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  • Sanità: dai morti nelle Rsa agli affari, il partito trasversale sotto inchiesta

    Sanità: dai morti nelle Rsa agli affari, il partito trasversale sotto inchiesta

    «Sono stati molto solerti quando dovevano segnalarmi che avevo dimenticato di pagare la retta. Invece mi hanno inviato solo un messaggio WhatsApp per comunicarmi che mia madre aveva contratto il Covid. Lei poi è morta nel giro di un mese. E io non ho potuto neanche vederla, salutarla, far celebrare un funerale o anche solo una messa».

    Quella di Giuseppe, avvocato di Soverato, è una delle storie della “Domus Aurea”, ma non è l’unica. «Ad altri è andata peggio», racconta, «una persona che conosco ha scoperto che suo fratello era morto, dopo essere stato contagiato nella stessa struttura, solo da una telefonata di cordoglio che gli è arrivata da altri. Avevano appreso prima di lui la notizia».

    Uno stillicidio di morti

    Mettono i brividi i racconti dei familiari di chi ha vissuto i giorni terribili della Rsa di Chiaravalle Centrale, entroterra catanzarese, diventata un focolaio di Covid costato la vita a 28 persone. È successo poco più di un anno fa, ma il tema della sanità e del rapporto coi privati, nonostante una campagna elettorale già in corso, non sembra centrale nel dibattito di oggi.

    Il primo caso accertato a Chiaravalle risale al 25 marzo 2020. Poi, per la lunghissima settimana successiva, sono rimasti tutti lì, mentre morivano i primi sette pazienti.
    La narrazione social li chiama “nonnini”, ma tra quelle 28 vittime c’era anche chi aveva poco più di 60 anni. Dopo un tira e molla tra la Regione e la proprietà della struttura i pazienti sono stati trasferiti a Catanzaro, ma lo stillicidio di morti non si è fermato fino a maggio inoltrato. Il rimpallo di responsabilità e il contenzioso legale invece prosegue tuttora, a distanza di oltre un anno da quella tragedia umanitaria.

    Tengo… Parente

    Sembra lontanissima e altrettanto dimenticata la vicenda di un’altra Rsa-focolaio, quella di Villa Torano, nel paese cosentino di Torano Castello. Lì i contagi, a cavallo di Pasqua 2020, hanno abbondantemente superato quota 100. Ha fatto discutere perché è emerso un atteggiamento diverso da parte della Regione nei confronti della struttura, con la Cittadella che ha aggirato perfino i suoi stessi provvedimenti.

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    Uno stralcio dell’ordinanza di Jole Santelli che stabiliva le procedure da seguire in casi cone quello di Villa Torano

    Per esempio: il titolare ha confermato di aver avuto direttamente dalla Protezione civile regionale circa 200 tamponi per gli ospiti della sua clinica privata. Ma ciò è avvenuto in una fase delicatissima in cui i test per il Covid venivano ancora distribuiti col contagocce. Erano poche centinaia quelli che in quei giorni venivano effettuati in tutta la Calabria.

    La proprietà della struttura fa riferimento al gruppo guidato da Massimo Poggi, ex socio di Claudio Parente – big del centrodestra calabrese, esponente di Forza Italia e coordinatore di una delle liste (“Casa delle libertà”) che ha contribuito alla vittoria elettorale del 2020 – le cui quote nella società che gestisce questa e altre cliniche private sono state rilevate anni fa dalla moglie.

    La magistratura indaga

    Su questi due casi, lontani e distinti non solo geograficamente, la magistratura ha aperto altrettante inchieste di cui ancora non si conosce l’esito. Per Villa Torano la Procura di Cosenza ha acceso i riflettori su alcune morti sospette e sul boom di contagi. Ipotizza i reati di epidemia colposa e omicidio colposo. Per la Rsa di Chiaravalle la Procura di Catanzaro punta ad accertare le cause del contagio di massa e se ci siano state eventuali omissioni da parte degli enti competenti nella gestione dell’emergenza e nel trasferimento di pazienti e operatori quasi tutti infettati nella struttura.

    Profitto vs Bene collettivo

    Ciò che resta, al di là dei risvolti giudiziari di una tristissima strage di anziani, è il nodo dei rapporti tra la politica, ad ogni livello e in ogni schieramento, e l’imprenditoria di settore. Non è in discussione la possibilità di fare affari perfettamente leciti in questo settore. Ma è un fatto che ci siano joint venture più o meno ostentate tra i decisori politici – che anche in regime di commissariamento non si astengono dal far sentire il loro peso – e i portatori di interessi che rispondono alle logiche del profitto e non a quelle del bene collettivo.

    Le cointeressenze, così come le guerre di burocrazia e gli intrecci politici, non riguardano solo la Calabria. Spesso, mentre sul territorio la sanità pubblica annaspa tra tagli ed emergenze, del business calabrese dei privati si discute nei palazzi romani. I due mondi non sono così distinti e quello della sanità privata è senza dubbio un partito trasversale.

    Il sindaco del settore Sanità

    Per esempio, nella Cariati in cui i cittadini occupano per lungo tempo l’ospedale per chiederne la riapertura, il sindaco si chiama Filomena Greco. La sua è una famiglia di imprenditori i cui interessi dall’olio e dal vino si sono estesi alle cliniche private. La loro area di riferimento è il Pd, con amicizie che a quanto si racconta vanno da Renzi a D’Alema.

    Sono proprietari degli “Ospedali Riuniti iGreco”, gruppo che nasce nel 2013 con l’acquisizione della Casa di Cura “Madonna della Catena” e nel 2014 si amplia con l’acquisizione delle strutture “La Madonnina” e “Sacro Cuore”. E, a proposito di trasversalismi, acquista pochi mesi fa ulteriori cliniche. Quelle dei Morrone, big del centrodestra e presenza fissa o quasi da anni in Consiglio regionale, col figlio Luca a prendere il posto che fu del padre Ennio.

    A una loro cerimonia di presentazione del gennaio del 2018 c’erano – riferiscono le cronache locali – oltre tremila persone. Tra di loro anche due deputati del Pd dell’epoca, Brunello Censore e Ferdinando Aiello. Quest’ultimo oggi è indagato assieme all’ex procuratore aggiunto antimafia di Catanzaro, Vincenzo Luberto, trasferito per ragioni disciplinari a Potenza come giudice civile. La Procura di Salerno lo accusa di aver sostanzialmente asservito la propria funzione proprio all’ex parlamentare dem.

    Ancora un’inchiesta

    Altro caso recentissimo è quello dell’inchiesta che coinvolge l’ex sindaco di Amantea Mario Pizzino e l’imprenditore Alfredo Citrigno, indagati per corruzione dalla Procura di Paola in relazione all’apertura di un centro diagnostico. I locali sarebbero stati ceduti dai familiari del politico al noto gruppo imprenditoriale cosentino.

    Fino a prova contraria non significa che i Greco, Parente, Citrigno o altri siano penalmente colpevoli di qualcosa, ci mancherebbe. Si tratta però di casi che forse qualcosa raccontano sui rapporti tra la politica calabrese (e non solo) e molti gruppi della sanità privata.

    I dubbi dei sindacati

    A chiedere chiarezza sono anche i sindacati. Angelo Sposato, segretario generale della Cgil, a margine di un’audizione con la Commissione parlamentare antimafia, ha ribadito pubblicamente la richiesta di «verificare gli accreditamenti nella sanità privata, gli appalti e le forniture». Una proposta poi rafforzata anche dall’intera assemblea del sindacato calabrese, che si è riunita alla presenza del leader nazionale Maurizio Landini.

    Spesso a rimanere schiacciati in situazioni drammatiche sono i lavoratori. È il caso del Sant’Anna Hospital di Catanzaro, una clinica privata d’eccellenza per la cura delle patologie cardiovascolari. Un contenzioso tra Asp e proprietà – con in mezzo un’inchiesta su presunti ricoveri fantasma in Terapia intensiva – ha portato per settimane al congelamento di un contratto da 24 milioni di euro relativo al 2020.

