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  • Co.co.co. alla Regione: la grande abbuffata

    Co.co.co. alla Regione: la grande abbuffata

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    La spesa per il personale (gli ormai arcinoti contratti Co.co.co.) dei gruppi politici in Consiglio alla Regione Calabria nella dodicesima legislatura è pari a 1.388.574,01 euro, in aumento rispetto alla precedente. Sono 44.792,71 gli euro annuali a consigliere regionale per stipulare i contratti previsti dalla legge regionale 13 del 2002.
    Una normativa molto chiara che rimarca nel suo articolo 5 il divieto di finanziamento, anche indiretto, ai partiti e, quindi, a finalità estranee a quelle dei Gruppi.

    Regione Calabria, più Co.co.co. per tutti

    Peccato che tra i vari beneficiari di questi compensi pubblici vi siano parecchi con un curriculum quantomeno inconsueto per qualsiasi ipotetica attività di supporto ai gruppi consiliari (fisioterapisti, babysitter, modelle, commessi, braccianti agricoli, ecc.). Oppure che figurino persone che con “il contrattino” vengono fidelizzate, come amministratori locali ed esponenti vecchi e nuovi dei partiti politici. O, ancora, grandi elettori che vengono così “ringraziati” per l’apporto offerto in campagna elettorale. Una distorsione se si pensa che non sono chiare le mansioni che questi “collaboratori” svolgano effettivamente. Né gli orari di lavoro. Né, addirittura, se mai abbiano messo o metteranno piede nelle istituzioni regionali che li stanno retribuendo.

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    La sede del Consiglio regionale

    Se fino a due anni fa quello dei Co.co.co. si poteva definire un circo, ora possiamo affermare che l’erogazione quasi selvaggia di questi compensi pubblici arrivi a “beneficare”, come si suol dire, cani e porci. E nessuna forza politica è esente, inclusi gli “ex anti-sistema” di Dema e il M5S. Come vedremo, tra i 155 contratti di collaborazione c’è anche la loro firma.

    Udc: Unione dei Co.co.co.

    L’Udc di Giuseppe Graziano è divenuta negli anni scorsi un caso paradigmatico noto a livello nazionale in merito a questi contratti di collaborazione, soprattutto per l’assunzione di una proprietaria di un hotel di Rossano che nel curriculum pubblicato sul sito del Consiglio regionale vantava di aver vinto un abbonamento a Topolino per un anno per aver vinto un concorso di disegno all’età di sei anni. In quello scandalo, finito a Le Iene, c’era anche un parrucchiere di Belvedere Marittimo, Giuliano Stumbo, oggi riconfermato nel suo contratto di collaborazione. Riceverà 2.204 euro lordi totali fino a fine luglio.

    Giuseppe Graziano (foto Alfonso Bombini/ICalabresi)

    Presente anche il consulente immobiliare di Corigliano-Rossano, Gianfranco Gallo, che per lo stesso lasso temporale guadagnerà 2.432 euro lordi; stessa somma per Giovanni De Simone, ex consigliere e assessore comunale di Rossano, oggi vicecoordinatore Udc cittadino e per il consigliere comunale di Corigliano-Rossano, Alfonso Pietro Caravetta. Saranno 2.420 euro, invece, per lo studente di economia (a Perugia) Gianni Beschin.

    Lega sprecona

    Lo scorso ottobre il commissario regionale della Lega, Giacomo Saccomanno, rivendicava pubblicamente il «modello virtuoso di gestione del gruppo consiliare che ha lasciato il segno nella politica di palazzo Campanella» operato dal suo partito che ha risparmiato 110mila euro di spese dei gruppi consiliari. Ora la rotta pare essersi invertita, dato che, oltre all’incetta di portaborse, sono presenti pure i “contrattini” leghisti.
    In quota Simona Loizzo, troviamo il neodiplomato perito informatico Francesco Bartolomeo, che nel curriculum pubblicato precisa di essere “iscritto alle liste di collocamento della Provincia di Cosenza”. Una mera opera di bene? Non proprio, perché è figlio dello storico consigliere comunale e provinciale di Cosenza (Udeur, poi Pdl) Roberto Bartolomeo. Il figlio prenderà un compenso pari a 13.230 euro lordi per una collaborazione fino a fine dicembre.

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    Il consigliere regionale della Lega, Simona Loizzo (foto Alfonso Bombini)

    Della stessa durata, ma con un compenso pari a 6.737 euro lordi ciascuno, tornano in quota Lega gli ex autisti dell’ex presidente f.f. della Regione Nino Spirlì, Luca Bongiovanni e Vincenzo D’Agostino.
    In quota Pietro Raso è presente il leghista lametino Giuseppe Antonio Folino, che avrà un compenso di 4.788 euro lordi per una collaborazione fino a fine agosto.

    Alla militante Angela Isabella andranno invece 6.070 euro lordi per una collaborazione fino a fine dicembre.
    Presenti anche gli “amici” del presidente del Consiglio regionale, Filippo Mancuso. Riceverà 2.869 euro lordi per una collaborazione fino a fine luglio, Maria Madia, moglie di Rosario Marziale, portaborse in carica dello stesso Mancuso, mentre per una collaborazione fino alla fine di dicembre, il giovane presidente del consiglio comunale di Cropani, Dario Mercurio, riceverà 8.395 euro lordi.

    Regione Calabria e Co.co.co: l’ipocrisia a 5 stelle

    L’attuale capogruppo regionale del M5S, Davide Tavernise nel maggio del 2018 (all’epoca era consigliere comunale di Crosia), presentò la proposta di legge “taglia privilegi” unitamente ai parlamentari Alessandro Melicchio, Riccardo Tucci e Federica Dieni cui seguì una raccolta di migliaia di firme. Veniva proposto proprio il taglio delle spese per i gruppi consiliari. Oggi, da capogruppo in Regione, oltre ad essere colui che ha completato per primo la “maxi struttura” con ben 8 portaborse, autisti inclusi, è anche il primo grillino ad aprire la stagione dello spreco con i Co.co.co., nel silenzio imbarazzato del partito.

    Tra i “selezionati” ci sono gli ex candidati alle elezioni regionali del 2020, Guglielmo Minervino, che avrà un compenso di 1.800 euro lordi fino a fine maggio, e Valentina Pastena (attualmente candidata consigliera a Lungro con la lista “Rinascita” a sostegno di Carmine Ferraro), con un compenso di 3.600 euro lordi per una collaborazione fino a fine agosto. Oltre a loro, è presente l’ex collega bagnino di Tavernise al Futura Club Itaca Nausicaa di Corigliano Rossano, Emilio Capristo di Mirto Crosia, che avrà anch’esso un compenso di 3.600 euro lordi per una collaborazione fino alla fine di agosto. Non è la prima volta che Tavernise assume ex colleghi. Tra i portaborse, difatti, c’è Patrizia Pace, anch’essa di Mirto Crosia ed ex collega nel medesimo villaggio vacanze.

    Davide Tavernise (M5S)

    Stessa somma, sempre per collaborare fino alla fine di agosto, andrà a Marco Lucio Pace, “aiuto casaro” al caseificio Fazio di Crosia. Nel suo curriculum, tra le competenze, ci sono il “taglio, porzionatura e confezionamento dei prodotti” e la “gestione delle operazioni di detersione e sanificazione di superfici”. Chissà se quest’ultima skill sarà utile a pulire anche la coscienza politica di Tavernise e del M5S, rispetto alle plateali promesse pre-palazzo sul taglio dei costi della politica.

    Il solito Pd

    Fiumi di collaborazioni anche in casa dem. Giovanni Brindisi, ex portaborse di Giuseppe Aieta, otterrà un compenso di 4.063 euro lordi per una collaborazione fino alla fine di settembre, mentre Antonio Vincenzo Leotta, già portaborse del consigliere regionale Mimmetto Battaglia del Pd, riceverà 3.028 euro lordi per una collaborazione fino a fine luglio.
    Presente anche Gianmaria Molinari, figlio di Antonio, per anni direttore generale della Provincia di Cosenza con Mario Oliverio e poi capo di gabinetto di Mario Occhiuto a Palazzo dei Bruzi. È stato portaborse del capogruppo del Pd Mimmo Bevacqua l’anno scorso e ora prenderà 7.590 euro lordi per una collaborazione fino alla fine di settembre.

    A Giuseppe Ciancio, componente dell’assemblea provinciale del Pd di Vibo e figlio dell’ex sindaco di Sant’Onofrio, Franco, andranno 5.332 euro lordi per una collaborazione fino a fine dicembre. Poi c’è l’ex sindacalista della Cgil, Giovambattista Paola di Gizzeria. Avrà, in quota Raffaele Mammoliti, 6.389 euro lordi per una collaborazione fino alla fine di dicembre.
    Per lo stesso periodo e sempre in quota Mammoliti entra il fisioterapista di Strongoli, Ercole Caligiuri, con un compenso di 5.314 euro lordi. Spicca anche Piero Corigliano, figlio di Pepè Corigliano, storico esponente del Pd di Rocca Di Neto ed esponente della Fondazione Enrico Berlinguer di Crotone. Per il rampollo 4.542 euro lordi di compensi pubblici per una collaborazione fino alla fine di settembre.

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    Un santino elettorale di Raffaele Mammoliti

    Presente anche Giuseppe Dell’Aquila, ex portaborse dell’assessora regionale al lavoro dell’era Oliverio, Federica Roccisano, nonché ex Presidente f.f. della Provincia di Crotone e oggi consigliere provinciale del Pd e consigliere comunale a Cirò Marina, in lizza per diventare a breve vicesindaco di Cirò (sul punto ci ritorneremo). Per lui 6.813 euro lordi, fino alla fine di dicembre.
    Riceverà 2.482 euro lordi, invece, Rosario Frosina, già portaborse del portavoce dell’allora presidente del Consiglio regionale Nicola Irto, per una collaborazione fino alla fine di luglio.

    Non manca più nessuno…

    Nell’elenco dei “contrattini” sono presenti anche esponenti di Coraggio Italia. Toccheranno 3.402 euro lordi per una collaborazione fino alla fine di agosto al presidente del Consiglio comunale di Sant’Onofrio e studente Unical, Giuseppe Alibranti. Stessa cifra per lo stesso periodo a Sara Lucia Borello, già titolare del Winner Bar di Serra San Bruno e moglie dell’ex assessore comunale Cosimo Polito. Idem per il campione di Judo vibonese, Bruno Giovanni Carè, espressione dei giovani del Partito.
    Presente anche Francesco Maria Meduri, responsabile regionale organizzazione di Coraggio Italia. Percepirà un compenso di 3.251 euro lordi per una collaborazione fino alla fine di settembre.

