Tag: sanità

  • Ecco Medicina all’Unical: la parte clinica sarà all’ospedale di Cosenza

    Ecco Medicina all’Unical: la parte clinica sarà all’ospedale di Cosenza

    «Parte Medicina all’Unical». È questo il titolo della nota stampa diramata dall’Università della Calabria e postata dal rettore Nicola Leone sulla sua pagina Facebook.
    «Medicina e Chirurgia TD (con cliniche all’Annunziata) – Il corso appartiene alla classe delle lauree magistrali LM-41 (Medicina e Chirurgia) e consente allo studente, al termine dei 6 anni e con il superamento di pochi esami aggiuntivi di ottenere un doppio titolo: sarà infatti dottore in Medicina e Chirurgia, con accesso quindi alla professione di medico, e in Ingegneria informatica, curriculum bioinformatico (laurea triennale)». Sono informazioni contenute nella nota stampa dell’Ateneo di Arcavacata.

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    L’Università della Calabria

    Medicina, Unical verso una svolta storica

    «Si tratta di una svolta storica – ha commentato il rettore Nicola Leone – che segue la riforma della proposta didattica di due anni fa. Un passaggio motivato principalmente da due necessità: dare risposta alla crescente domanda di formazione sanitaria che arriva dagli studenti calabresi, e andare in soccorso del territorio che vive da anni una profonda emergenza in campo sanitario, contribuendo allo sviluppo della sanità regionale e favorendo la crescita di competenza in settori strategici della medicina». I corsi di tutti i sei anni saranno quindi nel campus e i tirocini saranno svolti all’ospedale dell’Annunziata, che sarà interessato da un processo progressivo di clinicizzazione.

    «Il progetto – che è stato sostenuto anche dal governatore della Regione e commissario ad acta per la sanità, Roberto Occhiuto – porterà all’ospedale cosentino nuove risorse e valorizzerà i medici già presenti in ospedale, che potranno essere coinvolti nei processi formativi dell’università».

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    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Medicina, Unical incassa via libera del Coruc

    L’Unical ha già stanziato un primo investimento per l’assunzione di otto ricercatori universitari che svolgeranno attività di didattica e di ricerca in ateneo e che – dopo la firma della convenzione con l’Azienda ospedaliera di Cosenza – potranno prestare servizio clinico in ospedale, unitamente a tre professori medici già nell’organico dell’Unical. I settori disciplinari degli otto ricercatori sono stati prescelti su specialità mediche ad alta migrazione sanitaria e relative a posti attualmente vacanti nell’organico ospedaliero.
    Il Coruc – Comitato regionale di coordinamento delle università calabresi – ha dato il via libera all’istituzione di quattro nuovi corsi di laurea proposti dall’Unical e che entreranno nell’offerta formativa a partire dall’anno accademico 2023-2024, subito dopo il via libera dell’Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) e del Ministero dell’Università e della ricerca, che dovrebbe arrivare nei prossimi mesi.

    Al via pure la laurea in Infermieristica

    L’offerta formativa d’area sanitaria dell’Unical si amplierà nel prossimo anno accademico con l’avvio del corso di laurea in Infermieristica (L/SNT1 – Lauree in professioni sanitarie infermieristiche e professione sanitaria ostetrica). Il corso, che abilita alla professione di infermeria, prevede che le attività di tirocinio si svolgano presso le strutture dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza, dell’Asp e dell’Inrca, offrendo così un ulteriore contributo alla struttura con il rafforzamento delle risorse umane disponibili. Gli studenti di Infermieristica svolgono infatti, nel corso del triennio, 1800 ore di tirocinio in corsia e sul territorio. L’attivazione del corso viene incontro alla forte domanda di formazione che arriva degli studenti calabresi, molti dei quali sono costretti a lasciare la Calabria per frequentarlo, e alla richiesta di risorse umane che arriva dal territorio: si stima in regione una carenza di quasi 3mila infermieri.

  • Disabilità e inclusione: una rivoluzione tutta calabrese

    Disabilità e inclusione: una rivoluzione tutta calabrese

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    Quante difficoltà devono affrontare i disabili e i loro familiari? E in Italia quanti diritti effettivi godono?
    Forse proprio la Calabria ha iniziato una piccola rivoluzione che, a partire da alcune situazioni critiche, potrebbe dare il via a una nuova epoca. Certo, la situazione non è rosea, a partire dai progetti individuali. Da noi, infatti esistono ritardi nell’applicazione della legge 328 del 2000. Le previsioni di questa normativa ora sono incluse nei fondi del Pnrr.

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    La sede regionale del Tar

    Tar e disabilità

    La magistratura ha dovuto dare la classica “strigliata” al sistema.
    Infatti, il Tar di Catanzaro ha dato una risposta a due famiglie annullando le note dei Comuni di Vibo Valentia e di Lamezia Terme.
    Un record, in questa materia delicata, grazie al quale i nostri giudici amministrativi tallonano le decisioni pionieristiche di Aosta e Catania.
    Nello specifico, parliamo dei genitori di due minori che nel 2019 avevano chiesto ai propri Comuni di adottare i progetti individuali per disabili. Questi progetti devono essere inoltrati dal Comune, in sinergia con l’Azienda sanitaria territoriale, per attingere ai fondi regionali.

    Vibo e Lamezia: due realtà nel mirino

    Vibo e Lamezia e le rispettive Asp avevano provato a sottrarsi. Ma il Tar di Catanzaro ha deciso altrimenti e ha ordinato a Comuni e Asp di concludere entro 90 giorni il procedimento.
    Queste due sentenze, tra le prime in Italia, sono finite in molti siti web specializzati in Sanità o di legali esperti in materia. I giudici hanno stabilito che i diritti dei disabili sono esigibili, quindi devono avere risposta immediata, pena la condanna.
    La Calabria sarà pure indietro nella tutela dei disabili, ma forse la magistratura è avanti. E ha qualche potere particolare: ad esempio, quello di nominare commissari ad acta. Insomma, non si scherza più.

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    Barriera architettonica a Vibo

    Io autentico: una onlus in lotta per i disabili

    La onlus “Io autentico” di Vibo, in prima linea nella tutela degli autistici, ha fatto il punto sui progetti per disabili. «Abbiamo avviato da tempo un intenso lavoro di sollecitazione e di affiancamento con diversi enti locali e sanitari, oltre che con la Regione. Abbiamo partecipato attivamente alla stesura del piano sociale regionale 2020-2022 della Calabria, Ciò non è tuttavia bastato fino a che il Tar quest’anno non è intervenuto contro Vibo e poi quello di Lamezia».

