Roberto Occhiuto come Saverio Cotticelli? Tra il nuovo commissario alla Sanità (nonché presidente della Regione) e il vecchio qualcosa in comune sembrerebbe esserci: la memoria.
Quella del generale dei Carabinieri era proverbiale e lo ha reso celebre in tutta Italia: aveva dimenticato di guidare lui la Sanità durante il Covid e di dovere, per questo, redigere un piano su come affrontare la pandemia. I primi, vaghi, ricordi erano riaffiorati soltanto in un’epica intervista della Rai, coprotagonista un fantomatico usciere mai inquadrato. Cose che capitano. Giorni dopo, sempre in tv, Cotticelli per giustificarsi avanzò un’ipotesi stupefacente: qualcuno poteva averlo drogato a sua insaputa per confondergli la mente. Promise anche di indagare su se stesso e pare che l’autoinchiesta si sia conclusa senza rinvii a giudizio.
Lo stupore di Saverio Cotticelli per il dettaglio dimenticato
Occhiuto, favorito anche da un’età inferiore rispetto al predecessore, vuoti di memoria di tale portata ancora non ne ha avuti per fortuna. Né, siamo certi, chiamerebbe in causa misteriosi pusher invisibili come ninja per giustificare i suoi. L’ultimo è arrivato proprio nelle scorse ore. E dietro pare esserci, più che una sostanza psicotropa, un morbo che, prima o poi, colpisce chiunque in politica: l’annuncite.
Occhiuto e il robot Da Vinci dell’Unical…
Il presidente Occhiuto aveva lasciato la Cittadella per celebrare l’arrivo del robot Da Vinci all’Annunziata grazie anche alla neoistituita facoltà di Medicina dell’Università della Calabria. Giusto esserci, visto che si tratta di «un investimento realizzato dall’Unical, con risorse messe a disposizione dalla Regione». L’apparecchio, d’altra parte, permetterà senza dubbio di «qualificare l’offerta sanitaria della nostra Regione e abbiamo bisogno che i saperi delle università contaminino l’intero sistema sanitario».
Ma è proprio quando il clima è di festa che il virus dell’annuncite si insinua nei corpi delle sue vittime prendendo il controllo dei loro ricordi e annebbiandoli. E l’entusiasmo intorno al Da Vinci non ha lasciato scampo ad Occhiuto. «L’installazione di questo robot – ha sottolineato ormai preda del morbo – dà la possibilità al sistema sanitario regionale di offrire gli stessi servizi garantiti in altre Regioni. Finora chi doveva subire un intervento alla prostata era costretto ad andare fuori dalla Calabria, proprio perché il nostro sistema sanitario era sprovvisto di questo robot che ormai è ordinariamente utilizzato sia per questo tipo di interventi ma anche per altri che riguardano, ad esempio, la chirurgia toracica, oncologica o ginecologica».
Al Gom dal 2016
Il robot Da Vinci, però, tutto è meno che una novità per la Sanità calabrese e Occhiuto dovrebbe saperlo. Esiste e lo usano da diversi anni con successo al GOM di Reggio Calabria. Si parla di una delle eccellenze del disastrato sistema sanitario della regione, abbastanza poche da non poter sfuggire a chi lo governa.
«Nella nostra struttura – spiegava il dottor Cozzupoli cinque anni fa – esistono giàdue equipe formate da quattro, cinque urologi in grado di eseguire interventi robotici e una equipe infermieristica con competenze multidisciplinari. Non solo, esistono già due altre equipe chirurgiche, di chirurgia generale e di ginecologia, che operano con il robot da Vinci. Perché il nostro robot è multidisciplinare, lavora su varie specialità».
Ma quando il virus dell’annuncite è entrato in un organismo, non c’è chirurgo o robot che possa rimuoverlo.
Bilanci falsificati e assunzioni clientelari all’Asp di Cosenza, riparte il processo. L’esistenza di un presunto “sistema” di corruttele nell’azienda sanitaria ha portato dirigenti, funzionari e commissari della sanità calabrese al banco degli imputati. Ad accendere i riflettori sulle presunte anomalie amministrative sono state le centinaia di segnalazioni (su delibere, determine, contenziosi, atti ingiuntivi, soccombenze, fatturazioni ai privati) partite dal collegio sindacale.
L’organo di controllo dal 2015 al novembre 2018 era composto da: Sergio Tempo in rappresentanza della Regione Calabria; Santo Calabretta (Ministero dell’Economia e delle Finanze); Sergio De Marco (Ministero della Salute); Nicola Mastrota, responsabile Ufficio Bilancio dell’Asp Cosenza. Tempo, unico dei membri del collegio a non essere confermato nel suo incarico dalla Regione Calabria allora guidata da Mario Oliverio, in qualità di presidente aveva puntualmente trasmesso i verbali con relativi rilievi sulle problematiche contabili alla Regione, al Mef, al Ministero della Salute e alla direzione dell’Asp di Cosenza. Venne però ignorato.
La cittadella regionale di Germaneto
Asp Cosenza, i verbali del collegio dei revisori
I revisori del collegio sindacale dell’Asp di Cosenza, nei loro rilievi, mostravano preoccupazione per i 575 milioni di euro di debiti(su un valore della produzione di 1 miliardo e 200 milioni di euro) con crediti per almeno 80 milioni di euro che non erano stati cancellati per «evitare un più consistente risultato economico negativo».
Voci (falsamente) in attivo che nel 2016 lievitano fino a diventare 94 milioni di euro. Nel bocciare il bilancio 2015 il collegio sindacale allertò gli organi competenti che all’Asp di Cosenza «la perdita sistemica degli ultimi bilanci di esercizio, – si legge nelle conclusioni della relazione del 29 maggio 2017 – denota squilibri strutturali del bilancio, in grado di provocare nel tempo il dissesto finanziario, se l’Ente non sarà in grado di adottare le misure necessarie».
Mesi dopo il collegio, nel verbale n. 5 del 20 aprile 2018 rileva la persistenza al 31/12/2015 dello squilibrio finanziario, già rilevato nell’esercizio 2014, «in contrasto con una sana e ordinata gestione, situazione del tutto inconciliabile rispetto agli obiettivi di rientro programmati dal piano sanitario regionale».
L’allarme con le dimostrazioni «dell’esistenza di una crisi irreversibile di liquidità» è ribadito nella Relazione al Bilancio Consuntivo del 2016 sul quale esprime parere contrario all’approvazione.
Allo stesso modo, rilevando al 31 dicembre 2017 gli stessi squilibri finanziari del passato, il collegio sindacale sollecita approfondimenti «al fine di scongiurare il rischio della duplicazione di pagamenti e/o pagamenti non dovuti». E denuncia come l’Asp di Cosenza non sia in grado «di identificare con certezza la matrice sulla cui base i pagamenti vengono liquidati». Un’incertezza che «espone la stessa al rischio di remunerare più di una volta lo stesso importo per il medesimo pagamento». E si ripercuote ancora oggi, inevitabilmente, sulle capacità di garantire ai cittadini prestazioni sanitarie adeguate.
Indagati dirigenti di Regione Calabria e Asp Cosenza
Nessuno però sembrò accorgersi di quanto stesse succedendo ai piani alti dell’Asp di Cosenza, «perché non erano state scaricate le mail» (è la tesi difensiva di uno degli imputati). Poi, però, gli approfondimenti investigativi della Guardia di Finanza coordinata dalla Procura di Cosenza diedero uno scossone. Il 5 febbraio 2021 sei tra dirigenti e funzionari dell’Asp bruzia e della Regione Calabria si videro applicare la misura deldivieto di dimora (3 in Calabria e 3 a Cosenza). Nove, invece, gli avvisi di fissazione dell’interrogatorio a seguito del quale il gip Manuela Gallo decise di interdire dai pubblici uffici 7 indagati per un anno e altri due per sei mesi.
Al termine delle indagini, nel novembre 2021, gli iscritti nel registro degli indagati furono 18. Le accuse a vario titolo per loro erano: abuso d’ufficio, falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici. Per 15 è arrivato il rinvio a giudizio nel processo ancora in corso presso il Tribunale di Cosenza. La prossima udienza si terrà il 14 aprile.
L’ingresso del tribunale di Cosenza
Tra gli imputati, con il trascorrere del tempo, qualcuno è andato in pensione. Altri continuano a lavorare tra l’Asp di Cosenza e la Regione Calabria, ricoprendo ruoli simili a quelli che li hanno condotti alla sbarra.
In teoria, non si potrebbe agire diversamente. I dirigenti sotto processo possono solo essere cambiati di ruolo, ma non rimossi. Altrimenti, in caso di assoluzione, spetterebbe loro un risarcimento.
Le assunzioni anomale all’Asp di Cosenza
Fidanzate privilegiate. Le relazioni sentimentali intrattenute, secondo la Procura di Cosenza, avrebbero favorito due donne assunte a tempo indeterminato negli uffici dell’Asp con la qualifica di dirigente. Si tratta di Giovanna Borromeo e Cesira Ariani. La prima è la compagna dell’ingegnere dell’Asp di Cosenza Gennaro Sosto. La Procura aveva richiesto anche per lui la sospensione dai pubblici uffici. Il gip ha rifiutato e Sosto, in seguito, è risultato estraneo ai fatti oggetto d’inchiesta. Borromeo fu prelevata dalla graduatoria di Catanzaro e nominata dirigente amministrativo all’Asp di Cosenza.
Ariani invece era la dolce metà dell’allora dirigente generale Raffaele Mauro. Questi avrebbe indotto la commissione esaminatrice, da lui stesso costituita, a conferirle l’incarico di responsabile dell’UOS Risk Management e governo clinico su proposta di Remigio Magnelli (direttore delle Risorse Umane dell’Asp di Cosenza) e previa verifica da parte di Fabiola Rizzuto quale responsabile del procedimento. Il tutto, però, «individuando criteri di selezione indebitamente discriminatori».
