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  • Pubblicità alla Calabria, la Regione salda dopo 11 anni

    Pubblicità alla Calabria, la Regione salda dopo 11 anni

    Quando i calabresi (e non solo) hanno appreso degli oltre due milioni e mezzo di euro spesi dalla Regione per far pubblicità alla Calabria dentro (e di fronte a) la stazione di Milano Centrale non sono stati pochi a storcere il naso, Tra questi, lo stesso governatore Roberto Occhiuto, che già nei mesi precedenti aveva battibeccato indirettamente con l’assessore al Turismo (oggi senatore) Fausto Orsomarso per altre iniziative promozionali. Troppo calda ancora la figuraccia fatta col mitico corto di Muccino, costato l’ira di Dio tra realizzazione e messa in onda, per permettersi nuovi passi falsi nel campo del marketing territoriale e del turismo.

    A volte ritornano

    Una soluzione per evitare – o, quantomeno, posticipare – nuovi esborsi monstre dai risultati imprevedibili, però, alla Cittadella la conoscono già. Basta fare come con mamma Rai, che per farsi pagare quanto le spettava dopo aver promosso la Calabria in tv ha dovuto aspettare un’eternità. Risale infatti al 2011 una pratica riemersa dai cassetti e riapparsa in queste ore sul Burc. Cosa c’è scritto? Che i contribuenti calabresi si troveranno a spendere nei prossimi giorni oltre 800mila euro destinati a pubblicizzare il nostro territorio oltre un decennio fa.

    Miss Italia a Reggio Calabria, pubblicità per la regione

    All’epoca dei fatti a regnare sulla Cittadella è Peppe Scopelliti, ex sindaco di Reggio. Ed è proprio in riva allo Stretto che si terrà la finale di “Miss Italia nel mondo”. La Rai ha 180mila buone ragioni per far svolgere l’evento lì, tante quanto gli euro (Iva esclusa) che la Regione sborserà per la copertura dell’evento e la celebrazione dei luoghi che lo ospiteranno. Ed ecco i vertici di Germaneto e Saxa Rubra stipulare una prima convenzione il 5 agosto 2011. Ne seguirà, quattro mesi dopo, una seconda. La cifra, stavolta, è più alta, il doppio della precedente. Per 360mila euro più Iva la Calabria troverà spazio in alcune trasmissioni della Tv di Stato nel corso del 2012: Uno Mattina, Linea Blu, Sereno Variabile e la Giostra sul Due.

    Impegni

    Gli italiani vedono la Calabria sulla Rai, ma la Rai non vede un centesimo dalla Calabria. Gli anni passano e in viale Mazzini iniziano a lamentarsi del ritardo. Email e telefonate alla Cittadella si susseguono, le risposte però non sono quelle che ci si aspetterebbe. Soldi, infatti, a Roma non ne arrivano. Dal Bilancio provano a saldare parte del debito con i quattrini impegnati per la promozione turistica illo tempore, ma la somma basterebbe a versare più o meno la metà del dovuto. Del resto del denaro (e dei relativi impegni di spesa) non c’è traccia. Ci si mettono pure di mezzo problemi informatici alla piattaforma dei pagamenti. E così dalle casse regionali finisce per non uscire neanche un centesimo.

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    La sede della Rai in viale Mazzini a Roma

    Il tribunale dà ragione alla Rai

    A essere scomparsi, oltre ai soldi che ci si aspettava già impegnati alla luce delle due convenzioni, sono anche quelli del Dipartimento Turismo, a cui toccherebbe gestire la vicenda. A nulla valgono le sollecitazioni dei colleghi che si occupano dei conti regionali. Nonostante la Rai chieda soldi ormai dal 2016, nonostante abbia fornito più volte negli anni ogni documento possibile (a partire dalle fatture), nonostante abbia pregato la Regione di non farsi portare in tribunale per farle sborsare il dovuto, nonostante in tribunale ci sia effettivamente andata e quest’ultimo abbia riconosciuto con un decreto ingiuntivo ormai esecutivo da maggio 2021 che quei soldi la Rai dovrà averli entro i successivi 40 giorni, non succede nulla fino a quest’estate.

    Regione Calabria, riecco i soldi per la pubblicità

    È il 28 giugno 2022 – qualcuno trova la formula più efficace per svegliare dal torpore anche il più inoperoso dei burocrati: se ci saranno ulteriori aggravi di spesa, a pagare di tasca propria saranno funzionari e dirigenti rimasti immobili fino a quel momento.
    Come per magia – ma senza troppa fretta, alle tradizioni non si rinuncia – riparte l’iter. Prima (siamo in autunno) arriva la copertura finanziaria per circa 400mila euro. Poi, con atto del 14 dicembre pubblicato sul Burc di ieri, si ufficializza come debito fuori bilancio da sentenza esecutiva il resto della somma. Che nel frattempo, tra interessi e spese legali è arrivata a poco più di 816mila euro. Se una parte dovrà essere a carico di qualche burocrate regionale è materia da Corte dei Conti. Ma una cosa è certa: se fossimo nei panni della concessionaria che si occupa della Calabria Straordinaria targata Orsomarso nella stazione Centrale, di fronte a precedenti come questo, qualche preoccupazione per il futuro l’avremmo.

    La cittadella regionale di Germaneto
  • Agricoltura, è allarme rosso: milioni di fondi europei a rischio

    Agricoltura, è allarme rosso: milioni di fondi europei a rischio

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    Milioni stanziati e agricoltori trepidanti, dopo aver presentato progetti e aver anticipato spese.
    Ora un erroraccio rischia di mandare parecchie aspettative in fumo, a dispetto di alcuni proclami trionfali della Regione. L’allarme e il potenziale scandalo finora sono rimasti sottotraccia. Forse perché le associazioni di categoria sperano che il problema rientri al più presto. O forse perché ai piani alti della cittadella di Germaneto si tenta di correre ai ripari senza troppi clamori.

    Calabria e agricoltura, tanti fondi in ballo

    L’acronimo più di moda è Pnrr. Come tutti gli outfit all’ultimo grido, ha messo in secondo piano tutto il resto, compresi i fondi Por e, per quel che riguarda l’agricoltura, Psr.
    Quest’ultimo acronimo sta per Piano di sviluppo rurale e ha uno scopo ben preciso: iniettare liquidità nell’agricoltura attraverso vari progetti a cui gli imprenditori del settore partecipano in cofinanziamento.

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    La cittadella regionale di Germaneto

    In parole povere, anticipano parte dei finanziamenti per essere compensati dalla Regione non appena si mettono all’opera.
    Ma quanti soldi ballano attorno ai Psr? Non proprio spiccioli.
    Lo confermano i comunicati con cui l’Assessorato all’agricoltura della Regione ha diramato i pagamenti più recenti

    Pagamenti milionari

    Il primo pagamento, di fine novembre, riguarda il Kit (così in burocratese si chiama la tranche di pagamento) 3 del 2022.
    Ben 44.283.348, 31 euro distribuiti a più di 46mila agricoltori calabresi.
    Anche dicembre sembra partito bene: il Kit 4 ha erogato 33.535.212, 41 euro a 13.754 beneficiari.
    Altri Kit di dicembre hanno sbloccato fondi vari. Pure in questo caso non sono spiccioli.
    Il primo liquida 6.607.219, 09 euro a 513 imprese, per bandi che risalgono a prima del 2022.
    Il secondo distribuisce altre due sostanziose tranche, entrambe anticipazioni per il 2022.
    La prima è di 8.925.470, 47 euro che vanno a 2.071 aziende beneficiarie. La seconda, 1.075.853, 45 euro, va a 175 imprenditori.

