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  • Consiglio regionale, tre poltrone in attesa di giudizio

    Consiglio regionale, tre poltrone in attesa di giudizio

    All’inizio erano cinque, ora sono tre. Ma continuano a ballare.
    Sono le poltrone di Palazzo Campanella, tuttora oggetto di ricorsi giudiziari sulla base della stessa accusa: l’ineleggibilità dei titolari attuali durante le ultime elezioni che hanno portato all’attuale composizione del Consiglio regionale della Calabria. Parrebbe, suggeriscono i bene informati, che la Corte d’Appello di Catanzaro dovrebbe finire di decidere a brevissimo, forse in settimana, su questi duelli di Tribunale, iniziati tutti nella primavera del 2022 con risultati alterni.

    Dal Consiglio regionale a Roma: Loizzo lascia la Calabria

    Uno degli aspetti più eclatanti delle Regionali 2021 fu il “siluramento” del leghista cosentino Pietro Molinaro, che fece ricorso contro la ex capogruppo Simona Loizzo.
    Molinaro perse presso il Tribunale di Catanzaro lo scorso 9 marzo e, ovviamente, impugnò.
    Per fortuna sua, del suo partito e della sua collega, le Politiche dello scorso autunno si sono rivelate decisive: Simona Loizzo è diventata deputata e Molinaro le è subentrato in Consiglio regionale.
    Anche la Lega tira un sospiro di sollievo, visto che l’elezione della dentista cosentina ha fermato le diatribe interne al gruppo regionale.

    Simona Loizzo

    Fedele, l’unica perdente (finora…)

    L’azzurra Valeria Fedele risulta la più subissata (e danneggiata) dai ricorsi.
    Contro di lei si sono scatenati in Tribunale Antonello Talerico e Silvia Parente. E Talerico, difeso dagli avvocati Luisa e Anselmo Torchia e Jole Le Pera, l’ha spuntata in primo grado.
    Il Tribunale di Catanzaro ha ritenuto credibile con un’ordinanza la presunta ineleggibilità di Fedele, che al momento della campagna elettorale era direttrice generale della Provincia di Catanzaro e non si era dimessa.
    Il duello continua, perché la Fedele – già vicinissima a Mimmo Tallini e poi a Giuseppe Mangialavori – si è affidata a un esperto: l’avvocato cosentino Oreste Morcavallo, che si dice fiducioso per l’Appello.

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    Valeria Fedele

    Tutti contro Comito

    La Fedele non è l’unico bersaglio di Talerico e Parente. Il duo ha preso di mira anche l’attuale capogruppo azzurro Michele Comito.
    Comito è un pezzo grosso della Sanità vibonese: è, contemporaneamente direttore del Dipartimento emergenza-urgenza e accettazione e Direttore dell’Unità operativa complessa di Cardiologia-Utic dello “Jazzolino” di Vibo Valentia.
    Per lui il Tribunale di Catanzaro si è pronunciato con un’ordinanza a favore: Comito non è ineleggibile, sostengono i giudici, perché si era messo in aspettativa per tempo.
    Anche nel suo caso, si attende la sentenza d’Appello.

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    Michele Comito

    Faide azzurre e inciuci a Catanzaro

    Anche a livello regionale il centro della Calabria si rivela complessissimo, come se già non bastasse il caos delle ultime Amministrative di Catanzaro.
    Infatti, se il doppio appello di Talerico e Parente dovesse andare a segno, la mappa politica cambierebbe in maniera sensibile. Soprattutto, sarebbero due belle botte per Mangialavori.
    Infatti, Comito è vicino al coordinatore regionale azzurro ed è cognato dell’ex capogruppo regionale forzista e ora deputato Giovanni Arruzzolo.

    Antonello Talerico

    Il suo siluramento sarebbe una bella vendetta, innanzitutto per Talerico, in guerra con Mangialavori sin dalle ultime regionali e poi candidatosi a sindaco di Catanzaro dopo averne dette di tutti i colori.
    Dopo aver ricevuto il corteggiamento di Calenda, Tal         b v     vxerico si è sistemato in Noi con l’Italia di Maurizio Lupi. Con questa sigla, il dissidente forzista fa parte della maggioranza di centrosinistra che sostiene l’amministrazione di Nicola Fiorita a Catanzaro.
    Ma, oltre a Talerico, è approdato alla corte di Lupi anche Mimmo Tallini, che considera Mangialavori qualcosa di peggio del fumo negli occhi…

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    Silvia Parente

    Consiglio regionale: corsi e ricorsi in Calabria

    Giusto un dettaglio piccante per gli amanti delle curiosità: Silvia Parente è la figlia di Claudio Parente.
    Anche Parente padre non è un tifoso di Mangialavori: infatti, nel 2014 tentò contro di lui un ricorso elettorale che arrivò in Cassazione. E perse.
    Ora Silvia, prima dei non eletti, fa la stessa cosa. Quando si dice “corsi e ricorsi storici”…

    Giuseppe Mangialavori

    Gelardi salvo anche in Appello

    A nord della Calabria, le Politiche hanno evitato guai al Carroccio.
    Invece, nel Reggino la Corte d’Appello ha calato il sipario sul duello tra Stefano Princi, dipendente del Comune di Santo Stefano d’Aspromonte e già fedelissimo di Nino Spirlì, e l’attuale capogruppo leghista Giuseppe Gelardi.
    Quest’ultimo, difeso da Rosario Maria Infantino, aveva già ottenuto verdetto favorevole dal Tribunale lo scorso 9 marzo. Secondo i giudici di Catanzaro non costituiva motivo di ineleggibilità il fatto che Gelardi non si sia messo in aspettativa da dirigente scolastico.
    E Princi – difeso da Jole Le Pera, Anselmo Torchia e Maria Carmela Sgro – ha impugnato.
    Ma niente da fare: il secondo grado conferma Gelardi.

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    Giuseppe Gelardi continuerà a sedere nel Consiglio regionale della Calabria

    In Calabria è guerra tra grillini per il Consiglio regionale

    L’unico duello non di destra è quello interno al Movimento 5stelle, tra la ex capolista grillina della Calabria centrale Alessia Bausone e il consigliere regionale Francesco Afflitto, medico in forze presso l’Asp di Crotone.
    Bausone, difesa da Giovanni Cilurzo, ha perso il primo grado lo scorso 14 marzo e si prepara all’Appello contro Afflitto, difeso da Eugenio Vitale e Antonio Amato.

    Un po’ di suspense

    Le sentenze dovrebbero arrivare a breve e, forse, alla spicciolata: la Corte d’Appello non ha unificato i ricorsi, che comunque riguardano casi e situazioni ambientali diversi.
    L’eventuale vittoria dei ricorrenti si risolverebbe in un maxi rimpasto nei due gruppi della maggioranza, dove risulterebbero ridimensionati i leader regionali.
    Tutto questo al netto di altrettanto eventuali (e non improbabili) ulteriori ricorsi in Cassazione.
    Una cosa alla volta…

  • Comuni al verde, sanità in rosso: conti in Calabria, la Regione glissa

    Comuni al verde, sanità in rosso: conti in Calabria, la Regione glissa

    L’unica notizia uscita dal convegno Bilancio regionale 2021 e Corte dei Conti: quello che i calabresi non sanno, tenutosi a Villa Rendano lo scorso 20 gennaio, è che il Consiglio regionale non ha detto una parola.
    Ed è gravissimo: i rilievi pesanti fatti a dicembre dalla magistratura contabile meritavano più di una riflessione politica in Calabria.
    Vi ha provveduto, in parte, la Fondazione Attilio e Elena Giuliani, che ha radunato attorno al classico tavolo un economista, Giuseppe Nicoletti, un veterano del sindacato, Roberto Castagna, e due sindaci, Stanislao Martire e Pietro Caracciolo, rispettivamente di Casali del Manco e Montalto Uffugo.
    Il tutto, sotto la moderazione del giornalista Antonlivio Perfetti.

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    Il tavolo dei relatori

    Corte dei Conti: la Calabria si confronta 

    Le affermazioni della Sezione regionale della Corte dei Conti sono piuttosto note.
    Ma l’analisi di Nicoletti mette a nudo i problemi con particolare crudezza, perché si basa sulla comparazione tra la Calabria e altre due regioni di media grandezza per rapporto abitanti-territorio: la Liguria e le Marche.
    In apparenza, i dati sembrano simili; tutte e tre le Regioni hanno difficoltà a riscuotere i tributi, e soffrono, inoltre, di forti vincoli ai bilanci, oscillanti in media sul 70%, dovuti alle spese sanitarie.
    Allora, dov’è l’inghippo?

