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  • Pino Gentile: «Liste all’Antimafia? Io non ho problemi»

    Pino Gentile: «Liste all’Antimafia? Io non ho problemi»

    Pino Gentile non è per niente preoccupato dell’invio delle liste alla Commissione Antimafia. Raggiunto al telefono, commenta in merito: «Non ho alcun problema».
    È stato proprio il candidato alla presidenza della Regione, Roberto Occhiuto, a spendersi per l’invio preventivo delle liste all’organismo presieduto da Nicola Morra.
    Il politico di lunghissimo corso e campione di preferenze, però, è ancora in cerca di una collocazione. Tramontata l’ipotesi Lega. Che ieri ha ufficializzato a Cosenza la candidatura di Simona Loizzo con il battesimo di Matteo Salvini. Presenti Mario e Roberto Occhiuto, tra il pubblico anche il sindaco di Catanzaro, Sergio Abramo.
    Gentile, raggiunto al telefono, dice: «Spero di candidarmi con il centrodestra». Alcuni, negli ambienti di Forza Italia, lo danno vicino a Noi con l’Italia, il movimento che fa capo a Maurizio Lupi. Lui smentisce.

    da sinistra Nino Spirlì, Simona Loizzo, Matteo Salvini, Roberto Occhiuto e Francesco Saccomanno
    da sinistra Nino Spirlì, Simona Loizzo, Matteo Salvini, Roberto Occhiuto e Francesco Saccomanno
    Simona sanità

    Simona Loizzo non ha dubbi: «Mi candido solo per la sanità, per dare il mio contributo in questo settore». Difficile capire come, visto che il comparto è commissariato. Forse si riferisce alla commissione Sanità. Del resto lei è un medico.
    Da sempre molto vicina a Tonino Gentile, oggi si smarca da questa etichetta politica. Precisando che quelli con l’ex senatore sono «solo rapporti di grande stima e amicizia».
    Sarà interessante capire cosa farà Andrea Gentile, figlio di Tonino. Se Roberto Occhiuto vince, lui entra a Montecitorio. Resta in Forza Italia oppure passerà con la Lega? Per ora nessuna risposta. E poi se nasce il partito unico non si porrà il problema.

    Jole starà sorridendo?

    Simona Loizzo è a suo agio nel Bocs Museum e si concede anche un passaggio su Jole Santelli: «Starà sorridendo perché ci vede tutti insieme». Difficile scoprirlo. Ma prima della candidatura alla presidenza della Regione, Mario e Roberto Occhiuto non sono stati teneri con lei. Anzi. Dire che starà sorridendo forse è un po’ eccessivo visti i trascorsi. E le parole pesanti volate in quel frangente.
    La Loizzo continua: «Mancini e Occhiuto i migliori sindaci di questa città».

    Salvini riabilita Mario

    «Abbiamo fatto diventare Cosenza un esempio di città del Mezzogiorno». Roberto Occhiuto parla indicando il fratello seduto in prima fila.
    Fino a poco tempo fa non era dello stesso avviso Salvini. Il suo veto impedì al primo cittadino di Cosenza di essere candidato alla presidenza della Regione. Oggi passeggia con l’architetto tra le opere del Bocs Museum.
    Però molti si chiedono perché Mario no e Roberto Occhiuto sì? A domanda precisa, il leader del Carroccio glissa con molta fantasia. «È cambiato il mondo».
    In sottofondo Francesco Caruso, il candidato a sindaco preferito dagli Occhiuto. Una foto e qualche sorriso con Salvini giusto per marcare il territorio.

    Granata esplode dalla Lega

    Ormai è ufficiale. Vincenzo Granata, consigliere comunale di Cosenza, ha strappato la tessera della Lega. Un partito, a suo avviso, diventato «un taxi per gli ultimi arrivati».
    Rincara la dose il fratello Maximiliano, presidente del consorzio Vallecrati. Sul suo blog, aspassoperlacittà.it, ha pubblicato la lista di tutti i fuoriusciti dal Carroccio. Due Granata esplosi contro la Lega.

  • A.A.A. cercasi voti: porte aperte nei partiti per i trasformisti

    A.A.A. cercasi voti: porte aperte nei partiti per i trasformisti

    La moda moralista dell’ultimo periodo istiga ad accusare chi cambia partito e schieramento, additato puntualmente come “cambiacasacca” e, in maniera più evergreen, “voltagabbana”.
    Ma chi toccherebbe Dorina Bianchi? Lei è esente da accuse, perché ritiratasi dalla politica per fare la funzionaria del Ministero della Sanità.
    Eppure, finché è durata la sua corsa, la bionda di Crotone è stata il parametro dell’instabilità politica calabrese: diventata parlamentare con il Ccd nel 2001, passa nell’Udc, quindi nella Margherita dopo essere transitata nel gruppo Misto.
    La scelta è felice: diventa deputata grazie all’Ulivo nel 2006. Quindi batte il ferro finché è caldo e aderisce al Pd, di cui diventa prima dirigente nazionale (2007), poi senatrice (2008).

    Nel 2011 tenta il ritorno a destra, candidandosi a sindaca di Crotone con uno spezzone di Udc e Pdl. Non ce la fa, ma capisce dove soffia il vento e aderisce al Pdl, grazie al quale ridiventa deputata nel 2013.
    Ma la stella di Berlusconi ormai declina, quindi la Nostra rivira a sinistra, in maniera più scaltra: aderisce alla scissione di Ncd e quindi al governo Renzi, di cui nel 2016 diventa sottosegretaria alla Cultura e al Turismo.
    Molla la presa nel 2018.