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    I fondi Psr hanno un peso enorme per l’agricoltura in Calabria

    A cosa servono davvero i Psr

    È il momento di tirare le somme, da cui si ricavano alcuni elementi utili.
    Il primo: ogni kit di pagamento oscilla, in media, da 20 a 40 milioni complessivi.
    Il secondo: le cifre sono senz’altro milionarie, ma divise per il numero di beneficiari, si riducono a spiccioli. Detto altrimenti, sono la classica boccata d’ossigeno per la sopravvivenza di imprese di dimensioni medio-piccole.
    Terzo elemento: l’elevato numero di beneficiari è indice di un’economia, quella calabrese, che si basa un po’ troppo sull’agricoltura, più che altro per la latitanza degli altri settori.

    Detto altrimenti: laddove, anche nel resto del Sud, l’agricoltura è il 2% del Pil, da noi pesa più del doppio.
    Tutto ciò fa capire come questi fondi siano vitali e come la loro mancata o ritardata distribuzione rischi di mettere a repentaglio la Calabria. Il pericolo, purtroppo, si è verificato.

    Agricoltura: i controlli sui fondi in Calabria

    Per distribuire i fondi Psr, la normativa prevede un meccanismo articolato di controlli, che sono affidati a società specializzate in base a una gara.
    La società privata, esternalizza l’assistenza tecnica. In pratica, esegue i controlli sulle aziende già riconosciute meritevoli di finanziamento e dà parere favorevole. In altre parole: le varie aziende comunicano lo stato di avanzamento dei lavori relativi ai progetti finanziati, la società verifica e invia il “visto si paghi” al Dipartimento agricoltura della Regione che, a sua volta, ordina all’Arcea, l’ente pagatore, di liquidare le somme.
    Ma che succede se la società non è in regola? La domanda non è astratta, perché in Italia l’inghippo c’è sempre. E in Calabria è capitato.

    La raccolta delle fragole

    Il controllore

    L’inghippo è emerso grazie al decreto 16193 dello scorso 10 dicembre, firmato da Antonio Giuseppe Lauro, il responsabile del procedimento di selezione della società incaricata dei controlli, e da Giacomo Giovinazzo, il dirigente del Dipartimento agricoltura della Regione.
    Ad approfondire la vicenda, viene da ridere. Vediamo perché.
    Per individuare il controllore, la Regione indice una prima gara, la numero 8182941 dell’8 luglio 2021. Ma questa gara non si svolge, perché nell’agosto successivo il Dipartimento agricoltura si riorganizza, probabilmente in vista delle imminenti elezioni regionali. Quindi è tutto da rifare.

    La gara è indetta l’11 febbraio scorso. L’11 luglio successivo escono i partecipanti. Sono una società, Cogea Srl con sede a Roma, e due Ati (associazioni temporanee d’impresa). La prima è costituita da Deloitte Consulting Srl più Consendin Spa. La seconda raggruppa tre società: Lattanzio Kibs Spa, Meridiana Italia Srl e Ptsclass Spa.
    Lo spiegamento di forze si giustifica per il tanto lavoro da fare e per il compenso: poco meno di dieci milioni (9.799.462 euro) per cinque anni. Vince Cogea lo scorso 19 ottobre. Praticamente, in zona Cesarini. Ma non passa un mese che Deloitte fa ricorso al Tar. E iniziano i guai.

    Il pasticcio e lo scandalo

    Le accuse di Deloitte non sono proprio irrilevanti. Secondo la società perdente, Cogea avrebbe creato gli atti della precedente gara annullata e poi li avrebbe riproposti tal quali alla Regione.
    Quest’ultima, quindi, non avrebbe fatto il bando da sé, ma sulla base di un documento di un privato.
    E, ad analizzare il documento, regolarmente pubblicato sul sito della Regione, le cose risulterebbero come sostiene Deloitte: nelle proprietà del file si apprende che l’autore è Cogeco. Di più: la data di creazione del file e quella di ultima modifica coincidono.

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    Galeotto fu un pc…

    La risposta della Cittadella è ferma, ma non forte abbastanza: il file, sostiene il responsabile unico del procedimento, è stato formato su un pc della Regione, ma convertito in pdf su un pc di Cogea, che si trovava in un ufficio delle Regione.
    Cogea, a sua volta, risponde che di quel pc non sa nulla perché l’aveva dismesso.
    Non è il caso di approfondire, anche perché col decreto del 10 dicembre la Regione ha provveduto ad annullare la gara vinta da Cogea in autotutela.
    Quindi nessuno risponderà a una domanda banale: visto che tutti i programmi Word prevedono la conversione dei documenti in pdf, possibile che solo la Regione non abbia un programma di videoscrittura aggiornato?

    Il problema

    Ancora la situazione non è esplosa. Ma l’annullamento del bando può provocare molti problemi. Vediamone alcuni.
    Innanzitutto, che succede ai pagamenti in corso o da approvare? Ora che il controllore non c’è, chi prende il suo posto? In teoria, dovrebbero farlo gli uffici della Regione. Ma sono attrezzati?
    Secondo problema: che succede ai pagamenti già approvati da Cogea e non ancora liquidati? Vengono congelati fino a nuova gara? Oppure verranno sanati in qualche modo?
    Terzo problema: che accadrà ai pagamenti già liquidati?
    La contestazione è dietro l’angolo, perché se il Tar dovesse confermare il ricorso di Deloitte, emergerebbe un solo dato: Cogea non doveva trovarsi lì.

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    Gianluca Gallo, assessore regionale all’Agricoltura

    Fondi fermi, il pericolo per l’agricoltura in Calabria 

    In ogni caso, si annuncia un pessimo Natale per tutti gli imprenditori che hanno anticipato somme per avviare i progetti.
    In attesa di capire che pesci prenderà la Regione, in particolare l’assessore all’Agricoltura Gianluca Gallo, è sicuro che si accumuleranno ritardi, che colpiranno tutto il settore agricolo con danni di non pochi milioni di euro a migliaia di aziende.
    L’allarme, al momento, è strisciante. Ma, fanno capire alcune associazioni di categoria (ad esempio la Cia) potrebbe esplodere da un momento all’altro. E quando certi allarmi esplodono, vuol dire che la catastrofe è vicina.

  • Disabilità e inclusione: una rivoluzione tutta calabrese

    Disabilità e inclusione: una rivoluzione tutta calabrese

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    Quante difficoltà devono affrontare i disabili e i loro familiari? E in Italia quanti diritti effettivi godono?
    Forse proprio la Calabria ha iniziato una piccola rivoluzione che, a partire da alcune situazioni critiche, potrebbe dare il via a una nuova epoca. Certo, la situazione non è rosea, a partire dai progetti individuali. Da noi, infatti esistono ritardi nell’applicazione della legge 328 del 2000. Le previsioni di questa normativa ora sono incluse nei fondi del Pnrr.

