Il Covid in Calabria oggi (17 marzo) fa registrare 4.008 nuovi contagi rispetto a ieri. I tamponi effettuati sono stati 15.222. Il tasso di positività è del 26,33%. I guariti sono 1.624. Sono 11 i decessi.
Questi sono i dati del giorno relativi alla pandemia comunicati dalle Asp di Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia alla Regione e riportati nel bollettino quotidiano della Cittadella.
I casi di Covid in Calabria oggi, provincia per provincia
Territorialmente, dall’inizio dell’epidemia, i casi positivi sono così distribuiti:
Catanzaro: CASI ATTIVI 4.986 (67 in reparto, 7 in terapia intensiva, 4.912 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 27883 (27.641 guariti, 242 deceduti).;
Cosenza: CASI ATTIVI 22.160 (113 in reparto, 1 in terapia intensiva, 22.046 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 37.171 (36.228 guariti, 943 deceduti;
Crotone: CASI ATTIVI 4.527 (26 in reparto, 0 in terapia intensiva, 4.501 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 21.708 (21.516 guariti, 192 deceduti);
Reggio Calabria: CASI ATTIVI 12.359 (127 in reparto, 6 in terapia intensiva, 12.226 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 93.321 (92.660 guariti, 661 deceduti);
Vibo Valentia: CASI ATTIVI 14.374 (12 in reparto, 0 in terapia intensiva, 14.362 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 15.658 (15.500 guariti, 158 deceduti).
L’Asp di Catanzaro comunica 463 nuovi soggetti positivi di cui 3 fuori regione. L’Asp di Cosenza comunica 1.004 nuovi soggetti positivi di cui 5 fuori regione. Precisa che dei 3 decessi comunicati oggi 1 è avvenuto a domicilio il 15/03/2022.
La metafora veicola una suggestione da scrittore, ma la sostanza restituisce il pragmatismo del manager: Santo Gioffrè nella vita ha fatto e fa entrambe le cose. Dunque, se gli si chiede cosa pensi della creazione dell’Azienda Zero come cura per la sanità calabrese, risponde così: «Mi sembra un tentativo di prendersi la carne e lasciare le ossa alle Asp».
La lobby masso-bancaria e la Sanità calabrese
Lui un’Asp l’ha guidata. Nel 2015 è stato commissario straordinario dell’Azienda più inguaiata di Calabria, quella di Reggio, raccontando poi quell’esperienza in un libro-testimonianza sulla «grande truffa nella sanità calabrese» . Quanto il suo sguardo sul «sistema» sia disincantato lo si intuisce subito: «C’è, almeno dal 2005, una lobby masso-bancaria che in combutta con i colletti bianchi ha creato un meccanismo attraverso il quale si è reso impossibile conoscere o risalire alla vera contabilità delle Asp».
L’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria
Il nodo, secondo Santo Gioffrè, sta tutto lì: «Se non ricostruiscono il debito, portando a galla tutti gli interessi che ci sono dietro, possono inventarsi pure la luna». Dunque l’Azienda zero «in linea di principio potrebbe anche funzionare, ma in un contesto sano». In quello attuale, «se non sai se ciò che stai pagando è già stato pagato, come fai?». C’è poco da girarci attorno: «Bisogna accertare chi si è preso i soldi, quanti ne ha presi e come li ha presi. Un’operazione di questo tipo si vuole fare? Serve una volontà di ferro».
Il debito mai quantificato
Proprio in questi giorni Roberto Occhiuto si è mostrato sicuro: «Abbiamo messo su una procedura – ha annunciato su Facebook – per accertare il debito entro il 31 dicembre 2022». Se ne occuperanno dei «gruppi di lavoro» che, tra il Dipartimento regionale e le Aziende del servizio sanitario, dovrebbero avere il supporto della Guardia di finanza per provare a capire quanto sia grande il buco nei conti. E così riuscire dove hanno fallito, in 12 anni di commissariamento, fior di generali delle stesse Fiamme gialle e dei carabinieri.
Fin dall’avvio del Piano di rientro (era la vigilia di Natale del 2009) sono stati macinati commissari e spesi miliardi senza cavare un ragno dal buco. Con l’aggravante che ci si è avvalsi di una società, la Kpmg Advisory, che doveva appunto dare una mano nella ricognizione e riconciliazione del debito pregresso. È finita malissimo. Carlo Guccione ha dichiarato in consiglio regionale che, dal 2008, questa società ha ricevuto compensi per 11 milioni di euro. Ma l’entità del debito ancora non la sappiamo.
La Kpmg e quell’ufficio regionale
La storiaccia calabrese della Kpmg si incrocia, a questo proposito, con quella di una sigla poco nota ai non addetti ai lavori, BDE, che significa Bad Debt Entity. «Si trattava di un ufficio creato in Regione nel 2010 con l’intento di ripianare i debiti delle Aziende sanitarie e ospedaliere», spiega il manager-scrittore. I soldi, circa 500 milioni di euro, arrivavano da un mutuo contratto dalla Regione. «I debiti si pagavano in base alla certificazione delle fatture effettuata da Kpmg. Dopo 4 anni (fine ottobre del 2014) le somme residue sono state date, con una specie di forfait, alle Aziende: “pagate voi”, dissero da Catanzaro. E le Aziende cominciarono a fare le transazioni in base alle tabelle fornite da Kpmg».
Una delle sedi dela Kpmg, colosso internazionale della revisione contabile
Il meccanismo si inceppa
In uno schema di transazione utilizzato spesso dalle Aziende si sostiene che grazie alla BDE ci sarebbe stata «una riduzione del livello di indebitamento verso gli istituti tesorieri e un decremento dei relativi interessi passivi sulle anticipazioni di cassa nel corso dell’esercizio 2015». Qualcosa però deve essersi poi inceppato visto che negli anni successivi sono emerse «varie difficoltà da parte delle Aziende Sanitarie nell’efficace utilizzo delle risorse ricevute per il pagamento del debito pregresso, dovute principalmente alla carenza di figure professionali e competenze tecnico specialistiche nello svolgimento delle attività amministrative per il perfezionamento con i debitori di transazioni e nella emissione dei mandati di pagamento, nonché a difficoltà connesse alla verifica delle partite debitorie già pagate in esecuzione di assegnazioni giudiziarie, al fine di evitare pagamenti multipli per medesime fatture».
