Il 25 marzo scorso i Carabinieri della Compagnia di Roccella Jonica e della locale Stazione CC Forestale hanno aperto le porte della caserma agli alunni delle scuole secondarie di primo grado. È l’avvio di una serie di incontri che si prefiggono lo scopo di promuovere sul territorio la cultura della legalità.
La stazione dei Carabinieri di Roccella Jonica aperta alle scuole
Gli studenti delle prime classi intervenute, il terzo anno delle scuole medie dei Comuni di Riace, Bivongi e Stilo, sono stati condotti attraverso un percorso conoscitivo delle prerogative e dei compiti dell’Arma dei Carabinieri. Insieme ai militari presenti hanno così affrontato varie tematiche. I carabinieri hanno illustrato loro le principali funzioni esercitate sul territorio dalle diverse articolazioni che compongono l’Istituzione.
Una lezione di legalità
Nel corso delle attività gli studenti hanno inoltre osservato da vicino il parco auto – moto della Compagnia Carabinieri, ponendo domande sulle modalità di impiego dei mezzi nei servizi d’istituto.
L’incontro si è rivelato funzionale al rafforzamento del sentimento di legalità nei giovanissimi intervenuti, i quali hanno avanzato numerosi quesiti, mostrandosi fortemente interessati e incuriositi dalle tematiche proposte.
«In Italia non c’è nessuna deriva violenta, né alcun pericolo fascista», dice Giuseppe Valditara, ministro dell’Istruzione, dopo il pestaggio squadristico di Firenze e dopo la lettera della preside della scuola i cui studenti sono stati aggrediti. Poi aggiunge che se qualcuno non è d’accordo sarà «necessario prendere misure».
In un colpo solo il ministro fa una capriola e dice una cosa e il suo contrario. Prima rassicura, poi non resiste e tira fuori la faccia feroce. Una volta si sarebbe chiamata “politica del doppiopetto”, un atteggiamento apparentemente democratico ma che maschera tentazioni illiberali. Al di là dei fatti, che pure vanno ricordati, le cose appaiono parecchio complesse.
La lettera dopo la quale Valditara ipotizza di «prendere misure»
Il gruppo cui fanno parte i picchiatori trova posto in una sede di Fratelli d’Italia, che con molto ritardo e imbarazzo ha preso blandamente le distanze dagli squadristi che ospitano in casa propria. Del resto nel mese di novembre una delegazione di Azione giovani, cui fanno parte i picchiatori, fu ricevuta da Paola Frassinetti, sottosegretaria all’Istruzione. Tuttavia il cuore del problema pare un altro: c’è da sempre un convitato di pietra nella società italiana. Ed è il Fascismo, con i cui orrori non abbiamo mai fatto davvero i conti.
Fascismo, quello che Valditara non dice
Il fascismo nacque con un atto di codardia, Mussolini pronto a scappare in Svizzera nel caso l’armata Brancaleone che marciava su Roma fosse stata fermata. E si concluse con un atto di uguale viltà, con il Duce travestito da soldato tedesco per fuggire in Germania. In mezzo c’è l’orrore di un colonialismo straccione e genocida, per il quale nessuno ha mai pagato; la cancellazione dei diritti basilari di una società, la persecuzione degli oppositori, la chiusura di giornali, partiti, sindacati; la cancellazione di più di una intera generazione di giovani italiani, mandati a morire sul Don o in altri luoghi, per inseguire un sogno vanaglorioso; le leggi razziali e la complicità nella morte di migliaia di italiani di religione ebraica; e poi la ferocia dei repubblichini, il sadismo della banda Koch, le lunghe ombre eversive del dopoguerra, con tentazioni golpiste.
Mussolini e Hitler
Al posto di questi fatti è stata, con un certo successo, raccontata una storia diversa. Fatta di italiani brava gente, non cattivi come le SS, di cose buone che pure sono state fatte, come sistemi pensionistici che in realtà hanno avuto origine assai differente. Sulla leggenda della puntualità dei treni vale la pena di ricordare la battuta tagliente di Pessoa che diceva che «se vivi a Milano e fascisti ammazzano tuo padre a Roma, potrai arrivare certamente in orario per il suo funerale».
Il coraggio di fare i conti col passato
Ci siamo raccontati un sacco di bugie, perché fare i conti con la nostra storia è difficile, ci vuole coraggio e ci è mancato. La conseguenza è che i fascisti possono affermare che il fascismo non c’è. E lo fanno mentre mostrano il manganello e preparano l’olio di ricino. Vorrebbero che nelle scuole si insegnasse quel che dicono loro, che si leggessero i giornali che sono loro graditi, i libri e gli autori non ostili. Anzi meglio levarli proprio i giornali e i libri: portano sempre una loro intima pericolosità. Al pensiero critico preferiscono il pensiero obbediente.
E invece dobbiamo portare nelle aule i libri e i film e i giornali che insegnano la libertà. E dobbiamo raccontare il fascismo nel suo autentico orrore, anche per non tradire il lascito di Parri che implorava di «non stendere un comodo lenzuolo di oblio su questa pagina di vita italiana».
Alla fine, come sempre, si deve decidere da che parte stare. La scuola deve stare ogni giorno dalla parte della Costituzione, quella che dice che siamo antifascisti.
L’arsenale di armi puntate contro le aree deboli del Paese, e quindi contro il Mezzogiorno e la Calabria, si arricchisce. Accanto all’autonomia differenziata e alle gabbie salariali applicate agli insegnanti, ecco la proposta per il “dimensionamento e la riorganizzazione” delle scuole, già licenziata dal Governo e attualmente all’esame della Conferenza Stato – Regioni.
Calabria: a rischio il 25% delle scuole
Secondo il piano, le istituzioni scolastiche dotate di autonomia passerebbero, su tutto il territorio nazionale, da 8.158 a 7.461: meno 697 unità. Ma da un esame più approfondito della tabella pubblicata dal Corriere della Sera emerge che le regioni più colpite dal provvedimento sarebbero la Sicilia, la Campania e, sul podio come spessissimo accade per le cose negative, la Calabria, rispettivamente con – 146, – 109, – 79.
Nella parte medio – bassa della classifica si piazzano Lombardia e Piemonte (-20), Liguria (-18), Emilia Romagna (-15). Il dato percentuale è ancora più indicativo: nella nostra regione le scuole autonome sarebbero alla fine il 25 % in meno. Di gran lunga il dato relativo più alto di tutti!
Un’aula deserta
La bassa demografia uccide le scuole in Calabria
Se il piano non dovesse essere approvato dalla Conferenza, lo Stato eserciterà il potere sostitutivo: perderanno l’autonomia gli Istituti con meno di 900 alunni. Mentre alcune Regioni si accingono ad impugnare la decisione davanti alla Consulta, è il caso di farsi qualche domanda. Se è vero che tali scelte sono la conseguenza diretta del calo demografico, che colpisce le regioni del Sud e con particolari virulenza e drammaticità la nostra, altrettanto lampante risulta la correlazione tra calo della popolazione e riduzione dei servizi, specie nelle aree interne.