    Disabili: Vibo fila ma l’Asp arranca

    Da allora, il Comune di Vibo Valentia, vanta un primato: «È stato il primo in Calabria ad avviare la predisposizione e la realizzazione dei progetti di vita in modo sistematico col coinvolgimento dell’Asp. Finora, nel Vibonese sono attivi sessantatré progetti per disabili».
    E c’è di più: «l’Ambito territoriale sanitario di Vibo Valentia (16 Comuni) è quello più attivo. E non va male l’Ats di Spilinga, che comprende altri 17 Comuni. L’Asp di Vibo registra forti ritardi, difficoltà e inadempienze nei confronti del Comune, nonostante un protocollo operativo firmato proprio con l’ente comunale, nella gestione della progettazione, per carenza di professionisti».

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    L’Asp di Vibo Valentia

    Bene Cosenza, male Reggio, peggio Crotone

    Nel resto della Calabria, si segnala la provincia di Cosenza, dove sono in corso progetti nei Comuni di Rende, San Giovanni in Fiore, Praia a Mare e Scalea.
    A Catanzaro, invece, c’è da star certi che la recente sentenza del Tar contro Lamezia velocizzerà i procedimenti.
    La situazione resta difficile a Reggio, dove “Io autentico” era intervenuta in audizione lo scorso luglio presso la Commissione pari opportunità del capoluogo per avviare una collaborazione per le numerose istanze pendenti che tuttora, però, restano tali.
    Perciò «nei confronti del Comune di Reggio Calabria è pendente un ricorso al Tar contro il silenzio-inadempimento. La provincia di Crotone, purtroppo, non è pervenuta».

    Cosa prevede la legge del 2000

    La legge n. 328 del 2000 (legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) prevede che, ai fini della piena integrazione scolastica, lavorativa, sociale e familiare, si predisponga un progetto individuale per ogni soggetto con disabilità psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva. Attraverso i progetti si creano percorsi personalizzati per massimizzare i benefici.
    Al riguardo, si legge sul sito web dell’Anffas (Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale): «Nello specifico, il Comune deve predisporre, d’intesa con la Asl, un progetto individuale, indicando i vari interventi sanitari, socio-sanitari e socio-assistenziali di necessita per la persona con disabilità, nonché le modalità di una loro interazione».

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    Un mezzo dell’Anffas

    Un diritto blindato

    Attraverso tale innovativo approccio si guarda al disabile non più come ad un semplice utente di singoli servizi. Ma lo si considera «una persona con le sue esigenze, i suoi interessi e le sue potenzialità da alimentare e promuovere».
    Il progetto individuale, infatti, «è un atto di pianificazione che si articola nel tempo e sulla cui base le Istituzioni, la persona, la famiglia e la stessa comunità territoriale possono/devono cercare di creare le condizioni affinché quegli interventi, quei servizi e quelle azioni positive si possano effettivamente compiere».
    L’importanza e la centralità della redazione del progetto individuale è oggi ampiamente ribadita dal primo e dal secondo programma biennale d’azione sulla disabilità approvati dal Governo, che ne prevedono la piena attuazione, quale diritto soggettivo perfetto e quindi pienamente esigibile.

    Assistenza ai disabili

    Questo diritto è ancorato allo stesso percorso di certificazione ed accertamento delle disabilità ed è identificato quale strumento per l’esercizio del diritto alla vita indipendente ed all’inclusione nella comunità per tutte le persone con disabilità. Come previsto, in particolare, dalla convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità)».

    La buona scuola

    Oggi, la legge 112 del 2016 (disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive di sostegno familiare, nota come legge sul durante e dopo di noi) individua proprio nella redazione del progetto individuale il punto di partenza per l’attivazione dei percorsi previsti dalla stessa.
    La redazione del progetto individuale per le persone con disabilità è ulteriormente ripresa anche dalla riforma della “buona scuola” del 2015.

    Il progetto individuale comprende vari aspetti. Innanzitutto, il profilo di funzionamento. Poi le cure e la riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale. Inoltre, include il piano educativo individualizzato a cura delle scuole. Il Comune fa la sua parte, direttamente o tramite accreditamento, coi servizi alla persona. La strada è lunga ma proprio dalla Calabria è partita l’ennesima battaglia per il pieno riconoscimento di tutti i diritti già previsti dalla normativa per i disabili e per i loro familiari.

  • Da Peppe mani di forbice ai cubani: tante ricette, nessuna cura

    Da Peppe mani di forbice ai cubani: tante ricette, nessuna cura

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    Peppe Scopelliti, allora trionfante presidente della Calabria, quel giorno di settembre del 2010 solcava la folla adorante per entrare nel cinema Morelli come Mosè aveva aperto il Mar Rosso. Era venuto a Cosenza per annunciare la sua cura per salvare la malatissima sanità regionale: chiudere gli ospedali. Appena sotto il palco, in prima fila, l’allora deputato dell’Udc Roberto Occhiuto plaudiva sorridendo alla decisione. Il nome dato all’evento politico era “Meno sprechi, più qualità” e sappiamo com’è andata a finire: i calabresi sono rimasti senza cure, Scopelliti è finito in carcere (ma scontata la pena è riuscito a portare a casa una discreta somma da baby pensionato) e Roberto Occhiuto è diventato presidente della Regione. Quel pomeriggio non poteva certamente immaginare che la patata bollentissima della sanità sarebbe finita proprio nelle sue mani.

    Sanità in Calabria, non si salva nessuno

    Quella scelta, di chiudere ben 18 ospedali, non era una decisione di stampo tatcheriano, ispirata dalla cieca fiducia nel mercato del liberismo lacrime e sangue. La Destra italiana, infatti, non ha mai avuto quella drammatica statura. Fu invece una ricetta fatta in casa: abbiamo debiti? Chiudiamo gli ospedali. Il prezzo l’hanno pagato quelli che non hanno trovato strutture di prossimità, né qualità in quelle lontane. Non solo: la spesa non è diminuita, così come il debito mostruoso accumulato in decenni di politica bipartisan. Perché in questa storia triste non c’è chi si salvi, da Chiaravalloti a Loiero, da Scopelliti a Oliverio, fino alla breve parentesi di Santelli, passando per l’interregno di Spirlì.

    Emergenza e normalità

    Nel mezzo la Calabria ha dovuto affrontare la più grande pandemia del dopoguerra con strutture sanitarie inadeguate, pochi medici, risorse insufficienti. Era una emergenza, ma anche la normalità non è che andasse bene. Mesi per effettuare una ecografia, o qualunque esame diagnostico, una crepa dentro cui si è con profitto infilata la sanità privata facendo di fatto la differenza tra chi può pagare e curarsi e chi no, alla faccia di quanto scritto sulla Costituzione circa il diritto alla salute.