    Lei è la meno peggio tra tutti gli accusati di opportunismo: a suo carico non c’è un’inchiesta giudiziaria né uno scandalo giornalistico. Neppure un gossip privato, che, data la sua bellezza, ci starebbe. Solo una navigazione a vista, gestita con gran fiuto, tra schieramenti e partiti, che le ha consentito di stare a galla nella Roma “che conta” per quasi diciotto anni. Colpa sua? No. Semmai, dei partiti che gliel’hanno permesso e dei cittadini che l’hanno votata. Molti dei quali, c’è da scommettere, tuonano ora contro l’incoerenza…

    Lo schema

    Per capirci meglio, fissiamo uno spazio (rettangolare, quadrato o circolare non importa) e due punti alle sue estremità. Chiamiamo questi punti “destra” e “sinistra” (oppure “a” e “b”: fa lo stesso) e proviamo a osservare i movimenti dei politici tra l’uno e l’altro.
    A volte, si ha l’impressione di osservare un pendolo che oscilla con cronometrica precisione, come un metronomo o il ciondolo dell’ipnotista. Altre volte, i movimenti sono così frenetici e irregolari che si rischia di diventare strabici a seguirli.
    In altri casi, invece, il passaggio è uno solo, ma fatto con tanta gradualità da risultare impercettibile.

    Il problema non sono i politici che oscillano, ruotano, orbitano e fanno persino piroette pur di prendersi la poltrona. Il problema, ripetiamo, sono i partiti che, pur di piazzare bandierine accolgono di tutto senza andare per il sottile.
    L’involuzione è colpa loro: con la crisi della Prima repubblica si sono “alleggeriti”, hanno perso o ridimensionato strutture, perché il vecchio sistema tangentizio a base collettiva è finito e ne ha preso il posto uno a gestione individuale e familiare, e non riescono a controllare i territori in maniera capillare. Anzi, ne sono ostaggi.

    Chi ha capito tutto questo per tempo è stato Clemente Mastella, il vero vate della trasformazione politica italiana dalla partitocrazia al nuovo feudalesimo. Il suo Udeur, concepito come contenitore vuoto per traghettare esponenti e voti da destra a sinistra (e viceversa), ha fatto scuola.
    Tant’è che in più d’uno ha tentato di seguire le orme del Maestro. Tra tutti, spicca Giorgia Meloni. Ma il paragone tra un vecchio volpone democristiano e una non più giovane postmissina è davvero infelice: Mastella è uscito da tutti i guai, fa il sindaco di Benevento e i sui trascorsi sembrano dimenticati. Per la sora Giorgia i problemi sembrano all’inizio e molti di questi sono calabresi…

    Pino Gentile, un socialista è per sempre

    «Mio fratello è un papa», ha dichiarato con una delle sue battute al fulmicotone l’ex senatore cosentino Tonino Gentile. E aveva ragione: quella dei Gentile non è una corrente politica né un indirizzo filosofico (che tra l’altro c’è già e non garantisce alcun potere).
    È una confessione religiosa che conta tanti, fedelissimi adepti. Non ha inquisizioni perché è eretica di suo, a patto che l’eresia sia stabilita dai vertici.

    La carriera di Pino Gentile è semplicemente fantastica: nato nel vecchio Psi, grazie a cui è diventato un leader cittadino e una presenza fissa di Palazzo dei Bruzi, è riuscito a diventare sindaco nel Pri. Col collasso della Prima repubblica e col ritorno di Giacomo Mancini, Gentile fiuta l’aria e tenta di entrare in Forza Italia, diventata il più grosso rifugio per socialisti senza fissa dimora ma dalle grandi capacità elettorali.
    Ci riesce dopo aver scalzato i fratelli Occhiuto, che si rifugiano nelle sigle ex democristiane (Ccd prima e Udc poi).

    Il quindicennio in Fi è l’età dell’oro per l’ex sindaco, che ricopre a più riprese incarichi importanti in Regione e riesce a pesare anche dall’opposizione. Tanto più che il suo “sistema” viene puntellato a Roma dal fratello Tonino.
    La loro svolta avviene col passaggio a Ncd, grazie al quale approdano alla corte di Renzi, che nomina il senatore suo sottosegretario. È una nomina effimera, che termina dopo pochi giorni in seguito al cosiddetto “Oragate”, lo scandalo sollevato dall’ex quotidiano “L’Ora della Calabria”. Dopo un’ultima presenza nel partito di Alfano, i Gentile tornano in Forza Italia.

    Ma il loro consenso elettorale non basta più: Andrea, il figlio di Tonino, è travolto dallo tsunami grillino e non riesce a diventare deputato alle ultime Politiche. L’anziano Pino, invece, non rientra in Consiglio regionale, a dispetto di ottomila e rotte preferenze. Nonostante il fiuto innegabile, aveva sbagliato lista.
    Ora Pino, dopo aver incontrato difficoltà politiche (aggravate da qualche intoppo giudiziario) parrebbe intenzionato a bussare alla Lega, o in prima persona e in ticket con la fedelissima Simona Loizzo, o per interposta persona, cioè attraverso la sola Loizzo.

    Ennio Morrone, il mastelliano di Calabria

    Più trasversale dei Gentile, la dinastia dei Morrone è un esempio da manuale di sopravvivenza politica attraverso la gestione del potere.
    Ennio Morrone nasce come ingegnere e imprenditore di area socialista. Diventa consigliere alla fine della Prima repubblica e poi transita col vecchio Giacomo Mancini.
    La sua ascesa vera inizia con I Democratici, grazie ai quali diventa deputato. Poi passa nell’Udeur, che lo fa eleggere prima in Regione e poi di nuovo in Parlamento a metà anni Zero.

    È il momento d’oro, in cui il potere di Ennio diventa dinastico: suo fratello Aurelio è vicesindaco di Cosenza e i suoi interessi di imprenditore si estendono alla Sanità privata, un settore in cui acquista più cliniche.
    Finita la stagione mastelliana, il Nostro aderisce a Forza Italia, con cui diventa consigliere regionale, mentre suo figlio Luca entra a Palazzo dei Bruzi come presidente del Consiglio Comunale.

