Tag: scuola

  • Città dei ragazzi, alla ricerca delle funzioni perdute

    Città dei ragazzi, alla ricerca delle funzioni perdute

    Parafrasando un bel film dei fratelli Coen, potremmo che dire che questa “Non è una città per ragazzi”. Eppure quello spazio colorato su via Panebianco era nato esattamente per loro. Era una idea di Mancini, di cui recente si è ricordata la morte e del quale si rivendica vanamente l’eredità. Di quella stagione la Città dei ragazzi è forse la sola cosa che resta. Piazza Bilotti e il ponte di Calatrava, così come viale Parco, nel tempo sono diventati una cosa diversa da quanto immaginato dal vecchio sindaco.
    Oggi, dopo l’immobilismo causato dalla pandemia, alcune pastoie burocratiche e forse anche una attenzione non esattamente vigile, minacciano di impedire il rilancio di quello spazio dedicato alla cultura e alla creatività.

    La concessione

    Accade infatti che nel 2020 le associazioni Teca, la Cooperativa delle donne e Don Bosco vincano un bando promosso dalla fondazione “Con i bambini” per fronteggiare la povertà educativa. Al loro fianco ci sono l’Istituto comprensivo Gullo e l’Unical. I fondi sono cospicui: 850mila euro. Ma per portare a compimento l’iter e realizzare il progetto alle tre associazioni serve avere uno spazio adeguato per un tempo congruo. Il Comune, allora guidato da Mario Occhiuto, concede loro la Città dei Ragazzi, sgravandosi di ogni costo. Poi la pandemia cambia ogni cosa. Palazzo dei Bruzi dopo una sola settimana revoca la concessione e dà due dei tre cubi alle aule della scuola De Matera.

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    Attività in uno dei cubi della Città dei ragazzi

    La stessa clausola che levava gli spazi alle associazioni, però, prevede la “provvisorietà” della revoca degli spazi. E questo alimenta l’aspettativa delle associazioni circa la restituzione, essendo stata dichiarata conclusa l’emergenza Covid.
    «Non vogliamo mandare via i bambini dai cubi – dice Antonio Curcio, dell’associazione Teca – ma immaginiamo di poter riprendere il progetto finanziato non appena l’anno scolastico si concluderà».

    Per questo le associazioni hanno scritto una Pec al Gabinetto del sindaco, per chiedere un confronto. Quella Pec per vie misteriose finisce sulla stampa prima che sul tavolo di Franz Caruso. Ma finisce inaspettatamente anche nel dibattito interno alla commissione consiliare per l’Istruzione. E lì il delegato del sindaco, Aldo Trecroci, annuncia candidamente che quegli spazi resteranno alla De Matera, «perché le scuole hanno la priorità». Scatenando un putiferio.

    Le opposizioni

    «Si sarebbe dovuto parlare di altro, ma incidentalmente Trecroci ha detto di aver ricevuto la chiamata della preside della De Matera, preoccupata per il rischio di perdere gli spazi per le aule della sua scuola», racconta Bianca Rende, posizionatasi dopo la comune vittoria elettorale, tra i banchi dell’opposizione. «Quello che la preside paventa come un rischio è esattamente quanto deve accadere», dice con veemenza la consigliera Rende. Per lei la Città dei ragazzi deve tornare rapidamente alla sua vocazione originaria.

    Non diversa la posizione di Giuseppe D’Ippolito, di Fratelli d’Italia. Quel luogo deve «essere restituito alla sua funzione sociale; chi governa deve valutare in che modo, ma non può essere destinato alle scuole», sostiene. E accusa l’amministrazione di «aver del tutto stravolto la visione manciniana».

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    Franz Caruso sul palco del suo comizio finale insieme ad altri tre sfidanti del primo turno passati dalla sua parte per il ballottaggio: Fabio Gallo, Bianca Rende e Francesco De Cicco (foto A. Bombini) – I Calabresi

    A rievocare l’emergenza che portò gli scolari della De Matera nei cubi della Città dei ragazzi è Francesco Caruso, all’epoca vicesindaco di Occhiuto. Il consigliere per il futuro immagina prioritariamente il ritorno delle associazioni in quello spazio, magari la condivisione del luogo «se necessario» anche con una scuola, domandandosi però «perché mai proprio la De Matera?».

    Troppe deleghe sovrapposte

    Tutti e tre gli esponenti dell’opposizione sparano ad alzo zero sulla frammentazione delle deleghe assegnate dal sindaco a troppi consiglieri. La cosa pare stia creando situazioni complicate, visto che spesso gli ambiti di intervento si sovrappongono. Per esempio questa vicenda vede coinvolte tre deleghe: l’istruzione, il welfare e l’educazione e non si capisce chi comanda. Sul punto specifico la Rende ha le idee chiare. E con disincanto dice ridendo che «a comandare su tutto è Incarnato». Padre e non figlia, si direbbe, visto che quest’ultima in Giunta ha le deleghe ad Urbanistica ed Edilizia.

    Il sindaco e il delegato

    Trecroci è un preside e ha la delega all’Istruzione. A scatenare la tempesta sono state le sue parole. Lui, però, le rivendica con fermezza: «È la posizione della maggioranza, ne ho parlato anche con il sindaco. Per noi le scuole hanno l’assoluta priorità».
    Forse però il sindaco era distratto. «Qui tutti parlano con tutti, salvo con chi decide, cioè il sindaco. Sull’argomento non ho delegato nessuno» dice Caruso, ammettendo che del futuro della Città dei Ragazzi «ancora non ne abbiamo parlato, anche perché fino a quando ci sono le scuole è difficile affrontare la questione». Di sicuro per il sindaco «è necessario rivitalizzare quello spazio, la cui destinazione deve essere partecipata e condivisa».

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    Il sindaco di Cosenza, Franz Caruso (foto A. Bombini) – I Calabresi

    Si apre il confronto

    «Quello spazio sociale ha avuto anche 120 mila presenze – spiega accorata Lucia Ambrosino, presidente della Cooperativa delle donne – perché non è una realtà solo legata all’area urbana, ma al territorio regionale. La lotta alla povertà educativa si fa assieme alla scuole, ma dobbiamo intenderci su come deve funzionare una idea di comunità».
    Le associazioni sono ottimiste, l’interlocuzione è appena cominciata. Sanno che quel luogo è una opportunità importante che nessuno vuole perdere. «È stata una sorta di aula decentrata, in accordo con le scuole. E lì devono tornare a svolgersi delle azioni come un museo della Scienza e progetti di reinserimento sociale».

    Ma in ballo ci sono 850 mila euro, di cui 84 mila investiti direttamente dalle associazioni. Inevitabile domandare ai rappresentanti se siano disposti a una guerra legale contro il Comune, nel caso la mediazione appena iniziata andasse male. Ambrosini e Curcio sono cauti, nessuno va al tavolo delle trattative con una pistola in mano. Dichiarano di non aver nemmeno preso in considerazione questo aspetto e quindi eludono la questione, esibendo ottimismo e fiducia, di cui presto conosceremo la fondatezza.

    Quale futuro per la Città dei ragazzi?

    Le associazioni sono pronte al confronto «per verificare quanto previsto dalla concessione, cercando di trovare una soluzione alle esigenze reali delle scuole», spiega Antonio Curcio.
    Ma in gioco ci sono parecchi quattrini, il lavoro di un bel po’ di persone e una idea precisa dell’uso di uno spazio sociale. E pure su questo si misura la qualità di una amministrazione.

  • Scuola: prof ingabbiati, il futuro della Calabria lo ‘insegnano” gli studenti

    Scuola: prof ingabbiati, il futuro della Calabria lo ‘insegnano” gli studenti

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    La Calabria è una regione che ha fatto della contraddizione la sua geografia. Le montagne rocciose che si tuffano nel mare senza soluzione di continuità sono la più limpida dichiarazione di questo concetto: niente sfumature, nessuna via di mezzo.

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    I libri diventano inutili con l’analfabetismo funzionale

    In questa terra perentoria, abitano uomini che più di altri sono abituati ai compromessi e alle sfumature. La terra che ha i tassi di analfabetismo (funzionale e non) tra i più alti d’Europa è anche la terra da cui sono partiti fiumi di insegnanti.
    Proprio nella scuola bisogna andare per capire chi sono i prossimi calabresi e come sarà la Calabria di domani.

    Scuola e adolescenti, generazioni a confronto

    L’attuale generazione di adolescenti si è dimostrata incredibilmente sensibile a questioni che quella precedente non si è mai posta: si pensi alle manifestazioni sul cambiamento climatico, sulle differenze di genere e finanche sulla validità del sistema economico capitalista. Il dibattito sociologico si sta interrogando su fenomeni come la Great Resignation (dimissioni di massa da parte di lavori poco pagati e molto sfruttati). La Calabria, nonostante la narrazione che la considera periferia d’Europa, partecipa da protagonista a questi dibattiti ed è percorsa da queste spinte.