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    La sede regionale del Tar

    Tar e disabilità

    La magistratura ha dovuto dare la classica “strigliata” al sistema.
    Infatti, il Tar di Catanzaro ha dato una risposta a due famiglie annullando le note dei Comuni di Vibo Valentia e di Lamezia Terme.
    Un record, in questa materia delicata, grazie al quale i nostri giudici amministrativi tallonano le decisioni pionieristiche di Aosta e Catania.
    Nello specifico, parliamo dei genitori di due minori che nel 2019 avevano chiesto ai propri Comuni di adottare i progetti individuali per disabili. Questi progetti devono essere inoltrati dal Comune, in sinergia con l’Azienda sanitaria territoriale, per attingere ai fondi regionali.

    Vibo e Lamezia: due realtà nel mirino

    Vibo e Lamezia e le rispettive Asp avevano provato a sottrarsi. Ma il Tar di Catanzaro ha deciso altrimenti e ha ordinato a Comuni e Asp di concludere entro 90 giorni il procedimento.
    Queste due sentenze, tra le prime in Italia, sono finite in molti siti web specializzati in Sanità o di legali esperti in materia. I giudici hanno stabilito che i diritti dei disabili sono esigibili, quindi devono avere risposta immediata, pena la condanna.
    La Calabria sarà pure indietro nella tutela dei disabili, ma forse la magistratura è avanti. E ha qualche potere particolare: ad esempio, quello di nominare commissari ad acta. Insomma, non si scherza più.

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    Barriera architettonica a Vibo

    Io autentico: una onlus in lotta per i disabili

    La onlus “Io autentico” di Vibo, in prima linea nella tutela degli autistici, ha fatto il punto sui progetti per disabili. «Abbiamo avviato da tempo un intenso lavoro di sollecitazione e di affiancamento con diversi enti locali e sanitari, oltre che con la Regione. Abbiamo partecipato attivamente alla stesura del piano sociale regionale 2020-2022 della Calabria, Ciò non è tuttavia bastato fino a che il Tar quest’anno non è intervenuto contro Vibo e poi quello di Lamezia».

    Disabili: Vibo fila ma l’Asp arranca

    Da allora, il Comune di Vibo Valentia, vanta un primato: «È stato il primo in Calabria ad avviare la predisposizione e la realizzazione dei progetti di vita in modo sistematico col coinvolgimento dell’Asp. Finora, nel Vibonese sono attivi sessantatré progetti per disabili».
    E c’è di più: «l’Ambito territoriale sanitario di Vibo Valentia (16 Comuni) è quello più attivo. E non va male l’Ats di Spilinga, che comprende altri 17 Comuni. L’Asp di Vibo registra forti ritardi, difficoltà e inadempienze nei confronti del Comune, nonostante un protocollo operativo firmato proprio con l’ente comunale, nella gestione della progettazione, per carenza di professionisti».

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    L’Asp di Vibo Valentia

    Bene Cosenza, male Reggio, peggio Crotone

    Nel resto della Calabria, si segnala la provincia di Cosenza, dove sono in corso progetti nei Comuni di Rende, San Giovanni in Fiore, Praia a Mare e Scalea.
    A Catanzaro, invece, c’è da star certi che la recente sentenza del Tar contro Lamezia velocizzerà i procedimenti.
    La situazione resta difficile a Reggio, dove “Io autentico” era intervenuta in audizione lo scorso luglio presso la Commissione pari opportunità del capoluogo per avviare una collaborazione per le numerose istanze pendenti che tuttora, però, restano tali.
    Perciò «nei confronti del Comune di Reggio Calabria è pendente un ricorso al Tar contro il silenzio-inadempimento. La provincia di Crotone, purtroppo, non è pervenuta».

    Cosa prevede la legge del 2000

    La legge n. 328 del 2000 (legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) prevede che, ai fini della piena integrazione scolastica, lavorativa, sociale e familiare, si predisponga un progetto individuale per ogni soggetto con disabilità psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva. Attraverso i progetti si creano percorsi personalizzati per massimizzare i benefici.
    Al riguardo, si legge sul sito web dell’Anffas (Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale): «Nello specifico, il Comune deve predisporre, d’intesa con la Asl, un progetto individuale, indicando i vari interventi sanitari, socio-sanitari e socio-assistenziali di necessita per la persona con disabilità, nonché le modalità di una loro interazione».

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    Un mezzo dell’Anffas

    Un diritto blindato

    Attraverso tale innovativo approccio si guarda al disabile non più come ad un semplice utente di singoli servizi. Ma lo si considera «una persona con le sue esigenze, i suoi interessi e le sue potenzialità da alimentare e promuovere».
    Il progetto individuale, infatti, «è un atto di pianificazione che si articola nel tempo e sulla cui base le Istituzioni, la persona, la famiglia e la stessa comunità territoriale possono/devono cercare di creare le condizioni affinché quegli interventi, quei servizi e quelle azioni positive si possano effettivamente compiere».
    L’importanza e la centralità della redazione del progetto individuale è oggi ampiamente ribadita dal primo e dal secondo programma biennale d’azione sulla disabilità approvati dal Governo, che ne prevedono la piena attuazione, quale diritto soggettivo perfetto e quindi pienamente esigibile.

    Assistenza ai disabili

    Questo diritto è ancorato allo stesso percorso di certificazione ed accertamento delle disabilità ed è identificato quale strumento per l’esercizio del diritto alla vita indipendente ed all’inclusione nella comunità per tutte le persone con disabilità. Come previsto, in particolare, dalla convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità)».

    La buona scuola

    Oggi, la legge 112 del 2016 (disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive di sostegno familiare, nota come legge sul durante e dopo di noi) individua proprio nella redazione del progetto individuale il punto di partenza per l’attivazione dei percorsi previsti dalla stessa.
    La redazione del progetto individuale per le persone con disabilità è ulteriormente ripresa anche dalla riforma della “buona scuola” del 2015.

    Il progetto individuale comprende vari aspetti. Innanzitutto, il profilo di funzionamento. Poi le cure e la riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale. Inoltre, include il piano educativo individualizzato a cura delle scuole. Il Comune fa la sua parte, direttamente o tramite accreditamento, coi servizi alla persona. La strada è lunga ma proprio dalla Calabria è partita l’ennesima battaglia per il pieno riconoscimento di tutti i diritti già previsti dalla normativa per i disabili e per i loro familiari.

  • Campora addio: il Tar boccia Amantea

    Campora addio: il Tar boccia Amantea

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    Niente da fare: il Tar ha bocciato il secondo ricorso con cui Amantea voleva bloccare il referendum che chiede agli abitanti di Campora San Giovanni se vogliono staccarsi per creare un nuovo Comune assieme alla vicina Serra d’Aiello.
    I giochi sono fatti e l’esito della consultazione è scontato, visto che voteranno solo i camporesi e i serresi,
    La “nuova” Amantea sarà mutilata, perché i suoi confini si fermeranno alla foce del fiume Oliva. Sull’altra sponda nascerà Temesa, un nuovo Comune in cui si fonderanno Serra e Campora.

