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  • Sanità: c’è l’accordo tra ‘Ndrangheta e Regione

    Sanità: c’è l’accordo tra ‘Ndrangheta e Regione

    L’intesa era nell’aria e oggi, primo aprile, è arrivata l’ufficialità: sarà la ‘Ndrangheta a gestire per conto della Regione la Sanità in Calabria. Il lungo periodo in coabitazione non pare, infatti, aver risolto gli annosi problemi del settore. Il mondo della politica e quello della criminalità locale hanno studiato a lungo il deficit del sistema sanitario calabrese per arrivare, infine, alla più logica delle conclusioni: Azienda Zero ha concluso quanto Cotticelli finora e gli unici ad avere abbastanza denaro per tappare il buco nei conti degli ospedali pubblici da queste parti sono i clan.

    Sanità dalla Regione alla ‘ndrangheta: le prime reazioni in Calabria

    L’accordo ha la benedizione della Madonna di Polsi, per la gioia della Chiesa, e del Consiglio regionale, con le segreterie di tutti i partiti a inondare le redazioni di comunicati sul rafforzamento della storica partnership tra ‘ndrine e eletti calabresi. Laconico il commento della massoneria deviata: «A noi non cambia nulla».

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    La sigla dello storico accordo

    Timori, al contrario, nel mondo della sanità privata: il nuovo ruolo di un concorrente esperto come la ‘Ndrangheta nel ramo delle doppie fatturazioni rischia di privare gli imprenditori del loro storico monopolio del settore. I contabili di cliniche e clan sono già al lavoro, comunque, per trovare un’intesa accettabile per il futuro.

    Previsto nei prossimi giorni un incontro in Cittadella tra rappresentanti della Santa e stakeholders. Fonti qualificate preannunciano l’apertura imminente di un tavolo tecnico e la firma di un protocollo di illegalità in un appartamento dei Servizi segreti.

    Più ‘ndrangheta, meno Regione: cosa cambia per la Sanità in Calabria

    Stando alle prime indiscrezioni, non dovrebbero registrarsi troppe novità amministrative: i concorsi resteranno truccati, si procederà a gran parte di assunzioni e promozioni sempre e solo per amicizia o clientela e il costo dei dispositivi medici manterrà un prezzo superiore a quello delle altre regioni italiane. Nella scelta dei professionisti su tutto il territorio, però, saranno i clan ad avere la precedenza sui politici, invertendo così il trend degli ultimi anni di commissariamento.tiratore

    Il fenomeno dell’emigrazione sanitaria, costato finora centinaia di milioni di euro all’anno, dovrebbe ridimensionarsi, invece, grazie all’utilizzo di cecchini appostati nelle vicinanze delle strutture extraregionali interessate, pronti ad abbattere i calabresi in trasferta prima del loro ingresso.

     

    Deficit e investimenti

    Serratissimo il cronoprogramma degli investimenti: il piano per la Sanità prevede che la ‘Ndrangheta versi una piccola parte degli introiti del narcotraffico per ripianare quei bilanci che la Regione fatica ad approvare alla luce del deficit accumulato nel tempo. Liquidato così il problema nel giro di una settimana, dalla successiva si partirà con la ristrutturazione degli immobili attraverso ditte di fiducia.

    Grazie al nuovo codice degli appalti approvato dal Governo, niente più lungaggini burocratiche: per i lavori di importo inferiore ai 150 milioni di euro basterà autocertificare di aver giurato fedeltà all’ente appaltante dando fuoco a un santino. Spazio, quindi, alla costruzione di 200 nuovi ospedali in punti a caso non ancora cementificati a sufficienza.

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    Il Ponte può attendere

    Resta, invece, in bilico l’accordo per la costruzione del Ponte di Messina. Governo e Regioni premono per realizzarlo in fretta, ma la ‘Ndrangheta e Cosa Nostra frenano: troppi gli uomini già impegnati altrove al momento per garantire personale, materiali e mezzi necessari anche per la maxi opera.

  • Lo smemorato Occhiuto e quel Da Vinci a Reggio

    Lo smemorato Occhiuto e quel Da Vinci a Reggio

    Roberto Occhiuto come Saverio Cotticelli? Tra il nuovo commissario alla Sanità (nonché presidente della Regione) e il vecchio qualcosa in comune sembrerebbe esserci: la memoria.

    Quella del generale dei Carabinieri era proverbiale e lo ha reso celebre in tutta Italia: aveva dimenticato di guidare lui la Sanità durante il Covid e di dovere, per questo, redigere un piano su come affrontare la pandemia. I primi, vaghi, ricordi erano riaffiorati soltanto in un’epica intervista della Rai, coprotagonista un fantomatico usciere mai inquadrato. Cose che capitano. Giorni dopo, sempre in tv, Cotticelli per giustificarsi avanzò un’ipotesi stupefacente: qualcuno poteva averlo drogato a sua insaputa per confondergli la mente. Promise anche di indagare su se stesso e pare che l’autoinchiesta si sia conclusa senza rinvii a giudizio.

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    Lo stupore di Saverio Cotticelli per il dettaglio dimenticato

    Occhiuto, favorito anche da un’età inferiore rispetto al predecessore, vuoti di memoria di tale portata ancora non ne ha avuti per fortuna. Né, siamo certi, chiamerebbe in causa misteriosi pusher invisibili come ninja per giustificare i suoi. L’ultimo è arrivato proprio nelle scorse ore. E dietro pare esserci, più che una sostanza psicotropa, un morbo che, prima o poi, colpisce chiunque in politica: l’annuncite.

    Occhiuto e il robot Da Vinci dell’Unical…

    Il presidente Occhiuto aveva lasciato la Cittadella per celebrare l’arrivo del robot Da Vinci all’Annunziata grazie anche alla neoistituita facoltà di Medicina dell’Università della Calabria. Giusto esserci, visto che si tratta di «un investimento realizzato dall’Unical, con risorse messe a disposizione dalla Regione». L’apparecchio, d’altra parte, permetterà senza dubbio di «qualificare l’offerta sanitaria della nostra Regione e abbiamo bisogno che i saperi delle università contaminino l’intero sistema sanitario».

    Ma è proprio quando il clima è di festa che il virus dell’annuncite si insinua nei corpi delle sue vittime prendendo il controllo dei loro ricordi e annebbiandoli. E l’entusiasmo intorno al Da Vinci non ha lasciato scampo ad Occhiuto. «L’installazione di questo robot – ha sottolineato ormai preda del morbo – dà la possibilità al sistema sanitario regionale di offrire gli stessi servizi garantiti in altre Regioni. Finora chi doveva subire un intervento alla prostata era costretto ad andare fuori dalla Calabria, proprio perché il nostro sistema sanitario era sprovvisto di questo robot che ormai è ordinariamente utilizzato sia per questo tipo di interventi ma anche per altri che riguardano, ad esempio, la chirurgia toracica, oncologica o ginecologica».

    Al Gom dal 2016

    Il robot Da Vinci, però, tutto è meno che una novità per la Sanità calabrese e Occhiuto dovrebbe saperlo. Esiste e lo usano da diversi anni con successo al GOM di Reggio Calabria. Si parla di una delle eccellenze del disastrato sistema sanitario della regione, abbastanza poche da non poter sfuggire a chi lo governa.

    In una lunga e interessante intervista del giugno 2018 su Strill.it l’urologo Pietro Cozzupoli raccontava quanto Da Vinci fosse stato utile all’ospedale da quando – a novembre del 2016 – era entrato in servizio. Funziona così bene che ad operarsi a Reggio arrivano anche da fuori della Calabria. Lo ha fatto tempo fa finanche il cardinale Robert Sarah, pur non mancando al Vaticano strutture verso cui indirizzarlo. E, proprio nei giorni scorsi, il Corriere della Calabria ha riportato la notizia di un intervento chirurgico in urologia robotica al Gom che ha salvato la vita di un paziente oncologico guineano arrivato fino a Reggio per operarsi con il Da Vinci.