Le origini del bilancio orale secondo Santo Gioffrè
Ecco, le fatture pagate due volte ai privati. È proprio ciò che si è puntualmente verificato – come di recente confermato dalla Corte dei conti – e che Gioffrè ha denunciato. Da anni va ripetendo, carte alla mano, cosa si celi dietro i «pignoramenti non regolarizzati» a cui «mai nessuno, dal governo a ogni istituzione che ne avrebbe il dovere, ha voluto mettere mano». Come funzionava il sistema? «Le aziende creditrici si rivolgevano al giudice, che ordinava il pignoramento presso terzi, cioè alla banca che svolgeva il servizio di Tesoreria per l’Azienda. L’istituto bancario però non trasmetteva all’Asp le minute delle fatture che pagava. È questa l’origine del famigerato “bilancio orale” che ha sconquassato tutto. L’Asp non negativizzava quel debito, che rimaneva sempre attivo, anche se i soldi se li erano presi».
Dietro ci sarebbe la «lobby» che, grazie ai mancati controlli e a qualche complicità nelle stanze delle Asp, avrebbe provocato una lievitazione spropositata di pignoramenti non regolarizzati. Che quando Gioffrè si è insediato, a marzo del 2015, ammontavano a «circa 400 milioni di euro», ai quali va aggiunto il resto del contenzioso. «Quando ho capito il meccanismo mi sono messo in testa di ricostruire il bilancio, per farlo però avevo bisogno diventi persone che esaminassero ogni tipo di pagamento fatto. E lì mi hanno fermato».
In nove anni 600 commissari ad acta
Questo fa capire perché nessuno, dal 2013, sia riuscito ad approvare il bilancio dell’Asp di Reggio, dove in due anni si sono insediati «ben 600 commissari ad acta per il recupero crediti». Gioffrè legge incredulo la relazione in cui un suo predecessore parlava – era il 2014 – di «quasi 349 milioni corrispondenti a mandati di pagamento effettuati ma non ancora contabilmente imputati e regolarizzati». Vi si aggiungeva che «nel passaggio di consegne dal vecchio al nuovo tesoriere non sarebbero state fornite le carte e tutto ciò che veniva pagato non veniva inserito nel sistema di contabilità».
Tutte fuori dal Piano di Rientro, Calabria esclusa
Questa sarebbe l’origine di un disastro debitorio che, negli anni successivi, sarebbe arrivato a sfiorare, solo a Reggio, il miliardo di euro. Tutto a causa di una «complicità verticale» che ha reso «marcio» l’intero settore. La controprova? Semplice: «Su 10 Regioni entrate in Piano di rientro ormai oltre un decennio fa 9 ne sono uscite. La Calabria invece rimane in questa condizione e rischia di non uscirne mai. Perché il Piano di rientro ha a che fare con la finanza e l’economia. I calabresi sono numeri».
La sede della Regione Calabria a Germaneto
«Tutto ciò – conclude amaramente Gioffrè – ha prodotto un blocco delle assunzioni che ha fatto saltare due generazioni di professionisti e ha ridotto la capacità di dare risposte terapeutiche e di prevenzione. Con un aumento di mortalità pari al 4% rispetto alle regioni che non sono più in Piano di rientro. Non ci sono medici. C’è una sola università. Intanto paghiamo 330 milioni all’anno alle regioni del Nord per la mobilità passiva. Il sospetto che da Roma vogliano mantenerci in questa condizione sorge, eccome».
Il Covid in Calabria oggi (16 marzo) fa registrare 3.405 nuovi contagi rispetto a ieri. I tamponi effettuati sono stati 13.756. Il tasso di positività è del 24,75%. I guariti sono 1.445.
Questi sono i dati giornalieri relativi alla pandemia comunicati dalle Asp di Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia alla Regione e riportati nel bollettino quotidiano della Cittadella.
I casi di Covid in Calabria oggi, provincia per provincia
Territorialmente, dall’inizio dell’epidemia, i casi positivi sono così distribuiti:
Catanzaro: CASI ATTIVI 4.773 (65 in reparto, 8 in terapia intensiva, 4.700 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 27.197 (26.956 guariti, 241 deceduti;
Cosenza: CASI ATTIVI 21.211 (111 in reparto, 1 in terapia intensiva, 21.099 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 37.121 (36181 guariti, 940 deceduti);
Crotone: CASI ATTIVI 4.187 (27 in reparto, 0 in terapia intensiva, 4.160 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 21.573 (21.383 guariti, 190 deceduti);
Reggio Calabria: CASI ATTIVI 11.617 (123 in reparto, 6 in terapia intensiva, 11.488 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 92.341 (91.683 guariti, 658 deceduti);
Vibo Valentia: CASI ATTIVI 14.129 (9 in reparto, 0 in terapia intensiva, 14.120 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 15.559 (15.403 guariti, 156 deceduti).
L’ASP di Catanzaro comunica 440 nuovi soggetti positivi di cui 1 fuori regione. Quella di Cosenza comunica 924 nuovi soggetti positivi di cui 8 fuori regione. L’ASP di Crotone comunica 293 nuovi soggetti positivi di cui 7 fuori regione. Quella di Vibo Valentia comunica 407 nuovi soggetti positivi di cui 3 fuori regione.
Il Covid continua a diffondersi in Calabria con numeri che destano preoccupazione. Sono 4.547 i casi registrati oggi a fronte di 17.892 tamponi. Un dato che fa schizzare il tasso di positività a percentuali mai registrate finora: 25,41%. Il bollettino odierno della Regione riporta, inoltre, sei decessi, che vanno ad aggiungersi ai 2.185 di questi lunghi mesi.
Covid in Calabria, i dati di oggi provincia per provincia
Questi i numeri di oggi comunicati dalle Aziende sanitarie provinciali alla Cittadella, calcolati come di consueto dall’inizio della pandemia:
Catanzaro: CASI ATTIVI 4.773 (65 in reparto, 8 in terapia intensiva, 4.700 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 27.197 (26.956 guariti, 241 deceduti),
Cosenza: CASI ATTIVI 20.348 (100 in reparto, 2 in terapia intensiva, 20.246 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 37.068 (36.131 guariti, 937 deceduti);
Crotone: CASI ATTIVI 4.015 (29 in reparto, 0 in terapia intensiva, 3.986 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 21.459 (21.270 guariti, 189 deceduti);
Reggio Calabria: CASI ATTIVI 11.070 (125 in reparto, 6 in terapia intensiva, 10.939 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 91.547 (90.891 guariti, 656 deceduti);
Vibo Valentia: CASI ATTIVI 13.898 (9 in reparto, 0 in terapia intensiva, 13.889 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 15.386 (15.230 guariti, 156 deceduti).
Il resoconto della giornata non si ferma qui. Nel bollettino diffuso dalla Regione si legge, infatti, che «per mero errore materiale nel bollettino regionale del 14.03.2022 sono stati comunicati dall’Asp di Catanzaro 26.255 guariti anziché 26.570. Inoltre, l’Asp di Catanzaro comunica 537 nuovi soggetti positivi di cui 4 fuori regione. L’Asp di Cosenza comunica 1.286 nuovi soggetti positivi di cui 16 fuori regione».