    Poi gli interessi di famiglia si spostano di nuovo, perché dopo la sfiducia a Mario Occhiuto gli ambienti cosentini di Forza Italia diventano meno praticabili per i Morrone. Infatti, Luca aderisce a Fratelli d’Italia (non prima di essersi candidato a sostegno del democrat Guccione nelle amministrative 2016), con cui diventa vicepresidente del Consiglio regionale. Tuttavia, la nuova linea legalitaria di Giorgia Meloni gli ha creato qualche difficoltà: Morrone jr, infatti, è rimasto impigliato nell’inchiesta Passepartout e rischia l’incandidabilità. Ma niente paura: secondo voci accreditate (e riportate da tutti i media) avrebbe deciso di candidare la moglie al posto suo. Ancora non si sa dove.

    Roberto Occhiuto, Dc nonostante tutto

    «Non moriremo democristiani», recitava un vecchio slogan che Roberto Occhiuto sembra aver fatto suo, ma interpretandolo in maniera democristiana.
    Formatosi nei gruppi giovanili della Dc tenta l’ingresso in Forza Italia, ma i Gentile gli sbarrano il passo. Quindi ripiega nel Ccd e poi nell’Udc, grazie al quale diventa consigliere regionale e, in seguito deputato.

    Il suo capolavoro politico risale al 2011, quando è all’opposizione a Roma assieme a Casini ma governa in Calabria con Berlusconi. Suo fratello Mario diventa sindaco di Cosenza e l’Udc ha un peso notevole nella giunta regionale di Scopelliti.
    In seguito al collasso del Pdl, rientra in Forza Italia, dove diventa deputato e leader regionale. Si prepara a conquistare la Regione, ma i suoi interessi cosentini sembrano spostarsi verso Fdi, a cui ha fatto aderire Francesco Caruso, sodale di suo fratello Mario. Un tentativo di colonizzazione, a cui il partito della Meloni, per quel che abbiamo già detto, si presta benissimo.

    Pietro Fuda e abbiamo detto tutto

    Per Fuda basta il giudizio tranchant di Maurizio Gasparri: occorrerebbe mettere uno stop ai cambi di schieramento, dopo tre volte uno resta dov’è.
    Fuda è un altro miracolo politico: grazie a lui Siderno è stata per un decennio buono la capitale degli equilibri politici calabresi. Nato a sinistra, Fuda transita nel centrodestra, alternandosi tra la guida della sua cittadina e le alchimie parlamentari. Torna a sinistra con Loiero e poi si avvicina all’Italia del Meridione di Orlandino Greco, che dopo essere stato oliveriano (da ex giovane missino) si è avvicinato al centrodestra.

    Fuda, secondo i bene informati, sarebbe intenzionato a candidarsi con la Lega. Questa scelta avrebbe imbestialito il dirigente cosentino Mimmo Frammartino, che ha mollato Idm. Questo è l’ennesimo cambio anche per Frammartino, che prima di diventare sodale di Greco era stato nell’area socialista e poi nel Pd. C’è da pensare che, date le dichiarazioni, almeno non passerà nel centrodestra.

    Ernesto Magorno, renziano anche suo malgrado

    Più lineare, ma non meno vertiginosa l’evoluzione politica di Magorno, nato socialista, poi approdato al Pd, di cui è stato segretario negli anni d’oro del renzismo.
    Di recente ha lasciato il Pd per aderire a Italia viva, il partito del suo capo. E ha tentato di avvicinarsi al centrodestra in vista delle prossime regionali. Purtroppo per lui, gli ha sbarrato la strada quel poco di base di cui dispone in Calabria il suo stesso partito. Il motivo è semplice: Renzi, seppur criticissimo verso il Pd, non se la sente di fare lo strappo. E Magorno deve abbozzare. Per ora…

    Cambiacasacca per necessità

    Non sempre si cambia per opportunismo o potere. A volte, è questione di sopravvivenza. Così è per Giuseppe Giudiceandrea, brillante esponente della sinistra calabrese. Formatosi nelle sigle postcomuniste (Rifondazione e poi Sel), Giudiceandrea ha aderito al Pd, con cui ha fatto il consigliere regionale nell’era Oliverio.
    Ora si è schierato con de Magistris e forse non c’è da dargli tutti i torti, perché il Pd ha una rara capacità di divorare i suoi figli, specie se giovani, come ha capito sulla sua pelle Nicola Irto. Per andare coi Masanielli, Giudiceandrea ha fatto leva su Azzurra, l’associazione d’area che fa capo alla Boldrini. Non è dato sapere se sia ancora nel Pd.

    Questa casa non è un albergo?

    La colpa è dei partiti, che prima sono diventati alberghi a ore e adesso mirano a trasformarsi in camping, in cui sostare il minimo necessario per dormire un po’ o infrattarsi.
    I più funzionali alla bisogna sono ciò che resta dell’Udc e Fdi, che per sopravvivere o crescere, hanno preso di tutto. Coprendosi di figuracce a cui la sola Meloni tenta di rimediare, forse tardi e male. I casi di Creazzo, transitato da sinistra a destra e finito sotto inchiesta per presunti legami ’ndranghetistici, e quello, recentissimo, di Nicola Paris, sono esempi da manuale di come non si dovrebbe selezionare. Esempi da cui i partiti 4.0 sembrano non voler imparare niente…

  • Quanto costa una poltrona in Consiglio regionale?

    Quanto costa una poltrona in Consiglio regionale?