Alle loro discusse nomine si aggiunge quella di Maria Marano, che pur non essendo laureata in Medicina ha ricoperto l’incarico di responsabile dell’unità Ausili e Protesi. Un ruolo che le ha consentito di firmare (e far firmare) anche gli impegni di spesa e il rilascio delle autorizzazioni per la fornitura di pannoloni, cateteri, traverse, materassi antidecubito, letti ortopedici, ecc..
I bilanci falsificati all’Asp di Cosenza
Sui bilanci 2015–2016–2017 dell’Asp di Cosenza, secondo la Procura, il “Sistema” si sarebbe attivato per attestare «falsamente fatti dei quali l’atto era destinato a provare la verità». Tra questi appaiono gli accantonamenti nel fondo rischi e la situazione di cassa rilevabile dalla sezione Disponibilità liquide dello Stato patrimoniale.
In più, per garantirsi l’impunità, gli imputati avrebbero alterato (o fatto alterare) alcune voci di bilancio. Avrebbero utilizzato una serie di giroconti eseguiti al solo scopo di alleggerire artatamente la voragine delle perdite. E trucchetti, se confermati, ai limiti del puerile: 7 milioni di euro in rosso trasformati in “denaro disponibile” cancellando il simbolo meno davanti alla cifra.
Il nodo dei bilanci dell’Asp di Cosenza
Intanto la mancata approvazione dei bilanci consuntivi relativi agli anni 2018, 2019, 2020 e 2021 pesa come un macigno sulla contabilità dell’Asp di Cosenza. Che è quella più vasta della Calabria, quindi influenza la rendicontazione finanziaria della sanità dell’intera regione. Un concetto, questo, cristallizzato anche nelle intercettazioni captate durante le indagini: in una conversazione tra indagati gli inquirenti registrano la frase «se sballa Cosenza, sballa tutto», quasi i due presagissero un’apocalisse contabile.
Dal canto suo, il nuovo commissarioAntonio Graziano, in sella da maggio 2022, lo scorso settembre ha affermato di aver stornato debiti fittizi e crediti fasulli riuscendo così ad approvare il bilancio di previsione 2023, con tanto di avanzo di gestione.
I conti però non tornano ai revisori. L’attuale collegio sindacale nel verbale ricco di omissis del 21 dicembre 2022 «in riferimento al Bilancio di Previsione anno 2023, esprime parere non favorevole, per come già evidenziato per i precedenti bilanci dal precedente Collegio».
Il nuovo commissario dell’Asp di Cosenza, Antonio Graziano
I revisori, nel verbale, ricordano che «l’Azienda risulta sprovvista dei Bilanci relativi agli esercizi 2018/2019/2020/2021». E che «l’adozione dei predetti Bilanci è inscindibilmente propedeutica e collegata alla sistemazione e/o rimodulazione di importanti poste di bilancio, in particolare quelle debitorie». Ergo, hanno bocciato il documento contabile «non ritenendo le previsioni attendibili, congrue e coerenti col Piano di attività 2023, con i finanziamenti regionali nonché con le direttive impartite dalle autorità regionali e centrali».
Gli imputati del Sistema Cosenza
Nel frattempo il commissario Graziano continua a rimpinguare l’Asp procedendo con le 450 assunzioni annunciate. Ironia della sorte, a firmare bilanci e assunzioni sono, in parte, gli stessi imputati del Sistema Cosenza. Nei loro confronti, riferendosi in particolare a Remigio Magnelli, Fabiola Rizzuto e Maria Marano, il commissario Graziano nutre estrema fiducia: «Sono validissimi professionisti che lavorano, se ci sarà una sentenza ne prenderemo atto. Siamo garantisti. Collaborano con l’Asp di Cosenza, non hanno ricevuto promozioni, sono nello staff, non abbiamo altre risorse».
Degli indagati che operano ancora nell’Asp bruzia solo le posizioni di Elio Pasquale Bozzo (direttore del distretto sanitario Cosenza–Savuto) e Alfonso Luzzi (collaboratore amministrativo professionale del settore Risorse Umane del distretto di Rossano) sono state archiviate. L’unico per il quale, invece, non è stata accolta la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pm Mariangela Farro è l’ex commissario ad acta della Sanità calabrese, il generale Saverio Cotticelli.
Il generale Cotticelli
Raffaele Mauro
Nato a Cosenza, classe 1954. Medico specializzato in Medicina Legale e Psichiatria, direttore generale dell’Asp di Cosenza negli anni 2016 -2017 -2018, nonché nei primi mesi del 2019. Attualmente a processo con l’accusa di abuso d’ufficio per la vicenda che riguarda i falsi precari dell’Asp di Cosenza assunti pochi giorni prima delle elezioni regionali del 2014 che ha portato al rinvio a giudizio di 142 indagati.
Posizione attuale: Raffaele Mauro è in pensione dall’aprile 2019. Attualmente lavora in qualità di libero professionista in Lombardia, come psichiatra, in strutture ospedaliere attraverso le cooperative. Come ex direttore generale dell’Asp di Cosenza, non potrebbe, infatti, per legge operare per almeno tre anni nelle strutture accreditate con la stessa azienda sanitaria.
Luigi Bruno
Nato a Cosenza, classe 1961. Laureato in Economia e Commercio con master in Management dei servizi sanitari. È stato direttore del personale e Responsabile Dirigente dei Rapporti Istituzionali del Centro di Riabilitazione socio/sanitaria Fondazione “Istituto Papa Giovanni XXIII” di Serra d’Aiello fino al 2006 quando la clinica lager fu oggetto di un blitz della Guardia di Finanza che svelò le condizioni inumane nelle quali versavano gli ospiti a fronte di circa 100 milioni di euro scomparsi nel nulla.
Direttore amministrativo dell’Asp di Cosenza negli anni 2016 -2017 -2018.
Posizione attuale: Oggi Luigi Bruno lavora a Cirò Marina in una casa di cura privata.
Francesco Giudiceandrea
Nato a Rossano, classe 1963. Medico specializzato in Medicina Legale, cugino dell’ex consigliere regionale Giuseppe Giudiceandrea, è stato direttore sanitario dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza negli anni 2016-2017-2018.
Posizione attuale: Dal 2018 Francesco Giudiceandrea è tornato a lavorare nella Medicina Legale ed è attualmente dirigente medico della struttura dipartimentale Medicina Legale ex ASL 3 Rossano.
Maria Marano
Nata a San Gallo, in Svizzera, classe 1963. Ha conseguito il diploma di laurea in Giurisprudenza nel 1992 e dal gennaio 1994 lavora come collaboratore amministrativo all’Asp di Cosenza.
Posizione attuale: Oggi, Maria Marano è responsabile amministrativo referente per il distretto Jonio Nord, responsabile dell’ufficio Risorse Umane di Trebisacce e lavora nella direzione generale dell’Asp di Cosenza in via Alimena. «È nel mio staff», afferma il commissario straordinario Antonio Graziano. «Si occupa – spiega – di problematiche legate al personale, alle procedure di affidamento di gare, fa il lavoro che ha sempre fatto, ma non fa più Ausili e Protesi».
Giovanni Francesco Lauricella
Nato a Palermo, classe 1953. Direttore dell’U.O.C. Affari legali e contenzioso pro-tempore dell’Asp di Cosenza in carica fino all’agosto 2020. Avvocato noto alle cronache per l’inchiesta sulle “Parcelle d’oro” dell’Asp di Cosenza, nell’ambito della quale è stato assolto. Le indagini – dalle quali emersero oltre 400 incarichi esterni (in tre anni circa 800mila euro) affidati dall’Asp di Cosenza all’avvocato Nicola Gaetano, assolto in Appello – coinvolsero anche Andrea Gentile, figlio dell’ex senatore e sottosegretario Antonio Gentile nonché ex parlamentare in quota Forza Italia insediatosi alla Camera dopo le dimissioni di Roberto Occhiuto per incompatibilità con il ruolo di presidente della Regione Calabria.
Posizione attuale: Dal settembre 2020 è in pensione.
Antonio Scalzo
Nato a Cosenza, classe 1962. Dermatologo, specializzato anche in Medicina Legale, è stato direttore sanitario dell’Asp di Cosenza dal 2005 al 2010. Per anni direttore dell’Unità Operativa Semplice Dipartimentale Medicina Legale successivamente nominato direttore facente funzioni dell’UOC Cure primarie dei distretti Valle Crati e Cosenza. Dal 1993 al 2010 ha fatto parte e presieduto le commissioni per l’invalidità dell’Asp di Cosenza.
Posizione attuale: Oggi è in pensione. Antonio Scalzo possiede il 95% della società Autismo Domani che gestisce nell’ex convento Ecce Homo di Dipignano di proprietà del Comune la “Casa di riposo San Pio” in subconcessione dalla società Villa San Pio della moglie Antonella Lorè. Quest’ultima nell’ottobre 2021 quando la struttura fu attenzionata per la morte di un anziano ospite caduto da una finestra sporse denuncia affermando che la firma sul contratto di affidamento fosse artefatta.
Carmela Cortese
Nata a Castrovillari, classe 1956. Medico, specializzata in Medicina del Lavoro, Igiene e Sanità pubblica. Per circa 20 anni ha ricoperto la carica di direttrice del Servizio di Prevenzione, Igiene e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro del Pollino – Ionio ed è stata direttrice del dipartimento Prevenzione e Igiene pubblica dell’Asp di Cosenza.
Posizione attuale: Dal 2020 è in pensione. Appare nella lista dei medici consulenti tecnici d’ufficio del Tribunale di Castrovillari, ma senza alcun incarico attivo.
