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  • Un Gallo di troppo nel pollaio di Roberto Occhiuto

    Un Gallo di troppo nel pollaio di Roberto Occhiuto

    «Vorrei che la gente pensasse che ho cuore e talento che non derivano dai miei occhi blu». Gianluca Gallo è un po’ il Paul Newman della politica calabrese: non si può dire che non abbia cuore, o che gli faccia difetto il talento, o che non abbia gli occhi blu. O che – ma questo non c’entra con il divo hollywoodiano – la sua presenza non provochi fastidio e inquietudine al presidente della Regione.
    Già, perché in una regione appena entrata nell’era Occhiuto, Gallo è, potenzialmente, l’angelo ribelle che rischia di essere scacciato proprio perché la sua presenza rappresenta una minaccia per il nuovo dominio.

    Faccia d’angelo e tanta ambizione

    Ha la faccia da serafino, il sorriso aperto e sfuggente, i colori chiari che suggeriscono fiducia. Guai a fidarsi, però: l’assessore all’Agricoltura è determinato al punto da essere spietato, ambizioso fino a diventare quasi avventato; ma è anche cauto e sa quando è il momento di tirare il freno, di aspettare.
    In questi ultimi tre mesi, ha fatto della dissimulazione la sua cifra politica: presente, sempre e comunque, là dove accadono le cose e dove le decisioni avvengono, ma senza far rumore, senza nemmeno tentare di rubare il proscenio al caudillo del momento, quell’Occhiuto che, nella lotta per la conquista della Cittadella, lo ha battuto e vinto.
    Per ora, solo per ora.

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    Gianluca Gallo (a destra) con Roberto Occhiuto (al centro)

    La grande nicchia di Gianluca Gallo

    Gallo si sta facendo andar bene la sua grande nicchia, al cui interno c’è tutta la filiera agricola che rappresenta la spina dorsale di una regione che si vuole turistica e industriale, ma che è legata alla terra in modo indissolubile, con i suoi braccianti, i suoi piccoli proprietari, le tante e tante imprese che alla Regione chiedono soldi e attenzione.
    Gallo è lì, al vertice di questo microcosmo produttivo che può disporre di centinaia e centinaia di milioni di euro provenienti da Psr, Pnrr e non solo.

    È sempre sul pezzo, ogni giorno, tutti i giorni: dalla tutela del tartufo a quella del vino, dalla lotta alla processionaria alla salvaguardia dei boschi e delle aziende ittiche, dall’organizzazione del Vinitaly ai preparativi per il salone dell’agroalimentare di qualità. E tanto altro ancora. Si trova tutto sulla sua pagina Facebook, diventata uno straordinario strumento di promozione personale. Gallo alterna i post dedicati alla caccia e alla pesca a quelli più privati e pop. Ecco l’assessore mentre beve un bicchiere di vino, in posa su un campo di calcio con il figlio, intento a giocare a ping pong, su una giostra a cavalli.

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    L’assessorato stretto

    La narrazione social sembra funzionale a un progetto politico più ampio e a lunga scadenza. Il personaggio, del resto, non è di quelli che si accontentano. Fino all’ufficializzazione della candidatura alla presidenza della Regione, Gallo ha fatto le sue mosse per strappare la nomination finale del centrodestra, ma si è dovuto arrendere a un Occhiuto posizionato molto meglio nello scacchiere romano.
    Chi lo conosce bene, tuttavia, è pronto a scommettere che le ambizioni dell’assessore sono ancora vive, tutt’altro che sopite. E, anche se la realtà visibile racconta il suo low profile quotidiano, la sua subalternità accettata, è molto probabile che Gallo si senta così, che intimamente si veda e si rappresenti come l’anti-Occhiuto in attesa del suo riscatto.

    Il capo dell’agricoltura calabrese, dopo la morte della presidente Jole Santelli, aveva accarezzato l’idea di succederle, muovendosi su e giù per la Calabria quasi come un erede designato in attesa dell’incoronazione ufficiale. Certo è che, prima di accarezzare quel sogno, “faccia d’angelo” ha vissuto successi ma anche crisi che rischiavano di chiudere anzitempo la sua carriera, salvata solo da quell’ambizione sfrenata e comunque sufficiente a tenerlo a galla anche quando tutto sembrava finito.

    La carriera di Gianluca Gallo

    Sposato, padre di due figli, cattolico, avvocato, democristiano, poi Cdu, poi Udc, due volte sindaco della sua città, Cassano allo Ionio. Nel 2010, entra in Consiglio regionale con lo Scudocrociato. Quando quel mondo crolla, è tra i promotori di un avvicinamento dell’Udc al centrosinistra di Mario Oliverio. L’accordo, però, non si chiude per colpa del governatore.
    E Gallo se la lega al dito, anche perché è costretto a riabbracciare un centrodestra votato a sconfitta certa e a candidarsi nella lista Casa delle libertà. Infatti, arriva secondo, con quasi tremila voti di distacco dall’unico eletto, Giuseppe Graziano. Non dimenticherà nemmeno questo fallimento. Gallo è fuori gioco, la sua storia politica sembra arrivata all’ultima pagina. È a questo punto che ne esce fuori la tempra.

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    Il consigliere regionale dell’Udc, Giuseppe Graziano (foto Alfonso Bombini/ICalabresi)

    Ingaggia una battaglia legale contro Graziano che arriva fino alla Corte costituzionale. A tre anni dal voto, la Corte d’appello di Catanzaro dichiara la decadenza del comandante del Corpo forestale (che aveva violato le regole sull’aspettativa). Gianluca Gallo può rientrare in Consiglio. Sa che manca poco alla fine della legislatura e non perde occasione per farsi pubblicità attaccando un Oliverio che, agli occhi dei calabresi, ha ormai esaurito ogni credito politico. Nel frattempo, l’ex sindaco diventa coordinatore provinciale di Forza Italia nel Cosentino. È un’altra svolta, perché inizia a rafforzare la sua rete.

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    Gallo nostromo

    Alle Regionali del 2020, i 6.500 voti ottenuti cinque anni prima diventano 12mila. Santelli lo mette a capo della grande nicchia agricola. E lui – a bordo delle sue amate Alfa Romeo – inizia a girare in lungo e in largo la Calabria. Cacciatori e pescatori lo amano, i produttori pure. È difficile trovare un titolare di azienda vitivinicola, florovivaistica o avicola che non lo abbia incontrato almeno una volta o che non ne riconosca i meriti. Anche perché, dalla cabina di comando della Cittadella, Gallo fa principalmente una cosa: sblocca pagamenti, decine e decine di milioni di euro distribuiti a pioggia in una terra arida di risorse.

    L’endorsement non basta: Fi punta su Roberto Occhiuto

    L’assessore, più che i canali ufficiali, usa i social per annunciare la distribuzione dei nuovi fondi. Instillando nel suo pubblico l’idea che, quasi quasi, quei soldi provengano direttamente dalle sue tasche. Tra tour continui nelle aree produttive della regione e i rubinetti dei finanziamenti sempre aperti, la popolarità di Gianluca Gallo cresce a dismisura. La fine anticipata della legislatura lo trova pronto per la grande prova, ma serve un endorsement di peso. Si dice che il suo principale sostenitore sia stato l’allora arcivescovo di Catanzaro-Squillace, nonché presidente della Conferenza episcopale calabra, Vincenzo Bertolone.

    Vincenzo Bertolone, già arcivescovo di Catanzaro-Squillace

    L’unica certezza è che Gallo deve infine ritirarsi in buon ordine per lasciare tutti gli applausi a Roberto Occhiuto. Forse, a quel punto, all’entusiasmo della sfida subentra la paura delle possibili reazioni del vincitore, conosciuto negli ambienti della politica per il suo «carattere vendicativo». «Gallo – racconta un’autorevole fonte del centrodestra – era sicuro di essere rieletto, ma temeva di non essere confermato in Giunta per via delle sue manovre per la candidatura alla presidenza. Così si è impegnato al massimo per un risultato che non lasciasse alternativa al nuovo governatore».

    Il record di voti in Calabria

    I 12mila voti del 2020, in poco più di un anno, diventano allora 21mila, un record incredibile su cui si sono appiccicati diversi sospetti. In primis, quelli del vecchio nemico, Oliverio: «Alcuni assessorati si sono trasformati in bancomat». Pronta la risposta di Gallo, che sa di tremendissima vendetta per quel no ricevuto nel 2014: «Oliverio farebbe bene a impegnarsi per comprendere le ragioni del suo disastro elettorale».
    Il potente assessore, anche Graziano lo sa, è uno che non dimentica mai i torti e le delusioni. Occhio agli occhi blu, Occhiuto.