    La povertà fa la differenza

    Quel che ci danneggia, prosegue Nicoletti, è la sostanziale povertà del sistema socio-economico: il reddito medio del calabrese (ci si riferisce solo ai contribuenti e non al “nero”) è di 13.837 euro annui, contro i 22.250 della Liguria e i 19.750 delle Marche.
    Quindi, non riuscire a recuperare un miliardo e mezzo sui sette e rotti di entrate tributarie accertate non è grave: è tragico.
    Soprattutto perché l’aspetto più debole è costituito dalle entrate “libere”, cioè utilizzabili senza vincoli, solo il 12%, dalla spesa per il finanziamento del debito sanitario, non ancora quantificato (155 milioni) e dall’emigrazione sanitaria (242 milioni). Manca poco all’asfissia.

    Le lacune del sindacato

    Roberto Castagna, il segretario generale dei pensionati della Uil, fa in parte un mea culpa: il sindacato è intervenuto tardi nel dibattito dopo aver latitato.
    Il che non è poco, in una Regione dove la tenuta sociale e il sistema dei diritti sono a forte rischio. E questo senza invocare il peso della criminalità organizzata.
    Si rende necessaria, a questo punto, una forte presenza delle sigle dei lavoratori, soprattutto nei settori “caldi”, dalla pubblica amministrazione alla Sanità, appunto.

    L’ira dei sindaci

    Sempre a proposito di Sanità, la provocazione più forte “volata” dal dibattito riguarda le frizioni campaniliste tra Catanzaro e Cosenza per il Corso di laurea in Medicina.
    La proposta, lanciata dal moderatore, di aprire un dibattito tra i rettori di Unical e Magna Graecia, ha punzecchiato a dovere i due sindaci.
    Parteciperemo senz’altro e in prima fila, affermano Martire e Caracciolo.
    La condizione finanziaria della Calabria pesa tantissimo sui Comuni, che restano spesso col classico cerino in mano.
    Così è per molte imposte, di cui sono i riscossori, così per i servizi.

    L’Università della Calabria

    Acqua e rifiuti

    I servizi idrici sono un punto dolente fortissimo, su cui Martire e Caracciolo hanno insistito tantissimo: con che risorse possiamo provvedere alla manutenzione della rete idrica se la maggior parte delle somme va alla società di gestione?
    Discorso simile per i rifiuti: i Comuni si accollano lo spazzamento e la gestione delle discariche. Per questo motivo l’ipotesi, avanzata da Roberto Occhiuto, di centralizzare a livello regionale la riscossione, più che perplessità desta allarmi. E via discorrendo.

    La grande malata: i conti della Sanità in Calabria

    Solo di recente la Calabria ha istituito i “tavoli” di confronto tra sindaci e Regione. E il coordinamento tardivo, ovviamente, non aiuta a lenire la situazione.
    Soprattutto se si pensa che i veri problemi sono altrove. E li rivela un acronimo sinistro: Lea, cioè livelli essenziali di assistenza, dove siamo gli ultimissimi, con un punteggio di 125 su un minimo di 160. Per la Sanità può bastare. O forse no: manca alla conta la quantificazione effettiva del debito. E i 500 milioni rilevati all’Asp di Reggio non fanno sperare bene.

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    L’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria

    Fondi europei e Calabria: i conti non tornano

    Altra nota dolente, i finanziamenti statali ed europei, che sono l’unica vera risorsa di cui disponiamo. La Calabria spende poco (circa 300 milioni l’anno) su un budget di 2 miliardi e rotti. Peggio ancora per le somme da recuperare per sospetta frode o irregolarità: 260 milioni.
    In una situazione così, i conti non bastano: occorrono gli scongiuri.

  • Pari opportunità: né partiti né colore… tranne in Calabria

    Pari opportunità: né partiti né colore… tranne in Calabria

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    Ci sono temi che non sono di destra o di sinistra, perché sono bisogni e diritti garantiti dalla Costituzione. Per esempio, la Sanità. Ci sono temi che non dovrebbero entrare nel maledetto spoils system, perché quello che i cittadini si aspettano dalla politica è che metta la persona giusta al posto giusto, e non il più fedele. Ci sono temi universali che toccano la pelle delle persone, che non dovrebbero mai essere oggetto di una contesa personale di coalizione, di corrente, di vicinato. Per esempio, le Pari Opportunità.

    Pari opportunità: il caso De Blasio

    E invece stavolta è successo, alla Regione Calabria, un grottesco incidente: Daniela De Blasio, nominata alla presidenza della Commissione, si è dimessa dopo 24 ore. Fattore scatenante, un comunicato di Fratelli d’Italia che rivendicava la carica. Motivo ufficiale e diplomatico, l’impegno della manager reggina – un lungo curriculum sui temi di genere, incarichi di rilievo nazionale, lo Sportello Donna – accanto alla vicepresidente Giuseppina Princi.

    La sede del Consiglio regionale della Calabria

    Un incidente di percorso per una Giunta che sta lavorando molto sul piano dell’immagine, sua e della Calabria. Ma questa vicenda è un case-history sul quale forse è il caso di fare un ragionamento. Sono vicende così che allontanano i cittadini dalla politica. Dove domina il gusto del parlare, dei comunicati ermetici e comprensibili solo agli addetti ai lavori.

    Le poltrone di Fratelli d’Italia

    Capita che il presidente del Consiglio regionale, il leghista Mancuso, faccia i complimenti a De Blasio per la nomina alle Pari opportunità, e che poi arrivi in tempo reale il comunicato polemico di Fratelli d’Italia. Che testualmente scrive: «Non siamo attaccati alle poltrone, però non possiamo rimanere impassibili». Tralasciando l’uso del termine “poltrona” e cioè il contrario di una concezione della politica al servizio del cittadino: anche in termini di comunicazione, sembra che la pari opportunità sia quella di dividersi le cariche, quindi l’uso di quel termine è un autogol.

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    De Blasio e Mancuso

    Io da cittadino avrei voluto sapere e capire perché la dottoressa De Blasio non va bene, e quali sono le idee dei partiti in un comparto così sensibile, dove la disoccupazione femminile è sopra il 30 per cento, a livelli peggiori rispetto a dieci anni fa. De Blasio ha preso 10 voti su 11 in Commissione, quindi una nomina bipartisan, assenti solo i due consiglieri di FdI. Una scelta con una sua logica e con un certo consenso.
    Invece, tanto tempo perduto, e una sfiducia nel Palazzo che cresce.

  • Occhiuto s’è preso Crotone: sfiducia Ferrari, riesuma Sculco, Voce in scacco

    Occhiuto s’è preso Crotone: sfiducia Ferrari, riesuma Sculco, Voce in scacco

    Acque agitate a Crotone dopo le ultime nomine del presidente della Regione Roberto Occhiuto. Non sono andate giù a molti e c’è chi parla di un Sergio Ferrari (presidente della Provincia e sindaco di Cirò Marina) imbufalito.
    Già, perché Occhiuto due settimane fa ha scelto come propria consulente Flora Sculco, l’ex consigliera regionale dei “Democratici e Progressisti”, poi candidata non eletta tra le file dell’Udc.

    Dovrà occuparsi, riporta l’atto di incarico, di «azione di raccordo politico istituzionale con il sistema delle autonomia locali del territorio della Provincia di Crotone, sui temi riguardanti la verifica della appropriatezza ed efficacia dell’attuazione del programma di governo, con particolare riferimento alla definizione e realizzazione degli obiettivi strategici afferenti il territorio della Provincia di Crotone in materia di comunicazione del territorio». Una bella gatta da pelare per Ferrari: con gli Sculco è agli antipodi.