Remigio Magnelli
Nato a San Pietro in Guarano, classe 1959. Laureato in Scienze economiche e sociali con master in Diritto del Lavoro e Pubblica Amministrazione. Torna ad essere direttore dell’Unità Operativa Complessa Gestione Risorse Umane dell’Asp di Cosenza a partire dal 2013 dopo aver ricoperto l’incarico negli anni precedenti. A causa di atti firmati nel 2008 in qualità di dirigente dell’UOC Risorse Umane dell’Asp di Cosenza ha subito una condanna a un anno di reclusione diventata definitiva nel 2019 per falso in atto pubblico. La vicenda riguardava l’assunzione all’Asp di Cosenza di Michele Fazzolari. Quest’ultimo ebbe l’incarico di stabilizzare circa 430 precari dell’azienda sanitaria bruzia, tra i quali anche se stesso, operazione dalla quale scaturì un’inchiesta della Procura di Cosenza che coinvolse anche Antonio Scalzo.
Posizione attuale: Oggi è direttore del dipartimento amministrativo e direttore Affari Generali dell’Asp di Cosenza, nonché referente del commissario straordinario Graziano. Quest’ultimo lo definisce «una persona in gamba, un valido professionista, sta lavorando correttamente».
Fabiola Rizzuto
Nata a Cosenza, classe 1961. Avvocato, dirigente amministrativo dell’Asp di Cosenza. Dal 2005 è stata responsabile dell’Unità Operativa Semplice Gestione Giuridica del Personale.
Posizione attuale: Oggi è responsabile dell’area giuridico economica della Gestione Valorizzazione Sviluppo Formazione Risorse Umane del distretto Cosenza-Savuto. Di fatto sembrerebbe le sia stato affidato il ruolo del coimputato Remigio Magnelli e ricopra attualmente la carica di facente funzioni della UOC Gestione Risorse Umane. Il commissario straordinario dell’Asp di Cosenza Antonio Graziano afferma: «Fa il suo lavoro, con dignità ed onore».
Aurora De Ciancio
Nata a Montalto Uffugo, classe 1955. Laureata in Scienze Politiche. Direttore dell’UOC Gestione Risorse Economiche Finanziarie dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza dal 2013. Ha ricoperto anche la carica di commissario Asp Cosenza per un breve periodo. Di recente la Procura di Cosenza, nell’ambito di un’altra inchiesta che riguarda i doppi pagamenti di fatture in favore di privati convenzionati con il sistema sanitario regionale, ne ha chiesto il rinvio a giudizio insieme al noto imprenditore cosentino Francesco Dodaro e alla moglie Valeria Greco per un credito da circa 450mila euro ritenuto fittizio vantato dalla Medical Analisi Cliniche di Cosenza.
Posizione attuale: Da luglio 2022 è in pensione.
Nicola Mastrota
Nato a Mormanno, classe 1975. Laureato in Economia Aziendale e Scienze Politiche. Responsabile dell’Unità Operativa Semplice Bilancio e programmazione economica dell’ASP di Cosenza. Si è occupato: del Piano triennale della prevenzione della corruzione e della trasparenza 2019 – 2021; di documenti e allegati del bilancio consuntivo; dei dati relativi alle entrate e alla spesa dei bilanci consuntivi; di documenti e allegati del bilancio preventivo.
Posizione attuale: È ancora in servizio all’Asp di Cosenza quale collaboratore amministrativo professionale, presta servizio in un ufficio amministrativo di Trebisacce.
Bruno Zito
Nato a Catanzaro, classe 1964. Zito è un manager che è stato dirigente generale del dipartimento Organizzazione Risorse Umane della Regione Calabria e direttore generale reggente del dipartimento Salute della Regione. La prima nomina al dipartimento Tutela Salute arriva nel 2013 su proposta dell’allora assessore al Personale, Domenico Tallini. Per quest’ultimo la magistratura ha di recente richiesto la condanna a 7 anni e 8 mesi di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito del processo Farmabusiness.
Coinvolto nel caso Lo Presti (responsabile del Dipartimento Tutela Salute e del Servizio di Emergenza della Regione Calabria arrestato con l’accusa di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente), viene assolto perché il fatto non sussiste, dopo essere stato accusato di falso ideologico e abuso d’ufficio.
Riporta invece una condanna della Corte dei Conti, per danno erariale, per aver autovalutato le proprie performance nel 2011 e nel 2013 attribuendosi punteggi altissimi. Grazie ad essi aveva conseguito la massima indennità di risultato incassando indebitamente oltre 30mila euro.
Posizione attuale: Bruno Zito è oggi dirigente del settore 5 della Regione Calabria: Fitosanitario, Caccia, Pesca, Feamp (Fondo europeo per la politica marittima, la pesca e l’acquacoltura), Punti di entrata Porto di Gioia Tauro e Corigliano.
Il settore che dirige è articolato in 5 unità operative: Affari generali e Gestione del personale, Fitosanitario e vivaismo, Patrimonio ittico e Pesca, Patrimonio Faunistico e Caccia, Porto di Gioia Tauro.
Vincenzo Ferrari
Nato a Catanzaro, classe 1974. Commercialista e Revisore Contabile, dirigente della Regione Calabria dal 2008. Ha ricoperto tale incarico al dipartimento Tutela della Salute e Politiche sanitarie, settore area Economico – Finanziaria, servizio “Gestione FSR, Tavoli di monitoraggio”; al settore Programmazione Economica, servizio “Controllo dei Bilanci e delle aziende del SSR”.
In forze al dipartimento Tutela Salute della Regione Calabria è stato inoltre dirigente dei settori “Gestione FSR, Bilanci aziendali, Contabilità”; “Controllo di Gestione, Monitoraggio Flussi Economici, Patrimonio, Beni e Servizi”.
Inoltre nel dipartimento Organizzazione, Risorse Umane e Controlli della Regione Calabria è stato dirigente del settore Provveditorato Economato, Bollettino Ufficiale, Polizia Urbana.
Le sue principali mansioni e responsabilità riguardavano: la gestione del Fondo Sanitario Regionale, controllo delle movimentazioni dei relativi capitoli di bilancio e verifica della copertura finanziaria della spesa sanitaria; trasferimento mensile delle risorse finanziarie alle aziende del SSR; verifica e controllo dei documenti contabili (bilanci preventivi e consuntivi) delle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere; analisi sul controllo dei Collegi Sindacali; monitoraggio e controllo degli acquisti di Beni e Servizi effettuati dalle Aziende del SSR; valutazione dei fabbisogni di acquisto e determinazione delle tipologie di beni e servizi da sottoporre a gara centralizzata tramite la Stazione Unica Appaltante regionale; gestione del patrimonio immobiliare disponibile delle Aziende del Servizio sanitario regionale.
Nato a Gallarate (VA), classe 1944. Ingegnere con master in Formazione per direttori generali e Managerialità integrata, ex direttore generale delle aziende sanitarie di Siena e di Livorno è stato commissario per il Piano di rientro dal debito sanitario della Calabria dal 2015 al 2018. Sindaco del Comune di Alfedena, in provincia dell’Aquila, quando è stato nominato commissario alla sanità calabrese, all’età di 71 anni, era già in pensione e sostituì il generale della Guardia di Finanza Luciano Pezzi.
Posizione attuale: In pensione.
Antonio Belcastro
Nato a Cotronei, classe 1959. Laureato in Scienze Economiche e Sociali. Ex direttore generale del Dipartimento Salute della Regione Calabria, è stato dirigente regionale responsabile dell’emergenza Covid in Calabria.
Negli anni ha ricoperto la carica di direttore generale, direttore amministrativo e commissario straordinario dell’Azienda Ospedaliera Mater Domini di Catanzaro, di direttore amministrativo dell’Azienda Ospedaliera Pugliese – Ciaccio di Catanzaro, di direttore generale e direttore amministrativo dall’Azienda Ospedaliera di Cosenza.
Nel corso della propria carriera ha insegnato Amministrazione dei Servizi socio-sanitari; Organizzazione e Programmazione sanitaria; Ordinamento Amministrativo e attività della Pubblica Amministrazione; Finanziamento dei sistemi sanitari all’Università Magna Graecia di Catanzaro e Programmazione e controllo delle Aziende Ospedaliere all’Università della Calabria.
Posizione attuale: Oggi è alle dipendenze dell’Azienda Ospedaliera Pugliese – Ciaccio di Catanzaro, ma in aspettativa fino al 28 febbraio.
Mettiamo il caso tu abitassi in un paese montano della Calabria e sia in emergenza. Chiami il 118. L’ambulanza si ferma a metà strada per dei guasti al motore. Devi aspettare l’arrivo di un’altra macchina. Rifai il percorso all’indietro. Altri 50 minuti. Poi ti dicono: «Signora, è arrivata troppo tardi».
È il 5 novembre 2021. Melissa, una bambina di Parenti (CS) con una paralisi cerebrale infantile, ha una crisi epilettica fortissima. Il medico di paese corre nell’immediato a prestare soccorso. Testa prima una bombola di ossigeno presente in casa, poi la utilizza sulla bambina per tamponare precariamente la crisi respiratoria che le ha causato l’ingurgito del vomito.
Si attende l’arrivo dell’ambulanza, ma la situazione è instabile e problematica. Solo dopo 1 ora e 40 minuti dalla chiamata al 118, Melissa arriva in ospedale. Troppo tardi però. La bambina finisce in rianimazione e lì rimane per 10 giorni prima di ritornare a casa.
Ad aprile del 2022 Melissa ha un’altra crisi epilettica. Il 118 viene chiamato alle 5, ma l’ambulanza si rompe a metà strada. Si deve attendere l’ambulanza privata, che riesce ad arrivare in Pronto soccorso alle 08.30.
«Ho paura di dormire in pigiama»
Quelle crisi Melissa le ha superate, non certo per la tempestività dei soccorsi. Quelle ore, però, pesano come un macigno.
Dalla prima crisi i genitori di Melissa hanno paura di dormire in pigiama. Meglio farlo vestiti: «Riusciamo in questo modo a non perdere tempo, mettere la bambina in macchina e raggiungere l’ambulanza». La paura è che arrivare in ritardo stavolta possa rivelarsi fatale. Ma la lotta non è solo quella per la vita. È anche battaglia ad un sistema che guarda a questi luoghi con indifferenza.