    Il nuovo impegno

    Gli esempi si sprecano: il dibattito e la proposta di legge sul voto ai fuorisede parte da un collettivo calabrese (il Collettivo Valarioti); le battaglie di resistenza e riqualificazione del patrimonio storico a Cosenza – che hanno comportato provvedimenti repressivi, ora decaduti – sono portati avanti da ragazzi poco più che ventenni (Jessica Cosenza e Simone Guglielmelli); l’occupazione dell’Ospedale di Cariati, un modello studiato nelle tesi universitarie, è gestito da giovani impegnati.

    Studenti in protesta al Liceo Valentini di Castrolibero

    E poi la vicenda più dibattuta: l’occupazione del liceo Valentini-Majorana in seguito a presunte molestie. In tutti questi casi, al pari dei corrispettivi mondiali, le istituzioni sembrano incapaci di rinnovarsi, ingabbiate tra burocrazia e valori generazionali logori, e i giovani si prendono la scena.

    Calabria, una storia di insegnanti

    A tutti questi la scuola cosa ha da insegnare? Una parte della storia calabrese è una storia di insegnanti. A cominciare da uno dei più celebri intellettuali calabresi: Corrado Alvaro, giornalista, poeta, scrittore. Europeo di Calabria, come si è definito. La sua oltre che un’opera di narrazione è un’opera pedagogica. Racconta le genti di Aspromonte senza giudicarle.

    Corrado Alvaro

    Da cronisti come Alvaro provengono storie di ragazzi che contendono pagine di manuali scolastici alle capre in istituti diroccati: entrambi, capre e ragazzi, “mangiavano con la cultura”. Insegnanti che bocciano studenti per tenerli qualche mese in più tra i banchi e non nella miseria.

    Scuola o esercito: fughe dalla Calabria

    Le regioni meridionali sono state per anni zone nelle quali, chi poteva, sceglieva una formazione liceale anziché professionale, a differenza del Nord. Perché? Semplice: l’unica via d’uscita, se non di fuga, era insegnare al Nord. Un’altra possibilità era arruolarsi. E in questo modo per anni molte poesie di D’Annunzio o di Pascoli hanno le consonanti accentuate o distorte tipiche della cadenza calabrese.
    Non è poi tanto diverso da quel che accade oggi, quando molti ragazzi si dedicano all’insegnamento come ripiego di altre carriere precluse.

    Elena Cupello: il giudizio della preside

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    La preside Elena Cupello

    Di tutto questo patrimonio cosa resta? Elena Cupello è una delle persone più adatte a rispondere: decenni dietro la cattedra, poi preside. Chiunque l’abbia conosciuta ne ha un ottimo ricordo, perché gli istituti da lei diretti diventavano laboratori di sperimentazione umana e didattica. Ora è stata chiamata proprio a dirigere quel liceo Valentini-Maiorana diventato simbolo di “altro”.
    Possibile che proprio in una terra che dovrebbe cullare anime critiche e ribelli, la scuola salga agli onori della cronaca per questi episodi? Funziona la scuola in Calabria? La sua voce è stanca, ma non si sottrae: «Sono delusa e sfiduciata. La scuola negli anni in cui l’ho vissuta è cambiata molto. Ci sono valide professionalità, ma l’istituzione resta imbrigliata e forse impaurita da gabbie burocratiche, regole e mille altre cose. Bisognerebbe ripensarla altrimenti».

    Burocrazie “maledette” e studenti assenti

    Ma questi tanti lacci impediscono ai professori di mettere passione e aprire dibattiti su problematiche reali, oppure c’è un divario e un’incomunicabilità data dall’età, ma anche da mille altri interessi (politici ed economici) che giocano la loro parte? «C’è sicuramente un problema di età: il vissuto di molti insegnanti è completamente diverso da quello dei loro studenti per motivi anagrafici. Ma il problema vero è cosa si richiede alla scuola oggi. Gli insegnanti che conosco fanno per la maggior parte il loro dovere e lo fanno al meglio. Tuttavia, ciò che si chiede alla scuola spesso non è in linea con quel che avviene nella società. Molti ragazzini hanno sviluppato competenze e interessi autonomamente e per altre vie rispetto a quanto avviene a scuola. Nelle aule studiano, consegnano quanto gli viene richiesto, ma perdono interesse perché non è quello che vivono. Però non si può fare di più e andare oltre con questo concetto di scuola: al di là ci sono genitori sempre meno collaborativi, regole sempre più stringenti».

    Poi c’è l’altra parte: «Ci sono studenti svegli e attivi, ma non sono la maggior parte: magari aggregano e tirano, però la maggioranza sta altrove». La Cupello chiude con una metafora: «La scuola è affetta dal morbo di Osgood-Schlatter, c’è uno squilibrio di sviluppo: lo scheletro cresce più velocemente dei muscoli e dei legamenti».

    Un’altra scuola è possibile in Calabria

    Come darle torto? Nel momento in cui le istituzioni hanno perso credibilità ed efficacia nel garantire alternative, i ragazzi si muovono verso altri attrattori. Però, forse proprio in Calabria, quel qualcos’altro che cerca la preside Cupello nella scuola c’è. Sono i Punti Luce di Save the Children, le associazioni, gli esperimenti pedagogici che nascono proprio intorno a quelle scuole che chiudono classi per mancanza di alunni.

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    Un Punto Luce di Save the Children

    Loro restano aperti nei pomeriggi proprio per tenere qualche altra ora i ragazzi, proprio come i vecchi maestri.
    Tra quei banchi colorati siedono calabresi e immigrati di seconda generazione. «Il bilancio nelle classi è ormai metà e metà tra vecchi e nuovi calabresi», dicono gli operatori volontari, tra cui molti studenti più grandi, precari e disoccupati. Sono loro che come in una trasfusione iniettano nuovo entusiasmo. Hanno fame e voglia di riscatto: non a caso primeggiano nelle prove di valutazione nelle quali molti studenti italiani e meridionali deludono. Hanno quella sana rabbia, che, salvo le eccezioni prima declinate, si è persa negli altri. In molti di loro il pensiero che “vivere onestamente non serva”, la grande paura di Alvaro, non ha ancora preso il sopravvento.

    Saverio Di Giorno

  • Sì, la scuola è tutta un quiz. E neanche i prof di ruolo lo passano

    Sì, la scuola è tutta un quiz. E neanche i prof di ruolo lo passano

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    Maledette prove scritte del concorso per la scuola! Avrebbero voluto superarle in tanti: insegnanti precari in servizio già da anni, ricercatori universitari senza prospettive di carriera accademica, aspiranti docenti che si sono preparati all’esame negli istituti privati di formazione. Niente da fare. Non avranno una cattedra stabile. Sono stati bocciati quasi tutti e tutte.

    Come si svolge il concorso per la scuola

    In diversi edifici scolastici si svolgono in questi giorni gli esami per assumere i nuovi professori che occuperanno le cattedre calabresi: 431 nelle medie e 506 per le superiori. Cinquanta sono le domande a quiz; ciascuna risposta giusta vale due punti per un totale di 100. La soglia minima del punteggio per vincere è 70 punti. Quindi chi commette più di 15 errori è respinto.

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    Le classi di concorso presentano una varietà di quesiti attinenti ai contenuti delle rispettive materie didattiche. Per esempio, se si aspira a insegnare Lettere nelle scuole medie, bisogna individuare l’opzione giusta nel questionario a risposta multipla su argomenti di storia, geografia, letteratura, grammatica, informatica e inglese. In caso di superamento del test scritto, nell’orale il candidato dovrà impostare una lezione su un argomento estratto a sorte il giorno prima.

    Un esperimento con i docenti a tempo indeterminato

    Nella redazione de I Calabresi abbiamo ideato un esperimento, sottoponendo a 30 docenti già di ruolo la prova scritta dell’esame di Lettere nelle medie. Le nostre “cavie” sono insegnanti originari di varie zone del Paese, in servizio nelle scuole pubbliche di regioni differenti. A ciascuno abbiamo garantito l’anonimato e imposto due regole: rispettare i canonici 100 minuti di tempo per completare il quiz, astenersi dal consultare motori di ricerca e testi. Le domande scelte per l’esperimento non sono clonate dai tantissimi simulatori digitali presenti sul web, sui quali si sono esercitati i candidati nelle settimane precedenti la prova. I quiz simulati risultano spesso ingannevoli, perché troppo agevoli rispetto al concorso.