    Antonio Jiritano, dirigente dell’Usb in prima linea in questa e altre vertenze della sanità, conosce bene la situazione. «Per Catanzaro il Sant’Anna è come la Fiat per Torino. La nostra battaglia – spiega – non è certo per favorire i privati, che anzi abbiamo spinto a metterci dei soldi dopo che hanno guadagnato per vent’anni, bensì per i lavoratori. Non si possono tenere alla corda centinaia di persone».

    Sempre più soldi ai privati

    Intanto, anche per avere un’idea dei soldi pubblici che si investono annualmente nel settore, basta leggere l’ultimo decreto del commissario ad acta della sanità calabrese. Guido Longo ha fissato il tetto massimo per l’acquisto di prestazioni di assistenza territoriale sociosanitaria e sanitaria da privato accreditato. Il documento prevede, per il 2021, uno stanziamento complessivo di 186,8 milioni di euro. La somma è in aumento di oltre 12 milioni rispetto all’anno precedente e di 14 milioni rispetto al 2019.
    Il decreto suddivide così il budget: all’Asp di Cosenza 75 milioni, a Catanzaro 38,4 milioni, a Crotone 32,675 milioni, a Reggio Calabria 36,487 milioni e a Vibo Valentia 4,2 milioni.

  • De Magistris galoppa, il Pd corre… dietro a Oliverio

    De Magistris galoppa, il Pd corre… dietro a Oliverio

    Ormai, anche a destra fanno il totoscommesse su de Magistris. E in tanti si dicono convinti che il quasi ex sindaco di Napoli non solo supererà il quorum, ma rischia di salire sul secondo gradino del podio e dare una bella botta al resto del centrosinistra.
    Almeno questa è l’impressione emersa dalla recentissima riunione dei Masanielli calabresi, svoltasi all’Hotel 501 di Vibo Valentia.

    Una prova di partenza mica male per l’ex pm di Why Not?, che dopo mesi di iperattivismo sul territorio calabrese, ha quasi messo a punto la squadra con cui tenterà la conquista di Germaneto e ha aperto il dialogo elettorale anche a destra, dopo aver consolidato il rapporto a distanza con l’ex governatore Mario Oliverio.

    La corsa in solitaria

    I tempi del Tandem – il simbolo bizzarro che rappresentava l’alleanza burrascosa con l’istrionico Carlo Tansi – sembrano lontanissimi. Anzi, pare proprio che il divorzio dal ricercatore del Cnr abbia fatto bene a de Magistris, che ha subito qualche improperio dall’ex sodale ma, a giudicare dal tenore del dibattito social, ha guadagnato in credibilità. Segno che, a volte, perdere certi compagni di strada giova. E non poco.

    E giova anche correre da soli, come dimostra l’esperienza elettorale di Napoli. Mentre gli altri litigavano (a sinistra) e negoziavano (a destra), lui ha percorso in lungo e largo la Calabria. Ha esibito un livello di comunicazione e toni tutto sommato accettabili, senza sbilanciamenti eccessivi – e facili – sui versanti populista e giustizialista. Ha gestito un rapporto diretto con gli elettori (al momento potenziali) che ha iniziato a dare più frutti del previsto.
    Infatti, de Magistris non solo non si è fatto vampirizzare dall’ex sodale e dai potenziali avversari a sinistra, ma li ha vampirizzati.

    Il ruolo di Oliverio

    Stando a una succosa indiscrezione, avrebbero bussato alla sua porta un bel po’ di ex tansiani, evidentemente stressati dalla navigazione bizzarra e a vista del loro timoniere. E, al riguardo, c’è chi parla di una potenziale lista fatta di ex seguaci del visconte della tettonica a zolle, che si aggiungerebbero a Ugo Vetere.
    Dalla riunione vibonese sembra, inoltre, confermata la liaison con Oliverio. All’incontro hanno presenziato due esponenti di spicco dell’ex sinistra Pd: il vibonese Antonio Lo Schiavo e l’ex consigliere regionale cosentino Giuseppe Giudiceandrea.

    Il simbolo di questo schieramento, che potrebbe indebolire non poco i “compagni coltelli” del centrosinistra di Amalia Bruni è Liberamente progressisti.
    L’unico dubbio, in merito, è se a questo simbolo corrisponderà una lista di oliveriani o se questi si sparpaglieranno in tutto lo schieramento. Come ha spiegato Giggino, si tenta di evitare squilibri tra liste troppo forti e liste che non lo sono abbastanza. Detto altrimenti, i Masanielli mirano a massimizzare il bottino e, per farlo, spalmano le forze in maniera più uniforme possibile.

    Le liste

    Ancora non c’è nulla di certo, ma da quel che emerge, de Magistris potrebbe schierare da un minimo di sette a un massimo di nove liste.
    Iniziamo da quelle certe. Innanzitutto, ci sono le quattro liste demagistrisiane: De Magistris presidente, Dema, Uniti per de Magistris, Per la Calabria con De Magistris.
    Seguono le tre liste “politiche”, cioè la già menzionata Liberamente progressisti, Un’altra Calabria è possibile, ispirata a Mimmo Lucano, ed Equità per la Calabria, che contiene esponenti del Movimento 24 agosto-Equità territoriale, il partito “terronista” fondato due anni fa da Pino Aprile.

    A proposito dei terronisti, emerge un dettaglio troppo simpatico per non menzionarlo e non riguarda la leadership del giornalista pugliese, ridottasi a un’onorificenza platonica. Tocca, semmai, le scelte politiche globali, che risultano contraddittorie: infatti, mentre i terronisti appoggiano de Magistris, a Napoli ne avversano il candidato da lui indicato come proprio successore. Regione che vai, terrone che trovi.
    Resta il dubbio per Primavera della Calabria (il laboratorio politico di Anna Falcone) e per Calabria resistente e solidale, che potrebbero limitarsi a un fiancheggiamento esterno.
    In ogni caso, nove simboli sembrano un sintomo di ottima salute.

    Compagni coltelli

    Ancora trapela poco sul centrosinistra che si ostina a dirsi “ufficiale” ma che rischia di restare in braghe di tela. Da un lato, resta ai “bruniani” la possibilità di compilare liste forti grazie ai consiglieri uscenti, che vantano sulla carta ancora buoni numeri, come i cosentini Carlo Guccione e Mimmo Bevacqua. Ma non è detto che questi numeri possano tradursi in una somma algebrica, per almeno due fattori non proprio irrilevanti.

    Il primo: in non pochi, a sinistra, percepiscono la candidatura della scienziata come un maquillage elettorale per salvare il salvabile. Quindi una domanda è d’obbligo: è possibile votare chi ha gestito potere con la consapevolezza che difficilmente lo gestirà di nuovo? E ancora, sotto il profilo più “ideologico”: gli arrabbiati di sinistra, possono ritenere ancora valido il richiamo dei notabili di un’area politica, quella che gravita attorno al Pd, che ha perso ruoli e credibilità dal post renzismo in poi?

    Il secondo fattore riguarda Tansi, che al momento sembra aver trovato pace. Ma non troppa: infatti, ha chiesto la sottoscrizione di un codice etico tosto, a cui, ora come ora, non arriverebbero neppure i grillini. Ma chi chiederà di fare un passo indietro ai candidati che risultassero incompatibili con questo codice?
    E non finisce qui, perché i bene informati sussurrano altro, non senza una certa malignità. La liaison tra Tansi e la Bruni avrebbe una pronuba di non poco conto, la ministra dell’Università Maria Cristina Messa, medico con una gavetta accademica importante.