Le Poste: un esempio in controtendenza
Queste azioni perpetuano un circolo vizioso: il cane si morde la coda perché nessuno gli offre la soluzione per smettere. Come, ad esempio, sta tentando di fare Poste italiane, che con il progetto “Polis” punta a promuovere la coesione economica nelle aree interne del Paese e a realizzare un nuovo punto di aggregazione per le persone. Si potranno ottenere i passaporti utilizzando l’Ufficio postale e sbrigare lì le pratiche burocratiche per il rilascio della carta d’identità. Un’applicazione da manuale del principio di sussidiarietà. Delle aree interne e dei piccoli agglomerati urbani, della necessità di preservarli, rilanciarli, tutelarli, si è molto scritto e detto. Lo spopolamento di interi pezzi di territorio è una delle ragioni del degrado, dal punto di vista geo morfologico, sociale, economico, civile, della lotta alla criminalità comune e organizzata.
La presentazione del progetto Polis di Poste Italiane
La parola agli esperti
Nel momento in cui si fanno scelte penalizzanti, come questa, si dà un segnale di assoluta incoerenza tra il predicato e il praticato. Salvo poi stracciarsi le vesti quando, anche a causa della mancata presenza dell’uomo, la nostra terra viene squassata, ad esempio, da incendi, alluvioni, immani fenomeni franosi. Abbiamo voluto coinvolgere nell’esame degli argomenti trattati in questo articolo il professor Vittorio Daniele, docente di Politica economica dell’Università di Catanzaro, e il professor Vito Teti, docente di Antropologia culturale dell’UniCal.
Daniele: a furia di tagliare si fa il deserto
«Il dimensionamento delle istituzioni scolastiche – esordisce il prof Daniele – riduce dirigenti e personale di segreteria. Il criterio è contrarre la spesa riorganizzando la rete degli istituti e il Sud ne è particolarmente colpito».
Alla base della scelta vi è un fatto oggettivo: «La riduzione del numero di alunni dovuta alla bassa natalità, aggravata nel Mezzogiorno dall’emigrazione che riguarda in particolare i centri interni. La Calabria è la regione col più elevato tasso migratorio verso il Nord del Paese». Questa profonda modificazione demografica «porta allo spopolamento dei comuni interni. Nella logica della razionalizzazione economica, esso si accompagna con la riorganizzazione dei servizi pubblici nel territorio: la chiusura, cioè, di uffici postali, reparti ospedalieri, scuole, sedi di tribunali e, per la stessa logica, sportelli bancari: desertificazione demografica ed economica».
L’economista Vittorio Daniele
Un circolo vizioso
E, invece di invertire la rotta, si continua a percorrere una strada che, oggettivamente, porta ad un inasprimento del problema. «La chiusura dei servizi – continua Daniele – alimenta il processo perché riduce i posti di lavoro diretti e indotti che essi creano nel fragile tessuto economico di quei centri e, privando quei luoghi di servizi, spinge i residenti, soprattutto i più giovani, a spostarsi altrove. La necessità di ridurre la spesa pubblica, considerata dal lato dei costi ma non dei benefici complessivi per la popolazione, peggiora i problemi sociali ed economici di molti territori già economicamente marginali. Non può essere solo la logica ragionieristica dei costi a guidare l’azione pubblica». La politica pubblica deve porsi l’obiettivo, più generale, del «benessere della popolazione e la creazione di condizioni di effettiva uguaglianza».
Teti: giù le mani dalle scuole in Calabria
Il progetto di accorpamento scolastico, se portato a compimento, «causerà – secondo l’antropologo Vito Teti – difficoltà e disagi a ragazzi, studenti, cittadini, famiglie. Esso è ingiusto e contiene possibili profili di incostituzionalità perché comporterebbe una restrizione dei diritti in alcune aree del Paese». Verrebbero penalizzati i cittadini che vi abitano e che già hanno problemi di lavoro, di trasporti, di assenza o carenza di vie di comunicazione, di insufficienza dei servizi sanitari.
Fuga dalla Calabria senza servizi e scuole
«Essi – sostiene Teti – sono privati di qualcosa di essenziale per la vita dei centri abitati di piccole dimensioni. Rendere più difficile l’accesso all’istruzione scoraggia la tensione al miglioramento e restringe l’area dei diritti». La questione delle aree interne non è però limitata a quelle calabresi. «Investe tutto l’Appennino e le Alpi».
Non finisce qui. Infatti, continua l’antropologo originario di San Nicola da Crissa, in provincia di Vibo: «La Calabria ha perso circa 100mila abitanti nell’ultimo anno. A questo fenomeno epocale non viene data però la giusta rilevanza. Interi paesi, entro 10 o 20 anni, moriranno. Un danno per questi e per quelli delle coste, e anche per i centri urbani più grandi». Non è solo una questione culturale e demografica. «I paesi interni – spiega Teti – sono anche dei presidi ecologici: non devono destare meraviglia fenomeni estremi e disastrosi come quelli di Soverato o di Crotone, o i continui e micidiali movimenti franosi o gli incendi che distruggono interi boschi».
L’antropologo Vito Teti
Ci salverà il paesaggio?
«Bisogna investire sulla tutela del territorio, sui boschi, sulla pietra. Il paesaggio dovrebbe costituire, se opportunamente popolato e quindi manutenuto, una risorsa, non un problema. In questa direzione ho suggerito provocatoriamente anni fa che ogni paese dovrebbe avere un piccolo museo per raccogliere la memoria e le speranze dei suoi abitanti e per fungere da luogo di cultura e di aggregazione: per guardare la partita, giocare a carte, presentare libri. Se si chiude tutto, nessuno vorrà restare o tornare in un posto invivibile per l’assenza di ogni servizio alla persona e alla collettività».
La lotta ai terremoti crea lavoro
Cosa si può e si deve fare, allora? «Non ci si può illudere – commenta Teti – di risolvere il problema in 5 o 10 anni. Bisogna pensare a un progetto per creare posti di lavoro allettanti, utili, uno stimolo per i giovani a rimanere e, nel contempo, creatori di realtà dove essi abbiano voglia di rimanere. Occorre avviare un’opera di risanamento e quindi di tutela del paesaggio e dei centri storici. La Calabria è zona sismica, nella quale mettere in sicurezza edifici pubblici abitazioni private creerebbe lavoro produttivo, non assistenza, utilizzando manodopera locale e risorse materiali locali come legno e pietra. La nostra regione ha un’evidente vocazione turistica, ma se si svuota chi accoglierà i turisti?».
Reggio devastata dal terremoto del 1908
Intanto «la scelta ecologica è fondamentale, soprattutto se messa in relazione con la crisi climatica. La Calabria, nonostante scempi ed errori, ha tanto, e non ha bisogno di ulteriore cemento. È necessario tornare alla terra, certo non in forme e modalità arcaiche; valorizzare i prodotti tipici, che non solo non vengono valorizzati ma neanche coltivati. Prodotti provenienti da altre parti del mondo vengono spacciati per locali. Abbiamo il mare, la montagna, la collina, e i relativi frutti». Si tratta di un unicum nel Mediterraneo, non solo in Italia».