    Le domande poste da I Calabresi sono quelle vere, cioè mutuate dalla prova scritta effettiva, svoltasi in questi giorni. Il risultato è inquietante: soltanto quattro docenti di ruolo su 30 sono riusciti a superare la nostra simulazione d’esame. Tutti, compresi i pochi capaci di azzeccare le risposte giuste, hanno espresso forti perplessità sulla maggior parte dei quesiti.

    MAD, GPS: una vita da precari

    Dunque saranno davvero in pochissimi gli idonei a sostenere le prove orali. I volti dei candidati respinti già sprizzano rabbia, delusione, rammarico. In Calabria, come in altre regioni, non ce l’ha fatta la stragrande maggioranza dei partecipanti: tra l’80 e il 90%. Tantissimi sono meridionali, ma insegnano a intermittenza nelle scuole del nord, dove si sono trasferiti per trovare lavoro. Nei pullman e nelle macchinate che li riportano a casa, mugugnano gli aspiranti professori. Ricostruiscono a memoria il puzzle delle domande, individuano i grossolani errori commessi dagli esperti che hanno concepito alcune delle risposte opzionali.

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    Uno dei quesiti sbagliati presenti nel test

    Sono furiosi i reduci dal concorso. Li senti brontolare le farraginose etichette del sistema scolastico italiano. La maggior parte di loro proviene dalle GPS, che non sono il Global Position System, cioè un sistema satellitare, bensì le Graduatorie Provinciali Supplenze. L’omografia dell’acronimo rivela il dramma umano e lavorativo di doversi orientare in un guazzabuglio di punteggi, repentine convocazioni, sedi remote in cui catapultarsi per andare a effettuare una sostituzione poco remunerativa, eppur preziosa ai fini del punteggio.

    In provincia di Cosenza può capitare di fare lezione al mattino a Scalea e nel pomeriggio partecipare a un collegio docenti a San Giovanni in Fiore: un viaggio giornaliero di due ore e 15 minuti, con una differenza d’altitudine di 1049 metri. Tanti altri concorrenti hanno vissuto il calvario delle MAD, che tradotto dall’inglese significherebbe “pazzo”, ma in questo caso è la Messa a Disposizione ed esprime con efficacia il rischio di impazzire quando ci si avventura nel vorticoso cammino per divenire insegnante, passando dalla gavetta o addirittura, in alcuni casi, dal clientelismo.

    Concorso per la scuola: tutti contro i quiz

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    Andrew Bevacqua

    Frattanto gli uffici legali preparano i ricorsi e sui cosiddetti “social” impazzano le polemiche. I candidati dell’esame denunciano le astrusità e l’inadeguatezza delle domande a risposta multipla, trovando conforto nei pareri degli esperti di didattica. Per Andrew Bevacqua, redattore della rivista Registro Sconnesso e insegnante di Lettere nella secondaria di primo grado, «il reclutamento a queste condizioni è mortificante. Non c’è visione. Non c’è prospettiva».

    L’orale del 2018

    Cesare Lemme, docente di Storia e Filosofia nelle scuole serali, ricorda i termini in cui si svolse il concorso nel 2018: «Superai la prova scritta. All’orale mi chiesero la dimostrazione pratica che sarei stato capace di spiegare in classe i sofisti. Prima di esporre gli aspetti centrali della tematica, esordii dicendo che in chiave contemporanea i pensatori di questa corrente filosofica potrebbero essere rintracciati tra i giornalisti, gli spin doctor, i venditori della Vaporella e gli influencer. Non l’avessi mai detto! La commissaria aveva un approccio algoritmico, non la prese bene e mi intimò di attenermi ai contenuti, insinuando che io stessi giocando con le parole. Per sdrammatizzare, le feci notare che in fondo proprio questa pratica era uno dei nuclei focali della sofistica. A quel punto, lei minacciò di buttarmi fuori. Mi salvai in corner, elencando subito le date di nascita di Protagora e Gorgia, peraltro presumibili ma non certe. Vidi che negli occhi della commissaria si era accesa in extremis una luce di approvazione. Fui promosso. Non credo che fosse severa. L’avevano formata per valutare soprattutto il nostro livello di conoscenza nozionistica. A me però era parso un controsenso già il fatto di concepire domande a risposta multipla nell’esame scritto di filosofia».

    Con l’inglese non va meglio

    Dello stesso parere è Silvia Minardi, docente di Inglese nei licei, ricercatrice presso l’università per Stranieri di Siena, presidente nazionale dell’Associazione LEND, una degli esperti del Centro Europeo di Lingue Moderne del Consiglio d’Europa di Graz per il programma 2016-2019.

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    Silvia Minardi

    «A chi ha pensato che un test a scelta multipla fosse la soluzione migliore – spiega Minardi – diciamo che questa scorciatoia favorisce la “semplificazione” tanto cara ad alcuni ministri, ma non dà alcuna importanza ad aspetti importanti della professione. E soprattutto non sembra tenere in alcun conto il bagaglio di chi, magari, qualche esperienza nella scuola l’ha anche fatta. Ho avuto modo di vedere i quesiti del concorso ordinario per la lingua inglese. Io credo che sia importante conoscere il Quadro (QCER_CV) soprattutto nei suoi principi chiave. Si tratta di uno strumento fondamentale per noi docenti di lingua. Ma mettere tra i quesiti del test numerose domande sulle differenze tra B1.1 e B1.2 è del tutto inutile: un insegnante deve saperlo usare il Quadro, deve poterlo consultare ogni volta che serve per programmare, per preparare o adattare materiali, discutere con i colleghi di prove comuni e predisporre strumenti di valutazione coerenti con alcune scelte».

    Un’impostazione che non convince

    «A cosa serve – continua Minardi – saper riconoscere se un determinato descrittore appartiene ad un livello o ad un altro? E perché inserire quesiti sugli incipit di opere famose? Quanti degli aspiranti candidati insegneranno letteratura? E perché pensare oggi che insegnare lingua significhi necessariamente possedere una ampia erudizione letteraria Si tratta di una prova del tutto inutile – prosegue Minardi – che avrebbe dovuto essere sostituita da uno scritto volto a sondare la capacità di usare conoscenze in chiave didattico-metodologica: ma in questo caso, occorre ovviamente investire sulla correzione. Servono commissari disposti a correggere le prove accettando, come è accaduto nelle precedenti tornate, poco più che una pacca sulla spalla».

    Cosa bisognerebbe fare allora? «Ad un sistema di questo tipo preferiamo un sistema basato su un reclutamento che avviene al termine di un percorso formativo ad hoc. Nel nostro Paese manca da anni un sistema di formazione iniziale degno di un Paese moderno: ogni governo e ogni ministro ha, di fatto, cambiato il sistema di reclutamento stravolgendo quanto fatto dal proprio predecessore, da quando l’allora ministro Gelmini chiuse le esperienze delle SIS, le scuole che, all’interno delle università, si occupavano di formare i futuri docenti. Questi oggi sono i risultati».

    Mariastella Gelmini

    Il vecchio concorso per la scuola

    Tra le docenti di ruolo in servizio da una ventina d’anni, che si sono prestate al nostro esperimento, c’è chi ricorda l’ultimo concorso svoltosi nel ‘900. «Nel ’99-2000 – racconta Emilia P. – ci sottoposero una prova scritta. Dovemmo sviluppare una classica traccia. Era una complessa analisi testuale, un saggio breve di semiologia. Bisognava davvero dimostrare di saper scrivere, conoscere gli autori, contestualizzarli, analizzarne le opere. Chi si era predisposto a copiare, non ci riuscì. Era difficile servirsi di cartucciere e cirannini.

    Per evitare che gli esaminatori favorissero i raccomandati, ci ordinarono di inserire le nostre generalità in una busta chiusa e separata dal foglio protocollo. Intimarono di astenerci anche dall’apportare minime correzioni al nostro compito. In presenza di segni che in qualche modo potessero risultare messaggi criptati e renderci riconoscibili dai membri della commissione, la prova sarebbe stata annullata. Bloccarono i cellulari all’ingresso. Non fu possibile lo schifo avvenuto pochi giorni fa: in tanti sono stati lasciati liberi di copiare dagli smartphone.

    Adesso non mi meraviglia che abbiano sostituito quel modello di esame con i quiz. Da almeno 20 anni nell’università si studiano spezzatini di materie. I classici non si leggono più. Gli studenti sono valutati a suon di crediti e debiti. E per capire se le scuole funzionino, bombardano i nostri alunni con le prove Invalsi.
    Così li addestrano pure per i test a risposta multipla che dovranno affrontare in futuro. Sulla conoscenza prevale l’algido requisito della competenza. Ai governi neoliberisti conviene due volte ricorrere ai quiz: risparmiano i soldi delle commissioni giudicanti e mantengono appesa una sacca di precariato scolastico, che costa meno e deve tappare i buchi».