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    Scorcio del centro storico di Amantea (foto di Camillo Giuliani)

    Campora e Amantea, una scissione mascherata

    Non è la prima volta che Campora vuole divorziare da Amantea. Al riguardo, i promotori dell’attuale referendum ricordano che già negli anni ’70 i camporesi avevano tentato il distacco con una raccolta di firme che finì in niente.
    Stavolta, invece, la manovra è riuscita meglio, perché gli organizzatori hanno presentato la scissione sotto le mentite spoglie di un’annessione.

    Ovvero: non è Campora che vuole andar via, ma la vicina Serra d’Aiello che vuole annettersela per creare un nuovo Comune.
    L’operazione, a prima vista, sembra ineccepibile, perché Campora è abitata essenzialmente da serresi e da persone provenienti da Aiello Calabro.
    In più, c’è la presunta eredità dell’antica città greca, Temesa appunto, a nobilitare il tutto.

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    Reperti del Museo di Temesa

    I numeri non mentono

    Ma se si guarda ai numeri, le cose non stanno proprio come le hanno presentate il Comune di Serra e il comitato promotore.
    Serra d’Aiello, nota nel recente passato per lo scandalo dell’Istituto Papa Giovanni XXIII, ha appena 516 abitanti ed è prossima all’irrilevanza demografica.
    Campora, al contrario, è il boccone grosso, grazie ai suoi 3.047 abitanti.
    Temesa, quindi, sarebbe un Comune di 3.516 abitanti, in cui i camporesi farebbero la parte del leone.

    Tuttavia, secondo i bene informati, Temesa non si fermerebbe qui, ma dovrebbe, nei prossimi anni, inglobare anche Aiello Calabro (1.388 abitanti) e Cleto (1.176 abitanti).
    I numeri, in questo caso cambiano, perché il nuovo Comune arriverebbe a 6.127.
    Non cambia, però, il problema giuridico: il Testo unico degli Enti locali vieta la costituzione di nuovi Comuni al di sotto di 10mila abitanti.
    Ma la perla vera di questa storia è un’altra.

    Il Tirreno come i Balcani

    La delibera del Consiglio Regionale 82 del 6 giugno 2022, che approva il referendum consultivo con cui i serresi e i camporesi dovranno dar vita a Temesa, contiene dei passaggi strani. Inquietanti, nella peggiore delle ipotesi, o involontariamente comici nella migliore.
    A pagina 4 del documento, infatti, si apprende che amanteani e camporesi apparterrebbero quasi a etnie diverse: arabi gli uni e magnogreci gli altri.
    Leggere per credere: «la diversa terminologia e la cadenza della lingua dialettale comunemente parlata dai Camporesi, è quasi identica a quella parlata dai Serresi e simile al dialetto parlato dai cittadini di Aiello Calabro».
    Perciò «palese è la netta diversità dal vernacolo amanteano che identifica innegabilmente la propria etnia, che a tutt’oggi fa risaltare l’influenza araba degli invasori».

    Ustascia croati durante la guerra civile jugoslava

    L’argomentazione ricorda alcuni ragionamenti deliranti degli etnonazionalisti balcanici durante la guerra civile della ex Jugoslavia. Solo che allora si confrontavano per davvero popoli diversi, con culture e lingue diverse (serbi, croati, sloveni, albanesi ecc).
    Non è il caso dell’attuale basso Tirreno. Fermiamoci qui, perché anche al trash c’è un limite. Con tutto il rispetto per storia e archeologia.

    Amantea: una città in ginocchio

    Il referendum per l’accorpamento di Campora e Serra è l’ennesima pugnalata ad Amantea, che oggi non se la passa bene, ma che la scorsa primavera, quando tutto è iniziato, era addirittura in ginocchio.
    La cittadina tirrenica, infatti, era priva di sindaco perché commissariata per mafia (la seconda volta in poco più di dieci anni). Ma Amantea ha un problema peggiore della ’ndrangheta: le casse, oberate da un debito difficile da quantificare e comunque enorme.
    Secondo i bene informati, il “buco” oscillerebbe tra quaranta e cinquanta milioni. Se si considera che il bilancio cittadino dovrebbe pareggiare attorno ai 15 milioni, la situazione è border line. E ricorda assai da vicino quella di Cosenza, fatte le debite proporzioni tra popolazione, gettito fiscale e territorio.

    I manovratori del Referendum: Graziano il “legislatore”

    Diamo un nome ai protagonisti di questa storia. Il primo è Giuseppe Graziano, consigliere regionale già in quota Forza Italia e tornato a Palazzo Campanella in quota Udc. Graziano è famoso per aver presentato la legge regionale 2 del 2018, che fondeva i Comuni di Rossano e Corigliano.
    Graziano, la scorsa primavera, è stato autore della proposta di legge 54-112 che promuove la nascita di Temesa.
    Domanda: come mai il “ginecologo” della nascita del più grande Comune del Cosentino, oggi promuove la mutilazione di una città?

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    Giuseppe Graziano

    Cuglietta: il sindaco frontman

    La proposta non è farina del sacco di Graziano. Ma proviene dall’amministrazione di Serra d’Aiello, guidata da Antonio Cuglietta, diventato sindaco in seguito a un ricorso andato a segno contro la ex prima cittadina Giovanna Caruso. Cuglietta è il frontman dell’operazione, che tuttavia lascerebbe piuttosto tiepidi i suoi concittadini.
    Già: Serra, travolta dal crack del Papa Giovanni, è uscita da poco dal dissesto finanziario. Se si fondesse con Campora, rischierebbe di ripiombarci, perché forse erediterebbe la parte del debito amanteano che la frazione porterebbe con sé.

    Iacucci: l’utente finale

    I bene informati, ancora, riferiscono della presenza di Franco Iacucci nella Commissione affari costituzionali della Regione durante i lavori preparatori del referendum.
    Una presenza curiosa, visto che Iacucci non fa parte di questa commissione. Tuttavia, l’ex presidente della Provincia di Cosenza sarebbe il beneficiario principale della nascita di Temesa e della sua ulteriore espansione.
    Già storico sindaco di Aiello, Iacucci è molto radicato nella zona. Non è da escludersi perciò un suo interesse politico diretto. Il quale motiva anche il ruolo defilato tenuto dal consigliere.

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    Franco Iacucci guarda con interesse alla separazione di Campora da Amantea

    Campora via, Amantea sulle barricate

    Ciò ha causato qualche imbarazzo al Pd di Amantea, in particolare al consigliere comunale Enzo Giacco, che ha chiesto al suo partito di intervenire in maniera energica.
    Cosa non avvenuta, visto che la delibera del Consiglio regionale è passata con 23 voti su 25 votanti e 6 assenti. Il Pd, evidentemente, o non si interessa troppo di Amantea o non vuole pestare i piedi a un suo big.

    La resistenza amanteana, praticamente bipartisan in Consiglio comunale, è guidata dal sindaco Vincenzo Pellegrino, insediatosi lo scorso giugno. Pellegrino ha tentato due ricorsi al Tar.
    Il primo, con cui chiedeva la sospensione del referendum, è stato rigettato con un’ordinanza. Col secondo, l’amministrazione è entrata nel merito e ha chiesto l’annullamento del referendum.