Storia di chi (non) torna
«All’inizio vi è stata l’impressione che molti volessero tornare. Ma chi è rientrato a lavorare da remoto ha trovato difficoltà a rimanere in posti che offrivano poco o nulla a livello di servizi. Il lavoro a distanza va calato in una comunità complessivamente funzionante, dove ci sono negozi, luoghi di ritrovo, servizi pubblici e privati. Non si possono chiedere atti di eroismo alle persone, cioè tornare in luoghi invivibili. Se chi viene rimane deluso non lo farà più definitivamente, e la fiammella della speranza si spegnerà.
E i musei come quello del mare a Reggio? Teti risponde: «Non conosco il progetto di Reggio. In linea di massima i musei sono un’ottima opportunità, ma se hanno certe caratteristiche. Ho proposto un museo per ogni paese. Musei che raccontino la storia e la memoria della collettività, che attivino forme di socialità e collaborazione culturale. La domanda da porsi è: quanti posti di lavoro crea una realizzazione? Se ne consegue la possibilità di rimanere per chi lo vuole, va bene. Ovviamente per chi vuole, non per chi desidera andare via ritenendo di poter migliorarsi altrove».
Il progetto del Museo del mare di Reggio Calabria
Scuole e non solo: rimedi peggio del male
Cosa resta da fare? «Da 40 anni – argomenta Teti – parlo di museo dell’identità calabrese e di contrasto allo spopolamento. Nessuno dava importanza a questi temi, a queste proposte. Ora che i buoi sono scappati si tenta di rimediare con risposte sbagliate o, come abbiamo visto, con provvedimenti peggiorativi. Abbiamo 800 km di costa. La crisi climatica può comportare grandi problemi, e già l’innalzamento del livello del mare ha generato spese enormi per la protezione delle vie di comunicazione e degli abitati costieri. Nonostante ciò, essa viene vissuta come una cosa lontana, che non ci riguarda. Se non si ha la consapevolezza necessaria, tutti i problemi sono irrisolvibili».
Questa la conclusione di Vito Teti, implicitamente rivolta a tutti, ai cittadini come ai decisori pubblici. La Calabria era “sfasciume pendulo sul mare”, secondo Giustino Fortunato. Nel futuro, se non s’inverte il trend, diventerà «sfasciume deserto pendulo sul mare».
Provate ad immaginare di essere un insegnantein un paesino della Locride, o della Sibaritide, magari una maestra in una scuola elementare che assieme alla caserma dei Carabinieri è il solo presidio dello Stato in un luogo di povertà educativa, sociale, materiale e dove i nomi di certe famiglie nemmeno si pensano e la parola ‘ndrangheta non viene pronunciata. Provate a pensarvi tutti i giorni su un qualche trenino che sembra uscito da un film ambientato nel Far west per arrivare in un’aula dove c’è ancora la vecchia lavagna con i gessetti e avere lo scopo di guidare per mano quei bambini verso una opportunità diversa.
Valditara e gli stipendi a scuola: Nord vs Sud
Quanto dovrebbe guadagnare quella maestra? Quale dovrebbe essere lo stipendio di quell’insegnante? Certo, nella Calabria profonda il costo della vita è significativamente più basso che a Milano o a Reggio Emilia, ma nemmeno il lavoro è uguale: è più difficile.
La scuola in certi paesini calabresi è un fortino assediato e qualcuno deve andare a raccontarglielo al ministro Valditara che invece vorrebbe fare la differenza, in sottrazione, tra i docenti del Sud e quelli del Nord.
Il ministro ha poi parzialmente rettificato, praticando un vecchio esercizio caro alla destra, quello di buttare il sasso e poi dire che si è equivocato. In realtà, a ben guardare la rettifica non smentisce l’idea di nuove gabbie salariali. Nell’interpretazione che ha fornito il ministro, il contratto nazionale – bontà sua – non si toccherebbe, ma le risorse per pagare meglio i prof del Nord potrebbero giungere dai privati, oppure dalle amministrazioni pubbliche, notoriamente più ricche di quelle meridionali.
Insomma, la disuguaglianza retributiva, scacciata dalla porta, rientrerebbe dalla finestra lasciata apposta spalancata.
Se questa è autonomia differenziata
Si tratta, a ben guardare, di una delle forme dell’Autonomia differenziata, applicata di traverso alla scuola pubblica, da sempre luogo di conquista per la destra. E mentre si dibatte su quanto sia ingiusto, oppure opportuno, praticare la proposta del ministro, si eludeil tema centrale: qual è il valore del lavoro di un prof? Quanto “costa” (per usare un concetto caro alla destra liberista) la trasmissione dei saperi? Quanto costa la riproduzione dei valori di democrazia, uguaglianza, libertà, soprattutto in quei contesti dove essi sono minacciati ogni giorno? Insomma, quanti soldi dovremmo dare a quella maestra che ogni giorno racconta ai suoi scolari, in un’aula della Calabria profonda, che davanti ai problemi «uscirne da soli è egoismo, farlo assieme è politica», cioè partecipazione e democrazia?
Persino gli addetti al settore (sedicenti e non) hanno dimenticato questa figura preminente nel panorama pedagogico del Mezzogiorno. Francesco Coppola – anzi, per l’esattezza Francesco di Paola Vincenzo Coppola – nacque ad Altomonte il 6 giugno del 1858 da Vincenzo Gerardo e Maria Carmela Riccio, in una nobile casata di antiche radici napoletane, sulla quale tantissimo scrisse qualche decennio fa Franz von Lobstein nel suo Settecento calabrese.
Una famiglia di nobili e tre mogli
Se i suoi avi furono subfeudatari di Altomonte e agenti del Principe di Bisignano, in tempi più recenti i cugini in primo grado di suo padre erano stati i parlamentari Ferdinando Balsàno (1836-1869, arciprete, deputato nella IX legislatura del Regno) e l’ancor più noto Giacomo Coppola (1797-1872, senatore dal 1863, Ministro delle finanze durante il Governo Garibaldi). Tra i fratelli del suo bisnonno Luzio Coppola, spiccavano infine Reginaldo (1730-1810), vescovo di San Marco Argentano nel 1797, il domenicano Giacomo, l’abate Luigi, Silvio (sindaco d’Altomonte) e quella Isabella che, sposando Domenico Andreassi di Montegiordano, diventerà capostipite degli omonimi nobili amendolaresi e perciò anche degli ultimi Mazzario di Roseto Capo Spulico.
Altomonte, palazzo Coppola: casa natale del pedagogo.
Fatta questa premessa familiare, va pur detto che tuttavia proprio il milieu nobiliare dovette star stretto al Coppola. Il quale, in rotta con i suoi, scappò da Altomonte e abbandonò presto la famiglia d’origine sposandosi, la prima di tre volte, a diciotto anni (in data 30 settembre 1881) con la giovanissima lungrese Lucrezia D’Aquila, che morirà al terzo parto, appena sette anni dopo. Dopo la prematura scomparsa di quest’ultima, Coppola convolerà a seconde nozze il 15 agosto 1884 con Mariangela Italia Irene Diodati. Nuovamente vedovo, sposerà infine, il 21 novembre 1908, Ortensia Fera.