  • La prof ucraina in dad: lezione sotto le bombe agli studenti in Calabria

    La prof ucraina in dad: lezione sotto le bombe agli studenti in Calabria

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    La scuola oltre la guerra, come un esile filo che trattiene il desiderio di una normalità perduta. Da Zaporozhye, città ucraina sulle rive del Dnepr, che per la sua posizione strategica è stata duramente bombardata dalle truppe russe, fino ad un appartamento nel cuore di Cosenza. È in questa sua nuova casa che Klim affronta calcoli matematici che devono sembrargli difficili ma dal cellulare giunge la voce della sua professoressa, rimasta lì dove ancora piovono le bombe. Lei, come un rassicurante appuntamento, si collega in rete e raggiunge i suoi studenti sparsi per l’Europa.

    La resistenza ucraina è fatta anche di questo, di brandelli di normalità, di lezioni tramite la rete, di contatti che non vogliono interrompersi.
    Klim è uno dei tanti studenti ucraini che hanno raggiunto parenti e amici che già da tempo stavano in Italia. La nonna di Klim, per esempio, è una apprezzata allenatrice di tuffi, che ha curato anche la preparazione atletica del campione cosentino Giovanni Tocci. Oggi Klim è iscritto alla terza media della scuola di via Negroni.

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    Klim con i compagni della scuola di via Negroni a Cosenza

    Le scuole si rimboccano le maniche

    «Il ragazzo è giunto alla nostra scuola tramite i genitori di altri studenti», spiega Marina Del Sordo, dirigente dell’istituto comprensivo. Lo hanno iscritto alla seconda media, che corrisponde al settimo anno del sistema scolastico ucraino «e accolto con grande calore dai nuovi compagni». Davanti a questa emergenza le scuole si sono trovate a gestire potenti novità, senza poter far conto su mediatori culturali o sostegni di sorta.

    Solo di recente la Regione Calabria si è accorta di quanto le nostre scuole fossero coinvolte in questo intervento solidale ed ha provveduto ad emanare una circolare in cui si chiede ai dirigenti di vigilare sullo stato vaccinale dei nuovi studenti provenienti dalla zona di guerra e di riempire un modulo per ottenere la presenza di mediatori linguistici. Nel frattempo le scuole avevano fatto da sé, assumendo «decisioni riguardo l’accoglienza dei nuovi studenti che garantissero il loro benessere e una efficace inclusione»

    Gli orfani di Kharkiv

    Chi per adesso il problema della vaccinazione, molto sentito da chi siede a Palazzo Campanella, non se lo pone è la preside dell’istituto comprensivo di Vibo Valentia “Amerigo Vespucci”. «Questi vengono da una guerra, abbiamo altre priorità, come accoglierli nel modo migliore», dice Maria Salvia, con la voce di chi nella trincea della scuola in emergenza ci sta da parecchio. Di bambini ucraini il suo istituto ne ha accolti quaranta, tutti provenienti da un orfanotrofio di Kharkiv, giunti qui accompagnati da un tutore legale e per adesso affidati ad alcune famiglie.

    Su questo aspetto la preside è perentoria: «Non sono adottati, né adottabili, sono ospiti e la loro permanenza presso le famiglie sarà verosimilmente prorogata mese per mese». Il tramite attraverso cui sono giunti in Calabria è il consolato ucraino di Napoli che era in contatto con alcune associazioni accreditate di Vibo. Giunti qui, un operatore turistico di Capo Vaticano ha aperto le porte del suo villaggio ed è partita la gara di solidarietà.

    Palazzi devastati a Kharkiv

    Dal punto di vista scolastico i ragazzi sono stati inseriti nelle classi corrispondenti alla loro età anagrafica, così da trovare coetanei in grado di includerli meglio possibile. «Con i docenti, invece, abbiamo provveduto a ricalibrare il percorso didattico in maniera da trasformare questa situazione difficile in una opportunità anche per gli studenti italiani, che hanno modo di confrontarsi con coetanei che provengono da una esperienza durissima». Un modo per crescere assieme ma senza violare «la loro naturale riservatezza, perché abbiamo compreso che non amano essere al centro dell’attenzione»

    Dal Liceo sportivo al Coreutico

    Quando si scappa dalle bombe, si comincia una vita nuova. Per Alina, che ha lasciato il suo liceo sportivo, ad accoglierla c’era una classe di ballerine, quelle dell’indirizzo coreutico del “Lucrezia Della Valle” di Cosenza. Alina non conosce una parola d’italiano, ma una scuola non si fa spaventare facilmente e mette in campo tutte le risorse che ha. L’asso nella manica del Lucrezia Della Valle si chiama Angela, è ucraina ma vive in Italia da tempo. Angela tiene in ordine le aule e il corridoio del corso dove studia Alina e in un attimo è diventata una mediatrice linguistica e culturale.

    «Questo fenomeno migratorio ha carattere transitorio – spiega la preside Rossana Perri – perché queste persone sentono forte il desiderio di tornare alle loro case», ma intanto occorre provvedere ad una accoglienza che sia autenticamente inclusiva, anche sul piano scolastico, «per questo i docenti di Alina predisporranno un piano educativo personalizzato, per andare incontro alle sue esigenze facendo fronte alle difficoltà». È la scuola che è sempre pronta ad affrontare a mani nude i cambiamenti inattesi, anche se la preside spiega che «dal ministero sarà fatto un censimento per individuare il numero degli studenti ucraini e la loro distribuzione, in maniera da predisporre le risorse necessarie».

    Artem e le sue scarpette nuove

    Valentina Carbone è una maestra della scuola elementare di via Roma che di bambini ucraini ne ha accolti tre fino ad adesso, ma potrebbero aumentare di numero, considerato l’impegno del dirigente Massimo Ciglio sul fronte dell’inclusione.
    Valentina parla di loro come «i suoi bambini», si tratta di scolari dagli otto ai nove anni, inseriti in classi con compagni di uguale età e subito ben accolti. Una classe particolarmente vivace e avvolgente si è presa cura di Artem, per il quale ogni piccolo passo fatto durante le lezioni è una vittoria. Come quando sollecitato dalla maestra Valentina a scrivere tutte le parole italiane che aveva imparato, è stato in grado di riempire quattro fogli.

    «Con lui ho fatto quello che faccio con i bambini della prima classe, sono partita dalle vocali, le consonanti, fino a formare le parole ed è stato subito un successo». Attorno a questi bimbi c’è un universo di accoglienza, fatto di chi nel pomeriggio si prende cura di loro e anche di piccoli regali. Perché domenica si gioca a calcio con i compagni di scuola e Artem, che ha lasciato la propria casa senza portarsi le sue scarpette, avrà quelle nuove.

  • La marcia su Vibo: in strada per difendere il diritto a Cultura e Bellezza

    La marcia su Vibo: in strada per difendere il diritto a Cultura e Bellezza

    Il liceo Morelli dista da quel palazzo, costruito su antichi resti romani, poco più di cento passi. E quello che è accaduto a Vibo in queste poche decine di metri ha molto a che fare con l’idea di «insegnare la bellezza». Senza rispolverare la retorica su Peppino Impastato, che in realtà certe parole non le ha mai pronunciate, si tratta comunque di una storia che fa pensare. Perché riguarda la bellezza e, soprattutto, il coraggio di non girarsi dall’altra parte.

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    Il liceo Morelli di Vibo Valentia

    A spasso nella storia di Vibo

    Parla proprio di questo, ai suoi ragazzi, Maria Concetta Preta, docente di Lettere, Latino e Greco del Classico di Vibo. Della bellezza passata, di quella nascosta e anche di quella ricoperta da cemento e collusioni. La professoressa ha promosso nelle scorse settimane una «Marcia per i Beni culturali» che ha portato i suoi studenti «in cammino per il diritto alla Cultura e alla Bellezza».

    Lo hanno fatto richiamando l’articolo 9 della Costituzione e andando, fisicamente, in alcuni luoghi simbolo del patrimonio archeologico vibonese. Il Tempio Greco al Belvedere, le Aree sacre del Cofino e del Cofinello, il Museo “Capialbi”, le Mura Greche di Hipponion. Gli studenti vorrebbero adottare una porzione di queste mura (nell’ambito del progetto “La scuola adotta un Monumento”, che passa per un concorso nazionale promosso dalla Fondazione Napoli 99), ma per il momento lo hanno potuto fare solo simbolicamente.

    Il Parco archeologico invaso dalla vegetazione

    Nessuno infatti ha aperto loro i cancelli del Parco archeologico perché, hanno risposto dalla Soprintendenza, il sito «risulta inagibile a causa di alta vegetazione che ingombra gran parte del percorso di visita e la vista stessa dei monumenti». Insomma sono necessari dei lavori di manutenzione straordinaria per i quali la Soprintendenza «sta provvedendo», mentre quella ordinaria spetta al Comune che ha pure garantito che se ne occuperà.