    Insomma, una roba tra scienziati per cercare di uscire con le ossa meno rotte possibile dallo scontro imminente con Roberto Occhiuto a destra e de Magistris a sinistra. Missione non facile, insistono i maligni. Che poi propinano altri retroscena, stavolta romani: i big del Pd si sarebbero rivolti a Letta perché provi a ricucire lo strappo con Oliverio e tutti amici come prima. O, almeno, meno nemici di prima, perché il nuovo divorzio tra l’ex governatore e il big cosentino Nicola Adamo rischia di fare più danni della vecchia lite del 2011, quando a causa dei loro dissidi Cosenza finì in mano di Mario Occhiuto.

    Per concludere

    Se son rose fioriranno. Ma a sinistra si vede soprattutto un roveto, in cui si lotta al coltello per arrivare secondi e prendere più seggi possibile.
    De Magistris, dopo un tour regionale iniziato in salita, inizia a schierare le truppe. Occhiuto lavora di fino per cucire gli strappi con i meloniani. Quel che resta dell’area Pd, invece, annaspa tra i soliti segreti brezneviani e le consuete contraddizioni.
    Non è detto che la sfiga sia di sinistra, come sosteneva Gaber. Ma di sicuro il casino lo è.

  • Ok, il prezzo è quadruplo: i nuovi acquisti della Regione

    Ok, il prezzo è quadruplo: i nuovi acquisti della Regione

    Farsi una cultura non ha prezzo. Lo sanno bene alla Cittadella, dove hanno deciso di arricchire gli scaffali della libreria (e non solo) senza badare troppo a spese. Nell’ultimo Burc pubblicato – il numero 60 del 29 luglio – è apparsa infatti una delibera dell’Ufficio di presidenza del Consiglio regionale che ha come oggetto “Adesione proposte di acquisto di libri, pubblicazioni e altro materiale illustrativo o documentario”. L’atto porta la firma del segretario Dina Cristiani e del presidente Giovanni Arruzzolo.

    Un omaggio ai visitatori

    La dirigente e il politico scrivono di accettare le proposte arrivate da quattro case editrici locali, disponendo di acquistare complessivamente poco meno di 500 volumi per una spesa totale di quasi 14.750 euro. I libri in questione, si legge nel documento, in realtà non amplieranno il bagaglio culturale dei nostri rappresentanti a Palazzo Campanella. Serviranno, invece, ad «omaggiare rappresentanti delle istituzioni, delegazioni, scolaresche o altri soggetti in visita al Consiglio regionale o per la realizzazione di eventi culturali previsti dal Piano della Comunicazione del Consiglio regionale della Calabria».

    Qualcuno fa lo sconto

    Un atto di generosità, dunque, che meriterebbe un encomio, ma che suscita al contempo qualche perplessità. Dell’opera Calabria letteraria edizione 2021, pubblicata da Città del Sole edizioni, per esempio verrano acquistati solo due volumi su quattro, seppure in 110 copie per ciascun tomo. Considerato lo sconto proposto dall’editore (10,50 euro invece di 15), forse sarebbe stato il caso di prendere anche l’altra metà dei volumi. Uno sconticino (18 euro invece di 20) è arrivato anche da Gangemi editore per le 50 copie di Raccontare Sambatello – Dalle origini ai giorni nostri un passato sempre vivo nella memoria di Matteo Gangemi. Meno disponibile a ribassi di prezzo, invece, la casa editrice Il cerchio dell’immagine, che incasserà 5.250 euro per le 150 copie (35 euro ciascuna) di Un luogo bello di Alessandro Mallamaci.

    Quattro volte e mezzo il prezzo base

    Quello che stupisce davvero è il prezzo per l’acquisto dell’opera Guida ai siti archeologici del Parco nazionale dell’Aspromonte – Dove la natura incontra l’archeologia. A scriverla è Lino Licari, che da oltre 25 anni si occupa di accompagnare i visitatori attraverso le montagne del Reggino. Il volume in questione, edito da Kaleidon, ai comuni mortali costa 20 euro (o anche meno) da quel che si apprende girovagando per il web. La Regione, però, lo pagherà più del quadruplo: per averne 70 copie ha stanziato 6.240 euro, come se ognuna ne costasse 89,15.

    Il logo d’oro

    Certo, sarà un’edizione diversa dalle altre. Nella delibera dell’Ufficio di presidenza si legge infatti che «il volume è composto di 128 pagine a colori, con copertina cartonata con stampa a caldo in oro, in edizione “fuori commercio” su cui verrà impresso il logo dell’Ente e saranno dedicate due pagine ad un testo istituzionale». Se cotanti cambiamenti rispetto all’originale meritino un esborso di quasi 5.000 euro in più del previsto potranno spiegarlo solo dai piani alti di Palazzo Campanella. Sempre che gli interessi farlo: in fondo i soldi impiegati per l’acquisto li mettono i contribuenti, non loro.

  • Non è la Rai: Wanda scalpita, ma Meloni ha altre mire

    Non è la Rai: Wanda scalpita, ma Meloni ha altre mire

    C’è un retroscena di alcuni mesi fa che potrebbe gettare luci (e proiettare ombre) sull’attuale bailamme del centrodestra calabrese, che si appresta, fatti salvi sorprese e terremoti, a vincere le prossime Regionali. Con un unico problema sul tappeto: il quanto.

    Riavvolgiamo il nastro. Il dietro le quinte risalirebbe alla scorsa primavera e avrebbe due protagoniste: Wanda Ferro e Giorgia Meloni. Quest’ultima, stando ai bene informati, avrebbe gelato la combattiva deputata, che covava da tempo l’ambizione a succedere alla scomparsa Jole Santelli, magari per prendersi una rivincita sulle sfigate Amministrative del 2014.
    Nulla da fare, avrebbe detto la ducessa di Trastevere: fino alle prossime politiche, meglio evitare la Calabria, fonte di guai.
    Che per Fdi, tra l’altro, non sono stati pochi né leggeri: si pensi agli indagati e agli ammanettati eccellenti, frutto spesso di una campagna acquisti non troppo cauta (come nel caso di Giancarlo Pittelli, all’epoca di Rinascita Scott fresco di trasloco da Forza Italia).

    La Calabria, tra le varie controindicazioni di cui i politici romani devono tener conto, ha anche la facilità con cui avvengono indagini e arresti. Lo diciamo con tutto il garantismo possibile, ma pure con la consapevolezza che in politica e per l’opinione pubblica le manette sono sempre micidiali, anche quando l’ammanettato viene prosciolto. E allora, come mai – è proprio il caso di dire – questo ritorno di fiamma? La risposta è, ovviamente, nei corridoi della Roma “che conta”.

    La pietra di scambio

    Si è detto e ridetto che la scintilla sarebbe esplosa per la mancata assegnazione ai meloniani della poltrona in Rai. Ma è solo una scintilla e forse neppure troppo grande per provocare tanto incendio.
    Secondo gli addetti ai lavori il problema vero riguarderebbe le prossime Politiche e starebbe nel mix micidiale tra il patto di coalizione che lega il partito degli ex An con Lega e Fi e la composizione del prossimo Parlamento, dimezzato dal referendum dello scorso autunno. Un cocktail da cui le ambizioni della Giorgia nazionale potrebbero subire un drastico ridimensionamento. Vediamo come.

    Il patto politico prevedeva che seggi e collegi dovrebbero essere distribuiti in base alle proporzioni elettorali ottenute nel 2018. Se fosse confermato, la ducessa incapperebbe male: a lei toccherebbe poco meno del cinque per cento della torta, che varrebbe meno di una guarnizione di zucchero in un Parlamento bonsai.
    Questo timore, motivatissimo, potrebbe spiegare tutte le mosse della Nostra, che si è arroccata a destra, restando all’opposizione mentre gli altri si apprestavano a sostenere Draghi, e ha radicalizzato le proprie posizioni pur continuando a governare nelle realtà regionali e locali in cui il centrodestra è in maggioranze.
    A parti e geografia invertite, sembra lo stesso scenario del 2011.