    Vincenzo Pellegrino

    Cala il sipario. Per ora

    Ancora non è detta l’ultimissima parola, che potrebbe spettare al Consiglio di Stato.
    Ma al momento Amantea subisce l’ennesima batosta.
    Già: non bastavano le infiltrazioni criminali, non bastavano i debiti. Ora la sua frazione più grossa se ne va. E porta con sé molte attività commerciali e produttive. E, soprattutto, il porto e il Pip, i due asset strategici che forse sono il vero motivo di tutta l’operazione. Più povera e adesso mutilata, l’ex regina del Tirreno scende un altro gradino in direzione di un declino che sembra inesorabile.
    A meno che non ci sia un giudice a Roma meglio disposto nei suoi confronti.

  • Stessi diritti: Sud alla carica contro le oligarchie del Nord

    Stessi diritti: Sud alla carica contro le oligarchie del Nord

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    Ci risiamo: l’autonomia differenziata è tornata al centro del dibattito, dov’era entrata poco prima delle Politiche del 2018, su iniziativa degli allora tre governatorissimi del Centronord-che-conta: Luca Zaia, Roberto Maroni e Stefano Bonaccini.
    Il tutto con un inquietante trasversalismo (Bonaccini, è il caso di ricordare, è dem di estrazione Pci) che lascia mal sperare.
    L’allarme, allora, partì da Gianfranco Viesti, guru dell’economia, e fu accolto soprattutto da Roma in giù.
    E ora? Ha provveduto Massimo Villone, costituzionalista ed esponente della sinistra dura-e-pura, a rinfrescare la lotta con un ddl che prova a dare uno stop al cosiddetto neoautonomismo, iniziato più di venti anni fa con la riforma del Titolo V della Costituzione promossa da D’Alema.

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    Un momento del dibattito a Villa Rendano

    Se n’è parlato il 9 novembre a Cosenza, per la precisione a Villa Rendano, in Stessi diritti da Nord a Sud, un dibattito promosso dalla Fondazione Attilio e Elena Giuliani, che ha restituito gli umori e le preoccupazioni sulle autonomie.

    Falcone: il Sud alla Riscossa

    Il Sud alla riscossa? Sì. Ma stavolta non fa rivendicazioni inutili o gratuite. Lo ha chiarito Anna Falcone, giurista e portavoce di Democrazia Costituzionale, che sostiene il ddl Villone: «Il Coordinamento Democrazia Costituzionale non vuole demolire l’autonomia differenziata, che anzi per vari argomenti può essere utile».
    Piuttosto «miriamo a garantire i diritti fondamentali del cittadino attraverso l’uniformità normativa».
    In pillole: «Ci sono materie che non possono essere gestite direttamente dalle Regioni, neppure da quelle più ricche». E cioè: Sanità, Scuola e istruzione, Università e ricerca, Lavoro e Infrastrutture. «Questi settori», prosegue Falcone, «Devono essere disciplinati dalla legge dello Stato per garantire l’uniformità di trattamento di tutti i cittadini».

    Altrimenti, «L’Italia rischia di fare un percorso antistorico: un Paese già non grande di suo che si spezzetta in aree più piccole si indebolirebbe davanti all’Ue, che ha fatto il contrario». Ovvero, che «sta pian piano cementando la sua identità politica attraverso i fondi del Pnrr». Detto altrimenti: attraverso la solidarietà.

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    Anna Falcone

    Esposito: attenti al portafogli

    Non è del tutto vero che il Coordinamento Democrazia Costituzionale non abbia rivendicazioni. Lo ribadisce l’intervento di Marco Esposito, firma economica de Il Mattino di Napoli e autore di due libri chiave di un certo neomeridionalismo: Zero al Sud (Rubbettino, Soveria Mannelli 2018) e Fake Sud (Piemme, Milano 2020).
    «Il progetto dell’autonomia differenziata contiene un nuovo pericolo, dovuto al Pnrr». In pratica, alcune classi dirigenti del Nord, secondo Esposito, «mirano a egemonizzare questi fondi».
    Con un risultato paradossale: «L’Ue ha concesso i fondi all’Italia sulla base di tre parametri a rischio: popolazione, disoccupazione e reddito», che sono determinati (purtroppo) dalla situazione del Sud.
    Viceversa, se si fosse puntato sul Pil, che avrebbe avvantaggiato il Nord «il Paese avrebbe avuto le briciole».

    L’inghippo dell’autonomia differenziata

    Quindi, i problemi del Mezzogiorno consentono l’incasso dei fondi, che tuttavia il Nord vuole capitalizzare. Anche con un meccanismo non bello: la predisposizione di una “cassa” da cui le Regioni ricche potrebbero attingere i fondi che i “terroni” non sono in grado di impiegare.
    Ma la situazione è cambiata: «Il Sud non è solo, perché una parte dell’opinione pubblica settentrionale ha capito l’inghippo» ed è pronta a dare battaglia.

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    Marco Esposito

    Gambino: il Parlamento è impotente

    Silvio Gambino, costituzionalista e ordinario Unical, denuncia un’altra insidia: la marginalizzazione del Parlamento nell’attuazione delle autonomie differenziate.
    «La legge Calderoli, che attua il comma 3 dell’art. 16 della Costituzione, è bloccata. Tuttavia, è prevista un’intesa diretta tra governo e Regioni, che il Parlamento può solo accettare o respingere in blocco, senza possibilità di emendamenti».

    Una specie di plebiscito da aula, che non consente passi indietro, a meno che non vogliano farli le Regioni. «Tuttavia, perché una Regione dovrebbe rinunciare a ciò che la avvantaggia?».
    Ma la avvantaggia fino a un certo punto: «Se l’autonomia differenziata passasse», spiega ancora Gambino, «Ci troveremmo di fronte al paradosso per cui una Regione a Statuto ordinario come la Lombardia avrebbe più poteri di una Regione a Statuto speciale come la Sicilia, che a sua volta ne ha di più della Baviera, che non è una Regione, ma il più ricco Stato federato della Germania». Ogni altra considerazione è superflua.

    Paolini: che brutta la prepotenza delle oligarchie

    Più barricadero, Enzo Paolini di Avvocati Anti-Italicum. L’autonomia differenziata, argomenta Paolini, «è una delle due facce della stessa medaglia». L’altra è il Rosatellum.
    Già: «Il sistema elettorale attuale è prodotto dalla stessa cultura istituzionale che vuole riformare le autonomie». Cioè «una cultura irrispettosa del rapporto tra cittadini e rappresentanti e che vuole privilegiare solo le oligarchie».

    Giannola: silenzio, parla Svimez

    In chiusura del dibattito, il lungo intervento di Adriano Giannola, il presidente di Svimez. Più di quaranta minuti a braccio, densi di concetti e polemiche, gestiti con tono pacato ma parole ferme.
    Il ragionamento centrale di Giannola è semplice: il Sud è ridotto male, ma il Nord arretra. Morale della (brutta) favola: le tre Regioni che vogliono l’autonomia differenziata rischiano di  diventare le cenerentole dell’Europa settentrionale.
    Di questo pericolo ci sono le avvisaglie: «Il Piemonte è entrato nell’area di coesione e alcune Regioni del Centro (Marche e Umbria) sono in palese declino».