    Una tappa non ufficiale

    «Vedremo se mai si riuscirà a visitare il percorso messo in luce da Paolo Orsi nelle campagne di scavo fatte tra 1916 e 1921», commenta la professoressa Preta, che non demorde. Alla Marcia con gli studenti è stata pure aggiunta una “tappa” non ufficiale: sono andati proprio davanti al palazzo, di cui si parla nelle carte dell’inchiesta “Rinascita-Scott” e nel maxiprocesso che ne è scaturito, ricostruendone la controversa vicenda. Su I Calabresi ne abbiamo scritto raccontando gli agganci di un presunto factotum dei Mancuso e il senso del dovere di chi ha provato a ostacolarlo.

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    I resti di epoca romana catalogati prima che ci costruissero un palazzo sopra

    Alla fine lui ce l’ha fatta, ha superato i vincoli e fatto erigere il suo palazzo nel luogo in cui c’erano i resti di un’antica strada e di una villa di epoca romana. Però il fatto che la vicenda sia emersa non è rimasto isolato. C’è stato un seguito grazie alla coscienza sociale di docenti come Maria Concetta Preta che, nella sua «didattica all’aperto» votata alle «competenze», all’«ascolto» e al «pensiero critico», ha ricordato le luci del patrimonio culturale vibonese senza nasconderne le ombre.

    Una lezione per i cittadini di domani

    «Tappa irrinunciabile», commenta la prof sui social. «Non si parla d’altro – aggiunge – quando si tocca l’articolo 9 della Costituzione Italiana e la didattica trasversale sulla Legalità. Dovere della scuola è far leggere criticamente e civilmente la storia antica e presente della propria civitas. La narrazione di Hipponion/Valentia e di Vibo non può ignorare questi argomenti. È un dovere etico dei docenti, prim’ancora cittadini! A chi consegneremo il nostro testimone, se non prepariamo un pochino i giovani, facendo aprire loro gli occhi?».
    Ad affrontare di recente la questione del “palazzo della discordia” è stata anche una docente di Istituzioni di diritto pubblico dell’Unical, Donatella Loprieno. Ne ha parlato diffusamente durante un corso promosso dal Consorzio Macramè con Legacoop Calabria e il Forum del Terzo settore Calabria.

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    Il “palazzo della discordia”

    L’interrogazione a Franceschini dopo gli articoli su I Calabresi

    Il titolo della sessione era “La criminalità organizzata impoverisce la democrazia costituzionale?”. La risposta, questa sì, è retorica. Ma prima o poi, visti i contorni imbarazzanti per gli uffici che da lui dipendono, potrebbe provare a darla anche il ministro della Cultura Dario Franceschini. A lui è infatti rivolta l’interrogazione parlamentare presentata dal deputato del Misto Francesco Sapia dopo i nostri articoli.

  • Via Roma, il Tar dà ragione al Comune di Cosenza: niente stop ai cantieri

    Via Roma, il Tar dà ragione al Comune di Cosenza: niente stop ai cantieri

    Scuole di via Roma, il Tar boccia i genitori. La querelle intorno alla demolizione della piazzetta antistante i due istituti, con l’area intitolata a Stefano Rodotà destinata a lasciare spazio al ritorno delle auto, era finita davanti ai giudici amministrativi di Catanzaro. Ad adire le vie legali contro la scelta del Comune di Cosenza era stato un gruppo di genitori degli alunni delle elementari “Lidia Plastina Pizzuti”.

    Per il Tar ai genitori tocca pagare il Comune di Cosenza

    La seconda sezione del TAR, però, ha rigettato il loro ricorso, con una decisione arrivata peraltro a cantiere ormai avviato. Le famiglie degli studenti chiedevano l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, dei provvedimenti con i quali Palazzo dei Bruzi aveva dato il via ai lavori nello spazio pedonale tra la “Plastina Pizzuti” e la “Zumbini”. Il Tar le ha invece condannate a pagare al Comune di Cosenza le spese e le competenze di questa fase del giudizio.

    Via Roma, la soddisfazione di Caruso

    Secondo i giudici, riporta l’Ufficio Stampa del municipio, non ci sarebbero stati profili di palese illogicità e ragionevolezza nei provvedimenti della Giunta. Il sindaco Franz Caruso, nel vedere rigettata l’istanza cautelare, ha espresso soddisfazione e ringraziato l’assessore ai Lavori pubblici, Damiano Covelli, che si occupa della questione via Roma. E sottolineato come il Tar abbia confermato «il rispetto, da parte dell’Amministrazione comunale dei principi della correttezza, della legittimità e della tutela degli interessi della comunità amministrata».

     

  • Capitale della cultura 2025: la Locride sogna senza cinema, scuole e teatri

    Capitale della cultura 2025: la Locride sogna senza cinema, scuole e teatri

    «Superare gli stereotipi, rendere visibile il patrimonio materiale e immateriale di una terra unica al centro del Mediterraneo, ancora tutta da scoprire»: usa slogan intriganti la campagna di lancio per la candidatura della Locride a Capitale della cultura per il 2025. Slogan che parlano di territorio che «genera cultura» e che sperimenta «metodologie e buone prassi per il recupero e la valorizzazione del patrimonio culturale» ma che sembrano fare a pugni con la quotidianità di un territorio che negli anni ha visto diminuire – e di molto – l’offerta culturale destinata ai residenti e ai turisti che scelgono di passarci del tempo.

    Teatri con le porte sbarrate da anni o mai aperti, fondi librari lasciati a marcire in improbabili sottotetti, sfregi e violenze sul patrimonio architettonico e urbanistico ereditato da secoli di dominazioni diverse, persino i Rumori Mediterranei di Roccella jazz – per 40 anni massima espressione della “cultura diffusa” in tutto il territorio reggino – “ridimensionati” ed esclusi dai finanziamenti dei Grandi eventi regionali per opera dell’ex facente funzioni Nino Spirlì. Per non dire delle scuole, con buona parte dei micro paesi della Locride che, negli anni, hanno perso anche gli istituti primari o, nel migliore dei casi, li hanno mantenuti ricorrendo al sistema delle multiclassi.

    L’ex presidente facente fuzioni della Regione Calabria, Nino Spirlì

    Locride Capitale della cultura

    L’idea di avanzare la candidatura unitaria dei 42 paesi che compongono il territorio a Capitale italiana della cultura per il prossimo 2025, è venuta al Gal Terre locridee. Ha visto l’immediata adesione dei sindaci che, in ordine sparso, stanno firmando il protocollo d’intesa presentato nei mesi scorsi. Così come quella dell’assessore regionale all’agricoltura, Gallo, che ha garantito «il sostegno della Regione e il pressing sul Ministero». L’idea, si legge nel manifesto, è quella di costruire «un progetto unitario che attivi forme di resilienza, economia circolare, partecipazione, sostenibilità» lungo un percorso in grado di rappresentare la Locride «in modo complessivo come territorio che genera cultura, in modo coeso, partecipato e condiviso».

    Un’idea – l’ennesima – nel tentativo di rilanciare il territorio. «Sulla falsariga di quello che è successo a Matera – dice il presidente dell’assemblea dei sindaci Giuseppe Campisi – quando fu scelta come Capitale italiana della cultura. Ci saranno eventi, progetti e manifestazioni per sponsorizzare la nostra candidatura. Contiamo di fare conoscere meglio il nostro territorio con le sue particolarità e con le sue ricchezze, a partire da quelle archeologiche di Locri e Kaulon».

    Il passato glorioso della Locride

    Poco più di 150 mila abitanti distribuiti tra il mare e le montagne d’Aspromonte e delle Serre, la Locride ha maturato un rapporto quasi bipolare con le meraviglie naturali e storiche che ha avuto la fortuna di ritrovarsi. Un patrimonio – borghi medievali, monasteri arroccati, castelli e torri di guardia, oltre naturalmente ai resti delle civiltà magnogreche e romane – buono da esibire quando si tratta di vendere pacchetti turistici ma che si scontra con una realtà caratterizzata da inefficienze e sprechi. Come nel caso del parco archeologico di Monasterace, minacciato da anni dall’irruenza dello Jonio e che attende ancora il completamento della recinzione e l’istallazione dell’impianto di video sorveglianza. O quello della rupe su cui sorge Caulonia, che si disfa pezzo dopo pezzo in attesa dell’ennesimo intervento.