    Occhiuto, Ferrari e Crotone: le ultime parole famose

    Soltanto lo scorso settembre Occhiuto a Crotone dichiarava che era un «riferimento per il territorio e gli amministratori locali». Non solo: gli riconosceva – informalmente, è ovvio – il ruolo di «consigliere regionale aggiunto del territorio»
    All’indomani delle Provinciali del dicembre 2021, poi, il coordinamento regionale di Forza Italia (che ha a capo il presidente della commissione Bilancio della Camera, Giuseppe Mangialavori) aveva diramato una nota. Dal testo inequivocabile: «La vittoria di Sergio Ferrari segna un nuovo inizio per la Provincia di Crotone e, dopo il trionfo alle ultime elezioni regionali, conferma l’ottimo stato di salute del centrodestra in Calabria (…) è l’uomo giusto per imprimere una svolta e far rinascere la Provincia di Crotone».La nomina di Sculco, però, pare cambiare lo scenario. Tanto che Ferrari è pronto a rilanciare e presentare venerdì un “movimento dei sindaci” definito «apartitico».

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    Occhiuto e Mangialavori in campagna elettorale

    Il casus belli

    Alle Regionali che incoronarono Roberto Occhiuto, Sergio Ferrari si accreditò sostenendo i candidati di punta scelti da Mangialavori: Michele Comito e Valeria Fedele. Quest’ultima, senza aver mai messo piede a Cirò Marina, superò le 600 preferenze nel paese di Ferrari. Il sindaco lanciò così la propria candidatura alla presidenza della Provincia. E proprio in quella occasione emerse il forte contrasto con Enzo Sculco, fresco di mancata rielezione regionale della figlia tra le file dell’Udc. Uno smacco non da poco per lui, che del partito è responsabile organizzativo regionale (anche se oltre alla candidatura della prole non risulta abbia organizzato un bel niente in quasi due anni di incarico).

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    Flora ed Enzo Sculco

    Sculco vide fin da subito come fumo negli occhi la candidatura di Ferrari. La bollò come «una scelta esterna, fuori dai partiti della coalizione». E stilò lui stesso una lista provinciale, “Crotone protagonista”. Annoverava solo 5 candidati su 10, di cui tre consiglieri comunali di Melissa, comune guidato dal “cigiellino” Raffaele Falbo ma a maggioranza sculchiana. Basti pensare che tra i candidati c’era anche Maria Carmela Sculco, sorella dello stesso Enzo.

    Sfiducia di fatto

    Fiutata l’aria, a due giorni dal voto Sculco dichiarò di votare Ferrari. La sua lista ottenne comunque il 5,5%, ma non riuscì ad eleggere nemmeno il favorito Antonio Megna, consigliere comunale di Crotone. Un segnale di debolezza rispetto a Ferrari, che asfaltò il sindaco della città pitagorica Enzo Voce toccando il 63,7%.

    Ora Flora Sculco (con tanto di ufficio al decimo piano della Cittadella, si sussurra) dovrà occuparsi del “raccordo politico istituzionale con il sistema delle autonomie locali del territorio della Provincia di Crotone” con riferimento proprio all’attuazione del programma di governo regionale. Ferrari viene, di fatto, sfiduciato. Troppi gli imbarazzi causati dalla macchina amministrativa di Cirò Marina (dal “caso Padel” alle “parentopoli” su cui abbiamo scritto). Anche perché nelle ultime settimane se ne sono aggiunti altri: incarichi in municipio coi fondi Pnrr.

    Capodanno col Pnrr

    Dopo i colloqui del 27 dicembre, il 31 sono arrivati i contratti di collaborazione per i professionisti. Ma chi sono i beneficiari? Tralasciando la nuova esperta del settore informatica Ramona De Simone – che dal suo profilo LinkedIn risulta commessa da Trony dal 2017 – ci si imbatte in una nuova sfilza di parenti.
    L’esperta in tematiche ambientali sarà – era l’unica candidata – Anna Lisa Filippelli. È la figlia dell’ex senatore e sindaco di Cirò Marina, oggi consigliere comunale, Nicodemo, esponente del partito “Italia del Meridione” di Orlandino Greco.
    Si resta ancora di più in famiglia con il settore giuridico. Lì gli esperti saranno, infatti, marito e moglie: Francesco Scarpelli e Maria De Mare. Lui solo esperto “junior” però, nonostante sia cugino della moglie del vicesindaco Pietro Mercuri.

    Ritorno al passato

    Come esperto in monitoraggio e controllo c’è Livio Zizza, marito di Caterina Fuscaldo. Che è figlia di Pino, responsabile ufficio segreteria del Comune, e nipote di Giancarlo, presidente del consiglio comunale durante la precedente amministrazione (sciolta per mafia) guidata da Nicodemo Parrilla. Quest’ultimo in Stige ha riportato una condanna in primo grado a 13 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. La Procura ne ha chiesto la conferma nell’appello tuttora pendente.
    L’esperta del settore geologia sarà invece Rosita Prato, nipote dell’ex dirigente comunale (dallo scorso marzo in pensione) Mario Patanisi e sorella dell’assessora – nel 2016 sempre con Parrilla – Assunta Prato.

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    Ferrari con Siciliani in un convegno di qualche anno fa

    Nessuna parentela, invece, per l’esperta in opere pubbliche. L’architetta Vittoria Giardino, comunque, non è nuova in municipio. Risulta, infatti, già beneficiaria di incarichi professionali dal comune di Cirò Marina anche durante la giunta guidata da Roberto Siciliani, che vedeva proprio Ferrari assessore.
    Siciliani, lo si ricorderà, è stato condannato sia in primo grado che in appello nel filone con rito abbreviato di Stige: 8 anni di carcere per concorso esterno.

    Occhiuto e il firma-gate di Crotone

    Il commissariamento (o quasi) di Ferrari non è l’unica mossa di Occhiuto a Crotone. Senza Forza Italia (o alcuni filoni di essa) probabilmente il sindaco pitagorico Enzo Voce, espressione del movimento “Tesoro Calabria” di Carlo Tansi, sarebbe già un vago ricordo politico.

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    Vincenzo Voce, sindaco di Crotone

    Subito dopo le Provinciali del dicembre 2021, spuntò fuori un documento nel quale 13 consiglieri richiedevano la convocazione di un consiglio comunale ad hoc preannunciando di voler sfiduciare Voce. Il sindaco “tansiano” replicò in una conferenza stampa che uno dei firmatari lo aveva chiamato per disconoscere la firma, motivo per cui si sarebbe recato in Procura a presentare un esposto per falso.
    Si trattava di Andrea Tesoriere, consigliere comunale di “Forza Azzurri”, il gruppo comunale di diretta espressione del governatore Occhiuto, che dopo il “firma-gate” ritirò espressamente la firma.

    Stampelle e rimborsi: “Forza Voce”

    Un anno dopo arrivò un’ulteriore stampella da parte di Fi, direttamente dall’ex parlamentare Sergio Torromino e dall’ormai ex coordinatore cittadino, Mario Megna, divenuto presidente del consiglio comunale.
    Megna, già portaborse della consigliera regionale azzurra Valeria Fedele, è stato recentemente condannato dalla Corte dei Conti (sentenza 235/2022 del 29 dicembre 2022) al pagamento di 13.800 euro per danno erariale al Comune di Crotone. Lo stesso, lo scorso giugno, aveva chiesto l’autorizzazione al settore affari generali del Comune (determinazione 1054 del 24 giugno), per partecipare ad incontri istituzionali a Reggio Calabria presso la sede del Consiglio regionale, chiedendo il rimborso spese per viaggio e vitto.

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    Megna e Torromino

    Piccolo particolare: da portaborse, la sua sede di lavoro, da contratto, è proprio il Consiglio regionale della Calabria. Insomma, Megna ha richiesto il rimborso dal Comune di Crotone per andare a quello che era il suo luogo di lavoro.
    Oggi, invece, grazie al sindaco, avrà un compenso da 4.806 euro lordi al mese. E se Mangialavori ha preso le distanze, Torromino ha difeso l’operazione.
    In ogni caso, “Forza Voce”.

  • Terzo polo bipolare: le giravolte di Azione e Iv

    Terzo polo bipolare: le giravolte di Azione e Iv

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    Lo chiamano Terzo polo: è la compagine nata dalla federazione del partito di Matteo Renzi con quello di Carlo Calenda. Qualche giorno ad un convegno di Renew Europe il primo ha annunciato che non vi è alternativa al “partito unico”. Il secondo ne ha tracciato l’orizzonte: entro primavera per un manifesto comune e a settembre una costituente del contenitore liberaldemocratico italiano. Con una postilla: «Se incominciamo a fare a chi più è liberale, i liberali rimangono un circolo di sfigati che fanno training autogeno tra di loro. Il circolo più è esclusivo meno persone ci sono dentro».