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    Pietro Cozzupoli (foto CityNow.it)

    «Nella nostra struttura – spiegava il dottor Cozzupoli cinque anni faesistono già due equipe formate da quattro, cinque urologi in grado di eseguire interventi robotici e una equipe infermieristica con competenze multidisciplinari. Non solo, esistono già due altre equipe chirurgiche, di chirurgia generale e di ginecologia, che operano con il robot da Vinci. Perché il nostro robot è multidisciplinare, lavora su varie specialità».
    Ma quando il virus dell’annuncite è entrato in un organismo, non c’è chirurgo o robot che possa rimuoverlo.

  • Asp alla sbarra: di nuovo in aula il “Sistema Cosenza”

    Asp alla sbarra: di nuovo in aula il “Sistema Cosenza”

    Bilanci falsificati e assunzioni clientelari all’Asp di Cosenza, riparte il processo. L’esistenza di un presunto “sistema” di corruttele nell’azienda sanitaria ha portato dirigenti, funzionari e commissari della sanità calabrese al banco degli imputati. Ad accendere i riflettori sulle presunte anomalie amministrative sono state le centinaia di segnalazioni (su delibere, determine, contenziosi, atti ingiuntivi, soccombenze, fatturazioni ai privati) partite dal collegio sindacale.

    L’organo di controllo dal 2015 al novembre 2018 era composto da: Sergio Tempo in rappresentanza della Regione Calabria; Santo Calabretta (Ministero dell’Economia e delle Finanze); Sergio De Marco (Ministero della Salute); Nicola Mastrota, responsabile Ufficio Bilancio dell’Asp Cosenza. Tempo, unico dei membri del collegio a non essere confermato nel suo incarico dalla Regione Calabria allora guidata da Mario Oliverio, in qualità di presidente aveva puntualmente trasmesso i verbali con relativi rilievi sulle problematiche contabili alla Regione, al Mef, al Ministero della Salute e alla direzione dell’Asp di Cosenza. Venne però ignorato.

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    La cittadella regionale di Germaneto

    Asp Cosenza, i verbali del collegio dei revisori

    I revisori del collegio sindacale dell’Asp di Cosenza, nei loro rilievi, mostravano preoccupazione per i 575 milioni di euro di debiti (su un valore della produzione di 1 miliardo e 200 milioni di euro) con crediti per almeno 80 milioni di euro che non erano stati cancellati per «evitare un più consistente risultato economico negativo».
    Voci (falsamente) in attivo che nel 2016 lievitano fino a diventare 94 milioni di euro. Nel bocciare il bilancio 2015 il collegio sindacale allertò gli organi competenti che all’Asp di Cosenza «la perdita sistemica degli ultimi bilanci di esercizio, – si legge nelle conclusioni della relazione del 29 maggio 2017 – denota squilibri strutturali del bilancio, in grado di provocare nel tempo il dissesto finanziario, se l’Ente non sarà in grado di adottare le misure necessarie».

    Mesi dopo il collegio, nel verbale n. 5 del 20 aprile 2018 rileva la persistenza al 31/12/2015 dello squilibrio finanziario, già rilevato nell’esercizio 2014, «in contrasto con una sana e ordinata gestione, situazione del tutto inconciliabile rispetto agli obiettivi di rientro programmati dal piano sanitario regionale».
    L’allarme con le dimostrazioni «dell’esistenza di una crisi irreversibile di liquidità» è ribadito nella Relazione al Bilancio Consuntivo del 2016 sul quale esprime parere contrario all’approvazione.

    Allo stesso modo, rilevando al 31 dicembre 2017 gli stessi squilibri finanziari del passato, il collegio sindacale sollecita approfondimenti «al fine di scongiurare il rischio della duplicazione di pagamenti e/o pagamenti non dovuti». E denuncia come l’Asp di Cosenza non sia in grado «di identificare con certezza la matrice sulla cui base i pagamenti vengono liquidati». Un’incertezza che «espone la stessa al rischio di remunerare più di una volta lo stesso importo per il medesimo pagamento». E si ripercuote ancora oggi, inevitabilmente, sulle capacità di garantire ai cittadini prestazioni sanitarie adeguate.

    Indagati dirigenti di Regione Calabria e Asp Cosenza

    Nessuno però sembrò accorgersi di quanto stesse succedendo ai piani alti dell’Asp di Cosenza, «perché non erano state scaricate le mail» (è la tesi difensiva di uno degli imputati). Poi, però, gli approfondimenti investigativi della Guardia di Finanza coordinata dalla Procura di Cosenza diedero uno scossone. Il 5 febbraio 2021 sei tra dirigenti e funzionari dell’Asp bruzia e della Regione Calabria si videro applicare la misura del divieto di dimora (3 in Calabria e 3 a Cosenza). Nove, invece, gli avvisi di fissazione dell’interrogatorio a seguito del quale il gip Manuela Gallo decise di interdire dai pubblici uffici 7 indagati per un anno e altri due per sei mesi.

    Al termine delle indagini, nel novembre 2021, gli iscritti nel registro degli indagati furono 18. Le accuse a vario titolo per loro erano: abuso d’ufficio, falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici e falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici. Per 15 è arrivato il rinvio a giudizio nel processo ancora in corso presso il Tribunale di Cosenza. La prossima udienza si terrà il 14 aprile.

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    L’ingresso del tribunale di Cosenza

    Tra gli imputati, con il trascorrere del tempo, qualcuno è andato in pensione. Altri continuano a lavorare tra l’Asp di Cosenza e la Regione Calabria, ricoprendo ruoli simili a quelli che li hanno condotti alla sbarra.
    In teoria, non si potrebbe agire diversamente. I dirigenti sotto processo possono solo essere cambiati di ruolo, ma non rimossi. Altrimenti, in caso di assoluzione, spetterebbe loro un risarcimento.

    Le assunzioni anomale all’Asp di Cosenza

    Fidanzate privilegiate. Le relazioni sentimentali intrattenute, secondo la Procura di Cosenza, avrebbero favorito due donne assunte a tempo indeterminato negli uffici dell’Asp con la qualifica di dirigente. Si tratta di Giovanna Borromeo e Cesira Ariani. La prima è la compagna dell’ingegnere dell’Asp di Cosenza Gennaro Sosto. La Procura aveva richiesto anche per lui la sospensione dai pubblici uffici. Il gip ha rifiutato e Sosto, in seguito, è risultato estraneo ai fatti oggetto d’inchiesta. Borromeo fu prelevata dalla graduatoria di Catanzaro e nominata dirigente amministrativo all’Asp di Cosenza.

    Ariani invece era la dolce metà dell’allora dirigente generale Raffaele Mauro. Questi avrebbe indotto la commissione esaminatrice, da lui stesso costituita, a  conferirle l’incarico di responsabile dell’UOS Risk Management e governo clinico su proposta di Remigio Magnelli (direttore delle Risorse Umane dell’Asp di Cosenza) e previa verifica da parte di Fabiola Rizzuto quale responsabile del procedimento. Il tutto, però, «individuando criteri di selezione indebitamente discriminatori».

    Alle loro discusse nomine si aggiunge quella di Maria Marano, che pur non essendo laureata in Medicina ha ricoperto l’incarico di responsabile dell’unità Ausili e Protesi. Un ruolo che le ha consentito di firmare (e far firmare) anche gli impegni di spesa e il rilascio delle autorizzazioni per la fornitura di pannoloni, cateteri, traverse, materassi antidecubito, letti ortopedici, ecc..