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    Il mosaico dei draghi e dei delfini nel parco di Kaulon

    E poi una serie di sfasci e storture che hanno riguardato decine di singoli beni un po’ in tutto il comprensorio. Come il settecentesco casino di caccia sulle colline di Stignano, privo di ogni controllo e vittima indifesa di graffitari dozzinali e zozzoni da gita fuoriporta. O come il balcone in cemento e mattoni costruito impunemente sulla cinquecentesca abitazione natale di Tommaso Campanella a Stilo. Un’oscenità denunciata durante un convegno sugli studi campanelliani nel 2019 e che la terna prefettizia alla guida del Comune, pochi giorni dopo, ordinò di rimuovere.

    Serbatoio di acqua sui ruderi del Castello di Caulonia

    Caulonia e gli scontri tra Comune e Soprintendenza

    E ancora Caulonia, borgo tra i più belli in Regione, che negli anni, non si è fatto mancare proprio niente. Dalla costruzione del serbatoio dell’acqua potabile, edificato negli anni ’50 in spregio a un migliaio di anni di storia, sui resti del castello normanno, all’invasivo restauro della cinquecentesca chiesa matrice, fino alla polemica sul recupero dell’affresco del Cristo Pantacreatore, testimonianza antichissima della lunga dominazione bizantina e vittima suo malgrado di un tira e molla tragicomico. Il Comune voleva farci attorno una piazzetta in cotto con contorno di colonne doriche; la Soprintendenza minacciò di staccare la pittura da ciò che resta dell’abside di San Zaccaria per portarlo “in salvo” all’interno di un museo.

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    L’orribile copertura in vetro che protegge il mosaico del Cristo Pantacreatore a Caulonia

    La polemica è durata mesi ed è finita con un’imbarazzante copertura in acciaio e vetro. La stessa soluzione che a Placanica, pochi chilometri a nord, è stata individuata per il nuovo ascensore esterno in dotazione al castello. Un intervento pesante e dal forte impatto visivo che consentirà l’accesso ai disabili ma che ha scatenato una montagna di polemiche che hanno coinvolto la stessa Soprintendenza.

    L’ascensore esterno in vetro e acciaio del Castello di Placanica

    Accesso negato

    E se il patrimonio ereditato dal passato – punto di forza della candidatura – continua a camminare su un terreno minato, il rapporto attuale tra il territorio e la possibilità di accesso e fruizione alla cultura, è altrettanto contorto. Solo due i cinema superstiti in tutto il comprensorio, uno a Locri, l’altro a Siderno, e trovare un film che non sia un giocattolo della Marvel o un cartoon della Pixar, non è cosa da tutti i giorni. Sulle dita di una mano di contano poi le librerie, fatte salve quelle che riforniscono i testi scolastici, e anche ascoltare della semplice musica dal vivo, tolti i canonici due mesi di stagione estiva, è diventato molto più difficile che in passato.

    Il fantasma del palcoscenico

    Capitolo a parte meritano i teatri. Se buone vibrazioni arrivano dai ragazzi di Fuorisquadro – che hanno recuperato e rimesso a nuovo a loro spese il vecchio cinema liberty del paese per riconvertirlo in un teatro da 90 posti – pessime notizie arrivano da Gioiosa, unica struttura “ufficiale” che era rimasta aperta al pubblico nella Locride. Problemi all’impianto elettrico hanno fermato il cartellone: «I lavori da fare – dice il direttore artistico Domenico Pantano – sono tanti, soldi non ce ne sono. Ad oggi non è possibile ipotizzare una data per la riapertura».

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    Il teatro mai finito di Siderno: in costruzione dal 2002

    E se a Gioiosa il teatro chiude, a Siderno non ha mai aperto. E dire che la prima pietra per l’opera risale ai primi anni del nuovo secolo. Un iter elefantiaco fatto di errori e ritardi che ha fatto salire all’inverosimile i costi dal progetto iniziale e che si nutre di continui nuovi finanziamenti: l’ultimo, 2 milioni di euro garantiti con delibera del Cipe del 2018, prevede il completamento del teatro e la sistemazione della piazza adiacente ma i tempi di realizzazione non sembrano brevi.

    Il collaudo in contumacia

    Surreale poi la storia del teatro comunale Città di Locri – centro che dalla sua può comunque vantare un antico cartellone estivo in scena nel parco archeologico – che non solo ha chiuso i battenti pochi mesi dopo essere stato inaugurato nel 2018, ma è finito, suo malgrado anche nelle aule del tribunale cittadino. Il montacarichi, indispensabile per spostare su è giù dal palco le attrezzature necessarie alla messa in scena degli spettacoli infatti, non era mai stato installato.

    Lo ritrovarono a casa di un privato cittadino che, ignaro, lo aveva acquistato al doppio del prezzo dallo stesso imprenditore che aveva vinto l’appalto per il teatro, e di cui era suocero. Una storia dai tratti surreali, finita con sei rinvii a giudizio e una condanna con pena sospesa in abbreviato. Alla sbarra, oltre all’imprenditore che avrebbe messo in moto il doppio raggiro, ci sono finiti anche i tecnici che hanno firmato il collaudo dello stesso montacarichi: una sorta di collaudo “in contumacia” visto che il piccolo ascensore era da un’altra parte.

  • “L’autogestione” dei bimbi: a scuola senza banchi, voti e campanella

    “L’autogestione” dei bimbi: a scuola senza banchi, voti e campanella

    Nina sta saltando con i piedi scalzi nella pozzanghera. Mael guarda sul fondo alla ricerca di pesci e creature misteriose che, talvolta, emergono dal fango. Il fatto che stia per piovere e che oggi ci sia un vento freddissimo non sembra preoccupare né i bambini né gli adulti. Siamo nel mondo delle Terre di Castalia, due curve dopo il vecchio tracciato ferroviario di contrada Santo Stefano a Rende e questo giardino è una scuola.

    La scuola libertaria senza banchi e campanella

    Senza banchi e senza campanelle, perché è una scuola parentale a ispirazione libertaria. Ce ne sono solo tre in Calabria, le altre due si trovano a Catanzaro (Cascina Montessori) e a San Nicola Arcella (Scuola di Pace). Si tratta di una alternativa alla scuola pubblica, una forma di istruzione riconosciuta dal Miur che segue il programma ministeriale, ma si svolge al di fuori delle strutture istituzionali. Gli studenti – guidati dai loro educatori – ogni anno sostengono un esame di idoneità per il passaggio all’anno successivo.

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    Imparare tutti insieme: dal più piccolo al più grande

    Imparo quando voglio

    Perché “scuola libertaria”? Perché qui sono i bambini e le bambine a scegliere, individualmente e in gruppo, come, quando, che cosa, dove e con chi imparare. In una scuola libertaria i verbi più usati sono: Ti va di farlo? Ti piacerebbe farlo? Non ci sono voti ma solo complimenti e incoraggiamenti.
    Le Terre di Catalisa sono popolate da 21 bambini tra i 3 e i 9 anni che frequentano la scuola dell’infanzia e la primaria, ad occuparsi di loro 8 educatori che preferiscono definirsi “accompagnatori”. Gli obiettivi di apprendimento della scuola libertaria – che si mantiene con i contributi e le donazioni dei genitori attraverso una tariffa mensile definita “sociale” – coincidono con quelli indicati nei programmi ministeriali, ma vengono perseguiti attraverso attività diverse e certamente senza l’urgenza di stabilire tempi e scadenze.

    Educazione libertaria

    Libertà – chiarisce subito Emilio Ruffolo, coordinatore scientifico della scuola – non significa mancanza di regole o di una pianificazione del percorso. «La progettazione educativa è pensata intorno agli interessi dei bambini e nel rispetto di ciò che gli piace fare. In una scuola all’aperto viene stimolata la libera esplorazione e la scoperta, non ci sono attività strutturate e men che meno obbligatorie». Si impara attraverso il gioco e la curiosità, «gli obiettivi si raggiungono incrociando l’interesse e il piacere».
    Terre di Castalia è una piccola comunità in cui le attività, sempre orientate dal curricolo ministeriale, sono co-progettate da un’assemblea quotidiana in cui i bambini sono protagonisti.

    «Non è una scuola dei campioni – sorride Emilio Ruffolo – e non garantiamo neanche che alla fine del percorso i nostri allievi sappiano più degli altri che frequentano le scuole pubbliche. Il nostro impegno è quello di piantare i semi del pluralismo, della democrazia, della libertà di esprimersi e di crescere liberi da ogni stereotipo. Nella nostra scuola, ad esempio, i maschietti si tingono le unghie, se lo desiderano».