Francesco Coppola, una vita per l’insegnamento
Il professore dedicò l’intera sua esistenza all’insegnamento e, più in generale, all’istituto della Scuola, inteso come la più alta e nobile delle missioni civili. Benemerito primo direttore didattico delle scuole di Spezzano Albanese, educò – dapprima nella sua residenza di Palazzo Scorza, a Spezzano Albanese, nella piazza oggi intitolata a Giacomo Matteotti – generazioni di allievi, dalle elementari alle superiori e provvide pure con solerzia alla refezione scolastica del Ricreatorio per i figli dei richiamati in guerra.
Un commosso e nostalgico ritratto della personalità e delle abitudini quotidiane del “Professore” per antonomasia, fu dato alle stampe nel 1982 da Arcangelo Barbati, nel suo Immagini del passato. A Spezzano Albanese dal 1912 al 1923, di cui una copia mi fu donata una quindicina d’anni fa dal nobile cavaliere Giuseppe Alfredo Coppola, suo nipote.
Le opere di Francesco Coppola
Medaglia d’Oro al Merito Civile, conferita il 30 maggio 1912 dal Ministero della Pubblica istruzione per i suoi alti meriti educativi e di direzione nel campo della Scuola, Coppola fu peraltro scrittore elegante, linguista, critico e studioso non comune di problemi pedagogici. Pubblicò infatti diversi saggi di pedagogia, tra cui è doveroso citare almeno La morale dei fanciulli. Trattatello di doveri e diritti per le scuole elementari (Castrovillari, 1887), dedicato al suo Maestro (il celebre filosofo Andrea Angiulli, educatore insigne e di spiccato animo anticlericale, a sua volta allievo di Bertrando Spaventa nonché affiliato alla loggia Fede Italica, all’Oriente di Napoli) ed espressamente ricalcato sugli Elements d’education civique et morale di Gabriel Compayré (Paris, 1881); e un saggio su Rousseau: Giangiacomo Rousseau. La sua vita, i suoi tempi e la sua fede pedagogica (Castrovillari, 1887), opera che anticipa, pioneristica, tutta una successiva e fortunata letteratura sul medesimo tema.
Ancora, tra le altre sue opere, tutte oggi piuttosto introvabili persino sul mercato antiquario e nelle biblioteche conservative, vanno menzionate Racconti e biografie di uomini illustri, per servire di storia patria nelle scuole elementari (Milano, 1887), Brevi racconti di storia patria sui fatti principali dell’unificazione d’Italia, per la terza classe elementare (Milano, 1889), Primizie storiche tratte dalla storia ebraica, greca e romana, per la seconda classe elementare Inferiore (Milano, 1889), Storia nazionale da Carlo 8° ad Umberto 1° (Milano, 1894), Storia Nazionale dalla fondazione di Roma alla scoperta dell’America per la Quarta classe elementare (Milano-Roma, 1894), Storia d’Italia dal 1848 al 1870 per la terza classe elementare (Milano-Roma, 1895), Racconti e biografie di storia patria, ad uso della Quarta classe elementare (Milano, 1897).
Colophon della Morale dei fanciulli. Trattatello di doveri e diritti per le scuole elementari (1887), opera d’esordio di Francesco Coppola
Un massone con una missione
Di tempra laica (era affiliato alla loggia massonica Agostino Casini, all’Oriente di Spezzano Albanese, all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia), considerava la Scuola «l’unica, vera, grande missionaria per la redenzione delle classi umili nell’inquieta ed incerta società» italiana dei suoi tempi.
Lasciò almeno undici figli, tra cui è opportuno segnalare almeno i due di primo letto, Gustavo Luigi Ugo e Alfredo Gerardo: il primo, istitutore nel 1905, affiliato dal 27 maggio del 1912 ad una loggia cosentina del Grande Oriente d’Italia, sottotenente di Fanteria nel 1917, fu poi segretario presso il Liceo Classico di Cosenza nel 1919 e infine segretario presso il Ministero della Pubblica Istruzione e, fino al 1931, presso quello delle Finanze in Roma, laddove – già vedovo della nobile cosentina Regina Monaco – scomparve prematuramente nella sua abitazione di Monteverde; il secondo, già prigioniero in Austria e primo segretario comunale di Spezzano Albanese, venne assassinato da sconosciuti.
Spezzano Albanese, palazzo Scorza, al cui primo piano visse e morì Francesco Coppola.
A lui e a suo padre è intitolata una via di Spezzano Albanese: il bastone dal pomo d’argento accompagnò il Professore fino alla sua ultima puntuale passeggiata pomeridiana. Francesco Coppola muore a Spezzano Albanese il 7 maggio 1926 e riposa nella cappella di famiglia, presso il cimitero locale.
Uno scuolabus in fiamme non è solo inquietante. Ricorda scenari di guerra. Al di là delle cause non ancora accertate, c’è un valore simbolico per l’uso quotidiano del mezzo: trasporta bambini. Gli stessi che ne hanno, probabilmente, visto lo scheletro fumante infine rimosso dalla strada. Solo poco tempo fa sempre uno scuolabus era stato preso di mira da vandali. Entrambi i mezzi sono in uso a una ditta privata. Lo conferma il sindaco Giacomo Middea a ICalabresi.
Il piccolo camion con gli aghi di pino andati in fiamme a Fuscaldo
Mercoledì scorso l’ultimo e strano episodio: bruciano improvvisamente gli aghi di pino nel cassone di un piccolo furgone di proprietà del Comune. Era parcheggiato nel cortile di una scuola media. Mesi fa, invece, sono state squarciate le gomme di un mezzo destinato al servizio di raccolta dei rifiuti. Fatto già accaduto pochi anni fa. Una serie di eventi uniti dal fatto di essere tutti avvenuti a Fuscaldo, cittadina sul mar Tirreno tagliata a metà dalla Statale 18.
Una “rompiscatole” a Fuscaldo
Nel silenzio quasi generale spunta Annamaria De Luca. Dopo 20 anni vissuti a Roma, vince un concorso da dirigente scolastico e torna a Fuscaldo. Lavora proprio nella scuola primaria intitolata a sua zia, Angela Maria Aieta, desaparecida durante la dittatura della giunta militare di Videla in Argentina. Annamaria è una di quelle che tanti in paese considerano una “rompiscatole”. Perché non si gira dall’altra parte e fa dell’impegno civile un valore non negoziabile.
E lei quando vede l’autobus in fiamme avvia subito una diretta su Facebook sollevando il caso. Da giornalista, collabora anche con La Repubblica e il Sole 24Ore, conosce bene la potenza di un messaggio lanciato sui social.
Annamaria De Luca, dirigente scolastica dell’Istituto comprensivo di Fuscaldo (foto Alfonso Bombini)
«Nemmeno Libera parla»
«I carabinieri indagano, ma una presa di posizione dei cittadini me l’aspettavo. A parte Italia Viva, nessuno ha inteso dire qualcosa, nemmeno Libera». La dirigente scolastica prova a spiegare cosa succede: «È veramente uno scenario non europeo, di un paese in guerra. Forse c’è una guerra che noi non vediamo, forse siamo in guerra. Di certo devono tenere fuori da questa merda i bambini, loro non c’entrano niente. Non posso permettere che vedano scene di questo tipo. Cerchiamo di dare speranza ai ragazzi, facciamo il giardino dei giusti e l’Aula natura, e poi si trovano di fronte a un’immagine del genere. È disarmante». Il Giardino dei giusti è stata una sua idea. Lo ha inaugurato il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri nel 2020. Anche questo presidio di legalità ha subito un attacco da parte di ignoti che hanno tagliato gli alberi.