    Di lotta e di governo

    Nel 2011 l’anomalia non era l’Italia ma la Calabria. Qui Roberto Occhiuto, che era all’opposizione a Roma, aveva piazzato l’Udc in posizioni di governo, in cambio di notevoli dividendi politici: assessorati regionali (anche per placare gli appetiti degli avversari interni, reali e potenziali, a partire dai Trematerra), postazioni di comando a tutti i livelli, il Comune di Cosenza, passato per la prima volta a destra (inclusa quella ex neofascista) grazie a Mario Occhiuto.
    Oggi si è rovesciato tutto: Giorgina governa nelle realtà locali assieme agli alleati romani, ma è la principale oppositrice di Draghi. Anche lei, come Roberto Occhiuto 1.0, di lotta e di governo. Nel frattempo, fa di più: la campagna acquisti, innanzitutto tra gli alleati part time e dove può.
    Così facendo, è lievitata nei sondaggi, che la danno, a seconda dei casi e delle committenze, per prima o per primissima.

    Ma con questi chiari di luna l’insidia è dietro l’angolo, perché ti puoi gonfiare di voti e restare marginale lo stesso. E, peggio ancora, se non hai strutture forti di partito ma ti affidi ai consensi dei notabili vecchi (qui da noi i Morrone) e più o meno nuovi (l’immarcescibile Fausto Orsomarso), rischi l’evaporazione.
    A tacere di un altro rischio: l’iperattivismo delle Procure, che in Calabria sono scatenate e promettono fuoco e fiamme.
    Ce n’è abbastanza per dire che la Calabria non è solo pericolosa ma può portare pure sfiga: come dare torto alla Meloni?
    E allora l’unica soluzione sarebbe: arraffare più voti e ruoli sul territorio per rivenderli bene a Roma, anche, se e quando (come ora) serve, a costo di far saltare il banco.

    Dinamiche (im)politiche

    Dunque, si risveglia Giorgia, si risveglia Wanda – che, a dirla tutta, forse non ha mai dormito – e rialzano la posta. Va da sé che anche un bambino capirebbe che è solo un modo di apparare le cose. Un messaggio non troppo a distanza per far capire agli attuali alleati part time che o mollano qualche osso oppure iniziano i problemi.
    Intendiamoci, la Calabria resta una terra “maledetta” da cui guardarsi a vista, per chi è abituato a negoziare in certi ristoranti della Roma bene. Tuttavia, da noi si gioca la partita più grossa, tolto ovviamente il big match della Capitale: la Regione, dove la vittoria dovrebbe essere cosa fatta, più 83 Comuni, di cui il più importante è Cosenza.

    Partita grossa e complicata: Cosenza sarà pure una città declinante, a livello economico e demografico, ma resta il capoluogo di una provincia che è metà regione e, soprattutto, è il quartier generale della famiglia Occhiuto.
    Non è un caso che, per completare il puzzle, siano utilissimi anche i retroscena cosentini. Uno, in particolare, riguarda la scelta del “campione” che dovrebbe prendere il posto del non più candidabile Mario Occhiuto: il mite e fine Francesco Caruso, che dovrebbe rivendicare l’eredità dell’archistar, il quale per ringraziare gli farebbe da vice.

    La voce più accreditata sostiene che, per meglio indorare la pillola con alcuni potentati cosentini, Roberto Occhiuto avrebbe tentato di attribuire la candidatura di Caruso a Fratelli d’Italia.
    E i meloniani forse accetterebbero, perché i loro big cosentini (i Morrone e Fausto Orsomarso) sono proiettati sulla scala regionale, e lascerebbero spazio per un’altra partita delicata, che farebbe comodo a Roberto Occhiuto: l’affaire Gentile.

    Pino Gentile, il terzo comodo

    La famiglia Gentile sta a Cosenza come l’Impero Ottomano alla vecchia Europa: sono declinanti ma vitali e, soprattutto, controllano ancora molti voti. Nessuno, ancora, può evitare di fare i conti con loro, non foss’altro per aggirarli o affrontarli. Meglio, quando si può, averli alleati. E quest’alleanza per Roberto Occhiuto è una necessità forte, anche per dinamiche politiche che non dipendono da lui.

    Infatti, Andrea Gentile, figlio di Tonino l’ex senatore di Fi ed ex big di Ncd, è il primo dei non eletti di Cosenza alla Camera. Quindi, se Roberto diventasse governatore e lasciasse il posto, Gentile Jr entrerebbe a Montecitorio e risveglierebbe il potere della vecchia dinastia cosentina.
    Non a caso, Pino Gentile sarebbe pronto con una lista per appoggiare Occhiuto nella scalata a Germaneto e a fornire il suo appoggio anche a Cosenza.
    Un equilibrio delicatissimo da gestire perché i calabresi hanno capito benissimo una cosa: la Calabria si vince o si perde da Cosenza e dalla sua provincia. E questo sin dai tempi di Loiero.

    Tiriamo le somme

    E la Meloni, quindi la Ferro, in tutto questo? Fanno in Calabria quel che fanno in tutto il resto d’Italia, dove governano o stanno all’opposizione col resto del centrodestra: rompono le scatole per ottenere di più.
    In questo caso, la Calabria pesa come un Comune del Lazio o una Provincia della Lombardia: è una pietra di scambio. Può essere barattata con più seggi alle prossime Politiche o con un congruo numero di assessorati a Roma, la città in cui il mandibolone del Duce resta un’icona pop in vari strati della popolazione.

    In Calabria, Fdi ha, al momento, il massimo che poteva ottenere nel 2020: la vicepresidenza del Consiglio regionale, l’assessorato chiave del Turismo e le Ferrovie della Calabria, appaltate anch’esse a Fausto Orsomarso.
    Gli analisti sono convinti che la quadra si dovrebbe trovare con la cessione della presidenza o della vicepresidenza, probabilmente alla scalpitante Wanda, che al momento è anche la campionessa di Catanzaro, senz’altro per meriti suoi ma anche per i guai giudiziari capitati a Mimmo Tallini.
    I bene informati riferiscono di recenti consultazioni romane di Roberto Occhiuto per risolvere il problema e a breve avremo la risposta al quesito che affanna la politica calabrese: quanti dividendi dovranno cedere a Roma per consentirgli di governare la Calabria?

  • Primo a promettere, Ultimo a mantenere: l’annuncite di De Caprio

    Primo a promettere, Ultimo a mantenere: l’annuncite di De Caprio

    Suo malgrado e certamente per necessità, almeno sulle mascherine il Capitano Ultimo è stato un precursore. Il volto lo copre da tanti anni, più di quelli trascorsi da quando catturò Totò Riina. Oggi, però, Sergio de Caprio non è più un uomo dell’Arma bensì un politico atipico. Che continua a definirsi «carabiniere straccione» e che ha in mano un settore delicatissimo e complicato qual è l’ambiente calabrese.

    Il video di propaganda

    La delega all’Ambiente gli è stata affidata, com’è noto, la compianta Jole Santelli annunciandolo con una conferenza stampa show – con tanto di trailer che vi riproponiamo sotto – che si tenne a neanche un mese dalla sua elezione a presidente della Regione.

    https://www.facebook.com/345246979000406/videos/191624481921897

    Non in quella Calabria che si disse di voler trasformare in «una grande riserva naturale», ma in un elegante sala di Montecitorio. «Sono nato dove il vento corre libero e non c’è niente che spezza i raggi del sole», dice di sé su Twitter il Capitano Ultimo, impregnando ogni post della retorica del «popolo della strada» e della «fratellanza» contro «l’avidità del dominio».

    Diciotto mesi di annunci

    Se con lui all’assessorato all’Ambiente sia stata fatta «una scelta chiara per la #Calabria che vuole #dialogo e #democrazia contro ogni autoritarismo politico o mafioso» e se si stia concretizzando l’obiettivo di «tutelare l’autodeterminazione delle comunità calabresi» spetta agli stessi abitanti della regione valutarlo. Intanto però dalla sua nomina sono passati 18 lunghi mesi e di annunci Ultimo ne ha fatti tanti. Il più recente riguarda un “problemone” storico come quello della depurazione.

