Due giorni di confronto serrato e partecipato su diagnosi e terapia della malattia venosa cronica. Protagonisti: angiologi e specialisti della medica vascolare di fama nazionale e internazionale, ma anche di aree mediche connesse, medici di base, pazienti, che hanno dato un contributo importante alle sessioni pratiche del convegno. Il II Talk Show in Angiologia, svoltosi a Gizzeria Lido (CZ), è stato senza dubbio un successo. Merito anche della formula innovativa, sperimentata nella prima edizione e che, conservando intatta la qualità dei contenuti medico scientifici, è andata ben oltre la convegnistica tradizionale.
“Il talk – commenta Elia Diaco, promotore e responsabile scientifico dell’evento – si è rivelato una formula vincente perché avendo un approccio da divulgazione scientifica, aiuta i pazienti ad acquisire una maggiore consapevolezza sulla patologia da cui sono affetti e favorisce un confronto più fluido tra i medici. Tutte le discussioni hanno preso spunto dalle interviste che i giornalisti hanno fatto ai diversi specialisti; questo ha reso più semplice la comprensione di malattie molto complesse e meno formale il loro approfondimento da parte di chi si occupa di fare diagnosi e prescrivere terapie”.
Il talk di Gizzeria Lido ha sancito una volta di più la rilevanza della malattia venosa, divenuta finalmente una ex cenerentola tra le patologie. “Basti pensare – commenta ancora Diaco – che colpisce una donna su due e insorge già in età giovanile. È una patologia cronica, che non risparmia la popolazione maschile, e può avere conseguenze assai gravi, invalidanti o mortali, se non viene tenuta sotto controllo. Per questo abbiamo cercato e ottenuto la partecipazione al talk dei medici di base. La diagnosi precoce e il successivo coinvolgimento dello specialista possono fare la differenza per la salute e la qualità della vita del paziente. Quest’ultimo deve essere informato e consapevole dei rischi che corre, perché ogni sottovalutazione può essere fatale. Una volta diagnosticata la malattia, occorrono almeno due controlli all’anno e non solo in estate, quando i sintomi si acuiscono. Una vena varicosa non è un fatto semplicemente estetico ma costituisce un serio pericolo”.
Di fronte a questo scenario, è consequenziale chiedersi se il servizio sanitario nazionale sia ben attrezzato ad affrontarlo.
“In Calabria ma non solo – chiarisce Diaco – abbiamo ancora pochi specialisti in angiologia e medicina vascolare. Colleghi eccellenti, che si impegnano a dare risposte efficaci e di qualità alla domanda di salute. L’auspicio è che il loro numero cresca, anche perché oggi disponiamo di nuove ed efficaci terapie come la scleromousse, che evita il ricorso alla chirurgia perché viene effettuata in ambulatorio e senza anestesia. Per quanto ci riguarda da vicino, spero che i colleghi accolgano la mia proposta per un convegno che tra due anni faccia il punto complessivo sulla situazione calabrese. Abbiamo una grande tradizione medica legata alla malattia venosa e sarebbe importante lanciare da qui un messaggio autorevole al resto delle regioni”.
Realizzare dal nulla un progetto di solidarietà in un contesto di disagio sociale e senza avere risorse è un’opera ciclopica. Ma è necessaria se lo scopo è la difesa della salute, dove la disuguaglianza fa la differenza tra il curarsi e il non poterlo fare. In questa trincea lavora da anni Oncomed, una realtà di sostegno sociale volontario per la prevenzione e la cura delle patologie oncologiche.
Oggi questa associazione è in affanno, malgrado attorno ad essa sia cresciuto il sostegno di medici e cittadini. «A causa dell’incomprensibile ostilità di qualcuno è assai probabile che saremo costretti a trasferirci», spiega Francesca Caruso, che di Oncomed è stata l’ideatrice e ancora oggi ne è una delle anime.
Francesca Caruso
La nascita di Oncomed
«Tutto nasce a seguito di esperienze personali, che mi spinsero a proporre ad Antonio Caputo l’idea di dare vita a uno spazio di prevenzione delle malattie tumorali». Caputo, medico oncologo, evidentemente vide in quella proposta un progetto difficile da realizzare, ma necessario e quell’idea divenne anche sua. Altri medici condivisero presto quel progetto e offrirono le loro competenze gratuitamente. Enzo Paolini, a sua volta, diede in uso degli spazi nella città vecchia per realizzare gli ambulatori.
«All’inizio mancava tutto, niente attrezzature, nulla di nulla, poi con le donazioni e con il lavoro volontario dei medici, abbiamo dato vita a questa realtà», racconta ancora Francesca Caruso.
I tempi cambiano
Nasceva così uno spazio dove i cittadini con minori possibilità economiche e che certamente non avrebbero potuto aggirare le lunghe liste d’attesa dalla sanità pubblica rivolgendosi a quella privata, avrebbero trovato interlocutori competenti per visite specialistiche gratuite. Gli ambulatori di Oncomed diventano presto la trincea per chi ha urgenza di diagnosi sicure ma deve fare i conti con le molte facce della povertà, anche quella silente che in questi anni sta divorando quelli che una volta erano i ceti medi. In questo i tempi del Covid hanno lasciato il segno, facendo spesso arretrare chi prima poteva contare su una relativa sicurezza economica, allargando le fasce di povertà. «I pazienti sono cambiati, oggi si rivolgono a noi anche persone apparentemente insospettabili», racconta Caruso.
La banca della parrucca
Ma se la platea del bisogno si è allargata, anche la pattuglia dei medici è cresciuta. Oggi Oncomed è in grado di offrire percorsi diagnostici diversificati e grazie ai medici che gravitano attorno al progetto, fare rete e costruire pure indicazioni terapeutiche.
Questa realtà da qualche tempo ha avuto il riconoscimento anche di Carlo Capalbo, primario di Oncologia del Mariano Santo. Presso il reparto guidato dal medico calabrese che ha lasciato Roma, dov’era professore associato alla Sapienza con incarichi di alta specializzazione all’ospedale Sant’Andrea, per cogliere la sfida della nuova facoltà di Medicina dell’Unical, l’associazione Oncomed ha aperto uno spazio di accoglienza per i malati e le famiglie e ha avviato la “banca della parrucca”, dove le pazienti potranno avere parrucche in comodato d’uso.
L’oncologo Carlo Capalbo
Oncomed tra minacce e silenzi
Malgrado tutto questo e il ruolo di sostegno alla cittadinanza che questa associazione svolge da tempo, nel quartiere in cui sono ospitati gli spazi dell’ambulatorio, cioè nel cuore del centro storico, qualcuno non gradisce la presenza dei volontari. Da qui l’accanirsi con dispetti, danneggiamenti o qualche minaccia, che presto indurrà gli animatori dell’ambulatorio medico a cercare altrove una nuova sistemazione.