Le parole del sindaco
Giacomo Middea viene da Alleanza nazionale. Un passaggio con il Pdl e poi il transito in Forza Italia. Avvocato penalista, da un anno e tre mesi è sindaco di Fuscaldo con una civica di centrodestra. Non si fa mancare un esponente del Pd in maggioranza.
Sulla questione dello scuolabus in fiamme pronuncia delle parole chiare: «Al momento non abbiamo certezze sulla natura di questo atto. Ma dubito si tratti di autocombustione. Se fosse un gesto doloso sarebbe orribile perché colpisce studenti e ragazzi. Immagini terribili. Siamo pronti a costituirci parte civile se in futuro dovessero essere accertate eventuali responsabilità. Lo faremo immediatamente».
Il sindaco di Fuscaldo, Giacomo Middea (foto Alfonso Bombini)
«Intervenga la Direzione distrettuale antimafia»
Middeo fa il suo mestiere: il primo cittadino. Sa che Fuscaldo è un territorio “caldo”, non più di molti altri paesi lungo la costa.
Ma non ci sta quando qualcuno vuole dipingere la sua comunità come una terra in piena emergenza criminalità. Non nega la sua presenza. Anzi: «L’inchiesta Tela del Ragno più di dieci anni fa ha allungato i riflettori su questo comune perché c’erano alcune consorterie ritenute tali dalla Dda che operavano ed erano nate nel nostro territorio. Sono fenomeni ad oggi isolati. Mai, però, abbassare la guardia».
In più circostanze dice di «avere chiesto pubblicamente che fosse implementato il numero di carabinieri a Fuscaldo» e invocato l’arrivo «della magistratura per impedire che determinati fenomeni di malavita organizzata che oggi sono isolati possano diventare consolidati». Le sue parole diventano ancora più perentorie: «Urge un intervento deciso della Direzione distrettuale antimafia». Basta solo questo per capire che il clima non è dei migliori a Fuscaldo. Malgrado i quasi 20 gradi di un dicembre molto caldo. Forse troppo.
Un tratto del lungomare di Fuscaldo (foto Alfonso Bombini 2022)
Ecco le ultime lezioni dell’anno scolastico anche in Calabria e molti giovani, dopo gli esami e il diploma, si presenteranno da domani nel mondo del lavoro e nelle università.
Una classe semideserta in piena pandemia da Covid
La scuola, non solo in Calabria ma anche a livello nazionale, non vive il suo momento migliore. Sul sistema formativo sono nati forti dubbi tra gli studenti in seguito alla morte nel 2022 di due giovani, Lorenzo Parelli e Giuseppe Lenoci, durante lo svolgimento di attività per l’alternanza scuola-lavoro. Lo sciopero del settore scolastico del 30 maggio, indetto dai sindacati confederati, a cui ha aderito un prof o maestro su cinque, ha chiesto con forza anche una modifica sostanziale del decreto del governo sulla scuola” attraverso più risorse, un nuovo percorso di abilitazione, la stabilizzazione dei precari.
La didattica che cambia
A causa della pandemia nel 2020 e nel 2021 il percorso scolastico degli studenti, inoltre, ha subito una delle più profonde ed inaspettate trasformazioni, passando da una didattica totalmente in presenza ad una a distanza; per poi procedere con la didattica mista nell’anno scolastico 2020/21. In un clima di incertezza, dunque, anche per chi nelle aule ci lavora, gli studenti si sono trovati di fronte a questi importanti cambiamenti e, forse, è arrivata l’ora di aprire un dibattito in Calabria per capire se qui ci sono le stesse possibilità e strumenti delle altre regioni. E se e quanto i giovani raggiungono capacità adeguate a conclusione del ciclo di studi.
I dati di Openpolis sulla dispersione scolastica
Scuola in Calabria: il 14% tra i 18 e i 24 anni ha solo la licenza media
In un recente studio elaborato da Openpolis e la impresa sociale “conibambini”, che prende in esame la povertà educativa, infatti, la Calabria risulta la regione con il più alto tasso di incidenza per quanto riguarda la dispersione scolastica totale. Non si tratta di una fotografia da incorniciare, bensì parliamo di un fotogramma in un film in piena evoluzione, come il periodo in cui ci troviamo a vivere. Tra i 18 e 24 anni, è di 14 giovani calabresi su 100 l’incidenza di quanti nel 2021 hanno solo una licenza media e non sono inseriti in percorsi professionali, “ma questo non è l’unico parametro attraverso cui valutare l’impatto della dispersione scolastica” – si legge nell’analisi di Openpolis.
Competenze minime necessarie
È importante considerare anche la percentuale di chi, pur concludendo formalmente il proprio percorso scolastico, non ha raggiunto le competenze minime necessarie. Quella che viene definita dispersione implicita. Rispetto all’anno precedente, in Calabria, come ha certificato anche Istat nel rapporto sul benessere equo e sostenibile 2021, ci sono peggioramenti netti sulle competenze alfabetiche e numeriche che raggiungono i giovani della III scuola secondaria di primo grado. Secondo Invalsi, attraverso le prove effettuate su tutto il territorio nazionale nel 2021, i livelli di competenza raggiunti dagli studenti italiani in Calabria dell’ultimo anno scolastico, sono scarsi: nelle materie di Italiano, Matematica e Inglese almeno 1/3 dei ragazzi non ha raggiunto i livelli adeguati (fermandosi al livello 1).
Scuola in Calabria: il Patto educativo di Princi
«Perché? La pandemia ha avuto un impatto sociale e culturale notevole, specialmente nelle zone in cui il divario è più evidente» – dice a ICalabresi.itGiusi Princi, vicepresidente e assessore regionale all’Istruzione, Formazione e Lavoro. Per combattere questa emergenza sociale, secondo Princi, la Regione deve «trasformare la scuola in presidio sociale, oltre che culturale».
Ma come? «In sinergia con l’Ufficio scolastico regionale, sarà inaugurato l’osservatorio sulla dispersione scolastica, attraverso cui sarà possibile un monitoraggio costante della dispersione sul territorio. Inoltre, saranno elaborate nuove linee guida relative al dimensionamento scolastico che sarà orientato a lasciare aperti i plessi che, pur risultando poco numerosi, rappresentano in alcune aree l’unico punto di riferimento e di aggregazione socio-culturale».
Patrizio Bianchi, ministro dell’Istruzione, università e ricerca
Ma la vice presidente della giunta regionale ha informato il ministro competente di questo problema? Anche perché questi ragazzi corrono il rischio di finire nella rete della criminalità senza trovare un valido percorso lavorativo. «Sto lavorando – sostiene Princi – a stretto contatto con il ministro Patrizio Bianchi ad una nuova, importante riforma come il patto educativo per la Calabria, con l’obiettivo di ridurre la dispersione (attenzionando soprattutto gli studenti fragili) e di fermare la fuga dei cervelli, per consentire ai tanti giovani calabresi che si stanno affermando nel mondo di mettere a disposizione della loro terra le competenze acquisite. La Calabria ha bisogno dei calabresi».