    Sanità, un anno dopo

    Oggi il deputato che sorrideva all’idea di mutilare la sanità calabrese ha ereditato, anche da se stesso, un fardello gravosissimo e in soccorso ha chiamato circa 500 medici cubani dei quali, annunci a parte, si è saputo poco o nulla. A Repubblica, nel febbraio 2022 dichiarava «Sono commissario alla Sanità da due mesi e ho trovato un disastro» e ottimisticamente aggiungeva: «ma datemi un anno». Febbraio 2023 è vicino, un anno passa in fretta.

  • C’era una volta la Sanità a Cariati [VIDEO]

    C’era una volta la Sanità a Cariati [VIDEO]

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    «Quando a Cariati hanno chiuso l’ospedale è stato come se avessero chiuso la Fiat». L’amarezza di Cataldo Curia, attivista del comitato Le Lampare Basso Jonio Cosentino, la dice tutta. Perché, oltre a garantire il diritto alla salute, il nosocomio del piccolo centro sulla SS 106 assicurava anche tanti posti di lavoro. Un presidio economico e sociale importante per molti medici, infermieri e personale sanitario della zona.

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    L’ingresso dell’ospedale di Cariati (foto Alfonso Bombini)

    Quando ha aperto, nel 1978, era una struttura così all’avanguardia che chi era già emigrato al nord decideva di tornare a Cariati per partorire “a casa”. «Mia madre abitava a Bolzano e decise di farmi nascere all’ospedale di Cariati perché all’epoca era una struttura all’avanguardia», rivendica emozionata una giovane donna, all’uscita dal cinema San Marco di Corigliano Rossano. È il 6 dicembre e ha appena visto la seconda anteprima nazionale del film documentario C’era una volta in Italia – Giacarta sta arrivando, dei registi Federico Greco e Mirko Melchiorre, prodotto da Studio Zabalik.

    C’era una volta l’ospedale a Cariati

    I due film-maker romani hanno scelto di iniziare proprio dalla punta dello Stivale, con tappe a Reggio e Rossano, il tour di questo “western” sulla distruzione della sanità pubblica in Italia. Un richiamo a Sergio Leone in salsa calabra, a partire dalla chiusura dell’ospedale di Cariati con la «resistenza epica» dei cittadini che lo hanno occupato durante la pandemia per chiederne la riapertura.
    C’era una volta in Italia è a tutti gli effetti il sequel di PIIGS, del 2017, film narrato da Claudio Santamaria, che racconta gli effetti nefasti delle politiche di austerity sul caso specifico del lavoro della Cooperativa sociale Il Pungiglione di Monterotondo (Rm).

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    Federico Greco durante le riprese a Cariati

    Stavolta Federico Greco torna alle origini. «Mio padre era di Crotone – ricorda il regista – e ho riscoperto questa terra filmandola». Si trovavano proprio nel capoluogo pitagorico, con il collega Melchiorre, e stavano facendo riprese per Emergency all’ospedale dove era appena arrivato Gino Strada per gestire il reparto covid.
    Lì vengono a sapere dell’occupazione dell’ospedale di Cariati e vanno subito a capire cosa stesse accadendo. «Non ricordo altre occupazioni di un ospedale prima d’ora – spiega Melchiorre – e ci ha colpiti il coraggio e la tenacia di questi cittadini, giovani e anziani insieme, che sono andati avanti a testa alta e con pazienza per rivendicare il diritto alla salute».

    Così è successo che il film è diventato parte integrante dell’occupazione. «Abbiamo seguito – spiega Greco – la lotta delle Lampare per molto tempo. Infatti abbiamo narrato sia i momenti duri, tristi, sia quelli molto entusiasmanti». Come l’appello di Roger Waters, proprio durante la loro intervista. «Le sue parole, come avete visto, sono finite su tutti i telegiornali e l’ospedale di Cariati è diventata una questione internazionale».
    Proprio come il documentario che, nel solco di PIIGS, segue il doppio binario glocal.

    Come distruggere la sanità pubblica

    Si parte dalla storia di un piccolo territorio e gli effetti delle politiche globali su di esso. La privatizzazione della sanità e il Washington Consensus, le dieci raccomandazioni dell’economista inglese John Williamson al Fondo Monetario Internazionale, alla Banca Mondiale e al Tesoro degli Stati Uniti, che puntavano alla liberalizzazione del commercio estero e del sistema finanziario, con l’obiettivo di attrarre capitali stranieri nei PVS (Paesi in Via di Sviluppo) per condizionare l’intervento statale nell’economia.
    Poi la riforma del Titolo V della Costituzione italiana, nel 2001, che di fatto trasforma il Sistema Sanitario Nazionale, in un sistema sanitario regionale, aggravando le grandi disparità economiche e sociali tra Nord e Sud Italia e la conseguente emigrazione sanitaria da quest’ultimo verso il centro-nord.

    Come risultato, documentato nel film, un’ambulanza privata della Misericordia, che si inerpica di corsa e a fatica sulle strade dissestate dell’entroterra jonico «che sembrano bombardate», fa notare Greco, per andare a prendere con la barella una persona nel paesino di Scala Coeli. «Abbiamo voluto mostrare, a chi calabrese non è, cosa significhi essere costretti a percorrere anche poche decine di chilometri dissestati in questi luoghi abbandonati, nella rincorsa al primo Pronto Soccorso vicino».

    Indonesia, Cile, Calabria: a ciascuno la sua Giacarta

    Il “metodo Giacarta” fu il massacro di comunisti nel genocidio in Indonesia deciso dal generale Suharto nell’ottobre 1965. Si replicò in Cile, quando per le strade di Santiago comparirono le scritte Ya viene Jacarta, un disegno mortale contro il presidente democratico Salvador Allende (e i suoi sostenitori), ucciso dal golpe militare di Pinochet l’11 novembre 1973.

    Giacarta, inteso come massacro dei diritti sociali, a partire dalla salute, è arrivata anche in Calabria. C’è una data precisa che lo testimonia e ringraziamo la collega giornalista Giulia Zanfino per averci concesso le immagini dell’intervista a Roberto Occhiuto, allora neoeletto deputato Udc, oggi presidente della Regione Calabria e commissario straordinario della Sanità calabrese.

    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Il 9 ottobre 2010 sedeva in prima fila nel gremito Teatro Morelli di Cosenza, dove l’ex presidente Scopelliti presentava il piano di rientro dal debito sanitario. Occhiuto rivendicava la riforma e i tagli: «Oggi spieghiamo ai cittadini e agli operatori del settore che la sanità non può più essere un baraccone per alimentare clientele». E ancora: «Si possono tagliare i posti letto per impedire i ricoveri impropri e investire, allo stesso tempo, nella medicina territoriale, perché la qualità dei livelli essenziali di assistenza sia garantita a tutti».