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    Gianluca Gallo festeggia a Cassano la rielezione in consiglio regionale con oltre 21mila preferenze

     

  • Il superburocrate così dà l’incarico al portaborse del politico

    Il superburocrate così dà l’incarico al portaborse del politico

    Stavolta la nomina non l’ha fatta un politico. La politica però in qualche modo c’entra sempre. Anche quando una superburocrate a capo di un apparato monstre decide di affidare all’esterno un incarico che, evidentemente, a suo parere non si può proprio assolvere con le risorse interne. Difficile a credersi, ma è quanto succede in uno dei Palazzi in cui resistono privilegi impensabili in altri luoghi di lavoro.

    Il segretario della segretaria generale

    L’ultima perla consegnata ai calabresi attraverso il Burc riguarda l’ennesima chiamata diretta in uno staff. Solo che stavolta non si tratta di un consigliere regionale, ma del vertice della struttura amministrativa di Palazzo Campanella. Il segretario generale Maria Stefania Lauria, che sta al punto più alto di una piramide di ben 250 dipendenti, ha dovuto arruolare un esterno come suo segretario particolare.

    Il segretario generale Maria Stefania Lauria e l’ex presidente del consiglio regionale, Mimmo Tallini

    Quarantamila euro per il portaborse

    Lei percepisce uno stipendio di 184mila euro lordi all’anno, a cui si aggiunge un’indennità di risultato in rapporto ai mesi di servizio e alla valutazione dei risultati conseguiti. Il suo segretario particolare al 100% ne prenderà invece 40mila. Molti di meno, certo, ma in realtà il prescelto, tale Francesco Noto, con questa nomina raddoppia: fino al giorno prima era infatti il segretario particolare al 50% del presidente del consiglio regionale, Filippo Mancuso.

    La fortuna del portaborse

    È questo uno dei tanti tratti quantomeno singolari di questa vicenda, che vede un portaborse passare di fatto dallo staff di un organo politico di vertice a quello del più alto burocrate dello stesso palazzo. Ma di passaggi che destano, diciamo così, un certo stupore, ce ne sono anche altri. Il primo, lampante paradosso, è che un dirigente che è a capo di una megastruttura amministrativa il cui personale costa già di per sé 25 milioni di euro all’anno di soldi pubblici decida di farne spendere un altro po’ per pescare all’esterno un collaboratore.

    Promossa da Tallini

    Un altro è che la stessa Lauria, a cui l’allora presidente Mimmo Tallini ha affidato anche la direzione generale del consiglio regionale, abbia già alle dipendenze dirette un Settore (il Segretariato generale, appunto) che conta solo al suo interno circa una cinquantina di persone. Per non parlare degli altri uffici che, comunque, sempre a lei fanno riferimento.

    C’è poi il fatto che il provvedimento, una determina dirigenziale, porti la firma, oltre che della responsabile del procedimento Romina Cavaggion, anche della stessa Lauria, alla quale il 19 gennaio scorso l’Ufficio di Presidenza – di cui ovviamente è a capo Mancuso – ha conferito l’incarico dirigenziale ad interim del Settore Risorse Umane.

    Filippo Mancuso (Lega) è il presidente del consiglio regionale della Calabria

    Si libera un posto nella struttura del presidente del consiglio regionale

    Per ricapitolare, dunque, con questo atto Lauria comunica al Settore diretto da Lauria che intende avvalersi di un collaboratore esterno. E Lauria prende atto che nulla osta alla nomina del segretario particolare che la stessa Lauria poi dispone con una sua determina. Liberando così, ché non guasta mai, un posto in più nella struttura del presidente del consiglio regionale, il quale certamente troverà presto un sostituto di Noto, che vi era stato inserito lo scorso 25 novembre.

    Certamente sarà tutto legittimo, e si tratta comunque di poca cosa rispetto alla guerra dei mandarini che abbiamo già raccontato. Ma è la conferma di quanto il pudore, al contrario di una miriade di portaborse, non trovi proprio alloggio ai piani alti di Palazzo Campanella.

  • Acqua pubblica in Calabria? L’ultima parola spetta a una banca in Irlanda

    Acqua pubblica in Calabria? L’ultima parola spetta a una banca in Irlanda

    Si tratta di due situazioni molto diverse tra loro, ma Sacal e Sorical in comune hanno anche alcune cose non proprio marginali. Innanzitutto gestiscono, in regime di sostanziale monopolio, gli aeroporti e gli acquedotti della regione, due settori cruciali che stanno attraversando percorsi piuttosto sofferti di riassetto societario. In queste società miste i rapporti tra pubblico e privato sono, per così dire, mutevoli e altalenanti. E vi ruotano attorno delle situazioni tutte da chiarire di cui, probabilmente, i calabresi sanno ben poco.

    L’altro fattore che accomuna Sacal e Sorical sono le «gravi incurie» e i «disordini» che dal punto di vista contabile si sono «stratificati negli anni». Lo ha certificato la Corte dei conti concludendo che le «gravi irregolarità» che riguardano queste realtà, al pari di Ferrovie della Calabria e Corap, «recano nocumento alla gestione del bilancio regionale, sia in termini di maggiori oneri, alimentando contenzioso e ingenerando debiti fuori bilancio, e sia sotto il profilo dell’attendibilità e veridicità del bilancio».

    Sacal e Sorical, le differenze

    Detto questo, vanno chiarite anche le differenze. Sorical, che dal 2004 gestisce l’acqua calabrese con una convenzione trentennale per cui paga 500mila euro all’anno, è al 53,5% della Regione e al 46,5% dei privati (Acque di Calabria s.p.a., controllata al 100% alla multinazionale Veolia). Sacal è subentrata nel 1990 al Consaer (consorzio costituito nel 1965 per la realizzazione e la gestione dell’aeroporto di Lamezia Terme) e nel 2009 ha avuto in concessione per 40 anni lo scalo lametino, a cui nel 2017 si sono aggiunti anche quelli di Reggio e Crotone, reduci dai fallimenti delle rispettive società di gestione. Ma soprattutto nei mesi scorsi è passata sotto il controllo dei privati.

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    Un aereo sulla pista dell’aeroporto di Lamezia

    A inizio agosto avevamo banalmente osservato come la linea di demarcazione fosse già sottile: erano 13.666 le azioni di Sacal in mano a enti pubblici – Comuni, Regione, Province e Camere di commercio – e 13.259 quelle dei privati. Dopo la vittoria alle elezioni, Roberto Occhiuto si è però accorto che i pesi sulla bilancia erano cambiati e, sotto la guida di un supermanager nominato da Jole Santelli e vicino alla Lega, un gruppo imprenditoriale (la “Lamezia Sviluppo” della famiglia Caruso) aveva acquisito la maggioranza delle quote nel silenzio generale.

    Tempo scaduto, ma tutto ancora ai privati

    Ciò che è avvenuto dopo è noto: l’Enac ha avviato una procedura che potrebbe portare alla revoca della concessione e al commissariamento degli aeroporti. Per scongiurarlo la Regione ha dato mandato a Fincalabra di acquisire il pacchetto azionario facendo tornare pubblica la maggioranza. Ma qui sta il problema, perché non sembra che questo passaggio sia così semplice come qualcuno pensava. Il tempo che l’Enac aveva concesso è già scaduto da oltre un mese, ma la ripubblicizzazione della società aeroportuale ancora non c’è stata.

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    Occhiuto vota per il Presidente della Repubblica

    Nei giorni dell’elezione del Presidente della Repubblica lo stesso Occhiuto assicurava – intervistato da CalNews, Calabria News 24 e Calabria Diretta News – di essere impegnato anche da Roma nei negoziati «con eventuali soci privati di Sacal e con i privati di Sorical». A distanza di pochi giorni, a margine della conferenza stampa sui suoi primi 100 giorni, riguardo a Sacal ha parlato di una trattativa «estenuante».

    L’ultimatum di Occhiuto

    La sostanza dell’impasse sugli aeroporti è ovviamente legata ai soldi: i privati si dicevano disponibili, con una lettera resa pubblica dallo staff del presidente della Regione, a cedere tutto il loro pacchetto senza sovrapprezzo al valore nominale di poco meno di 12,5 milioni di euro (foto lettera). Occhiuto invece ritiene che il valore reale, alla luce della crisi e della procedura Enac, sia molto minore e non vuole far scucire alla Regione tutti quei soldi.