    I bilanci falsificati all’Asp di Cosenza

    Sui bilanci 2015–2016–2017 dell’Asp di Cosenza, secondo la Procura, il “Sistema” si sarebbe attivato per attestare «falsamente fatti dei quali l’atto era destinato a provare la verità». Tra questi appaiono gli accantonamenti nel fondo rischi e la situazione di cassa rilevabile dalla sezione Disponibilità liquide dello Stato patrimoniale.
    In più, per garantirsi l’impunità, gli imputati avrebbero alterato (o fatto alterare) alcune voci di bilancio. Avrebbero utilizzato una serie di giroconti eseguiti al solo scopo di alleggerire artatamente la voragine delle perdite. E trucchetti, se confermati, ai limiti del puerile: 7 milioni di euro in rosso trasformati in “denaro disponibile” cancellando il simbolo meno davanti alla cifra.

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    Il nodo dei bilanci dell’Asp di Cosenza

    Intanto la mancata approvazione dei bilanci consuntivi relativi agli anni 2018, 2019, 2020 e 2021 pesa come un macigno sulla contabilità dell’Asp di Cosenza. Che è quella più vasta della Calabria, quindi influenza la rendicontazione finanziaria della sanità dell’intera regione. Un concetto, questo, cristallizzato anche nelle intercettazioni captate durante le indagini: in una conversazione tra indagati gli inquirenti registrano la frase «se sballa Cosenza, sballa tutto», quasi i due presagissero un’apocalisse contabile.

    Dal canto suo, il nuovo commissario Antonio Graziano, in sella da maggio 2022, lo scorso settembre ha affermato di aver stornato debiti fittizi e crediti fasulli riuscendo così ad approvare il bilancio di previsione 2023, con tanto di avanzo di gestione.
    I conti però non tornano ai revisori. L’attuale collegio sindacale nel verbale ricco di omissis del 21 dicembre 2022 «in riferimento al Bilancio di Previsione anno 2023, esprime parere non favorevole, per come già evidenziato per i precedenti bilanci dal precedente Collegio».

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    Il nuovo commissario dell’Asp di Cosenza, Antonio Graziano

    I revisori, nel verbale, ricordano che «l’Azienda risulta sprovvista dei Bilanci relativi agli esercizi 2018/2019/2020/2021». E che «l’adozione dei predetti Bilanci è inscindibilmente propedeutica e collegata alla sistemazione e/o rimodulazione di importanti poste di bilancio, in particolare quelle debitorie». Ergo, hanno bocciato il documento contabile «non ritenendo le previsioni attendibili, congrue e coerenti col Piano di attività 2023, con i finanziamenti regionali nonché con le direttive impartite dalle autorità regionali e centrali».

    Gli imputati del Sistema Cosenza

    Nel frattempo il commissario Graziano continua a rimpinguare l’Asp procedendo con le 450 assunzioni annunciate. Ironia della sorte, a firmare bilanci e assunzioni sono, in parte, gli stessi imputati del Sistema Cosenza. Nei loro confronti, riferendosi in particolare a Remigio Magnelli, Fabiola Rizzuto e Maria Marano, il commissario Graziano nutre estrema fiducia: «Sono validissimi professionisti che lavorano, se ci sarà una sentenza ne prenderemo atto. Siamo garantisti. Collaborano con l’Asp di Cosenza, non hanno ricevuto promozioni, sono nello staff, non abbiamo altre risorse».

    Degli indagati che operano ancora nell’Asp bruzia solo le posizioni di Elio Pasquale Bozzo (direttore del distretto sanitario Cosenza–Savuto) e Alfonso Luzzi (collaboratore amministrativo professionale del settore Risorse Umane del distretto di Rossano) sono state archiviate. L’unico per il quale, invece, non è stata accolta la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pm Mariangela Farro è l’ex commissario ad acta della Sanità calabrese, il generale Saverio Cotticelli.

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    Il generale Cotticelli
    • Raffaele Mauro

      Nato a Cosenza, classe 1954. Medico specializzato in Medicina Legale e Psichiatria, direttore generale dell’Asp di Cosenza negli anni 2016 -2017 -2018, nonché nei primi mesi del 2019. Attualmente a processo con l’accusa di abuso d’ufficio per la vicenda che riguarda i falsi precari dell’Asp di Cosenza assunti pochi giorni prima delle elezioni regionali del 2014 che ha portato al rinvio a giudizio di 142 indagati.

      Posizione attuale: Raffaele Mauro è in pensione dall’aprile 2019. Attualmente lavora in qualità di libero professionista in Lombardia, come psichiatra, in strutture ospedaliere attraverso le cooperative. Come ex direttore generale dell’Asp di Cosenza, non potrebbe, infatti, per legge operare per almeno tre anni nelle strutture accreditate con la stessa azienda sanitaria.

    • Luigi Bruno

      Nato a Cosenza, classe 1961. Laureato in Economia e Commercio con master in Management dei servizi sanitari. È stato direttore del personale e Responsabile Dirigente dei Rapporti Istituzionali del Centro di Riabilitazione socio/sanitaria Fondazione “Istituto Papa Giovanni XXIII” di Serra d’Aiello fino al 2006 quando la clinica lager fu oggetto di un blitz della Guardia di Finanza che svelò le condizioni inumane nelle quali versavano gli ospiti a fronte di circa 100 milioni di euro scomparsi nel nulla.
      Direttore amministrativo dell’Asp di Cosenza negli anni 2016 -2017 -2018.

      Posizione attuale: Oggi Luigi Bruno lavora a Cirò Marina in una casa di cura privata.

    • Francesco Giudiceandrea

      Nato a Rossano, classe 1963. Medico specializzato in Medicina Legale, cugino dell’ex consigliere regionale Giuseppe Giudiceandrea, è stato direttore sanitario dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza negli anni 2016-2017-2018.

      Posizione attuale: Dal 2018 Francesco Giudiceandrea è tornato a lavorare nella Medicina Legale ed è attualmente dirigente medico della struttura dipartimentale Medicina Legale ex ASL 3 Rossano.

    • Maria Marano

      Nata a San Gallo, in Svizzera, classe 1963. Ha conseguito il diploma di laurea in Giurisprudenza nel 1992 e dal gennaio 1994 lavora come collaboratore amministrativo all’Asp di Cosenza.

      Posizione attuale: Oggi, Maria Marano è responsabile amministrativo referente per il distretto Jonio Nord, responsabile dell’ufficio Risorse Umane di Trebisacce e lavora nella direzione generale dell’Asp di Cosenza in via Alimena. «È nel mio staff», afferma il commissario straordinario Antonio Graziano. «Si occupa – spiega – di problematiche legate al personale, alle procedure di affidamento di gare, fa il lavoro che ha sempre fatto, ma non fa più Ausili e Protesi».

    • Giovanni Francesco Lauricella

      Nato a Palermo, classe 1953. Direttore dell’U.O.C. Affari legali e contenzioso pro-tempore dell’Asp di Cosenza in carica fino all’agosto 2020. Avvocato noto alle cronache per l’inchiesta sulle “Parcelle d’oro” dell’Asp di Cosenza, nell’ambito della quale è stato assolto. Le indagini – dalle quali emersero oltre 400 incarichi esterni (in tre anni circa 800mila euro) affidati dall’Asp di Cosenza all’avvocato Nicola Gaetano, assolto in Appello – coinvolsero anche Andrea Gentile, figlio dell’ex senatore e sottosegretario Antonio Gentile nonché ex parlamentare in quota Forza Italia insediatosi alla Camera dopo le dimissioni di Roberto Occhiuto per incompatibilità con il ruolo di presidente della Regione Calabria.

      Posizione attuale: Dal settembre 2020 è in pensione.

    • Antonio Scalzo

      Nato a Cosenza, classe 1962. Dermatologo, specializzato anche in Medicina Legale, è stato direttore sanitario dell’Asp di Cosenza dal 2005 al 2010. Per anni direttore dell’Unità Operativa Semplice Dipartimentale Medicina Legale successivamente nominato direttore facente funzioni dell’UOC Cure primarie dei distretti Valle Crati e Cosenza. Dal 1993 al 2010 ha fatto parte e presieduto le commissioni per l’invalidità dell’Asp di Cosenza.