La sede nel centro storico
«Siamo oggettivamente in difficoltà, trovare nuovi spazi e le risorse per pagare il fitto non è facile, né vorremo abbandonare la città vecchia», conclude Francesca Caruso, ricordando che all’associazione non è giunta alcuna parola dalle istituzioni, se non contatti informali. Un silenzio colpevole, soprattutto quello del Comune, che forse potrebbe trovare spazi dignitosi da affidare a chi è impegnato nella prevenzione e nella difesa della salute dei cittadini.
Qual è l’animale (uomo escluso) che uccide più persone ogni anno sul nostro pianeta? Non pensate a feroci predatori: è la zanzara. Il primato era ancora più indiscusso fino a qualche decennio fa, quando la malaria imperversava anche dalle nostre parti. Non c’era ancora il DDT, le aree paludose da bonificare erano tante e per curare le febbri trasmesse dall’insetto il chinino non era abbastanza per tutti.
Nell’Italia post unitaria, a cavallo tra ‘800 e ‘900, la poverissima e incolta Calabria era tra le regioni più colpite. Così si decise di curare in una colonia la malaria con… l’aria della Sila. E centinaia di bambini si salvarono. Succedeva traCamigliatello e Moccone, in un posto splendido e abbandonato da anni: la Colonia Silana Federici.
La nascita del sanatorio
Siamo a fine giugno del 1910 quando la Colonia apre i battenti, il terreno – tre ettari – su cui sorge l’ha donato il Comune di Cosenza, che aggiunge anche le spese per arredi e trasferimento, personale sanitario e un contributo annuo di 3.000 lire. Nonostante gli aiuti, però, le cose non sono semplicissime all’inizio. Come ricostruisce Francesca Canino in un articolo di qualche anno fa, la farmacia più vicina dista 20 km, mancano illuminazione e riscaldamento e per avere l’acqua tocca rifornirsi alle fontanelle disseminate nella zona. Ma quelli che hanno dato vita alla colonia non demordono e le cose presto migliorano. Proprio a Federici negli anni ’40 arriveranno i primi termosifoni di tutta la Sila.
A mandare avanti le cose ci sono cosentini come il dottor Domenico Migliori, cui per un periodo sarà intitolata la Colonia Silana Federici, ma un ruolo di assoluto rilievo lo hanno i piemontesi: Bartolomeo Gosio, luminare della lotta alla malaria, che ha voluto quel centro in Sila e, soprattutto, Virginia Angiola Borrino e Giuseppina Le Maire.
Borrino è una pediatra, prima donna titolare di una cattedra universitaria di Medicina, che Gosio ha voluto sull’altopiano calabro per occuparsi dei bambini malarici messi peggio. Le Maire, invece, un’educatrice e attivista che collaborerà a lungo con Umberto Zanotti Bianco per il riscatto del Sud Italia e della Calabria. Giuseppina, fonderà anni dopo anche una scuola rurale a Cetraro, e a Camigliatello insegnerà ai bambini le elementari regole d’igiene a loro ignote.
La malaria in Calabria e la colonia in Sila
In Sila, insomma, la malaria si sconfigge anche attraverso l’educazione dei più piccoli e, di riflesso, dei loro familiari. Fino a quegli anni, infatti, i principali rimedi contro le febbri si richiamavano alla medicina tradizionale, se non alla magia. Barbieri e magare praticavano salassi, ai malati si davano da bere infusi di vario genere. Qualcuno beveva gusci di noce tritati e bolliti nel vino con limone e bergamotto. Altri mettevano fichi d’India vicino al focolare o facevano pipì al mattino sui cucuzzielli acriesti maturi, pensando di trasferire alle piante la malattia. A Castrovillari i devoti si rivolgevano così alla Madonna d’Itria in cambio della guarigione: «Madonna mia ‘i l’Itria, chi stai ‘nganna a’sta jumara fammi passà ‘sta freva ‘i quartana c’u jurnu tuju non vugghiu mangia’ panu».
I metodi della Colonia Silana Federici non tardarono a mostrarsi più efficaci. E la struttura crebbe di anno in anno, grazie alle donazioni che arrivarono. Ci furono contributi dalla regina Elena in persona, così come dalla Croce Rossa, dalla Fondazione Carnegie, dal Consiglio Nazionale delle Donne Italiane, dall’Associazione Donne di Cremona, dalla marchesa Lucifero di Crotone. Il marchese Berlingieri offrì un padiglione, un altro lo regalò l’ingegnere Barrese. Le Maire donò una campana e la contessa Adorno fece erigere una chiesetta in legno per ricordare suo figlio Enrico, aviatore morto nel corso di un’esercitazione.
Malaria o tubercolosi, si va in colonia in Sila
La Colonia Silana Federici nel frattempo era diventata un ente morale e il fascismo aveva sostituito l’intestazione a Domenico Migliori con una al quadrunviro Michele Bianchi. I bambini guarirono a centinaia e si andò avanti così anche dopo la guerra, quando nella struttura iniziarono a occuparsi anche di tubercolosi. La malaria, in Sila come nel resto d’Italia, era ormai praticamente scomparsa. Salvo rari casi isolati di viaggiatori di ritorno da qualche paese africano, l’abbiamo debellata definitivamente nel 1970.
Sarà forse per questo che proprio in quel decennio a Camigliatello la struttura ha iniziato lentamente a andare in malora. Per un po’ ci ha tenuto corsi di formazione la Regione, poi si è dibattuto a lungo su chi fosse il vero proprietario della struttura. Vandali e scorrere del tempo nel frattempo hanno fatto il loro mestiere, con la colonia sempre più malridotta.
Sindaci hanno dato vita a petizioni online, giornalisti e associazioni hanno sollevato periodicamente il problema del deterioramento progressivo degli immobili. Che hanno un valore notevole, non solo dal punto di vista storico e sociale. Per anni però non si è mosso nulla.
Una nuova vita, ma senza fretta
Poi, a inizio 2021, sulle pagine web dell’Ente Parco e di vari quotidiani locali arriva l’annuncio: il ministero dell’Ambiente ha stanziato oltre 3 milioni di euro per il recupero della struttura. Che è del Comune di Spezzano, ma ad occuparsene, sarà, appunto il Parco. Nuova vita per l’ex colonia? Le premesse non mancherebbero. A Federici, si legge nei comunicati di due anni e mezzo fa, dovrebbe nascere «una Scuola di formazione della montagna, destinata alla specializzazione degli operatori, ma pure allo studio e al monitoraggio del bosco, al fine di completare l’Inventario Forestale del Parco Nazionale della Sila». Il tutto condito da efficientamento energetico, foresteria, un centro cultura.