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    Attività all’aperto anche in pieno inverno nelle Terre di Castalia

     

    «Vedrai che passerà in fretta»

    «Ho le manine congelate!». Anna ci interrompe e mostra i palmi arrossati. «Questo succede perché hai giocato nell’acqua e oggi fa molto freddo». Emilio non si scompone. «Adesso, se ti va, potresti andare dentro, cambiare i calzini e il pantalone sporchi di fango e stare un po’ al caldo. Vedrai che passerà in fretta». Alle Terre di Castalia il contatto con il fango, la terra, la pioggia è un’esperienza quotidiana. «I bambini così sperimentano con le mani, entrano in contatto con la natura, sviluppano la propria creatività, arricchiscono il proprio sistema immunitario, vivono esperienze indimenticabili» – spiega Ruffolo. Per fortuna ci sono scaffali pieni di vestititi puliti, rigorosamente di seconda mano, a disposizione di tutti.

    L’educazione libertaria promuove le peculiarità di ogni bambino, «piuttosto che costruire un metodo in cui gli viene detto cosa fare, cosa non fare, in che modo e con quanta dedizione apprendere – continua Ruffolo – mettiamo gli scolari nelle condizioni di sperimentare quella libertà, quello spirito critico che poi ci aspettiamo che abbiano alla fine del percorso educativo».

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    Il momento dell’assemblea nelle Terre di Castalia

    Scuola libertaria: i bambini votano 

    È quasi ora della merenda, sul terrazzo arriva una cesta di frutta. Nerone scodinzola alla ricerca di coccole e di qualcuno che gli lanci un bastone per correre a riprenderlo. Intanto, dentro, è tutto pronto per il momento dell’assemblea. Sulla lavagna i punti all’ordine del giorno: si vota ad alzata di mano per l’elezione del bibliotecario, ci sono tre candidati. L’assemblea stabilisce poi chi parteciperà ai laboratori di pittura, teatro, danza e capannismo previsti per la settimana. Infine, il gruppo dei più piccoli porta all’attenzione di tutti una questione da risolvere: i bambini più grandi ultimamente dicono troppe parolacce. L’idea fondante è quella di condividere le regole, il gruppo si fa carico delle esigenze dei singolo, si sostiene vicendevolmente.

    Arrampicarsi sugli alberi e costruire capanne

    «Nella scuola a ispirazione libertaria – prosegue ancora Ruffolo – si pensa al bambino e alla bambina come persone autorevoli, competenti rispetto alla loro vita ed è per questo che si mette ognuno di loro nelle condizioni di esercitare la propria responsabilità sulle questioni che riguardano la quotidianità».
    Nelle stesse ore in cui loro coetanei stanno seduti al banco, gli allievi delle Terre di Castalia si arrampicano su un albero, costruiscono una capanna, ascoltano una storia sdraiati sull’erba. «Costruiamo delle attività finalizzate a ottenere i livelli di apprendimento richiesti dal curricolo – prosegue il referente scientifico della scuola – ma attraverso una pluralità di metodologie, in modo da riuscire ad aderire ai diversi modi di apprendere degli scolari, ai loro stili cognitivi».

    Il sogno di ogni bambino: costruire una capanna sull’albero

    Una scuola che non divide i bambini per età

    Qualche giorno fa i bambini si erano messi in testa di costruire un forno solare, i più grandi hanno illustrato le fasi del progetto ai più piccoli, alla fine hanno festeggiato insieme il risultato del lavoro di squadra.
    «Nel gruppo gli interessi si socializzano» – spiega Luana Florio, coordinatrice educativa delle Terre di Castalia. «Il nostro progetto sceglie di non dividere i bambini per età ma di avere una pluriclasse. La suddivisione per età nelle classi sostiene l’idea che ci sia un’età precisa per determinati apprendimenti. Un’idea superata. La programmazione strutturata – continua – serve più agli insegnanti e alla scuola, non risponde alle domande degli allievi, offre risposte preconfezionate che sono uguali per tutti. La suddivisione per età limita la possibilità che una persona più competente aiuti quella meno competente. Che il grande aiuti il più piccolo in matematica, che il meno competente guardi le persone più grandi di lui e ne sia in qualche modo ispirato».

    È ora di andare. Le nuvole sono scomparse, i bambini sono tutti dentro per il laboratorio di teatro. In giardino, disseminati, i segni di un’altra giornata di giochi e scoperte. Gli stivali di gomma abbandonati vicino alla pozzanghera, i piccoli abiti sporchi di fango stesi ad asciugare. La bandiera che sventola sulla casa costruita sull’albero. Nel silenzio della campagna Nerone, il bidello di questa scuola, scodinzola e mi segue fino al cancello, vuole accertarsi che venga chiuso bene.

  • “Tu vuò fà l’americano”: Telesio, la scuola pubblica che non lo sembra più

    “Tu vuò fà l’americano”: Telesio, la scuola pubblica che non lo sembra più

    Le colonne del pronao del “vecchio” Telesio di cose ne hanno viste parecchie, dagli amori adolescenziali a occupazioni con qualche pugno tra studenti di destra e sinistra. Ma quello che sta accadendo ora era del tutto imprevedibile. Una audace e ben congegnata opera di marketing sta proiettando il liceo classico di Cosenza verso una modernità vagamente yankee. Fatta di divise, trasporti privati, ambienti destinati al relax, cucine e mense, un brand identitario che si chiama Casa Telesio, rette pagate dalle famiglie e qualche non marginale forzatura delle normative.

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    Hashtag identitari sulle scalinate che portano al liceo (foto A. Bombini) – I Calabresi

    Casa Telesio e l’occupazione

    È un cammino intrapreso da qualche anno e che solo recentemente ha assunto in modo palese i connotati di un embrione di scuola di élite. I primi a insorgere contro questo snaturamento dell’idea di scuola pubblica sono stati gli studenti che hanno occupato una parte della struttura scolastica, le aule presenti presso le Canossiane, dove erano d’arbitrio trasferite le classi del triennio. Quelle dove sono gli alunni le cui famiglie non pagano le rette. Proprio a seguito alla protesta, destinata a rientrare dopo l’accordo raggiunto tra gli occupanti e il preside Antonio Iaconianni e che prevede che tra le classi ci sia una turnazione mensile, il problema del Telesio è esploso in modo clamoroso.

    Ma cos’è Casa Telesio? Si tratta del frutto della mente del preside Iaconianni, uomo intelligente, capace di esprimere efficacemente lo spirito manageriale che oggi è richiesto ai presidi. E che ha capito che solo l’annessione del Convitto nazionale, di cui è reggente, trasformandolo in una scuola primaria e media, poteva garantire un bacino d’utenza in grado di andare successivamente ad alimentare le iscrizioni del Classico. Della serie: gli studenti me li prendo sin da bambini e poi me li tengo fino alla fine. Una strategia che in tempi di guerra spietata tra le scuole per accaparrarsi le iscrizioni, sarebbe risultata vincente. Ma non bastava.

    Attorno a questo progetto era necessario far crescere una idea di scuola speciale, migliore, più efficiente. Per farlo servono risorse, delle quali normalmente le scuole sono prive. Qui entra in gioco il Convitto nazionale. Nato come tutti i convitti come istituto educativo destinato ai ceti sociali meno abbienti, per garantire loro livelli base di istruzione, il Convitto nazionale ha una sua autonomia economica, perché destinatario di risorse necessarie a sostenete le spese dei convittori, quindi la mensa e una volta anche l’alloggio. Oggi quel ruolo è andato sbiadendo, i convittori sono diminuiti, ma le risorse sono rimaste. Queste, sommate ai 1600 euro chiesti alle famiglie, danno vita a una sorta di college, con servizi esclusivi negati ai comuni studenti. Una privatizzazione silenziosa dell’istruzione.

    Il Convitto annette il Telesio

    Ma questo mondo luccicante aveva bisogno di passi concreti, di tipo burocratico: fare in modo che le due entità didattiche, il Telesio e il Convitto, diventassero una cosa sola. Ma i Convitti non possono, per normativa, essere annessi, quindi era necessario il contrario. Ed ecco che sul sito della Provincia compare l’annuncio che il Convitto annette il Telesio. Del resto le due strutture scolastiche condividono già il nome e anche il dirigente.

    Sin da subito tutto questo appare come una forzatura, della quale presso l’Ufficio scolastico regionale di Catanzaro non sanno ufficialmente nulla. Lo dicono chiaramente i vertici dell’istruzione calabrese a Franco Piro, segretario della Cgil scuola, spiegando che fin qui per loro «tutto questo resta solo un annuncio», parole che sembrano anticipare una bocciatura del progetto di Casa Telesio. Su questo Piro è tranciante: «Iaconianni vuole fare una scuola non accessibile a tutti, seducendo i benestanti di Cosenza e acquisendo il Convitto».

    Ma pure dentro il Telesio, tra i docenti cresce un certo mormorio, anche se assai cauto. Infatti è sempre Piro a spiegare che i due passaggi fondamentali che riguardano il parere del Collegio dei docenti e del Consiglio d’Istituto pare non siano stati affrontati. La tempesta sollevata dall’occupazione da parte degli studenti e il clamore cresciuto attorno al progetto di Casa Telesio hanno indotto il preside a bloccare tutto, rinunciando anche a rilasciare ogni dichiarazione, rimandando i chiarimenti necessari ad una annunciata conferenza stampa.