      Posizione attuale: Oggi è in pensione. Antonio Scalzo possiede il 95% della società Autismo Domani che gestisce nell’ex convento Ecce Homo di Dipignano di proprietà del Comune la “Casa di riposo San Pio” in subconcessione dalla società Villa San Pio della moglie Antonella Lorè. Quest’ultima nell’ottobre 2021 quando la struttura fu attenzionata per la morte di un anziano ospite caduto da una finestra sporse denuncia affermando che la firma sul contratto di affidamento fosse artefatta.

    • Carmela Cortese

      Nata a Castrovillari, classe 1956. Medico, specializzata in Medicina del Lavoro, Igiene e Sanità pubblica. Per circa 20 anni ha ricoperto la carica di direttrice del Servizio di Prevenzione, Igiene e Sicurezza degli Ambienti di Lavoro del Pollino – Ionio ed è stata direttrice del dipartimento Prevenzione e Igiene pubblica dell’Asp di Cosenza.

      Posizione attuale: Dal 2020 è in pensione. Appare nella lista dei medici consulenti tecnici d’ufficio del Tribunale di Castrovillari, ma senza alcun incarico attivo.

    • Remigio Magnelli

      Nato a San Pietro in Guarano, classe 1959. Laureato in Scienze economiche e sociali con master in Diritto del Lavoro e Pubblica Amministrazione. Torna ad essere direttore dell’Unità Operativa Complessa Gestione Risorse Umane dell’Asp di Cosenza a partire dal 2013 dopo aver ricoperto l’incarico negli anni precedenti. A causa di atti firmati nel 2008 in qualità di dirigente dell’UOC Risorse Umane dell’Asp di Cosenza ha subito una condanna a un anno di reclusione diventata definitiva nel 2019 per falso in atto pubblico. La vicenda riguardava l’assunzione all’Asp di Cosenza di Michele Fazzolari. Quest’ultimo ebbe l’incarico di stabilizzare circa 430 precari dell’azienda sanitaria bruzia, tra i quali anche se stesso, operazione dalla quale scaturì un’inchiesta della Procura di Cosenza che coinvolse anche Antonio Scalzo.

      Posizione attuale: Oggi è direttore del dipartimento amministrativo e direttore Affari Generali dell’Asp di Cosenza, nonché referente del commissario straordinario Graziano. Quest’ultimo lo definisce «una persona in gamba, un valido professionista, sta lavorando correttamente».

    • Fabiola Rizzuto

      Nata a Cosenza, classe 1961. Avvocato, dirigente amministrativo dell’Asp di Cosenza. Dal 2005 è stata responsabile dell’Unità Operativa Semplice Gestione Giuridica del Personale.

      Posizione attuale: Oggi è responsabile dell’area giuridico economica della Gestione Valorizzazione Sviluppo Formazione Risorse Umane del distretto Cosenza-Savuto. Di fatto sembrerebbe le sia stato affidato il ruolo del coimputato Remigio Magnelli e ricopra attualmente la carica di facente funzioni della UOC Gestione Risorse Umane. Il commissario straordinario dell’Asp di Cosenza Antonio Graziano afferma: «Fa il suo lavoro, con dignità ed onore».

    • Aurora De Ciancio

      Nata a Montalto Uffugo, classe 1955. Laureata in Scienze Politiche. Direttore dell’UOC Gestione Risorse Economiche Finanziarie dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza dal 2013. Ha ricoperto anche la carica di commissario Asp Cosenza per un breve periodo. Di recente la Procura di Cosenza, nell’ambito di un’altra inchiesta che riguarda i doppi pagamenti di fatture in favore di privati convenzionati con il sistema sanitario regionale, ne ha chiesto il rinvio a giudizio insieme al noto imprenditore cosentino Francesco Dodaro e alla moglie Valeria Greco per un credito da circa 450mila euro ritenuto fittizio vantato dalla Medical Analisi Cliniche di Cosenza.

      Posizione attuale: Da luglio 2022 è in pensione.

    • Nicola Mastrota

      Nato a Mormanno, classe 1975. Laureato in Economia Aziendale e Scienze Politiche. Responsabile dell’Unità Operativa Semplice Bilancio e programmazione economica dell’ASP di Cosenza. Si è occupato: del Piano triennale della prevenzione della corruzione e della trasparenza 2019 – 2021; di documenti e allegati del bilancio consuntivo; dei dati relativi alle entrate e alla spesa dei bilanci consuntivi; di documenti e allegati del bilancio preventivo.

      Posizione attuale: È ancora in servizio all’Asp di Cosenza quale collaboratore amministrativo professionale, presta servizio in un ufficio amministrativo di Trebisacce.

    • Bruno Zito

      Nato a Catanzaro, classe 1964. Zito è un manager che è stato dirigente generale del dipartimento Organizzazione Risorse Umane della Regione Calabria e direttore generale reggente del dipartimento Salute della Regione. La prima nomina al dipartimento Tutela Salute arriva nel 2013 su proposta dell’allora assessore al Personale, Domenico Tallini. Per quest’ultimo la magistratura ha di recente richiesto la condanna a 7 anni e 8 mesi di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa nell’ambito del processo Farmabusiness.

      Coinvolto nel caso Lo Presti (responsabile del Dipartimento Tutela Salute e del Servizio di Emergenza della Regione Calabria arrestato con l’accusa di turbata libertà del procedimento di scelta del contraente), viene assolto perché il fatto non sussiste, dopo essere stato accusato di falso ideologico e abuso d’ufficio.
      Riporta invece una condanna della Corte dei Conti, per danno erariale, per aver autovalutato le proprie performance nel 2011 e nel 2013 attribuendosi punteggi altissimi. Grazie ad essi aveva conseguito la massima indennità di risultato incassando indebitamente oltre 30mila euro.

      Posizione attuale: Bruno Zito è oggi dirigente del settore 5 della Regione Calabria: Fitosanitario, Caccia, Pesca, Feamp (Fondo europeo per la politica marittima, la pesca e l’acquacoltura), Punti di entrata Porto di Gioia Tauro e Corigliano.
      Il settore che dirige è articolato in 5 unità operative: Affari generali e Gestione del personale, Fitosanitario e vivaismo, Patrimonio ittico e Pesca, Patrimonio Faunistico e Caccia, Porto di Gioia Tauro.

    • Vincenzo Ferrari

      Nato a Catanzaro, classe 1974. Commercialista e Revisore Contabile, dirigente della Regione Calabria dal 2008. Ha ricoperto tale incarico al dipartimento Tutela della Salute e Politiche sanitarie, settore area Economico – Finanziaria, servizio “Gestione FSR, Tavoli di monitoraggio”; al settore Programmazione Economica, servizio “Controllo dei Bilanci e delle aziende del SSR”.
      In forze al dipartimento Tutela Salute della Regione Calabria è stato inoltre dirigente dei settori “Gestione FSR, Bilanci aziendali, Contabilità”; “Controllo di Gestione, Monitoraggio Flussi Economici, Patrimonio, Beni e Servizi”.
      Inoltre nel dipartimento Organizzazione, Risorse Umane e Controlli della Regione Calabria è stato dirigente del settore Provveditorato Economato, Bollettino Ufficiale, Polizia Urbana.