    «Abbiamo sbloccato situazioni – ha dichiarato lo scorso 21 luglio – che erano ferme da anni. Le abbiamo monitorate con i sindaci e con i tecnici dei Comuni. Abbiamo preparato 125 interventi su 120 Comuni e finanziato le progettazioni con 65 milioni di euro già approvati, come anticipo sul Fondo di coesione e sviluppo, ai quali si aggiungeranno quasi 200 interventi, ridimensionati su 100 milioni di euro». Tutto questo «si chiama programmazione», ha aggiunto. Gli effetti concreti sul territorio di tanta capacità programmatica, però, quando la seconda estate del suo assessorato è già in parte compromessa e inchieste come quella della Procura di Paola svelano situazioni quantomeno imbarazzanti, stentano ancora a rivelarsi.

    Certamente la questione è atavica. E il «mare da bere» i calabresi, in particolare in alcuni tratti del litorale tirrenico, se lo sognano fin dai tempi delle scuse pubbliche di Agazio Loiero, i cui successori non sembrano aver fatto meglio. Intanto se ne occupano le Procure: quelle di Vibo e Lamezia hanno creato una sorta di team interforze per monitorare l’inquinamento del mare. E i politici di ogni schieramento che minacciano di denunciare chiunque dica che il mare è inquinato si ritrovano a fare i conti con ciclici imbarazzi.

    L’assessore smentito dal “burokrate”

    A Ultimo capita anche di puntare il dito contro i «tanti burokrati che cercano solo il dominio». Ma chissà cosa pensa di quelli che hanno la responsabilità amministrativa del suo settore alla Cittadella. Un caso, anche questo recente, fa capire quanto sia disarmante misurare la distanza tra le parole e la realtà, tra gli annunci e le carte. È successo a San Ferdinando, Comune della Piana di Gioia Tauro nel cui territorio sfocia un fiume, il Mesima. Attraversa buona parte dell’entroterra vibonese ed è indicato da anni come portatore di inquinamento perché qualcuno ci sversa dentro reflui e liquami di ogni tipo.

    Il Comune di San Ferdinando si dà da fare per cercare di evitare che anche quest’anno arrivi a mare una certa portata di schifezze. Ma con pochi fondi l’unica soluzione praticabile secondo l’ente è ancora una volta quella dello sbarramento. Realizzare, cioè, una sorta di diga di sabbia con dei tubi che ci passano in mezzo per cercare di filtrare i liquidi inquinanti prima che sfocino a mare. Il Comune avvia quelle che vengono definite interlocuzioni istituzionali e già a marzo incontra Ultimo. L’ultima riunione risale al 30 giugno. «L’assessore De Caprio – ha fatto sapere l’amministrazione di San Ferdinando – ha garantito il sopralluogo immediato da parte di Calabria Verde in previsione dello sbarramento della foce».

    Succede però che il Wwf insorga perché ritiene lo sbarramento non risolutorio e dannoso per l’ecosistema dell’area e che chieda alla Regione se abbia autorizzato o finanziato interventi simili. La risposta del direttore generale del dipartimento Ambiente è stringatissima, ma eloquente. «Non risultano al momento interventi finanziati da questo Dipartimento per lavori sul fiume Mesima, né richieste di autorizzazioni per la realizzazione di interventi». In sostanza il dirigente generale smentisce ciò che Ultimo aveva garantito agli amministratori locali.

    Le ultime parole famose

    Il comunicato sul sito web della Regione porta la data del 3 novembre 2020. Il titolo è: «Rifiuti, De Caprio: “Ecco il piano che cambierà la regione”». L’attacco, con le dichiarazioni dell’assessore-carabiniere, è ancora più deciso: «Abbiamo approvato le linee guida del Piano di gestione rifiuti regionale, che ci porterà a discariche zero entro due anni». È un «provvedimento – continua Ultimo – completo, di sistema. Lo faremo alla luce del sole per la Calabria e insieme ai calabresi». Un anno è quasi già passato, quel Piano non è finora mai arrivato nell’aula del consiglio regionale, che intanto approva cose evidentemente più urgenti come il tg web di Palazzo Campanella. È rimasto, dunque, solo un atto di indirizzo.

    Dal privato al… privato

    In vigore c’è invece quello approvato nel 2016 dalla maggioranza che allora sosteneva Mario Oliverio. Prevedeva la realizzazione di una serie di impianti per i quali a distanza di 5 anni si registrano forti ritardi. Le conseguenze di tutto ciò si rivelano in una recente ordinanza. Nel documento la Regione ammette che tra luglio e settembre potremmo portare fuori dalla Calabria 10mila tonnellate di rifiuti «a prezzi esorbitanti» e che comunque ciò non basta. Così siamo tornati a portare i rifiuti alla discarica della società Sovreco a Crotone a cui viene riconosciuta una tariffa di 180 euro a tonnellata per un massimo di 600 tonnellate al giorno. Equivale a oltre 100mila euro ogni 24 ore.

    A proposito del ricorso ai privati, però, Capitano Ultimo aveva assicurato: «La cosa più importante è quella di creare una metodologia di dialogo trasparente e privo di interessi locali». Tutto questo per «affrontare e sostenere la transizione di un sistema della gestione del ciclo dei rifiuti sempre emergenziale, condizionato dalla prevalenza di interessi privati, ad un sistema a prevalenza pubblica». Un anno fa la stessa Santelli aveva respinto la proposta di conferire a Crotone a costi minori di quelli attuali rivolgendosi, peraltro, anche a un paio di Procure.

    Le pale girano ancora

    Anche qui partiamo da un annuncio. Ansa, 9 febbraio 2021: «Sono state sospese in Calabria le autorizzazioni per la realizzazione di impianti eolici ed elettrodotti “in quanto rappresentano una violenza alla bellezza della regione e allo sviluppo del turismo”. Lo ha disposto l’assessore alla Tutela dell’ambiente della Regione, Sergio De Caprio». Ci si aspettava che a una dichiarazione del genere, accolta con un certo favore dagli ambientalisti, seguisse una legge regionale. O, almeno, un atto di indirizzo politico. Invece nulla, nessun provvedimento ufficiale. Forseci si è resi conto che la Corte costituzionale ha già bocciato un tentativo analogo fatto dalla Regione Campania nel 2016.

    Intanto succede, per fare due esempi, che a Cirò (Crotone) solo una sollevazione dei viticoltori impedisca che venga costellata di pale eoliche la “collina del vino”. E che a San Vito sullo Jonio (Catanzaro) si decida di tagliare 750 alberi per fare spazio ai moderni mulini a vento. Su quest’ultima vicenda non è noto il parere di Ultimo.

    La multiutility? Sorical permettendo

    Tranquillizza, però, sapere che «la Calabria si allontana dalla palude del localismo condizionato da lobby e ‘ndrangheta e crea una multiutility pubblica che gestirà rifiuti, acqua ed energia rinnovabile in una dimensione interregionale, insieme al Mezzogiorno del Mediterraneo, portando benessere e sviluppo per il popolo calabrese».

    Di concreto, in realtà, al momento c’è solo una delibera di indirizzo con cui la Regione prova a verificare se ci siano le condizioni per acquisire le quote private di Sorical e, così, far uscire dalla liquidazione avviata 9 anni fa la società che gestisce l’acqua calabrese, magari per farne un vessillo elettorale della Lega. Ma aspettiamo fiduciosi.