L’ultima doccia di realtà è arrivata, bella fredda, dalla solita Corte dei conti. Che proprio nei giorni scorsi, all’inaugurazione dell’anno giudiziario, ha aggiunto alla vergogna dei fondi Covid non spesi – 77 milioni di euro di cui si era già parlato a fine anno – quella, ugualmente nota, degli importi pagati per prestazioni già remunerate (quindi pagati due volte), per prestazioni extrabudget, per interessi e indennità non spettanti. Somme «veramente notevoli» che ammontano, in totale, ad «almeno 61/65 milioni di euro». Cioè a oltre due terzi del disavanzo sanitario (91 milioni di euro) emerso dall’ultimo Tavolo “Adduce”.
La strigliata della Corte dei Conti
Il passato e il presente della sanità calabrese sono questo. Li ha descritti impietosamente il procuratore regionale Maria Rachele Anita Aronica parlando del «frequente ricorso, da parte dei creditori delle Aziende sanitarie e, in particolare da parte degli Enti accreditati, allo strumento della cessione di credito a società deputate istituzionalmente al recupero crediti, senza però che il credito sussista o perché già pagato o perché non esistente, per di più, talora, anche sovrastimato».
Le transazioni si sono spesso concluse con il pagamento di crediti in realtà già saldati o di interessi «con conseguenze devastanti in caso di mancato pagamento anche di una sola rata residuale e d’importo notevolmente inferiore rispetto a quanto già pagato». Sono inoltre stati corrisposti «abnormi importi (svariati milioni di euro) per interessi, rivalutazione e spese di giudizio, a seguito di decreti ingiuntivi non opposti e alla nomina dei Commissari ad acta per l’esecuzione del giudicato».
L’Asp di Reggio, si sa, non ha presentato i Bilanci dal 2013 fino al 2018. L’Asp di Cosenza non lo fa dal 2017. Anche le altre Aziende (sanitarie e ospedaliere) non se la passano bene: nel 2020 tutte hanno chiuso in perdita. Le Asp di Reggio e Catanzaro sono state pure commissariate per mafia. E i vari commissari alla Sanità nominati dal governo «non sono riusciti a porre fine al caos contabile e organizzativo né, d’altra parte, hanno potuto contare su un valido reale supporto di personale».
Il deficit della Sanità aumenta
Questo aspetto lo ha evidenziato la Corte Costituzionale in una sentenza del 2021 sul Decreto Calabria. In quel verdetto la Consulta ha scritto: «Solo nella Regione Calabria (…) le irregolarità registrate nella gestione regionale della sanità hanno assunto livelli di gravità mai riscontrati in precedenza». La Corte dei conti ci ha messo sopra il carico: «Purtroppo il caos contabile e la disorganizzazione sono inevitabilmente fonte di mala gestio e terreno fertile per la criminalità organizzata che trova nutrimento in questi fenomeni, prosperando ancor di più».
La Corte Costituzionale
Un quadro «desolante aggravato dal deficit che, come è stato detto in sede di parifica, non si è ridotto in misura sensibile dopo oltre dieci anni – dal 2009 – anzi è sicuramente di molto superiore, considerato che non si dispone di alcuni dati/Bilanci certi». Per il procuratore regionale è «evidente che se non si pone fine a questa insensata situazione attraverso un’adeguata programmazione, un congruo monitoraggio e utilizzo di idonei strumenti informatici nonché di personale, qualitativamente e quantitativamente appropriato, il rientro dal disavanzo sanitario non potrà avvenire».
Con l’Azienda zero, e con un aiutino della Guardia di finanza, è convinto di poter tagliare sprechi, doppi pagamenti e altre varie nefandezze mettendo ordine nei conti del sistema sanitario, con tanto di sospirata quantificazione del debito complessivo della sanità calabrese entro la fine del 2022. Dall’istituzione della nuova creatura a oggi si sono però consumati dei passaggi politici e legislativi che probabilmente, tra rimandi normativi e modifiche di articoli e commi, ai cittadini sfuggono nel loro significato reale.
Concentrato di poteri
La legge istitutiva è stata approvata dal consiglio regionale lo scorso 14 dicembre. Tra le competenze assegnate c’è la centralizzazione degli acquisti e l’espletamento delle procedure di selezione del personale delle Aziende del Servizio sanitario. Spese e concorsi, insomma, li gestisce direttamente l’Azienda zero. Che si prende anche gli accreditamenti delle strutture sanitarie e sociosanitarie. Non proprio bazzecole, se si pensa a cosa hanno significato e significano tuttora le assunzioni e gli interessi dei privati per la sanità calabrese.
Ci sono poi le funzioni della Gestione Sanitaria Accentrata (GSA). Si tratta di un cervellone che tiene la contabilità di tutti i rapporti economici, patrimoniali e finanziari intercorrenti fra la Regione e lo Stato, le altre regioni, le Aziende sanitarie, gli altri enti pubblici e i terzi. Pure questa non è esattamente robetta. Viene da chiedersi cosa rimanga alle Asp e a cosa serva mantenere in vita il dipartimento regionale Sanità.
Le prime modifiche ad Azienda zero
Comunque: un altro passaggio legislativo si è consumato lo scorso 28 febbraio. Il consiglio regionale ha approvato due proposte di legge che modificano quanto era stato previsto a dicembre per il nuovo moloch della sanità calabrese. La prima porta la firma di due fedelissimi del presidente, Pierluigi Caputo e Salvatore Cirillo. Tra gli «interventi di manutenzione normativa» hanno inserito l’assegnazione all’Azienda zero di tutto il sistema regionale dell’emergenza urgenza 118 ed elisoccorso e il numero unico di emergenza 112.
Roberto Occhiuto con il fedelissimo Pierluigi Caputo
Ma non solo: il nuovo ente attuerà «la programmazione, il controllo e il monitoraggio dei Lea in materia di emergenza urgenza e pre e intraospedaliera in linea con gli indirizzi regionali e nazionali». Anche questa non una cosa da poco: i Lea (Livelli essenziali di assistenza) risultano decisivi ogni qual volta il governo verifica lo stato di attuazione del Piano di rientro.
Il baratto tra Governo e Occhiuto
L’altra proposta approvata a fine febbraio porta invece la firma dello stesso Occhiuto. È composta da una serie di modifiche che, con ogni evidenza, il governo ha chiesto in cambio della decisione benevola di non impugnare la legge istitutiva. In alcuni casi si tratta di refusi o di chiarimenti interpretativi. In altri proprio no. Come nel caso della cosiddetta norma di salvaguardia.