Il silenzio dell’Ufficio scolastico regionale
Abbiamo provato a contattare un alto dirigente dell’Ufficio scolastico regionale della Calabria e anche la direttrice, Antonella Iunti, per approfondire questa emergenza sociale. Al momento non hanno risposto alle nostre domande.
Quanto è dato sapere sulla scuola in Calabria si può, sicuramente, leggere in relazione con i dati sui neet, alla (non) presenza di asili nido e alla (in)capacità di spesa dei Comuni calabresi per interventi per l’infanzia e i minori. Nel 2020 il capoluogo di regione, Catanzaro, ha speso 2,87 euro per abitante contro i 63,26 di Perugia in Umbria.
Il problema dello scarso numero di asili nido si somma alle altre carenze strutturali della Calabria
Asili nido: l’anno zero Calabria
La disponibilità di asili nido a titolarità pubblica e privata a livello regionale è, come noto, caratterizzata da un forte divario dell’offerta del mezzogiorno rispetto al centro-nord. La gestione degli asili nido pubblici “rappresenta una delle materie di competenza dei comuni più impattanti sulla comunità” – si legge nei rapporti Openpolis – e rientra all’interno della missione di spesa dedicata alle politiche sociali. In Emilia-Romagna su 100 bambini ci sono 28 posti in strutture pubbliche e in Calabria invece solo 3.
Il professor Nuccio Ordine
Non solo scuola: sempre meno librerie, teatri, edicole in Calabria
E si può ancora parlare di quanto influisca ciò sui dati disastrosi sulla lettura e sulla fruizione delle attività culturali che, come ci ha detto il prof Nuccio Ordine, «sono direttamente proporzionali agli scarsi investimenti, in Calabria e nel Sud in generale, dedicati alla cultura e all’istruzione, in una regione dove in molti paesi non esistono librerie, biblioteche, teatri e perfino edicole».
In questo quadro, come visto, le carenze di base degli studenti si sono accentuate nei mesi dell’emergenza pandemica e, secondo la Princi, con un finanziamento di 10 milioni destinato ai ragazzi con bisogni educativi speciali (Bes), si potranno «tenere aperte le scuole anche nelle ore pomeridiane per supportare i ragazzi nell’apprendimento con laboratori incentrati sulle competenze chiave che sono quelle su cui vertono le prove Invalsi».
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Concorso col trucco, la Procura della Repubblica di Vibo Valentia invia l’avviso di conclusione delle indagini a due persone.
L’inchiesta riguarda la selezione per dirigenti scolastici svoltasi nel 2017.
In quell’occasione, un concorrente, tra l’altro impiegato della Regione, si era presentato alla prova munito di auricolare e microfono.
Un comportamento anomalo, il suo, che aveva insospettito gli altri partecipanti, i quali si sono rivolti alla Polizia di Vibo.
Le indagini, condotte dalla Squadra mobile e completate da successive perquisizioni domiciliari, hanno consentito di verificare che il candidato aveva effettivamente auricolare e microfono, attraverso i quali comunicava con una terza persona all’esterno.
Gli inquirenti sono riusciti a identificare anche quest’ultima.
Secondo l’accusa, il concorrente avrebbe dettato attraverso l’auricolare le domande della prova al presunto complice, che, a sua volta, avrebbe fornito le risposte e quindi consentito al “compare” di scalare le graduatorie.
I viaggiatori del Settecento e dei secoli successivi hanno alternato nei loro diari impressioni contrastanti su questo lembo d’Italia chiamato Calabria, esaltandone alcune straordinarie bellezze e denunciandone le brutture. Quando la regione non veniva saltata a piè pari perché terra di ruberie, truffe e raggiri, assalti e uccisioni, in molte occasioni, per edulcorare a se stessi le delusioni, nei romantici diari di viaggio si attenuavano le profonde ed evidenti precarietà che la Calabria rappresentava e racchiudeva, nella medesima forma di paradigma delle negatività italiane di oggi.
Edward Lear, disegno di viaggio in Calabria, 1847
È pure vero che i frettolosi visitatori dimenticavano una certa quantità di eroi, soprattutto nel secolo risorgimentale. Così come pochi riuscivano a cogliere, in quei medesimi periodi, le tracce dell’antica bellezza magnogreca che pure ha interessato l’intera Calabria. Una storica frase dell’archeologo Lenormant, nel suo passaggio nei pressi dell’antica Sibari, rimane tutt’oggi memorabile: «Non credo che esista in nessuna parte del mondo qualcosa di più bello della pianura dove fu Sibari. Vi è riunita ogni bellezza in una volta: la ridente verzura dei dintorni di Napoli, la vastità dei più maestosi paesaggi alpestri, il sole e il mare della Grecia».
Un viaggio tra slanci e ritardi
Sarà la nostalgia di un passato affascinante, il richiamo di radici profonde e lontane quanto attuali, il senso di impotenza e disagio a spingermi a scrivere. L’obiettivo è scorgere, nelle pieghe di un tessuto urbano e sociale lacerato, slanci e sprazzi di vitalità che pure esistono e stanno emergendo. Scavare nelle macerie della nostra malconcia modernità alla ricerca della bellezza che sopravvive. Parlare dei nuovi eroi che la tengono attiva con iniziative che superano ogni difficoltà in una diversa forma di risorgimento sociale calabrese. Ritardi e slanci, quindi.
Eroi nel Crotonese
La chef Caterina Ceraudo nell’orto della sua azienda agricola
La Regione Calabria si presenta alla Bit di Milano con ambizioni, premesse e promesse che pretendono di farla sembrare la Florida, ma il turismo che interessa la nostra terra è ancora di scarso livello culturale, con modeste ricadute socio-economiche. Però, proprio nei padiglioni milanesi della Bit, si accende una luce su una delle nostri giovani eroine: Caterina Ceraudo. Chef stellata, da tempo stupisce tutti con i suoi piatti che affondano le radici nella tradizione calabrese, nei prodotti di questa terra, con rivisitazioni che conquistano. Suo padre Roberto Ceraudo con sana testardaggine calabra ha realizzato dal nulla e conduce una azienda agricola bellissima, tutta ecologica, nei pressi di Strongoli.
Caterina Ceraudo, Piatto Sottobosco, omaggio alla Sila
Alla stessa maniera hanno fatto, poco vicino, gli altri nuovi eroi: i Librandi. Da generazioni rinnovano una cultura enologica di rara qualità, che include l’aver saputo rigenerare persino il vitigno calabrese per eccellenza, quel Gaglioppo capace di conservare l’origine della bellezza greca. E lo fanno in un contesto – tra Crotone e Cirò – saccheggiato dalla malavita, dall’abusivismo sulle coste, dalla moria progressiva dell’ex tessuto industriale crotonese. I Librandi hanno superato, da soli, la logica dell’assistenzialismo. Di generazione in generazione hanno acquisito prestigio: dai sei ettari iniziali oggi ne coltivano 232, con una produzione di 2,3 milioni di bottiglie e un nome noto nel mondo.