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    Antonio Lo Schiavo

    Con il consigliere regionale di De Magistris Presidente, Antonio Lo Schiavo, vengono contrattualizzati in due. La prima è Valentina Carmen Ferraro, con un compenso di 3.000 euro lordi fino a fine luglio, figlia dell’ex sindaco di Rombiolo, Mario Ferraro e cugina dell’ex consigliere regionale Antonio Billari. Il secondo è Cosimo Silipo, figlio della consigliera comunale di Vibo Valentia, Loredana Pilegi e del professore ordinario dell’Unical, Damiano Silipo. Per lui 3.250 euro lordi fino a fine luglio.

    Regione Calabria, il centrodestra e i Co.co.co.

    Non sono esenti nemmeno Fdi, Forza Italia, Forza Azzurri. Insomma, ci sono tutti. In quota Fratelli D’Italia, 5.528 euro lordi per una collaborazione fino a fine luglio andranno a Nicola Caruso, esponente cosentino di Gioventù nazionale, 2.648 euro lordi al consigliere comunale di Lamezia Terme, Antonio Lorena, 2.456 euro lordi alla vicesindaca di Casali del Manco, Federica Paura e 3.857 euro per l’assessora comunale di Simeri Crichi, Caterina Zangari.

    In quota Fi, con un compenso di 4.232 euro lordi fino alla fine di luglio, è stata contrattualizzata Regina Chinigò. È la moglie dell’ex consigliere comunale e provinciale di Forza Italia, Giuseppe Eraclini, indagato nell’ambito dell’inchiesta recente sui brogli elettorali a Reggio Calabria. La figlia Stefania, anch’essa già consigliera comunale, è attualmente portaborse della vicepresidente della Giunta, Giusy Princi.
    Al consigliere comunale di Lamezia Terme, Matteo Folino, invece, andranno 1.837 euro lordi. Per lui una collaborazione fino a fine luglio.

    Qualcuno sembrerebbe averlo piazzato anche il presidente Roberto Occhiuto. Massimo Bozzo, ad esempio, amico di vecchia data ed ex consigliere ed assessore a Cosenza quando era sindaco il fratello del governatore. Oppure il sempreverde Mario Campanella, ex gentiliano Docg, votatosi alla causa dei fratelli forzisti e della compianta Santelli negli ultimi anni (con relativi incarichi al Comune e in Regione). Il primo prenderà 5.104 euro fino a luglio. Molto più ricco il piatto per il secondo: 14.089 euro fino al 31 dicembre.

    I più bizzarri

    Sfogliando i vari curriculum rileviamo, infine, che andranno:

    • 3.795 euro lordi ad Anna Maria Pia Ardito, insegnante di Yoga reggina e aspirante osteopata;
    • 2.574 euro lordi alla docente di musica di Rende, Rosa Audia;
    • 3028 euro lordi al bracciante agricolo (che tra le esperienze lavorative inserisce la “raccolta di mele”) Giuseppe Carbone;
    • 3.600 euro lordi alla baby sitter di Corigliano-Rossano, Bina Cariati;
    • 2.432 euro lordi al tabaccaio di Spezzano Albanese, Damiano Carnevale;
    • 5.411 euro lordi alla O.s.s. lametina Teresa De Fazio;
    • 3.000 euro lordi al cameriere di Tropea, Gaetano Navarra;
    • 2.730 euro lordi all’estetista di Locri, Caterina Palamara;
    • 5.965 euro lordi alla logopedista crotonese Roberta Pignolo;
    • 2.730 euro lordi alla wedding planner catanzarese Valentina Maiolo;
    • stessa cifra per la lametina Cinzia Fabiano, già responsabile gastronimica di “Crudo e Cotto” e cassiera della Conad.
    • 2.947 euro lordi andranno a Gaetana Miduri, collaboratrice della ditta Pilò s.r.l., che ha l’appalto delle pulizie del Consiglio regionale.

    Dulcis in fundo, 2.279 euro lordi al giovane catanzarese, classe 2000, Dino Fera. Nel suo profilo Facebook scrive: “lavora presso…nel letto”. Insomma, lo spreco è servito.

     

     

  • Termovalorizzatore: la Danimarca fa marcia indietro, la Regione Calabria vuole raddoppiarlo

    Termovalorizzatore: la Danimarca fa marcia indietro, la Regione Calabria vuole raddoppiarlo

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    Lo scorso 10 maggio, il presidente della Regione Roberto Occhiuto e i rappresentanti della città metropolitana di Reggio Calabria si sono riuniti alla Cittadella per parlare del raddoppio e l’ammodernamento dell’unico termovalorizzatore di Gioia Tauro.
    Due ore d’incontro, per accordarsi sull’essere in disaccordo.
    Un intervento che la Regione ha voluto inserire nel nuovo piano rifiuti, per liberarsi dalla dipendenza dalle discariche ed evitare accumuli di rifiuti prima della stagione estiva, oltre che per migliorare l’impatto ambientale della struttura.

    Gli amministratori e le comunità della Piana non ne vogliono sapere. «Serve una politica seria, nero su bianco, che ponga come ultima fase la chiusura degli impianti di termovalorizzazione. Se ti dai questo obiettivo, diventi credibile» ci dice, polemico, Aldo Alessio, sindaco di Gioia Tauro, che era presente all’incontro. Qualche giorno prima, il 7 maggio, nella città c’è stata una prima manifestazione di protesta.

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    L’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria

    Il territorio di Gioia è particolarmente sensibile al tema della salute. Nel 2018, uno studio dell’Asp di Reggio insieme ad Arpacal e all’Irccs di Bari ha attestato un tasso più alto di incidenza e di mortalità per le neoplasie polmonari nella città e, in generale, nell’area tirrenica. Se non è possibile collegarlo direttamente all’impianto, è vero che la zona della Piana presenta più siti ambientali a rischio.
    Gli impianti di nuova generazione danno più garanzie, da questo punto di vista. Ma rimangono tanti dubbi sulle emissioni e sul ruolo che possono avere nel compromettere lo sviluppo della raccolta differenziata sul territorio.

    Gioia Tauro, un termovalorizzatore a mezzo servizio

    La gestione dell’impianto è la croce più grande che la città si è dovuta caricare sulle spalle, secondo il sindaco Alessio: «Non sono state fatte a dovere né le manutenzioni ordinarie né le straordinarie. E ora ci raccontano la barzelletta che con le nuove misure dovrebbe andare tutto bene. Perché dovrei credergli?». Le due linee che lo costituiscono sono ormai obsolete, sorpassate dagli impianti di nuova generazione, che permettono un controllo più stretto su cosa si brucia, e di inquinare meno.

    A confermare il quadro tragico del termovalorizzatore in contrada Cicerna è un documento tecnico del dipartimento regionale Ambiente che è stato allegato alla manifestazione d’interesse per il project financing. Il documento parla di «continui fermi d’impianto» e di una produzione bassa. Le linee inceneriscono «quantitativi molto inferiori rispetto alla potenzialità autorizzata», che si attesta sulle 120mila tonnellate ogni anno.

    Alessio non si fida più delle promesse: «Ci stanno raccontando delle favole. E le favole sono tutte belle. Anche 22 anni fa, quando sono state costruite la prima e la seconda linea, la favola era che non avremmo respirato sostanze nocive. E che avremmo avuto il teleriscaldamento. Ormai nessuno ne parla più».
    La gestione dell’impianto attuale non è mai stata chiara. «Non c’è mai stata una gara pubblica con un assegnamento definitivo. La Regione l’ha consegnata ai privati. Rimaniamo nella transitorietà: le cose funzionano così in Calabria. E non fa scandalo, qui è tutto normale».

    I nuovi impianti abbattono i rischi per la salute

    Secondo molti studi sul tema, le nuove tecnologie permettono di ridurre significativamente sia le emissioni che i rischi per la salute, legati soprattutto agli impianti obsoleti ancora in funzione.
    La pericolosità degli inquinanti per i cittadini è forse il tema che sta più a cuore alla comunità di Gioia Tauro. Come accennato all’inizio, da tempo si denuncia un aumento dell’incidenza e della mortalità di alcuni tipi di tumore. È complicato, però, trovarne le cause profonde.

    Gli impianti di nuova generazione, da questo punto di vista, potrebbero essere un grande passo in avanti. Come si legge nel libro bianco italiano sull’incenerimento dei rifiuti, pubblicato nel 2021, «è scientificamente riconosciuto che le preoccupazioni sui potenziali effetti sulla salute degli inceneritori riconducibili a inquinanti potenzialmente presenti nelle emissioni, quali metalli pesanti, diossine e furani, sono da ricondurre a impianti di vecchia generazione e a tecniche di gestione utilizzate prima della seconda metà degli anni Novanta».

    L’ingresso del campus dell’Imperial College di Londra

    Una conclusione simile a quella di Anna Hansell, scienziata dell’Imperial College di Londra. In una ricerca, la professoressa non aveva escluso del tutto che i nuovi impianti possano avere delle conseguenze sulla salute (un’affermazione che sarebbe comunque difficile da verificare, a livello scientifico), ma «gli inceneritori moderni e ben regolamentati possono avere un piccolo, se non addirittura impercettibile, impatto sulle persone che vivono nelle loro vicinanze».

    I dubbi sulle emissioni del termovalorizzatore di Gioia Tauro

    Nella visione della Regione, le nuove linee abbatterebbero anche le emissioni di anidride carbonica. Occhiuto insiste soprattutto su un dato: il raddoppio del termovalorizzatore di Gioia Tauro, secondo i calcoli effettuati dagli uffici della Regione, potrebbe abbattere le emissioni inquinanti dell’88% rispetto a quelli attuali. Questi ultimi rimarrebbero comunque in funzione, quindi è un dato da prendere con le pinze.
    Ma è vero che gli impianti di nuova generazione inquinano molto meno? La risposta breve è… .

    Ci sono tanti fattori da considerare. In primis, abbiamo un problema di metodo. Di solito, i dati contano solo le emissioni di CO₂ fossile, come quello emesso quando viene incenerita la plastica, ad esempio. Ma esiste un altro tipo, la CO₂ biogenica, che deriva da fonti naturali, come il legno. Anche questa inquina, eppure non viene conteggiata nelle statistiche: una falla che non permette di capire realmente gli impatti di questi impianti. Inoltre, è difficile quantificarne l’impatto ambientale, se non si sa cosa verrà bruciato. Anche accettando il fatto che le emissioni di anidride carbonica e altri inquinanti calino con i nuovi impianti, è vero che non esiste l’impatto zero. Queste strutture continueranno ad inquinare.