«Siamo pronti – assicurò il Parco per l’occasione – a iniziare questa sfida bellissima, l’ufficio tecnico è già al lavoro sulla progettazione». Trenta mesi dopo, però, a Federici non c’è traccia di cantieri, se non una rete di protezione che col recupero della struttura non ha nulla a che vedere. I soldi, ci hanno assicurato dal Parco, non sono a rischio, il finanziamento è confermato ma è arrivato solo di recente. La progettazione va invece per le lunghe. Il ritardo di Roma nell’erogazione dei fondi ha impedito di fare granché finora. E le parole di gennaio 2021? «Annunci», appunto, ci confessano con un certo candore. Sperando che i fatti li seguano presto.
Secondo appuntamento, oggi pomeriggio alle 17.30 a Villa Rendano, con il ciclo di incontri dal titolo Giugno, il mese del benessere. A promuovere l’iniziativa è il Comune di Cosenza, con il coordinamento dell’assessore alla salute, Maria Teresa De Marco, e la collaborazione della Fondazione Attilio e Elena Giuliani, presieduta da Walter Pellegrini. Si parlerà di “Intolleranze e allergie alimentari”.
A Villa Rendano per parlare di benessere: i relatori
Dopo i saluti istituzionali del sindaco Franz Caruso e dell’assessore De Marco, nella storica dimora del pianista calabrese si alterneranno al tavolo dei lavori alcuni apprezzati professionisti come l’allergologo Saverio Daniele e lo specialista in pediatria Salvatore Chiappetta.
Interverranno, inoltre, la biologa nutrizionista Antonella De Luca, la testimonial Rossana Del Santo, la psicologa e psicoterapeuta Anna Scaglione e il docente dell’Istituto d’istruzione superiore “Mancini-Tommasi”, Carmelo Fabbricatore. A moderare i lavori, Anna Laura Mattesini.
La città della prevenzione
Anche stavolta a Villa Rendano l’obiettivo di Giugno, il mese del benessere sarà quello di aprire, con il contributo dei qualificati relatori presenti, un’importante riflessione su una delle problematiche sanitarie più attuali e diffuse e sulle quali è imprenscindibile avviare un percorso di tempestiva ed attenta prevenzione. L’amministrazione comunale mira a fare di Cosenza la città della prevenzione e del benessere, individuale e collettivo, attraverso la promozione di corretti ed equilibrati stili di vita.
Qualche giorno fa Roberto Occhiutoha presentato alla stampa l’Operazione verità sulla sanità in Calabria. Il presidente e commissario alla Sanità ha comunicato che negli ultimi 16 mesi si è proceduto all’assunzione di 2.191 unità di personale: 1.450 a tempo indeterminato e 741 precari stabilizzati, ai quali bisogna aggiungere 1.080 lavoratori a tempo determinato. I dati sono stati presentati sotto forma aggregata per il periodo Gennaio 2022-Aprile 2023.
La dichiarazione che ha accompagnato le cifre è stata: «Non c’è mai stata una attività tanto imponente in tutti gli anni di commissariamento».
Se da un lato è apprezzabile che finalmente anche in Calabria si affrontino le questioni politiche e sociali partendo dall’evidenza dei dati, dall’altro sarebbe più giudizioso presentarli in una forma facilmente verificabile. Ad esempio, la pratica corrente nelle rilevazioni statistiche è raggruppare i dati su base annuale, o trimestrale, al fine di facilitare la comparazione e la proiezione immediata con i dati storici esistenti. Dover analizzare un periodo di 16 mesi risulta più complesso, ma con gli strumenti giusti si può.
Sedici mesi alla prova del nove
Per verificare l’andamento del reclutamento del personale in ambito sanitario, ed in generale della PA, si può accedere al sito della Ragioneria dello Stato denominato OpenBDAP. Questa piattaforma offre un panorama dettagliato su assunzioni, cessazioni, lavoro flessibile, con dettagli per ogni ente. I dati sono aggiornati solo quando sono definitivi e consolidati, pertanto al momento si fermano al 2021. Ciò è tuttavia sufficiente per costituire uno storico delle assunzioni nelle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere della Calabria. In generale si osserva che dal 2015 in poi si sono assunte annualmente circa un migliaio di unità di personale, con un debole ma costante aumento. Più di recente, nel 2019 si sono registrate 1.246 assunzioni, nel 2020 1.349 assunzioni e nel 2021 1.525 assunzioni.
La sede della Ragioneria Generale dello Stato
Al fine di verificare se si tratti effettivamente di numeri “straordinari” prendiamo come riferimento di calcolo il 2021. Come accennato sopra, si sono realizzate 1.525 assunzioni che suddivise in 12 mesi corrispondono a 127 assunzioni mensili. Moltiplichiamo per 16, ovvero il numero di mesi a cui ci si è riferiti con l’operazione verità, il risultato è 2.033. Ça va sans dire, le 2.191 assunzioni effettuate tra gennaio 2022 ed aprile 2023 sono assolutamente in linea con l’andamento del recente passato.
Calabria, la Sanità di Occhiuto: straordinaria ordinarietà
Comunicare la straordinarietà di un risultato ordinario può rivelarsi assolutamente controproducente. In realtà, ci sarebbe bisogno di chiedere ai “tavoli romani” un piano straordinario per le assunzioni, al fine di allineare il personale del SSR calabrese alla media del resto d’Italia ed in tal modo compensare gli squilibri causati dal Piano di Rientro. La carenza di professionisti è sicuramente tra le criticità principali che ostacola l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza ai cittadini calabresi. Ad oggi, non c’è struttura sanitaria operante sul territorio regionale che non sia sottodimensionata in rapporto al proprio fabbisogno di personale.
Tempi per le assunzioni da umanizzare
La narrazione della Calabria Straordinaria deve fare i conti anche con la realtà di altri dati, come le tempistiche necessarie per finalizzare le procedure concorsuali: negli ultimi 3 anni l’ASP di Cosenza ha impiegato in media quasi mille giorni dalla pubblicazione del bando alle graduatorie finali. Senza trascurare il fatto che la maggior parte delle procedure avviate tra il 2021 ed il 2023 sono completamente ferme.
L’ingresso dell’Asp di Cosenza – I Calabresi (foto C. Giuliani)
A ciò si aggiungono le sfide del PNRR: si dovrà creare – a partire da zero – la rete dell’assistenza territoriale. La Calabria ha previsto 100 nuove strutture tra Case di Comunità, Ospedali di Comunità e Centrali Operative Territoriali, il loro funzionamento richiederà quasi un migliaio di nuove unità di personale tra infermieri, medici, OSS e personale amministrativo, tutte da reclutare.
Occhiuto e la Sanità in Calabria: operazione chiacchiera?