    «Cinquemila euro tra prosciutti, soppressate, caciocavallo e ogni sera una cena nella tavernetta di casa mia. Così, sono stato eletto». Le parole soddisfatte pronunciate nell’era Loiero da Salvatore Magarò, ex consigliere regionale, hanno fatto storia. Difficile emularlo oggi, vuoi per il Covid, vuoi per una campagna elettorale al “sapore di sale”.
    Il 3 e 4 ottobre prossimi si svolgeranno le elezioni per il rinnovo del Consiglio regionale e gli aspiranti candidati hanno iniziato a farsi i conti in tasca e a cercare sponsor. Soprattutto i consiglieri uscenti, in carica da appena un anno e mezzo. Troppo alto il rischio di investire risorse senza centrare l’obiettivo: una poltrona in aula Fortugno, che vale dai 12mila ai 18mila euro al mese.

    Web e nostalgia

    Da più di dieci anni anni la campagna elettorale viaggia anche sul web, sui social network in particolare, con Facebook che la fa da padrone. Dopotutto, ormai chi non ha almeno un profilo Fb? Gli elettori sono a portata di clic, ma non sempre gratis.
    La sponsorizzazione dei contenuti è diventata prassi: si sceglie l’area d’interesse, il numero di utenti da raggiungere magari indicando sesso, età e orientamento politico. Si decide il budget e via. Anche dieci euro su un singolo post permettono di raggiungere numeri virtuali inaspettati.

    Per i nostalgici della comunicazione elettorale, invece, ci sono sempre i mezzi tradizionali. E via libera allora a vele, cartelloni 6×3, manifesti, santini, pieghevoli, pubblicità su radio, giornali e spot tv. I costi sono variabili. Un 6X3 con affissione quindicinale costa, per ogni postazione, da 150 ai 250 euro, comprensiva di stampa e affissione, costo maggiorato di circa 50 euro se le grafiche sono a carico dell’agenzia. Ma se si vuol vedere il proprio faccione a dimensioni maxi, bisogna affrettarsi. Il 6×3 può essere affisso sino a 40 giorni prima dalla data delle elezioni.
    Pochi temerari tenteranno l’impresa, basti pensare che a un mese e mezzo dalle elezioni ancora non si ha certezza sui candidati alla presidenza, figurarsi dei consiglieri e delle liste.

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    Il prezziario di una tipografia nel periodo della campagna elettorale

    I più sceglieranno i classici manifesti 70×100 (a soli 0,30 centesimi l’uno), le vele che potranno essere fisse (50 euro a giorno) o in movimento (100 euro per percorrere 100 km). Ma la carta è carta. E mentre i volti dei candidati invaderanno l’etere, le chat di Whatsapp, le stories di Instagram, saremo inondati di santini (1000 pezzi a 30 euro), fac simile (sino a 0,11 centesimi per pezzo), cartoline (0,50 centesimi cadauna), pieghevoli (140 euro per duemila pezzi).
    I più avveduti penseranno anche alle pubblicità su giornali, riviste, siti on line, spot radio e tv. Anche se l’ultima frontiera è la pubblicità sui cartelloni a led: passaggi di 15 secondi più volte al giorno. Costi personalizzati.

    Giuro che è così

    Al termine della campagna elettorale, il consigliere eletto dovrà presentare entro tre mesi dall’elezioni un rendiconto obbligatorio (art.7. comma 6, legge 10 dicembre 1993 n. 515) nel quale dettagliare il più possibile gli eventuali contributi ricevuti e le spese sostenute nel corso della campagna elettorale. La normativa (legge 43/95, art .5. comma 1) impone un limite di spesa ad ogni candidato consigliere pari a 38.802,85 euro più 0,0061 euro per ogni cittadino residente nella Circoscrizione. Equivalgono a 4.357 euro in più per la provincia di Cosenza, 3250 per Reggio Calabria, 4346 euro per l’area centrale.

    In caso di mancata comunicazione, le sanzioni saranno severe: sino al pagamento del triplo dell’importo non dichiarato e l’interdizione temporanea dai pubblici uffici.
    Il Collegio regionale di garanzia elettorale può comminare una multa anche per chi sfora il tetto di spesa con una ammenda sino al doppio dell’importo non comunicato e l’eventuale decadenza dalla carica.
    Ma come non fidarsi di un consigliere eletto che nel modello di rendicontazione firma tale dichiarazione: «Sul mio onore affermo che la dichiarazione concernente le spese sostenute e le obbligazioni assunte per la propaganda elettorale corrisponde al vero».

    2014, spese al limite

    Pino Gentile per essere rieletto nel 2014 ha speso quanto la candidata alla carica presidenziale Wanda Ferro, poco meno di 30mila euro.
    Al limite della spesa, il suo ex discepolo Giuseppe Graziano. Sfiora i 39mila euro, anche se è l’unico candidato a inserire nel rendiconto delle spese elettorali i nominativi e gli importi ricevuti dai finanziatori: 39mila euro di contributi a fronte di 38.500 di spese. Oltre a diversi sostenitori, emerge l’azienda Consulecos di Bisignano, da anni impiegata nell’erogazione di servizi ambientali tra cui la depurazione delle acque che investe 5.000 euro sul candidato di Rossano.

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    Il trasparentissimo Giuseppe Graziano e i suoi sostenitori

    Due, invece, le società di depurazione tra gli sponsor del consigliere regionale Giuseppe Aieta: Giseco srl e Smeco Srl. Versano 5000 euro ciascuna sul conto del mandatario elettorale, che beneficia anche dei contributi di due società romane, la Arbela srl e la Essevu spa, quest’ultima leader nel settore delle bomboniere.

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    I contributi ricevuti da Giuseppe Aieta nel 2014

    A Carlo Guccione primo degli eletti con 14797 preferenze è bastato 1,78 euro di investimento ad elettore per stravincere. Giuseppe Giudiceandrea, nonostante abbia usufruito del comodato d’uso gratuito della sede elettorale, nel 2014 ha chiuso la sua campagna elettorale con un debito di 4600 euro. Bilancio positivo invece per Nicola Irto. Sebbene le 12mila preferenze ha chiuso il suo percorso verso palazzo Campanella con un avanzo di novemila euro: 29mila euro di finanziamenti e appena 18.900 di spese.