  • Cinque cerchi, cinque zeri: quasi 600mila euro alla Rai per il Muccino olimpico

    Cinque cerchi, cinque zeri: quasi 600mila euro alla Rai per il Muccino olimpico

    La Regione pagherà poco meno di 600mila euro alla Rai per l’esordio a cinque cerchi del discusso cortometraggio di Gabriele Muccino sui canali della tv nazionale. Nonostante la presentazione dello spot risalga alla tarda estate del 2020, nei successivi undici mesi la battaglia legale tra la Cittadella e la Viola Film, società di produzione individuata dal regista, per la condivisione anticipata del filmato ha fatto sì che quest’ultimo circolasse, con non troppe fortune e numerose parodie, soltanto sul web. Passata la tempesta di critiche iniziali, le visualizzazioni si sono sempre più ridotte mentre l’estate si avvicinava.

    Un aiuto in regia per Muccino

    Il corto, però, ufficialmente è rimasto nei cassetti fino a fine luglio. La diatriba in tribunale si è chiusa in primavera con uno sconticino alla Regione, che si è accaparrata l’opera per poco meno di un milione e 400 mila euro (circa 300mila in meno del previsto), e la promessa di ritocchi – a spese (circa 90mila euro, recitano gli atti) della Viola – per qualche scena particolarmente infelice.

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    Nino Spirlì sul set a Palmi per la nuova versione di Calabria Terra mia

    «Come può raccontare l’Amore, l’Eterno Bello, le profonde rughe dell’Arte, che sono l’Anima di questa Calabria, morbida e tortuosa, solennemente silenziosa e guardinga, seppur maternamente amorevole, un uomo che non conosce la fraternità, il “cum patire”, la solidarietà, l’equità?», chiedeva, d’altra parte, proprio Spirlì soltanto dieci mesi fa riferendosi a Muccino. All’inizio di giugno, invece, il successore di Jole Santelli era sul set di Palmi per la realizzazione della nuova versione riveduta e corretta dello spot.

    Tokyo costa

    Nonostante l’illustre supporto istituzionale alle riprese, per avere il remake di Calabria Terra mia – questo il titolo scelto da Muccino – in Cittadella hanno atteso il 2 luglio 2021 e altri quindici giorni sono passati per il preventivo della Rai. In Regione avranno pensato che, visto che un anno era andato già perso, tanto valeva far partire la campagna promozionale in ritardissimo ma col botto. E cosa fa più spettatori delle Olimpiadi in questo periodo? Nulla. In più Tokyo 2020 arriva un anno dopo il previsto. Proprio come lo spot, che avrebbe dovuto portare i turisti quest’anno e non il prossimo.

    Quindi ecco 482.435,45 euro per mamma Rai, di cui 417.437,45 per il piano TV e 65.000 per quello digital. Tutto condito da un altro centinaio abbondante di migliaia di euro per l’Iva. Totale 588mila e rotti euro, che sommati al milione e quattro speso per girare il corto portano il costo dell’operazione Muccino a poco meno di due milioni.

    Sulla Rai per due settimane

    Ma è un conto che presto dovrà essere aggiornato: l’accordo con la Rai prevede la trasmissione degli spot soltanto dal 24 luglio all’8 agosto. Poi per farci rivedere ancora Raul e Rojo sul piccolo schermo alla Cittadella toccherà di nuovo allentare i cordoni della borsa. Sarà anche per questo che sempre Spirlì dalla sua bacheca Facebook ha annunciato urbi et orbi gli orari indicativi della messa in onda dei filmati per il weekend, non sia mai ce ne perdessimo uno.

    Dopo il bombardamento di sabato, infatti, con il corto di Muccino andato in scena una quindicina di volte, stando al palinsesto diffuso dal presidente f.f. già domenica si era scesi a cinque passaggi in tv. Aumenteranno di nuovo? Diminuiranno? Ai followers l’ardua sentenza. Per capire se, invece, gli spot porteranno davvero nuovi turisti ormai toccherà aspettare l’estate prossima.

  • Epidemia permanente: i buchi neri della sanità e il vuoto della politica

    Epidemia permanente: i buchi neri della sanità e il vuoto della politica

    Ci sono un centralinista, un elettricista e un giardiniere. Non caricature da barzelletta, ma dipendenti della sanità pubblica almeno fin dagli anni ’70, quando a gestire gli ospedali erano i Comitati di gestione delle Unità sanitarie locali (Usl) con assunzioni scientificamente lottizzate tra i partiti della Prima Repubblica. Per capire in che condizioni sia la sanità calabrese oggi bisogna partire proprio da qui. L’emergenza non è arrivata con il Covid. Ha radici nell’epoca in cui la sanità pubblica era la vera, grande industria del Mezzogiorno, l’unica che per decenni ha permesso a tante famiglie di contrarre il mutuo e mandare i figli all’università. Poi l’assetto di potere ha cambiato forma, così come sono mutati, almeno all’apparenza, i partiti che ne costituiscono l’ossatura.

    Nel nuovo millennio per fare nuove clientele si esternalizzano i servizi. Le Usl diventano Aziende (prima Asl e poi Asp) e il lavoro che dovrebbero fare il centralinista, l’elettricista e il giardiniere va in appalto a coop private che assumono le persone indicate dal politico di turno. Senza dimenticare i legami, cementati con milioni di euro pubblici, tra politica e sanità privata. La bolla alla fine scoppia perché è un sistema che proprio non si sostiene. Tutto a un tratto ci si accorge che si devono far quadrare i conti e arrivano i tagli orizzontali. Si chiudono anche ospedali di zone molto disagiate che erano l’unico approdo sanitario per tanta gente che sopravvive nella periferia della periferia del Paese.

    Oltre dieci anni di commissari, ma la sanità peggiora

    L’involuzione della sanità calabrese si è dunque tramutata in un commissariamento ultradecennale accentuato da quel “decreto Calabria” che, nelle ultime ore, la Corte costituzionale ha bocciato solo in parte. Le reazioni e le interpretazioni circa la pronuncia della Consulta si sprecano, ma è sempre bene ricordare come e quando questa vicenda abbia avuto origine.

    La “tutela” governativa sulla Salute dei calabresi inizia con il governatore-commissario Peppe Scopelliti – anche se i tagli erano arrivati già con Agazio Loiero – e prosegue con i suoi successori: l’ingegnere toscano Massimo Scura; il generale dei carabinieri in pensione Saverio Cotticelli; l’ex superpoliziotto Guido Longo. Quest’ultimo è attualmente in carica, gli altri si sono avvicendati in un decennio in cui le cose non sono affatto migliorate.

    Spulciando tra le carte del Ministero della Salute ci si accorge infatti che i Livelli essenziali di assistenza (Lea) nel 2011 si attestavano a un «punteggio pari a 128», collocando la Calabria «in una situazione “critica”». Dopo 10 anni, stando ai verbali del Tavolo interministeriale (detto “Adduce”) che monitora le Regioni in Piano di rientro, la situazione è addirittura peggiore di prima. Nella riunione romana del 22 dicembre 2020 si registra, per il 2019, un «punteggio provvisorio pari a 119, in rilevante peggioramento rispetto alla precedente annualità e collocando la regione nella soglia di non adempienza».

    Nelle ultime ore dalla nuova riunione del Tavolo Adduce è emerso che il disavanzo al 2020 si dovrebbe attestare sui 90 milioni. È una voragine finanziaria da cui non sembrano in gradi di farci risalire né i commissari-poliziotti con i superpoteri dei decreti Calabria né tantomeno gli stessi politici che in questa cavità ci hanno precipitato e che ora scalpitano per riprendersi “tutt’ chell’ ch’è o’ nuost”.

    Le (poche) proposte dei candidati

    La candidata del centrosinistra Amalia Bruni è del mestiere, le forze politiche che la sostengono, a partire da Pd e M5S, hanno fatto subito sapere che lei «conosce perfettamente i limiti del sistema sanitario regionale». E che questo sarà un «tema centrale dell’azione politica e amministrativa a cui intendiamo guardare».

    L’aspirante presidente del centrodestra Roberto Occhiuto ha annunciato di volere chiedere al governo di «mettere a disposizione della Regione la Ragioneria generale dello Stato insieme ai reparti operativi della Guardia di Finanza per ricostruire i conti della sanità».