Occhiuto non ha certamente la bacchetta magica per risolvere problemi decennali della Sanità in Calabria. Ma ha sicuramente poteri decisionali che nessuno dei suoi predecessori ha avuto, oltre al sostegno del Governo. Difficilmente chi frequenta o lavora negli ospedali calabresi ha percepito la boccata di ossigeno celebrata dalla maggioranza che sostiene Occhiuto. Iniziative come Azienda Zero, Sanibook e Rilevatori dell’Umanizzazione sembrano creare nuovi problemi anziché risolvere i vecchi.
“Operazioni verità” etabaccherie ‘e lignamme ‘o Banco ‘e Napole nun ne ‘mpegna.
La Lega calabrese come il Padre Gabrielli di Boris? Il sospetto, almeno per i fanatici della celebre serie TV, potrebbe anche venire spulciando il sito del Consiglio regionale della Calabria. Può capitare, infatti, di imbattersi inuna nuova proposta di legge che porta la firma di quattro esponenti locali del Carroccio: Giuseppe Gelardi, Pietro Raso, PietroMolinaro e il presidente dell’Aula Fortugno, Filippo Mancuso. La sanità dalle nostre parti, si sa, ha problemi di bilancio (e non solo) enormi, ma un modo per ridurli c’è. Ed è il segreto della vita che Corrado Guzzanti rivelava all’elettricista Biascica: la palestra.
Sport, Sanità e conti in rosso
I quattro salviniani di Calabria, ispirati dai (ma meno accurati dei) colleghi veneti, non hanno dubbi a riguardo e lo mettono nero su bianco nella loro proposta di legge. Dopo attenti studi non hanno potuto che rilevare come risulti «fatto notorio che il benessere psicofisico sia uno dei fattori fondamentali per l’abbassamento del rischio di contrazione di diverse malattie». Qualora non fosse chiaro, lo ribadiscono: «Uno stato di forma ottimale della popolazione porterebbe ad una minor insorgenza di malattie».
Appurato che di solito mantenersi in forma fa ammalare di meno, è arrivata l’illuminazione: meno malati si tradurrebbero in una minor spesa per il sistema sanitario. Non solo avremmo «una popolazione più sana, e quindi più attiva e più felice». Ci sarebbero pure ricadute positive «in relazione ad alcuni segmenti del bilancio regionale e di quello nazionale».
Non solo Calabria: la Lega e le palestre della salute
Ed ecco come la Calabria potrebbe salvare il SSN: mettendo un cartello “Palestre della salute” nelle palestre che esistono già. La legge targata Lega si compone infatti di quattro, scarni articoli. Il primo dice che nel 2023 la Regione riconosce che per realizzare il diritto alla salute fare attività fisica serve,come già legiferato nel 2010. Nel secondo si chiarisce che secondo i nostri governanti le «palestre della salute» – e non, per esempio, le macellerie o i negozi di ferramenta – sarebbero «luogo privilegiato» per la suddetta attività.
La Lega di Zaia ha istituito le palestre della salute in Veneto, i salviniani di Calabria vogliono imitarla
Ma che sono le palestre della salute? Palestre dove – lo certificherà la Regione, spiega l’art. 3 – si faranno attività che fanno bene alla salute con attrezzature a norma. Si prospettano tempi duri, dunque, per quelle dove si va per ammalarsi o farsi male, la Cittadella non avrà pietà per loro. Il quarto articolo, infine, rassicura tutti: non ci saranno costi in più per il bilancio regionale. Il cartello, insomma, se lo pagheranno i gestori.
La nuova legge deve ancora passare l’esame di due commissioni (la Sesta e la Seconda) e ottenere l’ok del Consiglio, ma la strada per una Sanità coi conti in ordine sembra già più in discesa.
Nei giorni scorsi l’istat ha pubblicato l’undicesimo rapporto Bes (Benessere equo e sostenibile) in Italia. Questo si basa su 88 indicatori per 12 categorie che inquadrano questioni concrete e rilevanti.
Il dossier conferma il divario tra le regioni italiane nelle 12 categorie eaminate: salute, istruzione e formazione, lavoro e conciliazione dei tempi di vita, benessere economico, relazioni sociali, politica e istituzioni, sicurezza, benessere soggettivo, paesaggio e patrimonio culturale, ambiente, innovazione ricerca e creatività e qualità dei servizi. La Calabria ne esce male, in alcuni casi molto
Sono solo un paio gli indicatori in miglioramento: l’ottimismo e la mortalità per tumori.
lo dice l’Istat: la Calabria è la più ottimista
Nel 2021 si registra la più alta percentuale di chi guarda al futuro con ottimismo.
Lo scorso anno, invece, gli ottimisti calano di botto.
L’analisi territoriale mostra come il Nord-ovest abbia recuperato nel 2022 in tutti gli indicatori di benessere il proprio vantaggio sul resto del Paese, perso durante la pandemia.
In particolare, per quel che riguarda la soddisfazione per il tempo libero, calata nel 2021 e risalita al 68,4% di persone molto o abbastanza soddisfatte.
Questo risultato tuttavia non è sufficiente a raggiungere i valori del 2019 (71,7%).
Il Molise ha un valore di crescita superiore alla media e una percentuale di soddisfatti prossima alla media. ma la Calabria si distingue per il più elevato livello di crescita rispetto al 2019: dalla 20esima alla 11esima posizione.
L’Istat “fotografa” il Paese: un’immagine-simbolo del rapporto Bes 2922
Per quanto riguarda la soddisfazione per il tempo libero la situazione è ancora più articolata e non si individuano condizioni omogenee. Tuttavia la Calabria raggiunge una posizione in linea con la media nazionale e, insieme a Umbria e Campania, rappresenta l’unico territorio che ha recuperato e superato i livelli di soddisfazione del 2019. I soddisfatti della propria vita, in Calabria sono il 46,8%, su una media del 40.5% al Sud. I soddisfatti per il tempo libero sono il 65,8%, su una media del 63,8% al Sud. In entrambi i casi la Calabria non è la regione con più ottimisti in termini percentuale ma quella dove sono aumentate di più le persone ottimiste.
Tumori: per l’Istat in Calabria si muore meno
L’Istat indica un netto miglioramento nel Sud profondo. Infatti tra il 2019 e il 2020 la mortalità per tumore cresce in quasi tutte le regioni del Mezzogiorno, con la felice eccezione della Calabria, che è al primo posto delle regioni virtuose (o “graziate”).
Ma contemporaneamente diminuisce in tutte le altre regioni italiane, salvo in Liguria in cui rimane stabile.
La Calabria invecchia male
La media nazionale è di 60,1 anni, ma la Calabria è la maglia nera di questa sotto classifica con 53 anni. Per la precisione, sono 53,1 per gli uomini (su una durata media della vita di 79,5 anni) e di 53 per le donne (su 83,8 anni).
Nel 2022, la speranza di vita in buona salute si stima pari a 60,1 anni, mentre nel 2021 ammontava a 60,5 anni e nel 2020 a 61,0, a fronte di 58,6 nel 2019.