    Per avere lo stesso risultato in termini di consenso Giuseppe Scalzo ha investito invece 28.770 euro. Male la campagna di propaganda di Giuseppe Mangialavori che ha sborsato 25mila euro per raggranellare appena 7.200 voti. Proporzione sfavorevole anche per Arturo Bova che entra in Consiglio con appena 2.924 voti a fronte di un investimento di 12mila euro.

    2020, pochi Paperoni e campagna più costosa

    Nel 2020 sono pochi i consiglieri che hanno investito più di 30mila euro. A fronte dei 290mila euro complessivi di spese dichiarate dagli eletti, è Flora Sculco ad aver speso di più con ben 31.398 euro.
    Una cifra monstre se si pensa che Marcello Anastasi è stato eletto spendendo appena 1.300 euro. Certo, la differenza si vede nel consenso. La dama crotonese ha preso 6.000 preferenze, mentre il callipiano appena 1.000 incassando lo stesso risultato: entrambi sono risultati eletti in Consiglio nelle fila della minoranza.

    Sceglie la via della morigeratezza per la sua seconda campagna elettorale anche Giuseppe Graziano, che spende poco meno di 7.000 euro.
    Drastica riduzione anche per Guccione che ottiene lo stesso risultato numerico di Graziano ma a fronte di meno della metà di quanto speso nella competizione precedente, 12.800 euro. Il sindaco di Orsomarso, Antonio De Caprio, spende e spande, ma con 12mila euro di investimento in propaganda elettorale ottiene appena 4mila voti.

    Saldo negativo per i due consiglieri del centrodestra Luca Morrone e Pietro Molinaro. Per l’ex presidente del consiglio comunale di Cosenza la campagna elettorale si chiude con un meno 15mila euro. Tra i creditori tre agenzie di affissioni e comunicazione. Stessa tipologia di debito per l’ex presidente della Coldiretti, ma entità ridotta di oltre due terzi.

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    Il prospetto dei debiti non ancora onorati da Luca Morrone al momento della rendicontazione delle sue spese elettorali
    L’attesa ripagata

    Tuttavia, c’è chi non si lamenta di lavorare a perdere durante la campagna elettorale, come è accaduto alla Spot Channel, tipografia storica del Partito Democratico e del già presidente Mario Oliverio. L’attesa alla fine viene ripagata. Tant’è che per due annualità 2016/2017 ha vinto il Bando Cultura per il progetto Transumanze del valore di 108.428 euro. Ma non è tutto: negli anni della presidenza Oliverio, Spot Channel si è aggiudicata anche diversi eventi di promozione, un progetto di comunicazione del Corap di 20mila euro e il progetto Rosso Calabria, dedicato alla promozione del vino. Spot Channel gode di buoni uffici anche con la presidenza Spirlì, sarà che a capo del dipartimento Agricoltura c’è il sempreverde Giovinazzo.

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    Il finanziamento per Transumanze andato alla Spot Channel

    Tra i tanti provvedimenti licenziati dal dipartimento da lui diretto c’è il Programma di sviluppo rurale della Calabria 2014/2020. La campagna di comunicazione pubblicitaria e attività convegnistica relativa al PSR Calabria 2014-2020 , con importo a base d’asta di euro 120.000, è stata avviata con decreto 6884 del 02/07/2021 a contrarre attraverso il Mepa (Mercato elettronico della Pubblica amministrazione). Invitate una ventina di ditte, al 9 luglio 2021 è pervenuta la proposta di Spot Channel di Arci Angelo & C. sas di Rende (CS) – l’avviso non specifica se sia l’unica arrivata – alla quale viene aggiudicato il servizio per l’importo di euro 118.500 oltre Iva come da decreto dirigenziale 7819 del 28/07/2021.

    Lo strano caso di Frank Santacroce

    Frank Santacroce approda in consiglio regionale il 6 luglio 2020 subentrando a Domenico Tallini, coinvolto in una procedimento giudiziario. Anche lui, poco dopo, sarà indagato per rivelazione di segreto d’ufficio in concorso in merito a un’inchiesta sulle cosche di San Leonardo di Cutro.
    Ebbene, Santacroce ottiene 4.920 voti nelle fila di Forza Italia, ma nel rendiconto finanziario ha dichiarato di aver ricevuto zero euro di finanziamenti e di aver effettuato zero euro di spese. Peccato che sulla rete e nelle diverse manifestazioni pubbliche organizzate si contino diversi manifesti e passaggi elettorali. Chissà chi avrà pagato…

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    Frank Santacroce durante un comizio con manifesto in bella mostra
    Il record di Sainato

    Raffaele Sainato diventa consigliere regionale con 3.897 preferenze. Un vero record se si pensa che per la campagna elettorale ha speso appena 1.424 euro e che l’ex sindaco di Locri è stato da poco indagato per scambio politico mafioso insieme a Nicola Paris, cugino di primo grado del più noto consigliere regionale Nicola Irto.

    Flora Sculco regina di sponsor

    Flora Sculco è tra i consiglieri eletti una di quelli che investe moltissime risorse in propaganda elettorale. Dopotutto è tra i candidati che ricevono maggiori finanziamenti.
    Tra i suoi principali supporter si annoverano nel 2014 imprenditori della sanità privata, società di autotrasporti, imprese edili del territorio e la sempre ricorrente Consuleco.
    Nel 2020 i contributi si dimezzano, passando da 38mila e 19.500 euro. Ma il main sponsor Marrelli Hospital resta (7.000 euro) e a fargli compagnia si aggiunge l’azienda agricola Le Verdi Praterie Agricole.