      Le sue principali mansioni e responsabilità riguardavano: la gestione del Fondo Sanitario Regionale, controllo delle movimentazioni dei relativi capitoli di bilancio e verifica della copertura finanziaria della spesa sanitaria; trasferimento mensile delle risorse finanziarie alle aziende del SSR; verifica e controllo dei documenti contabili (bilanci preventivi e consuntivi) delle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere; analisi sul controllo dei Collegi Sindacali; monitoraggio e controllo degli acquisti di Beni e Servizi effettuati dalle Aziende del SSR; valutazione dei fabbisogni di acquisto e determinazione delle tipologie di beni e servizi da sottoporre a gara centralizzata tramite la Stazione Unica Appaltante regionale; gestione del patrimonio immobiliare disponibile delle Aziende del Servizio sanitario regionale.

      Posizione attuale: La Giunta regionale all’unanimità, con deliberazione n. 507 della seduta del 22 novembre 2021, ha assegnato Vincenzo Ferrari al dipartimento Presidenza della Regione Calabria.

    • Massimo Scura

      Nato a Gallarate (VA), classe 1944. Ingegnere con master in Formazione per direttori generali e Managerialità integrata, ex direttore generale delle aziende sanitarie di Siena e di Livorno è stato commissario per il Piano di rientro dal debito sanitario della Calabria dal 2015 al 2018. Sindaco del Comune di Alfedena, in provincia dell’Aquila, quando è stato nominato commissario alla sanità calabrese, all’età di 71 anni, era già in pensione e sostituì il generale della Guardia di Finanza Luciano Pezzi.

      Posizione attuale: In pensione.

    • Antonio Belcastro

      Nato a Cotronei, classe 1959. Laureato in Scienze Economiche e Sociali. Ex direttore generale del Dipartimento Salute della Regione Calabria, è stato dirigente regionale responsabile dell’emergenza Covid in Calabria.
      Negli anni ha ricoperto la carica di direttore generale, direttore amministrativo e commissario straordinario dell’Azienda Ospedaliera Mater Domini di Catanzaro, di direttore amministrativo dell’Azienda Ospedaliera Pugliese – Ciaccio di Catanzaro, di direttore generale e direttore amministrativo dall’Azienda Ospedaliera di Cosenza.

      Nel corso della propria carriera ha insegnato Amministrazione dei Servizi socio-sanitari; Organizzazione e Programmazione sanitaria; Ordinamento Amministrativo e attività della Pubblica Amministrazione; Finanziamento dei sistemi sanitari all’Università Magna Graecia di Catanzaro e Programmazione e controllo delle Aziende Ospedaliere all’Università della Calabria.

      Posizione attuale: Oggi è alle dipendenze dell’Azienda Ospedaliera Pugliese – Ciaccio di Catanzaro, ma in aspettativa fino al 28 febbraio.

    Maria Teresa Improta

  • Occhiuto grida alla secessione: «Sala fa il figo col Pnrr»

    Occhiuto grida alla secessione: «Sala fa il figo col Pnrr»

    «Facile fare il figo governando Milano, Sala dovrebbe provare a governare qualche mese in Calabria, in Sicilia o in Campania». Il giudizio di Roberto Occhiuto sull’ultima uscita del sindaco meneghino è lapidario. Giuseppe Sala aveva puntato il dito contro Meloni e i suoi dopo le parole del ministro Fitto sui ritardi dell’Italia con il Pnrr. «Un Governo saggio – le dichiarazioni del primo cittadino – li dà più alle realtà locali ed a quelle che hanno un ‘track record’ secondo cui possono investire. Io dico, allora, se ci sono dei residui, dateli a Milano. Sembro un provocatore ma non lo sono, perché ci sono una serie di progetti che ho nel cassetto e che, se mi fossimo finanziati, io ce la faccio entro il 2026. Le parole di Fitto di ieri “sui ritardi sul Piano” suonano un po’ come una resa. Ma siccome siamo ancora in tempo, estendiamo a tutti l’operazione verità e diamo i fondi a chi li sa investire».

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    Il sindaco Sala

    Occhiuto contro Sala: la secessione coi soldi del Pnrr?

    Pronta la replica dalla Calabria, con Occhiuto che ai microfoni dell’Ansa boccia sonoramente l’approccio di Sala sul Pnrr paragonandolo a un tentativo di secessione. Una buona fetta degli oltre 190 miliardi che l’Ue ha destinato all’Italia, dichiara, arriverebbero proprio «perché il Sud del Paese è in difficoltà e merita, dunque, l’attenzione e i finanziamenti europei per potersi allineare alle Regioni del Nord». Il forzista non usa troppi giri di parole: «Senza il Mezzogiorno avremmo ricevuto molto, ma molto meno. Affermare “diamo i soldi a chi li sa spendere”, vuol dire lasciare indietro un pezzo di Paese, coloro appunto che sono in difficoltà che invece, proprio per questo loro deficit, andrebbero supportati di più dal Governo e da tutta la comunità nazionale. E allora io dico che questa sì che sarebbe una secessione».

  • L’importante è il Mediterraneo: sì, ma quale?

    L’importante è il Mediterraneo: sì, ma quale?

    Puntuale come l’allergia a primavera, è arrivato anche stavolta il richiamo alla magia del Mediterraneo. È stato subito un fiorire di sigle accattivanti: Hub Mediterraneo, Stati generali del Mediterraneo, Missione Mediterraneo e via dicendo.
    Se analizziamo i programmi di governo dal 1980 in poi, parliamo quindi di oltre 40 anni, troviamo sempre un rinvio alla necessità del nostro Paese di puntare verso scelte di posizionamento culturale e commerciale capaci di privilegiare la nostra natura mediterranea piuttosto che inseguire la locomotiva tedesca e nord europea con i suoi numeri, per noi, irraggiungibili.

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    Soprattutto per il Sud, si diceva e si dice, il Mediterraneo deve diventare un’opportunità strategica, dato il nostro posizionamento geografico e la presenza di infrastrutture importanti quali il Porto di Gioia Tauro.
    Tutto bene se non fosse per un unico piccolo dettaglio che non appare ben considerato nelle riflessioni sinora espresse dalle forze politiche, sociali ed imprenditoriali: di quale Mediterraneo parliamo?

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    Il porto di Gioia Tauro

    Ma che cos’è questo Mediterraneo?

    Usciamo dall’equivoco e dalla genericità. Non esiste il Mediterraneo. Esistono diversi Mediterranei che dovremmo avere il coraggio, politico, di valutare e, parallelamente, di scegliere.
    Ci riferiamo al Mediterraneo Occidentale? E cioè a Marocco, Algeria e Tunisia?
    Ci riferiamo al Mediterraneo Centrale? E cioè a Libia ed Egitto?
    Ci riferiamo al Mediterraneo Orientale? E cioè a Israele, Libano, Siria, Turchia?
    E nel caso del Mezzogiorno, e della Calabria in particolare, quale dovrebbe essere il criterio di selezione geo-politico di queste tre aree?

    Se è vero, da un lato, che la recente crisi energetica e migratoria ha finito per sdoganare relazioni culturali (di facciata) con paesi mediterranei in possesso di DNA democratici non proprio affini alla realtà europea (Algeria e Turchia in primis), siamo proprio sicuri che la creazione di nuove relazioni commerciali possa bastare a fare del Mediterraneo una prospettiva di sviluppo stabile e concreta per il Sud?

    Paese che vai, problema che trovi

    La mia impressione è che non basti. Intanto Tunisia, Marocco, Israele, e per tanti versi anche la Turchia, sono nostri diretti concorrenti, spesso anche vincenti in termini di leadership di prezzo, in molti segmenti dell’agroalimentare (olivicoltura e agrumicolo soprattutto) e del turismo di massa (Egitto e Turchia soprattutto).

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    Dromedari sulla spiaggia di Sharm El Sheikh

    La Libia non ha governance politica certa. La Tunisia è vicina al default. L’Algeria e il Marocco sono sempre a un passo dal dichiararsi guerra per la questione del Sahara occidentale. Nel Libano secondo Save the Children il 37% della popolazione ha addirittura problemi di nutrizione. Di Siria è quasi pleonastico parlare.