Strade che franano e malasanità in Presila
Le corse di Melissa in ospedale hanno riportato all’attenzione i disagi propri di territori come la Presila, loro malgrado simbolo di malasanità e viabilità precaria. La distanza che divide Parenti, il paese dove vive Melissa, dal Pronto soccorso più vicino è di 33 km. Servono 50 minuti per percorrerli. In caso di emergenza si impiega il doppio: dalla chiamata al 118 all’arrivo in ospedale trascorrono, solo se si è in buoni rapporti con la Fortuna, ben due ore.
A far dilatare il tempo è in primis l’attesa dell’ambulanza, che impiega circa un’ora e 40 minuti per raggiungere il paese e ritornare in ospedale. Conteggio non proprio realistico perché ad aggravare la situazione si ci mettono le condizioni disastrate in cui versa un tratto di strada da cui è obbligatorio passare.
Il tratto di strada in questione è soggetto a periodiche frane. Le soluzioni finora? Chiusura temporanea nei periodi più critici o riduzione ad una sola corsia, con tanto di semaforo per gestire il senso alternato. In queste condizioni, nei casi di emergenza, si deve percorre una strada alternativa che raddoppia il tempo di arrivo. Questo con la bella stagione: nei mesi invernali le temperature possono scendere parecchio sotto lo zero e le strade si trasformano in piste di ghiaccio. Con tutto quello che ne consegue.
Riaprire il Pronto soccorso di Rogliano
La riapertura del Pronto soccorso dell’Ospedale Santa Barbara di Rogliano – chiuso nel 2010 – sembra essere per i cittadini la soluzione più ovvia.
Il reparto farebbe da avamposto all’omologo di Cosenza. Risolverebbe così due problemi: da una parte il sovraffollamento del Pronto soccorso dell’Annunziata, dall’altra la gestione momentanea delle emergenze provenienti dai paesi della Presila. Ma questa riapertura non s’ha da fare.
L’ospedale di Rogliano
Il motivo non è ben chiaro, la struttura e le strumentazioni presenti al suo interno si prestano alla richiesta dei cittadini. Eppure, in un recente incontro tenutosi tra commissari e cittadini proprio davanti all’Ospedale Santa Barbara di Rogliano lo scorso 1 marzo, la richiesta dei cittadini di Parenti di riaprire il Pronto intervento sembrerebbe caduta nel nulla.
Presila a rischio spopolamento, non solo malasanità
Risolvere, seppur in parte, uno dei due problemi – sanità e viabilità – potrebbe alleviare le angosce di chi vive in questi territori e non solo. Lo scorso 22 luglio i cittadini sono scesi in strada al grido di «Nessuno tocchi la sanità». Si sono anche mobilitati per acquistare loro un’ambulanza. I costi elevati di gestione e la mancanza di personale specializzato, però, li hanno costretti a rinunciare. L’ambulanza di stanza a Parenti andrebbe a gestire le emergenze di chi vive nelle contrade limitrofe che, tra l’altro, si trovano ad una distanza dall’ospedale ancora superiore. Ma non dovrebbero essere i cittadini a farsene carico.
Lo striscione affisso dai cittadini su un guardrail
E poi c’è sempre il problema delle strade. In queste condizioni il rischio di spopolamento è alto. La viabilità, infatti, ha anche un costo sull’economia di un paese fatto da imprenditori e artigiani che hanno deciso di investire nel territorio che ora sembra tradirli. Restare in condizioni simili preoccupa, ma per molti è obbligatorio.
La maternità non è un destino e neppure una tappa obbligata per ogni donna, magari per ricevere l’etichetta di “vera donna” un uomo. Si può essere donna senza essere madre e, viceversa, chi ha figli non è solo mamma: le due identità non sono perfettamente sovrapponibili.
Per la destra conta solo la maternità
Eppure, il rapporto tra donne e maternità sembra inscindibile.
Almeno per una parte politica. Infatti, se si osservano i programmi elettorali del 2022 dei tre principali partiti di destra italiani, è facile notare che si parla di donne solo in riferimento alla loro funzione familiare e materna.
Nulla di nuovo.
Da dee a maledette
Nel 1949 Simone de Beauvoir pubblicava Il secondo sesso, uno studio rigoroso in cui si ripercorre la storia della condizione femminile.
Nel saggio de Beauvoir racconta quella che potremmo definire la “maledizione della maternità”.
Fintanto che gli uomini vivevano in comunità nomadi la donna godeva di prestigio sociale proprio in virtù della sua capacità procreatrice, grazie alla quale era avvicinata alla terra e a Madre Natura. Col formarsi delle prime comunità stanziali, però, la maternità fu la causa principale per la quale la donna iniziò ad essere relegata nella sfera domestica. Col passaggio dall’età della pietra all’età del bronzo la “maledizione” prese forma.
Simone de Beauvoir
Homo faber e femina natura
L’uomo iniziava a dedicarsi alla manifattura e si emancipava dalla natura e diventava fabbricatore del suo stesso mondo.
Si affermò quello che de Beauvoir definiva “homo faber”: un soggetto che scopre la causalità e la razionalità a discapito del sistema mitico-rituale che accostava la donna alla Dea-Madre.
La donna, non diventando compagna di lavoro per l’uomo, inizia a essere percepita come qualcosa che è altro da sé. In sintesi, l’uomo diventava un animale culturale mentre la donna continuava ad esser considerata solo natura. La donna, esattamente come la natura, doveva esser controllata a partire proprio dalla libertà riproduttiva.
La maternità secondo Pro Vita
Negare alle donne la libertà di scegliere trasforma la maternità in una “maledizione” o in una condanna. Nel 2023 continuiamo a lottare anche per questo.
È il 7 marzo: mancano poche ore alla Giornata internazionale per i diritti delle donne e per le strade di Catanzaro compaiono cartelloni dell’associazione Pro Vita & Famiglia.
Sui manifesti si legge: «difendiamo il diritto di non abortire» e si parla di migliaia di donne costrette ad abortire in Italia con l’hashtag #8marzo. Si tratta di una retorica non dissimile da quella del presidente del Consiglio Giorgia Meloni che, invece, parla di tutela sociale della maternità.
Un manifesto dell’associazione Pro Vita & Famiglia a Catanzaro
Aborti in calo grazie alla contraccezione
L’aborto in Italia è un problema urgente? E in Calabria?
I dati raccolti dal Sistema di sorveglianza epidemiologica raccontano che dal 1983 le interruzioni volontarie di gravidanza (ivg) sono in costante diminuzione.
Tra il 1982 ed il 1983 le ivg furono circa 230mila, nel 2020 si sono ridotte a meno di 70mila ed il tasso di abortività, tra le donne in età fertile dai 15 ai 49 anni, è passato dal 17,2 per mille al 5,4 per mille.
Ciò è stato possibile grazie alla contraccezione. L’Italia, inoltre, è tra i paesi europei occidentali in cui si ricorre meno all’ivg. Sono le cittadine straniere in Italia, semmai, ad essere statisticamente più a rischio di ricorrere all’aborto.
La maternità secondo la legge 194
Pro Vita parla di donne costrette ad abortire, argomento ripreso in più occasioni anche dalla Chiesa e dal Papa. Ma è davvero così facile abortire? La legge 194 del 1978 regola la materia e si occupa della tutela sociale della maternità e dell’interruzione volontaria della gravidanza per garantire il diritto a una procreazione cosciente e responsabile.
La legge offre alle donne la libertà di scegliere e, nel caso in cui volessero interrompere la gravidanza, di accedere a delle cure mediche e ad un aborto sicuro.
Maternità e aborto: il consenso della donna
L’articolo 18 dichiara esplicitamente che chiunque cagioni un’interruzione di gravidanza senza il consenso della donna sarà punito con la reclusione da 4 a 8 anni. La legge che regola l’aborto, quindi, libera già le donne dalla coercizione di dover per forza tenere o meno il figlio.
Pro Vita, ma anche l’attuale governo, parlano di due principali ragioni per cui si presume che alcune donne siano costrette ad abortire: violenza da parte del partner o motivi economici.
Un manifesto per l’autodeterminazione delle donne
Violenza e problemi economici
Nel primo caso si guarda al dito e non alla luna: invece di pensare a piani di azione per tutelare le donne che subiscono violenza all’interno della propria relazione, si attacca la libertà di tutte di scegliere ricorrendo ad una retorica che, nei fatti, demonizza l’aborto.
Se non ci sono dati certi sugli uomini che costringono le compagne ad abortire, infatti, sappiamo che durante la gravidanza e dopo il parto aumenta il rischio che si ripresentino comportamenti violenti da parte di partner già violenti.
Nel secondo caso, quando si parla di fattori economici, si potrebbe sempre dare piena attuazione alla 194. Nell’articolo 2 della legge, infatti, si dichiara che i consultori possono anche aiutare la maternità difficile dopo la gravidanza.
I consultori per la maternità in Calabria
Ma qual è la salute dei consultori in Calabria? I dati raccolti dall’Istituto Superiore di Sanità fotografano una situazione apparentemente non troppo tragica, rispetto al resto del Paese. Infatti, in Italia c’è in media un consultorio ogni 20mila abitanti, in Calabria ce n’è uno ogni 29mila.
In concreto, però, la situazione calabrese è più complessa.
Benché alcuni consultori risultino aperti, in realtà non erogano alcun servizio o di fatto sono inattivi.
Il consultorio di Locri
I casi limite in regione
In un articolo dello scorso dicembre de Il Post, si legge del consultorio di Rosarno aperto per la sola presenza di un membro del personale amministrativo.
Poi ci sono casi in cui i consultori sono soggetti a chiusure e riaperture cicliche, riaperture che in genere avvengono in seguito e proteste condotte da gruppi e associazioni, come a Celico e a San Giovanni in Fiore.