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    I contributi ricevuti da Flora Sculco nella precedente consiliatura
    Due mandati, costi diversi

    Otto sono i consiglieri eletti e poi riconfermati nelle ultime due competizioni elettorali: Aieta, Arruzzolo, Bevacqua, Guccione, Irto, Neri, Sculco, Tallini. Ad essi si aggiungono, a modo loro, Ennio Morrone nel 2014 e il figlio Luca nel 2020.
    Giuseppe Neri è un caso a sé:in entrambe le competizioni si è trovato eletto con la coalizione vincente e ha speso pressoché lo stesso importo 4.850 euro (2014) e 4.299 euro (2020).
    La spesa per la propaganda elettorale, però, è generalmente maggiore quando il candidato consigliere mira a uno scranno in maggioranza e inferiore quando sa, per la legge dell’alternanza che governa la Regione Calabria, che andrà tra le fila della minoranza.
    Fanno eccezione Tallini, che ha speso 7.200 euro nel 2014 e appena 4.473 euro nel 2020, e Mimmo Bevacqua. Il democrat ha investito di più (13.450 euro) nel 2020 – forse per paura di non riuscire ad entrare in Consiglio – e meno nel 2014 (8.748 euro).

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    La differenza tra le spese sostenute dai consiglieri eletti sia nel 2014 sia nel 2020
    Le voci di spesa

    Nella compilazione del rendiconto, la maggioranza dei consiglieri sceglie, tra le tante disponibili, quasi sempre un’unica voce di costo: materiale di propaganda elettorale.
    Mettendo sempre zero euro a tutte le altre voci previste.
    Non poco imbarazzo, dunque, nel leggere il report di Domenico Creazzo. Dichiara di aver speso 4mila euro per la realizzazione di materiali elettorali e 3.600 euro di carburante per propaganda elettorale. Ma neanche un centesimo per la distribuzione del materiale elettorale. Ad eccezione di Carlo Guccione, tutti dichiarano zero euro per spese di personale: sarà che il volontariato da campagna elettorale viene ripagato una volta superato l’ostacolo con le ricche retribuzioni da portaborse e consulenti.

  • Elezioni, via ai sondaggi: Bruni in testa, Occhiuto insegue

    Elezioni, via ai sondaggi: Bruni in testa, Occhiuto insegue

    Strana cosa i sondaggi politici: sempre validi per chi è in testa o risibili per chi non lo è, spesso controversi per chi li legge. Rientra nella casistica anche l’ultimo pubblicato da Affari Italiani sulle prossime elezioni regionali in Calabria. La ricerca è opera di Winpoll, il committente il sito scenaripolitici.com, il risultato quello che non ci si aspetterebbe.

    Stando ai sondaggisti, infatti, a prendere più voti dagli elettori calabresi in questo momento sarebbe l’ultima ad essere scesa in campo: Amalia Bruni (36,3%). Dietro di lei, seppur di poco, Roberto Occhiuto (35,8%). Ultimo proprio chi ha iniziato la campagna elettorale per primo, Luigi de Magistris. Finisce in un 27,9% che oltre a lui include anche Mario Oliverio ed eventuali altri possibili aspiranti governatori. Il primo partito in Calabria resta quindi quello degli indecisi e/o astenuti, col loro solidissimo 38%.

    Non è l’unico dato inatteso. Delle 1300 persone che hanno risposto a Winpoll tra il 30 luglio e il 4 agosto meno della metà (46%) dice di conoscere la Bruni, percentuale che sale al 72% con il forzista e schizza addirittura a 85% con l’ex magistrato. Il più noto in Calabria tra i tre candidati sarebbe dunque l’unico non calabrese, la più votata invece la meno conosciuta tra gli elettori.

    Voti, quelli alla Bruni, che aumenterebbero ulteriormente se si va a considerare l’intera coalizione: il 38,4% dei calabresi sostiene di voler votare per una delle sue liste, una percentuale superiore a quella relativa ad Occhiuto e i suoi (35,3%) di oltre tre punti. Il divario si quadruplica quando si parla del sindaco di Napoli (26,3%).

    Ma l’aspetto più bizzarro del sondaggio sono i passaggi sulla fiducia degli elettori nei tre candidati. Winpoll, infatti, ha suddiviso gli intervistati in aree politiche di riferimento in base a quelle che erano state le loro intenzioni di voto prima delle ultime europee. E poi ha chiesto loro quanta fiducia avessero nella Bruni, in Occhiuto e in de Magistris.

    È venuto fuori che del parlamentare di FI sono in pochissimi a fidarsi molto o abbastanza, soltanto un intervistato su tre (34%). Anche in questo caso la scienziata si conferma in cima alle preferenze col suo 58%, cinque punti in più del terzo sfidante. Ed entrambi, anche solo grazie a chi si fida abbastanza senza contare quelli che lo fanno molto, superano (rispettivamente con il 38% e il 35%) il dato complessivo dell’azzurro.

    Del candidato del centrodestra, che pure viene dato per favorito, insomma, sembrerebbero diffidare in tanti. Perfino quelli del suo stesso partito non disdegnerebbero la Bruni o de Magistris al posto di Occhiuto. Stando ai dati Winpoll, infatti, tra gli elettori berlusconiani il 63% confida nel fratello del sindaco di Cosenza. Ma il 57% si fida pure di de Magistris e il 52% della Bruni. Un dato che non trova eguali se si analizzano quelli che votano per qualsiasi altro partito, tutti più restii a dar credito a candidati di colore diverso.

  • Incandidabili o quasi, chi davvero resta fuori?

    Incandidabili o quasi, chi davvero resta fuori?