    Su la testa

    Ma Giacarta arriva e non perdona. Solo che, anche in un territorio spopolato e spolpato come la Calabria, c’è chi non ci sta e si mobilita. E richiama l’attenzione di chi calabrese non è, ma coglie l’importanza di certe storie e decide di raccontarle, «anche se rischiano di vendere poco», spiega Alessandro Pezza, di Studio Zabalik, produttore del film. «A noi – precisa – piace il cinema scelto dagli spettatori e non imposto dalle case di produzioni. Ci siamo innamorati di questa storia perché i ragazzi dell’ospedale di Cariati hanno alzato la testa contro le ingiustizie e sono un esempio da seguire. Con questo film speriamo di farci anche portavoce dei diritti dei calabresi. Del resto, ormai ci sentiamo un po’ calabresi anche noi».

    Nell’attesa che arrivino risposte certe sulla riapertura completa dell’ospedale, continuano le proiezioni del film con la lotta delle Lampare del Basso Jonio Cosentino contro Giacarta “mani di forbice”. Le prossime?  Il 12 dicembre al cinema San Nicola di Cosenza alle 20 e al Nuovo Olimpia di Roma alle 21. Il 13 dicembre, sempre a Roma, ore 21, cinema Giulio Cesare.

  • Commissari e deficit, così la Calabria non riesce a guarire

    Commissari e deficit, così la Calabria non riesce a guarire

    In sede di rendicontazione generale della spesa regionale del 2021, ancora una volta, la Corte dei Conti ha sancito l’inadeguatezza della gestione del Servizio Sanitario Regionale della Calabria.  Tra i nodi cruciali, l’assoluta incertezza riguardo la modalità di impiego delle risorse e i risultati conseguiti dal servizio sanitario. La Regione infatti, negli anni non ha mai approvato il bilancio di esercizio consolidato in aperta violazione dell’art. 32 del d.lgs 118/2011.

    La Sanità in Calabria? Piani di rientro e commissari

    Dal 2010, il Sistema Sanitario Regionale è soggetto al Piano di Rientro dai disavanzi sanitari regionali e al commissariamento. Il meccanismo contabile che obbliga una Regione alla sottoscrizione del Piano di Rientro si innesca quando il disavanzo sanitario supera il cinque per cento della somma delle entrate sanitarie regionali (finanziamento statale + ticket). Oppure quando il disavanzo non supera il cinque per cento, ma la Regione non è in grado di garantirne la copertura con i mezzi che ha a disposizione.

    Il Piano di Rientro ha potenzialmente due pilastri fondamentali: uno finanziario ed uno socio assistenziale. Da un lato si prevede l’ottenimento dell’equilibrio di bilancio e dall’altro si vigila al rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) costituzionalmente garantiti. Negli anni, il Governo ha nominato ben otto commissari ad acta per risanare la situazione, senza che mai nessuno ne sia venuto a capo.

    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    L’attuale commissario è il presidente della Regione Roberto Occhiuto, nominato quasi contestualmente alla sua elezione nel 2021. Il commissario ad acta è responsabile dell’approvazione del bilancio di esercizio consolidato, deve determinare il disavanzo e adottare i necessari provvedimenti per il suo ripiano. Questa figura estromette di fatto il Consiglio regionale dalla gestione e dalla legislazione in ambito sanitario.

    Mentre a Roma parlano, in Calabria gli ospedali chiudono

    Fin dalla sua elezione Occhiuto ha dichiarato: «Sulla sanità mi gioco tutto». Poi, però, ha fatto qualche passo indietro minacciando di non sedersi più al Tavolo Adduce (dal nome della dirigente governativa che presiede le riunioni sul Piano di Rientro). Il motivo? «La sanità della Calabria ha bisogno di strutture ministeriali che ci aiutino, non di atteggiamenti pignoleschi e ragionieristici da parte di funzionari dello Stato».

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    Striscioni di protesta davanti all’ospedale di Cariati (foto Alfonso Bombini)

    I dodici anni di Piano di Rientro hanno ridisegnato profondamente la geografia della sanità calabrese con una serie di tagli, dismissioni e riconversioni. In questo contesto, nel 2011, si è predisposto il taglio orizzontale di diciotto ospedali di medio-piccole dimensioni che reggevano le aree interne della Regione. Questa scelta non ha tenuto conto delle condizioni orografiche del territorio, del fabbisogno sanitario della popolazione e dei tempi di percorrenza verso gli ospedali principali, a loro volta sull’orlo del collasso vista la sempre crescente affluenza di pazienti.

    Deficit e blocco del turnover: così la Sanità in Calabria va a rotoli

    Gli indicatori finanziari disponibili – seppur non esaustivi né definitivi – continuano a delineare una assoluta invarianza della spesa sanitaria regionale. Il deficit è in continuo aumento. In altri termini, la chiusura degli ospedali non ha sortito alcun beneficio finanziario. E col blocco del turnover il personale sanitario ed amministrativo è diminuito del 19% in dieci anni. Una bolla che continua a gonfiarsi.

    Già nel 2020, la Corte dei Conti affermava che «l’analisi effettuata ha confermato, ancora una volta, come il deficit sanitario dichiarato sia totalmente inattendibile e probabilmente ampiamente sottostimato». Riguardo agli aspetti finanziari del Piano di Rientro risulta impossibile trarre giudizi positivi e definitivi. Si possono invece constatare le gravi criticità che pongono la Calabria abbondantemente al di sotto della soglia di adempienza dei LEA, con punteggi molto lontani rispetto alla media italiana.

    E i cittadini pagano

    Nel rilevamento 2019, il punteggio basso di 125 (la soglia è di 160), in peggioramento rispetto all’anno precedente, si deve soprattutto alle gravi carenze nell’area dell’assistenza sanitaria e all’insufficiente dotazione di posti letto. E così anche i cittadini, che già subiscono la privazione di un sistema sanitario adeguato, elargiscono di tasca loro sempre più risorse per curarsi. Le ragioni sono almeno tre: l’aumento forzato dell’addizionale IRPEF e dell’aliquota IRAP nella misura massima; l’emigrazione sanitaria verso altre regioni; il ricorso forzato, infine, alla sanità privata ed alle visite intramoenia. La Calabria, infatti, è tra le regioni d’Italia con maggiori difficoltà di accesso alla diagnostica strumentale.

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    La Cittadella regionale

    La Calabria spende poco e male per la Sanità

    Uno dei problemi principali è che la Calabria spende poco e male. Delle tante risorse finanziarie (soprattutto comunitarie) destinate alla sanità, pochissime si trasformano in azioni concrete volte ad adeguare il sistema. Progetti come quello della Rete Case della Salute spesso migrano da una programmazione settennale alla successiva. E penalizzano il finanziamento di nuovi progetti.
    A tal riguardo, anche la Corte dei Conti sottolinea che è necessario dare impulso ed accelerare tutto il processo di spesa per scongiurare la perdita di importanti e significative risorse.