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    Gioia Tauro ha un altro problema, molto più concreto: ci vorranno anni per finire l’allargamento del termovalorizzatore. Nel frattempo, le prime due linee continueranno ad inquinare, con una produzione aumentata.
    Durante l’ultimo incontro, i sindaci della Città Metropolitana hanno portato una controproposta: dismettere le prime due linee del termovalorizzatore, quando le nuove saranno pronte. È stata bocciata.

    C’è chi ha già cambiato idea: il dietrofront della Danimarca

    Allargando lo sguardo, vediamo che la discussione sui termovalorizzatori tende a riproporsi nei contesti più vari. Negli ultimi giorni se ne sta parlando anche a Roma, dove la proposta ha un consenso decisamente più largo rispetto alla Calabria.
    Anche a livello internazionale, la pressione per la costruzione di nuovi impianti è forte. Molti stati vogliono fare in fretta, per liberarsi delle proprie discariche e aumentare la produzione di energia elettrica. Ma non mancano i ripensamenti.

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    Amager Bakke, il termovalorizzatore di Copenhagen celebre per ospitare una pista da sci

    Uno degli stati più “entusiasti” ha fatto una brusca marcia indietro. La Danimarca, infatti, è uno dei paesi europei che ha investito di più nei termovalorizzatori. 23 impianti generano il 5% dell’energia elettrica prodotta nel paese, ed un quinto del teleriscaldamento.
    I danesi, però, non producono abbastanza rifiuti da tenere in funzione le centrali. Ed è qui che si genera il paradosso: la Danimarca è costretta ad importare i rifiuti dall’estero, spingendo la produzione più in alto possibile e compromettendo i propri obiettivi climatici.

    Se il termovalorizzatore inquina di più: il caso del Regno Unito

    Come ha raccontato nel 2020 a Politico il ministro danese per il Clima Dan Jørgensen: «Importiamo rifiuti ad alto contenuto di plastica per utilizzare l’energia in eccesso generata dagli impianti. Il risultato è un aumento delle emissioni di CO₂».
    Per questi motivi, il governo danese ha invertito la rotta. Nel prossimo decennio, verranno chiusi 7 inceneritori (su un totale di 23). Inoltre, la capacità di incenerimento dovrà scendere almeno del 30%. L’alternativa di lungo periodo è di puntare sul rafforzamento della raccolta differenziata.

    Può anche succedere di scoprire dopo anni che gli impianti che utilizzi siano più inquinanti di quello che pensi. È quello che è successo in Regno Unito.
    Secondo un report della società di consulenza Eunomia per ClientEarth, la produzione di energia dai termovalorizzatori inglesi è più inquinante di quella creata utilizzando il gas. Insomma, servirà un monitoraggio molto preciso, se vogliamo misurarne gli effetti sull’ambiente.

    Il colpo di grazia alla raccolta differenziata?

    Il problema più grosso è che i termovalorizzatori diventano un grosso ostacolo per la raccolta differenziata e, in generale, per l’idea dell’economia circolare.
    Una volta creato un impianto, bisogna tenerlo in funzione. È difficile che venga dismesso dopo pochi anni.
    Di solito, sono progettati per rimanere in attività per almeno 20 anni, e ci sono dei contratti da rispettare. Le scelte degli amministratori rischierebbero di essere vincolate al mantenimento degli impianti, e non agli obiettivi ambientali. Esattamente com’è successo in Danimarca.

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    L’ultima emergenza rifiuti nel centro storico di Cosenza (foto Alfonso Bombini)

    Sappiamo, inoltre, che le alternative sono poche: dobbiamo ridurre la produzione di rifiuti. Per rispettare gli impegni degli accordi di Parigi, in Italia bisognerà riciclare almeno il 55% dei rifiuti urbani entro il 2025, e il 65% dei rifiuti da imballaggio. Percentuali che hanno soglie più alte per i 10 anni a venire.
    In questo ambito, la Calabria è molto indietro. Tra le Regioni d’Italia, è la penultima per raccolta differenziata. Una percentuale intorno al 50%. E pensare che l’obiettivo regionale per il 2012 era quello di raggiungere il 65%.
    Sarà fondamentale investire bene i fondi europei, per creare degli impianti che ci permettano di rispettare i nostri obiettivi. Sul termovalorizzatore si può anche discutere, ma non c’è alternativa al riciclo.

  • Jovanotti, la Calabria ha il suo nuovo eroe del turismo

    Jovanotti, la Calabria ha il suo nuovo eroe del turismo

    E va bene. Dopo il bruciante flop di Muccino e Bova, ci voleva una ventata di novità e ottimismo, la freschezza di facce allegre e un bel ritmo pop. Adesso è il turno di Jovanotti. E anche da lui ci si aspetta l’exploit. Allora i fatti: Jovanotti dopo il successo superpopolare dei recenti happening dello Jova Beach Party la nuova Film Commission della Calabria – spericolatamente affidata non ad un esperto di cinema, ma al couturier Anton Giulio Grande – debutta con uno spottone che dovrebbe fare marketing territoriale per la collezione Calabria Spring-Summer 2022.

    Jovanotti e la Calabria meravigliosa

    Gli ingredienti, ça va sans dire, sono i soliti: bellezze da cartolina, di cui la Calabria, nonostante lo scempio ubiquitario che è sempre meglio nascondere, non è certo avara, e poi il profluvio di elogi sperticati da turista per caso, che Jovanotti dai social ha abilmente provveduto a distribuire, appunto, a casaccio: dichiarazioni di costernante banalità tipo «La Calabria è una terra meravigliosa», «Io sono un grande fan della Calabria», o ancora «Amo questo posto (Scilla, ndr)» (pur avendolo visto solo per la prima volta). In una diretta social, affacciandosi dal balcone della sua stanza sul porto di Scilla, dice: «Questo posto lascia senza fiato, è bellissimo».

    Svela il cantante toscano che sosterà ancora in Calabria, «in un altro paese meraviglioso», per continuare le riprese del video. «La Calabria è una terra bellissima – racconta – venendo in macchina dall’aeroporto di Lamezia Terme, ho visto un paesaggio bellissimo». E giù luoghi comuni à gogo: «Voglio far vedere a chi mi segue che meraviglia è questo posto, lascia senza fiato»; «Mamma mia ma è fantastico qua! Non c’ero mai stato!».

    Scilla, Gerace e i borghi

    E, ancora, una sequela di post con immagini patinate e molto instagrammabili da diverse “località iconiche della nostra amata regione”. Mentre, sottolineano i social in tripudio, “cresce, intanto, la curiosità per vederlo online”. Un attimo dopo, come un sol uomo, anche le testate televisive, insieme ai giornali di carta e i media digitali diffusi in Calabria, rimarcano “la scoperta della grande bellezza calabrese” testé fatta della famosa pop star: “Jovanotti ha raccontato attraverso i suoi profili social Scilla e Gerace, le coste e la granita, il mare e i borghi(borghi, non paesi).

    Lui stesso spiega perché ha scelto la Calabria: «Il video aveva bisogno di un’ambientazione festosa perché la canzone è un brindisi e un augurio, sono in Calabria a girare il video di Alla Salute, una canzone che è un augurio e una festa. Stamattina abbiamo girato a Scilla #chianalea un posto bellissimo, un gioiello. L’affetto di tutti mi sorprende sempre, grazie #scilla. Ora ci siamo spostati a Gerace per altre scene. Luoghi incredibilmente belli. Sono un fan della Calabria, verrà un bel video, il regista è Giacomo Triglia, calabrese (l’ho “rubato” a Dario Brunori, altro calabrese doc). Ringrazio moltissimo tutti qui, per il supporto che ci state dando e per l’accoglienza generosa e piena di affetto. Grazie! avanti tutta!».

    La Calabria Film Commission e Jovanotti

    Dopo un po’ gli fa eco la suadente dichiarazione resa in occasione dalla conferenza stampa della Calabria Film Commission del suo nuovo presidente fresco di nomina, lo stilista di moda Grande: «Dove sorge il bello c’è la Calabria, la musica, il cinema, così il videoclip di Jovanotti è il primo importante passo del nostro progetto e del nostro percorso. Scegliamo la sua musica per promuovere le nostre location, così da creare interesse e veicolare immagini cult dei nostri spazi migliori».

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    Orsomarso, Jovanotti e Grande durante la conferenza stampa

    Dal couturier delle dive non ci si poteva certo aspettare La corazzata Potëmkin. Così debutta ufficialmente l’idea che i paesaggi “animati” di questa regione possano funzionare da spazi di posa («i nostri spazi migliori»). E fungere così da fondali ideali per la messa in scena di una eterna e festosa rappresentazione folklorica della vita quotidiana dei suoi abitanti, astoricamente chiamati a vestire i panni di figuranti di una specie di carnevale dei buoni sentimenti in cui tutto è felice, ospitale, autentico, in cui è facile e facilitato riprodurre “il bello, la musica, il cinema, i videoclip”, e ogni zuccherosa riduzione turistica della realtà, appunto ridotta a spazio, a cosa esteticamente fungibile per scopi convenevoli. Più chiaro di così.

    Uno spot per la Regione

    Personalmente non ho proprio niente contro il mondo dello spettacolo, beninteso. Cinema, musica, pubblicità, marketing territoriale, turismo possono essere tutti strumenti utili, nella giusta misura. Quello che trovo invece abnorme è l’enfasi falsificatrice, l’abborracciata visione prospettica della realtà, la deformazione prognostica del futuro in cui tutto deve fare spettacolo e trasformarsi in finzione, attrattiva da villaggio turistico en plein air, per poter essere considerata “utile”. Una regione-trovarobato, fondale, proscenio, con paesi e comunità locali trasformate in “borghi” attrezzati come teatrini di posa di cartapesta, paesaggi buoni per essere trasformati in location pittoresche e a buon mercato per video clip, fiction improbabili, spettacoli e ricostruzioni di genere.