    Le ultime parole famose

    Insomma, al solito, l’ex europarlamentare del Pd e oggi senatore del Terzo Polo non le manda a dire. Così come è chiaro nel rapporto tra la sua forza politica ed il M5S.
    «Lo dico agli amici del Pd, c’è solo un modo per gestire i 5 Stelle: cancellarli!» twittava Calenda lo scorso luglio. «Penso che il M5s dovrebbe sparire» affermava ad agosto. Mentre lo scorso mese, alla domanda se andrebbe al governo con il M5S, ha risposto: «Manco morto». Un disamore politico corrisposto, questo. Il presidente del M5S, Giuseppe Conte, giusto qualche giorno fa ha dichiarato: «Dico al Pd che il M5S non starà mai con Renzi e Calenda».

    Con tutti tranne…

    Insomma, quello che ha dettato Calenda pareva un percorso lineare. Lo ha ribadito anche sui territori, tant’è che lo scorso marzo annunciò a Catanzaro: «Ci sarà anche una lista di Azione nella competizione elettorale per le amministrative di Catanzaro di tarda primavera (…) Siamo pronti a dialogare con tutti, salvo che con l’estrema destra e il Movimento Cinque Stelle (…) non ci alleiamo con i 5 stelle e con la destra estrema perché è contrario ai nostri valori e ai nostri principi. Non lo facciamo a livello nazionale, non lo faremo a livello locale».

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    Raffaele Serò

    Pochi mesi dopo alle Amministrative del capoluogo non vi fu traccia della lista di Azione. Divenne consigliere comunale, però, il segretario provinciale Raffaele Serò. Era nella lista Io scelgo Catanzaro della coalizione civica di Antonello Talerico, quest’ultimo poi approdato, invece, in Noi con l’Italia di Maurizio Lupi. Entrambi sostengono la maggioranza di Nicola Fiorita (esprimendo anche un assessore in Giunta, Antonio Borelli), così colorita e variegata che contempla anche il M5S, con buona pace dei niet di Calenda.

    Donato in Azione

    Non è l’unico grattacapo per Azione nel capoluogo, patria del trasformismo politico e della liquidità (se non liquefazione) dei partiti.
    Ad agosto, dopo la scoppola elettorale alle Amministrative catanzaresi di giugno, il candidato sostenuto dalla Lega e da Forza Italia (e al ballottaggio anche da Fdi), Valerio Donato, già dirigente cittadino del Partito Democratico, ha aderito ad Azione, specificando di aver avuto una lunga interlocuzione «con i dirigenti nazionali e regionali di Azione».
    A dicembre, poi, insieme ai consiglieri comunali Gianni Parisi e Stefano Veraldi, Donato ha annunciato la costituzione del gruppo consiliare “Azione-Italia Viva-Renew Europe” con egli stesso come capogruppo.

    Alle spalle del segretario

    Piccolo particolare: il collega consigliere-segretario provinciale di Azione, Serò (loro avversario elettorale fino a pochi mesi prima), non è stato nemmeno avvertito. Tant’è che ha sbottato: «Nella mia veste di coordinatore provinciale di Azione con Calenda comunico che alcun gruppo di Azione è stato costituito in Consiglio comunale da parte di terzi. Pertanto, non si comprende l’iniziativa dei consiglieri Valerio Donato, Giovanni Parisi e Stefano Veraldi, autori di una nota stampa con la quale danno atto di avere costituito il gruppo di Azione, addirittura estromettendo il sottoscritto e senza consultare lo scrivente».

    Niente più gruppo

    Risultato: nell’ultimo consiglio comunale Donato (che nelle more si è anche auto-candidato come membro del Csm) e i suoi hanno comunicato che non ci sarebbe stata la costituzione del gruppo di Azione. Insomma, un gran caos. Ad acuirlo, i continui punzecchiamenti stampa dell’ex esponente Udc, Vincenzo Speziali, vicino al terzo polo, per cui il “fascicolo Catanzaro” andrà certamente preso in carico. Non pervenuta politicamente e numericamente Italia Viva. Il coordinatore cittadino Francesco Viapiana alle amministrative ha ottenuto, nella lista Riformisti-Avanti!, poco più di cento voti.

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    Calenda con Donato e Veraldi

    L’asse a Vibo

    Se la maggioranza variegata a Catanzaro farà storcere il naso a Calenda e disinteressare Renzi, figuriamoci il rassemblement vibonese.
    Alle imminenti elezioni provinciali il candidato sarà il segretario provinciale di Italia Viva Giuseppe Condello (sindaco di San Nicola da Crissa). A suo sostegno anche Azione, che vede come leader locale l’ex candidato a sindaco del Pd e oggi consigliere comunale Stefano Luciano (membro anche della segreteria regionale dei renziani).
    Luciano nell’assise vibonese ha costituito il gruppo “Al centro”  con i consiglieri comunali Giuseppe Russo, ex Pd ed ex Fi, e Pietro Comito, vicino al consigliere regionale di Coraggio Italia Francesco De Nisi.

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    Giuseppe Condello

    A sostenere Condello ci saranno oltre al Pd (con critiche al segretario provinciale Giovanni Di Bartolo e canoniche spaccature) anche il M5S, che a Vibo esprime due consiglieri: Silvio Pisani e l’ex candidato sindaco e candidato regionale Domenico Santoro, politicamente silente dopo l’ultima disfatta elettorale.
    La liaison tra Azione e il M5S nel vibonese non è una gran novità: l’attuale responsabile organizzativo dei calendiani è Pino Tropeano, candidato regionale dei grillini nel non lontano 2020.

    Terzo polo in Calabria: i renziani senza bussola

    Una nota di colore: nel 2021 Giuseppe Condello, sfidò alle regionali, da candidato del Psi, il segretario provinciale di Iv a Catanzaro, Francesco Mauro, alfiere di Forza Azzurri.
    Già, perché il coordinatore regionale di Italia Viva, l’ex senatore Ernesto Magorno, prima dichiarò di aver sostenuto Jole Santelli e, quindi, il centrodestra nel 2020 e poi si lanciò a favore della causa occhiutiana. «Pronto a essere candidato a presidente della Provincia di Cosenza. Data la mia disponibilità al presidente Occhiuto» dichiarò a fine 2021.

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    Renzi e Magorno in Calabria durante le ultime Politiche

    L’anno successivo incontrò il presidente della Regione insieme al presidente di Italia Viva, Ettore Rosato. «Per confermare il sostegno di #ItaliaViva all’azione del governo», dichiararono. Qualche mese fa, nuovamente, Magorno ha aggiunto: «Italia Viva è il primo partito a essere stato ricevuto da quando è iniziata questa consiliatura regionale, un dato non da poco che ci pone come validi interlocutori della Giunta regionale».
    Insomma, l’Italia Viva di Magorno è (al pari del capogruppo regionale del M5S, Davide Tavernise) il maggiore spot politico permanente della giunta Occhiuto.

    C’è chi dice no

    Di diverso avviso l’ex parlamentare grillina Federica Dieni. Giusto l’altro giorno, in riferimento alla pista di pattinaggio a Milano voluta da Fausto Orsomarso, ha dichiarato: «Ma c’è una voce di opposizione in consiglio regionale? Qualcuno che presenti un’interrogazione sulla opportunità di questa scelta? Ecco, se c’è batta un colpo».
    Non è la prima volta che Dieni lancia stoccate alla giunta e a Roberto Occhiuto, come quando gli disse: «Occuparsi del territorio non è una concessione». Non proprio in linea con i dettami magorniani.

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    Federica Dieni

    Terzo polo in Calabria, gli strascichi delle politiche

    Alle elezioni politiche dello scorso settembre il terzo polo si è fermato in Calabria al 4%, non eleggendo alcun parlamentare. I capilista alla Camera erano Maria Elena Boschi e, a seguire (appunto…) Ernesto Magorno. Già con il deposito delle liste nacque una polemica proprio nell’establishment vibonese che, sentendo odore di disfatta, mise le mani avanti: «Ci è stato spiegato che l’accordo nazionale prevedeva postazioni utili in Calabria solo per il partito Italia Viva di Renzi e pertanto non abbiamo potuto fare altro se non accettare con serenità quanto deciso, rinnovando l’impegno a favore del nostro territorio con la determinazione di sempre ad ascoltare e tentare di risolvere i numerosi problemi dei cittadini vibonesi».