I Librandi in un vigneto dell’azienda di famiglia
La Sila che attira i turisti e quella che li respinge
Per rimanere nell’ambito della nuova stagione del cibo, quest’anno la stella Michelin è toccata anche al lavoro certosino di ricerca e bellezza, tra odori e sapori dei boschi della Sila, di Antonio Biafora, del ristorante Hyle, a pochi chilometri da San Giovanni in Fiore. Nella stessa località ha sede anche il Consorzio Tutela Patata della Sila, una sfida vinta contro infiniti luoghi comuni avversi all’idea che al Sud si possa fare associazionismo e prodotti della terra di qualità ed ecologici.
Lo chef stellato Antonio Biafora tra i boschi della Sila
Tuttavia, a queste eccellenze e a una natura esuberante e di rara bellezza dei boschi di pino laricio fa da contrasto la povertà dei tessuti urbani dei principali centri silani. Fuori dalle cinture storiche, presentano una drammatica precarietà edilizia, estetica, mancanza di elementi minimi di decoro. Sono densi di provvisorietà, esito di ritardi culturali e miopia urbanistica. Certo non sono capaci di attrarre alcun turista intelligente. E non aiutano affatto il prestigio di Biafora, tantomeno della Patata della Sila, così come di altre eccellenze silane.
San Giovanni In Fiore, Luca Chistè 2020
Errori pubblici e privati
Quanto accaduto negli ultimi cinquant’anni ai centri urbani calabresi, dietro al fallimento di ingenti investimenti pubblici con aree produttive vuote e fantasmagoriche, è frutto di una totale mancanza di strategie capaci di uno sguardo che non fosse oltre la soglia di casa. Così, più si scende verso Sud e più la cultura urbana e della manutenzione si fa chimera.
Rifiuti nel centro storico di Cosenza (foto Alfonso Bombini)
Ma qui in Calabria, oltre questa assenza, si tratta di una diffusa condizione di disinteresse civico, di totale disattenzione verso qualsiasi segno di rinascita che si opponga al decadimento. E, se non fosse per il virtuosismo di iniziative private e di alcuni illuminati amministratori, il disagio e il divario verso altre realtà sarebbero ancora maggiori.
Un’altra Calabria è possibile
Questo, però, è anche un viaggio di speranza, di fiducia. Per accendere luci dove ci sono e smetterla con la cultura del lamento, ma seguire nel realizzare un panorama diverso dentro ai ritardi e alle devastazioni. Costruire una geografia positiva, capace nei prossimi anni di ribaltare le negatività e invertire la rotta, può tradursi in una ulteriore spinta per non sprecare l’occasione del Piano di Ripresa e Resilienza, che ha il Sud come obiettivo principale perché a Bruxelles lo sanno che è qui il punto nevralgico dell’Italia.
Luci e ombre a Reggio Calabria
Tra le ombre lunghe di Reggio Calabria, oltre il suo magnifico lungomare in cui una stupenda installazione dell’artista Edoardo Tresoldi conferisce a questo luogo la magia dell’Arte urbana, la città, nelle pieghe del suo tessuto più densamente abitato, esplode in un dedalo di conflitti urbani e diffusa marginalità. Con un aeroporto scalcinato indegno di tale nome, più verso la collina i pezzi di università che contrastano il degrado; un Museo del Mare mai finito, megalomane progetto dell’allora sindaco Scopelliti; fiumare abusivamente abitate e intasate di cemento.
I Bronzi nel Museo di Reggio Calabria
Poi ci sono i Bronzi, felicemente ritrovati, in un Museo Archeologico che merita molto di più di ciò che ha e che può offrire. Per esempio qualcosa di più dell’inadeguato, recente, marchio per i 50 anni del ritrovamento delle due bellissime sculture, realizzato come sempre senza una sana competizione tra i migliori graphic designer italiani, ma affidato in modo superficiale a qualche miope “sguardo” localistico.
Anche a Reggio si accendono da tempo luci tra le ombre. Nei numerosi ritardi accumulati dalla città dello Stretto si scorge lo slancio di giovani eroi che fanno cultura, innovazione, ricerca. Alcuni – intorno alla docente di UNIRC, Consuelo Nava, attivissima ricercatrice che dirige un produttivo laboratorio di tecnologia sostenibile sulle possibilità di un abitare ecologico in Calabria e nel Mediterraneo – accendono più di una speranza. Nella stessa università, pur in tempesta per le recenti indagini della procura locale, il dipartimento di Giurisprudenza è tra i più innovativi e avanzati nel settore e di recente è stato riconosciuto come Eccellenza dal MUR.
L’importanza della scuola
Proprio sulla tematica del costruire sostenibile, di recente, un ingente investimento statale ha consentito di mettere in sicurezza oltre 700 edifici scolastici calabresi. Le scuole sono di importanza vitale: qui si formano i cittadini futuri, le classi dirigenti e molti di essi rappresentano il segnale negativo di quanto poco interesse si ha per la qualità, il decoro, la funzionalità, diciamolo per la bellezza nelle sue diverse forme attuali. Mi fa piacere, in questo caso, accendere una luce sulla nuova Scuola d’infanzia “Virgilio” di Locri, un esempio di bioedilizia.
La scuola “Virgilio” di Locri, prima del suo genere in Calabria
È la prima in Calabria realizzata secondo una sintesi perfetta tra efficienza energetica, comfort e sostenibilità ambientale. La progettazione esecutiva e realizzazione sono di un’impresa calabrese, la Cesario Legno, con sede a Zumpano, dove tra capannoni anonimi e una natura bellissima, a due passi dal fiume Crati, si progettano case domotiche d’avanguardia.
La Calabria che non si parla e quella che non si rassegna
Da questo viaggio emerge quanto la Calabria sia in parte persa nei suoi diffusi e disarticolati territori, “che non si parlano”. Quanto questa terra di “bellezza e orrore” resti tanto chiusa nelle proprie estese e preoccupanti contraddizioni che ne amplificano il degrado. Ma emerge anche il coraggio di un esteso manipolo di resistenti, residenti, non assuefatti all’oblio, non rassegnati alla sconfitta, che alimentano già una letteratura vasta che include calabresi e non, illustri e meno noti.
Una Calabria di oggi, dunque, ancora diffusamente punteggiata da slanci e ritardi. Dove ad aree industriali dismesse o mai decollate, strade non finite, edifici pubblici fatiscenti, luoghi della perenne precarietà, pontili nel nulla, porti senza navi, aeroporti senza aerei e senza qualità, perenni vuoti senza mai pieni, opere pubbliche faraoniche, si oppongono il desiderio del fare e un anelito al cambiamento diffusi ovunque. Alla scoperta di luci che diradano, nel tempo, le ombre più cupe, segnando una necessaria inversione di tendenza.
A Serra Spiga, in via Popilia e nel centro storico non si ode più il festoso vociare dei laboratori creativi per bambini. Dopo 25 anni di attività, dal 31 dicembre 2021, sono chiuse le ludoteche. Palazzo dei Bruzi tace. La priorità è rimettere in ordine il traffico sconquassato dal precedente sindaco archistar. I diritti sociali possono attendere. Prosciugate le casse, nel bilancio comunale gli unici soldi che non finiranno mai sono quelli destinati a coprire gli stipendi di consulenti e assessori.