    Non è irrilevante che l’operazione d’immagine che ha per protagonista Jovanotti abbia ricevuto, anche in questo caso, l’approvazione preventiva dei vertici regionali. E che il video della canzone di Jovanotti sia stato sponsorizzato e finanziato anche con il denaro pubblico dei cittadini calabresi. Non ha mancato di dichiararlo lo stesso presidente Occhiuto: «Ringraziamo Jovanotti per il suo affetto, e gli auguriamo il meglio per questo suo ultimo lavoro. Da presidente della Regione, ringrazio anche la Calabria Film Commission e il suo presidente Grande che hanno seguito passo passo l’evento, sostenendo finanziariamente l’organizzazione di questa due giorni. Jovanotti in Calabria è uno straordinario spot per la nostra regione».

    Eroi e turismo

    Non so voi, ma io quando sento echeggiare sinistramente parole chiave del lessico reclamistico-creativo come “location”, “evento”, “spot” e cose come “immagini cult”, se non fosse che mi ripugnano le armi, metterei volentieri mano alla fondina. Iscrivetemi pure d’ufficio al partito della deprecata categoria (ormai usata come una clava contro ogni garbata critica al conformismo neofolk e agli eccessi imperanti del neoidentitarismo sudista) degli scoraggiatori militanti. Ma poi di cosa sareste incoraggiatori voi? Non milito da nessuna parte, e non pratico il benaltrismo, cerco solo di capire. E a me di Jovanotti, con tutto il rispetto, frega comunque molto poco, in termini relativi e assoluti.

    Piuttosto, quello che sempre mi stupisce di questo genere di trionfalistiche quanto deludenti campagne d’immagine basate su facce televisive conosciute, testimonial d’occasione, vipperia modaiola, artistoidi o personaggi veri o presunti, tutti lautamente compensati per portarsi a rimorchio l’immagine di una regione intera, è proprio l’investitura eroica, il ricorrente mito di fondazione che ogni volta si rinnova come un rito. Uno sproposito. Di chiunque si tratti, sono tutti sempre convocati con la sciamanica aspettativa che forniscano loro il sesamo giusto a riscattare l’immagine appannata della regione (appannata sì, ma da chi?). E tutti sono a turno vanaglioriosamente investiti della missione salvifica di “far decollare il turismo”.

    Il problema della Calabria non sono Jovanotti e Gregoraci

    Già, il Turismo. In una regione con l’economia perennemente sotto i tacchi, una società paralizzata dalle clientele e dal peso dei poteri criminali, l’ossessiva remissione alla monocultura turistica è l’autentico totem di tutti i clan politici e amministrativi, di ogni risma e colore, che in assenza di qualsiasi idea di futuro, in nome della palingenesi turistica della Calabria si avvicendano alla guida di questa regione sempre in cerca di autore. Sono loro il problema, i decisori politici di questa regione a corto di idee, non gli allegri Jovanotti e le allegre Gregoraci, chiamati a riverginare cosmeticamente l’immagine calabra per incrementare miracolosamente i flussi dei vacanzieri. I testimonial, i vip che saltano fuori a turno dal goffo cilindro creativo delle ricorrenze calabre, tutti più o meno incongruamente prescelti per rivestire il ruolo in commedia dei facilitatori dell’irrilevante marketing territorial-turistico calabro, passano e passeranno. Le immagini scorrono, cambiano i figuranti.

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    Elisabetta Gregoraci e Roberto Occhiuto alla Bit di Milano

    La Calabria vera invece somiglia ad una giostra a perdere, che tra riflussi, abbandoni e ripartenze, appare ormai come un edificio più fragile e malfermo di un castello di carte. Le maggioranze silenziose, i gruppi d’affari che mettono le mani sui soldi veri, e che dispongono delle risorse e del futuro dei calabresi, no. Loro restano saldi e granitici, non cambiano se non cambiamo noi. Mentre capita sempre più spesso che tutto quello che distrae e fa scena viene sempre preso così enormemente sul serio. Persino una canzoncina di Jovanotti, che gira un videoclip ruffiano dalle parti di Scilla.

  • Il Pd chiede un consiglio regionale con il vescovo Savino

    Il Pd chiede un consiglio regionale con il vescovo Savino

    Il capogruppo del Pd Bevacqua: «Le parole di Monsignor Savino scuotono le coscienze e devono provocare una nuova consapevolezza»

    «Le parole usate dal vescovo Francesco Savino nell’intervista rilasciata a I Calabresi scuotono le coscienze dei calabresi e devono portare la società e la politica ad interrogarsi».
    A sostenerlo è il capogruppo del Pd in Consiglio regionale Domenico Bevacqua. «Come non dare ragione al presule di Cassano quando identifica la Calabria, come la Regione dalle belle possibilità che restano sempre inespresse, quando si interroga sul ruolo della massonerie deviate, sul rapporto tra Istituzioni e politica, sulla libertà del voto o sulle logiche che fin qui hanno strangolato la sanità mettendo a repentaglio lo stesso diritto alla salute dei cittadini?».

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    Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Jonio

    «Ma la critica di Monsignor Savino è ancora più apprezzabile – spiega Bevacqua – perché non si ferma soltanto alla parte distruttiva e all’elenco delle tante piaghe che affliggono la nostra Regione, ma formula interrogativi sui quali tutti siamo chiamati a riflettere. Davanti ad uno scenario del genere – si chiede il presule – com’è possibile che il popolo calabrese non abbia la forza e il coraggio per indignarsi? E perché poi questa indignazione non trova sbocco in una proposta politica che trovi successivo consenso?».

    «Si tratta di interrogativi di non poco conto – dice ancora il presidente del gruppo dem a palazzo Campanella – che vanno alla radice dei problemi che da decenni insistono sul nostro territorio. Serve una presa di coscienza da parte della politica, dei partiti, delle associazioni e dei cittadini. Un nuovo grado di consapevolezza che sappia provocare indignazione e la sappia poi incanalare in azioni e proposte in grado di elaborare soluzioni e scardinare gli apparati di potere e tutte le incrostazioni di cui parla Savino».

    «Non è certo un percorso facile – conclude Domenico Bevacqua – ma deve essere intrapreso senza alcun tipo di titubanza. È l’unica strada per provare a cambiare davvero le cose e fare in modo che Istituzioni, partiti e cittadini tornino a confrontarsi e reinventino luoghi di elaborazione politica. Come capogruppo del Pd sento il dovere di inviare un ringraziamento a Monsignor Savino e come partito faremo in modo di avviare fin da subito un percorso di riflessione sui tanti spunti che ha fornito a tutta la Calabria. Intanto, alla prossima Conferenza dei capigruppo chiederò che si convochi una seduta di Consiglio ad hoc invitando Monsignor Savino a prendere parte ai lavori».

  • Bruno Gualtieri e la multiutility: il commissario regionale che ce l’aveva con la Regione

    Bruno Gualtieri e la multiutility: il commissario regionale che ce l’aveva con la Regione

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    Dopo aver consolidato i pieni poteri in sanità e deminolizzato la Film Commission, Roberto Occhiuto ha portato a casa anche il risultato dell’agognata multiutility. La nuova Autorità regionale acqua-rifiuti è stata affidata, per ora, a un commissario straordinario. Scelto non certo con gli stessi criteri adottati per la nomina del supertecnico Mauro Dolce in Giunta e dei superconsulenti in quota Bertolaso Agostino Miozzo ed Ettore Figliolia.

    Il commissario Gualtieri

    Occhiuto aveva annunciato un tecnico calabrese e, in barba ai nuovismi a cui lui stesso ci aveva abituato, stavolta ha optato per un usato sicuro. Si tratta di Bruno Gualtieri, volto ben noto in Regione che, a quanto si apprende, si dovrà occupare prevalentemente di rifiuti, almeno per qualche mese, con l’obiettivo dichiarato di evitare di ritrovarsi di nuovo con la spazzatura per strada in estate. E con quello, meno ostentato, di mettere uno sull’altro più mattoncini possibile per il raddoppio del termovalorizzatore e la realizzazione del rigassificatore, entrambi a Gioia Tauro.

    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Pare che a breve arrivi la nomina anche di un direttore generale che, nelle intenzioni di Occhiuto, si orienterà più verso il servizio idrico e l’affidamento al soggetto gestore – sarebbe in dirittura d’arrivo la trattativa per acquisire le azioni di Sorical – da chiudere entro il 30 giugno per non perdere fondi Ue. Le due figure – commissario e dg – probabilmente dunque coesisteranno per qualche tempo. E il commissario si sostituirà agli altri organi (Consiglio direttivo dei sindaci e revisori dei conti) quando sarà necessario. Fino alla loro costituzione, però, resterà in carica Gualtieri.

    L’Ato di Catanzaro e gli altri incarichi

    Ma chi è il superburocrate a cui il Duca Conte ha dato le chiavi della Megaditta acqua-rifiuti? Partiamo dall’incarico più recente, quello di dirigente del settore Igiene ambientale del Comune capoluogo e di direttore dell’Ato di Catanzaro. Si tratta dell’Ambito territoriale che in Calabria ha fatto più passi avanti verso una gestione virtuosa del ciclo dei rifiuti, ma nei corridoi della Cittadella qualche maligno mormora che il compito di Gualtieri non sia stato poi così difficile, visto che nel Catanzarese si è ritrovato con gli impianti di Alli e Lamezia funzionanti e con ancora spazio a disposizione nella discarica lametina.

    Ma Gualtieri è stato lontano dalla Regione solo per qualche anno. Ha infatti cominciato a bazzicare quegli uffici già nel 1995. Ingegnere, dopo la gavetta degli anni ’80 nell’Ufficio tecnico del suo paese, San Lorenzo, e nelle Commissioni edilizie di altri Comuni della provincia di Reggio, e dopo aver fatto il docente nelle scuole superiori, è stato membro della Commissione urbanistica regionale e poi dell’Autorità regionale ambientale. Quindi consulente dell’Assessorato regionale all’Ambiente dal ‘96 al ‘99 (giunte Nisticò-Caligiuri di centrodestra e Meduri di centrosinistra) e poi dirigente di diversi settori regionali dal 2001 al 2004, nonché del dipartimento Lavori Pubblici fino al 2005.

    La discarica di Alli

    Gualtieri e quell’altro commissario

    Nel suo curriculum ci sono pure degli incarichi che hanno senza dubbio aumentato la sua esperienza. Ma i cui risultati, con gli occhi di oggi, sono piuttosto discutibili. Dal 1998 al 2005 Gualtieri è stato infatti dirigente presso l’Ufficio del Commissario delegato per l’emergenza ambientale. Un commissariamento per cui, stando alle risultanze della Commissione parlamentare di inchiesta che se n’è occupata, in 13 anni le spese sono «lievitate a ben oltre il miliardo di euro, a fronte degli insufficienti risultati ottenuti».