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    La lettera dei privati che hanno acquisito la maggioranza di Sacal a Roberto Occhiuto

    Come se ne esce? Dalla Cittadella è partito un ultimatum: se entro 10 giorni non si sblocca la trattativa mandiamo tutto a monte e facciamo nascere una nuova società che assumerà tutto il personale Sacal. La cosa non sarebbe indolore perché passerebbe attraverso la revoca della concessione da parte di Enac. Intanto i lavoratori stagionali, già precari da anni, restano a casa, e i 152 dipendenti (71 operai, 70 impiegati e 11 quadri) vanno verso la cassa integrazione con una prospettiva che, complice il crollo del traffico aereo durante la pandemia, non è per niente rosea.

    Sorical: 595mila euro di utili, 188 milioni di debiti

    In Sorical, che nel frattempo ha dovuto fronteggiare la grave crisi idrica dell’Epifania, l’assetto societario è molto meno ingarbugliato: attualmente la Regione ha 7.169.000 azioni e Acque di Calabria 6.231.000. La società è in liquidazione ormai da 10 anni, il Bilancio 2020 ha fatto registrare un utile di 595mila euro – in aumento rispetto all’esercizio precedente – ma i debiti ammontano a 188 milioni di euro. Per l’acqua al momento però non c’è alcuna possibilità che i privati passino in maggioranza, anzi: Veolia da tempo non nasconde di volersi liberare e la Regione ha detto chiaramente di puntare ad acquisire le sue quote.

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    L’acquedotto Abatemarco (dal sito Sorical)

    Una delibera di Giunta regionale di maggio del 2021 aveva dato questo indirizzo ed era stata commentata con entusiasmo dall’asse leghista che (allora) governava la Regione con Nino Spirlì e (ancora oggi) Sorical con Cataldo Calabretta. Quell’annuncio però tra poco compirà un anno e non sembra, al di là delle dichiarazioni di facciata, che siano stati fatti dei decisivi passi in avanti. Tanto che, per non perdere alcuni fondi destinati all’ammodernamento degli acquedotti, nel frattempo è stata creata, su impulso dell’Aic (l’Autorità di governo d’ambito in cui sono rappresentati i Comuni), un’Azienda speciale consortile che si dovrà occupare della fornitura d’acqua al dettaglio, mentre a Sorical resterà l’ingrosso.

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    Spirlì e Calabretta

    La multiutility e quella banca irlandese…

    Si tratta di una soluzione provvisoria perché Occhiuto vuole arrivare a un’unica «multiutility» che gestisca tutto: fornitura idropotabile, depurazione e riscossione delle bollette. E proprio nei giorni scorsi il suo capo di gabinetto, incontrando i sindacati, ha dichiarato l’impegno della Regione a sottoscrivere un protocollo d’intesa per cui, «laddove si dovesse verificare l’acquisizione e la pubblicizzazione della Sorical», l’attuale personale della società passerà in toto alla nuova «multiutility» con le stesse condizioni contrattuali. I dipendenti sono 266 (125 amministrativi, 127 operai, 12 funzionari, 1 “atipico” e 1 dirigente) e, in termini di costo del personale, secondo la Corte dei conti Sorical è passata da 13,9 milioni nel 2017 a 15,6 nel 2020. Con un aumento che alla magistratura contabile appare «anormalmente elevato», considerato che un reale incremento di unità si è avuto solo fra gli operai.

    Ma per realizzare il progetto di Occhiuto, e dunque arrivare al gestore unico previsto dalla legge, c’è di mezzo un altro ostacolo, evidentemente ancora da superare: Sorical può diventare totalmente pubblica solo se si “convince” una banca con sede in Irlanda, la Depfa, con cui la società ha debiti per circa 85 milioni di euro. Nel 2008 Sorical ha stipulato con questo istituto un contratto derivato beneficiando di un project financing, così Depfa Bank oggi è il suo principale creditore e ha il pegno su crediti e conti correnti. Dunque è con la banca nel caso di Sorical, e con la “Lamezia Sviluppo” nel caso di Sacal, che si deve fare letteralmente i conti per far tornare questi settori, di enorme interesse collettivo, sotto il controllo pubblico. Ma come si può immaginare né le banche né gli imprenditori privati fanno quello che fanno per beneficienza.

  • Occhiuto non è Salvini: in Calabria ha pieni poteri

    Occhiuto non è Salvini: in Calabria ha pieni poteri

    A differenza di Salvini, lui non ha mai chiesto i «pieni poteri». Se li è presi, e basta.
    Se la tragicomica estate del Papeete ha rappresentato l’inizio di un lento declino per il leader della Lega – allora il politico più potente d’Italia –, per Roberto Occhiuto la vittoria dello scorso autunno ha rappresentato il punto più alto della sua parabola politica.
    Raggiunta la cima, il governatore calabrese non si è certo accontentato: ha voluto fortissimamente di più e, in un modo o nell’altro, ha avuto più di tutti i suoi predecessori. Così, oggi, la Calabria democratica è guidata, anzi, dominata, da un uomo buono per mille incarichi; un uomo super che dispone di poteri super. Una roba mai vista, prima d’ora.

    I super poteri di Roberto Occhiuto

    Occhiuto conquista i super poteri grazie a un Piano forse studiato da tempo. Subito dopo la vittoria elettorale su un centrosinistra malconcio e già votato alla sconfitta, non perde tempo e, facendo leva sui rapporti costruiti in vent’anni di attività parlamentare, riesce a ottenere dal Governo Draghi quella nomina che l’ex governatore Oliverio aveva desiderato per anni senza mai essere accontentato dal suo stesso partito, il Pd.
    Occhiuto è commissario della Sanità, il primo “eletto” dai calabresi dopo le parentesi dei quattro emissari governativi, tra cui tre ex ufficiali delle forze dell’ordine (Pezzi, Cotticelli e Longo). Il bilancio della Regione è unico e, finalmente, diventa unico anche il suo gestore, dal momento che, prima, i circa quattro miliardi destinati alla Sanità erano coordinati dai tecnici in uniforme.

    Gli emendamenti “amici”

    Ma ancora non basta. Il Parlamento, con un emendamento a firma dei senatori di Forza Italia (il partito del presidente), approva alcune modifiche al contestatissimo Decreto Calabria bis ed estende i già amplissimi poteri del commissario.
    Occhiuto conosce a menadito le dinamiche romane, ha ottimi addentellati nei ministeri e, soprattutto, sa cosa vuole. Infatti, ad accrescere il suo portfolio di incarichi ci pensa un altro emendamento, stavolta presentato dal deputato azzurro Ciccio Cannizzaro.

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    Roberto Occhiuto insieme a Ciccio Cannizzaro

    La norma finale, inserita nell’ultima legge di bilancio, realizza l’impensabile: riduce i poteri del mega-commissario nazionale per l’emergenza Covid, Francesco Paolo Figliuolo, e accresce, ancora, quelli di Occhiuto, sotto la cui egida finisce la gestione dei 900 milioni di interventi di edilizia sanitaria previsti in Calabria.

    Il ruolo del Consiglio

    Mica è finita qui. Il governatore segue alla lettera il proprio Piano, in cui un ruolo preminente lo recita anche il Consiglio regionale. Il 15 dicembre, quando ancora a Palazzo Campanella non sono nemmeno insediate le commissioni – a cui spetta il compito di valutare legittimità e sostenibilità di tutte le leggi –, l’Aula approva il testo (presentato da Pierluigi Caputo, fedelissimo di Occhiuto) che istituisce l’“Azienda zero”.
    Si tratta di un «ente di governance», come lo ha definito lo stesso presidente, che ha l’obiettivo di «unificare e centralizzare» tutte le funzioni amministrative in capo alle cinque aziende territoriali. Chi controlla Azienda zero, insomma, controlla, davvero, tutta la sanità regionale. E chi è che sceglierà la guida del nuovo ente? Risposta facile facile.

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    Pierluigi Caputo e Roberto Occhiuto

    Indignazione, ma non troppa

    Non si registra una generale indignazione di fronte all’operazione “zero”. Prima del via libera alla legge, tra i pochi ad alzare la voce c’è la Cgil, secondo cui quello perpetrato da «Presidenza e Ufficio commissariale» – cioè dal solo Occhiuto – è un «colpo di mano» capace, peraltro, di aumentare di 700mila euro i costi a carico del Servizio sanitario regionale. Vox clamantis in deserto, come si è visto.
    A questi enormi poteri – ottenuti legittimamente e grazie alla non comune capacità di gestire i giochi parlamentari e i rapporti con i decisori governativi –, Occhiuto somma anche quello di sovrano assoluto di una Giunta nella quale almeno cinque componenti su sette non possiedono alcun peso politico o contrattuale, perché non eletti ma bensì nominati su indicazione dei vertici dei partiti alleati.