    Enrico Tricanico

  • Amianto e tumori, stangata per Ferrovie della Calabria

    Amianto e tumori, stangata per Ferrovie della Calabria

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    Sono passati più di trent’anni da quando, il 27 marzo 1992, è stata approvata la legge che ha vietato l’utilizzo e la produzione di manufatti contenenti amianto. Nel frattempo, però, chi ha lavorato per decenni a stretto contatto con l’eternit spesso ha sviluppato malattie di tipo tumorale. E la bonifica e lo smaltimento del pericoloso materiale in Calabria sono ancora in grave ritardo.

    Una sentenza importante per un’intera categoria

    A volte, come nel caso che stiamo per raccontare, si è rimosso l’amianto senza le dovute protezioni. Ogni sentenza racconta sempre una storia, questa va oltre il singolo caso perché riguarda una intera categoria di lavoratori.
    Per 28 anni di fila, infatti, un uomo aveva lavorato in Ferrovie della Calabria, tutti i giorni, dal lunedì al venerdì e dalle 7 della mattina fino alle 5 del pomeriggio. Poi nel 2008 si era dovuto dimettere perché il mesotelioma pleurico che lo affliggeva non gli consentiva più di fare sforzi. La neoplasia, purtroppo, circa 7 anni dopo non gli concedeva più altro tempo. E l’ex operaio delle Ferrovie della Calabria veniva a mancare, dopo molti ricoveri e cure, nonché un delicato intervento chirurgico presso il Mariano Santo di Cosenza.

    Amianto e tumori: la denuncia dei familiari dopo la morte

    L’uomo aveva già ricevuto in vita dall’Inail l’indennizzo per malattia professionale dovuta all’esposizione all’amianto. Gli eredi, la moglie e i 3 figli, un paio d’anni dopo la sua morte hanno poi deciso insieme agli avvocati Runco e Coschignano di fare causa a Ferrovie della Calabria per il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non patrimoniali. Ritenevano, infatti, che la causa del tumore fosse la lunga e continuata esposizione all’amianto sul luogo di lavoro.

    Il giudice: Ferrovie della Calabria deve pagare

    Silvana Domenica Ferrentino, giudice del Tribunale di Cosenza, il 2 dicembre scorso ha depositato le motivazioni della sentenza. E, accogliendo il loro ricorso, ha quantificato in 170mila euro i soldi che Ferrovie della Calabria dovrà pagare a tutti e 4 gli eredi per il danno biologico, più 163mila euro ciascuno per danno da perdita parentale. In totale sono circa 820mila euro, più interessi e spese legali. Il nesso causale emerso in aula tra la presenza di amianto sul luogo di lavoro e il tumore ai polmoni ha sancito la responsabilità (al 55%) di Ferrovie della Calabria nel decesso dell’ex operaio cosentino

    L’ingresso del tribunale di Cosenza

    Nelle varie udienze del procedimento civile sono stati acquisiti numerosi documenti e sentiti alcuni testimoni. Ma, soprattutto, è stata disposta una perizia medica che è servita a stabilire il nesso diretto tra la presenza d’amianto sul luogo di lavoro dell’ex operaio e il tumore ai polmoni che lo ha poi ucciso.

    Nessuna protezione né visite specialistiche

    Queste, ad esempio, le parole di uno dei testimoni in aula che la sentenza riporta: «Noi operai lavoravamo solo con la tuta da lavoro ma non abbiamo mai usato mascherine e guantiPreciso che non avevamo dispositivi di protezione e non eravamo informati sui rischi». Non risulterebbero poi visite mediche specialistiche effettuate dall’azienda sui propri lavoratori al fine di verificarne lo stato di salute. Eppure l’operaio morto riceveva spesso l’incarico di tagliare lastre di amianto, come la stessa sentenza dimostra.

    Quindi: presenza di amianto, solo visite generiche, nessun dispositivo di sicurezza. Infine, le dichiarazioni del medico incaricato dal Tribunale: «Ove il soggetto fosse stato effettivamente esposto all’amianto, può certamente riconoscersi un nesso di causa tra l’insorgenza del mesotelioma e le mansioni svolte dal lavoratore».

    Amianto e tumori: una decisione storica

    Gli elementi per condannare Ferrovie della Calabria, dunque, c’erano tutti, stando alla sentenza di primo grado. A differenza del processo penale che deve provare la colpevolezza oltre ogni ragionevole dubbio, in quello civile vige la regola detta del “più probabile che non”: ossia che sul medesimo fatto vi siano un’ipotesi positiva ed una complementare ipotesi negativa, sicché, tra queste due ipotesi alternative, il giudice deve scegliere quella che, in base alle prove disponibili, ha un grado di conferma logica superiore all’altra.

    In questo caso Ferrovie della Calabria (e i suoi comportamenti legati alla presenza di amianto in alcuni luoghi lavorativi) è stata riconosciuta colpevole al 55%, altrimenti la somma liquidata in condanna sarebbe stata più alta. Il giudice, infine, decurtando quello che l’Inail aveva già versato al defunto, ha stabilito le altre somme che hanno formato il risarcimento totale per tutti i danni subiti e da liquidare in favore degli eredi.
    Queste le decisioni nel primo grado di giudizio, che comunque sono esecutive, in uno dei primi processi a Cosenza arrivati a sentenza per risarcimento danni da amianto e legati a Ferrovie della Calabria.

  • Qualcuno volò sul nido di Scanderbeg

    Qualcuno volò sul nido di Scanderbeg

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    Prima una, poi due, e infine tre evasioni rocambolesche. L’ultima volta che è fuggito, il soggetto “socialmente pericoloso” ha ferito un infermiere ed un carabiniere, dopo aver danneggiato i locali che lo ospitavano. Poi ha rubato un’automobile e si è schiantato contro un lampione, uscendo illeso dall’incidente. Ma i 2.500 abitanti di Santa Sofia d’Epiro, in provincia di Cosenza, non si sono scomposti. Ormai hanno adottato la Rems ed i suoi ospiti. «È chiaro che umanamente ci dispiace tantissimo, però non esiste allarme sociale che ci possa indurre al panico. La nostra cultura è fatta di accoglienza, incontro, musica, letteratura. Rinnegheremmo noi stessi se ci lasciassimo abbattere dalla paura e dagli egoismi», spiega Carmine Guido, musicista del gruppo rock Spasulati Band.

