hanno subito gli effetti dell’emergenza Covid-19. Il budget a disposizione era di un milione e 441mila euro, con contributi a fondo perduto per le associazioni sportive dilettantistiche (asd) e le società sportive dilettantistiche (ssd) iscritte al registro nazionale Coni.
Gennaro Gattuso solleva la Coppa del Mondo dopo la finale contro la Francia del 2006
Uno dei compiti, tra i tanti, della nuova giunta regionale calabrese – che al momento non prevede deleghe su questa materia – sarà anche quello di ridare nuova linfa vitale allo sport locale in ogni suo aspetto, agonistico e amatoriale. Il flop delle province calabresi nel dossier de Il Sole 24 Ore non rende onore a quanti – da FrancescoPanetta a GennaroGattuso, da Stefano Fiore a SimonePerrotta, passando per Giovanni Tocci e Giovanni Parisi – hanno portato la loro terra ai massimi livelli sportivi internazionali.
Sport ed economia
Senza strutture adeguate e moderne e senza investimenti nei vari settori giovanili sarà impossibile scoprire atleti promettenti, magari anche la prossima medaglia d’oro alle Olimpiadi. Sognare non costa nulla, ma costa lo sport invece. E potrebbe risultare fondamentale anche per la fragile economia calabrese investire nel settore. Lo sanno bene a Vicopelago ad esempio, un piccolo Comune della provincia di Lucca primo in classifica nel tennis in Italia, dove dal settore giovanile di categoria hanno tirato fuori campioni e campionesse che lo scorso anno hanno vinto lo scudetto a squadre, con enormi ritorni anche di tipo economico.
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