    Mediterraneo, Sud e Calabria

    Allora signori, per piacere, facciamo uno sforzo di onestà intellettuale. Che significa diventare hub del Mediterraneo? Che significa puntare al Mediterraneo? Parliamo di internazionalizzazione attiva o passiva?
    Mi spiego meglio: stiamo forse provando ad indossare, come italiani, l’abito di un neo-colonialismo strisciante travestito da solidarismo europeo? E l’Italia, oltre alle forniture di gas da ottenere da regimi dittatoriali, ha i mezzi e la finanza pubblica per interpretare questo ruolo senza sfiorare il ridicolo? E il Sud e la Calabria, alle prese con LEP che il ministro Calderoli intende assicurare stornando gli euro del Fondo Coesione non spesi (colpevolmente) dalle Regioni, che ruolo avranno? Venderemo le melanzane sott’olio ai tunisini o le settimane al mare, magari a Tropea, agli egiziani?

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    La Tropea da cartolina

    Intanto la Cina…

    Qual è la politica industriale che il Paese ha immaginato e per quale paese del Mediterraneo? Qualcuno si è accorto, ad esempio, che gli investimenti diretti cinesi nel Mediterraneo sono avvenuti in infrastrutture strategiche come i porti attraverso l’acquisizione di partecipazioni nelle relative società di gestione? Parliamo di Marsiglia, Ambarli, Valencia, Pireo, Port Said, Marsaxlokk, Cherchell, Haifa, Istanbul.
    Certo, si dirà, questa non è una buona ragione per desistere ma, vivaddio, potremmo ragionare su singoli progetti e su singoli paesi e non ricorrere sempre alla formula salvifica di Mediterraneo che finisce per non significare nulla?

    Obiettivi, non slogan

    E allora perché non provare a costruire da subito un Master plan con indicazione di Paese, Settori, Progetti, Obiettivi e Sostenibilità finanziaria cercando di dare alla politica il senso del governo per obiettivi e non per slogan ormai quarantennali e davvero desueti?
    Il Mediterraneo ringrazia per le risposte che la politica riuscirà, sicuramente, a dare.

  • Quattro soldi o migrazioni: Occhiuto e il futuro del lavoro

    Quattro soldi o migrazioni: Occhiuto e il futuro del lavoro

    Nelle sue ultime uscite Roberto Occhiuto si è sbilanciato sulla sua visione del futuro. In particolare, su quello che prevede la sua agenda per il lavoro.

    Occhiuto snobba il salario minimo

    Durante una recente intervista televisiva ha dichiarato che l’emigrazione intellettuale in Calabria «non si contrasta con il salario minimo», perché le persone laureate hanno l’obiettivo di «lavorare in un contesto che gli offra delle opportunità».
    Il salario minimo è percepito quindi come uno strumento quasi controproducente per il mercato del lavoro calabrese. Una posizione di comodo, che non richiede alcuna iniziativa a breve termine e rimanda le eventuali soluzioni ad un futuro prossimo ipotetico. Quando cioè, sempre secondo Occhiuto, grazie alla sua azione rinnovatrice la Calabria diventerà «una Regione normale».

    Fabbrichette ed ecomostri

    Un concetto di normalizzazione che si iscrive a pieno titolo nella solita narrativa del Sud che aspira a diventare Nord, replicare modelli che si presume funzionino altrove. Lo stesso atteggiamento che alla fine del secolo scorso ha portato alla proliferazione di zone industriali in ogni fazzoletto di pianura calabra, in un’epoca storica dove la produzione industriale era stata già delocalizzata in Cina. Come eredità oggi restano gli ecomostri, prefabbricati in disuso, che occupano suolo naturalmente prospero e vocato all’agricoltura spontanea.

    Il valore del lavoro a Nord e Sud

    Malgrado il pensiero anticonformista espresso da Occhiuto, il decadimento del valore del lavoro è un problema a Nord, come a Sud. Qualsiasi indicatore statistico si consulti, appare evidente quanto gli stipendi in Italia siano inadeguati. Particolarmente frustrante la condizione di coloro che pur lavorando non riescono ad uscire dalla povertà, fasce di popolazione per le quali il salario minimo rappresenterebbe di certo una misura di contrasto strutturale alle ingiustizie sociali.

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    In Calabria, i salari sono tra i più bassi d’Italia, condizione che indebolisce e fragilizza la classe lavoratrice dipendente. Perdere il lavoro, in Calabria più che altrove, rappresenta un salto nel vuoto, verso condizioni economiche potenzialmente peggiori o verso il baratro della disoccupazione. Ciò rende i lavoratori ricattabili, dunque funzionali a chi detiene il potere politico-economico. La fragilità del lavoro lascia gli individui in preda alla solitudine e porta alla rinuncia a qualsiasi tipo di lotta per affermare le rivendicazioni collettive.
    Eppure il presidente della Regione marginalizza la questione del salario minimo, quasi un vezzo che riguarderebbe esclusivamente il “mito” del rientro dei cervelli – per il quale invece servirebbero politiche attive specifiche – ignorando l’impatto reale sui suoi conterranei che vivono e lavorano in Calabria.

    Occhiuto e il valore del salario minimo in Calabria

    Basterebbe portare occhi e orecchie nei luoghi di lavoro per scoprire la realtà. Qui si incontrerebbero persone sovraqualificate che vivono di contratti a tempo determinato, di contratti atipici, di partite IVA, con stipendi che raggiungono difficilmente i mille euro. Precari nelle pubbliche amministrazioni come nei call center. Calabresi disposti a restare, che accettano compromessi al ribasso. E che forse, in fondo, sono gli unici a non credere che partire sia una scelta obbligata. Storie di cui dovrebbe farsi carico prima di sbilanciarsi in prese di posizioni tanto ortodosse quanto inconsistenti.callcenter-abramo

    A molti calabresi basta semplicemente un lavoro, anche mal pagato, per convincersi a non lasciare la propria terra, perché ci sono sentimenti, ragioni e legami che contano molto di più delle “opportunità”. Chi rappresenta la massima istituzione regionale dovrebbe pensare prioritariamente a loro quando dibatte di salario minimo, a come restituire nell’immediato la dignità del lavoro a chi per scelta – o per necessità – resta in Calabria.

    Calabria saudita

    Nella stessa intervista sul salario minimo, Occhiuto definisce i flussi di migranti come un’opportunità da cogliere, «un modo per dare quella manodopera alle imprese che in alcune mansioni non riescono più a reperire». Concetto ribadito ed amplificato agli Stati generali del Mediterraneo a Gizzeria, dove indica ancora più chiaramente la via da perseguire: «Faccio un esempio: MSC, che è il più grande terminalista che opera presso il porto di Gioia Tauro, si appresta a realizzare la più grande fabbrica di container in India, perché lì il costo del lavoro è decisamente più basso, e quel Paese gli fornisce operai specializzati che in Italia non ci sono. Ecco perché un piano di attrazione degli investimenti deve tenere conto dell’incrocio fra domanda e offerta di lavoro, che si apra anche ad accogliere i lavoratori di altre realtà.” Insomma, il futuro mercato del lavoro in Calabria sembrerà più al modello Qatar che a quello scandinavo.

    Il porto di Gioia Tauro

    Ecco spiegate le contraddizioni e le motivazioni della netta presa di posizione contro il salario minimo. La Calabria che l’Italia non si aspetta (cit.) per crescere, competere ed attrarre investimenti avrà bisogno di lavoratori sottopagati. In mancanza degli schizzinosi italiani, ci sarà sempre un disperato che arriva dal mare.
    Nulla di nuovo, la solita ricetta positiva neoliberista interpretata da un uomo bianco di mezza età.