L’indicatore manifestava una certa stabilità prima della pandemia, con un range compreso tra 58,2 e 58,8 anni nel periodo 2012-2019. Gli ultimi 3 anni sono, un periodo di turbolenze eccezionali, che richiedono una forte cautela nell’interpretazione.
A livello territoriale si conferma nel 2022 lo svantaggio del Sud. Le regioni del Nord, con le eccezioni della Liguria (59,1 anni) e dell’Emilia Romagna (59,9 anni), mostrano valori della vita media in buona salute tutti al di sopra della media nazionale.
Stesso discorso nel Centro, ad eccezione delle Marche (60,2) che ha un valore in linea con la media dell’Italia. Nelle regioni del Sud si registrano tutti valori inferiori alla media nazionale. La Calabria, pur migliorando rispetto al 2019, continua a posizionarsi ai più bassi livelli (53,1, ben 16 anni in meno rispetto al livello più alto raggiunto dalla Provincia autonoma di Bolzano).
Terza età; sempre più precaria la salute degli anziani
Troppi morti si potevano evitare
Il concetto di mortalità trattabile e prevenibile proposto dall’Istat si basa su un concetto particolare: che certe morti (per gruppi di età e malattie specifiche) si sarebbero potute evitare se ci fosse stato un sistema di salute pubblica più efficace e interventi medici immediati.
Anche in questo caso la Calabria presenta criticità.
Sardegna e Valle d’Aosta hanno una mortalità prevenibile al di sopra della media nazionale e tassi di mortalità trattabile nel livello medio. Al contrario, Puglia e Calabria si caratterizzano per tassi di mortalità trattabile al di sopra della media nazionale e tassi di mortalità prevenibile al livello medio o lievemente al di sotto della media nazionale.
Istat e scuola: la Calabria è la meno istruita
Nel 2022 ricresce il numero di diplomati e laureati, ma l’Italia è ancora lontana dalla media europea. Nel 2022 il 63,0% delle persone tra i 25 e i 64 anni ha almeno una qualifica o un diploma secondario superiore (più 0,3 punti percentuali rispetto al 2021) rispetto a una media europea di circa il 79,5%.
Superano il 70% Friuli-Venezia Giulia (71,2%), Umbria (71,5%), Provincia Autonoma di Trento (72%) e Lazio (72,1%). Sono meno del 60% Sicilia (52,4%), Puglia (52,5%), Campania (53,8%), Sardegna (54,6%) e Calabria (56,6%).
Secondo l’Istat la Calabria è la regione meno istruita
Analfabeti anche nel digitale
Le competenze digitali restano una prerogativa delle persone con titolo di studio più elevato. Infatti il 75,9% di chi ha almeno la laurea possiede delle competenze digitali almeno di base, contro il 53,8% dei diplomati e il 21,9% di chi ha un titolo di studio più basso.
Dall’analisi territoriale emerge un forte gradiente tra Centronord e Mezzogiorno. In particolare, le regioni con la quota più alta di persone con competenze digitali almeno di base sono il Lazio (52,9%), seguito dal Friuli Venezia Giulia (52,3%) e dalla Provincia Autonoma di Trento (51,7%). All’opposto si collocano Sicilia (34,0%) e Campania (34,2%) e ultima la Calabria (33,8%).
Studenti: secondo l’Istat in Calabria i più “ciucci”
Gli studenti hanno livelli ancora profondamente diseguali e questa forbice è cresciuta con la pandemia.
Nell’anno scolastico 2021-2022, il primo di ritorno quasi totale alle lezioni in presenza, le competenze dei ragazzi di terza media non sono ancora tornate ai livelli pre-pandemici. Calabria agli ultimi posti.
I ragazzi e le ragazze che non hanno raggiunto un livello di competenza almeno sufficiente (i low performer) sono il 38,6% per la competenza alfabetica (in aumento rispetto al 2019, +3,4 punti percentuali e stabili rispetto al 2021) e il 43,6% per quella numerica (in aumento rispetto al 2019, 4 punti percentuali di più ma comunque in miglioramento rispetto al 2021, (meno 0,9).
In alcune regioni del Mezzogiorno l’indicatore evidenzia forti criticità: più del 50% dei ragazzi e delle ragazze insufficienti nelle competenze alfabetiche (in Calabria 51,0% e in Sicilia 51,3% ) e in quelle numeriche (Calabria 62,2%, Sicilia 61,7%, Campania 58,2%, Sardegna 55,3% e Puglia 50,3%).
Lavoratori in protesta
Redditi: per l’Istat la Calabria è ultima
Nel 2021 persiste un’elevata disuguaglianza dei redditi. In Calabria c’è il dato medio peggiore d’Italia rispetto al reddito lordo pro capite: 14.108 euro, laddove la media al Sud è di 15.11 euro. Rischio di povertà: terzultimi, dietro solo al Campania e Sicilia ma di poco: 33,2% contro il 37,6% e il 38,1%.
Nel 2021, gli indicatori non monetari che descrivono le condizioni di vita delle famiglie hanno registrato un peggioramento rispetto al 2019. Tuttavia il numero di poveri assoluti è in calo.
Nelle regioni del Mezzogiorno il rischio di povertà più elevato si associa a una più alta disuguaglianza (rapporto tra il reddito posseduto dal 20% più ricco della popolazione e il 20% più povero) che supera il valore medio dell’Italia (adesso 5,9, rispetto al 5,7 dei redditi del 2019). Ecco le maglie nere: Sardegna (6,1), Calabria (6,4), Sicilia e Campania (7,2 e 7,5 rispettivamente).
Incendi: la Calabria brucia di più
Incendi in salita nel 2021, sia nella quantità (+23,1% sull’anno precedente) sia nella dimensione media (più che raddoppiata, da 11,4 a 25,4 ettari).
In tutto sono andati in fumo 152 mila ettari, pari al 5 per mille della superficie italiana. L’indicatore dell’impatto degli incendi boschivi, in crescita per il terzo anno consecutivo, ha un valore largamente superiore a quello medio degli altri paesi Ue dell’Europa meridionale, fra i quali ci batte solo la Grecia (8,2 per mille). Più del 75% della superficie bruciata è localizzata in Calabria, Sicilia e Sardegna, dove condizioni climatiche avverse (temperature elevate, forte ventosità e siccità prolungata) hanno favorito gli incendi e reso più difficili gli spegnimenti.
Cenere e desolazione nel Parco d’Aspromonte dopo i terribili incendi dell’estate 2021
L’aria peggiore si respira in Calabria
Peggiora in Calabria la qualità dell’aria. Nel 2021 Centro e Sud si tallonano (rispettivamente 65,0% e 63,9%) ma, per fortuna, in meglio (erano, rispettivamente, 71,7% e 72,3% nel 2020). Fanno eccezione il Molise e la Calabria dove si registra un peggioramento della qualità dell’aria.