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    Roberto Occhiuto con sei dei suoi sette assessori

    La carriera di Roberto Occhiuto

    Quella di Occhiuto è, con tutta evidenza, una parabola incredibile. In particolar modo se si tiene conto del fatto che, prima del trionfo alla Regionali, la sua era stata una buona carriera politica, ma forse non così straordinaria da giustificare, in ultima istanza, una tale concentrazione di poteri.
    Consigliere comunale della Dc nel ’93, nel 2000 viene eletto nell’assemblea regionale calabrese nelle fila di Forza Italia. Nel 2002, qualcosa si rompe e Occhiuto lascia Berlusconi per aderire all’Udc.

    Pochi giorni fa, è stato lo stesso governatore, in un’intervista a Sette del Corriere della Sera, a spiegare i presunti motivi di questo addio: «Facevo il direttore generale di un network di tv locali. Un mio giornalista realizza una serie di inchieste sulla Forza Italia calabrese, guidata dall’allora senatore Antonio Gentile. E il partito deferisce me (…) Il collegio dei probiviri era guidato da un gentilissimo senatore pugliese, Mario Greco (…) chiamandomi da parte, mi disse: “Figlio mio, ma che resti a fare qua dentro, dove non ti vogliono? Vattene da un’altra parte, dentro Forza Italia ti faranno la guerra, non ti faranno fare più nulla”. Apprezzai e me ne andai».

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    Insieme a Silvio Berlusconi

    Il futuro governatore, accompagnato alla porta dal suo partito, dimostra comunque di avere un certo seguito elettorale anche con l’Udc; tant’è che, nel 2005, diventa vicepresidente del Consiglio regionale e, alle Politiche del 2008, deputato. Onesta carriera, appunto, con alti e bassi. Nel 2009, si candida a presidente della Provincia di Cosenza e prende una batosta: terzo e nemmeno ballottaggio. Ad asfaltarlo sono Oliverio, eletto presidente, e un altro Gentile, Pino. Nel 2013, una nuova delusione: l’Udc lo schiera in seconda posizione nel listino bloccato ma viene eletto il solo Lorenzo Cesa.

    La delusione lo spinge a tornare tra le braccia di Berlusconi, prima che la fortuna gli arrida di nuovo: Cesa diventa eurodeputato e lui rientra alla Camera. Il Pdl intanto torna in soffitta e in Fi Calabria inizia l’era di Jole Santelli. Roberto e il fratello Mario, sindaco di Cosenza, sono umanamente e politicamente molto vicini all’allora coordinatrice regionale azzurra, che infatti sarà nominata vicesindaco nella Giunta bruzia, nel giugno 2016. Due anni dopo, in occasione delle Politiche, Santelli e Occhiuto jr formano una specie di ticket nei listini blindati e vengono eletti entrambi alla Camera.

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    Jole Santelli e Roberto Occhiuto

    Chi è il fuoriclasse tra gli Occhiuto?

    Ecco, una buona e onesta carriera politica, quella dell’attuale presidente calabrese, niente di più e niente di meno. Anche perché il (presunto) fuoriclasse, in famiglia, non è Roberto, ma Mario, che infatti nel 2019 si autocandida alla presidenza della Regione. Matteo Salvini non è d’accordo e piano piano costruisce il suo veto che stronca i sogni del sindaco. Il più giovane degli Occhiuto, a quel punto, va su tutte le furie: «Se è vero che c’è un veto della Lega sulla candidatura di mio fratello, credo sia del tutto pretestuoso e inaccettabile: tantissimi amministratori locali sono sotto processo, lui no. Quanto a me, sia chiaro che se dovessi scegliere tra il cognome e l’appartenenza politica, ovviamente sceglierei il cognome».

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    Roberto e Mario Occhiuto

    Sembra quindi vicina una nuova rottura con Fi: i due fratelli minacciano scissioni, una candidatura (sempre di Mario) contro il centrodestra. Alla fine, nulla di fatto: Berlusconi scrive una lettera per convincerli a restare senza perdere la faccia e loro fanno un passo indietro. Santelli, intanto, diventa presidente della Calabria. Occhiuto jr pare sempre più defilato, anche perché i rapporti con la nuova presidente sembrano compromessi. Poi, la morte di Santelli chiude anzitempo la legislatura.

    L’aiuto di Draghi

    Occhiuto, intanto, nel febbraio 2021 diventa capogruppo di Fi alla Camera dopo la nomina di Maria Stella Gelmini nel nuovo Governo di unità nazionale. Un numero due che, inaspettatamente, diventa numero uno. Inizia da qui la nuova rinascita, propiziata dall’avvento al potere di Mario Draghi. Da quella posizione privilegiata, Occhiuto monitora le trattative per la scelta dei candidato presidente in Calabria e fa le sue mosse, senza sbagliarne una. La partita è più facile di quel che sembra, in realtà, anche perché i leader del centrodestra, già dal 2019, hanno deciso che la Calabria toccherà a un candidato presidente di Fi.

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    L’ex capogruppo di Fi alla Camera, Maria Stella Gelmini, e il suo allora numero due

    Occhiuto, in sostanza, per ottenere l’alloro deve battere la concorrenza di altri due forzisti, cioè Gianluca Gallo e lo stesso Cannizzaro, non proprio Churchill e De Gaulle, ma nemmeno Alfano e Buttiglione. E Occhiuto vince facile e ottiene la nomination; poi rivince facile ancora, contro Amalia Bruni e l’armata Brancaleone del centrosinistra calabrese; e poi, e poi si prende tutto. Per lui niente mojito, niente fiaschi politici in stile Papeete. Lui aveva escogitato il Piano e ora è in Cittadeella. I pieni poteri non li ha chiesti, se li è presi.

  • L’etica a 5 stelle? Quarantamila euro per l’avvocato di Afflitto in Regione

    L’etica a 5 stelle? Quarantamila euro per l’avvocato di Afflitto in Regione

    Il Burc è ormai un oggetto di culto non solo per gli addetti ai lavori. Non tanto perché è un diario (non sempre aggiornatissimo) della vita amministrativa della Regione, quanto per le nomine di cui il Bollettino ufficiale puntualmente dà conto soprattutto nei primi mesi di ogni nuova consiliatura.

    Scorrere i nomi dei beneficiari dei co.co.co. che il consiglio regionale assume, su indicazione diretta dei consiglieri regionali per far parte delle loro “strutture”, riserva infatti sempre nuove soddisfazioni agli amanti del genere.

    M5S? Erano moralizzatori

    Non solo dalle parti della maggioranza, dove c’è chi riesce addirittura a farsi assumere sia dalla Giunta che dal Consiglio, o dell’opposizione “tradizionale”, in cui anche gli ex assessori regionali si reinventano portaborse. Ma anche nel campo di chi ha sempre indossato la veste moralizzatrice contro tutti i privilegi di cui gode la vituperata casta.

    Sì, proprio i  Cinque stelle. Ora che sono entrati nel Palazzo, in attesa che rispolverino la loro proposta di legge che taglierebbe gli stessi stipendi che intanto stanno incassando, da un lato hanno rinunciato ai vitalizi – che non sono certo quelli di faraonici di una volta – ma dall’altro non stanno rinunciando a fare incetta di collaboratori.

    Il legale diventa anche collaboratore del consigliere regionale

    Tutto legittimo, certo, ma è quantomeno singolare che uno dei due consiglieri regionali eletti con l’M5S, il presidente della Commissione di Vigilanza Francesco Afflitto, chiami a far parte dello staff di collaboratori di fiducia anche il suo avvocato. Che è, per inciso, uno dei due legali che lo rappresentano in un contenzioso legale in cui viene contestata proprio la sua elezione a Palazzo Campanella.

    Eugenio Vitale, si legge sull’ultimo Burc, sarà il suo responsabile amministrativo al 100% con un compenso di oltre 40mila euro all’anno. Ed è la stessa persona, a meno di improbabili omonimie, che lo rappresenta assieme a un altro avvocato nella causa che contro Afflitto ha intentato Alessia Bausone, che in fase di riconteggio ha conquistato il primo posto tra i non eletti nella lista M5S della circoscrizione centrale.

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    La sede del Consiglio regionale della Calabria

    L’avvocato e la causa con la Bausone

    A distanza di poco più di una settimana dalla prima udienza, davanti al Tribunale di Catanzaro, della causa civile in cui Bausone sostiene la presunta ineleggibilità di Afflitto in relazione all’aspettativa dall’Asp di Crotone, quest’ultimo ha dunque indicato il suo avvocato per un incarico remunerato con soldi pubblici, uno di quelli che spettano – in più rispetto ai consiglieri “semplici” – ai presidenti di Commissione, ai capigruppo e ai componenti dell’Ufficio di Presidenza.