    Pari e dispari

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    L’ingresso del liceo “vecchio” (foto A. Bombini) – I Calabresi

    Nell’agonia dell’istruzione pubblica, relegata da sempre a ruolo di Cenerentola, l’idea di proporre alle famiglie, non tutte, ma a quelle più agiate, una scuola che trasmettesse il senso di una élite, non poteva che avere successo. Soprattutto in una città dove lo studiare al Classico significa ancora “marcare l’appartenenza” sociale, collocarsi dentro una gerarchia di status. Una visione della scuola ancora segnata da una impronta gentiliana, per la quale gli altri indirizzi didattici sono destinati a forgiare quadri intermedi, tecnici, comunque fuori dalla possibilità di diventare classe dirigente. Una visione evidentemente condivisa dal preside Iaconianni, che forse in altri tempi avrebbe invece apprezzato le parole con cui Erri De Luca spiega che «La scuola faceva uguaglianza. Non aboliva la miseria, però tra le sue mura permetteva il pari. Il dispari cominciava fuori». Oggi il “dispari” minaccia di entrare dalla porta principale del Telesio.

  • Libri gratis alle elementari? A Cosenza e Reggio pagano le famiglie

    Libri gratis alle elementari? A Cosenza e Reggio pagano le famiglie

    Anche quest’anno niente soldi per i libri degli alunni delle scuole elementari di Cosenza. Il Comune in dissesto non paga le librerie scolastiche che, a loro volta, dopo avere fornito i libri nel 2019 senza essere stati pagati in tempo e integralmente, hanno deciso di fare anticipare – come già successo nel 2020 – il costo dei libri alle famiglie dei bambini anche per quest’anno. Somme che saranno restituite non appena il Comune liquiderà le fatture alle librerie. «Non è mancanza di volontà», ribadiscono in coro i librai della città, «purtroppo siamo arrivati al limite delle nostre forze. Non riusciamo più ad anticipare somme che poi non ci restituiscono».

    Oltre metà incasso volatilizzato

    I titolari delle librerie scolastiche di Cosenza portano ad esempio quanto accaduto nel 2019. «Abbiamo fornito a tutti coloro che presentavano le cedole di acquisto i testi richiesti. Sapete come è andata a finire? Che siamo stati “costretti” ad accettare una transazione con cui il Comune ci ha liquidato il 40% del totale fatturato». E dal momento che sui testi scolastici l’utile è di appena il 15%, il conto è presto fatto: su circa 90mila euro che il Comune avrebbe dovuto rimborsare, i librai ne hanno intascati appena 36mila.

    Il nocciolo della questione sta qui. A Cosenza, complice il dissesto finanziario, il Comune non eroga somme che dovrebbero già essere in bilancio su uno specifico capitolo di spesa. Così le librerie devono sospendere le forniture e ai genitori tocca aprire il portafogli.
    Laura G. è la mamma di una bambina in prima elementare. «Nel mio caso – dice – non sono i 50 euro per i sussidiari di Aurora a fare la differenza, ma cerco di mettermi nei panni anche di chi sta passando un periodo difficile. Magari non è in condizione di anticipare neanche una somma relativamente modesta come questa».

    Le difficoltà del Comune ricadono sugli altri

    Dal canto loro, le librerie scolastiche della città non ci stanno a fare da parafulmine alle inadempienze della pubblica amministrazione. E, dopo avere chiuso con una transazione estremamente onerosa (per loro) la vicenda dei vecchi crediti, hanno (ri)proposto di fare anticipare alle famiglie il costo dei libri.

    cedola libri primarie
    Una ricevuta consegnata a un genitore di un alunno delle primarie a Cosenza

    A pagare i testi delle scuole primarie, per legge erogati gratuitamente dallo Stato, sono state le famiglie. Che poi, quando e se il Comune sarà nelle condizioni di liquidare le fatture, riavranno i loro soldi direttamente dalle librerie. Basterà presentare le cedole di acquisto, «ed entro 60 giorni effettueremo il rimborso», spiega il titolare di una delle attività che hanno proposto questa soluzione.

    Cantanzaro, Crotone e Vibo? Tutto gratis

    Nelle altre province la situazione è molto diversa, fortunatamente. Ad agosto il settore Pubblica istruzione del Municipio di Catanzaro ha divulgato un avviso per lo stanziamento di 140mila euro per l’acquisto gratuito dei libri di testo delle scuole primarie. Le librerie accreditate sono state 11; gli aventi diritto 3.958.
    Luana P., mamma di Andrea: «Noi abbiamo pagato solo un euro per le copertine “obbligatorie”, per il resto più nulla». Manuela C.: «A gennaio abbiamo scelto la scuola per la piccola Ginevra, in primavera sono arrivate le cedole on-line e a settembre, non appena abbiamo avuto indicazioni delle classi, siamo andati in libreria a ritirare i testi».

    il comune di Catanzaro
    La sede del Comune di Catanzaro

    Anche a Catanzaro qualcuno aveva provato a chiedere di anticipare i soldi dei libri. «Ma il Comune ha bocciato subito l’attività dichiarandola illecita», spiega Liana N., mamma di Giuseppe e Gaia. L’iter previsto dalla Legge 448/98 dovrebbe essere uguale per tutti: i genitori acquistano i libri tramite le cedole ricevute a scuola e i librai fatturano al Comune. Funziona così un po’ dappertutto, anche a Crotone e Vibo Valentia.

    Anche a Reggio tocca anticipare

    Il meccanismo si è inceppato a Cosenza ed a Reggio Calabria. Anche qui i genitori devono anticipare i soldi per l’acquisto dei libri per le scuole primarie. Il motivo è sempre lo stesso: pure in riva allo Stretto i librai non riescono ad incassare in tempo le fatture dal Comune. Che, in questo caso, non può neanche sfruttare l’alibi del dissesto finanziario per difendersi.
    Amaro lo sfogo di una mamma sui social: «Abbiamo tre figli. Se consideriamo una spesa media per i libri di 65 euro a testa, viene fuori che la somma da anticipare per una famiglia non benestante non è per nulla indifferente».

    Le rassicurazioni della vecchia amministrazione

    Lo scorso anno ci ha provato l’assessore Spadafora Lanzino a gettare acqua sul fuoco delle polemiche giustificando i librai e rassicurando le famiglie: «Purtroppo, la consueta anticipazione degli importi da parte delle librerie su ricezione delle apposite cedole, non è resa possibile, oggi, dalla circostanza che le librerie stesse sono, al momento, in attesa della liquidazione delle spettanze relative all’anno scolastico 2019/2020, oggetto della procedura di liquidazione dinanzi alla Commissione straordinaria operante presso l’Amministrazione Comunale. Ciò giustifica la soluzione dell’anticipazione, ossia del temporaneo e provvisorio pagamento dei libri di testo da parte delle famiglie degli alunni, che tempestivamente riceveranno la restituzione di quanto versato non appena, con sicura tempestività, il Comune procederà a liquidare, su presentazione delle fatture da parte delle librerie, le somme in credito».

    L'ex assessore Matilde Lanzino
    L’ex assessore Matilde Lanzino
    I dubbi di quella nuova

    A piazza dei Bruzi solo in questa ultima settimana è arrivata la nomina dei presidenti delle commissioni consiliari e la nuova giunta del sindaco Caruso sta iniziando ad avviare la macchina amministrativa.
    Dai banchi della maggioranza fanno sapere che «stiamo iniziando ora ad esaminare il bilancio. Solo dopo saremo in grado di capire dove sono finite e come sono state usate dalla precedente Amministrazione le somme per l’acquisto dei libri e come fare a recuperarle».

    Una cosa però è certa: il capitolo Istruzione è tra i più complessi nel bilancio del Comune di Cosenza. Stessi fondi ministeriali, destini diversi per le risorse della scuole primarie e secondarie a Cosenza. Le fatture dei librai delle primarie sono finite nella massa passiva. Per recuperare i soldi integralmente – salvo stralci dal 30 al 60% – ci vorranno dai sei ai dieci anni. I fondi destinati alla scuole secondarie di 1 e 2° grado, invece, sono finiti su un capitolo di spesa ad hoc. Questo ha garantito già dallo scorso anno l’erogazione di 450mila euro.

    Sempre più sconcertati i librai : «Non riusciamo a capire come essendo anche i nostri fondi ministeriali siano finiti nella massa passiva. Certo è che se anziché destinare le risorse ad altro le avessero impiegate per pagare le cedole oggi non ci troveremmo in questa situazione».