Questa ha lo scopo di «garantire le prerogative spettanti al commissario ad acta fino al termine del periodo di commissariamento, nonché a salvaguardare l’applicazione delle norme nazionali». Sembrano passaggi tecnici, ma sono sostanziali. La norma specifica che fino a quando sarà in atto il commissariamento sono «fatte salve, nell’attuazione della presente legge, le competenze attribuite al Commissario ad acta».
Il pallino resta in mano a Roma
La seconda aggiunta prevede che la legge su Azienda zero si applichi «laddove non in contrasto con quanto disposto dal decreto-legge 10 novembre 2020, n. 150 (il “Decreto Calabria”, ndr). È chiaro, insomma, che il governo si è tutelato: ha messo dei paletti all’Azienda zero e ha richiamato la centralità del commissario. Che sì, al momento è sempre Occhiuto, ma ove mai si incrinasse qualcosa nei suoi rapporti con Roma, Palazzo Chigi potrebbe nominare qualcun altro togliendo il pallino della sanità dalle sue mani. La nomina del direttore generale dell’Azienda zero, che ne è il legale rappresentante ed esercita le funzioni della GSA, spetta infatti al commissario ad acta.
Azienda zero: un nuovo carrozzone?
Il governatore/commissario, nel dare vita alla sua creatura, si è comunque guardato dal ricalcare la frettolosità di chi guidava la Regione nel 2007. Era l’epoca Loiero-Lo Moro e, a sorpresa, il consiglio regionale, con un emendamento al collegato alla Finanziaria, cancellò le 11 Aziende sanitarie locali per creare, al loro posto, le attuali cinque Asp provinciali. L’articolo 1 della legge sull’Azienda zero dispone invece che l’ente entri in funzione solo nel momento in cui la giunta regionale approverà una delibera che ne disciplini i tempi di attuazione.
La sede dell’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza
Dunque al momento esiste solo sulla carta. E resta da vedere se la creazione di questa Azienda, che come ogni nuovo ente pubblico in Calabria è ad alto rischio carrozzone, possa davvero rivelarsi la cura giusta per le purulenti ferite della sanità calabrese. Che continuano a sanguinare debiti e disavanzo. E assorbono, come da ultimo bilancio approvato dalla Regione, il 62% delle risorse a disposizione: 3,9 miliardi di euro solo per il 2022.
Il Coronavirus in Calabria oggi (9 marzo) fa registrare 2.532 nuovi contagi rispetto a ieri. I tamponi effettuati sono stati 11.453. Il tasso di positività è del 22,11%.
Questi sono i dati giornalieri relativi alla pandemia da Covid-19 comunicati dalle Asp di Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia alla Regione e riportati nel bollettino quotidiano della Cittadella.
Territorialmente, dall’inizio dell’epidemia, i casi positivi sono così distribuiti:
Catanzaro: CASI ATTIVI 4.371 (63 in reparto, 6 in terapia intensiva, 4302 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 25.832 (25.597 guariti, 235 deceduti).
Cosenza: CASI ATTIVI 15.976 (92 in reparto, 3 in terapia intensiva, 15.881 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 36.383 (35.461 guariti, 922 deceduti).
Crotone: CASI ATTIVI 3.926 (28 in reparto, 0 in terapia intensiva, 3.898 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 19.801 (19.614 guariti, 187 deceduti).
Reggio Calabria: CASI ATTIVI 10.202 (116 in reparto, 5 in terapia intensiva, 10.081 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 86.964 (86.316 guariti, 648 deceduti).
Vibo Valentia: CASI ATTIVI 12.771 (9 in reparto, 0 in terapia intensiva, 12.762 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 15.147 (14.993 guariti, 154 deceduti).
L’Asp di Crotone comunica 431 nuovi soggetti positivi di 3 fuori regione.
L’Asp di Cosenza comunica 800 nuovi soggetti positivi di cui 4 fuori regione.
Chi tocca certi fili muore. E forse non ha torto chi afferma che il problema della Sanità calabrese è “di sistema”. Cioè, è l’esito di una situazione incancrenita da decenni di cattive prassi, che si riassumono in un’espressione: inefficienza totale.
La quale si riflette, in maniera pesante, sulla salute dei cittadini e sull’economia di tutto il territorio, considerato che le strutture sanitarie calabresi inglobano il 75% del bilancio regionale. Sono cose note. Meno note sono le statistiche globali, pubblicate la scorsa estate da Openpolis.
A dicembre 2020, le Aziende – sanitarie e ospedaliere – commissariate in Italia erano 34. A luglio 2021 il numero si è ridotto della metà, perché sono uscite dal commissariamento la Valle d’Aosta, l’Umbria e le Aziende piemontesi, liguri e venete finite nel mirino. Circa metà delle 17 Aziende rimaste sono calabresi.
Gli altri numeri sono evanescenti e virtuali. Ci si riferisce alla contabilità, che risulta impossibile ricostruire con precisione. Ma anche i numeri approssimativi fanno paura.
L’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria
Dieci anni e otto commissari
Riavvolgiamo il nastro per capire che nulla è cambiato, nonostante dieci anni di controlli (si fa per dire…) romani e otto commissari.
A fine 2010, il disavanzo complessivo della Sanità calabrese era di 1 miliardo 46 milioni e 983mila euro. A poco, così rilevava il “famigerato” tavolo Massicci, erano serviti gli accorpamenti delle Aziende sanitarie locali nelle cinque Asp, avvenuta nel 2008.
Alla fine dell’amministrazione Oliverio, il debito rilevato, più o meno a tentoni, dalla Corte dei Conti era di 1 miliardo e 51 milioni.
La beffa ulteriore emerge dalla demografia: nel 2010 gli abitanti della regione erano 2 milioni e 10mila circa, ora sono 1 milione 849 e 145. I calabresi calano, i debiti aumentano e non sono proprio leggeri: circa 539 euro per abitante. Davvero, in tutto questo disastro, ha un senso la caccia al responsabile?
La sede dell’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza
Il garantismo è impossibile
È impossibile raccontare la storia recente della Sanità calabrese prescindendo dai suoi risvolti giudiziari, a volte pesantissimi, che vanno dai “banali” abusi d’ufficio ai falsi in bilancio, dove rintracciabili.
È il caso dell’Asp di Cosenza, una delle più grandi Aziende del Paese, di cui si sospetta un triennio di bilanci farlocchi (2015-2017). Su questi bilanci farà luce il processo Sistema Cosenza, che inizierà a breve, nel quale risultano indagati i due ex commissari regionali Massimo Scura e Saverio Cotticelli e l’ex direttore generale dell’Azienda cosentina Raffaele Mauro.