I problemi dei consultori
Le chiusure sono spesso causate dal mancato ricambio del personale che, magari, va in pensione. Tra i problemi dei consultori, infatti, rientra la carenza di personale che si traduce anche in un sovraccarico di lavoro. A questo si aggiunge la mancanza di macchinari. Poche settimane fa, per esempio, il collettivo femminista cosentino Fem.In ha occupato il consultorio dell’Unical perché sprovvisto di un ecografo, e non è il solo consultorio in regione col medesimo problema.
La protesta delle Fem.In all’Unical
Troppi obiettori
Il diritto all’ivg, almeno, è tutelato in regione? All’Ospedale dell’Annunziata di Cosenza i 13 ginecologi sono tutti obiettori e sono tali anche 24 ostetriche su 26. Un solo medico, per una popolazione di 70mila abitanti, pratica l’ivg nell’Ospedale offrendo una “prestazione a gettone”.
Attraverso questa pratica gli ospedali tamponano la carenza di personale pagando alcuni medici ad ore. A livello regionale la situazione è la seguente: in poco più del 50% di tutte le strutture presenti sul territorio calabrese è possibile praticare l’ivg. Ma oltre il 65% dei ginecologi in servizio è obiettore di coscienza, ad essi si aggiunge un ulteriore abbondante 60% di personale non medico egualmente obiettore.
Aborto: un diritto a rischio
Bastano solo i numeri per notare, senza pregiudizi ideologici, che la vera urgenza è garantire alle donne il diritto di abortire o meno.
A dover essere tutelata è, ancora una volta, la libertà di poter scegliere. Ma ripetiamo: i dati sui consultori e sugli obiettori di coscienza raccontano di istituzioni che non mettono le donne nella condizione di poter scegliere, lasciando che la 194 sia più un diritto formale che non sostanziale.
Uno striscione di protesta delle Fem.In all’Unical
Una legge ancora da attuare
Se si vogliono ulteriormente diminuire gli aborti, più che sulla possibilità di scelta si potrebbe continuare a investire risorse ed energie sulla contraccezione e sull’informazione.
L’articolo 15 comma 2 della 194 ricorda che «le regioni promuovono (inoltre) corsi ed incontri ai quali possono partecipare sia il personale sanitario ed esercente le arti ausiliarie sia le persone interessate ad approfondire le questioni relative all’educazione sessuale, al decorso della gravidanza, al parto, ai metodi anticoncezionali e alle tecniche per l’interruzione della gravidanza». Che sia forse il caso di preoccuparsi di più dell’effettiva e totale attuazione della legge che tutela sia la maternità che l’interruzione volontaria di gravidanza?
Nel 2017, il 56° Congresso nazionale dell’Associazione Dermatologi Ospedalieri lanciava l’allarme sull’aumento delle infezioni sessualmente trasmesse (MST): HIV, sifilide, gonorrea, condilomi, patologie funginee, ecc. Dal 2000 in Italia la sifilide è aumentata del 400%. Il notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) sull’aggiornamento delle nuove diagnosi da HIV e AIDS al 31 dicembre 2021 segnala una costante diminuzione delle infezioni dal 2012.
Tuttavia, pur se su base nazionale, alcuni dati fanno riflettere: dal 2015 aumentano le persone cui viene diagnosticata tardivamente l’infezione HIV e nel 2021 più di 1/3 delle persone affette scopre di esserlo per la presenza di sintomi o patologie correlate, a fronte di un aumento della proporzione di malati di AIDS che lo apprende nei pochi mesi prima del suo sviluppo. In questo contesto la Calabria è virtuosa: è tra le ultime in Italia per contagi e infezioni, ma una di quelle che esporta di più in termini assistenziali(il 25% dei casi).
La sede dell’ISS
Parlare oggi di MST, dopo due anni di pandemia in cui screening ed attenzioni sanitarie sono state tutte rivolte al Covid, è più complicato. Lo confermano sia l’ISS, sia i medici ascoltati. Si può affermare che, almeno per quanto riguarda HIV, dopo il ventennio ‘80 e ‘90 e la lotta all’epidemia di AIDS, i contagi si sono abbattuti tanto da far destinare i fondi della comunicazione sociale ad altre problematiche come l’obesità. Eppure, sia a livello nazionale che locale, le ricerche raccontano di un’attenzione calata: di MST si parla pochissimo. Non esistono campagne di prevenzione, non si fa comunicazione. Ciò ha fatto in modo che le diagnosi siano nella maggior parte dei casi tardive e sottoporsi ai test tutto meno che un’abitudine.
HIV e sifilide: il caso della città dello stretto
Reggio Calabria è un caso esemplare. Al reparto di Malattie infettive del Grande Ospedale Metropolitano dicono che nel biennio tra il 2018 e il 2019 hanno registrato un’impennata di infezioni di HIV e sifilide specie nei giovani dai 25 anni in su. Pur trattandosi spesso di pazienti omo-bisessuali, l’incidenza degli etero è aumentata. Una recente pubblicazione di Microbiologia dello stesso presidio, che indaga l’andamento delle infezioni da sifilide nel periodo pre-pandemico e pandemico da COVID-19, certifica un andamento costante delle infezioni, già aumentate nel biennio precedente. La ricerca mostra anche che, nella stragrande maggioranza dei casi, il test è stato fatto in strutture private e il trattamento terapeutico effettuato con un passaggio a livello ambulatoriale, ospedaliero. Chi mastica l’argomento, conosce le relazioni che sussistono tra sifilide e HIV: la prima, soprannominata anche “autostrada per HIV”, tende ad aprire una breccia nel sistema immunitario e a rendere più facile il contagio.
Il GOM di Reggio Calabria
A dare uno spaccato della situazione è il dottor Alfredo Kunkar: «A fronte di una maggiore libertà di costumi sessuali, l’affermarsi di una maggiore promiscuità vissuta con troppa leggerezza rappresenta la prima causa di questa situazione. Unendo a ciò l’assenza di una cultura della prevenzione, il quadro è chiaro. Se è vero che la sifilide fino a qualche anno fa sembrava superata, il suo ritorno, anche in fasce della popolazione non costituite da categorie fragili (tossicodipendenti, prostitute, ecc.), ma dai cosiddetti “insospettabili”, abbinata ad una maggiore incidenza dell’HIV, dovrebbe aprire una riflessione sul tema, soprattutto tra i più giovani. Il fatto che ci sia poco dibattito e poca prevenzione, che a scuola non si parli di educazione sessuale, ha creato una percezione erronea di ciò che implica averci a che fare e su come affrontare terapie contro le infezioni sessuali».
Consultori solo a Catanzaro e Cosenza
Il medico chiarisce ulteriormente la situazione: «Tra i ragazzi si è radicata la convinzione, ad esempio, che di AIDS non muoia più e che le infezioni HIV siano curabili. La medicina ha fatto passi da gigante dalla grande emergenza degli anni ‘80, ma ricordiamoci che la severità di una patologia dipende dalla condizioni dei singoli e dal fatto che la diagnosi venga effettuata ad uno stadio già avanzato dell’infezione, ovvero che l’HIV sia degenerato in AIDS. Altro elemento importante: quando entrano in terapia, molti non hanno ben chiaro che si tratta di un trattamento a vita. Sono convinti che sia transitorio, ma così non è. Quando scoprono la verità hanno contraccolpi psicologici rilevanti che, in caso di richieste dei pazienti, affrontiamo appoggiandoci al reparto di psichiatria dell’ospedale. La paura più grande dei pazienti è legata allo stigma, specie in ambito professionale».
L’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria
Per la provincia di Reggio, inoltre, a differenza che per Catanzaro e Cosenza, non esistono consultori territoriali che si occupino di MST. Secondo Santo Caridi, direttore sanitario dell’ASP di Reggio, il problema riguarda due aspetti: la scarsità di fondi e la mancanza di programmazione.
Papilloma, una buona notizia c’è
Secondo la dottoressa Francesca Liotta, direttrice sanitaria di Polistena, i dati disponibili sono solo una faccia della questione: «Temo si tratti di dati parziali. Credo che il sommerso sia molto più cospicuo. Nel nostro ospedale non abbiamo registrato casi negli ultimi due anni, ma sappiamo per certo che la popolazione non è abituata a fare screening regolari. Le analisi per infezioni sessuali che effettuiamo sono prevalentemente fatte post ricovero per altre patologie e vengono richieste dai reparti intensivi. Capita che ci siano pazienti che arrivano lamentando alcune sintomatologie e che però si rifiutino di approfondire le indagini, anche in caso di sospetto HIV.
Un vaccino contro il papilloma virus
L’arrivo del coronavirus, poi, ha avuto il suo peso. Aggiunge Liotta: « Non scordiamoci che il Covid ha cambiato l’ordine delle priorità. L’emergenza pandemica ha fatto sì che l’attenzione verso altre criticità diminuisse anche nella percezione della popolazione. Le faccio un esempio: nel mio presidio ci siamo resi conto che c’è una grossa incidenza da infezioni funginee. Siamo invece a buon punto con la campagna di vaccinazione contro il Papilloma Virus, l’HPV». Rispetto al Papilloma anche nel presidio di Locri e a Reggio la copertura vaccinale è alta. È una buona notizia, perché l’HPV può aprire la strada ad ulteriori infezioni sessuali.
Cultura e prevenzione
Tutti concordano nel sottolineare un’assoluta mancanza di informazione e di cultura della prevenzione. «Compresa una mancanza di compliance – dice Cosimo Infusini, patologo e responsabile del settore Microbiologia clinica dell’ospedale di Polistena – con i medici di famiglia». Servirebbero due elementi fondamentali: budget da investire e sinergie da sviluppare. Per il primo aspetto, sia a livello ministeriale che di presidi locali, le coperture mancano. Quanto al secondo, investire a scuola, fin da quando la popolazione diventa sessualmente attiva, abbatterebbe la soglia di rischio, creando più consapevolezza e un impatto economico e sociale meno violento. Liotta batte molto su questo punto: «Oltre alle famiglie e alle scuole deve migliorare l’impegno di tutto il tessuto associativo dei territori. Una maggiore sensibilità e attenzione aiuterebbero molto. È un tema che riguarda in generale la saluta pubblica».