Le ludoteche e il sogno di Mancini
C’erano una volta le ludoteche di quartiere. Le aprì il sindaco Giacomo Mancini, quando ancora le amministrazioni comunali offrivano spazi e momenti di gioco, ascolto, doposcuola e vacanza ai figli dei più poveri. C’è stato un tempo in cui Cosenza nei servizi delicati pareva una delle città all’avanguardia nel meridione. Erano ancora servizi gratuiti, il Comune li finanziava e non scaricava sul buon cuore del volontariato le attività che in una società cosiddetta “civile” dovrebbero essere di competenza delle istituzioni.
Bimbi delle ludoteche alla Villa Vecchia di Cosenza
Alla fine degli anni novanta il vecchio sindaco socialista volle pure che la Biblioteca dei ragazzi sorgesse proprio sotto le finestre della sua stanza a Palazzo dei Bruzi. Sapeva che presidiare con la cultura i quartieri popolari è un investimento sociale, un modo per arginare la solitudine infantile che alleva criminalità. Per Mancini quello era il biglietto da visita di Cosenza. Il municipio, così, da burocratico scatolone di cemento diveniva luogo propulsore di cittadinanza.
E lo chiamano centro “sinistra”
Poi, negli anni zero, venne la giunta Perugini e la chiuse, la biblioteca. In generale, badò soprattutto a rieducare la popolazione alla fruizione dei servizi a pagamento. Tagliò le residue spese del welfare locale, motivando questa scelta con la più classica delle lamentazioni: «I soldi sono finiti». E immolò tutto sull’altare della privatizzazione, osannando il project financing di cui ancora oggi si fatica a intravedere il costrutto. Dagli stadi di calcio alla sanità, dalle infrastrutture ai servizi, fiumi di denaro pubblico finiscono nelle casse dei privati che fingono di investire risorse e si appropriano di spazi comuni.
Un altro nevralgico polo aggregativo per minori, la Città dei ragazzi, fu in parte riconvertito. Per assegnarlo, la giunta Pd concepì una gara d’appalto ai livelli del ponte sullo stretto di Messina. I nuovi aspiranti gestori si videro costretti a costituirsi nientemeno che in Associazione Temporanea d’Impresa. Nel decennio successivo, l’amministrazione Occhiuto la riconcesse alle associazioni Teca, Don Bosco e Cooperativa delle donne, costrette spesso a sopperire con fondi propri alle deficienze istituzionali.
Cosenza, l’ingresso della Città dei ragazzi (foto A. Bombini) – I Calabresi
Ludoteche e istituzioni: distrazione o indifferenza?
E se in questi ultimi venti anni la Città dei ragazzi ha vissuto fasi convulse e discontinuità, negli altri quartieri le ludoteche erano riuscite comunque a sopravvivere, pur tra i tagli dei fondi, le temporanee sospensioni e i sacrifici dei loro operatori. Ma da cinque mesi non esistono più.
«Ancor prima della scadenza dell’affidamento, lo scorso dicembre, abbiamo scritto al sindaco, tramite pec, per chiedere un incontro sulla questione, ma siamo ancora in attesa di essere convocati. Abbiamo scritto anche alla consigliera che ha la delega sull’educazione, ma anche in questo caso non abbiamo avuto risposta», denuncia Mimma Ciambrone, due lauree, una in Storia ed una in Scienze dell’educazione; operatrice storica e socia della Cooperativa delle donne, lavora nei quartieri dal 1997.
Attività in una delle ludoteche di quartiere chiude dal 31 dicembre scorso
«Sospendere i servizi a metà anno scolastico – spiega Ciambrone – rappresenta undanno irreparabile per molti bambini e bambine. Li seguiamo quotidianamente. Nelle ludoteche comunali, oltre i servizi ludici ed educativi, monitoriamo il percorso scolastico dei nostri bambini, sostenendoli con l’attività di doposcuola, in stretta relazione con le scuole di riferimento. Si tratta di colmare gap formativi importanti, cercando anche di sperimentare metodologie di apprendimento innovative ed efficaci al fine di scongiurare il rischio di dispersione scolastica. Ora più che mai, dopo le conseguenze devastanti dell’emergenza sanitaria, sia dal punto di vista della socialità che degli apprendimenti, sarebbe stato importante investire sui servizi che nei territori contrastano la povertà educativa».
Sensibilità cercasi
La disattenzione parte da lontano e non è una questione riferibile solo al presente. Negli anni sono stati svuotati i capitoli di bilancio destinati ai servizi educativi tutti, e non solo alle ludoteche.
«Noi abbiamo la convinzione – prosegue l’operatrice – che una città che non investe sui cittadini più giovani difficilmente possa investire sul presente e sul futuro delle comunità. I bambini e le bambine sono un parametro di riferimento ineludibile per misurare l’efficacia delle politiche educative e sociali. La questione infatti è soprattutto politica. C’è la necessità di sedersi attorno a tavoli in cui si possa discutere in modo autentico delle politiche educative e sociali. Le amministrazioni devono sentirsi in dovere di co-programmare e co-progettare con il terzo settore e con l’intera comunità educante. Solo così possono essere superati gli ostacoli, anche di natura economica, che rischiano di invalidare percorsi virtuosi per la nostra collettività».
Meron Mulugeta, mamma di bimbi utenti delle ludoteche
«Diversamente, il tutto rischia di tradursi – continua – in una erogazione sterile e a singhiozzo di servizi che non vengono messi a sistema e che non producono benessere per i territori. A cosa e a chi serve, ad esempio, aprire le ludoteche sei mesi all’anno? I servizi educativi hanno bisogno di continuità. L’interlocuzione con chi governa la città è fondamentale, dobbiamo superare questo anno zero in cui chi governa non ha forse nemmeno piena contezza dell’importanza di alcuni servizi educativi».
Perdere il lavoro, dopo 25 anni di strada
Nella cooperativa e presso le ludoteche comunali operano 15 educatori. Al momento i contratti sono tutti sospesi. «Questo – conclude Ciambrone – è un fatto gravissimo. Ma non solo dal punto di vista occupazionale. Il problema è anche qui politico. Noi non ci sentiamo solo un posto di lavoro che si perde. Ci sentiamo depositarie di competenze educative precise che intendiamo mettere a disposizione della comunità in cui viviamo. In questi 25 anni siamo entrate, con cura e delicatezza, nella vita di migliaia di famiglie, cercando di lavorare sulle risorse insite nei territori, cercando di fare emergere processi di empowerment indispensabili per maturare cambiamenti reali nei contesti di riferimento. Per questo noi non ci percepiamo come un semplice problema occupazionale. Ci sentiamo soggetti autorevoli per poter dare vita a percorsi virtuosi e non più procrastinabili di co-costruzione di politiche educative efficaci».
Per lunedì mattina alle 10 è previsto un presidio di protesta ai piedi del municipio per ottenere le risposte non ancora arrivate. Sarà la volta buona?
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