    Luigi de Magistris si è schierato «per la sanità pubblica, per una sanità che funzioni e dia garanzia a tutte e tutti» attaccando non tanto Bruni quanto chi la sostiene che, a suo dire, «ha contribuito in questi anni, come il Pd a livello regionale, allo smantellamento della sanità pubblica». Insomma, come proposta politica ancora c’è davvero poco di sostanziale sul piatto della campagna elettorale.

    I ritardi della sanità

    In attesa che si faccia chiarezza (documenti alla mano) sull’ultimissima riunione del Tavolo interministeriale, vale la pena ricordare che a Roma hanno già messo nero su bianco nei mesi scorsi «la gravità concernente la mancata adozione dei bilanci 2013-2017 della Asp di Reggio Calabria», aprendo un capitolo sui buchi milionari finiti al centro di indagini giudiziarie che di recente hanno investito anche l’Asp di Cosenza. E poi le «fortissime criticità sui tempi di pagamento da parte degli enti del Servizio sanitario della Regione Calabria: sulla base delle informazioni fornite dalle aziende, Tavolo e Comitato rilevano che tutte le aziende del Servizio sanitario calabrese non rispettano la direttiva europea sui tempi di pagamento, con ritardi fino a oltre 800 giorni».

    Persistono, secondo i tecnici dei Ministeri, «gravi criticità nell’adesione ai programmi di screening oncologici» e anche le assunzioni restano ferme, tanto da spingere il governo a sottolineare «l’urgenza di dare piena attuazione ai decreti Covid». Al di fuori delle carte ministeriali, invece, va ricordato che se da un lato gli operatori sanitari sono stati costretti a combattere a mani nude la guerra al Covid, con gli infermieri che hanno denunciato turni massacranti e straordinari non pagati, dall’altro sono stati annullati o posticipati migliaia di ricoveri e di interventi. Per non parlare delle prestazioni ambulatoriali, letteralmente crollate.

    I vuoti sul territorio

    In un quadro simile sono in forte ritardo sia la conversione degli ospedali dismessi in Case della salute che la piena operatività delle Usca (Unità speciali di continuità assistenziale). Sono strumenti che, con la pandemia in atto, avrebbero potuto rivelarsi essenziali per evitare le morti, le code delle ambulanze, il caos vaccini, i dati aggiornati a mano perché nessuno ha ancora effettuato la digitalizzazione del sistema.

    «Siamo una regione “ospedalocentrica” ma senza avere gli ospedali», spiega Rubens Curia, ex manager della sanità pubblica e portavoce di “Comunità competente”. Si tratta di una rete di enti di terzo settore, associazioni, persone, sindacati, che da due anni porta avanti una «battaglia culturale» invocando gli interventi previsti dalla legge per la medicina territoriale. «Quando abbiamo rilanciato le nostre proposte, a novembre scorso, c’erano solo 17 Usca attive in tutta la regione, nei mesi successivi ne hanno attivata qualcun’altra ma a ranghi ridotti e con giovani medici che fanno un lavoro massacrante».

    Secondo la legge dovrebbe essercene una ogni 50mila abitanti, ma quella che c’è a Cosenza in via degli Stadi, per esempio, ne ha serviti oltre 160mila. Gli ospedali da campo non hanno impedito che si ingolfassero di nuovo i reparti. E non si sa che fine abbiano fatto i Covid Hotel – il bando della Protezione civile prevedeva per le strutture individuate il pagamento di 65 euro per le camere occupate e 15 euro per quelle rimaste inutilizzate. Ci sono stati anche tanti anziani che, per seguire le paradossali indicazioni della piattaforma di prenotazione, hanno dovuto fare fino a 200 km per vaccinarsi. Qualcuno, addirittura, è dovuto arrivare fino in Sicilia per la sua dose.

    Intanto alla Cittadella si avvicendano ciclicamente gli stessi burocrati che sopravvivono ai commissari inviati dal governo per gestire questa epidemia permanente. Inamovibili più del centralinista, del giardiniere e dell’elettricista.

  • Oliverio verso De Magistris? Sono più di tre indizi

    Oliverio verso De Magistris? Sono più di tre indizi

    Come Ernesto Magorno anche Mario Oliverio non correrà alla presidenza della Regione Calabria. Due rinunce con sorpresa. Mentre il primo ha scelto il centrodestra di Roberto Occhiuto, il secondo si dirige verso Luigi de Magistris.
    L’ex presidente aveva provato a forzare la mano come nel 2014 ma non c’è stato niente da fare. Forte del consenso e della rete costruita tra sindaci e amministratori locali ha deciso di giocare comunque la sua partita e cercherà da gregario le soddisfazioni che non è riuscito a trovare da protagonista.

    Tre indizi fanno una prova

    Lo farà, però, spendendosi fuori dal partito dove ha militato per anni decidendo di offrire il suo patrimonio politico al sindaco di Napoli. Se tre indizi fanno una prova basterebbero i nomi di Giuseppe Giudiceandrea, Mimmo Lucano e Ugo Vetere per confermare quella che per il momento è una voce insistente. E in queste ore diverse sono le indiscrezioni di consiglieri ed ex consiglieri regionali del Cosentino e del Vibonese che hanno avuto un abboccamento con Luigi de Magistris. I nomi che circolano con maggiore insistenza sono quelli di Aieta, Di Natale e Censore.

    Amalia, l’amica di Mario

    Il Pd ha provato a ricucire lo strappo mettendo in difficoltà l’ex governatore con la candidatura della scienziata Amalia Cecilia Bruni, professionista stimata e amica di lungo corso dell’ex governatore tanto da essere stata nominata  nel Consiglio superiore della Sanità proprio durante la presidenza del sangiovannese. Ma non è stato sufficiente. Tutt’altro, se l’effetto è stato quello di spingere Oliverio ad utilizzare tutto il suo ascendente per svuotare le liste del Pd a favore del Polo civico dell’ex sindaco.

    Cosa vuoi di più dalla vita? Un Lucano

    Ad indicare la via, un mese e mezzo fa, era stato l’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano che nel web talk KlausCondicio ha dichiarato: «Non sono nessuno per dare indicazioni, il mio è solo un auspicio che si possa avere un orizzonte più largo possibile. Questo non significa tornare al vecchio politichese. Verso Mario Oliverio così come Agazio Loiero c’è un rapporto di affetto. Mi rendo conto che non sono la sinistra antagonista ma sulla questione che ha fatto volare l’immagine della Calabria intesa come terra di solidarietà e inclusione nel mondo sono stati presenti e partecipi. È un auspicio, una speranza».

    Il 30 luglio è prevista una riunione a Lamezia Terme tra tutti i candidati di Luigi de Magistris, il giorno della verità. Dentro o fuori.

  • Sanità allo sbando, accreditamenti «fuori controllo»

    Sanità allo sbando, accreditamenti «fuori controllo»

    Il Settore Accreditamenti della Regione, quello che gestisce i rapporti tra sanità pubblica e privata, «è fuori controllo». A metterlo nero su bianco è Remo Pulcini (Agenas) nel report inviato al ministero della Salute e realizzato in collaborazione e su indicazione del dirigente del Settore 2, Francesca Palumbo. Pulcini staziona nella Cittadella in qualità di esperto inviato dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, a supporto della struttura commissariale guidata da Guido Longo.

    La grande fuga

    La guida del settore 2 della Cittadella di Germaneto non sembra un posto ambito, anzi. Molti scappano, altri fanno di tutto per starne alla larga. Palumbo è stata trasferita d’ufficio lì con decreto del presidente facente funzioni Nino Spirlì. Ma ha capito subito, come tanti altri, che il suo ruolo da dirigente non sarebbe stato affatto semplice. A marzo del 2021 partecipa all’avviso interno della Regione Calabria, passando poi al dipartimento Agricoltura. Prima di lei aveva mollato il tellurico Settore 2 anche Francesco Bevere, direttore generale di allora.