    Nei primi anni 2000 risulta aver coordinato molte direzioni dei lavori, effettuato collaudi e partecipato a riunioni al Ministero dell’Ambiente per conto del Commissario. Nel 2002 ha partecipato alla redazione del Piano regionale per l’individuazione definitiva delle discariche di servizio agli impianti e per la progressiva riduzione del numero di discariche di prima categoria esistenti nel territorio della regione. Tra il 2010 e il 2011 ha coordinato il Settore Tecnico dell’Ufficio del Commissario. Quanti obiettivi abbia raggiunto in queste vesti non spetta ai non addetti ai lavori stabilirlo. Però è un fatto che ancora oggi in Calabria ci si ritrovi con la metà dei rifiuti che continua ad andare in discarica. E con montagne di soldi pubblici sborsati per portarli fuori regione e addirittura fino in Svezia.

    Ni all’accentramento

    Quel che è certo è che il neo commissario dell’Authority cambierà ora linea rispetto agli ultimi anni passati all’Ato di Catanzaro. Da quella postazione ha infatti condotto una discreta “guerra” contro la Regione accentratrice, accusandola addirittura di aver adottato atti illegittimi nel «maldestro tentativo di invadere un ambito proprio degli Ato» provinciali. Lo si legge in una sua comunicazione del febbraio del 2020 relativa ad alcune disposizioni della Regione sui flussi di Css destinati al termovalorizzatore di Gioia Tauro.

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    La sede della Giunta regionale a Germaneto

    Lo stesso Ato di Catanzaro, inoltre, a dicembre del 2021 ha ottenuto dal Tar l’annullamento di un’ordinanza del presidente della Regione (risalente alla reggenza Spirlì) che voleva far portare a Lamezia gli scarti dei rifiuti prodotti da altri territori. Ora che la governance del settore è stata accentrata in un unico Ato regionale, seguendo un percorso inverso rispetto a quello rivendicato anche da Gualtieri negli ultimi anni, certi contenziosi non avranno più ragion d’essere.

    E il Gualtieri che dal centro di Catanzaro tuonava verso la Cittadella di Germaneto ora dovrà tenere a bada da commissario le rivendicazioni di tutti i territori. Soprattutto quelle che già arrivano dalla Piana: il consiglio della Città metropolitana di Reggio ha approvato due mozioni contro il raddoppio e il rigassificatore a Gioia – si paventa un ricorso alla Consulta contro la norma che ha istituito l’Authority – votate anche dal leader del centrodestra reggino Antonino Minicuci.

  • Marrazzo: «Gay in Consiglio e Giunta? Ci sono, spero facciano coming out»

    Marrazzo: «Gay in Consiglio e Giunta? Ci sono, spero facciano coming out»

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    Fabrizio Marrazzo, ingegnere, già presidente di Arcigay Roma, portavoce del Gay Center, storico attivista LGBT* oggi è anche leader del Partito Gay. La formazione politica, nata nel 2020, ha già ottenuto le prime soddisfazioni. Nell’ultima tornata amministrativa ha eletto numerosi consiglieri comunali in giro per l’Italia e ora si appresta a concorrere anche in Calabria.

    Marrazzo, come mai la nascita del Partito Gay?

    «Il “Partito Gay per i Diritti LGBT* solidale, ambientalista e liberale” nasce per dare all’Italia un partito che si occupi seriamente dei diritti delle persone LGBT. Purtroppo, come abbiamo visto anche con la bocciatura della legge contro l’omofobia, partiti che durante la campagna elettorale hanno fatto grossi spot per dire che si stracciavano le vesti per i diritti LGBT poi, in concreto, non lo fanno. Per questo c’è bisogno di un partito. Anche nella legge contro l’omofobia che è stata affossata c’erano cose che non andavano bene. L’articolo 4, ad esempio, la svuotava perché diceva che non venivano considerati autori di discriminazioni coloro che facevano affermazioni in base al proprio riferimento sociale o culturale. Si poteva, secondo quella legge, dire che i gay sono malati, senza commettere alcun reato».

    Lei parla della legge Zan. Mi pare di capire che non è molto contento dell’operato del Partito Democratico…

    «L’operato non tanto del Pd, ma di Alessandro Zan e di Monica Cirinnà. Hanno voluto rappresentare loro le istanze della comunità LGBT*, dimostrandosi purtroppo impreparati e incapaci. La stessa legge vietava la formazione contro le discriminazioni nelle scuole, cosa che noi oggi riusciamo a fare e se fosse stata approvata la legge non sarebbe stata più possibile. Se io volessi fare un corso contro la violenza sulle donne o su tematiche simili, il problema non si porrebbe, ma, con quella legge, si sarebbe posto in caso di corsi contro la violenza nei confronti delle persone LGBT*.

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    Alessandro Zan

    Siamo riusciti, però, a fare approvare il fondo contro l’omofobia grazie alla senatrice Alessandra Maiorino del M5S, che ha fatto una lotta politica all’inizio abbastanza solitaria in cui esponenti di partiti che si dicevano favorevoli alle istanze LGBT non l’hanno aiutata».

    Oggi, però, c’è una ministra per le Pari opportunità: Elena Bonetti…

    «La ministra c’è, ma ha un ruolo esecutivo e non legislativo. Non esiste una legge che tuteli le persone LGBT ad eccezione delle unioni civili. Noi abbiamo promosso un referendum per trasformare le unioni civili in matrimonio egualitario. La ministra per le Pari opportunità, se non ha l’opportunità di legiferare con una maggioranza in Parlamento per approvare leggi di contrasto alle discriminazioni, può soltanto mettere in campo le leggi che già esistono. Cioè zero. L’eccezione del citato fondo contro l’omofobia, che è un fondo limitato, non permette di fare prevenzione.

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    Elena Bonetti, titolare del dicastero per le Pari opportunità

    È un punto di inizio, ma siamo allo zero assoluto. Se domani la Bonetti andasse in Parlamento a chiedere una legge sui pari diritti alle coppie omosessuali o per fare formazione nelle scuole, non avrebbe purtroppo la maggioranza. Si è visto con la legge contro l’omofobia, che era un compromesso, fatto pure male».

    Il Partito Gay sarà presente anche alle prossime elezioni amministrative?

    «Saremo presenti in varie città grandi e piccole. Stiamo lavorando in vari territori. In alcune Regioni abbiamo già rapporti consolidati. Abbiamo decine di consiglieri, anche un assessore, in tutta Italia. Cercheremo di esserci anche in Calabria, territorio dove ci sono vari amministratori locali LGBT che per la loro carriera preferiscono non dichiararsi».

    Lo scorso autunno avevate espresso la volontà di presentarvi anche alle elezioni regionali in Calabria, ma poi non ci siete riusciti. Come mai?

    «Ci sono stati dei problemi organizzativi e delle difficoltà sul territorio. Molte persone avevano problemi a presentarsi con una lista di questo tipo, credendo che ciò comportasse un coming out familiare e lavorativo. Purtroppo è stato un elemento che in Calabria ci ha penalizzato. Siamo certi che una volta presentate le liste, come già accaduto altrove al Sud, troverà alle urne una buona parte di consenso».

    Secondo lei in Giunta e in Consiglio regionale in Calabria ci sono omosessuali?

    «Sì, ci sono sicuramente persone LGBT sia in Giunta che in Consiglio. Però, ad oggi, non sono dichiarati. Noi ci auguriamo che facciano coming out e che sia positivo per dare l’esempio e per lavorare sui diritti. Il problema è che quando ci sono nelle amministrazioni persone non dichiarate poi c’è un problema nelle attuazioni delle azioni antidiscriminatorie. E, quindi, di questi temi non se ne occupano».

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    Roberto Occhiuto con sei dei suoi sette assessori

    In Calabria nel gennaio 2019 è stata approvata all’unanimità in commissione regionale Cultura una proposta di legge contro l’omofobia, che non è stata mai portata in aula dalla maggioranza targata Pd che, di fatto, l’ha affossata. Oggi col centrodestra al potere quali speranze ci sono di vedere riesumato quel testo?

    «Sicuramente la maggioranza di centrodestra a livello nazionale ha sempre ribadito con la Lega e con Fdi l’opposizione ai diritti delle persone LGBT*. Matteo Salvini da ministro emanò il cosiddetto decreto “Padre e madre” che vieta alle coppie omosessuali con figli adottati e riconosciuti dallo Stato di poterli riconoscere anche sulla carta di identità del minore. Ha creato dei danni al minore nella vita quotidiana, ad esempio se deve viaggiare all’estero o andare in ospedale oppure se un genitore deve andarlo a prendere a scuola.

    A Pescara a seguito del Pride un ragazzo fu aggredito e gli venne rotta la mascella con una violenza inaudita. Il sindaco di Fratelli D’Italia e Giorgia Meloni diedero piena solidarietà al ragazzo, poi quando in aula in Consiglio comunale venne portata una mozione per aiutare il ragazzo a pagare le spese legali contro chi lo aveva aggredito, la maggioranza di centrodestra votò contro. Con questa maggioranza di centrodestra non si va da nessuna parte».

    La commissaria regionale di Fdi in Calabria, l’onorevole Wanda Ferro, è stata una delle sostenitrici della nascita di Arcigay a Catanzaro. Magari c’è una maggiore sensibilità su questi temi…

    «Una rondine non fa primavera. Sono persone che, anche se hanno una certa influenza nel partito, poi non riescono a concretizzare. Penso alla ministra Mara Carfagna che, nonostante si sia schierata spesso a favore delle istanze LGBT, poi in aula non è riuscita ad avere il voto favorevole della sua componente sui provvedimenti. È certamente importante avere queste presenze, ma le azioni spot non bastano.

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    Wanda Ferro

    Occorre far capire che non sono tematiche di una sola parte, sono tematiche di civiltà che tutti devono portare avanti. In Inghilterra il matrimonio egualitario è stato sostenuto dal leader di centrodestra David Cameron. Anche la Cdu di Angela Merkel votò il matrimonio egualitario in Germania. Questo lo dico al centrodestra in Calabria per far capire che questi temi devono essere trasversali. Tra i loro eletti, i loro candidati e i loro elettori ci sono persone LGBT e per questo invito a favorire la tutela e la garanzia dei diritti di tutti».