Farmaci utilizzati nelle terapie antiretrovirali
Il problema di una scarsa cultura sanitaria, riguarda anche la PrEP, la terapia pre-esposizione a base di farmaci antiretrovirali che scherma dall’HIV in caso di rapporti occasionali non protetti. Se in alcune Regioni (Toscana ed Emilia Romagna) la PrEP è a carico dei sistemi sanitari regionali senza costi per gli utenti, la Calabria non la prevede. È sì disponibile nelle farmacie, ma sotto prescrizione medica e a pagamento. Anche di questo si parla troppo poco, perché è vero che la PrEP difende da infezioni HIV ma non dal resto. Elemento non sempre chiaro: Uutilizzare la PrEP non protegge da tutto, elemento spesso ignorato. E il suo uso continuativo può portare a disfunzioni renali. I farmaci utilizzati sono gli stessi dati in terapia ai sieropositivi, ma con un dosaggio più blando. Questo significa che, se hai rapporti non protetti, puoi evitare l’HIV, ma sei esposto a tutto il resto», chiarisce Kunkar.
PrEP e post-esposizione: rafforzare il counseling infettivologico
Secondo l’infettivologo Carmelo Mangano, esperto in HIV, «dovrebbe essere ampliata la possibilità di offrire la profilassi pre-esposizione o quella post-esposizione dopo un rapporto a rischio, accompagnandole con un counselinginfettivologico per l’utilizzo dei chemioterapici antiretrovirali. Servirebbe non solo un facile accesso al servizio di diagnosi ma anche un facile accesso territoriale di cura, al netto dell’offerta ospedaliera che andrebbe riservata agli acuti critici, offrendo un servizio di qualità e di utilità pubblica».
«Sul nostro territorio prosegue Mangano – ci sono gli attori qualificati ed esperti in Prevenzione, si tratta di comprendere in termini di politica sanitaria il problema relativo alla necessità di profilassi delle MST creando anche un ambulatorio di riferimento, oltre al laboratorio diagnostico dell’ASP Polo Nord di Reggio. Assieme a campagne di sensibilizzazione sull’uso dei contraccettivi per ogni tipo di rapporto si potrebbero ridimensionare le spese e offrire un servizio migliore per gli utenti che, sempre più frequentemente, chiedono prestazioni sanitaria specifiche per le MST».
La testimonianza: vivere con l’HIV tra stigma e pregiudizi
«Sono sieropositivo da gennaio 2016, o per lo meno è quando l’ho scoperto. Sono andato a fare gli esami perché, avendo notato strani sintomi fisici, come mal di gola, rush cutanei, ingrossamento dei linfonodi, ho cercato informazioni su forum dedicati e da lì ho iniziato a prendere consapevolezza. A mia memoria non avevo avuto comportamenti sessuali a rischio, ma può essere che fossi già infetto. Nel 2007, 11 anni prima, infatti mi era stata diagnosticata la sifilide. Non avevo mai pensato prima di fare il test.Non sono andato in ospedale, ma in una struttura privata territoriale. Successivamente ho rifatto le analisi in ospedale e ho iniziato la terapia. Sono stato fortunato perché non sono mai sceso sotto gli 800 CD4/ml, che sono le sentinelle della solidità del sistema immunitario. Un sieronegativo ne ha una soglia base di 1000.
Sono entrato in terapia a meta febbraio 2016. L’impatto è stato terribile. Prima di prendere la prima pillola ho pianto a lungo: ero consapevole che la mia vita sarebbe cambiata. Il primo anno è stato duro perché ero spaventato, ma ho iniziato a studiare e informarmi su Hivforum.info, la piattaforma più aggiornata dal punto di vista della ricerca e delle testimonianze. Mi è servito tempo per metabolizzare. L’ospedale di Reggio non mette a disposizione un’equipe di supporto psicologico per chi fa questo accesso. È vero che Malattie Infettive collabora con Psichiatria ove necessario, ma ne faccio una questione di metodo: non è il paziente a dover chiedere il supporto, ma la struttura a dover fornire fin da subito il supporto psicologico. Dal confronto con pazienti che si curano altrove so che in altri contesti, come Milano, Firenze, Roma, le cose funzionano diversamente.
Ho passato momenti di paura, ma per vincerla bisogna informarsi. Studiare e capire aiuta anche la propria postura psicologica. L’HIV non è una malattia, ma un’infezione cronica che può trasformarsi in patologia se non viene trattata. Sono arrivato a pensare che è meglio l’HIV che un cancro al pancreas. Ad oggi la terapia ti consente una vita normale, anche di avere figli senza mettere in pericolo la loro salute o quella della madre. Certo, vivo in terapia vita natural durante, ma ho la stessa aspettativa di vita dei sieronegativi. Ho conosciuto persone la cui diagnosi era arrivata mentre avevano un livello di CD4 di 4/ml, il che significa sistema immunitario distrutto. Con un mese di trattamento sono tornate a livelli quasi normali.
Ad oggi nessuno sa di me, tranne la mia famiglia, perché lo stigma è ancora alto: l’ignoranza instilla pregiudizio. Manca parlare di MST, di contraccezione, di prevenzione. La mia famiglia ha reagito bene, anche se il colpo è stato duro. Io mi controllo costantemente e loro sono sempre informati sulle mie condizioni. Ho deciso di non dirlo alla mia ragazza. La mia carica viremica è pari a zero e non ho obblighi giuridici. Potrebbe insorgere un obbligo morale, ma è un tema che andrà affrontato quando e se decideremo di costruire un percorso di vita comune.
Di certo c’è che in tutti questi anni mi sono state fatte solo una TAC e una risonanza magnetica: il problema della sanità di seria A e di serie B esiste. Le persone sieropositive come me che vivono in contesti più ricchi hanno altri tipi di servizi, a partire dal fatto che hanno praticamente il loro infettivologo personale. Una cosa che qui a Reggio non ho mai visto, forse anche per una organizzazione del reparto che potrebbe essere migliore.
Bisogna fare educazione sessuale, parlare, diffondere cultura. Ricordiamoci una cosa: i sieropositivi monitorati non mettono in pericolo nessuno. Non c’è motivo di avere paura. È ora di sradicare questo stigma».
I trapianti di organi sono in aumento del 10%, nell’ultimo anno monitorato dal ministero della Salute (2021) e i dati sono in leggera crescita anche nelle previsioni per il 2022, ma per queste tipologie di interventi chirurgici servono donatori. E per le donazioni di organi la Calabria, purtroppo, è l’ultima regione italiana per numero di persone che aderiscono a questa prassi.
Donazione organi: Rovito, Rose e Tiriolo i comuni più generosi in Calabria
La classifica vede al primo posto la Toscana, per quanto riguarda le regioni. Per i Comuni quelli più virtuosi sono Trento e Geraci Siculo (in provincia di Palermo) che condividono la prima posizione. Ad ogni modo, e a prescindere dalle motivazioni, invece, è il comune di Rovito, in provincia di Cosenza, quello più generoso della Calabria per quanto riguarda la donazione di organi. Al secondo posto c’è un altro comune cosentino, quello di Rose, mentre al terzo posto c’è Tiriolo in provincia di Catanzaro.
Rovito (CS)
Il dato arriva dall’ultima edizione dell’Indice del Dono, il rapporto realizzato dal Centro nazionale trapiantidell’Istituto superiore di sanità. Il documento mette in fila i numeri delle dichiarazioni di volontà alla donazione di organi e tessuti registrate nel 2021 all’atto dell’emissione della carta d’identità nelle anagrafi dei 6.845 Comuni italiani in cui il servizio è attivo. Il prossimo indice completo sarà diffuso in occasione della 26ma Giornata nazionale della donazione degli organi che dovrebbe svolgersi il 24 aprile.
I numeri del dossier del Centro nazionale trapianti
Il dossier è espresso in centesimi, elaborato tenendo conto di alcuni indicatori come la percentuale dei consensi, quella delle astensioni e il numero dei documenti emessi. Rovito ha raggiunto un indice di 75,69/100, grazie a un tasso di consensi dell’91,6% e a un’astensione ferma al 44%. Tra le province, Vibo Valentia è la migliore delle calabresi, 84° su 107 a livello nazionale, seguono Catanzaro (88°), Cosenza (91°), Reggio Calabria (103°)e Crotone (105°).
Complessivamente la Calabria è risultata 21° e ultima tra le regioni italiane, con un indice del dono di 51,19/100 (consensi alla donazione: 60,1%), sotto la media nazionale che nel 2021 si è attestata a quota 59,23/100 (consensi 68,9%).
I risultati sono in crescita rispetto allo scorso anno. Forse una campagna di sensibilizzazione e di pubblicità sull’argomento, però, potrebbe essere utile in Calabria per aumentare il numero di donatori.
«Le Misericordie sono le associazioni di volontariato più antiche nel mondoe sono ottocento in Italia, di cui 25 in Calabria». A raccontarlo è Valentino Pace, che è responsabile area emergenza delle Misericordie della Calabria e vice presidente della Misericordia di Trebisacce. Non solo: è anche a capo della Consulta regionale delle associazioni di volontariato.
Il suo dunque è uno sguardo duplice, in grado di raccontare il volontariato partendo dall’esperienza quotidiana di una delle associazioni, ma anche fare il punto sull’organizzazione e sulla capacità di risposta che è caratterizzano il volontariato impegnato nel soccorso.
Misericordie, dalle fragilità sociali alla Protezione civile
«Noi proveniamo dal mondo cattolico» dice subito Pace, rivendicando una appartenenza e una radice culturale che stanno alla base del loro impegno «e che fornisce a ogni volontario motivazione e forza». I campi d’intervento delle Misericordie sono diversi e attraversano trasversalmente tutte le fragilità sociali, fino all’impegno nella Protezione civile.