    Si salvi chi può

    L’affondo dei calendiani sa tanto di sassolino dalla scarpa: «Siamo però con i piedi per terra e dunque affronteremo questa tornata elettorale tentando di guardare oltre il 25 di settembre nella consapevolezza che oggi gli amici di Italia Viva hanno una maggiore responsabilità sul risultato elettorale, posto che hanno avuto il grande privilegio di essere favoriti da un accordo elettorale nazionale che ha penalizzato in Calabria il partito di Azione, riducendone al minimo l’agibilità anche in termini di richiesta del voto». Insomma, si salvi chi può.

    Giada Vrenna, ex renziana di Crotone

    Terzo polo ma non troppo a Reggio Calabria

    E se a Crotone il coordinatore cittadino Ugo Pugliese ha sfiduciato Giada Vrenna, ormai ex consigliera comunale di Italia Viva, non va meglio nel reggino. Il sindaco f.f. di Reggio Calabria, Paolo Brunetti, risulta in quota Iv, mentre quello metropolitano, Carmelo Versace è di Azione. «Brunetti e Versace sono i più capaci, è stata effettuata una scelta saggia. Da parte mia, sarei onorata e orgogliosa di rappresentare la Calabria» disse la Boschi in campagna elettorale. Invece, nessuno slancio in termini di percentuale è venuto dal territorio, con perfidi detrattori che sussurrano: «I due sindaci hanno sostenuto il Pd». Insomma, terzo polo, che pasticcio!

     

  • Da Bruxelles alla Calabria: tutti gli uomini di Cozzolino

    Da Bruxelles alla Calabria: tutti gli uomini di Cozzolino

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    L’Europa è grande e il Qatar è lontano, verrebbe da dire con una battuta.
    Che, tuttavia, non vale nella società globale, come dimostra il recente scandalone che ha colpito l’eurogruppo socialista.
    Riformuliamo: l’Europa è grande e il Qatar è più vicino di quanto non si pensi. E questa vicinanza lambisce anche la Calabria. Per fortuna, la lambisce soltanto.

    Un Cozzolino è per sempre

    Le ultime notizie sul Quatargate riguardano, com’è più che noto, il napoletano Andrea Cozzolino, rieletto per la terza volta all’Europarlamento nel 2019, con 81.328 preferenze.
    Il suo ruolo nello scandalo delle mazzette islamiche non è definito, stando a quanto trapela dalle cronache. E, per elementare garantismo, ci si augura che risulti estraneo ai fatti, che comunque lo sfiorano.
    Ma gli inquirenti belgi, pensano che sotto ci sia qualcos’altro. Altrimenti non avrebbero chiesto la revoca dell’immunità parlamentare, che tra l’altro il Pd è prontissimo a votare.

    Eva Kaili

    Il cerchio magico

    Cozzolino è finito nel tritacarne essenzialmente per il suo rapporto con Francesco Giorgi, uno dei principali indagati e compagno di Eva Kaili, la ex vicepresidente del Parlamento Europeo finita per prima nei guai.
    Giorgi vanta una lunga carriera nel sottobosco dorato dei portaborse europei: ha iniziato come segretario di Antonio Panseri, anche lui tra i principali indagati, ed è passato, dal 2019 in avanti, alla corte di Cozzolino col ruolo di assistente accreditato.
    Tradotto in parole povere: non come collaboratore del gruppo ma della persona.
    Resta legittima una domanda: basta una vicinanza a rendere sospetta una persona? Forse no. E, in effetti, il teorema per cui Cozzolino potrebbe essersi sporcato di fango solo perché datore di lavoro di chi il fango lo maneggiava regge male.
    Ma c’è da dire che l’inchiesta belga non è partita da una “normale” operazione di polizia, ma è la traduzione giudiziaria dei rapporti degli 007.

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    Francesco Giorgi, assistente di Cozzolino e compagno di Kalili, anche lui nei guai

    Cozzolino e la Calabria

    L’eventuale allargarsi dell’inchiesta su Cozzolino chiarirà i reali sospetti sull’eurodeputato.
    Dai dubbi giudiziari alle certezze della politica, sono invece palesi i rapporti tra Cozzolino e la vecchia dirigenza del Pd Calabrese, che nel 2019 è ancora un gruppo forte di potere.
    Lo provano anche i consensi ottenuti da Cozzolino in Calabria: 21.570, circa un quarto degli 81mila e rotti complessivi.
    Ancora: questi 21mila e rotti diventano più vistosi se paragonati a quelli ottenuti da Cozzolino in Campania: 37mila circa.
    Non occorre essere esperti in statistica per capire che il Pd calabrese si sia mobilitato alla grande in favore dell’eurodeputato napoletano.

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    Cozzolino durante una recente visita in Calabria

    I grandi elettori

    Parliamo del Pd calabrese del 2019, che ancora amministra e tiene ben saldi i cordoni della borsa.
    Tra i grandi sostenitori di Cozzolino figurano ex big del livello di Carlo Guccione e Nicola Adamo. E, sostengono i bene informati, anche Mario Oliverio avrebbe fatto la sua parte. A scorrere l’elenco, si ha l’impressione di un partito di fantasmi, perché il potere di allora è semplicemente evaporato.

    L’altro segretario

    La forza del rapporto tra Cozzolino e la Calabria, in particolare il vecchio zoccolo duro del Pd cosentino, emerge da un altro nome: Vittorio Pecoraro, l’attuale segretario provinciale dei Dem cosentini.
    Pecoraro, formatosi a Roma, inizia la sua carriera come renziano al seguito di Stefania Covello. Poi prende la via di Bruxelles. Manco a farlo apposta, sulle ginocchia di Cozzolino, con il medesimo ruolo di Giorgi. Cioè come segretario accreditato.
    Nel 2021, tuttavia, il giovane cosentino lascia la struttura europea e passa a Invitalia.
    Siccome Roma è più vicina a Cosenza di Bruxelles, Pecoraro si mette a disposizione del partito, che punta su di lui per mettere fine al commissariamento con un congresso travagliato (e un po’ bizzarro).

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    Vittorio Pecoraro

    Largo ai giovani

    Quella di Pecoraro non è una scelta della base. Ma è dovuta, in buona parte, all’esigenza politica di curare il legame con l’eurodeputato, che in proporzione agli elettori, ha preso più voti da noi che a casa sua.
    Infatti, i risultati elettorali del giovane segretario sono stati piuttosto deboli: i suoi 28mila e rotti consensi ottenuti alle ultime politiche grazie alla coalizione a quattro guidata dal Pd, lo hanno piazzato terzo dopo la grillina Anna Laura Orrico e l’azzurro, anzi gentiliano, Andrea Gentile. E c’è di peggio: Gentile jr non si è limitato a superare Pecoraro ma, addirittura, lo ha doppiato coi suoi 65mila e rotti voti.

    Il legame vacilla

    A questo punto è lecito chiedersi: che succederà, ora che Letta ha scaricato Cozzolino? A livello giudiziario, niente.
    A livello politico, invece, emerge un paradosso: un ex uomo di Cozzolino guida una segreteria importante di un partito pronto a considerarsi parte lesa anche dall’eurodeputato, se del caso.
    Non resta che aspettare, con una buona dose di garantismo e di scaramanzia gli sviluppi del pasticciaccio europeo. Che, forse, non travolgerà politicamente il Pd calabrese solo perché è già travolto di suo.

  • Sanità liquida in Calabria: dove i privati hanno il monopolio

    Sanità liquida in Calabria: dove i privati hanno il monopolio

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    Il concetto di “liquidità” che caratterizza la nostra epoca è stato brillantemente elaborato dal sociologo Zygmunt Bauman. Secondo Bauman, la contemporaneità offre ai cittadini sempre meno riferimenti e certezze, mentre anche i diritti fondamentali soccombono alle regole del libero mercato. La sanità pubblica in Calabria è un ottimo esempio di passaggio dallo stato solido allo stato liquido. Prima di altre Regioni, in Calabria si è avviato il processo di “alleggerimento” dell’intero comparto sanitario, anteponendo i principi contabili al diritto alla cura.