  • Occhiuto ha un amico in più, la Caporetto dell’opposizione

    Occhiuto ha un amico in più, la Caporetto dell’opposizione

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    L’opposizione in consiglio regionale sembra sia fatta della stessa sostanza di cui sono fatti i selfie. Amalia Bruni, che continua a proporsi come leader del fronte Pd-M5S, non mostra però la dimestichezza di un Matteo Salvini con la pratica dell’autoscatto e la compattezza da lei ostentata il 13 aprile si è sbriciolata appena una settimana dopo.

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    Amalia Bruni durante la campagna elettorale per le Regionali perse del 2021

    La prima Caporetto del centrosinistra non si scorda mai

    Il voto sull’Authority acqua-rifiuti voluta da Roberto Occhiuto, differito a dopo Pasqua per quelle che lo stesso governatore ha definito «imboscate regolamentari» della minoranza, si è tradotto nella Caporetto del primo scorcio di legislatura per il centrosinistra. Bruni aveva addirittura messo insieme non solo i dem e i pentastellati, ma anche i consiglieri di De Magistris, nel fronte rivoluzionario dei combattenti anti-multiutility. Solo che proprio dal M5S, ormai ipergovernista non solo a Roma, è arrivato l’appoggio che non ti aspetti – o forse sì – al provvedimento simbolo del new deal accentratore del Duca Conte.

    C’era una volta il Movimento 5 stelle

    Il fatto è noto ed è già oggetto di stupite e articolate analisi da parte degli osservatori della politica regionale. Il capogruppo grillino, Davide Tavernise, in Aula si è astenuto, mostrando qualche pudore in più rispetto al collega-portavoce-cittadino-consigliere Francesco Afflitto, che ha addirittura votato a favore. Secondo i rilievi procedurali sollevati nella seduta pre-pasquale, alla maggioranza servivano 21 voti, che avrebbe avuto già allora non fossero stati assenti in 3. Dopo gli stravizi di Pasquetta la creatura di Occhiuto si è ritrovata con 22 sostenitori.

    Un certo clamore lo ha aggiunto la circostanza che Afflitto sia anche presidente della Commissione di Vigilanza – il collega di DeMa Antonio Lo Schiavo ha minacciato di abbandonarne la vicepresidenza – ovvero l’unico organismo che, vista la funzione (teorica) di controllo «sugli atti di programmazione economico-sociale della Regione e degli enti ed aziende dalla stessa dipendenti», per prassi viene presieduto da un componente dell’opposizione. Che attualmente – alla luce degli ultimi sviluppi, ma in verità fin dal suo esordio da provvisorio presidente del Consiglio in qualità di consigliere anziano – non sembra, diciamo, esattamente un barricadero. E nemmeno un occhiuto – chissà se “occhiutiano” – censore dell’operato del centrodestra.

    Da Afflitto a Morrone

    Non è neanche questa una novità. La Vigilanza condivide con l’Antimafia la denominazione di commissione «speciale» e una scarsamente riconosciuta utilità, ma è nelle cose che per concedere la sua Presidenza all’opposizione la maggioranza in Consiglio debba scansarsi un attimo. Lo dimostrano le votazioni: Afflitto è stato eletto presidente con 8 voti a favore e 14 schede bianche. Dunque ha avuto il sostegno di Pd e M5S e anche un tacito ma evidente semaforo verde dal centrodestra a guida Occhiuto. A cui, dicono i soliti maligni, ieri avrebbe reso un favore politico magari mettendosi in condizione di riceverne qualche altro.

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    Ennio Morrone presiede la Commissione Vigilanza a Palazzo Campanella (2018)

    Roba da corridoio, certo, voci di sottobosco difficilmente dimostrabili. Come quelle che accompagnarono, ai tempi della presidenza di Mario Oliverio, la scalata alla Vigilanza di Ennio Morrone. Allora in Forza Italia, il suocero dell’attuale consigliera di FdI Luciana de Francesco ottenne 16 preferenze su 31 votanti. Non serviva dunque essere né strateghi né giocatori di poker per ipotizzare una qualche cointeressenza politica col centrosinistra. Tra l’altro in precedenza era stato assessore nella giunta regionale di Agazio Loiero.

    Giannetta e Forza Italia pigliatutto

    In mezzo c’è stata la (tragicamente breve) parentesi della Presidenza di Jole Santelli. La coalizione che la sosteneva aveva appetiti tali da aver dovuto creare, per tentare di saziarli, una commissione nuova di zecca. Dunque si può immaginare cosa si fece della Vigilanza: un sol boccone. Non certo lasciato all’opposizione – che disertò polemicamente le votazioni – ma dato in pasto al forzista Domenico Giannetta.

    Con lui in un anno, tra il 2020 e il 2021, si sono tenute 10 riunioni della Vigilanza. Non risulta abbiano fatto perdere il sonno a chi governava la Cittadella. Con Morrone tra il 2015 e il 2019 ce n’erano state 36. Ben altri numeri, in era Scopelliti, aveva raggiunto l’avvocato Aurelio Chizzoniti – subentrato nel 2013 in Consiglio ad Antonio Rappoccio e preceduto alla Presidenza da Giulio Serra, entrambi di maggioranza – con 51 sedute tra il 2010 e il 2014.

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    Straface, Lo Schiavo e Afflitto in Commissione Vigilanza a Palazzo Campanella

    Difeso dalla Straface

    Sotto la presidenza di Afflitto la Vigilanza si è finora riunita tre volte. La prima seduta è durata 16 minuti (inizio lavori h. 11,49, fine lavori h. 12,05). La seconda un’ora e un quarto e la terza un’ora e mezza, compresi i saluti e l’approvazione dei verbali delle sedute precedenti. Nessun provvedimento trattato. Uniche audizioni, quelle del commissario della Sorical Cataldo Calabretta e del delegato del dg del dipartimento Ambiente della Regione.

    In quest’ultima occasione – si legge nel resoconto del 22 febbraio scorso  – Pasqualina Straface (Forza Italia) ha illustrato la situazione di Sorical. E Amalia Bruni ha proposto che la questione fosse «affrontata in una apposita seduta di Consiglio regionale». Tutti d’accordo.

    In Aula è poi finita così: a difendere il pentastellato e «il proficuo lavoro» della Commissione da lui presieduta è stata proprio la consigliera forzista. Mentre Occhiuto ha portato a casa la sua legge sì con una settimana di ritardo, ma spaccando l’opposizione. Sembrano lontanissimi – ma era il 2015 – i tempi in cui l’M5S calabrese diceva che affidare la Vigilanza a uno come Morrone equivalesse ad «affidare a Dracula la gestione del centro trasfusioni». Oggi loro stessi pare abbiano trovato chi può regalare ben altre soddisfazioni. Al centrodestra.

  • Alfonsino Grillo, da portaborse pignorato a commissario da 6.000 euro al mese

    Alfonsino Grillo, da portaborse pignorato a commissario da 6.000 euro al mese

    Roberto Occhiuto ha un (Alfonsino) Grillo per la testa. Ormai pare abbastanza chiaro: il presidente della Regione brilla per stravaganza quando si tratta di nomine pubbliche di sua competenza. Quella di Antonio Grande (detto Anton Giulio per la haute couture) a commissario della Film Commission ha fatto storcere il naso a tanti; quella del suo capo di Gabinetto Luciano Vigna, che si cumula a quella di direttore della stessa Film Commission, ha resuscitato persino l’opposizione targata Pd. Sarà il clima pasquale.

    A queste tocca aggiungere la recente nomina del commissario del Parco delle Serre, Alfonsino Grillo. A dettarla, probabilmente, la fede politico-partitica (in particolare, il sostegno elettorale alle ultime regionali al ticket forzista Michele Comito-Valeria Fedele) e non particolari competenze tecniche. Grillo, difatti, ha svolto la professione di geometra (oggi non risulta iscritto all’albo) ed è laureato in Scienze politiche. Certo, nel 2002 la Giunta Chiaravalloti lo nominò nel cda del Parco delle Serre e da consigliere regionale fu componente della commissione Ambiente. Un background forse un po’ scarno a fronte delle tante eccellenze calabresi, anche giovani, costrette ad emigrare.

    Il Grillo cangiante: da Esposito a Mangialavori

    Ma il golden buzz (per dirla alla Italian’s Got Talent) per Alfonsino Grillo è scattato di recente, grazie all’abbraccio con Giuseppe Mangialavori e Forza Italia, dopo anni passati al seguito del catanzarese Baldo Esposito.
    Dopo l’esperienza da sindaco di Gerocarne nel 2007, Grillo è stato eletto consigliere regionale nella lista “Scopelliti Presidente” nel 2010 con 3.400 voti. Esperienza che non riuscì a replicare nelle due successive tornate, limitandosi a “reggere” le liste che porteranno nel 2014 e nel 2020 all’elezione del catanzarese Baldo Esposito, che ottenne il seggio anche grazie al suo apporto.

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    Mangialavori e Occhiuto durante l’ultima campagna elettorale

    Nel 2014 sotto la bandiera del Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano (compagine che vide Grillo assumere ruoli partitici di rilievo, in primis il coordinamento provinciale di Vibo Valentia) raccolse 3.610 voti (a fronte dei 6.400 di Baldo Esposito). Nel 2020 con la lista “Casa delle libertà” ne ottenne 2.654, mentre furono oltre diecimila quelli per l’ormai ex presidente della commissione Sanità. In quell’anno Grillo si “candidò” anche per ricoprire incarichi di sottogoverno regionale, senza successo.

    La condanna della Corte dei Conti

    Nel marzo del 2020, però, arrivò per Grillo la condanna della Corte dei Conti per il filone erariale di Rimborsopoli.
    Ben 62.570,98 euro di danno erariale per spese non ammissibili per gli anni da consigliere regionale 2011 e 2012. Per quelle del 2010 è arrivata, invece, la prescrizione.

    «Sotto il profilo formale, quasi tutta la documentazione non è riferita al Gruppo, ma all’on. Grillo, nella qualità di consigliere regionale», si legge nel testo della decisione. «Sul piano sostanziale è lapalissiano come l’erogazione di contributi alle varie associazioni presenti sul territorio non sia affatto riconducibile alle finalità istituzionali del Gruppo consiliare, ma agli scopi di promozione politica del consigliere Grillo», precisarono i magistrati contabili.