Volontari della Misericordia di Trebisacce caricano un paziente su un’ambulanza
«La giornata del volontario è scandita dai compiti cui l’associazione è chiamata, per esempio il trasporto dei dializzati o dei disabili. Operiamo in convenzione con il 118 e con le Asp e mettiamo a disposizione del territorio ambulanze operative 24 ore con personale addestrato al soccorso in emergenza».
Oltre a ciò, le Misericordie si occupano del Banco alimentare e farmaceutico. E in Calabria ci sono tre Empori solidali (Trebisacce, Reggio Calabria e Papanice), dove le famiglie economicamente vulnerabili possono trovare un efficace presidio contro la condizione di povertà.
Un volontario è per sempre
Le risorse umane delle Misericordie sono composte da volontari, ma la lunga storia di queste associazioni ha premesso di precorrere i tempi. In passato accoglievano gli obiettori di coscienza contrari alla leva obbligatoria, adesso l’associazione è aperta ai giovano che vogliono svolgere il Servizio civile.
Qualcuno dopo aver concluso il suo anno di servizio resta come volontario. È il caso di Rachele, che svolge il suo compito sulle ambulanze e che conosce tutti i pazienti che periodicamente porta a fare la dialisi. «Familiarizzo con loro, cerco di rendere meno gravosa l’incombenza, ma mi è successo una volta di non aver riconosciuto un ragazzo con cui avevo condiviso gli anni del liceo. La malattia lo aveva reso irriconoscibile e quando la mamma mi ha spiegato chi fosse, sia pure con fatica abbiamo rievocato gli anni della scuola. In un certo modo l’averlo portato indietro nel tempo ha alleviato la sua sofferenza». Oggi Rachele ha trovato un lavoro che richiede la sua presenza dalle nove del mattino, «ma continuo il mio servizio sulle ambulanze, dalle sei e mezza, per il primo turno giornaliero del trasporto dializzati».
Fatti, non parole
La capacità organizzativa di cui sono in possesso le Misericordie è anche a disposizione della Regione per far fronte con uomini e mezzi ad eventuali emergenze che riguardassero l’ambito della Protezione civile. Proprio in questo contesto, di recente, l’associazione ha partecipato a una vasta esercitazione nell’area dello Stretto, simulando un intervento dopo un sisma, finalizzato al recupero e al trasporto in sicurezza di persone con disabilità.
Ma Pace è anche alla guida della consulta che raccoglie e rappresenta tutte le associazioni che sono riconosciute dalla Protezione civile della Calabria. Essa ha il compito di interagire con le istituzioni regionali deputate agli interventi in emergenza e a tenere aggiornata la mappa delle risorse disponibili e operativamente dispiegabili in caso di necessità sul territorio calabrese.
La Consulta è organo non solo di rappresentanza, ma significativamente operativo. Ha, infatti, il compito di offrire in tempi rapidissimi una efficace risposta a una qualunque emergenza dovesse verificarsi.
Questo articolo fa parte di un progetto socio-culturale finanziato dalla “Fondazione Attilio e Elena Giuliani ETS”. Cosenza sarà per tutto il 2023 Capitale italiana del volontariato. Attraverso I Calabresi la Fondazione intende promuovere e far conoscere una serie di realtà che hanno reso possibile questo importante riconoscimento.
L’unica notizia uscita dal convegno Bilancio regionale 2021 e Corte dei Conti: quello che i calabresi non sanno, tenutosi a Villa Rendano lo scorso 20 gennaio, è che il Consiglio regionale non ha detto una parola.
Ed è gravissimo: i rilievi pesanti fatti a dicembre dalla magistratura contabile meritavano più di una riflessione politica in Calabria.
Vi ha provveduto, in parte, la Fondazione Attilio e Elena Giuliani, che ha radunato attorno al classico tavolo un economista, Giuseppe Nicoletti, un veterano del sindacato, Roberto Castagna, e due sindaci, Stanislao Martire e Pietro Caracciolo, rispettivamente di Casali del Manco e Montalto Uffugo.
Il tutto, sotto la moderazione del giornalista Antonlivio Perfetti.
Il tavolo dei relatori
Corte dei Conti: la Calabria si confronta
Le affermazioni della Sezione regionale della Corte dei Conti sono piuttosto note.
Ma l’analisi di Nicoletti mette a nudo i problemi con particolare crudezza, perché si basa sulla comparazione tra la Calabria e altre due regioni di media grandezza per rapporto abitanti-territorio: la Liguria e le Marche.
In apparenza, i dati sembrano simili; tutte e tre le Regioni hanno difficoltà a riscuotere i tributi, e soffrono, inoltre, di forti vincoli ai bilanci, oscillanti in media sul 70%, dovuti alle spese sanitarie.
Allora, dov’è l’inghippo?
La povertà fa la differenza
Quel che ci danneggia, prosegue Nicoletti, è la sostanziale povertà del sistema socio-economico: il reddito medio del calabrese (ci si riferisce solo ai contribuenti e non al “nero”) è di 13.837 euro annui, contro i 22.250 della Liguria e i 19.750 delle Marche.
Quindi, non riuscire a recuperare un miliardo e mezzo sui sette e rotti di entrate tributarie accertate non è grave: è tragico.
Soprattutto perché l’aspetto più debole è costituito dalle entrate “libere”, cioè utilizzabili senza vincoli, solo il 12%, dalla spesa per il finanziamento del debito sanitario, non ancora quantificato (155 milioni) e dall’emigrazione sanitaria (242 milioni). Manca poco all’asfissia.
Le lacune del sindacato
Roberto Castagna, il segretario generale dei pensionati della Uil, fa in parte un mea culpa: il sindacato è intervenuto tardi nel dibattito dopo aver latitato.
Il che non è poco, in una Regione dove la tenuta sociale e il sistema dei diritti sono a forte rischio. E questo senza invocare il peso della criminalità organizzata.
Si rende necessaria, a questo punto, una forte presenza delle sigle dei lavoratori, soprattutto nei settori “caldi”, dalla pubblica amministrazione alla Sanità, appunto.
L’ira dei sindaci
Sempre a proposito di Sanità, la provocazione più forte “volata” dal dibattito riguarda le frizioni campaniliste tra Catanzaro e Cosenza per il Corso di laurea in Medicina.
La proposta, lanciata dal moderatore, di aprire un dibattito tra i rettori di Unical e Magna Graecia, ha punzecchiato a dovere i due sindaci.
Parteciperemo senz’altro e in prima fila, affermano Martire e Caracciolo.
La condizione finanziaria della Calabria pesa tantissimo sui Comuni, che restano spesso col classico cerino in mano.
Così è per molte imposte, di cui sono i riscossori, così per i servizi.
L’Università della Calabria
Acqua e rifiuti
I servizi idrici sono un punto dolente fortissimo, su cui Martire e Caracciolo hanno insistito tantissimo: con che risorse possiamo provvedere alla manutenzione della rete idrica se la maggior parte delle somme va alla società di gestione?
Discorso simile per i rifiuti: i Comuni si accollano lo spazzamento e la gestione delle discariche. Per questo motivo l’ipotesi, avanzata da Roberto Occhiuto, di centralizzare a livello regionale la riscossione, più che perplessità desta allarmi. E via discorrendo.
La grande malata: i conti della Sanità in Calabria
Solo di recente la Calabria ha istituito i “tavoli” di confronto tra sindaci e Regione. E il coordinamento tardivo, ovviamente, non aiuta a lenire la situazione.
Soprattutto se si pensa che i veri problemi sono altrove. E li rivela un acronimo sinistro: Lea, cioè livelli essenziali di assistenza, dove siamo gli ultimissimi, con un punteggio di 125 su un minimo di 160. Per la Sanità può bastare. O forse no: manca alla conta la quantificazione effettiva del debito. E i 500 milioni rilevati all’Asp di Reggio non fanno sperare bene.
L’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria
Fondi europei e Calabria: i conti non tornano
Altra nota dolente, i finanziamenti statali ed europei, che sono l’unica vera risorsa di cui disponiamo. La Calabria spende poco (circa 300 milioni l’anno) su un budget di 2 miliardi e rotti. Peggio ancora per le somme da recuperare per sospetta frode o irregolarità: 260 milioni.
In una situazione così, i conti non bastano: occorrono gli scongiuri.
Il concetto di “liquidità” che caratterizza la nostra epoca è stato brillantemente elaborato dal sociologo Zygmunt Bauman. Secondo Bauman, la contemporaneità offre ai cittadini sempre meno riferimenti e certezze, mentre anche i diritti fondamentali soccombono alle regole del libero mercato. La sanità pubblica in Calabria è un ottimo esempio di passaggio dallo stato solido allo stato liquido. Prima di altre Regioni, in Calabria si è avviato il processo di “alleggerimento” dell’intero comparto sanitario, anteponendo i principi contabili al diritto alla cura.
Zigmunt Bauman, sociologo e teorico della società liquida
Il sistema sanitario calabrese, già lontano dall’eccellenza, è stato sottoposto ad una pesante cura dimagrante fatta di chiusure, tagli lineari, depotenziamenti e blocco delle assunzioni, che – tra l’altro – non ha affatto migliorato la situazione finanziaria. Tra gli effetti di questi processi, le strutture sanitarie, sempre più a corto di personale e macchinari efficienti, hanno visto crescere le liste d’attesa fino a negare la possibilità di curarsi tempestivamente. In un contesto di grande incertezza e smarrimento, un cambiamento (forse irreversibile) è avvenuto: la sanità privata ha monopolizzato il “mercato” degli esami diagnostici e delle visite specialistiche.
Fare sistema o fregare il sistema?