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    Zigmunt Bauman, sociologo e teorico della società liquida

    Il sistema sanitario calabrese, già lontano dall’eccellenza, è stato sottoposto ad una pesante cura dimagrante fatta di chiusure, tagli lineari, depotenziamenti e blocco delle assunzioni, che – tra l’altro – non ha affatto migliorato la situazione finanziaria. Tra gli effetti di questi processi, le strutture sanitarie, sempre più a corto di personale e macchinari efficienti, hanno visto crescere le liste d’attesa fino a negare la possibilità di curarsi tempestivamente. In un contesto di grande incertezza e smarrimento, un cambiamento (forse irreversibile) è avvenuto: la sanità privata ha monopolizzato il “mercato” degli esami diagnostici e delle visite specialistiche.

    Fare sistema o fregare il sistema?

    La favola del pubblico e del privato che in ambito sanitario “fanno sistema insieme” si fa sempre più fatica a raccontarla (ed ascoltarla). I massimalisti del neoliberismo vorrebbero addirittura un mercato concorrenziale tra sanità pubblica e sanità privata, delegando il potere di scelta ai pazienti-consumatori. Le ambiguità e le contraddizioni di un approccio di questo tipo sembrano evidenti: come può il diritto universale alla salute conciliarsi con le logiche del profitto e la volubilità del mercato? Nell’ultimo ventennio si è già assistito al perverso tentativo di aziendalizzare la sanità pubblica, creando un sistema ibrido che stimola la commercializzazione della salute e che restituisce dei risultati non proprio incoraggianti.

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    L’ex presidente della Regione e commissario alla Sanità, Giuseppe Scopelliti

    La cura Scopelliti

    La cura Scopelliti, basata sullo smantellamento degli ospedali territoriali con la promessa (mai realizzata) di creare strutture assistenziali intermedie, ha aperto voragini nell’offerta dei servizi erogati dalla sanità regionale. Nelle strutture pubbliche, come soluzione alle conseguenti lunghe liste d’attesa, la prassi è divenuta re-indirizzare i pazienti verso la sanità privata convenzionata, che si è posizionata in maniera predominante sul mercato. Essendo parte integrante ed adottando la stessa tariffazione del Sistema sanitario regionale (comprese le esenzioni ticket), le organizzazioni della sanità privata non perdono occasione per ribadire il loro soccorso alla sanità pubblica, musica per le orecchie di quelli che “ben venga il privato, se il pubblico non funziona”.

    Sanità, Calabria nel gioco dei privati

    L’impatto con la realtà avviene quando le strutture private convenzionate raggiungono il tetto delle prestazioni annuali rimborsate dalla Regione ed allora, o chiedono al paziente di pagare il prezzo intero, o decidono di sospendere temporaneamente i servizi, alimentando così una sorta di circolo vizioso. La sanità privata convenzionata, tra l’altro, ha la facoltà di scegliere à la carte quali prestazioni erogare, pertanto, si concentra negli ambiti che richiedono un numero esiguo di personale qualificato ed un rimborso conveniente da parte della Regione. Tutte logiche che mal si conciliano con il principio universalistico del diritto alla cure.

    L’emorragia di personale sanitario

    Una delle principali motivazioni del collasso della sanità pubblica calabrese è sicuramente la penuria di personale: tra 2009 ed il 2020, il blocco delle assunzioni ha provocato una diminuzione del 18% del personale sanitario pubblico, che equivale a 2.674 operatori in meno. In aggiunta alla migrazione sanitaria dei pazienti, anche medici ed infermieri, stanchi di doppi turni e vessazioni, hanno avviato un esodo verso altre Regioni e verso la sanità privata convenzionata, che, nello stesso periodo, ha visto aumentare il personale sanitario del 15%.

    https://icalabresi.it/fatti/sanita-calabrese-otto-commissari-per-restare-anno-zero/
    L’ex ministro della Salute, Roberto Speranza con Roberto Occhiuto, presidente della Regione Calabria

    Il limite delle assunzioni

    Ai rigidi paletti fissati dal Piano di Rientro si è aggiunta la negligenza dei commissari ad acta, che non si sono preoccupati di assumere neanche quando i parametri statistici lo avrebbero permesso. Gli effetti a medio-lungo termine saranno forse irreversibili. Scarso appeal della Regione e concorsi che vanno “a vuoto” rappresentano il mantra del commissario Occhiuto, ma neppure una inversione di tendenza ed una maggiore attrattività permetterebbero alla Calabria di recuperare il terreno perso. Infatti, anche il nuovo ministro della Salute Orazio Schillaci ha confermato di non voler mettere mano al limite delle assunzioni che fissa il tetto massimo del personale sanitario ai livelli del 2018, prevedendo dal 2025 una riduzione della spesa sanitaria fino ai livelli pre-Covid.

    Il PNRR? Altro passo verso la privatizzazione

    Le misure finanziate dalla Missione 6 del PNRR non preannunciano alcun cambio di passo, la sanità pubblica sembra destinata ad essere travolta da una aggressiva privatizzazione dell’intero sistema. Infatti, gli investimenti sull’edilizia sanitaria e sull’acquisizione di apparecchiature, lasciano scoperto il nervo del capitale umano. Affinché il PNRR sortisca qualche effetto positivo bisognerà reclutare molte unità supplementari di personale sanitario, ma nulla si prevede in questo senso.

    In Calabria, la nuova geografia sanitaria prospettata dal Piano del commissario Occhiuto offre spunti per nuove incertezze: una programmazione nell’ottica di “portare a casa” risorse da iscrivere sui capitolati di bilancio, piuttosto che sull’analisi dei fabbisogni sanitari e dello status quo delle strutture esistenti.

    Sanità, la Calabria a conti fatti

    I numeri rendono difficile immaginare un funzionamento immediato ed a pieno regime delle nuove strutture assistenziali territoriali. 61 Case di Comunità e 20 Ospedali di Comunità da attivare entro il 31 dicembre 2026, traguardo assai improbabile se si pensa che, nella maggior parte dei casi, non esiste neppure uno studio di fattibilità preliminare per la realizzazione delle opere. La messa in funzione delle nuove strutture assistenziali richiederebbe inoltre diverse unità supplementari di personale: a conti fatti, (al netto del personale da integrare negli ospedali propriamente detti) bisognerebbe inquadrare almeno 350 infermieri e 120 operatori socio sanitari, senza contare medici, assistenti sociali e personale amministrativo.

    L’impossibilità di attivare i servizi con risorse proprie potrebbe spingere la Regione ad affidarsi ancora di più ai privati. Infatti, un particolare non trascurabile è che gli ospedali di comunità e le case di comunità sono modelli particolarmente affini ai settori che la sanità privata convenzionata predilige: riabilitazione, esami diagnostici e visite specialistiche. Ad altre latitudini già si osserva questa dinamica: la Regione si occupa dell’edilizia sanitaria ed i servizi vengono affidati a cooperative, medici a gettone e sanità privata convenzionata, una modalità ormai collaudata per “fare sistema insieme”, mentre l’accesso alle cure, sempre più liquido, inizia già ad evaporare.

    Enrico Tricanico

  • «Autonomia differenziata? Ma proprio no»

    «Autonomia differenziata? Ma proprio no»

    L’autonomia differenziata? «Se passasse, sarebbe la rovina del Sud». E, fin qui, è un luogo comune.
    Ma in questo caso è nobilitato da chi lo esprime: Vittorio Daniele, professore ordinario di Politica economica presso l’Università “Magna Graecia” di Catanzaro e sostenitore originale di una teoria economica importante e anticonformista sul ritardo storico del Sud. Questo sarebbe dovuto non tanto a fattori contingenti o a handicap politici quanto a un elemento fisiologico: la posizione geografica, a causa (o per colpa) della quale il Mezzogiorno è fuori dai traffici economici più importanti.
    Daniele ha sostenuto questa teoria in due volumi: Il divario Nord-Sud in Italia 1861-2011 (2011), scritto assieme a Paolo Malanima, e Il Paese diviso. Nord e Sud nella storia d’Italia (2019), editi entrambi da Rubbettino.
    Al che sorge un dubbio: se il Meridione è condannato alla subalternità dalla posizione, a che serve insistere sul problema delle autonomie?
    La risposta è sofisticata ma non incomprensibile: «Lo Stato e la politica hanno dei ruoli importanti, tra cui il dovere di incidere sull’economia. Quindi, anche di correggere e attenuare i gap territoriali».

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    L’Italia smembrata dagli egoismi politici

    Autonomie differenziate: è un tormentone tornato di moda quasi a ridosso delle ultime politiche. Se passasse questa riforma, avanzata tre anni fa, che succederebbe?