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    Sbarre alle finestre e muri alti tre metri nella Rems di Santa Sofia d’Epiro

    Dagli Opg alle Rems

    I sofioti sono una delle tante popolazioni arbëreshe, discendenti dai profughi giunti nel sud Italia sette secoli fa, quando gli antenati del presidente turco Erdogan conquistarono i Balcani e li scacciarono dalle loro case. Gli Albanesi di Calabria hanno sviluppato un’attitudine all’insilienza, la capacità di attecchire in territori remoti, cioè una forma di resilienza in trasferta. Da centinaia di anni resistono ai traumi e si organizzano in modo solidale. Una decina di loro lavora all’interno della Residenza Esecuzione Misure Sicurezza “G. Granieri”, gestita dal Centro di solidarietà “Il Delfino”. Ed è qui che le ripetute e drammatiche fughe di uno degli ospiti hanno svelato alcune delle falle giuridiche della legge 81/14 che finalmente portò alla chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari ed alla loro sostituzione con le Rems.

    Stop all’ergastolo bianco

    Queste strutture hanno natura più prettamente medico-sanitaria. La logica che sta alla base è quella riabilitativa: gli operatori sono medici, non carcerieri. Il loro scopo è quello di aiutare il paziente, curarlo, al fine di reintrodurlo nella società. Assomigliano più a presidi sanitari che a prigioni. Hanno, inoltre, messo fine all’ergastolo bianco. Se negli Opg non era previsto un termine massimo di durata della misura, con le Rems la tempistica non può essere superiore al massimo edittale della pena prevista per il reato. Lo scoglio più grosso da affrontare resta però la visione che la società ha di queste persone.

    Pericolosi a prescindere da responsabilità

    Lo stigma è ancora molto presente, accresciuto anche da una paura mediatica che viene costantemente proposta ed ampliata. C’è un forte desiderio che il reo venga neutralizzato piuttosto che rieducato, riabilitato o risocializzato.

    «Tali strutture non sono deputate alla detenzione – spiega il responsabile dell’ente gestore, Gianfranco Tosti – bensì alla rieducazione e cura degli autori di reato, per prevenire nuove eventuali azioni criminose. Queste persone non devono scontare una pena. Nei loro confronti è stato emesso un giudizio di pericolosità, a prescindere dalle eventuali responsabilità. Per questo motivo tali provvedimenti si applicano anche nei confronti di soggetti che nel commettere azioni violente sono stati considerati non in grado di intendere e di volere».

    La Rems “Granieri” vista dall’esterno

    Tuttavia, pur essendo di fatto delle residenze socio sanitarie rientranti nel Dipartimento Salute mentale, la responsabilità direzionale è affidata all’ASP di Cosenza tramite un medico psichiatra, con la funzione di Responsabile della Rems. In queste strutture non è prevista la gestione delle acuzie e di gravi scompensi psicomotori, per questo e per eventuali Tso – trattamenti sanitari obbligatori – le cure sono affidate al Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura, all’interno degli ospedali.

    Terapia, non pena

    «Essendo una struttura socio-sanitaria – prosegue Tosti – noi non possiamo trattare Tso. Ci occupiamo della parte riabilitativa e sanitaria. Per ogni singola persona l’equipe redige il Ptrr (piano terapeutico riabilitativo residenziale, ndr) che può indicare lo stato di miglioramento della persona e nel corso di questi anni abbiamo cercato di costruire un approccio molto umano che è quello che da sempre a caratterizzato tutte le attività del Delfino.

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    Una stanza della struttura di Santa Sofia d’Epiro

    Il problema si pone quando tra i soggetti che ci sono affidati, qualcuno risulta incompatibile sia col carcere che con una struttura riabilitativa. Non rientra infatti nelle competenze e responsabilità del nostro personale il contenimento di azioni violente. Gli operatori al nostro servizio sono infermieri, educatori, assistenti sociali, OOSS, psicologi, tecnici della riabilitazione psichiatrica, altri addetti. Come possono arginare una persona che improvvisamente aggredisce cose e persone, e tenta di fuggire?».

    Rems: sembra un carcere, ma non lo è

    In Calabria la Rems di Santa Sofia d’Epiro è l’unica sul territorio regionale. Attivata nell’ottobre 2016, con due anni di ritardo, è stata realizzata in un immobile di proprietà dell’Asp. In questi 6 anni vi sono state ricoverate 52 persone, di cui 34 dimesse. L’edificio presenta i segni della mescolanza col sistema carcerario: mura alte tre metri, sbarre verticali e porte in ferro. Un rafforzamento dei sistemi di controllo è stato di recente richiesto dal sindaco, Daniele Atanasio Sisca, al prefetto di Cosenza.

    Un esempio di tolleranza e civiltà

    Nonostante la situazione critica, rimane alto il livello di collaborazione tra comunità locale e soggetto gestore: «La legge 81/14 – spiega Tosti – è stata precisa per le questioni strutturali. Nel contempo, abbiamo sempre cercato di creare spazi accoglienti, idonei alla cura. Gli spiacevoli episodi accaduti negli ultimi mesi non sono però riusciti a destabilizzare la nostra impostazione. E questo lo dobbiamo alla popolazione locale e alle loro istituzioni, il sindaco e il comandante della locale stazione dei carabinieri, che oltre a starci vicino, hanno sempre reagito con una civiltà ed un livello di tolleranza che dovrebbero essere da esempio in tutto il continente europeo».

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  • Ospedale a Vaglio Lise, Caruso: «Pronto entro la fine del mio mandato»

    Ospedale a Vaglio Lise, Caruso: «Pronto entro la fine del mio mandato»

    Eppur si muove. Franz Caruso ha voluto ribattere a quanti da mesi lo accusano di un sostanziale immobilismo con una conferenza stampa sul nuovo ospedale di Cosenza da realizzare a Vaglio Lise. Durante l’incontro, però, la struttura sanitaria ha lasciato spazio a numerosi altri temi. Frecciate all’indirizzo di chi lo ha preceduto, promesse su una città che dovrebbe trasformarsi da qui alla fine del mandato del sindaco eletto in autunno.

    Ora toccherà aspettare per sapere se alle parole seguiranno fatti concreti. Gli impegni presi al cospetto dei giornalisti, d’altra parte, non sono semplici da rispettare, a partire proprio da quello sul nuovo ospedale a Vaglio Lise. Per il sindaco Caruso sarà pronto entro la fine del suo mandato. Quattro anni e mezzo, dunque. E poco importa che lo studio di fattibilità consegnato ai presenti parli di 14-15 semestri necessari tra iter burocratico e lavori veri e propri per vedere l’opera al completo.

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    Il cronoprogramma riportato nello studio di fattibilità

    L’Annunziata cambia pelle

    Di tempo quindi, a quanto pare, ne basterà meno per siglare l’Accordo di programma quadro con Regione e Ministero della Salute, convocare e chiudere la conferenza dei servizi, affidare la progettazione definitiva, quella esecutiva e i lavori, completare il nuovo ospedale. E cosa comporterà il trasloco del nosocomio in un altro quartiere? Un bel po’ di cose. La vecchia Annunziata sarà in parte demolita (non il plesso del ’39) per trasformarsi in una Cittadella della Salute destinata a ospitare uffici, pazienti oncologici e lungodegenti, con una bella iniezione di verde nell’area attualmente occupata dai reparti più “moderni”. Così facendo, si eviterà di depauperare la parte Sud della città risparmiando i costi extra che un nuovo ospedale nella franosa Contrada Muoio – la soluzione auspicata dall’ex sindaco Mario Occhiuto e suo fratello Roberto – avrebbe comportato per le casse pubbliche.