La favola del pubblico e del privato che in ambito sanitario “fanno sistema insieme” si fa sempre più fatica a raccontarla (ed ascoltarla). I massimalisti del neoliberismo vorrebbero addirittura un mercato concorrenziale tra sanità pubblica e sanità privata, delegando il potere di scelta ai pazienti-consumatori. Le ambiguità e le contraddizioni di un approccio di questo tipo sembrano evidenti: come può il diritto universale alla salute conciliarsi con le logiche del profitto e la volubilità del mercato? Nell’ultimo ventennio si è già assistito al perverso tentativo di aziendalizzare la sanità pubblica, creando un sistema ibrido che stimola la commercializzazione della salute e che restituisce dei risultati non proprio incoraggianti.
L’ex presidente della Regione e commissario alla Sanità, Giuseppe Scopelliti
La cura Scopelliti
La cura Scopelliti, basata sullo smantellamento degli ospedali territoriali con la promessa (mai realizzata) di creare strutture assistenziali intermedie, ha aperto voragini nell’offerta dei servizi erogati dalla sanità regionale. Nelle strutture pubbliche, come soluzione alle conseguenti lunghe liste d’attesa, la prassi è divenuta re-indirizzare i pazienti verso la sanità privata convenzionata, che si è posizionata in maniera predominante sul mercato. Essendo parte integrante ed adottando la stessa tariffazione del Sistema sanitario regionale (comprese le esenzioni ticket), le organizzazioni della sanità privata non perdono occasione per ribadire il loro soccorso alla sanità pubblica, musica per le orecchie di quelli che “ben venga il privato, se il pubblico non funziona”.
Sanità, Calabria nel gioco dei privati
L’impatto con la realtà avviene quando le strutture private convenzionate raggiungono il tetto delle prestazioni annuali rimborsate dalla Regione ed allora, o chiedono al paziente di pagare il prezzo intero, o decidono di sospendere temporaneamente i servizi, alimentando così una sorta di circolo vizioso. La sanità privata convenzionata, tra l’altro, ha la facoltà di scegliere à la carte quali prestazioni erogare, pertanto, si concentra negli ambiti che richiedono un numero esiguo di personale qualificato ed un rimborso conveniente da parte della Regione. Tutte logiche che mal si conciliano con il principio universalistico del diritto alla cure.
L’emorragia di personale sanitario
Una delle principali motivazioni del collasso della sanità pubblica calabrese è sicuramente la penuria di personale: tra 2009 ed il 2020, il blocco delle assunzioni ha provocato unadiminuzione del 18% del personale sanitario pubblico, che equivale a 2.674 operatori in meno. In aggiunta alla migrazione sanitaria dei pazienti, anche medici ed infermieri, stanchi di doppi turni e vessazioni, hanno avviato un esodo verso altre Regioni e verso la sanità privata convenzionata, che, nello stesso periodo, ha visto aumentare il personale sanitario del 15%.
L’ex ministro della Salute, Roberto Speranza con Roberto Occhiuto, presidente della Regione Calabria
Il limite delle assunzioni
Ai rigidi paletti fissati dal Piano di Rientro si è aggiunta la negligenza dei commissari ad acta, che non si sono preoccupati di assumere neanche quando i parametri statistici lo avrebbero permesso. Gli effetti a medio-lungo termine saranno forse irreversibili. Scarso appeal della Regione e concorsi che vanno “a vuoto” rappresentano il mantra del commissario Occhiuto, ma neppure una inversione di tendenza ed una maggiore attrattività permetterebbero alla Calabria di recuperare il terreno perso. Infatti, anche il nuovo ministro della Salute Orazio Schillaci ha confermato di non voler mettere mano al limite delle assunzioni che fissa il tetto massimo del personale sanitario ai livelli del 2018, prevedendo dal 2025 una riduzione della spesa sanitaria fino ai livelli pre-Covid.
Il PNRR? Altro passo verso la privatizzazione
Le misure finanziate dalla Missione 6 del PNRR non preannunciano alcun cambio di passo, la sanità pubblica sembra destinata ad essere travolta da una aggressiva privatizzazione dell’intero sistema. Infatti, gli investimenti sull’edilizia sanitaria e sull’acquisizione di apparecchiature, lasciano scoperto il nervo del capitale umano. Affinché il PNRR sortisca qualche effetto positivo bisognerà reclutare molte unità supplementari di personale sanitario, ma nulla si prevede in questo senso.
In Calabria, la nuova geografia sanitaria prospettata dal Piano del commissario Occhiuto offre spunti per nuove incertezze: una programmazione nell’ottica di “portare a casa” risorse da iscrivere sui capitolati di bilancio, piuttosto che sull’analisi dei fabbisogni sanitari e dello status quo delle strutture esistenti.
Sanità, la Calabria a conti fatti
I numeri rendono difficile immaginare un funzionamento immediato ed a pieno regime delle nuove strutture assistenziali territoriali. 61 Case di Comunità e 20 Ospedali di Comunità da attivare entro il 31 dicembre 2026, traguardo assai improbabile se si pensa che, nella maggior parte dei casi, non esiste neppure uno studio di fattibilità preliminare per la realizzazione delle opere. La messa in funzione delle nuove strutture assistenziali richiederebbe inoltre diverse unità supplementari di personale: a conti fatti, (al netto del personale da integrare negli ospedali propriamente detti) bisognerebbe inquadrare almeno 350 infermieri e 120 operatori socio sanitari, senza contare medici, assistenti sociali e personale amministrativo.
L’impossibilità di attivare i servizi con risorse proprie potrebbe spingere la Regione ad affidarsi ancora di più ai privati. Infatti, un particolare non trascurabile è che gli ospedali di comunità e le case di comunità sono modelli particolarmente affini ai settori che la sanità privata convenzionata predilige: riabilitazione, esami diagnostici e visite specialistiche. Ad altre latitudini già si osserva questa dinamica: la Regione si occupa dell’edilizia sanitaria ed i servizi vengono affidati a cooperative, medici a gettone e sanità privata convenzionata, una modalità ormai collaudata per “fare sistema insieme”, mentre l’accesso alle cure, sempre più liquido, inizia già ad evaporare.
La Calabria dei campanili è sempre pronta alle battaglie fratricide. Accade così che l’annuncio della nascita di una nuova facoltà di medicina presso l’Unical, susciti le urla di sdegno dell’università di Catanzaro, che pure non vedrà sguarnita la sua offerta formativa. A guidare il campanilistico malcontento catanzarese sono i politici della città, in modo del tutto trasversale, dalla parlamentare Wanda Ferro a Nicola Fiorita, che prima di diventare sindaco insegnava proprio all’Unical, passando per gli altri due ex candidati a guidare Catanzaro: Valerio Donato e Antonello Talerico.
L’Università della Calabria
Le preoccupazioni catanzaresi sono del tutto evidenti: fin qui una sola facoltà di medicina non trovava concorrenti nel raccogliere iscritti, da domani invece ci sarà da sgomitare, ma forse nemmeno tanto, se i numeri che circolano sono esatti e raccontano di una significativa quantità di studenti calabresi che si iscrivono a facoltà di medicina fuori dalla regione.
Una questione politica (e non solo)
Del resto è difficile non valutare positivamente l’aver gettato il seme che potrebbe alleviare la tragedia in cui versa la sanità calabrese, visto che una facoltà di medicina apre a futuri scenari importanti in termini di miglioramento complessivo della qualità dei servizi. Basti pensare al collegamento tra la facoltà e il nuovo – e ancora ipotetico – ospedale di Cosenza, che diventando policlinico universitario, godrebbe di competenze di primo livello. Poiché la cronaca certe volte vuole diventare ironica, a portare a casa il risultato della nascita di una nuova facoltà di Medicina è stato un presidente cosentino della Regione, di cui ancora si rammentano le parole di plauso per la chiusura di 18 ospedali.
L’ingresso del vecchio ospedale dell’Annunziata a Cosenza
E qui nuovamente si apre l’altra partita, apparentemente campanilistica, ma in verità del tutto politica. Infatti l’annunciata apertura della nuova facoltà di Medicina all’Unical rimette in discussione la scelta dell’area dove edificare il nuovo ospedale. Nel meraviglioso mondo della teoria il Comune di Cosenza avrebbe indicato la zona di Vaglio Lise, mettendo da parte la zona di Contrada Muoio che invece piaceva all’ex sindaco della città. Tuttavia il crudele mondo della realtà frappone non pochi ostacoli alla sua realizzazione, basti pensare che quei terreni sono della Provincia, e ancora non è chiaro se li abbia già ceduti allo scopo.
I cugini di Campagnano
All’orizzonte spunta un nuovo motivo per mettere in discussione la scelta fatta dal consiglio comunale di Cosenza: che senso avrebbe edificare un nuovo e moderno ospedale lontano dalla facoltà di medicina? Ed ecco che il rigurgito del mai sopito campanilismo tra Rende e il capoluogo è già pronto a riaffiorare.
La questione va assai oltre uno scontro tra campanili, perché con tutta evidenza la nascita di un nuovo ospedale comporterebbe la crescita tutt’attorno di servizi ed infrastrutture che porterebbero economie al territorio. Per Cosenza non si tratterebbe della perdita di un “pennacchio”, ma di opportunità materiali. D’altra parte non si è mai vista una facoltà di Medicina separata dal nosocomio.
La matrioska dei campanilismi
A ben guardare, quindi, la nascita di Medicina all’Unical riapre i giochi e pone prepotentemente Arcavacata in cima alle possibilità di scelta: un luogo baricentrico nella già concreta idea di area urbana, rapidamente raggiungibile perché servita dall’autostrada, senza contare che i terreni su cui l’ospedale sorgerebbe potrebbero essere quelli già in possesso dell’università. Tutte ragioni che razionalmente dovrebbero spazzare via altre ipotesi.
Il campanilismo è come una matrioska: c’è quello tra Cosenza e Catanzaro e più dentro quello tra Cosenza e Rende e più dentro ancora quello tra i politici che devono decidere.
Ma ci sarà tempo per le barricate e le grida, perché intanto il nuovo ospedale è solo una bella intenzione. E, come dice il proverbio ebraico, «mentre gli uomini progettano, Dio ride».
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