I tre presunti bilanci falsi di Cosenza più i problemi contabili esplosi nel 2018 hanno fatto ipotizzare perdite di bilancio per circa 600 milioni. Peggio che andar di notte a Reggio, dove i bilanci semplicemente non esistono, e a Catanzaro, dov’è emerso lo zampino delle ’ndrine.
L’ex presidente della Regione ed ex commissario alla Sanità, Giuseppe Scopelliti
In principio era Peppe
Peppe Scopelliti era partito alla grande. Nel 2010 aveva stracciato Loiero alle urne e poi, a commissariamento dichiarato, si era lanciato in proclami degni più del giocatore di basket che era stato che di un politico: tagliare gli sprechi, rivedere le strutture fatiscenti, sforbiciare il personale di quel che serve.
Il tutto per un risparmio totale di circa 200 milioni. Peccato solo che Super Peppe, più lungo che lungimirante, non si fosse accorto che il punto debole della Sanità calabrese era proprio la sua Reggio: pochi e vaghi i dati forniti alla commissione ispettiva inviata dal ministero, bilanci evanescenti o comunque non rispettati, tendenza all’indebitamento e spese iperboliche.
I presupposti della contabilità “orale” che hanno reso famosa l’Asp reggina c’erano tutti.
C’è voluto Roger Waters con la sua recente sortita su Cariati per ricordare ai calabresi che “Pappalone” è riuscito nel “miracolo” di tagliare gli ospedali, ben sei nel solo Cosentino, ma non le spese. E a proposito di Cosenza: la parabola di Gianfranco Scarpelli, direttore generale dell’Asp, insegna che tagliare non basta. Infatti, il pediatra cosentino, notoriamente legato ai Gentile, aveva provato a mettere mano al contenzioso legale della sua Azienda e qualcosa l’aveva sforbiciata qui e lì. Ma questo non gli ha evitato le attenzioni dell’autorità giudiziaria e qualche scandalo giornalistico, culminati in un processo da cui è uscito per il rotto della cuffia.
Voto: 4 meno meno, perché una rockstar ci ha ricordato che ha gestito la Sanità.
Un manager alla carica
La Sanità calabrese ha ripetuto, nel piccolo, ciò che accadeva nel resto del Paese: l’eclissi ingloriosa della politica, dovuta al crollo del berlusconismo, e l’arrembaggio dei tecnici.
Infatti, il prudente Mario Oliverio, che aveva stravinto nel 2014 con una campagna elettorale piuttosto dimessa, è riuscito a non farsi tritare per la Sanità per il semplice motivo che (almeno formalmente) non l’ha gestita. La mission impossible è toccata a Massimo Scura, manager ingegnere di area Pd, che aveva rilevato il posto di Super Peppe dopo il breve interregno (circa sei mesi) di Luciano Pezzi, già subcommissario di Scopelliti.
Gli ex commissari alla Sanità Massimo Scura e Saverio Cotticelli
A Scura si deve riconoscere di aver provato per davvero a fare il commissario ad acta. Al punto di attirarsi le ire di Oliverio, arrivato al punto di annunciare iniziative eclatanti. Peccato solo che durante il triennio di Scura (2015-2018) si sono verificati i presunti falsi in bilancio dell’Asp cosentina, è avvenuto il commissariamento per mafia dell’Asp di Catanzaro, è arrivata al capolinea la vicenda della Fondazione Campanella e, contemporaneamente, sono esplose le magagne dell’Azienda ospedaliera di Cosenza. In pratica, sono emerse tutte le criticità già rilevate dalla Commissione ministeriale nel 2009.
Scura ha rimediato dalla sua esperienza calabrese un rinvio a giudizio per la vicenda della Task Force veterinaria regionale e un’inchiesta pesantissima.
Voto: 5 meno meno, per essere riuscito a far sembrare il Pd, quando era al governo, una forza di opposizione.
Il generale distratto
C’è da sperare che la Sanità regionale non anticipi le tendenze della politica nazionale, perché l’esperienza di Saverio Cotticelli, generale dei carabinieri in pensione, dimostra che neppure il peggiore Pinochet potrebbe mettere un po’ d’ordine.
Ad ogni buon conto, a Cotticelli, nominato dai cinquestelle in versione gialloverde e poi confermato nella versione giallorossa, non si possono fare troppi rilievi: a differenza di chi lo ha preceduto, non ha governato (e forse non ci ha neppure provato). Ha subito tutto ciò che gli capitava sotto e attorno. Anche la pandemia, che non si è accorto di dover gestire.
Voto: 3, perché fa quasi tenerezza.
L’asso pigliatutto
È durato appena nove giorni, giusto il tempo di farsi tritare dai media per l’infelice battuta sul Covid trasmissibile solo col bacio alla francese, tra l’altro genderfluid. Tuttavia, i calabresi conoscevano già Giuseppe Zuccatelli, ex presidente dell’Agenas, che aveva gestito il “Pugliese Ciaccio”, la “Mater Domini” e l’Asp di Cosenza.
Voto: in generale non pervenuto, ma comunque 3, per il doppio record del siluramento lampo e della dichiarazione maliziosa.
Il record di Giuseppe Zuccatelli: nove giorni da commissario per il piano di rientro sanitario
Il prefetto di ferro
C’è chi è durato meno di Zuccatelli: è Eugenio Gaudio, ex rettore della Sapienza, che il 17 novembre 2020 ha rifiutato l’incarico a commissario ad acta propostogli dal governo il giorno prima.
Si sa che i calabresi, quando qualcosa non va, diventano reazionari, invocano legge e ordine e sognano i prefetti, meglio se “di ferro”.
Chi meglio del supersbirro siciliano Guido Longo, conosciutissimo dai calabresi per essere stato prefetto di Vibo, quindi in prima linea nella lotta alle super ’ndrine?
Longo ha gestito la Sanità durante l’interregno di Spirlì con un piglio più burocratico che poliziesco. Infatti, ha amministrato in maniera “difensiva”: ha bocciato il bilancio dell’Asp di Crotone (2019), quelli di Vibo (2018-2019) e quello di Reggio (2019), l’unico che quell’Asp fosse riuscita a presentare. Non ha sbloccato le assunzioni e non ha applicato le norme anticovid.
Nella Sanità calabrese conoscevamo la medicina difensiva. Longo ha dimostrato che l’amministrazione può non essere da meno.
Voto: 5, per rispetto ai galloni.
Il prefetto Guido Longo, ex commissario alla Sanità in Calabria
Occhiuto ha ripoliticizzato la sanità calabrese
Dare i voti a Roberto Occhiuto, che ha “ripoliticizzato” la funzione di commissario ad acta è prematuro. Le sue sortite principali nel settore sono quelle relative all’Ospedale di Cariati (anche lui fan dei Pink Floyd?) e sul piano di assunzioni di medici e Oss per l’Annunziata di Cosenza.