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    L’ingresso dell’ospedale dell’Annunziata a Cosenza

    Le ragioni dell’Ospedale a Vaglio Lise

    Vaglio Lise invece, ha ripetuto a più riprese Caruso, appare come la soluzione ideale. Il quartiere, innanzitutto, è baricentrico rispetto al resto della provincia e dell’area urbana. Gli investimenti milionari per l’ospedale ridisegneranno la zona in meglio, portando investimenti anche privati che potrebbero finalmente completare il ricongiungimento (con relativa riqualificazione) tra via Popilia e il resto di Cosenza. Parte della superstrada verrebbe interrata per far spazio a verde pubblico, l’ospedale sorgerebbe in un’area pianeggiante (coi risparmi che ne conseguono) sulla falsariga di quelli di recente costruzione a Siracusa, Andria e Pordenone. E la questione espropri parrebbe già risolta o quasi

    Rispunta la metro

    Così facendo riacquisterebbe forse un senso anche l’idea di andare avanti con la realizzazione della metro. Non è un caso che che nelle slide mostrate in conferenza stampa siano spuntati riferimenti a una linea tranviaria che ricorda tanto la maxi opera attualmente in sospeso. Anche le Autolinee si sposterebbero per trovare posto nei dintorni del nuovo ospedale di Cosenza, decongestionando così il centro città dal traffico dei mezzi pesanti extraurbani.

    Ospedale ad Arcavacata di Rende? No, Unical a Vaglio Lise

    E le rivendicazioni di Rende, tornata a chiedere che la struttura sanitaria sorga nei pressi dell’Unical? «Farebbero perdere altri 20 anni, dopo quelli già persi da quando si parlava di realizzare il nosocomio a Mendicino», replica Caruso. Che con Arcavacata – e l’Inrca – vuole invece realizzare un centro di ricerca specializzato in virologia nel nascituro complesso di Vaglio Lise. E magari lavorare perché l’ateneo si doti di una facoltà di Medicina «autonoma» e non a metà con la Magna Graecia di Catanzaro, argomento principe (Principe?) del dibattito anti Vaglio Lise sull’altra sponda del Campagnano.

    L’ospedale, taglia corto il sindaco bruzio, sorgerà a Cosenza: «Non è in discussione farlo fuori dal capoluogo». E Roberto Occhiuto, sostenendo questo progetto «tecnico e politico», potrà passare alla storia proprio come il podestà che realizzò “la prima Annunziata” nel Ventennio. Il paragone farà senz’altro piacere alla parte più nostalgica della maggioranza in Regione.

    Sanità: non c’è solo l’ospedale a Vaglio Lise

    Ma non ci saranno solo la Cittadella della Salute e l’ospedale popiliano nella nuova Sanità cosentina. A via Bendicenti, nell’attuale sede della polizia municipale, dovrebbe trovar posto una casa/ospedale di comunità, a tutto vantaggio del centro storico. E i vigili dove finiranno? Le ipotesi in campo sono diverse: da quella – con tanto di protocollo d’intesa con le Ferrovie siglato nell’ormai lontano 2012 – che li vorrebbe nella stazione ferroviaria di Vaglio Lise, alla caserma accanto a San Domenico, passando per le alternative su via degli Stadi o alle Casermette di via Panebianco. I diretti interessati pare preferiscano il centro città, anche per questioni d’immagine.

    «La città fa schifo»

    Cosenza, insomma, parrebbe destinata a cambiare parecchio. Nel frattempo però, parola di Caruso stesso, la città «fa schifo per quanto è sporca». Gli appalti per la pulizia, d’altra parte, con Ecologia oggi e le cooperative li ha firmati il sindaco che lo ha preceduto, ma l’attuale primo cittadino promette di mettere mano ai prossimi, visto che gli accordi sono prossimi alla scadenza, per ottenere risultati migliori. «Anche con l’aiuto dei cittadini» che finora hanno avuto meno a cuore la raccolta differenziata.

    Allarme debiti

    Certo, bisognerà barcamenarsi tra i problemi economici di Palazzo dei Bruzi per garantire servizi efficienti. E il compito si preannuncia più arduo del previsto. Nei prossimi giorni toccherà approvare il consuntivo 2021 – «l’ultimo della precedente amministrazione, dal preventivo 2022-2024 ci sarà il primo davvero nostro, chiaro e vero, e che non siamo costretti ad approvare». Sul groppone ci sarà un disavanzo maggiore delle ottimistiche previsioni iniziali: 23 milioni e rotti di rosso, contro i 17 ipotizzati prima che i revisori chiedessero di correggere il tiro.

    Un dato «allarmante», ma che paradossalmente, ha sostenuto Caruso, potrebbe essere un vantaggio. Un deficit sotto i 22 milioni avrebbe costretto l’amministrazione a ripianare tutto in 5 anni. Superata quella soglia, invece, il tempo a disposizione raddoppierà.
    Il tempo in più basterà a consegnare per sempre al passato «la città delle transenne e dei cantieri mai chiusi»? Ai posteri l’ardua sentenza.

  • Grazie ai medici dell’Annunziata ora posso riabbracciare le mie figlie

    Grazie ai medici dell’Annunziata ora posso riabbracciare le mie figlie

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    Ho trentasette anni e sono la mamma di due bellissime principesse, rispettivamente di sei e un anno. Posso ancora abbracciarle e fare loro le coccole grazie a una pagina di buona Sanità della neurochiurgia all’ospedale di Cosenza, fatta di umanità e competenza, che merita di essere raccontata a quante più persone possibile.

    L’inizio del calvario

    La mia storia è iniziata con un semplice mal di schiena, mentre allattavo Noemi, la mia piccola di un anno. All’istante non mi sono allarmata, quindi non non ho fatto cure mediche, ma mi sono rivolta un chiropatico per alleviare i dolori.
    Tuttavia, dopo la seconda manipolazione, i dolori sono cresciuti, tant’è che ho chiesto aiuto, lo scorso 26 maggio, alla guardia medica.
    Mi hanno somministrato il Voltaren, sono rimasta a letto per due giorni perché non mi reggevo in piedi e avevo perso la sensibilità nel bacino.