    Tra le spese, pagate con soldi pubblici per fini giudicati privati, figurano elargizioni per i festeggiamenti in onore di San Michele Arcangelo a favore del Priore della relativa confraternita di Arena, altre a favore dell’Associazione “Lira Battente” per una manifestazione, contributi a favore della Pro Loco di Zambrone e per la festa patronale di San Basilio a Cessaniti.

    Alla fine la condanna è stata pari all’80% del danno (il restante 20% rimane in capo al presidente del Gruppo consiliare per omesso controllo), ossia 50.056,78 euro. Permane, inoltre, ad oggi, il rinvio a giudizio per peculato disposto dal Gip di Reggio Calabria nel 2017 per quanto concerne gli aspetti penali.

    Portaborse e vitalizio: i “cuscinetti” alla condanna

    Con determina del 4 agosto 2020 a firma di Antonio Cortellaro e Romina Cavaggion – tra l’altro ex componente della struttura di Grillo quando era consigliere regionale – è arrivata la nomina da parte di Baldo Esposito proprio di Alfonsino Grillo quale “responsabile amministrativo al 50% del Presidente della III Commissione”. Un portaborse, insomma, nonostante il diretto interessato non ami sentirsi definire tale.

    Grazie a quella nomina ha ricevuto 7.984,64 euro lordi nel 2020 e circa 17mila nel 2021. L’erario, però, ha pignorato un quinto della somma per far fronte alla condanna della Corte dei Conti. Tutto legittimo e pazienza se pagare con un incarico fiduciario pubblico (intervenuto dopo la condanna) alla Regione un danno erariale alla Regione stessa può suscitare critiche da parte dei soliti maliziosi.

    Ma non è finita. Lo scorso 28 marzo Alfonsino Grillo ha chiesto il vitalizio per il mandato di consigliere regionale svolto dal dal 28 marzo 2010 al 22 novembre 2014. Vitalizio che si vedrà accreditare proprio dal 1 aprile per una cifra pari a 2.434,83 mensili lordi. Piccolo particolare: la somma del vitalizio è ridotta del 25%, ma solo perché Grillo ne ha chiesto la liquidazione anticipata. Ossigeno, quindi, per le tasche dell’ex geometra.

    Alfonsino Grillo, da commissario a presidente?

    Ma Alfonsino Grillo è tornato in grande spolvero a seguito del cambio di sponsor politico. Decisivo l’apporto elettorale a Michele Comito e Valeria Fedele, eletti nella lista di Forza Italia (anche se sub iudice, soprattutto la seconda, ineleggibile secondo il giudizio di primo grado del Tribunale di Catanzaro).
    Ad attendere Grillo, il Parco delle Serre e un discreto stipendio, nonostante i precedenti commissari svolgessero l’incarico a titolo gratuito. Il dirigente regionale Giovanni Aramini, voluto da Jole Santelli nel 2020, il funzionario Domenico Sodaro nel 2016 e il dottor Giuseppe Pellegrino nel 2018, voluti da Mario Oliverio, non percepivano il becco di un quattrino.

    Parco delle Serre: 30 anni di fallimenti, tagli selvaggi e scaricabarile
    La luce trafigge il bosco del Parco delle Serre (dal sito ufficiale dell’Ente: foto Salvatore Federico)

    Diversa sorte toccherà a Grillo. Lui arriverà a ricevere oltre 6mila euro lordi mensili (36.308 euro lordi per i sei mesi di durata dell’incarico da commissario). Intanto, solo due giorni fa, l’Assemblea della Comunità del Parco (guidata dalla assessora leghista di Simbario, Melania Carvelli) ha inserito lo stesso Grillo nella rosa dei 5 nominativi in lizza per la presidenza dell’ente. Ma la strada non è proprio in discesa.

    La possibile sospensione e l’orientamento dell’Anac

    Come si è detto, permane a carico di Alfonsino Grillo l’accusa di peculato dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria, nel filone penale dell’inchiesta “Rimborsopoli”. In caso di condanna, anche se non definitiva, per peculato il soggetto esterno all’amministrazione che abbia un incarico pubblico (come è quello di commissario/presidente del Parco delle Serre) va sospeso senza retribuzione (come sospesa è l’efficacia del contratto di diritto privato stipulato con l’amministrazione).

    Non solo, l’Autorità nazionale anticorruzione suggerisce al legislatore di estendere la disciplina delle inconferibilità anche in caso di condanna della Corte dei Conti per danno erariale.
    Tali condanne, si legge nella delibera, «portano dietro un giudizio di disvalore, dal punto di vista della lesione dell’immagine della pubblica amministrazione… analogo a quello delle sentenze di condanna emesse all’esito di giudizio penale». Ma se a Roberto Occhiuto va bene così, non sarà certo l’opposizione a farglielo notare.

    Uno slogan elettorale di Alfonsino Grillo particolarmente azzeccato
  • Catanzaro abbaia, Reggio morde: il consiglio regionale resta sullo Stretto

    Catanzaro abbaia, Reggio morde: il consiglio regionale resta sullo Stretto

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    La vicenda, certamente poco seria e non si sa quanto grave, richiama subito il celebre aforisma di Ennio Flaiano. E viene in mente anche una battuta – già cult – dell’ultimo film di Paolo Sorrentino. Ma prima, per ricondurre tutto alla sua reale misura, forse è meglio soppesare le dichiarazioni che stanno rinfocolando la polemica tra Catanzaro e Reggio. Che ricaccia la Calabria indietro di 50 anni, se non ai tempi delle Calabrie degli Aragonesi (Citeriore e Ulteriore) e poi dei Borboni (Ulteriore I e II).

    Quanto ce ne fosse bisogno, in un momento storico come quello attuale, è superfluo rilevarlo. Ma si sa: quando ci sono elezioni in ballo la frizione che regola l’emissione di comunicati stampa scappa sempre un po’ troppo. Dunque eccoci qua, catapultati all’indietro in un surreale dibattito che contrappone il centro e la punta della periferia d’Italia.

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    Valerio Donato, prof all’Università di Catanzaro e candidato a sindaco

    Catanzaro vuole pure il consiglio regionale

    L’apriti cielo si materializza con un’uscita del “Comitato elettorale Valerio Donato Sindaco”. I sostenitori del prof catanzarese, fuoriuscito dal Pd e ora appoggiato dal centrodestra, la buttano lì: «Giunta e Consiglio regionale devono essere riuniti presso la stessa sede, quella naturale, ossia Catanzaro». Presentata come una «battaglia concreta per la riduzione reale dei costi della politica», risponderebbe a «un fatto di correttezza istituzionale giacché il capoluogo della regione deve essere messo nelle condizioni di esercitare pienamente il proprio ruolo».

    La sortita prende le mosse da un antefatto, anzi da due collegati tra loro. Il primo: l’11 aprile si tiene alla Cittadella regionale di Catanzaro una riunione del «Coordinamento dei presidenti delle Commissioni per le Politiche europee delle Assemblee legislative delle Regioni». Prima e dopo non mancano i comunicati di giubilo perché la riunione si svolge «per la prima volta in Calabria».

    Lo strappo istituzionale

    Il secondo: due giorni dopo si riunisce il consiglio regionale e in apertura il capogruppo (reggino) del Pd Nicola Irto parla (nel video in basso dal minuto 16) di «strappo istituzionale»  perché «la sede naturale» di quella riunione era l’Astronave di Reggio. Raccoglie «il monito» il presidente (catanzarese) del Consiglio Filippo Mancuso che dice di aver già chiarito il «malinteso» con il presidente (catanzarese) della commissione competente, Antonio Montuoro.

    Si tratta di una questione definita con sarcasmo «assai urgente» dal Comitato di Donato, che con un certo sprezzo del dileggio appena usato parla di «polemica forse non molto qualificante» e lancia l’ormai famigerata proposta di cui proprio tutti, da Praia a Mare a Melito Porto Salvo, non potevano fare a meno.

    Segue, immancabile come un buffet dopo un meeting aziendale, una delle pratiche in cui eccelliamo da tempo immemore: la levata di scudi. Dalla sponda calabrese dello Stretto si alza un coro unanime di «giù le mani dal consiglio regionale». Gli stessi partiti che sostengono o sono dati come vicini a Donato insorgono.

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    Ciccio Franco, uno dei protagonisti del Moti di Reggio

    «Non stuzzicate la città di Reggio»

    Peppe Neri (capogruppo di FdI a Palazzo Campanella) quasi rievoca i moti del 1970 contro Catanzaro capoluogo: la sede del Consiglio a Reggio «assicura quell’equilibrio istituzionale che la storia ha decretato non senza tensioni». Il deputato di Forza Italia Francesco Cannizzaro definisce «grottesche» le dichiarazioni di Donato e ipotizza che le abbia rilasciate «dopo un’allegra serata con gli amici».

    Mancuso ha provato a stoppare le polemiche bollandole come «surreali e divisive», ma un assessore comunale a lui vicino, Francesco Longo, ha rincarato la dose: «Ha fatto non bene, ma benissimo il comitato elettorale di Valerio Donato a ribadire che per evitare ulteriori “sgarbi istituzionali” basterebbe riportare il Consiglio Regionale a Catanzaro». Probabilmente però vince tutto il sindaco facente funzioni di Reggio Calabria, Paolo Brunetti: «Si è deciso 50 anni fa di portare il capoluogo a Catanzaro. Ormai avevamo metabolizzato la cosa, però non stuzzicate la città di Reggio. Non fateci rispolverare l’idea d’avere qui la Giunta…»

    Vabbè: forse non ci si poteva aspettare molto altro dal Paese dei campanili e da una regione in cui si litiga pure per un lampione tra rioni e rughe di piccoli paesi. Ma far girare ancora, dopo mezzo secolo di fallimentare regionalismo, il disco rotto del «popu-campanilismo» (la definizione è del giornalista Giuseppe Smorto) è esattamente il contrario di ciò che davvero ci servirebbe: un po’ di sincera solidarietà e di sana ironia. Allora proviamo, per una volta, a non disunirci. E soprattutto a non prenderci sempre così tanto sul serio.

  • Così fan tutti: una Calabria malata di parentopoli

    Così fan tutti: una Calabria malata di parentopoli

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    La recente polemica sulla mini parentopoli alla Provincia di Cosenza fa quasi tenerezza.
    Rispetto a decenni di nepotismi e comparaggi vari, praticati a tutti i livelli (e sempre intensivamente) non dà quasi nell’occhio che la presidente Rosaria Succurro abbia scelto come consulente suo marito Marco Ambrogio.