    Annunciando un esposto «al competente consiglio di disciplina forense affinché valuti la compatibilità di tale curiosa circostanza con la deontologia a cui ogni avvocato ligiamente si deve attenere», Bausone non risparmia accuse pesanti al “rivale”: «I calabresi – chiede l’esponente dei 5stelle – devono pagare, di fatto, le spese legali per la difesa in giudizio di un consigliere regionale?».

    Non manca infine una paradossale annotazione politica: il centrodestra, rispettando la prassi, ha permesso che un rappresentante dell’opposizione come Afflitto fosse eletto al vertice della Vigilanza; in attesa che l’organismo da lui guidato vigili – magari con lo zelo a cui l’M5S ha abituato la sua base – sull’operato della maggioranza, certamente c’è chi intanto vigila su di lui.

  • L’amico di Roberto Occhiuto porta a casa due incarichi in Regione

    L’amico di Roberto Occhiuto porta a casa due incarichi in Regione

    Nella Calabria della disoccupazione imperante, c’è un giovane che è riuscito ad avere, nel giro di un mese e mezzo, due incarichi pubblici molto ben retribuiti. Il che è già un fatto piuttosto singolare, a queste latitudini. Quel che tuttavia rende unico il caso in questione è che il datore di lavoro è sempre lo stesso: la Regione Calabria.

    La storia di Antony Federico

    Il protagonista di questa storia si chiama Antony Federico, trentenne cosentino che nel suo profilo Linkedin dichiara una laurea in Scienze delle Pubbliche amministrazioni all’Unical e un master di secondo livello in Management e Politiche delle pubbliche amministrazioni alla Luiss Guido Carlo University. Curriculum a parte, Federico viene descritto come un berlusconiano da sempre vicinissimo al forzista numero uno in Calabria, il presidente della Regione Roberto Occhiuto.

    Gli incarichi

    Due atti ufficiali dicono che Federico, nel giro di poche settimane, è stato prima nominato nello staff di un consigliere regionale e poi in quello di un assessore. Di fatto, il giovane cosentino ha quindi un lavoro a Reggio (Palazzo Campanella) e uno a Catanzaro (Cittadella di Germaneto).

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    Roberto Occhiuto con il fedelissimo Pierluigi Caputo, vicepresidente del consiglio regionale

    Il 30 novembre scorso, il dirigente del settore Risorse umane conferisce a Federico l’incarico di responsabile amministrativo al 50% del vicepresidente del Consiglio regionale, Pierluigi Caputo, a decorrere dal 2 dicembre. Il 12 gennaio, con un nuovo decreto dirigenziale del dipartimento Organizzazione della Giunta, arriva la seconda nomina: il trentenne diventa responsabile amministrativo (sempre al 50%) dell’assessore alle Infrastrutture e Lavori pubblici, Mauro Dolce.

    Antony Federico, insomma, è al tempo stesso dottor Giunta e mister Consiglio. Un caso che, nella Calabria delle tante anomalie amministrative, non si era mai verificato. Le strutture dei politici, negli ultimi decenni, hanno imbarcato di tutto: candidati trombati, portatori di interessi, capi elettori, perfino indagati. Finora, però, non era mai accaduto che una sola persona fosse reclutata in due staff differenti.

    I compensi

    Federico, fino al 4 ottobre del 2026 (data di presunta fine della legislatura) e salvo revoca anticipata della nomina, percepirà un compenso di poco più di 20mila euro all’anno (circa 100mila euro complessivi) dal solo Consiglio regionale. Dovrebbe ricevere più o meno la stessa cifra anche dalla Giunta, anche se nell’atto di nomina non viene specificato il compenso. Il doppio incarico dovrebbe dunque garantire una retribuzione annua complessiva di circa 40mila euro.

    L’anomalia non riguarda il compenso – dal momento che Federico avrebbe percepito più o meno la stessa somma anche con un singolo incarico al 100% –, quanto la circostanza che una sola persona riceva incarichi diversi da un unico ente e che, al tempo stesso, riesca a fornire la propria opera professionale quotidiana a due diversi rappresentanti istituzionali, uno di stanza a Catanzaro e l’altro a Reggio. Peraltro, in Cittadella, a differenza che a Palazzo Campanella, i “portaborse” dei politici hanno l’obbligo di registrare la loro presenza con il badge marcatempo. Come farà Federico a organizzarsi, visto che Reggio è lontana 150 chilometri?

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    Tra i più stretti collaboratori del governatore non manca mai Antony Federico, terzo in alto da sinistra

    Tutto regolare?

    I Calabresi ha provato a capire se le procedure seguite da Giunta e Consiglio siano regolari e in linea con le normative vigenti. La risposta degli uffici è stata più o meno la stessa: «È la prima volta che succede, dobbiamo controllare le carte». Altra stranezza, perché le carte, in teoria, andrebbero controllate prima.

    Dal dipartimento Organizzazione della Cittadella è però arrivata qualche precisazione aggiuntiva: «In Giunta i dipendenti a tempo indeterminato al 50% possono anche svolgere la libera professione, perché in questo caso non esiste il dovere dell’esclusività. Potrebbe valere anche per i componenti delle strutture». Ma, in definitiva, la doppia nomina di Federico è legittima oppure no? Risposta: «La Regione è un ente unico ma le piante organiche sono diverse e separate».

    Un esponente della maggioranza di centrodestra che preferisce l’anonimato commenta così tutta la vicenda: «Questa storia presenta forti dubbi di legittimità e dimostra che Giunta e Consiglio non comunicano tra loro».

    I selfie su Facebook

    In attesa che chi di dovere faccia chiarezza, non resta che cercare di capire qualcosa in più di Federico, a cui spetterà il compito di supportare sia l’azione di Caputo, uno dei consiglieri di maggior fiducia del governatore, che quella di Dolce, l’uomo a cui Occhiuto ha affidato le chiavi del Pnrr. Sul profilo Facebook del bi-responsabile amministrativo tante foto indicano la sua vicinanza al presidente della Regione, così come al fratello, l’ex sindaco di Cosenza Mario Occhiuto. Una delle ultime immagini risale al 15 ottobre scorso: si vede Roberto Occhiuto che, dal palco, tira la volata al candidato sindaco di Cosenza Francesco Caruso, poi sconfitto.

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    Roberto Occhiuto sul palco di Cosenza a sostegno di Francesco Caruso, che poi perderà

    Il 5 ottobre c’è un selfie: Antony Federico posa sorridente con l’uomo che ha appena conquistato la Regione Calabria e lo elogia pubblicamente: «Te la sei meritata tutta. Auguroni e buon lavoro presidente».

    Ancora, l’1 ottobre: nella foto di gruppo, con Occhiuto e i suoi più stretti collaboratori, compare anche lui, Federico, che decanta: «Un gruppo di persone che condivide un obiettivo comune può raggiungere l’impossibile». Altro selfie e stessi protagonisti il 10 settembre. E l’esperto di pubbliche amministrazioni scrive: «Con il talento si vincono le partite, ma è con il lavoro di squadra e l’intelligenza che si vincono i campionati».

    Il 16 giugno, invece, Antony Federico esulta perché, dopo mesi di incertezza, finalmente la coalizione ha deciso: «Roberto Occhiuto è il candidato del centrodestra alla Presidenza della Regione Calabria. La Calabria, presto, avrà un grande presidente ed anche in questa battaglia sarò al tuo fianco».

  • “Robbe da matti”: anche gli assessori fanno i portaborse

    “Robbe da matti”: anche gli assessori fanno i portaborse

    Di esperta pare proprio essere esperta, molto più di altri colleghi portaborse passati dalla Regione Calabria in questi anni. E non potrebbe essere altrimenti: fino a dicembre 2019 Angela Robbe era assessore al Lavoro e al Welfare nella giunta Oliverio. Da qualche tempo, invece, si è trasferita in Consiglio regionale. Con oneri e onori decisamente più ridotti del recente passato, pur continuando a occuparsi di lavoro e, per i più maliziosi, di un welfare sui generis. Quello tutto interno alla politica. Robbe, infatti, ha un nuovo incarico: collaboratrice esperta – appunto – al 50% della leader (o presunta tale) dell’opposizione Amalia Bruni.

    Il contratto, salvo cambi di idea in corsa della scienziata lametina, durerà fino a ottobre 2026, molto più dell’anno e mezzo trascorso nell’Esecutivo del sangiovannese prima di dimettersi a ridosso delle penultime elezioni. In compenso, gli emolumenti non saranno più quelli di un tempo: circa 78.500 euro lordi in poco meno di un quinquennio, roba (Robbe?) che un assessore regionale calabrese porta a casa in pochi mesi di attività.