    «Il Sud regredirebbe di brutto, perché i trasferimenti pubblici calerebbero in misura consistente. Si consideri che le regioni meridionali, la Calabria in particolare, dipendono molto da questi trasferimenti, in cui lo Stato fa da mediatore».

    È opportuno chiarire meglio questo meccanismo, su cui si sono creati tanti equivoci.

    «Nessuna Regione del Sud prende soldi direttamente da quelle del Nord. Il Meridione riceve da ciò che lo Stato preleva dal gettito fiscale di tutte le Regioni in base a una ripartizione elaborata sulla base di un criterio: assicurare servizi uguali a tutti i cittadini italiani».

    E quindi?

    «Le tre Regioni del Nord che desiderano l’autonomia sono grandi contribuenti, dati i loro livelli di reddito. Si pensi che la Lombardia pesa per il 22% del Pil nazionale, cioè quanto l’intero Meridione. Se aggiungiamo Emilia Romagna e Veneto arriviamo al 40%.
    Alla base di queste richieste c’è un malcontento generato da un meccanismo economico: le Regioni settentrionali ricevono dallo Stato meno di quel che versano. Viceversa quelle del Sud, la Calabria in particolare, ricevono più di quel che versano. Questa differenza di trattamento si giustifica per garantire l’eguaglianza dei cittadini, che hanno diritto a ricevere cure, istruzione e infrastrutture di eguale valore».

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    Il vecchio spot della Milano “da bere”, simbolo del primato economico lombardo

     

    Un importante fattore politico, che rischia di venir meno.

    «Anche a dispetto del comma due dell’articolo tre della Costituzione, che come sappiamo impone allo Stato di rimuovere gli ostacoli che impediscono o limitano la piena eguaglianza».

    Sorge un dubbio: tutti i Paesi europei hanno divari interni, anche importanti. Possibile che le autonomie siano solo un problema italiano?

    «Le disparità e i relativi malumori esistono dappertutto. Ma i divari economici non implicano affatto differenze nei servizi pubblici. Non è così in Germania, dove il dislivello tra Est e Ovest continua a pesare. Non è così in Spagna, dove pure è avvenuto, circa quattro anni fa, un tentativo di secessione della Catalogna. Non è così neppure nel Regno Unito, nonostante i significativi divari economici regionali. Si noti che in Spagna e Germania, i Länder e le Comunità autonome hanno notevole autonomia, anche finanziaria, e competenze in numerose materie. Ma sono previste efficaci forme di perequazione che assicurano un’uniformità dei servizi».

    «Per esempio, in Spagna il Fondo di garanzia dei servizi pubblici fondamentali ha il fine di assicurare alle diverse Comunità le medesime risorse per abitante, con riguardo a servizi pubblici fondamentali come l’istruzione, la sanità e i servizi sociali essenziali. Il modello tedesco di federalismo è, invece, un modello cooperativo ben funzionante».

    Ciò implica un calo nella qualità della vita.

    «Esattamente. E invito a una riflessione: in altre nazioni europee avanzate, sarebbero tollerate le disuguaglianze nei servizi pubblici che caratterizzano l’Italia? Penso che le funzioni essenziali, soprattutto la Sanità, dovrebbero essere riaccentrate. In un paese disuguale, l’autonomia, a ogni livello, nella sanità come nella scuola, tende ad accrescere le disuguaglianze. E ciò anche per un’evidente differenza nel grado di efficienza delle Regioni nella gestione dei servizi pubblici: si pensi alla sanità in Calabria e in Emilia Romagna. Non è solo una questione di risorse, ma di capacità. In Calabria, la gestione dei servizi pubblici è stata spesso piegata a spicciole logiche politiche e clientelari».

    ».

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    Una protesta contro la Sanità calabrese

    Ma questo non cozza con la sua teoria? Se i nostri territori sono naturalmente depressi perché marginali, a che serve assicurare servizi che non avrebbero comunque ricadute economiche significative?

    «Economia e politica sono interdipendenti. Quindi, ridurre il gap nei servizi significa anche rendere più appetibili i territori a livello economico. In ogni caso, lo Stato ha il dovere di assicurare uguali servizi in tutto il suo territorio e ciò, indipendentemente, dal livello di reddito dei cittadini».

    Il Paese andrebbe davvero in pezzi se passasse l’autonomia differenziata?

    «Non credo ci sarebbe alcuna secessione, neppure “mascherata”. Si esaspererebbero le disparità e i dislivelli, già notevoli. Ma l’Italia continuerebbe a esistere, coi problemi di sempre: un Sud sempre più ridotto a serbatoio di forza lavoro e un Nord produttivo».

    La soluzione?

    «Dubito che i meccanismi di perequazione per le regioni con minore capacità fiscale, siano in grado di garantire uniformità dei servizi con la realizzazione dell’autonomia differenziata. Non solo per una questione di risorse, ma anche per le differenze nelle capacità gestionali delle Regioni meridionali. Penso che le politiche nel campo della sanità, dell’istruzione e delle infrastrutture di collegamento dovrebbero essere centralizzate: se ne dovrebbe occupare lo Stato. Per il resto, ognuno faccia da sé. Ma questi servizi devono essere uguali dappertutto».

    L’Istruzione: un altro settore che soffre il decentramento

    Secondo le teorie che ha aggiornato ed esposto in due libri diventati classici, il divario Nord-Sud non è l’effetto di patologie storiche ma è fisiologico. Cioè, è dovuto alla posizione geografica.

    Q«ueste riflessioni hanno un precedente illustre nel grande economista cosentino Antonio Serra, che agli inizi del Seicento indicava chiaramente come la situazione territoriale del Regno di Napoli, una penisola nel centro del Mediterraneo, quindi lontana dai grandi traffici, fosse un oggettivo svantaggio. Attenzione: quando scriveva Serra il processo storico che avrebbe reso le rotte mediterranee secondarie rispetto a quelle atlantiche era ancora agli inizi. Purtroppo, i fatti continuano a dargli ragione».

    Il Sud, quindi, non ha potuto o non è riuscito a svilupparsi?

    «Il Nord è stato avvantaggiato dalla dimensione del suo mercato interno e dalla vicinanza ai grandi mercati del centro-Europa con cui si è economicamente integrato. Il Sud, distante oltre mille chilometri da quei mercati e a lungo penalizzato dalla carenza di infrastrutture, è rimasto periferico. La geografia non è stata l’unica causa, ma ha contato molto nel determinare il ritardo del Sud e, seppur meno che in passato, conta ancora».

    Quanto c’è di vero nella tesi che il ritardo del Sud si debba a scelte politiche delle classi dirigenti settentrionali?

    «È innegabile che l’industrializzazione del Nord, specie nella prima fase, sia stata sostenuta dall’azione statale. Il Sud, per lungo tempo, è stato trascurato. Il divario tra le due aree, inizialmente piccolo, è aumentato in tutta la prima metà del Novecento. Poiché il processo di sviluppo tende ad autoalimentarsi, quel divario, storicamente accumulatosi, non è stato più colmato».

    Una vecchia immagine-simbolo della questione meridionale

    E le classi dirigenti meridionali che colpe hanno?

    «Hanno tante colpe, sebbene non tutte quelle che gli sono attribuite. C’è un dato fondamentale, evidente da almeno venti anni: le classi dirigenti meridionali hanno molto peso sul proprio territorio, sia perché sono mediatrici di risorse pubbliche sia per l’assenza di contropoteri sociali ed economici, ma sono modeste su scala nazionale e irrilevanti a livello europeo. E questo ha pesato, va da sé, anche per le autonomie differenziate».

    Come?

    «Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna sono state esaudite non appena hanno alzato la voce perché il Sud era sguarnito. Non c’è praticamente un leader meridionale di peso in grado di contrastare le tentazioni autonomiste».

    Eppure, il partito maggioritario della coalizione di governo ha nel suo bagaglio culturale una tradizione nazionalista che dovrebbe contrastare certe spinte centrifughe.

    «Se ci si riferisce a Fratelli d’Italia, sarei molto cauto: il partito di Giorgia Meloni ha preso il 26% su una percentuale di votanti pari al 64% degli elettori (percentuale molto più bassa al Sud). Quindi, siamo al 16% degli italiani. Ancora: Fdi ha riscosso molto più consenso nel Centronord che al Sud. E si consideri che i ministeri chiave, cioè Affari Regionali e Autonomie, Infrastrutture ed Economia, sono in mano alla Lega. Siamo sicuri che gli eredi della Fiamma Tricolore abbiano la forza e la determinazione necessarie per difendere le prerogative dello Stato e le esigenze del Sud?».