    Con l’adozione dell’emendamento al Codice di autoregolamentazione della Commissione antimafia, Roberto Occhiuto ha ottenuto quattro risultati notevoli.
    Il primo: ha ridimensionato la narrazione legalitaria e antimafia di Luigi de Magistris, i cui seguaci usano le espressioni “massomafia” e “massomafiosi” più di quanto non faccia un messicano con gli habanero nel chili.

    Il secondo: ha prevenuto le polemiche che scoppiano a orologeria a liste chiuse o, peggio, a elezioni finite, quando iniziano di solito a girare tra i giornalisti dossier a carico di chiunque si appresti a vincere o a governare.

    Il terzo: ha rigettato la palla nel campo avversario. Loro accusano gli altri di connivenze e altre pratiche poco belle? E allora che sottopongano anch’essi le proprie liste al vaglio della Commissione guidata da quel giacobino di Nicola Morra.
    Il quarto, e forse per il leader azzurro più importante: ha ottenuto un controllo più stretto sulla propria coalizione.

    Cronologia di un emendamento

    Che sia così, ci sono pochi motivi di dubitarne, soprattutto per un dettaglio cronologico non proprio irrilevante: l’emendamento, pensato e annunciato di fatto da Occhiuto a metà luglio e proposto da Wanda Ferro, è passato all’unanimità il 5 agosto. Tuttavia, sin dalla settimana prima gli aspiranti consiglieri del centrodestra hanno ricevuto un prestampato in cui gli si chiedeva di confermare la disponibilità generica a candidarsi (cioè senza indicare liste specifiche) e, quindi, a farsi valutare da Morra & co.

    Per il resto, il Codice di autoregolamentazione è immutato. La Commissione controlla se i candidati non siano stati rinviati a giudizio per reati di tipo mafioso (associazione a delinquere di stampo mafioso, concorso esterno e varie forme di corruzione elettorale legate alla criminalità organizzata), più altri crimini non necessariamente mafiosi ma collegati alle attività politica e amministrativa (corruzione, concussione, associazione a delinquere semplice e altri) o di tipo privato ma tali da rovinare la reputazione di un politico (ne è un esempio la bancarotta fraudolenta).

    Severino ma non troppo

    I criteri della Commissione antimafia sono più bassi rispetto a quelli della legge Severino, che per “bruciare” amministratori e rappresentanti politici richiede almeno la condanna in primo grado. In compenso, la valutazione dell’organo parlamentare è decisamente meno dura, perché non è vincolante: i partiti possono non tenerne conto e candidare lo stesso i presunti impresentabili.

    Ma ciò non vuol dire che sia una supercazzola, perché le valutazioni sono pubbliche. Quindi, chi non le segue si espone al ludibrio dei cittadini.
    Di sicuro Roberto Occhiuto ha capitalizzato questa logica, a dirla tutta un po’ distorta, della legalità e dell’etica pubblica. E pensare il contrario significherebbe sottovalutare la sua intelligenza politica.

    L’Orlandino furioso

    L’unico che ha intuito i rischi di questo gioco cinico – e potenzialmente assassino – è Orlandino Greco, il quale si è chiamato fuori. L’ex consigliere regionale oliveriano, sotto processo con le accuse di concorso esterno e di corruzione elettorale, ha dichiarato di rinunciare a candidarsi per evitare che il suo movimento – Italia del Meridione – subisse le facili strumentalizzazioni della propria condizione di imputato.

    Eppure, la posizione di Greco non sarebbe incompatibile con la legge Severino. Finora, infatti, l’ex sindaco di Castrolibero non è stato condannato, i fatti contestatigli sono vecchi (risalgono a tredici anni fa) e ha incassato ottimi risultati processuali dal Riesame e dalla Cassazione.

    Di padre in figlio… e in nuora

    Anche altri potenziali incandidabili potrebbero candidarsi senza problemi in base alla Severino. È, per fare un esempio vistoso, il caso di Luca Morrone, figlio di Ennio, ex presidente del Consiglio comunale di Cosenza e consigliere regionale uscente.
    Morrone jr è tuttora alla sbarra a Catanzaro nel processo Passepartout con l’accusa di corruzione elettorale: nel 2016 avrebbe sfiduciato il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto in cambio di benefici politici.

    A sentire i maligni, che coincidono coi beneinformati, Roberto Occhiuto non vedrebbe di buonissimo occhio il rampollo del potentato cosentino anche a causa della congiura di Palazzo dei Bruzi, che fece decadere suo fratello sei mesi prima della fine naturale del suo mandato di primo cittadino.

    Tuttavia, Luca Morrone non è condannato e, a dar retta agli addetti ai lavori, potrebbe uscire senza danni dal processo, dove finora non sarebbero emersi i benefici politici ottenuti per la pugnalata al sindaco.
    Ad ogni buon conto, avrebbe deciso di aggirare l’ostacolo candidando sua moglie Luciana De Francesco. Non è dato sapere se in Fdi o altrove, però, perché Morrone Jr e Orsomarso non sono quel che si dice culo e camicia (nera).

    Un trattamento non proprio Gentile

    Un discorso simile vale per il superbig Pino Gentile, ancora sotto processo per vicende riconducibili al suo ruolo di assessore nell’era Scopelliti.
    In realtà, tutti i procedimenti che lo riguardano sono prossimi alla prescrizione. Tra essi, quello legato alla vicenda delle case popolari di Cosenza, che a suo tempo fece scalpore.
    Gentile ha dalla sua un bel po’ di voti, che potrebbero tornare utili anche per le amministrative cosentine.

    Ma le accuse di cui è tuttora oggetto sollevano un interrogativo delicato: che accadrebbe se Occhiuto, dietro “consiglio” della Commissione antimafia, non candidasse l’anziano leader e questi uscisse dal processo, per prescrizione o assoluzione? I casi borderline non finiscono qui.