    Enrico Tricanico

  • Piantedosi, Occhiuto e il passato che dimenticano

    Piantedosi, Occhiuto e il passato che dimenticano

    Credo e spero che in breve tempo si accerterà se la strage di migranti avvenuta nelle acque di Cutro poteva essere evitata, individuando gli eventuali colpevoli di mancato soccorso. Ma, a fronte della sensibilità umana e della responsabilità civile di chi ha prestato invece soccorso alle vittime del naufragio, una cosa assai grave è apparsa con certezza fin da subito: la grave inadeguatezza culturale e politica di chi ci governa.

    Le parole di Piantedosi

    Nel caso del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, già prefetto di Bologna e di Roma, non c’è da sorprendersi dell’oscenità delle sue dichiarazioni, trattandosi della stessa persona che quattro mesi fa, nello scorso novembre, sostenne la necessità di organizzare «sbarchi selettivi», consentendo di sbarcare solo a donne, bambini e persone in cattive condizioni psico-fisiche, respingendo invece i migranti in buona salute, cinicamente definiti: «carico residuale».

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    La bara di una delle bambine morte

    Non contento di questa sua esternazione, Piantedosi ha replicato nei giorni scorsi il suo raccapricciante punto di vista sui migranti, affermando che «la disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli», attribuendo dunque la colpa della strage di Cutro alla “irresponsabilità” dei genitori migranti. Infine, in risposta alle critiche che sta ricevendo, Piantedosi non trova ora di meglio, in audizione alla Camera, che rivendicare con orgoglio il suo passato di “questurino”.

    L’ignoranza del fenomeno

    Ora, è evidente che il pregiudizio politico e l’avversione altezzosa nei confronti dei migranti si accompagna alla più completa ignoranza della drammaticità del fenomeno migratorio. È del tutto chiaro che le condizioni tragiche e disperate da cui spesso fuggono i migranti non consentono di scegliere le modalità di partenza e anche quando non si fugge da guerre e dittature sanguinarie le motivazioni che spingono a lasciare il proprio paese sono talmente forti da affrontare ogni rischio. Ma questo non appartiene soltanto alle migrazioni contemporanee. Basterebbe conoscere anche superficialmente la storia dell’emigrazione italiana, per capirlo.

    I migranti di “casa Piantedosi”

    Gian Antonio Stella, sul Corriere della Sera di mercoledì 1° marzo, ha ricordato a Piantedosi gli innumerevoli naufragi delle navi che portavano gli emigranti italiani nelle Americhe e le traversie inenarrabili patite da tante madri che cercavano di raggiungere coi loro bambini i mariti emigrati all’estero. Ma temo che sia un esercizio pressoché inutile. Se Piantedosi volesse conoscere un po’ di storia dell’emigrazione, gli basterebbe rivolgersi ai suoi compaesani di Pietrastornina, il paesino irpino da cui proviene, che nel 1911 contava oltre cinquemila abitanti e oggi ne ha poco più di un migliaio. E scommetto che gli sia ignota la storia di un altro paesino campano, non lontano dal suo, Castelnuovo di Conza, che detiene il primato nazionale del più alto numero di residenti all’estero in rapporto alla popolazione: oltre tremila in giro per il mondo e solo cinquecento a Castelnuovo.

    Precedenti illustri

    Quanto ai genitori che emigrando mettono in pericolo la vita dei loro figli, gli si potrebbe raccontare la storia di una donna di Oppido Lucano, Felicia Muscio, che con la sua piccola bambina, per raggiungere il marito già emigrato, nel 1897 si mise in viaggio alla volta di Iquique, nel nord del Cile, affrontando un viaggio pazzesco, che la portò prima in nave a Buenos Aires, poi in treno fino alle Ande; e infine, attraversando la Cordigliera, a dorso di mulo con la bimba in braccio, superando spazi immensi senza conoscere una parola di spagnolo, riuscendo in ultimo a raggiungere lo sposo.

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    Felicia Muscio

    Ma, ripeto, per uno come Piantedosi, è fatica sprecata cercare di fargli capire cosa sono le migrazioni: per lui – ma, temo, per l’intero governo – purtroppo l’odissea di Felicia Muscio sarebbe di fatto riconducibile alla cosiddetta «migrazione economica», dunque oggi, in quanto tale, andrebbe respinta nel luogo d’origine, come i «carichi residuali» di cui sopra.

    Anche Occhiuto ne sa poco

    Mi si potrebbe obiettare che il ministro Piantedosi è un caso limite, o che il suo lessico da “questurino” tradisce più miti intenzioni, o che altri governanti sono più avveduti e competenti. Mi piacerebbe fosse vero, ma nei giorni scorsi anche in Calabria ho ascoltato dai governanti cose sconcertanti. Il presidente della Regione, Roberto Occhiuto, ad esempio, intervistato al TG3 il 27 febbraio, ha detto che «quando partivano i calabresi verso il Canada, l’Argentina, la Germania, andavano verso Paesi dove questo fenomeno era governato, oggi questo fenomeno non è governato».

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    Roberto Occhiuto e il suo slogan della campagna elettorale

    Chi glielo racconta a Occhiuto che Stati Uniti, Argentina e Brasile hanno accolto milioni di italiani perché ne avevano bisogno? Chi glielo spiega che in quell’alluvione migratoria c’era di tutto e che “governarla” era piuttosto complicato? E delle baracche che ospitavano i calabresi in Svizzera, in Germania e in Belgio, ne sa qualcosa? Invece di parlare di vicende che probabilmente conosce poco, perché non cerca di fare i conti con le sciocchezze e le insipienze del suo governo nazionale di riferimento?

    Ripartire dalla Costituzione

    Intanto, io credo che non ci resti che partire dai fondamentali, ricordando a chi ci governa che l’articolo 10 della nostra Costituzione si conclude con queste parole: «Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge».

    Vittorio Cappelli
    Storico delle migrazioni, Università della Calabria 

  • Regione: fuori Fedele, dentro Talerico

    Regione: fuori Fedele, dentro Talerico

    L’attuale composizione del Consiglio della Regione Calabria ha ormai vita breve, dopo la pronuncia della magistratura sul caso Talerico vs Fedele. Il primo – così come un’altra esclusa, Silvia parente – contestava l’eleggibilità della seconda, la cui candidatura era arrivata mentre ricopriva il ruolo di direttrice generale della Provincia di Catanzaro. I giudici del tribunale ordinario del capoluogo gli avevano già dato ragione in primo grado. E oggi la Corte d’Appello, a cui Fedele si era rivolta, ha confermato quella decisione: «Sono ineleggibili a consigliere regionale i titolari di organi individuali ed i componenti di organi collegiali che esercitano poteri di controllo istituzionale anche sull’amministrazione della Provincia».

    Uno di troppo

    A questo punto Talerico dovrà solo notificare la vittoria in tribunale al presidente dell’aula Fortugno, Filippo Mancuso. Poi, tramite la giunta elettorale, toccherà a quest’ultimo procedere alla surroga della uscente Fedele con l’avvocato catanzarese. Che, dal canto suo, ha già messo in chiaro le cose: di entrare in Regione da consigliere di Forza Italia non ci pensa nemmeno, sebbene illo tempore fosse candidato proprio in una lista berlusconiana. Scarso feeling con il coordinatore regionale del partito Giuseppe Mangialavori, ha tenuto a chiarire non appena conquistata l’agognata poltrona.