  • Ospedale e facoltà di medicina: la Sanità del tutti contro tutti

    Ospedale e facoltà di medicina: la Sanità del tutti contro tutti

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    La Calabria dei campanili è sempre pronta alle battaglie fratricide. Accade così che l’annuncio della nascita di una nuova facoltà di medicina presso l’Unical, susciti le urla di sdegno dell’università di Catanzaro, che pure non vedrà sguarnita la sua offerta formativa. A guidare il campanilistico malcontento catanzarese sono i politici della città, in modo del tutto trasversale, dalla parlamentare Wanda Ferro a Nicola Fiorita, che prima di diventare sindaco insegnava proprio all’Unical, passando per gli altri due ex candidati a guidare Catanzaro: Valerio Donato e Antonello Talerico.

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    L’Università della Calabria

    Le preoccupazioni catanzaresi sono del tutto evidenti: fin qui una sola facoltà di medicina non trovava concorrenti nel raccogliere iscritti, da domani invece ci sarà da sgomitare, ma forse nemmeno tanto, se i numeri che circolano sono esatti e raccontano di una significativa quantità di studenti calabresi che si iscrivono a facoltà di medicina fuori dalla regione.

    Una questione politica (e non solo)

    Del resto è difficile non valutare positivamente l’aver gettato il seme che potrebbe alleviare la tragedia in cui versa la sanità calabrese, visto che una facoltà di medicina apre a futuri scenari importanti in termini di miglioramento complessivo della qualità dei servizi. Basti pensare al collegamento tra la facoltà e il nuovo – e ancora ipotetico – ospedale di Cosenza, che diventando policlinico universitario, godrebbe di competenze di primo livello. Poiché la cronaca certe volte vuole diventare ironica, a portare a casa il risultato della nascita di una nuova facoltà di Medicina è stato un presidente cosentino della Regione, di cui ancora si rammentano le parole di plauso per la chiusura di 18 ospedali.

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    L’ingresso del vecchio ospedale dell’Annunziata a Cosenza

    E qui nuovamente si apre l’altra partita, apparentemente campanilistica, ma in verità del tutto politica. Infatti l’annunciata apertura della nuova facoltà di Medicina all’Unical rimette in discussione la scelta dell’area dove edificare il nuovo ospedale. Nel meraviglioso mondo della teoria il Comune di Cosenza avrebbe indicato la zona di Vaglio Lise, mettendo da parte la zona di Contrada Muoio che invece piaceva all’ex sindaco della città. Tuttavia il crudele mondo della realtà frappone non pochi ostacoli alla sua realizzazione, basti pensare che quei terreni sono della Provincia, e ancora non è chiaro se li abbia già ceduti allo scopo.

    I cugini di Campagnano

    All’orizzonte spunta un nuovo motivo per mettere in discussione la scelta fatta dal consiglio comunale di Cosenza: che senso avrebbe edificare un nuovo e moderno ospedale lontano dalla facoltà di medicina? Ed ecco che il rigurgito del mai sopito campanilismo tra Rende e il capoluogo è già pronto a riaffiorare.

    La questione va assai oltre uno scontro tra campanili, perché con tutta evidenza la nascita di un nuovo ospedale comporterebbe la crescita tutt’attorno di servizi ed infrastrutture che porterebbero economie al territorio. Per Cosenza non si tratterebbe della perdita di un “pennacchio”, ma di opportunità materiali. D’altra parte non si è mai vista una facoltà di Medicina separata dal nosocomio.

    La matrioska dei campanilismi

    A ben guardare, quindi, la nascita di Medicina all’Unical riapre i giochi e pone prepotentemente Arcavacata in cima alle possibilità di scelta: un luogo baricentrico nella già concreta idea di area urbana, rapidamente raggiungibile perché servita dall’autostrada, senza contare che i terreni su cui l’ospedale sorgerebbe potrebbero essere quelli già in possesso dell’università. Tutte ragioni che razionalmente dovrebbero spazzare via altre ipotesi.

    Il campanilismo è come una matrioska: c’è quello tra Cosenza e Catanzaro e più dentro quello tra Cosenza e Rende e più dentro ancora quello tra i politici che devono decidere.
    Ma ci sarà tempo per le barricate e le grida, perché intanto il nuovo ospedale è solo una bella intenzione. E, come dice il proverbio ebraico, «mentre gli uomini progettano, Dio ride».

  • Ecco Medicina all’Unical: la parte clinica sarà all’ospedale di Cosenza

    Ecco Medicina all’Unical: la parte clinica sarà all’ospedale di Cosenza

    «Parte Medicina all’Unical». È questo il titolo della nota stampa diramata dall’Università della Calabria e postata dal rettore Nicola Leone sulla sua pagina Facebook.
    «Medicina e Chirurgia TD (con cliniche all’Annunziata) – Il corso appartiene alla classe delle lauree magistrali LM-41 (Medicina e Chirurgia) e consente allo studente, al termine dei 6 anni e con il superamento di pochi esami aggiuntivi di ottenere un doppio titolo: sarà infatti dottore in Medicina e Chirurgia, con accesso quindi alla professione di medico, e in Ingegneria informatica, curriculum bioinformatico (laurea triennale)». Sono informazioni contenute nella nota stampa dell’Ateneo di Arcavacata.

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    L’Università della Calabria

    Medicina, Unical verso una svolta storica

    «Si tratta di una svolta storica – ha commentato il rettore Nicola Leone – che segue la riforma della proposta didattica di due anni fa. Un passaggio motivato principalmente da due necessità: dare risposta alla crescente domanda di formazione sanitaria che arriva dagli studenti calabresi, e andare in soccorso del territorio che vive da anni una profonda emergenza in campo sanitario, contribuendo allo sviluppo della sanità regionale e favorendo la crescita di competenza in settori strategici della medicina». I corsi di tutti i sei anni saranno quindi nel campus e i tirocini saranno svolti all’ospedale dell’Annunziata, che sarà interessato da un processo progressivo di clinicizzazione.

    «Il progetto – che è stato sostenuto anche dal governatore della Regione e commissario ad acta per la sanità, Roberto Occhiuto – porterà all’ospedale cosentino nuove risorse e valorizzerà i medici già presenti in ospedale, che potranno essere coinvolti nei processi formativi dell’università».

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    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Medicina, Unical incassa via libera del Coruc

    L’Unical ha già stanziato un primo investimento per l’assunzione di otto ricercatori universitari che svolgeranno attività di didattica e di ricerca in ateneo e che – dopo la firma della convenzione con l’Azienda ospedaliera di Cosenza – potranno prestare servizio clinico in ospedale, unitamente a tre professori medici già nell’organico dell’Unical. I settori disciplinari degli otto ricercatori sono stati prescelti su specialità mediche ad alta migrazione sanitaria e relative a posti attualmente vacanti nell’organico ospedaliero.
    Il Coruc – Comitato regionale di coordinamento delle università calabresi – ha dato il via libera all’istituzione di quattro nuovi corsi di laurea proposti dall’Unical e che entreranno nell’offerta formativa a partire dall’anno accademico 2023-2024, subito dopo il via libera dell’Anvur (Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) e del Ministero dell’Università e della ricerca, che dovrebbe arrivare nei prossimi mesi.

    Al via pure la laurea in Infermieristica

    L’offerta formativa d’area sanitaria dell’Unical si amplierà nel prossimo anno accademico con l’avvio del corso di laurea in Infermieristica (L/SNT1 – Lauree in professioni sanitarie infermieristiche e professione sanitaria ostetrica). Il corso, che abilita alla professione di infermeria, prevede che le attività di tirocinio si svolgano presso le strutture dell’Azienda Ospedaliera di Cosenza, dell’Asp e dell’Inrca, offrendo così un ulteriore contributo alla struttura con il rafforzamento delle risorse umane disponibili. Gli studenti di Infermieristica svolgono infatti, nel corso del triennio, 1800 ore di tirocinio in corsia e sul territorio. L’attivazione del corso viene incontro alla forte domanda di formazione che arriva degli studenti calabresi, molti dei quali sono costretti a lasciare la Calabria per frequentarlo, e alla richiesta di risorse umane che arriva dal territorio: si stima in regione una carenza di quasi 3mila infermieri.