    Il report sugli accreditamenti

    Il documento di Palumbo e Pulcini evidenzia come il Settore sia ai limiti del collasso, costretto ad affrontare «gravi criticità». L’aggettivo non è speso a caso, l’elenco dei problemi comprende, infatti, un «ingente arretrato di varia tipologia; nessun criterio logico organizzativo; tempistica di conclusione dei procedimenti non rispettata con inevitabile contenzioso; pratiche incomplete o introvabili; istruttorie avviate con parziale documentazione».

    Le raccomandazioni dell’Anticorruzione

    Anche l’Anac ha segnalato nel 2020 una serie di criticità in merito all’attività di controllo sulle strutture sanitarie accreditate. Nel documento inviato, tra gli altri, anche al presidente Nino Spirlì, l’Anticorruzione raccomandava «la previsione di meccanismi non automatici di rinnovo del contratto ma legati alla verifica della performance, anche in termini di risultati e qualità del servizio offerto». Il suggerimento non sembra avere avuto fortuna.

    «Caos amministrativo»

    Già il 26 gennaio 2021 la stessa Palumbo rispondeva a una richiesta di accesso agli atti del consigliere regionale Carlo Guccione (Pd) evidenziando «il caos amministrativo già segnalato dalla stessa precedente dirigente ad interim». In merito agli elenchi chiesti dal consigliere, la Palumbo scriveva: «La ricognizione è approssimativa». Perché? «Non esiste archiviazione elettronica dei documenti, né fascicoli elettronici delle strutture, né sufficiente personale nel settore».

    Quattro accreditamenti su cinque scaduti 

    Il problema è che in quegli uffici si decide la destinazione – e la sua legittimità – di decine e decine di milioni di euro. Guccione snocciola numeri che mettono a nudo un sistema in tilt: «In Calabria le strutture sanitarie – pubbliche e private – con accreditamenti validi sono solo 86. Quelli scaduti sono 422, mentre solo 142 hanno presentato istanza di rinnovo». Il democrat sintetizza così il dato che ne emerge: «Più dell’80% delle strutture opera in regime di illegittimità per colpa degli uffici del Settore 2, accreditamenti e autorizzazioni, del dipartimento Tutela della Salute». Dati forniti dalla Regione stessa, difficile metterli in dubbio. Ma qualcuno dalla Cittadella dovrebbe spiegare come e perché siano possibili

  • Turismo e comunicazione, la Calabria non impara mai

    Turismo e comunicazione, la Calabria non impara mai

    «Il turismo è una cosa complessa», sussurra Sergio Stumpo, cosentino, Ceo di Target Euro, società che si occupa di consulenze per realizzare progetti di sviluppo, con uno sguardo mirato al turismo, impegnata in 60 paesi con 120 professionisti in rete.
    Il concetto da cui partire e che Stumpo ripete come un mantra è: collaborazione e partecipazione attiva, strumenti necessari per competere e crescere sul piano sociale ed economico. Non esattamente quel che accade in Calabria.
    «Qui c’è una separazione tra il tessuto imprenditoriale e la politica», comincia a spiegare Stumpo, al punto da sospettare una forma di bipolarismo. «Senza condivisione, senza convergenza, non si va da nessuna parte». E se manca un progetto cui aderire, la partita è persa sin da subito.

    La bellezza non basta

    Eppure, magari pochi lo ricorderanno, il turismo in Calabria ha conosciuto una stagione di crescita. «Erano gli anni settanta – rievoca Stumpo – e la voglia di crescere era tanta. Scalea, Copanello, Tropea, si proiettarono verso lo sviluppo turistico». Quella spinta si fermò presto, naufragando, nella maggior parte dei casi nella speculazione edilizia, nella conurbazione esagerata, nel saccheggio dei territori. Si mandò in fumo la bellezza e con essa il futuro.
    Tuttavia «promuovere la bellezza non serve a nulla», dichiara lapidario Stumpo, che vede le opportunità costruite sulla progettualità. Avere spiagge da sogno può risultare paradossalmente inutile, se a sostenere la promozione di quella bellezza manca una idea strutturata.

    Uno è meglio di cento

    A mancare di progettualità sembrerebbe solo chi ci governa, invece Stumpo su questo aspetto è apparentemente indulgente. Spiega che «la classe politica è il prodotto del meccanismo democratico». L’accusa, dunque, pare rivolta anche a chi l’ha nominata quella classe politica. Eppure questo legame si dissolve, perché «la politica non vede ciò che dovrebbe rappresentare».
    Oggi, piuttosto tardivamente, chi governa la Regione propone 100 marcatori identitari. Ma Stumpo storce la bocca. «Sono troppi, creano confusione. Ne basterebbe uno: su cosa si vuole puntare? Cultura, paesaggi, storia?».

    Questo errore, che possiamo definire generalista, emerge pure nelle parole di Aldo Presta, docente di Comunicazione visiva all’Unical, responsabile dell’Identità visiva dello stesso ateneo ed Art Director designer.
    «Lo spot di Muccino, ma pure quelli precedenti, parlano di una Calabria indistinta e confusa», e comunque arrivano troppo tardi, sempre a ridosso dell’estate.
    Un approccio fragile ad un mondo competitivo come quello turistico, una realtà aggravata dal post Covid, che «impone riposizionamenti e marketing territoriali accurati», prosegue Stumpo.

    Il richiamo della Calabria poco efficace

    I due sguardi, quello dell’economista che crea progetti di sviluppo e quello del comunicatore che costruisce trame per veicolare le idee, convergono nel giudizio sconfortante. «Qual è l’idea di Calabria? Promuoviamo oggetti, non progetti», continua Stumpo, ponendo l’attenzione sulla grande assenza: una strategia.
    Si punta sulla presunzione di bellezza, illudendoci che questo basti a richiamare eserciti di turisti. Invece il richiamo resta vago, destinato a perdersi tra le offerte dei competitor, mirate, precise, facenti capo a un piano ben studiato.
    «Un progetto per il turismo – spiega Presta – deve partire da una analisi di ciò che si deve comunicare» e in Calabria non sappiamo se questa analisi esiste. Il turismo è un fenomeno complesso e il successo o l’insuccesso sono determinati da quello che fanno tutti i protagonisti di un territorio. Avere un albergo bellissimo, ma con la spazzatura sulla strada, vanifica ogni sforzo. «Se dichiari di avere in Sila l’aria migliore, allora i quad e i fuoristrada devono restare fuori, dando spazio alla montagna dolce, ai cavalli».

    Dal turismo ai turismi

    Ma c’è una difficoltà in più. Come avvisa Presta, «oggi parliamo di turismi, al plurale, e dobbiamo scegliere su quale puntare per potere individuare i soggetti cui parlare». E oggi i soggetti del turismo usano lingue differenti, al punto che non si parla più di target, ma di tribù, comunità che si raccolgono attorno a pratiche sportive, passioni gastronomiche, istanze culturali.
    «Con i soldi dati a Muccino si sarebbero potuti finanziare quattro progetti finalizzati a differenti obiettivi», prosegue Presta sconfortato.
    Un’altra difficoltà attende la promozione del turismo in Calabria. Nell’era della Rete il digitale non perdona e se i servizi sono deludenti rispetto all’offerta, allora sei spacciato.

    Il turismo calabrese sembra imprigionato nello stereotipo che è nella testa dei politici. «La responsabilità è del committente, non dell’efficacia della comunicazione ed è inutile inseguire nomi famosi, da Toscani a Muccino. Se quella è l’idea della Calabria, ogni sforzo è destinato al fallimento», conclude Presta.
    Stumpo va oltre: «Siamo abituati a ricevere i turisti, non a conquistarli. La Spagna, la Grecia sono avanti, hanno progettato le isole Covid Free. Qui da noi nessuno parla di progetti turistici, eppure le prossime elezioni regionali sono alle porte».