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    Occhiuto e Mangialavori in campagna elettorale

    Non c’è due senza tre

    Non sarà il problema principale per Roberto Occhiuto, ma è pur sempre un forzista ufficiale in meno in squadra. E sebbene il neo eletto abbia confessato a LaCNews24 l’intenzione di confrontarsi col governatore e Mancuso per comprendere quali possano essere i suoi «spazi di agibilità politica», il futuro di Talarico non pare tinto di azzurro. Il suo colore, più probabilmente, sarà il blue navy scelto da Carlo Calenda e Matteo Renzi per il loro Terzo Polo. In Regione, d’altra parte, un gruppo che fa riferimento proprio a Calenda è già nato di recente e può contare su Giuseppe Graziano e Francesco De Nisi. E siccome non c’è due senza tre, con l’addio di Fedele e l’arrivo di Talerico potrebbe presto ampliarsi.

    il consigliere regionale Giuseppe Graziano (foto Alfonso Bombini/ICalabresi)

    Fedele vs Talerico: le ripercussioni oltre la Regione Calabria

    Anche a Palazzo De Nobili l’uscita di scena di Valeria Fedele – almeno fino all’eventuale contrordine della Cassazione, cui si rivolgerà nel tentativo estremo di riprendersi la poltrona a Reggio – non passerà inosservata. Il neo consigliere regionale – che dopo averlo sfidato alle amministrative ora sostiene Nicola Fiorita e i suoi, usciti vincitori dalle urne – ora avrà un peso politico molto maggiore. Ed è difficile escludere folgorazioni sulla via di Talerico tra qualche collega in aula. Una maggioranza nella maggioranza che farà piacere a Calenda, a Fiorita e Occhiuto chissà.

    Catanzaro abbaia e Reggio morde: il consiglio regionale resta sullo Stretto
    L’aula del Consiglio regionale della Calabria
  • Autonomia differenziata: occhio ai furbetti della politica industriale

    Autonomia differenziata: occhio ai furbetti della politica industriale

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    Una domanda, sinistra e fatale, si aggira fra le tante (troppe) perplessità generate dall’ondata testosteronica leghista in materia di autonomia differenziata: la politica industriale toccherà alle Regioni o manterrà un profilo nazionale?
    Non sembri una domanda oziosa perché dalle diverse, possibili – e affatto semplici – risposte discenderanno conseguenze non proprio banali per i sistemi produttivi nazionali e regionali.

    Ora, sebbene il testo del disegno di legge, approvato dal Consiglio dei Ministri, parli genericamente della possibilità offerta alle Regioni a statuto ordinario di godere di “ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia in tutta una serie di settori tra cui anche alcuni attualmente di competenza esclusiva dello Stato”, il rischio che corre la politica industriale è altissimo.

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    L’attuale Consiglio dei Ministri in riunione

    Autonomia differenziata: la lista (leghista) dei desideri

    Se guardiamo le 23 materie potenzialmente oggetto di autonomia comprendiamo subito che quasi tutti gli strumenti, tradizionali, di politica industriale sono compresi nella famigerata lista delle 23 aree oggetto del desiderio leghista.
    Solo per citarne alcune: innovazione, trasporto, ricerca scientifica e tecnologica, porti e infrastrutture, governo del territorio, comunicazione, credito regionale, energia, istruzione, salute.
    Praticamente tutto. Troppo.

    Ricchi e poveri? Non solo

    Il rischio è quello di creare un sistema infernale di dialetti regionali su materie che richiederebbero al contrario linguaggi unitari e, soprattutto, dimensioni da ottimizzare su scale territoriali sempre più larghe.
    Non si tratta solo di ricchi e poveri, di LEP perequati o di spesa storica e fabbisogni standard. La questione, sulla politica industriale, è ancora più sottile e pericolosa perché impatta sul modello di governo di tutte le filiere produttive.

     

    L’attuale frontiera tecnologica, digitale e sostenibile, mira infatti all’integrazione tra filiere puntando sulla cosiddetta intelligenza artificiale generativa. Un sistema integrato di soluzioni produttive che vedono impianti istruiti (attraverso il machine learning) ad eseguire operazioni anche in remoto e soprattutto ad impatto ambientale potenzialmente neutro.machine-learning

    Occhio ai furbetti

    Le domande sono quasi scontate:

    • Chi governerà e con quali priorità la politica industriale derivata dall’intelligenza artificiale?
    • Quali LEP fungeranno da indicatori della perequazione tecnologica in materia digitale tra le Regioni? Assisteremo ad alleanze strategiche tra regioni produttive a maggiore specializzazione e intensità tecnologica?
    • Queste alleanze possono alterare i meccanismi di ripartizione fiscale delle risorse su scala nazionale? Corriamo il rischio di creare nuovi centri e nuove periferie geopolitiche?
    • Corriamo il rischio di trasformare il Paese in macro aree con tentazioni ultra autonomiste e miraggi di alleanze extra nazionali giustificate, o peggio ancora, mascherate da specializzazioni produttive e numeri su PIL mozzafiato?

    Sono solo domande certo. La veemenza leghista sui tempi non promette niente di buono. Occorre serenità, tempo, riflessione politica e analisi rigorosa sugli scenari potenziali. Magari per evitare che i soliti furbetti approfittino dell’autonomia differenziata per fare della politica industriale una questione “loro”. Tutta loro. Solo loro.

  • Mario di lotta, Roberto di governo: gli Occhiuto divisi sull’autonomia

    Mario di lotta, Roberto di governo: gli Occhiuto divisi sull’autonomia

    Mario Occhiuto non riesce a separarsi dalla fascia tricolore di sindaco, pur essendo diventato senatore. Sarà per quella fascia che porta nel cuore che si mostra perplesso verso l’idea di una Autonomia differenziata, esattamente come la gran parte dei sindaci meridionali. Molti primi cittadini, infatti, hanno dato vita alla rete Recovery Sud, che vede nel progetto della Lega un grave pericolo.
    Il fratello Roberto, invece, che della Calabria è presidente, ne è entusiasta e perfettamente in linea con le indicazioni della destra che governa il Paese.

    Occhiuto contro: Mario vs Roberto

    La diversa posizione dei fratelli su un tema così centrale nel programma di governo, era sfuggita a queste latitudini. Non al Corriere della Sera, però, che dedica alla questione un articoletto, riportando virgolettati interessanti, proprio poche ore prima che il Consiglio dei Ministri dia il suo via libera alla riforma.
    Mario, l’ex sindaco, assai più che perplesso verso il progetto di Calderoli, quasi severo verso il fratello che sarebbe favorevole «perché parla da governatore», come se quel ruolo – cui aveva ambito lui stesso pochi anni fa – fosse distante e distratto rispetto ai reali bisogni dei territori.
    Moderata e con l’evidente scopo di stemperare le distanze la replica di Roberto, che spiega: «Mio fratello è critico perché non ha letto il nuovo testo di Calderoli, ha ripreso una mia dichiarazione precedente». Insomma dice cose senza essere del tutto aggiornato.

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    Roberto Calderoli, principale sostenitore dell’Autonomia differenziata

    Pace fatta?

    Il duello ha avuto un secondo tempo. Il presidente della Regione ha spiegato che «l’eliminazione della spesa storica è un passo avanti» da considerare in modo rassicurante. Il senatore è rimasto su posizioni critiche, sottolineando che i nodi essenziali «non sono stati risolti, e il progetto rischia di dividere l’Italia».
    Insomma separati e distanti, fino a quando l’ex sindaco ora senatore e il fratello governatore devono essersi finalmente parlati, provando ad accorciare le imbarazzanti distanze. «Il passo in avanti di cui parla Roberto c’è, e la riforma è una sfida da cogliere», sembra chiudere la questione in maniera conciliante Mario.

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    L’articolo apparso sul CorSera

    I dubbi restano

    Però, secondo il Corriere, il neo senatore non rinuncia a lasciare il campo con un’ultima stoccata che riguarda la vera posta in gioco. «Se non si riduce il gap tra Nord e Sud, se non si garantiscono risorse e non si rendono più efficienti le infrastrutture – spiega preoccupato Mario Occhiuto – i nostri ragazzi continueranno a spostarsi a Nord per lavorare e i nostri ospedali come i nostri asili forniranno un servizio insufficiente». Il duello politico – familiare si chiude qui. Sulla scena restano due Occhiuto: Mario di lotta, Roberto di governo.