Cchiù acqua ppe’ tutti? In Calabria proprio no
Reggio Calabria è tra i Comuni capoluogo che hanno adottato le misure di razionamento idrico più drastiche.
Nel 2021, 12 capoluoghi di provincia (più Reggio Calabria, Catania e Palermo, come capoluoghi di città metropolitana) hanno razionato l’acqua potabile, con un incremento (più 4 Comuni) rispetto al 2020. Questo problema non è più esclusivo del Mezzogiorno: infatti anche Prato e Verona hanno disposto il razionamento dell’acqua nei mesi estivi.
Depurazione: in Calabria si intorbidano le acque
Circa 1,3 milioni di cittadini risiedono in Comuni completamente privi di depurazione.
Gli impianti di depurazione delle acque reflue urbane sono infrastrutture essenziali per la salute pubblica. L’assenza di depurazione coinvolge 296 Comuni. Il dato è in calo rispetto al 2018 (-13% di comuni, -19% di residenti).
Il 67,9% di questi Comuni è localizzato nel Mezzogiorno (soprattutto in Sicilia, Calabria e Campania, coinvolgendo rispettivamente il 13,1%, 5,3% e 4,4% della popolazione regionale).
Molti impianti in queste regioni sono inattivi poiché sotto sequestro, in corso di ammodernamento o in costruzione.
Dei 296 comuni privi di depurazione 67 si trovano in zone costiere, per lo più in Sicilia (35), Calabria (15) e Campania (7), per circa 500mila abitanti.
Il depuratore di Caulonia
Clima: secondo l’Istat la Calabria è la più insensibile
La maggiore sensibilità ai cambiamenti climatici si osserva nelle regioni del Centro (72,7%, maglia rosa alla Toscana con il 73,4%) e del Nord (72,1%, Veneto sul podio con il 75,9%).
Ad eccezione di Emilia-Romagna (69,8%) e Bolzano (68,6%), in tutte le regioni settentrionali, centrali e insulari la percentuale risulta sopra la media (71,0%). Invece, al netto dell’Abruzzo (71,8%), la preoccupazione risulta inferiore alla media in tutte le regioni del Sud (67,3%), dove “vince” la Calabria (62,0%).
Sanità: troppo pochi gli infermieri
Per la distribuzione territoriale del personale infermieristico la maglia nera è ancora calabrese. Nel 2021 nel Nordest e al Centro la quota è rispettivamente 6,8 e 7,1 per 1.000 abitanti, mentre nel Nordovest e nelle Isole ci sono solo 6 infermieri per 1.000 abitanti. La Calabria è la regione con la minor dotazione, pari a 5,6 per 1.000 abitanti. I territori con maggior disponibilità di infermieri sono il Molise (8,6), seguito dalla provincia autonoma di Trento (8,1), Liguria e Umbria (7,7). E cresce la sfiducia.
Le percentuali più elevate di sfiducia (0-5) verso medici e altro personale sanitario si riscontrano in Calabria (25,2% verso i medici e 26,1% per l’altro personale), in Molise (21,3% per i medici e 21,7% per l’altro personale) e in Sardegna (20,2% per i medici e 20,6% per l’altro personale).
Emigrazioni ospedaliere: la Calabria sempre peggio
La ripresa delle emigrazioni ospedaliere tra 2020 e 2021 ha colpito tutto il territorio nazionale, ad eccezione del Lazio che rimane stabile al 7,1%. Le regioni dove la crescita è stata più consistente (circa 2 punti percentuali) sono Calabria, Basilicata, Molise, Liguria e Valle d’Aosta. Nelle regioni più piccole il fenomeno è da sempre particolarmente intenso, anche per la vicinanza di strutture ospedaliere fuori regione: Molise 29,2%, Basilicata 26,9% e Valle d’Aosta 15,4%. In Calabria la percentuale è pari a 20,8%, probabilmente a causa di una carenza infrastrutturale. Infatti è la regione con la minore dotazione di posti letto in degenza ordinaria per acuti: 2,15 per 1.000 abitanti contro 2,55 della media nazionale nel 2020.
Una protesta contro la Sanità calabrese
Istat e internet: in Calabria è più lento
La fibra è la connessione a banda larga dominante nella metà dei Paesi Ocse.
In Italia la situazione è a macchia di leopardo. Infatti, si passa da regioni che hanno una buona rete come il Lazio (61,3%), la Campania (55,1%) e la provincia autonoma di Trento (52,2%), a situazioni critiche in Basilicata e Calabria (26,9% e 22,8%). Il fanalino di cosa è la Provincia autonoma di Bolzano, dove solo il 12,3% delle famiglie abita in zone servite da Internet veloce.
Rete idrica: in Calabria la peggiore
Le famiglie che dichiarano irregolarità del servizio idrico nel 2022 sono il 9,7%, nel 2002. Questo dato è pressoché stabile nell’ultimo triennio.
Tale quota non è uniforme sul territorio: si passa dal 3,4% del Nord al 7% del Centro per arrivare al 18,6% del Sud e al 26,7% delle Isole.
Da sempre le situazioni più critiche sono quelle della Calabria (45,1%) e della Sicilia (32,6%), dove si registra un serio problema delle infrastrutture idriche, che causa una costante scarsa qualità dell’offerta del servizio. La Calabria, tra l’altro, è peggiorata rispetto al 2021 (16 punti percentuali in più). Le irregolarità del servizio idrico sono legate anche alla dimensione comunale. La percentuale di famiglie che denunciano irregolarità è pari all’11,9% nei Comuni tra 2.000 e 10.000 abitanti e all’11,5% nei comuni tra 10.000 e 50.000, mentre si dimezza nei Comuni principali delle aree metropolitane (4,1%).
Corrente a singhiozzo
Tra le infrastrutture indispensabili c’è la rete elettrica. Nel 2021 l’Autorità per l’energia elettrica (Arera) ha rilevato in Italia 2,1 interruzioni accidentali lunghe (superiori a 3 minuti) e senza preavviso per utente. Questa irregolarità del servizio non riguarda tutto il Paese. Infatti, è quasi assente in Valle d’Aosta, Province Autonome di Trento e Bolzano e in Friuli-Venezia Giulia dove le interruzioni per utente avvengono meno di una volta l’anno. Supera le 3 interruzioni annue per utente in Campania, Calabria, Puglia.
Sicurezza e crimine: mafia a parte, ce la caviamo
La Calabria è a metà classifica per la sicurezza urbana. Ma va detto che il dossier non prende in considerazione i reati di mafia. Si sentono più sicuri i residenti nei Comuni fino a 2 mila abitanti e in quelli tra 2 mila e 10 mila abitanti, rispetto ai residenti nei comuni di grandi dimensioni.