    Dalle stelle alle stalle

    Certo è insolito vedere qualcuno che sedeva in Giunta retrocedere a semplice portaborse, per di più con lo stipendio da dividere a metà con un collega di pari grado. Ma non è un inedito assoluto dalle nostre parti, anzi. Le strutture dei consiglieri regionali sono da sempre piene di politici, alimentando il sospetto che più che l’esperienza per certi collaboratori conti il numero di voti portati al datore di lavoro alle elezioni.

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    L’ex consigliere regionale Alfonsino Grillo

    Nella maggior parte dei casi, molti di loro coincidono con quelli che si offendono ad essere chiamati portaborse come si usa per gli assistenti dei politici. A volte addirittura con quelli che preferirebbero essere chiamati onorevoli – pur non spettandogli il titolo – per i propri trascorsi in Aula Fortugno. Nella scorsa consiliatura, ad esempio, nello staff di Baldo Esposito c’era Alfonsino Grillo, che era stato a sua volta consigliere regionale fino al 2014. Con un quinto dei 1.230 euro netti al mese che la Regione gli passava pagava pure un danno erariale ai danni della stessa Regione per il quale lo aveva condannato la Corte dei Conti.

    Dettagli, questi, che non riguardano il suo emulo dell’attuale consiliatura: Francesco Pitaro. La poltrona l’ha lasciata dopo le Regionali di ottobre ma è rientrato a Palazzo Campanella come segretario particolare del democrat Raffaele Mammoliti. Declassamento oneroso ma non troppo, il suo: per lui ci sono circa 200mila euro lordi a rendere meno doloroso il prossimo quinquennio.

    Il precedente più illustre (e recente)

    L’esempio più noto, però, è ancora in casa Pd. È di qualche settimana fa la notizia dell’ingresso dell’ex consigliere ed assessore Carlo Guccione nello staff del neo eletto Franco Iacucci. Guccione ci arriva da componente interno, ossia da impiegato regionale messo al servizio di un politico in cambio di un extra sullo stipendio mensile che gli passa l’ente. Lui in Regione ha piantato le tende col mitico “concorsone” che ha fatto la gioia dei cronisti dell’epoca. E per anni se l’è presa con quanti lo definivano ex portaborse di Nicola Adamo per aver lavorato nella struttura di quest’ultimo.

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    Carlo Guccione e Nicola Adamo nella segreteria di Franco Iacucci durante le ultime elezini regionali (foto A. Bombini) – I Calabresi

    Alle ultime elezioni non lo hanno ricandidato, ma poco dopo è diventato responsabile della Sanità per il Meridione nel suo partito. Si spera riesca a conciliare l’impegno con le fatiche degne di Stachanov alla quale lo sottoporrà senza alcun dubbio l’altro ex comunista Iacucci negli uffici che non mancherà di frequentare. Anche Guccione, proprio come Robbe dopo di lui, aveva la delega al Lavoro con Oliverio. Seppur in ritardo rispetto a quando dovevano crearli loro, almeno due discreti posti nella Calabria della disoccupazione gli sono rimasti.

  • Niente stampa, siamo calabresi: l’aula Fortugno come un bunker

    Niente stampa, siamo calabresi: l’aula Fortugno come un bunker

    “Qui la ‘ndrangheta non entra”, d’accordo, ma forse nemmeno le persone perbene, sempre ammesso che i giornalisti lo siano (i dubbi, in certi casi, sono leciti).
    Ha fatto molto discutere, negli anni, il cartello affisso davanti a una delle entrate del Consiglio regionale, quello che si prefiggeva di essere un divieto perentorio poi diventato piuttosto ridicolo, alla luce dei tanti arresti per mafia che, nell’ultimo decennio, hanno coinvolto i politici calabresi.

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    Bunker e propaganda

    Gli eventi hanno trasformato quell’avviso in mera propaganda del tutto staccata dalla realtà, perché il virus ha infettato eccome il Palazzo reggino. L’emergenza Covid è invece riuscita a blindare “la casa dei calabresi” contro qualsiasi influenza esterna, tramutandola in una specie di bunker quasi inaccessibile. Dallo scoppio della pandemia, il Consiglio è praticamente off limits per il «pubblico», termine ampio in cui sono inclusi pure i giornalisti, cioè quei “lavoratori dell’informazione” che dovrebbero avere il diritto/dovere di seguire le sedute dell’assemblea e di darne conto – a modo loro – ai lettori/elettori.

    La stretta, introdotta una prima volta nella scorsa legislatura dall’allora presidente, Mimmo Tallini, è stata riconfermata, in forme diverse, dai successori Giovanni Arruzzolo e, infine, da Filippo Mancuso. Così oggi alle sedute possono partecipare solo gli eletti e i dipendenti del Consiglio da cui dipende il funzionamento dell’aula. Niente «pubblico», insomma, da circa due anni.

    Niente pubblico nel bunker

    Arruzzolo ha ribadito il divieto di accesso lo scorso 13 ottobre, con una deliberazione che permetteva l’accesso al Consiglio solo alle persone in possesso del green pass. Ordine poi prorogato fino al 31 marzo 2022, «e comunque fino al termine di cessazione dello stato di emergenza», con un atto datato 29 dicembre e firmato da Mancuso. Tutto perfettamente regolare e in linea con le normative nazionali, se non fosse per quel paragrafo, il numero 10, che in pratica non consente al «pubblico» di assistere «ai lavori dell’Aula».

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    Un momento del voto a Montecitorio per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica

    Un’aggiunta controversa e che, peraltro, non trova giustificazione se paragonata a quanto avviene in Parlamento, come Mancuso dovrebbe ben sapere. L’attuale numero uno di Palazzo Campanella è stato uno dei tre delegati calabresi che hanno partecipato al voto per la Presidenza della Repubblica. E avrà certamente notato che – oltre a essere state riorganizzate per aumentare il numero dei posti a disposizione dei grandi elettori e garantire così il distanziamento – a Montecitorio le tribune non sono mai rimaste chiuse né alla stampa né al resto del «pubblico». Giornalisti e operatori hanno così potuto svolgere il loro lavoro pur nel rispetto di precise norme anti-Covid.

    Restrizioni alla calabrese

    Il Consiglio calabrese, invece, non solo non si è adeguato al Parlamento, ma continua a mantenere in vigore disposizioni molto più restrittive, laddove il green pass, una diversa regolamentazione degli accessi e posti distanziati potrebbero assicurare la presenza del pubblico e, in particolare, della stampa. Fonti qualificate della Presidenza spiegano che si tratta di «misure precauzionali emanate per tutelare la salute dei consiglieri e dei dipendenti». L’aula non disporrebbe degli spazi necessari per assicurare il distanziamento. Motivazioni che, tuttavia, non convincono del tutto. A parte gli scranni in sovrannumero destinati ai 30 consiglieri (fino al 2014 l’aula ne ospitava 50), le due tribune per la stampa dispongono di decine di posti e sono ben separate sia da quella dove siede il pubblico sia da quella in cui operano gli addetti alla registrazione delle sedute.

    La casta non c’entra

    Tanto per eliminare ogni sospetto, va detto che il divieto di accesso per i giornalisti non lede solo le prerogative di una categoria che, spesso, è capace di produrre odiose e autoreferenziali rivendicazioni degne di un’altra casta, quella dei politici, ma colpisce, in primo luogo, il diritto dei cittadini di essere correttamente ed esaurientemente informati su quello che succede nella massima assemblea elettiva regionale.

    Oggi le informazioni sono garantite solo dai resoconti scritti dai tecnici del Consiglio e dalle dirette – camera sempre fissa solo su chi interviene in aula – su Youtube. Un giornalista, magari, potrebbe annotare anche altro: i soliti capannelli bipartisan prima dell’approvazione di una certa legge, i conciliaboli da compagnoni tra presunti avversari, le determinazioni dei consiglieri sui singoli provvedimenti, considerato che ancora non esiste – malgrado i buoni propositi del passato – il voto elettronico.

    Sono tante le spigolature che potrebbero essere funzionali a una narrazione autentica. Particolari, piccole nuance, che spesso non aggiungono nulla alla trama, ma che, a volte, possono dire molto, molto più di quel che i governanti vorrebbero. Le caste, si sa, di solito amano scegliere in che modo e in che forme raccontarsi.

    I compari e la stampa

    L’insofferenza nei confronti della stampa si è di certo acuita negli ultimi anni, in particolare dopo la frase – registrata dalla trasmissione Annozero di Michele Santoro – pronunciata dall’allora consigliere Franco Morelli mentre abbracciava il collega Mimmo Crea: «Il compare del tuo compare è anche mio compare». Quel servizio fece scoppiare un pandemonio che finì per screditare tutta l’istituzione regionale, anche perché, di lì a poco, sia Crea sia Morelli finirono in carcere per i loro legami con la ‘ndrangheta, poi confermati da condanne definitive. Da quel momento in poi, i giornalisti hanno avuto una libertà di movimento limitata alle sole tribune, cioè a distanza di sicurezza dai consiglieri.