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    Adriano Giannola

    Quindi, o si cresce tutti assieme oppure il crollo sarà inesorabile: solo questione di tempo.
    La possibilità di ripresa passa attraverso la posizione geografica dell’Italia: «Il centro del Mediterraneo che guarda verso l’Africa, un continente problematico ma in forte crescita commerciale».
    Ma con la litigiosità interna e la scarsa intenzione del governo a gestire seriamente le opportunità, quasi non ci sono vie di uscita.
    I terroni, quando si arrabbiano, incutono qualche timore. Ma quando pensano fanno addirittura paura.

  • Da Peppe mani di forbice ai cubani: tante ricette, nessuna cura

    Da Peppe mani di forbice ai cubani: tante ricette, nessuna cura

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    Peppe Scopelliti, allora trionfante presidente della Calabria, quel giorno di settembre del 2010 solcava la folla adorante per entrare nel cinema Morelli come Mosè aveva aperto il Mar Rosso. Era venuto a Cosenza per annunciare la sua cura per salvare la malatissima sanità regionale: chiudere gli ospedali. Appena sotto il palco, in prima fila, l’allora deputato dell’Udc Roberto Occhiuto plaudiva sorridendo alla decisione. Il nome dato all’evento politico era “Meno sprechi, più qualità” e sappiamo com’è andata a finire: i calabresi sono rimasti senza cure, Scopelliti è finito in carcere (ma scontata la pena è riuscito a portare a casa una discreta somma da baby pensionato) e Roberto Occhiuto è diventato presidente della Regione. Quel pomeriggio non poteva certamente immaginare che la patata bollentissima della sanità sarebbe finita proprio nelle sue mani.

    Sanità in Calabria, non si salva nessuno

    Quella scelta, di chiudere ben 18 ospedali, non era una decisione di stampo tatcheriano, ispirata dalla cieca fiducia nel mercato del liberismo lacrime e sangue. La Destra italiana, infatti, non ha mai avuto quella drammatica statura. Fu invece una ricetta fatta in casa: abbiamo debiti? Chiudiamo gli ospedali. Il prezzo l’hanno pagato quelli che non hanno trovato strutture di prossimità, né qualità in quelle lontane. Non solo: la spesa non è diminuita, così come il debito mostruoso accumulato in decenni di politica bipartisan. Perché in questa storia triste non c’è chi si salvi, da Chiaravalloti a Loiero, da Scopelliti a Oliverio, fino alla breve parentesi di Santelli, passando per l’interregno di Spirlì.

    Emergenza e normalità

    Nel mezzo la Calabria ha dovuto affrontare la più grande pandemia del dopoguerra con strutture sanitarie inadeguate, pochi medici, risorse insufficienti. Era una emergenza, ma anche la normalità non è che andasse bene. Mesi per effettuare una ecografia, o qualunque esame diagnostico, una crepa dentro cui si è con profitto infilata la sanità privata facendo di fatto la differenza tra chi può pagare e curarsi e chi no, alla faccia di quanto scritto sulla Costituzione circa il diritto alla salute.

    Sanità, un anno dopo

    Oggi il deputato che sorrideva all’idea di mutilare la sanità calabrese ha ereditato, anche da se stesso, un fardello gravosissimo e in soccorso ha chiamato circa 500 medici cubani dei quali, annunci a parte, si è saputo poco o nulla. A Repubblica, nel febbraio 2022 dichiarava «Sono commissario alla Sanità da due mesi e ho trovato un disastro» e ottimisticamente aggiungeva: «ma datemi un anno». Febbraio 2023 è vicino, un anno passa in fretta.

  • Commissari e deficit, così la Calabria non riesce a guarire

    Commissari e deficit, così la Calabria non riesce a guarire

    In sede di rendicontazione generale della spesa regionale del 2021, ancora una volta, la Corte dei Conti ha sancito l’inadeguatezza della gestione del Servizio Sanitario Regionale della Calabria.  Tra i nodi cruciali, l’assoluta incertezza riguardo la modalità di impiego delle risorse e i risultati conseguiti dal servizio sanitario. La Regione infatti, negli anni non ha mai approvato il bilancio di esercizio consolidato in aperta violazione dell’art. 32 del d.lgs 118/2011.

    La Sanità in Calabria? Piani di rientro e commissari

    Dal 2010, il Sistema Sanitario Regionale è soggetto al Piano di Rientro dai disavanzi sanitari regionali e al commissariamento. Il meccanismo contabile che obbliga una Regione alla sottoscrizione del Piano di Rientro si innesca quando il disavanzo sanitario supera il cinque per cento della somma delle entrate sanitarie regionali (finanziamento statale + ticket). Oppure quando il disavanzo non supera il cinque per cento, ma la Regione non è in grado di garantirne la copertura con i mezzi che ha a disposizione.

    Il Piano di Rientro ha potenzialmente due pilastri fondamentali: uno finanziario ed uno socio assistenziale. Da un lato si prevede l’ottenimento dell’equilibrio di bilancio e dall’altro si vigila al rispetto dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) costituzionalmente garantiti. Negli anni, il Governo ha nominato ben otto commissari ad acta per risanare la situazione, senza che mai nessuno ne sia venuto a capo.

    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    L’attuale commissario è il presidente della Regione Roberto Occhiuto, nominato quasi contestualmente alla sua elezione nel 2021. Il commissario ad acta è responsabile dell’approvazione del bilancio di esercizio consolidato, deve determinare il disavanzo e adottare i necessari provvedimenti per il suo ripiano. Questa figura estromette di fatto il Consiglio regionale dalla gestione e dalla legislazione in ambito sanitario.

    Mentre a Roma parlano, in Calabria gli ospedali chiudono

    Fin dalla sua elezione Occhiuto ha dichiarato: «Sulla sanità mi gioco tutto». Poi, però, ha fatto qualche passo indietro minacciando di non sedersi più al Tavolo Adduce (dal nome della dirigente governativa che presiede le riunioni sul Piano di Rientro). Il motivo? «La sanità della Calabria ha bisogno di strutture ministeriali che ci aiutino, non di atteggiamenti pignoleschi e ragionieristici da parte di funzionari dello Stato».

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    Striscioni di protesta davanti all’ospedale di Cariati (foto Alfonso Bombini)

    I dodici anni di Piano di Rientro hanno ridisegnato profondamente la geografia della sanità calabrese con una serie di tagli, dismissioni e riconversioni. In questo contesto, nel 2011, si è predisposto il taglio orizzontale di diciotto ospedali di medio-piccole dimensioni che reggevano le aree interne della Regione. Questa scelta non ha tenuto conto delle condizioni orografiche del territorio, del fabbisogno sanitario della popolazione e dei tempi di percorrenza verso gli ospedali principali, a loro volta sull’orlo del collasso vista la sempre crescente affluenza di pazienti.