Nei comuni tra 2 mila e 10 mila abitanti le persone maggiori di 14 anni che si dichiarano molto o abbastanza sicure quando camminano al buio da sole è più alta di 17 punti rispetto a quella riscontrata nei Comuni delle aree di grande urbanizzazione (68,4% contro 51,4%).
Stessa cosa per la percezione del rischio di criminalità (11,2% contro 40,6%) e per il degrado sociale e ambientale (4,0% contro 13,9%).
La situazione cambia anche in relazione alle fasce di età: i più insicuri sono gli over 75 (41,6%), mentre i giovani e gli adulti percepiscono un maggiore livello di sicurezza (oltre il 66% tra i 20 e i 54 anni).
Le differenze di genere si mantengono in tutte le fasce di età. In particolare tra i giovani di 20-24 anni. Tra questi il 78,4% dei ragazzi si sente sicuro mentre tra le ragazze della stessa età il valore scende al 51,5%.
Fare in fretta equivale a diagnosi precoce. Parole che ad Onco Med, l’ambulatorio oncologico gratuito nel centro storico di Cosenza, conoscono bene. Sono in tanti a rivolgersi all’associazione che ha sede a pochi metri dalla storica chiazza di pisci (piazza dei pesci).
Una ecografia eseguita nell’ambulatorio di Onco Med
Onco Med: una carezza nel centro storico
Francesca Caruso è la presidente di Onco Med, vicepresidente è l’oncologo, Antonio Caputo. Francesca ha avuto la forza di trasformare la sofferenza di chi come lei lotta contro il cancro in una carezza verso le persone bisognose di cure e attenzioni. Perché sono tanti, troppi, quelli che non possono accedere a una visita specialistica. Molti fino a poco tempo fa ne avevano la possibilità, oggi è terribilmente cambiato tutto. La pandemia, il caro bollette, l’inflazione, il precariato cronico e tutto il resto hanno innalzato l’asticella di chi ha difficoltà economiche. Quando invece certe malattie, più di altre, sono una lotta contro il tempo. E i tempi della sanità pubblica sono notoriamente troppo dilatati. L’alternativa è il privato con costi spesso proibitivi persino per chi ha redditi accettabili.
La squadra
Onco Med è un primo step. Fondamentale. Qui trenta specialisti visitano i pazienti 5 giorni a settimana. «Spesso dopo turni massacranti in ospedale vengono qui e prestano il loro servizio gratuitamente» – spiega Francesca Caruso. Completano la squadra sei volontari di studio. L’ambulatorio è dotato pure di un ecografo.
Una delle stanze dell’ambulatorio di Onco Med
Come nasce Onco Med
«Abbiamo liste di attesa di pochi giorni. Questa cosa è fondamentale per chi viene da noi» – aggiunge Francesca che spiega la genesi di Onco Med: «Dopo la mia esperienza personale di emigrazione sanitaria e poi il ritorno qui dove ho trovato medici bravissimi. A Roma ricordo un ragazzo che mi ha raccontato di aver venduto i mobili nuovi per le visite della moglie. Quando sarebbero bastate 80 euro per un consulto iniziale, aggiunse. Probabilmente la moglie sarebbe lì lo stesso, oppure no, chi può dirlo! Ma quella storia ha provocato in me un sussulto. Dovevo fare qualcosa. Da lì parlai con il mio oncologo a Cosenza. Partimmo col progetto. Dapprima eravamo in pochi, poi altri amici medici si sono aggregati alla squadra».
Progetti in cantiere
«Stiamo lavorando a una proposta di legge regionale per rendere le parrucche oncologiche gratuite o per abbattere un bel po’ i costi come in molte altre regioni d’Italia. Intanto chiediamo alle donne guarite di far rivivere le loro parrucche donandole a chi invece ne ha bisogno adesso». Francesca Caruso ci parla dei progetti in cantiere. Che non sono finiti: «Estetica oncologica è un servizio di skin care e make up che Onco Med vuole offrire ai pazienti. Abbiamo attivato prestigiose collaborazioni con grandi imprese nazionali e internazionali del settore. Persino dalla Corea del Sud, Paese leader nella cosmesi».
Questo articolo fa parte di un progetto socio-culturale finanziato dalla “Fondazione Attilio e Elena Giuliani ETS”. Cosenza sarà per tutto il 2023 Capitale italiana del volontariato. Attraverso I Calabresi la Fondazione intende promuovere e far conoscere una serie di realtà che hanno reso possibile questo importante riconoscimento.
Secondo il penultimo annuncio ufficiale sui nuovi ospedali in Calabria, quello della Sibaritide avrebbe dovuto aprire i battenti al più tardi un paio di settimane fa, sedici anni dopo lo stanziamento dei fondi per realizzarlo. A settembre di quest’anno, invece, sarebbe stato il turno di quello di Vibo e a ottobre 2024 quello del nuovo ospedale della Piana. Lo aveva sostenuto a giugno del 2020 l’allora presidente della Regione Jole Santelli in risposta a un’interrogazione dei consiglieri Guccione, Irto, Bevacqua, Tassone e Notarangelo sullo stato di avanzamento dei lavori delle tre strutture.
L’ottimismo della governatrice era, evidentemente, eccessivo.
L’ex presidente della Regione, Jole Santelli
Prioritari ma non troppo
Ora, infatti, è arrivato l’ultimo annuncio ufficiale sui suddetti ospedali. E siccome in Calabria i cronoprogrammi sono mobili qual piuma al vento e la memoria degli elettori labile, ai cittadini si dice come se nulla fosse che ci sarà ancora da aspettare. Come minimo un paio d’anni, se non altri quattro. E meno male che – in controtendenza rispetto a quando elogiava le chiusure dei nosocomi in epoca Scopelliti— «nell’azione di governo il presidente (Occhiuto, nda) ha posto tra le priorità anche la realizzazione dei tre nuovi ospedali».
Dalla Regione è partito all’indirizzo delle redazioni un comunicato a firma di Pasqualina Straface, presidente della commissione Sanità, dal titolo inequivocabile: «Nuovi ospedali calabresi, consegne previste tra il 2025 e il 2027». Le parole di Straface arrivano al termine di una seduta della commissione con protagonista l’ingegner Pasquale Gidaro. Chi è? Il dirigente del settore Edilizia sanitaria ed investimenti tecnologici della Regione Calabria, audito per l’occasione proprio per sapere da lui a che punto sia la situazione a Vibo, nella Piana e nella Sibaritide.
Pasqualina Straface, presidente della commissione Sanità
Nuovi ospedali in Calabria: la Sibaritide
Prendiamo l’ultimo caso, visto che a detta di Santelli, l’apertura sarebbe stata a marzo 2023. Occhiuto – era settembre 2022 – diceva che sarebbe stato «pronto entro il prossimo anno». Quattro mesi prima aveva indicato pure il mese: dicembre. Qui si dovevano spendere 144 milioni di euro per avere 376 nuovi posti letto.