Roberto Occhiuto non ha promesso le “montagne di pilu”. Ma qualcuno tra i suoi lo avrebbe fatto durante l’ultima campagna elettorale. Riuscirà il Nostro a resistere alle pressioni dei tanti che si aspettano il pane quotidiano dalla Sanità e premono dalle graduatorie che giacciono nelle stanze dei bottoni? Si accettano scommesse…
Il buco milionario nelle casse dell’Asp di Cosenza non è nemmeno quantificabile. L’ultimo bilancio approvato, sotto inchiesta della Procura che ipotizza numerosi falsi nella stesura del documento contabile, risale ormai a cinque anni (e otto commissari) fa. Una certezza però c’è: anche quest’anno si sborserà molto più di quanto accade nel resto della Calabria per i pasti dei degenti. La conferma arriva dall’albo pretorio dell’Azienda sanitaria provinciale, con due determine (la 140 e la 143) pubblicate nei giorni scorsi. Che confermano come la necessaria guerra agli sprechi per risanare i conti sia ben lontana dall’essere vinta. O, forse, combattuta.
Due gare vecchie di quindici e più anni
I due atti in questione riguardano, infatti, quella che, più che una gara, sembra una “maratona d’appalto” dal traguardo lontanissimo. Per comprendere meglio, però, bisogna fare un passo indietro e tornare al biennio 2006-2007. In Calabria la sanità territoriale è ancora materia per le Asl, destinate di lì a poco all’inglobamento nelle attuali macro aziende provinciali. In quegli anni si concludono due gare per la fornitura dei pasti ai degenti. La prima (2006) riguardal’ospedale di Acri e se l’aggiudica la Orma, la durata del servizio prevista dal bando è di 36 mesi più altri 24 eventuali. Di mesi da allora ad oggi ne sono passati quasi 200, ma Orma – o, meglio, Eurorist, che ne ha rilevato il ramo d’azienda interessato – è ancora lì, proroga dopo proroga, in attesa di una nuova procedura d’appalto.
L’ospedale di Acri
Da Rossano a tutta la provincia
La seconda, seppur successiva, ha implicazioni ancora maggiori sulle disastrate finanze dell’Asp. Stavolta siamo nell’ex Asl di Rossano, l’anno è il 2007. Ad aggiudicarsi la gara è una big del settore, la Siarc dell’ex presidente del Catanzaro Pino Albano. Anche qui la durata prevista da principio nel contratto è al massimo di cinque anni e, come nel caso precedente, il rapporto è ancora in essere dieci anni dopo la sua scadenza naturale. Con una differenza però: grazie a quell’aggiudicazione relativa alla sola area jonica, la Siarc si è vista assegnare anno dopo anno – senza, dunque, ulteriori procedure concorrenziali ad evidenza pubblica – i pasti per tutti gli altri ospedali (tranne Acri) di competenza dell’Asp di Cosenza.
Non ci sono più addetti interni per le mense di Castrovillari e Lungro? Si allarga il contratto alla Siarc. Il problema si ripropone a Paola e Cetraro? Riecco la Siarc, e pazienza se i pasti vengono preparati a Castrolibero, cittadina confinante con Cosenza e a decine di km di distanza dai due ospedali. All’elenco si aggiungono progressivamente la Casa albergo di Oriolo, l’Hospice di Cassano allo Jonio, il Centro Dialisi di Cosenza e il Centro Salute mentale di Montalto Uffugo, i presidi ospedalieri di San Giovanni in Fiore, Trebisacce e Praia a Mare. Tutto senza mai una gara e a prezzi che nulla hanno di concorrenziale, anzi.
Reggio e Catanzaro risparmiano, l’Asp di Cosenza no
Mentre via Alimena va avanti a colpi di proroga, infatti, la Regione prova a mettere a bando la fornitura dei pasti per tutti gli ospedali calabresi. Siamo già nel 2015 quando arrivano le prime aggiudicazioni: al Pugliese-Ciaccio di Catanzaro il cibo per ciascun paziente costerà da quel momento 10,99 euro netti, al Bianco-Morelli di Reggio si scende fino a 9,22. Siarc, che si era aggiudicata la vecchia gara del 2006 con un’offerta da 11,80 euro (Iva esclusa) a degente, nel frattempo è arrivata a chiederne 13,397oltre Iva a Paola e Cetraro. Dove doveva restare per soli sei mesi del 2015 e dove è ancora oggi a tariffe immutate. Quei pochi euro di differenza, moltiplicati per i 365 giorni di ogni anno extra trascorso e tutti i pazienti transitati dalle strutture sanitarie del Cosentino, diventano milioni di euro che si potevano risparmiare.
Poco importa che, anche di recente, la Corte dei Conti abbia bacchettato via Alimena spiegando che la proroga è «un istituto di carattere eccezionale e ad utilizzo estremamente circoscritto, non potendo rappresentare il rimedio ordinario per sopperire a ritardi e disfunzioni organizzative». O che abusarne si traduca, sempre secondo i magistrati, in potenziali «illegittimità» o, peggio, un «danno erariale».
Il pasticcio del bando
In realtà la vecchia gara della Regione, tra i vari lotti, prevedeva anche le forniture per Cosenza. Solo che quella parte del bando si è conclusa con un annullamento in autotutela da parte della Cittadella. Il Consiglio di Stato, infatti, aveva stangato la procedura valutandola «se non contraddittoria, quanto meno ambigua ed equivoca e, di conseguenza, tale da indurre in errore il concorrente nella formulazione dell’offerta». «Il bando – precisavano i giudici – non fa alcun cenno alla possibilità di proroga, il disciplinare la prevede in via eventuale e la fissa in un anno, il capitolato speciale la prevede come mera facoltà per la stazione appaltante per un periodo non tassativamente determinato, che può arrivare fino ad un anno». Insomma, un pastrocchio, curiosamente relativo al solo lotto cosentino, da risolvere con una nuova gara e un bando scritto a modo.
L’Asp di Cosenza e i commissari in fuga
Prima che si capisca chi, tra la Regione e l’Asp di Cosenza, debba organizzare il nuovo tentativo però passano, complici alcune modifiche normative a livello statale, altri cinque anni. Anni in cui a Cosenza si spendono circa 4 milioni di euro ogni dodici mesi per sfamare i pazienti. La nuova gara parte finalmente il 5 maggio 2020, la base d’asta soggetta a ribasso è di 2,7 milioni. C’è tempo fino al 30 ottobre per presentare le offerte, lo fanno in sei. Poi, il 22 dicembre dello stesso anno, l’Asp nomina la commissione giudicatrice. Tutto sembra andare finalmente per il meglio, ma dura meno di una settimana.