    Deficit e blocco del turnover: così la Sanità in Calabria va a rotoli

    Gli indicatori finanziari disponibili – seppur non esaustivi né definitivi – continuano a delineare una assoluta invarianza della spesa sanitaria regionale. Il deficit è in continuo aumento. In altri termini, la chiusura degli ospedali non ha sortito alcun beneficio finanziario. E col blocco del turnover il personale sanitario ed amministrativo è diminuito del 19% in dieci anni. Una bolla che continua a gonfiarsi.

    Già nel 2020, la Corte dei Conti affermava che «l’analisi effettuata ha confermato, ancora una volta, come il deficit sanitario dichiarato sia totalmente inattendibile e probabilmente ampiamente sottostimato». Riguardo agli aspetti finanziari del Piano di Rientro risulta impossibile trarre giudizi positivi e definitivi. Si possono invece constatare le gravi criticità che pongono la Calabria abbondantemente al di sotto della soglia di adempienza dei LEA, con punteggi molto lontani rispetto alla media italiana.

    E i cittadini pagano

    Nel rilevamento 2019, il punteggio basso di 125 (la soglia è di 160), in peggioramento rispetto all’anno precedente, si deve soprattutto alle gravi carenze nell’area dell’assistenza sanitaria e all’insufficiente dotazione di posti letto. E così anche i cittadini, che già subiscono la privazione di un sistema sanitario adeguato, elargiscono di tasca loro sempre più risorse per curarsi. Le ragioni sono almeno tre: l’aumento forzato dell’addizionale IRPEF e dell’aliquota IRAP nella misura massima; l’emigrazione sanitaria verso altre regioni; il ricorso forzato, infine, alla sanità privata ed alle visite intramoenia. La Calabria, infatti, è tra le regioni d’Italia con maggiori difficoltà di accesso alla diagnostica strumentale.

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    La Cittadella regionale

    La Calabria spende poco e male per la Sanità

    Uno dei problemi principali è che la Calabria spende poco e male. Delle tante risorse finanziarie (soprattutto comunitarie) destinate alla sanità, pochissime si trasformano in azioni concrete volte ad adeguare il sistema. Progetti come quello della Rete Case della Salute spesso migrano da una programmazione settennale alla successiva. E penalizzano il finanziamento di nuovi progetti.
    A tal riguardo, anche la Corte dei Conti sottolinea che è necessario dare impulso ed accelerare tutto il processo di spesa per scongiurare la perdita di importanti e significative risorse.

    Enrico Tricanico

  • Intercettazioni, la Riforma Nordio piace a Occhiuto

    Intercettazioni, la Riforma Nordio piace a Occhiuto

    «Questo è il primo governo di centrodestra dopo tanti anni, con un magistrato ministro della Giustizia. Giudico positivamente il fatto che Nordio abbia avuto il coraggio di proporre certi temi, forse partendo da una posizione che è più favorevole a fare le riforme, proprio perché è un magistrato che è stato in trincea». Sono parole espresse da Roberto Occhiuto, presidente della Regione Calabria, intervenuto oggi a “Tg1 Mattina” su Rai 1.

    «Abuso delle intercettazioni»

    «Nordio, ad esempio – ha sottolineato Roberto Occhiuto – è ancora più credibile quando dice che a volte c’è stato un abuso delle intercettazioni. Le intercettazioni sono uno straordinario strumento d’indagine. Lo dico io che governo una Regione nella quale è importante non avere alcun cedimento nell’attività di contrasto ai poteri criminali, ma a volte le intercettazioni sono diventate uno strumento di lotta politica».

    Giudici e azione penale

    «La separazione delle carriere – ha affermato Occhiuto – è un altro punto che Forza Italia ha sempre evocato come necessario per riformare il sistema della giustizia. Così come l’obbligatorietà dell’azione penale: se i magistrati sono bravi hanno la possibilità di stabilire quali attività vadano perseguite e quali no. Probabilmente queste riforme non sono state ancora fatte perché da tanti anni non c’è un governo con una maggioranza coesa come quella attuale. Questo è un governo che ha una maggioranza politica che in Italia non vedevamo dal 2011. Quindi, probabilmente questo esecutivo è nella condizione di fare ciò che governi con coalizione più larghe, che paradossalmente nascevano per realizzare cose più coraggiose, non sono riusciti fare».

  • Autonomia ed energia, una rima (anche) per la Calabria

    Autonomia ed energia, una rima (anche) per la Calabria

    La buona notizia è che la Calabria, fra fonti rinnovabili, idroelettrico e altre fonti non fossili, produce più energia di quella necessaria alla sua autonomia energetica. Addirittura siamo al 42% sulle rinnovabili, dato che ha entusiasmato Younous Omarijee, presidente della Commissione Europea per lo Sviluppo Regionale, di recente in visita in Calabria. Evviva, verrebbe voglia dire. E invece no. Anzi quasi.
    Tutto bello, certo, se non fosse che, per il tramite di alcune datate convenzioni con scadenze non proprio dietro l’angolo, la Regione Calabria ha affidato ad una società per azioni lombarda, la A2A, quotata in borsa e con 7 miliardi di fatturato, la gestione dei propri bacini idroelettrici.

    L’acqua verso Nord e la Calabria a secco

    Primo risultato? In forza di tali convenzioni, l’A2A, legittimamente sia chiaro, destina il grosso della produzione di energia elettrica verso il Nord utilizzando l’acqua dei nostri invasi. Secondo risultato? Accade che a causa dei mutamenti climatici e quindi in piena siccità e parallela crisi idrica, ci si ritrovi con i laghi quasi completamente svuotati. E con città come Crotone che, ad esempio, rischiano la paralisi degli approvvigionamenti idrici per uso domestico e agricolo. A penalizzarci è una convenzione che orienta l’utilizzo delle risorse idriche (nostre) verso priorità diverse da quelle espresse dalle esigenze sociali e produttive del territorio.
    Le domande che ora vorremmo porre sono quasi banali. Per esempio: attesa l’eccezionalità della situazione meteo, i termini di queste convenzioni non possono essere rivisitati per intervenuta eccessiva onerosità o, magari, per distorsione della relazione sinallagmatica fra le parti contraenti?

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    Sila, il lago Ampollino svuotato

    L’autonomia passa dall’energia: la Calabria e l’esempio del Veneto

    In attesa che qualche giurista risponda al quesito, vorremmo lanciare una proposta chiara e forte. Visto che produciamo più energia di quella a noi oggettivamente necessaria, perché non pensiamo ad una autonomia differenziata che ci veda protagonisti e non spaventati da quello che il Nord e/o il Ministro Calderoli potrebbero architettare ai nostri danni? Sapete che il Veneto ha già approvato una legge che dispone il trasferimento della proprietà delle centrali idroelettriche alla Regione? Sapete che il presidente Zaia impazza già sui social rivendicando l’evento come primo passaggio verso l’autonomia della Regione Veneto?

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    Luca Zaia posa con un militante durante una manifestazione in favore dell’autonomia del Veneto

    Un gestore pubblico tutto calabrese

    E perché la Calabria non dovrebbe riscoprirsi coraggiosamente autonoma e, addirittura, visto il surplus energetico, regione fornitrice dell’intero mercato nazionale, nel settore delle rinnovabili, atteso che sole, vento e correnti marine non sembrano proprio mancarci? E chiaro o no che la tendenza di scenario, tra Agenda Onu 2030 e PNRR, muove inarrestabile verso la transizione ecologica e la sostenibilità?
    Perché non costituire, da subito, un soggetto pubblico calabrese per la captazione, trasformazione, stoccaggio e distribuzione di energia derivante da fonti rinnovabili visto che le risorse naturali sono nostre e soprattutto non rare?