    Al riguardo, è arrivato puntuale il richiamo “storico” a Egidio Masella, ex assessore regionale di Rifondazione comunista, che  fu costretto a dimettersi all’inizio dell’era Loiero per aver tentato di assumere sua moglie, Lucia Apreda, nella propria struttura.

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    Marco Ambrogio e Rosaria Succurro

    Un caso da manuale

    Masella – che per quella vicenda ha subito un processo da cui fu prosciolto nel 2012 – ha avuto una menzione d’onore nientemeno che dalla Treccani, che cita la sua vicenda per chiarire il termine Parentopoli.
    Ma anche la storia dell’ex assessore rifondarolo risulta soft, se paragonata alla prassi (non solo) calabrese.

    Maledette telecamere

    Gli italiani si accorsero della Calabria grazie ad Anno Zero, la trasmissione di Michele Santoro, che immortalò il Consiglio regionale quando il cadavere di Francesco Fortugno era ancora caldo.
    «’u cumpari dù cumpari è tu cumpari», il compare del compare è tuo compare, disse Franco Morelli, ex capo di gabinetto di Giuseppe Chiaravalloti e allora consigliere in quota An, ripreso cheek to cheek con Domenico Crea, appena subentrato in Consiglio al posto di Fortugno. Oggi i due valgono assieme circa quindici anni. Di galera: a tanto ammontano le condanne ricevute per concorso esterno in associazione mafiosa.
    Ciò non toglie che allora avessero ragione: la Calabria funziona proprio come diceva Morelli.

    Il quinquennio di Chiaravalloti fu il regno di Bengodi, grazie al fatto che erano consentiti i cosiddetti “monogruppi”, cioè gruppi costituiti da un solo consigliere. Ciascun monogruppo poteva avere la sua struttura, composta di sette collaboratori al massimo, per un totale di 180 portaborse, con stipendi che andavano da un minimo di circa 1.700 euro netti a un massimo di 5mila e rotti lordi al mese.
    Di questi 180, raccontano alcuni ex funzionari, almeno 32 erano parenti diretti dei consiglieri.

    La “legge Masella”

    Questo andazzo, moralmente riprovevole, era tuttavia a norma di legge. L’affaire “Masella” costrinse la Regione a prendere provvedimenti seri.
    Il principale fu la legge regionale 16 del 22 novembre 2005, che introduceva una serie di incompatibilità per l’assunzione nelle strutture consiliari, tra cui il rapporto di parentela e affinità fino al terzo grado tra l’aspirante portaborse e il suo “patrono”.
    Con questa legge, la Calabria è stata la prima Regione a dotarsi di norme “antiparenti”. Un record doveroso, conferma oggi Peppe Bova, all’epoca presidente del Consiglio in quota Ds: «Eravamo giunti al limite e dovevamo dare un segnale forte».

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    Mario Pirillo è stato assessore regionale ed europarlamentare

    Album di famiglia

    Ma chi erano i consiglieri nepotisti? Dati i numeri, quasi tutti e forse menzionarne solo qualcuno significherebbe far torto agli altri.
    L’amministrazione Chiaravalloti si segnala anche per il famigerato Concorsone del 2001, destinato ai funzionari di partito. Tra gli illustri assunti, c’è (oltre al plurimenzionato Carlo Guccione), Salvatore Pirillo, ingegnere e figlio di Mario, big amanteano della Dc, transitato nella Margherita e poi nel Pd, assessore all’Agricoltura dell’era Loiero e poi europarlamentare.

    Mario & Giulio: cuori di padre

    Salvatore Pirillo emerse agli onori della cronaca nel 2010, quando Giulio Serra, consigliere di centrodestra dell’era Scopelliti, lo volle come suo collaboratore. In cambio, Pirillo senior assunse come propria collaboratrice, Roberta Pia Serra, manco a dirlo la figlia di Giulio.
    Ma Salvatore Pirillo non è solo un ingegnere. Infatti, ha ereditato da papà Mario la passione per la politica: è stato segretario del circolo Pd della “sua” Amantea nel 2014.

    Fedele… alla sua linea

    Nel caso di Luigi Fedele – assessore regionale durante l’amministrazione Caligiuri, poi presidente del Consiglio nell’era Chiaravalloti, infine assessore in quella Scopelliti – e finito nei guai per Rimborsopoli – più che di nepotismo si dovrebbe parlare di “compresenza”.

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    Luigi Fedele

    Infatti, suo fratello Giovanni, avvocato ed ex sindaco di Sant’Eufemia di Aspromonte, è entrato in Regione nel 2000 come collaboratore esperto della presidenza del Consiglio. Poi è diventato capo della medesima struttura fino al 2005. Ed è rimasto a Palazzo Campanella dove, da circa un decennio, è dirigente di settore.

    Gianni Nucera: l’asso pigliatutto

    Il recordman potrebbe essere Gianni Nucera, ex big dell’Udc. Nella sua struttura, all’inizio dell’era Loiero, c’erano sua moglie Felicia Pensabene e i figli Carmela e Francesco.
    Per evitare lo tsunami che allora travolgeva Masella, Nucera azzerò la struttura. Ma la famiglia può essere anche allargata: Nucera è cognato di Giuseppe Suraci, padre di Grazia Suraci, anche lei collaboratrice del consiglio regionale e moglie dell’ex assessore regionale Antonino De Gaetano, poi finito nei guai per l’inchiesta Erga Omnes.
    Grazia ha una sorella, Giuseppina Suraci, che ha collaborato con Antonio Billari, allievo di De Gaetano e consigliere regionale nell’era Santelli.

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    Maurizio Priolo, superburocrate della Regione Calabria

    Maurizio & Stefano Priolo: Regione di famiglia

    Non si può, a questo punto, passare sotto silenzio la vicenda della famiglia Priolo. Stefano Priolo, il padre, è stato consigliere nella Prima Repubblica. Attualmente presidente dell’Associazione ex consiglieri regionali, Priolo sr. passerà alla storia per la sua battaglia contro la riduzione dei vitalizi.

    Suo figlio Maurizio è un superburocrate della Regione, in cui è entrato senza concorso. Al momento, è impegnato in un braccio di ferro giudiziario contro Maria Stefania Lauria, che ha preso il suo ruolo, incluso il lucrosissimo stipendio a Palazzo Campanella…

    Sviluppo Italia: il parentificio

    Chiediamo scusa ai consiglieri regionali non menzionati (rimedieremo quanto prima) e passiamo all’over the top: l’agenzia Sviluppo Italia, che in Calabria pullulava di nomi eccellenti.
    Ne citiamo solo qualcuno: Paola Santelli, sorella minore della compianta Jole, Cecilia Rhodio, la figlia di Guido, presidente di Regione negli anni ruggenti della Dc.
    Sempre a proposito di notabili Dc: come non ricordare Luigi Camo, figlio dell’ex senatore scudocrociato Geppino? Ma faremmo un torto maggiore se non citassimo Cristiana Miceli, moglie di Geppino.

    https://icalabresi.it/fatti/regione-calabria-la-guerra-dei-mandarini-per-la-poltrona-da-240mila-euro/
    Roberto Occhiuto

    La fine della Balena Bianca non comportò la fine delle relative pratiche: infatti, in Sviluppo Italia figuravano Giada Fedele, ex moglie di Roberto Occhiuto, e Giovanna Campanaro, nipote della compianta Annamaria Nucci, ex deputata ed ex assessora al Bilancio di Cosenza nell’era Perugini.
    Non potevano mancare i Gentile: al riguardo, figurano nella lista Sandro Mazzuca, nipote di Pino Gentile, e sua moglie Fausta D’Ambrosio.
    Sviluppo Italia andò in liquidazione nell’era Loiero. Che fine hanno fatto i dipendenti (in totale 180)? Assorbiti a vario titolo dalla Regione e da altri enti.

    Così fan tutti

    Sul familismo calabrese la classe politica nazionale ha puntato poco il dito, anche perché ciascuno ha i suoi peccati. Certo è che non può fare la morale a nessuno la presidente del Senato Elisabetta Casellati, che quando era sottosegretaria della Presidenza del Consiglio nominò sua consulente la figlia Ludovica.
    Tantomeno può farla Salvini, che si trovò agli onori delle cronache a metà dello scorso decennio perché la sua compagna fu assunta dalla Regione Lombardia, allora egemonizzata dalla Lega.

    Per tornare in Calabria

    «Allora, uno non può lavorare se è figlio di qualcuno?», si chiese attonito davanti alla stampa Umberto De Rose, lo stampatore coinvolto nell’Ora Gate, a proposito di Andrea Gentile, figlio del senatore Tonino Gentile.

    Umberto De Rose

    Andrea era finito nel mirino degli inquirenti per alcune consulenze ricevute dall’Asp di Cosenza. A dirla tutta, nella parentopoli gentiliana era coinvolta anche Lory Gentile, la sorella di Andrea, che aveva lavorato per Fincalabra, diretta all’epoca dallo stesso De Rose, condannato per questo motivo dalla Corte dei Conti.

    A questo punto è doverosa una precisazione: non abbiamo menzionato i figli dei politici che fanno politica perché i rampolli illustri hanno almeno l’onere formale di procacciarsi i voti. Vale per Katya Gentile, la figlia di Pino, e per il citato Andrea.

    Parentopoli sanitaria

    Anche fuori dalla politica c’è chi ha fatto qualcosa.
    Ad esempio, l’ex commissaria straordinaria dell’Asp di Cosenza Daniela Saitta, finita nella bufera per aver dato una consulenza a sua figlia, Cristina Di Lazzaro.

    Incarnato family: un apostrofo rosa

    Si è parlato, a proposito dell’attuale amministrazione cosentina di Franz Caruso, di un curioso nepotismo alla rovescia, grazie al quale Luigi Incarnato è diventato capo di Gabinetto di Caruso dopo che sua figlia Pina è stata eletta consigliera (e poi nominata assessora) nell’attuale maggioranza.

    https://icalabresi.it/fatti/regione-calabria-la-guerra-dei-mandarini-per-la-poltrona-da-240mila-euro/
    Pina Incarnato

    Il caso è borderline, sia perché Incarnato fa il capo di Gabinetto gratis sia perché è stato uno degli organizzatori della coalizione di centrosinistra.
    Eppure la parentela non è più stretta per un soffio: Incarnato e Caruso, da sempre assieme nel Psi, sono stati a lungo consuoceri, perché Pina è la ex fidanzata del figlio del sindaco…
    Chi trova un amico trova un tesoro. Ma chi ha un parente trova di più.