La sede dell’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza
Tre giorni prima di Capodanno, sei dopo la nomina, arrivano le dimissioni del presidente della commissione, Guglielmo Cordasco, «per impedimenti personali». A breve distanza lo segue la componente Maria Marano «per impedimenti oggettivi». Così, a inizio marzo 2021, arrivano a sostituirli rispettivamente Antonio Figlino e Rosa Greco. Figlino, però, resiste poco più del suo predecessore e dà l’addio il 14 aprile, sempre «per impedimenti personali». Al suo posto arriverà, il 12 maggio, Maria Teresa Pagliuso. Nel frattempo l’Asp chiude il 2021 sborsando per i pasti tre milioni di euro, 300mila in più di quelli che pagherebbe all’eventuale aggiudicataria se anche questa incredibilmente non offrisse un centesimo in meno della base d’asta.
Nuovi addii e proroghe
E così si arriva alle delibere 140 e 143 dei giorni scorsi. Con la prima si riconferma uno stanziamento di tre milioni di euro per i pasti dei degenti anche per il 2022 nelle more della conclusione della gara in corso. Soldi che si divideranno le solite Siarc ed Eurorist, «cui si aggiungono per le dialisi del CAPT di San Marco Argentano e il Poliambulatorio di Amantea procedure negoziate con ditte a livello locale».
La 143, invece, registra l’ennesimo addio alla commissione giudicatrice. Stavolta, sempre per «impedimenti personali», a lasciare la terna è la presidente Pagliuso. Dopo aver resistito 10 mesi in sella, cede il suo posto a Eugenio D’Amico. Tocca ricominciare, la strada verso l’aggiudicazione (e il risparmio) torna ad allungarsi, il buco nelle casse dell’Asp di Cosenza ad allargarsi. Coi soldi risparmiabili magari si potrebbero offrire più servizi ai cittadini. Ma poco importa, tanto paga Pantalone.
Il Coronavirus in Calabria oggi (2 marzo) fa registrare 1.566 nuovi contagi rispetto a ieri. I tamponi effettuati sono stati 10.057. Il tasso di positività è del 15,57%.
Questi sono i dati giornalieri relativi alla pandemia da Covid-19 comunicati dalle Asp di Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia alla Regione e riportati nel bollettino quotidiano della Cittadella.
Territorialmente, dall’inizio dell’epidemia, i casi positivi sono così distribuiti:
Catanzaro: CASI ATTIVI 4.378 (54 in reparto, 5 in terapia intensiva, 4.319 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 24.436 (24.208 guariti, 228 deceduti).
Cosenza: CASI ATTIVI 12.932 (96 in reparto, 4 in terapia intensiva, 12.832 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 34.811 (33.913 guariti, 898 deceduti).
Crotone: CASI ATTIVI 3.236 (27 in reparto, 0 in terapia intensiva, 3.209 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 19.094 (18.910 guariti, 184 deceduti).
Reggio Calabria: CASI ATTIVI 12.766 (90 in reparto, 8 in terapia intensiva, 12.668 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 79.526 (78.895 guariti, 631 deceduti).
Vibo Valentia: CASI ATTIVI 12.624 (9 in reparto, 0 in terapia intensiva, 12.615 in isolamento domiciliare); CASI CHIUSI 13.743 (13.590 guariti, 153 deceduti).
L’Asp di Cosenza comunica che oggi si registrano 543 nuovi casi; il numero complessivo dei casi è incrementato di 542 unità anziché di 543 unità in quanto un paziente è stato trasferito dalla terapia intensiva dell’AO di Cosenza a quella dell’Ao Mater Domini. Inoltre comunica 4 nuovi casi nel setting fuori regione.
L’Asp di Catanzaro comunica 57 nuovi soggetti positivi di cui 4 nel setting fuori regione.
Forse non tutti conoscono Nardodipace e, probabilmente, molti ne hanno sentito parlare per una banalizzazione mediatico-statistica che alla fine degli anni ’80 ne fece il «paese più povero d’Italia». Al di là delle etichette, è in realtà un paese simbolo delle aree interne. È l’ultimo Comune della provincia di Vibo e i suoi 1400 abitanti si dividono tra l’abitato principale, a 1000 metri di altezza, e 4 frazioni. Alcune contrade distano più di 30 km dal centro. Che a sua volta è lontano altri 20 km da Serra San Bruno, dove c’è l’ospedale più vicino. C’è gente, dunque, che per arrivarci deve fare almeno un’ora di auto, su strade dissestate che in inverno sono ricoperte di ghiaccio e neve.
Da Nardodipace a Serra San Bruno, ore per un’ambulanza: l’esposto del sindaco
Sempre che ce l’abbia, un’auto, che sia in grado di guidarla e che non stia tanto male da non poter raggiungere l’ospedale con mezzi propri. In quel caso la sorte dovrà essere clemente: l’unica ambulanza a disposizione per decine di migliaia di utenti potrebbe essere impegnata in un’altra emergenza e dunque metterci un bel po’ ad arrivare. È successo a una docente che proprio in una classe di Nardodipace si è accasciata a terra per una crisi ipertensiva ed è stata soccorsa dopo ore: non era presente in paese nemmeno il medico di base, così dopo l’episodio, approdato sulla stampa nazionale, il sindaco Antonio Demasi ha addirittura presentato un esposto ai carabinieri. Si è sempre parlato della necessità di una seconda ambulanza e in teoria ci sarebbe ma, in pratica, la si può utilizzare solo per trasporto sangue, dimissioni di pazienti Covid o consulenze specialistiche.
L’ospedale di Serra San Bruno
Da qualche mese è arrivato un medico in più, così al Pronto soccorso tutti i turni sono coperti. Per assicurare la presenza h24 si è fatto ricorso alle prestazioni aggiuntive – che costano all’Asp 1 euro al minuto – ed è capitato anche che qualcuno avesse un malore dopo un turno di 20 ore. Per il resto, in un ospedale in cui c’erano molti reparti attivi e addirittura si partoriva, oggi ci sono una ventina di posti letto di Medicina e altrettanti di Lungodegenza. La Chirurgia quasi non esiste: c’è un solo medico che fa Day Surgery ed è vicino alla pensione. Poi un solo anestesista per le urgenze e un solo medico anche per la Dialisi. Nessuno per la Radiologia, da dove i referti vengono trasmessi a Vibo con annessi disagi e ritardi.
Gli altri ospedali di montagna
Una situazione analoga a quella di Serra la si riscontra anche negli altri tre ospedali montagna, classificati come tali nei decreti dei vari commissari ad acta e su cui da oltre vent’anni aleggia lo spettro della chiusura. Quello che al momento sembra più attrezzato è il presidio di San Giovanni in Fiore, che ha comunque subìto un forte ridimensionamento e non è certo privo di criticità. Tanto che di recente è stata lanciata una petizione online che è già oltre le 1500 sottoscrizioni.