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    Medici in azione all’Annunziata di Cosenza

    L’arrivo in Ospedale a Cosenza

    I giorni seguenti ho tentato una cura cortisonica ma, non avendo alcun miglioramento, il 31 maggio sono andata in Pronto soccorso. Da lì, mi hanno inviata al reparto di Neurochirurgia per fare una consulenza e lì, per fortuna, ho trovato un angelo.
    Non finirò mai di ringraziare la dottoressa Donatella Gabriele per aver preso a cuore la mia situazione sin dall’inizio senza mai abbandonarmi.

    La diagnosi

    La dottoressa mi ha diagnosticato la cauda equina, cioè una patologia neurologica causata da una lesione delle radici nervose contenute nell’ultima porzione del canale vertebrale, che decorre all’interno della colonna vertebrale.
    Questa patologia si manifesta con un insieme di sintomi che riflettono la compromissione dei nervi spinali inferiori. E quindi può comprendere deficit sensitivi e motori alle gambe e disturbi sfinterici.
    Il dolore si può irradiare a partire dalla zona lombare e sacrale fino agli arti inferiori. Al dolore segue la diminuzione o, peggio, la perdita della sensibilità a livello degli arti inferiori e della regione perineale. Questo sintomo, a causa della sua particolare distribuzione, è detto “anestesia a sella”.
    E può esserci di peggio: un deficit di forza che può portare a una paralisi degli arti inferiori.
    Io avevo tutti questi malesseri.

    L’intervento in neurochirurgia

    Il 5 giugno sono stata ricoverata e la mattina del 7 ho subito l’intervento all’ospedale di Cosenza.
    Il mio ringraziamento va a tutto il personale di Neurochirurgia: purtroppo non conosco i nomi di tutti. In particolare, ricordo l’infermiere Giuseppe Grandinetti.
    E non finirò mai di ringraziare il dottor Salvatore Aiello, direttore di Neurochirurgia, e i suoi collaboratori per la loro competenza e per l’umanità e la sensibilità che hanno mostrato nei miei confronti.
    Durante la degenza, grazie a loro, non mi sono mai sentita sola.
    Ho sperimentato in prima persona che una Sanità di alto livello esiste anche alle nostre latitudini ed è fatta di uomini e donne che lavorano, spesso lontano dai riflettori, con un enorme spirito di sacrificio.

    Jole Esposito

  • Ospedale a Vaglio Lise: il fantasma prende corpo?

    Ospedale a Vaglio Lise: il fantasma prende corpo?

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    Ormai è una non notizia: il nuovo Ospedale di Cosenza si dovrebbe fare a Vaglio Lise.
    A otto mesi dal suo insediamento, la giunta a guida Franz Caruso ha provato a mettere un punto fermo al dibattito sul nuovo Hub.
    È solo un mezzo passo, intendiamoci, perché l’ultima parola spetta al Consiglio comunale.
    Tuttavia resta un segnale forte, sebbene l’idea non sia proprio originalissima.
    La scelta di Caruso, infatti, riesuma la vecchia proposta di Mario Oliverio.
    Ma meglio una riesumazione che niente.

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    Quel che resta dalla stazione di Vaglio Lise a Cosenza

    La rivincita di Cosenza?

    L’ipotesi di Vaglio Lise è un compromesso tra le esigenze della città e quelle della provincia, comunque costretta a far capo all’Annunziata.
    Ma soprattutto è una risposta forte all’ipotesi opposta, coltivata a Rende in piena era Principe e rilanciata di recente dall’attuale sindaco Marcello Manna.
    Secondo questo progetto, il nuovo ospedale di Cosenza sarebbe dovuto sorgere nei pressi dell’Unical, magari per stimolare la realizzazione della tanto vagheggiata Facoltà di Medicina.
    E c’è da dire che questo progetto aveva ripreso quota con la recente istituzione, ad Arcavacata, di un Corso di laurea di Medicina e tecnologia digitale.
    Realizzare l’hub nei pressi di una delle Stazioni ferroviarie più inutili d’Italia è quindi un punto segnato nella trentennale contesa con Rende per la leadership della futura (e ipotetica) città unica. Un puntello più a Sud, che dovrebbe limitare le pretese di centralità d’oltre Campagnano.

    Uno schiaffo a Mario Occhiuto

    Un Mario (Oliverio) resuscita un po’, un altro Mario (Occhiuto) affonda un altro po’.
    La scelta di Vaglio Lise implica il rigetto più totale dell’ipotesi formulata dall’ex sindaco: tirare su l’Ospedale nuovo sulle macerie del vecchio.

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    La giunta Caruso delibera in merito alla sede del nuovo Ospedale

    Qualcosa a metà tra il restyling l’opera nuova, che avrebbe dovuto coinvolgere in maniera più organica anche il Mariano Santo di Mendicino.
    A dirla tutta, un progetto ultracampanilista, basato soprattutto su esigenze urbanistiche: puntellare a oltranza la parte sud di Cosenza che, priva dell’Annunziata, rischia la desertificazione.

    Nuovo ospedale di Cosenza: anni di chiacchiere

    Fin qui, in pillole, la lunga storia della contesa sul nuovo Hub, che dovrebbe prendere il posto dell’attuale struttura, realizzata negli anni ’30 e prossima al secolo.
    Da quando fu elaborata la proposta di Vaglio Lise, sono passati due sindaci e un commissario a Cosenza, altrettanti più un commissario a Rende, due presidenti di Regione più un facente funzioni.
    Il problema non è il luogo, del quale a dispetto della decisione presa si continuerà a discutere. Ma il tempo.
    Meglio tardi che mai, si potrebbe dire se ci si ostinasse a vedere il bicchiere mezzo pieno. Peccato che per tanti aspetti sia tardi un bel po’.

    Medici scettici

    Per i medici ha parlato non senza un po’ di ironia maligna, il presidente dell’Ordine Eugenio Corcioni.
    Il quale ha lanciato qualche tempo fa un affondo che parte da un paragone ingeneroso tra Cosenza e Avellino, quando non era ancora orfana di Ciriaco De Mita.

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    Il presidente dell’Ordine dei medici di Cosenza, Eugenio Corcioni (foto Alfonso Bombini)

    Due ex capitali politiche, sosteneva il presidente dei Medici, di cui una, quella campana, ha realizzato quattro strutture sanitarie, l’altra, Cosenza, trentacinque ologrammi.
    Il tempo ci dirà se la delibera della giunta Caruso, tra l’altro il primo atto forte dell’attuale amministrazione, è il primo passo verso la solidificazione dell’ologramma.
    Tanto più che i soldi per il gigantesco maquillage urbanistico-sanitario ci sono.
    Ma, anche in caso di realizzazione, il problema sarebbe risolto a metà, come aveva rilevato lo stesso Corcioni: mancano i medici.
    Fatto l’ospedale toccherà fare anche i camici. Ma questa è davvero un’altra storia.