E invece? Invece «La struttura portante sarà conclusa nei prossimi giorni. Al 31 marzo lo stato di avanzamento dei lavori era pari al 24% dell’importo contabile per oltre 26 milioni», scrive Straface nella sua nota.
Il quadro economico precedente, complice l’innalzamento dei prezzi in ogni settore, nel frattempo è cambiato. Ora servono 42 milioni di euro in più. Diciassette, precisa la consigliera, la Regione li ha già erogati in attesa che arrivi anche una variante al progetto «entro il 29 maggio 2023». Poi altri due mesi di attesa per ottenere i vari pareri e autorizzazioni dagli enti preposti e «potranno ripartire i lavori a pieno regime». Quando finiranno? «Il cronoprogramma – scrive ancora Straface – prevede la consegna dell’ospedale della Sibaritide entro il 2025».
Occhiuto sul cantiere del nuovo ospedale della Sibaritide nel maggio scorso
Nuovi ospedali in Calabria: Vibo Valentia
E a Vibo si potrà andare nel nuovo ospedale già a settembre come prometteva Santelli? Inutile sperarci. Anche qui i tempi di consegna, tra sequestri del cantiere e altri problemi, sono slittati e i costi schizzati alle stelle. Dai 143 milioni iniziali per 339 posti letto si è passati a 190 milioni di spesa prevista dal nuovo quadro economico.Quanto alla consegna, qui va peggio che nella Sibaritide. «I lavori del progetto stralcio approvati il 27 febbraio 2023 dovrebbero partire tra fine aprile e di primi di maggio. Si prevede la consegna dell’opera nella primavera del 2026», annuncia Straface nella nota.
Uomini della Guardia di Finanza nel cantiere del nuovo ospedale di Vibo
Nuovi ospedali in Calabria: la Piana
Quelli messi peggio, però, sono i cittadini della Piana. Ottobre 2024, la data ipotizzata illo tempore dall’ex governatrice, passerà senza che di nuovi ospedali funzionanti si veda l’ombra. E, bene che vada, toccherà attendere altri quattro anni. Qui i posti letto in programma erano 352, almeno fino al 2020, per una spesa di 150 milioni. Ora, stando alla nota di Straface, saranno invece 339, tredici in meno. Ma costeranno 158 milioni, otto in più di prima.
Rendering del nuovo ospedale della Piana
Un certo peso nei ritardi sarebbe addebitabile alla burocrazia. Ma, a riguardo, non bisogna sottovalutare la sagace idea di realizzare la struttura in un’area che richiede il «superamento di problematiche di tipo geologico e geotecnico dovute alla presenza di faglie sismo-tettoniche». Ecco perché il cronoprogramma aggiornato, stando alle parole di Straface, chiarisce che «entro il 2027, infine, è prevista la conclusione dei lavori dell’ospedale». Altri tre-quattro anni di attesa (se tutto va bene), insomma. Almeno – Cosenza docet – fino al prossimo annuncio, s’intende.
L’intesa era nell’aria e oggi, primo aprile, è arrivata l’ufficialità: sarà la ‘Ndrangheta a gestire per conto della Regione la Sanità in Calabria. Il lungo periodo in coabitazione non pare, infatti, aver risolto gli annosi problemi del settore. Il mondo della politica e quello della criminalità locale hanno studiato a lungo il deficit del sistema sanitario calabrese per arrivare, infine, alla più logica delle conclusioni: Azienda Zero ha concluso quanto Cotticelli finora e gli unici ad avere abbastanza denaro per tappare il buco nei conti degli ospedali pubblici da queste parti sono i clan.
Sanità dalla Regione alla ‘ndrangheta: le prime reazioni in Calabria
L’accordo ha la benedizione della Madonna di Polsi, per la gioia della Chiesa, e del Consiglio regionale, con le segreterie di tutti i partiti a inondare le redazioni di comunicati sul rafforzamento della storica partnership tra ‘ndrine e eletti calabresi. Laconico il commento della massoneria deviata: «A noi non cambia nulla».
La sigla dello storico accordo
Timori, al contrario, nel mondo della sanità privata: il nuovo ruolo di un concorrente esperto come la ‘Ndrangheta nel ramo delle doppie fatturazioni rischia di privare gli imprenditori del loro storico monopolio del settore. I contabili di cliniche e clan sono già al lavoro, comunque, per trovare un’intesa accettabile per il futuro.
Previsto nei prossimi giorni un incontro in Cittadella tra rappresentanti della Santa e stakeholders. Fonti qualificate preannunciano l’apertura imminente di un tavolo tecnico e la firma di un protocollo di illegalità in un appartamento dei Servizi segreti.
Più ‘ndrangheta, meno Regione: cosa cambia per la Sanità in Calabria
Stando alle prime indiscrezioni, non dovrebbero registrarsi troppe novità amministrative: i concorsi resteranno truccati, si procederà a gran parte di assunzioni e promozioni sempre e solo per amicizia o clientela e il costo dei dispositivi medici manterrà un prezzo superiore a quello delle altre regioni italiane. Nella scelta dei professionisti su tutto il territorio, però, saranno i clan ad avere la precedenza sui politici, invertendo così il trend degli ultimi anni di commissariamento.
Il fenomeno dell’emigrazione sanitaria, costato finora centinaia di milioni di euro all’anno, dovrebbe ridimensionarsi, invece, grazie all’utilizzo di cecchini appostati nelle vicinanze delle strutture extraregionali interessate, pronti ad abbattere i calabresi in trasferta prima del loro ingresso.
Deficit e investimenti
Serratissimo il cronoprogramma degli investimenti: il piano per la Sanità prevede che la ‘Ndrangheta versi una piccola parte degli introiti del narcotraffico per ripianare quei bilanci che la Regione fatica ad approvare alla luce del deficit accumulato nel tempo. Liquidato così il problema nel giro di una settimana, dalla successiva si partirà con la ristrutturazione degli immobili attraverso ditte di fiducia.
Grazie al nuovo codice degli appalti approvato dal Governo, niente più lungaggini burocratiche: per i lavori di importo inferiore ai 150 milioni di euro basterà autocertificare di aver giurato fedeltà all’ente appaltante dando fuoco a un santino. Spazio, quindi, alla costruzione di 200 nuovi ospedali in punti a caso non ancora cementificati a sufficienza.
Il Ponte può attendere
Resta, invece, in bilico l’accordo per la costruzione del Ponte di Messina. Governo e Regioni premono per realizzarlo in fretta, ma la ‘Ndrangheta e Cosa Nostra frenano: troppi gli uomini già impegnati altrove al momento per garantire personale, materiali e mezzi necessari anche per la maxi opera.
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