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    Filippo Mancuso

    L’emergenza attuale non ha fatto altro che favorire una nuova (forse da tempo desiderata) stretta. E forse, allora, val la pena di ricordare Verbitsky e il suo credo: «Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia; il resto è propaganda». Val la pena di ricordare la disinformazione prodotta da quel famoso cartello. Val la pena di ricordare all’Ordine dei giornalisti di fare il suo mestiere. E val la pena di ricordare a Mancuso di aprire le porte e di lasciar perdere le botole.

  • La regola di Ennio: la poltrona passa di padre in figlio… e nuora

    La regola di Ennio: la poltrona passa di padre in figlio… e nuora

    A novembre 2020 esplode una protesta a Cosenza contro l’istituzione della zona rossa.
    Tra i bersagli della piazza ci sono i fratelli Gentile ed Ennio Morrone, accusati di aver distrutto la sanità calabrese, pubblica e privata.
    A metà gennaio 2022 gli ex dipendenti della clinica Misasi-San Bartolo salgono sul tetto della storica struttura cosentina per protestare contro i licenziamenti che hanno colpito 51 dei 129 lavoratori. Le lettere di licenziamento provengono dai fratelli Greco, che hanno rilevato la clinica dai Morrone.

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    Operai protestano sul tetto della Clinica Misasi-San Bartolo dopo l’arrivo delle lettere di licenziamento per 51 di loro

    Dopo il figlio ecco la nuora 

    Nel frattempo, sono successe alcune cose importanti: Luca Morrone, figlio di Ennio, non è più in Consiglio regionale, dove sedeva tra i banchi della maggioranza in quota Fratelli d’Italia. Al suo posto è subentrata la moglie, Luciana De Francesco, eletta nella medesima lista meloniana con 4mila 500 e passa voti. Il pacchetto di famiglia, che fu di Ennio e poi di Luca è rimasto in casa, anche se ha cambiato sesso e cognome.
    Potenza delle dinastie, che rendono il potere una proprietà transitiva.
    E con buona pace di chi protesta: saranno pure molti, ma sempre meno di chi vota senza fiatare.

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    Luciana De Francesco, eletta in consiglio regionale con Fratelli d’Italia

    Il patriarca Enniuzzo

    Viso paffuto, aria paciosa e modi sornioni, Giuseppe Ennio Morrone, detto Ennio e a volte Enniuzzo, è il meno vistoso tra i big cosentini di lungo corso.
    Non ha la popolarità di Pino Gentile né il radicamento di Nicola Adamo. Soprattutto, non ha la loro capacità di trasformare le clientele in seguito.
    A voler fare un paragone irriverente, Ennio somiglia a un gatto: astuto, aggressivo quando serve, spregiudicato e calcolatore, l’ex esponente socialista (quindi democratico, poi mastelliano e infine azzurro) è un maestro nell’arte della sopravvivenza politica in posizioni di potere. Soprattutto, è il più determinato a trasformare il potere in eredità. Vediamo come.

    Quattrini e seggi

    C’è una regola non scritta che pochi possono permettersi di violare: la separazione tra attività d’impresa e la politica. In Calabria, le eccezioni eclatanti sono due: Sergio Abramo e, appunto, Ennio Morrone.
    Morrone senior, di professione ingegnere, ha esordito come imprenditore attraverso Geocal, un laboratorio di analisi specializzato sui materiali utilizzati nei lavori pubblici.
    Il battesimo politico di Morrone, invece, è stato propiziato da Pino Gentile. Con buoni risultati, tra l’altro: il Nostro fa il vicesindaco a fine anni ’80. Poi, finita la Prima Repubblica, quindi il Psi, riemerge come assessore di Giacomo Mancini.
    Il salto di qualità avviene col centrosinistra nel 2000, quando Morrone si candida ne I Democratici e diventa consigliere regionale.
    Nel 2005 il big cosentino aderisce all’Udeur di Clemente Mastella e torna in Consiglio regionale con gran scioltezza.

    L’anno doro di Ennio Morrone

    La giunta Loiero e la vicinanza a Super Clemente si rivelano meravigliosi trampolini di lancio: diventato assessore regionale al Personale, Ennio si gioca la promozione romana nel 2006. E vince: diventa deputato e, in maniera non troppo indiretta, occupa una casella al Comune di Cosenza, dove suo fratello Giancarlo (medico andrologo e poi direttore sanitario della “Misasi”) diventa vicesindaco.
    Questo è l’apice di Ennio, che non bisserà più il record di potere e presenze. Ma capitalizza comunque quel che ha a dispetto di tanti scivoloni, che ad altri sarebbero costati più cari. Vediamoli.

    Le rogne

    Già nel 2003 Morrone era finito nel mirino della Dda di Catanzaro per presunte infiltrazioni delle ’ndrine nei lavori dell’allora A3. L’inchiesta finì in niente per tutti gli indagati.
    Nel 2006 Morrone fu intercettato durante un colloquio in carcere con Franco Pacenza, all’epoca notabile dei Ds, mentre ne diceva di tutti i colori di alcuni magistrati. Lo scandalo mediatico rientrò con la velocità con cui era esploso.
    Nel 2007 è la volta di Why Not?, la megainchiesta di Luigi de Magistris, allora sostituto procuratore a Catanzaro.
    Why Not? finì per Morrone allo stesso modo che per altri indagati eccellenti (tra cui Nicola Adamo): in nulla.

    La famiglia prima di tutto

    Il principale motivo d’orgoglio di Ennio è la famiglia. In particolare, sua figlia Manuela, che ha fatto per anni la magistrata a Cosenza, prima a livello penale poi nel Tribunale fallimentare. Manuela, tra le varie, è moglie di Stefano Dodaro, già capo della Squadra Mobile di Cosenza.
    Il sogno di molti padri “che contano” è avere figli “che contano” altrettanto. E quando non ci riescono da soli, arriva il consiglio paterno.
    È il caso di Marco e Luca, gemelli quasi indistinguibili, che hanno ereditato i due core business di papà Ennio: l’imprenditoria (Marco) e la politica (Luca).
    Marco diventa socio e ad della San Bartolo, la società proprietaria delle cliniche – Misasi, San Bartolo e Villa Sorriso – di famiglia. Luca si dà alla politica, dove riprende e prosegue la carriera paterna.

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    Stefano Dodero, ex capo della Mobile a Cosenza e attualmente direttore della scuola di Polizia a Vibo Valentia

    Rinascere in Azzurro

    Nel 2010 Ennio si candida in Regione in quota Pdl. Non ce la fa per un soffio, ma l’aiuta la sfortuna altrui: prende il posto di Franco Morelli, finito in galera per concorso esterno in associazione mafiosa.
    Intanto, nel 2011, Luca diventa presidente del consiglio comunale di Cosenza nella prima sindacatura di Mario Occhiuto. Poi succede un fatto curioso: nel 2014, Ennio torna in consiglio regionale con Forza Italia. A inizio 2016, Luca partecipa alla sfiducia, che fa decadere Mario Occhiuto a pochi mesi dalla scadenza del mandato. Contestualmente, Ennio diventa presidente della Commissione regionale di controllo e garanzia, durante l’amministrazione Oliverio.

    L’impero scricchiola

    L’avvisaglia è in una dichiarazione rilasciata da Eugenio Facciolla, procuratore di lungo corso, durante una famosa ispezione ministeriale sul Tribunale di Cosenza. Facciolla, in quell’occasione, aveva lanciato l’allarme sul possibile conflitto d’interessi rappresentato da una magistrata moglie del capo della Squadra mobile e figlia di un politico. Dodaro verrà trasferito da lì a poco.
    Nel frattempo, anche le cliniche danno problemi: accumulano debiti, soprattutto nelle retribuzioni e nella previdenza, ed entrano nel mirino dei sindacati.
    Il punto più alto della crisi si registra nel 2015, quando per tamponare i problemi la San Bartolo ricorre ai contratti di prossimità. Il risultato è accettabile a livello economico ma pessimo a livello politico-sindacale.
    Infatti, la situazione si trascina fino alla primavera del 2021, quando i Morrone decidono di vendere tutto o quasi ai Greco, specializzati nel recupero delle cliniche decotte (avevano già acquistato La Madonnina e il Sacro Cuore di Cosenza e La Madonna della Catena di Laurignano), non prima di aver tentato di vendere a un altro big: Piero Citrigno.