L’ospedale di San Giovanni in Fiore
San Giovanni in Fiore sta oltre i 1000 metri e gli ospedali più vicini sono a Crotone e Cosenza, tra i 50 e i 60 km. I suoi 17mila abitanti – ma contando i limitrofi l’utenza arriva a 30mila persone – hanno a disposizione un Pronto soccorso con 5 medici e una decina di anestesisti che ruotano in convenzione con l’ospedale di Crotone. Ci sono tre ambulanze ma non sempre hanno un medico a bordo. Poi 20 posti letto di Medicina e un reparto di Lungodegenza nuovo ma mai aperto. Soprattutto – e qui sta la differenza rispetto agli altri ospedali di montagna – c’è un reparto di Chirurgia che, a breve, dovrebbe tornare operativo con l’arrivo di un medico da Crotone e gli avvisi di mobilità per garantire il personale necessario.
Acri e Soveria Mannelli
L’ospedale di Acri
Ad Acri, che è un po’ più in giù come altitudine ma che è tra i 4 il Comune più popoloso, c’è il Pronto soccorso con la turnazione di 4 medici e, anche qui, un solo anestesista-rianimatore per le urgenze. Ci sono poi 16 posti letto Covid, destinati per lo più a pazienti non gravi che arrivano già da altri ospedali, ma è chiaro che la gestione dei percorsi dedicati impegna non poco il settore dell’emergenza. Sono attivi i 20 posti letto di Medicina e altri 10 in Dialisi, ma la Chirurgia è sostanzialmente ferma.
A Soveria Mannelli c’è la guardia attiva di 4 anestesisti e un medico per ogni turno di Pronto soccorso, ma c’è una sola ambulanza. La Medicina ha 22 posti, altri 4 sono in Lungodegenza. Mentre in Chirurgia, anche qui, si fa solo Day Surgery. L’ospedale del Reventino è al centro di un caso perché, nel dossier inviato ad Agenas dalla Cittadella con gli interventi da finanziare con il Pnrr, è stato previsto nei locali dell’attuale presidio un Ospedale di comunità. La nuova impostazione, votata più all’assistenza territoriale, difficilmente si concilierebbe con l’esistente, ma al Comitato Pro Ospedale di Soveria sono arrivate rassicurazioni sulle possibilità di modifica, anche perché solo un nuovo Dca potrebbe modificare la configurazione di ospedale di montagna.
Il Pronto soccorso dell’ospedale di Soveria Mannelli
Scopelliti, Loiero e gli ospedali di montagna
La politica non ha comunque mai mancato di utilizzare questi territori come bacini elettorali, non risparmiando promesse puntualmente smentite dai fatti. Ciò ha generato negli anni diversi movimenti civici di protesta iniziati con Peppe Scopelliti, destinatario di dure contestazioni ai tempi della famigerata chiusura di 18 ospedali e del ridimensionamento di quelli di montagna, che però secondo una previsione iniziale partorita già all’epoca di Agazio Loiero erano destinati alla chiusura.
Manifestazione davanti all’ospedale di Serra San Bruno, settembre 2011
Manifestazione a Serra San Bruno, 2015
Protesta a Soveria Mannelli
Una manifestazione per l’ospedale di Soveria Mannelli sul ponte Morandi a Catanzaro (foto dalla pagina Facebook “Comitato Pro Ospedale del Reventino”)
Gli epigoni di Scopelliti sui territori si producevano in annunci che davano addirittura come imminente l’attivazione non solo di reparti di Chirurgia h24 ma anche di qualche posto letto di Terapia sub intensiva. Tutte cose mai avvenute. Ma il commissario ad acta nominato dal governo Renzi, allora targato Pd, è riuscito a fare anche peggio. La rete ospedaliera disegnata da Massimo Scura per la montagna prevedeva una dotazione identica a quella precedente, andando però oltre in relazione alla costruzione dei “nuovi” ospedali. L’attivazione di quello di Vibo, per esempio, secondo Scura dovrebbe assorbire completamente tutti i posti letto presenti in provincia.
Oliverio sconfessato
Le manifestazioni partite dalla montagna hanno mobilitato migliaia di persone. E c’è sempre stato chi, come l’allora segretario regionale del Pd Ernesto Magorno e l’ex presidente della Regione Mario Oliverio, andava rassicurando i territori su cose che non poteva in realtà garantire. Nel 2015 il “decreto Scura” sulla riorganizzazione ospedaliera è arrivato anche sul tavolo del Presidente della Repubblica con un ricorso dei comitati montani finanziato da raccolte fondi tra i cittadini. Il ricorso è poi arrivato al Tar, che lo ha rigettato, facendo emergere che la giunta Oliverio, a parole critica verso Scura, nei fatti si era costituita in giudizio contro i comitati e in appoggio al commissario.
Massimo Scura e Mario Oiverio visitano un ospedale calabrese
Basta farsi un giro tra Nardodipace e Serra San Bruno, o salire fin nel cuore della Sila e del Reventino, per rendersi conto di quanto le rivendicazioni di queste popolazioni non siano neanche avvicinabili a quelle di chi pretende l’ospedale sotto casa. Non si invocano nemmeno più i punti nascita, per altro chiusi da tempo anche in ospedali più grandi come quello di Soverato. Si pretenderebbe quel poco che è previsto in provvedimenti mai attuati, come gli anestesisti e gli altri medici necessari per una gestione adeguata delle emergenze. E poi dei reparti di Chirurgia che non siano solo ambulatori in cui si rimuove qualche verruca.
Un caso che riguarda il 58% dei calabresi
Questi ospedali di frontiera sono l’unico avamposto sanitario, e dunque di garanzia di diritti primari nonché di minima civiltà, per migliaia di persone delle aree interne. E quando parliamo di aree interne ci riferiamo al 78% dei Comuni calabresi e al 58% degli abitanti della regione. Che si vedono spogliati di ogni servizio e devono pure sorbirsi, ciclicamente, la retorica della lotta allo spopolamento e dell’attrattività dei borghi. Meriterebbero una pur minima, ma reale, rappresentanza politica. Magari capace di fare meno passerelle e di pretendere risposte da Catanzaro e da Roma. Dall’assunzione del personale necessario alla modifica del decreto ministeriale che fissa gli standard ospedalieri in massimo 3,7 posti letto ogni 1000 abitanti. Altrimenti saremo costretti ancora a lungo a sopravvivere tra le tragedie delle «decine di Mesoraca» – tanto per citare non un passante, ma Roberto Occhiuto – che ci sono in tutta la Calabria.
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