    Indipendenti, non col cappello in mano

    Attenzione a non giocare la solita partita vittimistica dell’autonomia differenziata e del Sud depredato. Cambiamo modulo di gioco: per la prima volta, nella nostra storia, proviamo a riscoprirci autonomi ed intraprendenti anziché genufletterci all’A2A di turno per pietire, con il solito cappello in mano ormai sgualcito, volumi aggiuntivi di acqua o di energia visto che, soprattutto, parliamo di risorse nostre.
    E poi magari, nel frattempo, stiamo attenti a non dimenticare che lo stesso soggetto pubblico potrebbe, anzi dovrebbe, avviare la pianificazione degli investimenti necessari a giocare la partita energetica del futuro: quella sull’idrogeno.
    La Calabria regione leader, in Italia, nelle energie rinnovabili. Dai, proviamo a regalare una prospettiva, un lavoro e un sogno alle nuove generazioni calabresi. I calabresi siamo noi.

  • L’Italia che frana: pioggia, fango e condoni

    L’Italia che frana: pioggia, fango e condoni

    Ci sono due espressioni forti, per indicare i rischi del territorio in Italia, soprattutto al Sud.
    La prima è un classico: si dice Casamicciola, per rievocare il terribile terremoto del 1883, in cui rischiò la vita Giustino Fortunato e perse la famiglia Benedetto Croce.
    La seconda riguarda la Calabria ed è tratta da un’espressione dello stesso Fortunato: lo sfasciume pendulo sul mare.
    La recente alluvione che ha messo in ginocchio Ischia e, in particolare, Casamicciola Terme, ha riacceso i riflettori sui pericoli del nostro territorio, dovuti a tre fattori: la gracilità del suolo, il rischio sismico e l’intervento dell’uomo, molte volte incosciente.
    Di tutto questo si è discusso durante il dibattito svoltosi a Villa Rendano lo scorso 2 dicembre, significativamente intitolato: “Pioggia, fango, lutti e licenze edilizie: l’Italia crolla”.

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    L’architetto Daniela Francini

    Cinque studiosi a confronto

    Moderato dal giornalista Antonlivio Perfetti, il convegno di Villa Rendano è stato il quarto avvenimento organizzato dalla Fondazione Attilio ed Elena Giuliani su argomenti di stringente attualità.
    Il dibattito, pacato nelle forme ma forte nei contenuti, è stato animato da cinque addetti ai lavori: Paolo Veltri, professore Ordinario di Costruzioni Idrauliche dell’Unical, i due ricercatori del Cnr Carlo Tansi e Olga Petrucci, l’architetto e urbanista Daniela Francini e Flavio Stasi, il sindaco di Rossano-Corigliano, un territorio ad alto rischio idrogeologico, come ricorda l’esondazione del 2015.

    Il colpevole quasi perfetto è il Comune

    La requisitoria di Veltri, che ha aperto i lavori subito dopo i saluti della vicesindaca di Cosenza Maria Pia Funaro, è pesantissima.
    Per l’ex preside di Ingegneria, tragedie come quelle di Ischia non hanno un solo imputato, ma sono l’esito di una serie di responsabilità diffuse. Si va dalla pessima utilizzazione dei mezzi e del personale all’insufficienza della politica nazionale di difesa del suolo, in cui la Calabria ha il consueto ruolo della Cenerentola, perché priva di una classe politica forte, capace di pretendere dallo Stato.
    Al riguardo, si registra il pesante paradosso dei sorveglianti idraulici, che sono in cassaintegrazione proprio quando piove, cioè quando servirebbero di più.
    Gli indiziati più pesanti, tuttavia, restano la Regione, accusata di assenteismo nelle opere fluviali e gli enti locali. I Comuni, in particolare, sono il colpevole quasi perfetto, sia per quel che riguarda i controlli sia per la facilità con cui le amministrazioni chiudono un occhio sugli abusi edilizi o li condonano.

    La natura è benigna, l’uomo no

    Carlo Tansi e Olga Petrucci del Cnr intervengono nel focus organizzato dalla Fondazione Giuliani con due approcci diversi ma convergenti.
    Tansi va giù duro sugli abusi e rovescia il paradigma dei disastri ambientali. Le frane e le alluvioni? Secondo il geologo sono processi benigni, perché consentono il ripascimento delle spiagge, che altrimenti verrebbero spazzate vie dall’erosione costiera.
    I danni, invece, li fa l’uomo, quando usurpa con interventi edilizi dissennati gli spazi della natura. E la Calabria? Occorre fare attenzione al meteo: i guai inizieranno con le piogge.
    Già, prosegue il geologo: possiamo fregare la legge e lo facciamo spesso. Ma la natura è un tribunale che emette sentenze inappellabili.
    L’unica risposta è la prevenzione, che inizia dalla consapevolezza. In questo caso, dalla conoscenza dei luoghi su cui non si deve costruire.
    Al riguardo, è utilissima l’esperienza di Petrucci, che ha realizzato una serie di volumi (reperibili anche su Google Books) dedicati alle zone a rischio idrogeologico in Calabria e ha realizzato un data base sulle catastrofi nel bacino mediterraneo.

    Il colpevole? La burocrazia. Parola di sindaco

    Flavio Stasi, il sindaco di Rossano-Corigliano, punta il dito sulla lentezza delle procedure per l’erogazione di fondi e mezzi per la tutela del territorio.
    «Le situazioni mutano sempre, perché il territorio non è statico. I mezzi arrivano spesso quando non servono più». Il rimedio, secondo il primo cittadino dello Jonio, si riassume in una parola: semplificazione. Già: la tempestività degli interventi, molte volte, è più importante dei fondi stessi.
    Dura l’accusa sulla facilità con cui spesso sono concessi i condoni. Ma al riguardo, Stasi dichiara di avere la coscienza a posto: «Noi abbiamo ripreso a demolire».

    Prima la sicurezza, poi la giustizia

    L’architetta urbanista Daniela Francini si sofferma, invece, sulla pianificazione.
    A suo giudizio, la pianificazione inesistente o inadeguata è in cima alla lista dei rischi.
    In particolare, è difficile tuttora implementare i nuovi metodi di pianificazione, come dimostra il caso di Ischia.
    Prevenire i disastri significa soprattutto tutelare le vite umane: quando si scopre un abuso, sostiene Francini nell’incontro promosso dalla Fondazione Giuliani, occorre innanzitutto mettere in sicurezza i fabbricati sotto accusa, poi sanzionare. «Se si fosse agito così», commenta l’architetta, «forse non piangeremmo dei lutti».

    L’Italia crolla e la Calabria ancor di più? Forse sì. Ma prima di stracciarci le vesti sarebbe il caso di acquisire consapevolezza e approfondire.
    Prevenire è meglio che curare. Ma per prevenire occorre sapere.