    Migranti e guai

    Un’altra buccia di banana si rivela nel 2015, in seguito alla protesta di alcuni migranti ospiti della struttura, il Centro d’accoglienza di Spineto, frazione di Aprigliano vicinissima alla Sila. Un’inchiesta giornalistica dell’agosto di quello stesso anno rivela che il centro d’accoglienza è gestito dalla Cooperativa Sant’Anna, di cui tra l’altro era stato amministratore Marco Morrone. Nel giro di pochi mesi, la struttura viene chiusa. Ma intanto lo scandalo è scoppiato a livello nazionale e finisce addirittura in Profugopoli, il libro di Mario Giordano.
    La coop Sant’Anna, detto per inciso, gestisce anche i servizi ausiliari delle cliniche riconducibili ai Morrone più altre attività terziarie. Ma scoppia un’altra rogna: l’inchiesta Passepartout, in cui è indagato e rinviato a giudizio Luca Morrone.
    A causa di questo procedimento, Luca deve rinunciare alla candidatura alle Regionali dello scorso ottobre.

    La storia infinita

    Il resto è noto. L’elezione della De Francesco ha inaugurato un altro filone di ereditarietà politica: quello che al posto dei figli premia i loro coniugi.
    Un filone, tra l’altro non proprio inedito, visto che l’ha sperimentato con successo sulla costa Tirrenica l’ex europarlamentare del Pd Mario Pirillo, che ha sponsorizzato alla grande la carriera di Graziano Di Natale, il marito della figlia.
    In un modo o nell’altro, la dinastia resiste. Passano i decenni, cambiano i sistemi, crollano gli imperi (anche i loro), ma i Morrone sono vivi e lottano.
    Nel loro caso, il Gattopardo può essere un paragone insufficiente…

  • Superconsulenti sì, purché non siano calabresi: Occhiuto ora non vuole più i cervelli in fuga

    Superconsulenti sì, purché non siano calabresi: Occhiuto ora non vuole più i cervelli in fuga

    Lo scorso 18 ottobre lo stesso Roberto Occhiuto che oggi rivendica il suo «cambio di passo» lanciava, da Milano, una delle dirette a cui avrebbe poi abituato il suo pubblico social. Ancora fresco di elezione, e gigioneggiando un po’, spiegava come tutti, in quel momento, gli chiedessero notizie sull’imminente composizione della sua giunta. Il governatore/factotum della città si descriveva invece come «più impegnato» a cercare «personalità di assoluta qualità» da «coinvolgere, in ruoli chiave», nel «progetto di rilancio della Regione». Obiettivo dichiarato del suo scouting lombardo erano i «calabresi che se ne sono dovuti andare, ma che magari sognano di tornare».

    Visto che è stato lui a rispolverare il refrain della diaspora e delle eccellenze, ma senza alcuna voglia di alimentare campanilismi di cui non si sente il bisogno, vale la pena dopo 3 mesi andare a indagare il giro di nomine che si è nel frattempo innescato in quel di Germaneto. Un generatore semiautomatico di incarichi che al momento, sempre al netto della retorica calabrocentrica, non pare inquadrabile nella narrazione, cara a Roberto Occhiuto, del nativo illustre che torna nella riserva indiana a dispensare virtù e conoscenze.

    I superconsulenti in quota Bertolaso

    I botti di Capodanno, per esempio, alla Cittadella li hanno sparati reclutando due superconsulenti per nulla calabresi, ma che godono entrambi del requisito di provenire dal cerchio magico di Guido Bertolaso. Si tratta di Agostino Miozzo ed Ettore Figliolia, chiamati da Occhiuto a occuparsi rispettivamente di sanità e questioni giuridiche. A onor del vero non avranno dei supercompensi, ma del loro primo mese al servizio della causa calabrese non sembrano esserci grandi tracce. A parte qualche conferenza stampa, un paio di interviste e certamente molte videochiamate.

    Uno come Miozzo, d’altronde, nel 2019 dichiarava 213mila euro di incarichi pubblici (fonte Presidenza del Consiglio), mentre ora dalla Regione Calabria avrà 12mila euro all’anno (più rimborsi spese). A parte la sua democratica smania di «arrestare» i no-vax, per adesso l’ex coordinatore del Comitato tecnico scientifico – che Giuseppe Conte voleva nominare commissario alla sanità – ha fatto scoprire alla Calabria le magnifiche e progressive sorti della telemedicina, una cosa di cui nell’Unione Europea si parla dal 2008.

    Ma la Calabria potrà godere anche delle sue competenze in materia di «riorganizzazione del sistema regionale di emergenza urgenza». Lo stesso settore per cui Occhiuto ha annunciato un accordo con Areu (l’Agenzia che se ne occupa per la Regione Lombardia) ribadendo l’obiettivo di «importare buone pratiche senza inventarsi nulla di nuovo». A questi intenti non ha reagito benissimo la Fismu (affiliata Cisl Medici) che ha invitato il governatore a parlare con i medici e a guardare «alle esperienze che funzionano sul territorio».

    Aspettando Bortoletti

    Certamente meno rumoroso di Miozzo è Figliolia, che dopo anni in servizio all’Avvocatura dello Stato, e con una lunga sfilza di incarichi governativi alle spalle, ora si occuperà di «temi giuridici riguardanti l’azione di governo» della Regione Calabria. Tante volte in questi anni, in effetti, la Regione ha ingaggiato contenziosi non sempre fortunati con il governo nazionale, ma questi quasi sempre riguardano le leggi regionali che, in teoria, sarebbero di competenza del Consiglio.

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    Il colonnello dei Carabinieri, Maurizio Bortoletti

    Uno che ci servirebbe come il pane, nel pieno delle sue funzioni, sarebbe invece il subcommissario alla sanità Maurizio Bortoletti. Colonnello/manager che ha risanato un buco enorme nella sanità campana, è stato nominato per affiancare Occhiuto a metà novembre. Ma ancora oggi non è operativo per via di un braccio di ferro con l’Arma dei carabinieri dovuto alla procedura per il suo “distacco”.

    Alla comunicazione pensa Forza Italia

    Vabbè: lasciando da parte i nomi altisonanti e le consulenze in remoto, ci sono comunque anche altri esterni, meno noti ma rigorosamente non calabresi, chiamati in questi mesi alla corte di Occhiuto. Il suo portavoce, per esempio, dal 16 novembre – ma lo aveva seguito già in campagna elettorale – è il messinese Fabrizio Augimeri. Giornalista professionista, già portavoce di Mariastella Gelmini, consigliere per la comunicazione di Renato Brunetta e capo ufficio stampa del gruppo di Forza Italia alla Camera, ha – oltre ai rimborsi spese per le missioni – un trattamento economico pari a quello di un dirigente di settore della Giunta regionale di fascia A.

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    Fabrizio Augimeri quando era portavoce di Mariastella Gelmini

    Ma evidentemente lui non basta, perché ad occuparsi di comunicazione istituzionale il presidente della Regione ha chiamato anche un’altra «esperta esterna»: Veronica Rigoni, «in possesso di alta qualificazione professionale», già consigliere comunale a Creazzo (Vicenza) e responsabile della comunicazione dei giovani di Forza Italia. Neanche lei calabrese, e da quanto risulta nemmeno iscritta all’albo dei giornalisti, avrà un compenso di 36mila euro per un anno.

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    Silvio Berlusconi e Veronica Rigoni, ex consigliere comunale in provincia di Vicenza e responsabile comunicazione giovani FI

    La rivoluzione di Roberto Occhiuto può aspettare

    Pure guardando ai dirigenti autoctoni, però, non sembra che sulla Cittadella si sia abbattuta quella rivoluzione burocratica che era stata annunciata. A fronte di due nuovi direttori generaliIole Fantozzi alla Sanità e Claudio Moroni alle Infrastrutture – altri due – Filippo De Cello al Bilancio e Maurizio Nicolai alla Programmazione comunitaria – sono rimasti dov’erano.

    L’arrivo di Fantozzi alla Salute ha suscitato malumori dentro e fuori il palazzo. Ma ancora più perplessità ha sollevato la conferma di Nicolai. È il manager protagonista, in negativo, del blocco dei 69 milioni di euro per cui Roberto Occhiuto è dovuto andare fino a Bruxelles. Ed è anche un politico: si era candidato con Forza Italia alle Regionali del 2020 prendendo, nel collegio di Cosenza, 3.279 voti.

    Fatte salve alcune indubitabili competenze, alla fine è pur sempre la politica che sponsorizza superconsulenti e incaricati di partito. Chiamati da fuori, alla faccia dei «calabresi che se ne sono dovuti andare», a colonizzare una regione già tradizionalmente terra di conquista che, per ora, non è proprio quella «che l’Italia non si aspetta».