    Parenti serpenti

    Visto che la Commissione antimafia non emette verdetti giudiziari ma solo valutazioni politiche, è obbligatorio qualche dubbio: come comportarsi nei confronti di chi è solo indagato oppure “vociferato” in maniera pesante?
    Ancora: che accadrebbe se si consentisse la candidatura di persone solo indagate e se queste, una volta elette, venissero rinviate a giudizio? Le vicende recenti di Nicola Paris, finito in manette per concorso esterno e scambio elettorale, e di Raffaele Sainato, indagato per mafia, sono altre due bucce di banana per il centrodestra. Di sicuro non saranno ricandidati, perché le accuse sono troppo fresche e pesanti.

    Ma, senza scomodare le ’ndrine reggine, emergono altri casi dubbi. Uno è Piercarlo Chiappetta, consigliere comunale di Cosenza e occhiutiano di acciaio (tra le varie, è cognato proprio di Roberto Occhiuto) e potenziale candidato della lista del presidente del centrodestra. L’altro, nello schieramento opposto, è l’oliveriano Giuseppe Aieta, consigliere regionale uscente e conteso tra l’area Pd e i Masanielli di de Magistris.

    Il primo è risultato indagato per una presunta bancarotta fraudolenta. Le accuse a suo carico non sono leggerissime, visto che gli inquirenti hanno posto sotto sequestro anche beni riconducibili a lui. Il secondo è indagato per corruzione elettorale.
    Nessuno dei due è rinviato a giudizio e, per elementare garantismo, si augura e entrambi di uscire illesi dalle inchieste. Ma, per ripetere la domanda retorica, che accadrebbe se fossero candidati nonostante la pesantezza delle accuse e poi, una volta eletti, finissero sotto processo?

    Politica batte legalità

    Il parere della Commissione antimafia è, stringi stringi, una moral suasion che rafforza la decisione di non candidare qualcuno. Ma questa resta comunque una decisione politica su cui, nella maggior parte dei casi, pesano altri fattori, spesso più determinanti della legalità.
    Questo vale a destra come a sinistra. E vale per tutta la Calabria, dove si invoca la legalità perché ce n’è poca e si urla contro la mafia perché ce n’è troppa. E lo si fa, in entrambi i casi, per motivi politici.

    I cittadini calabresi si avviano all’election day con l’ennesimo convitato di pietra: la Commissione di Nicola Morra, a cui toccherà ridisegnare la mappa politica per evitare che lo faccia con più numeri e capacità qualche Procura, antimafia e non.
    E pazienza se questa attività si riveli funzionale soprattutto a disegni di potere ed equilibri politici: in Calabria capita anche di peggio.

  • LONGFORM | Grand Hotel Quarantena

    LONGFORM | Grand Hotel Quarantena

    Durante la prima ondata di Covid-19 che ha colpito l’Occidente, Torano Castello è stata l’ultima zona rossa sanitaria italiana. L’isolamento per i suoi 4mila abitanti è iniziato il 14 aprile 2020, la revoca risale al 10 maggio successivo. Alle ore 17 del 15 maggio però, la quarantena non è finita per tutti.

    Dalla Rsa all’hotel

    Maria, la chiameremo così per tutelare la sua privacy, a quell’ora sente il clacson dal cortile e si prepara a uscire. Sta per incontrare i medici dell’Unità speciale di continuità assistenziale (Usca) di Cosenza, per quello che spera sia il suo ultimo tampone molecolare. La scena avviene in un piccolo hotel nascosto dalle montagne del paese. Da un mese, insieme a otto colleghi, questa infermiera è qui che vive. Isolata dal mondo, in un rudere abbandonato praticamente senza elettricità né riscaldamento.

    Come c’è finita? Tutto è iniziato a Pasquetta: il video con gli attempati pazienti che ballano e cantano a poche ore del primo caso di contagio a Villa Torano, la Rsa dove lavora Maria, diventa virale in poche ore. E con l’apertura di un fascicolo d’indagine della procura di Cosenza arrivano le maggiori trasmissioni nazionali. Le ipotesi di accusa per i vertici della struttura sono pesanti: epidemia colposa, omicidio colposo e lesioni in ambito sanitario.

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    Il clima di polemiche è pesantissimo, ma non c’è tempo nemmeno per pensarci, ora bisogna cercare di frenare la valanga in ogni modo. In poco tempo e con metodi spiccioli si organizzano tamponi a tappeto fra pazienti e operatori. Il risultato, in un periodo nel quale trovare reagenti è molto difficile, quando la pandemia sostanzialmente non ha ancora raggiunto la Calabria, fa gelare le vene: sono quasi tutti positivi.

    E ora? Il commissario dell’Asp di Cosenza, Giuseppe Zuccatelli, dice che bisogna ricominciare da zero. All’ora di pranzo del 15 aprile va in diretta al tg e dichiara: «Non mi fido, troppo anomalo che ci siano tutti questi asintomatici. O bisogna segnalarlo come caso mondiale e portarlo all’attenzione dei massimi istituti di ricerca scientifica del pianeta, oppure bisogna rifare tutto, perché forse i tamponi non sono stati fatti come si doveva».

    Asintomatici à gogo e sindaci in rivolta

    Tocca ripetere i tamponi, che però confermano il dato epidemiologico iniziale: 93 contagi al virus SARS-CoV-2 divisi fra pazienti, operatori della struttura e loro familiari, tre bambini compresi. Solo cinque i sintomatici, tutti ultraottuagenari. Dunque, delle due, era giusta quella data per assurdo: ben prima della pubblicazione della ricerca su Vo’ Euganeo che farà scoprire al mondo l’alta percentuale di asintomatici nel contagio da Covid-19, a Torano Castello si ha evidenza di un dato analogo. Una scoperta scientifica che può servire al mondo intero.

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    Tamponi a Villa Torano dopo la scoperta del focolaio nella Rsa

    Il prossimo passo è mettere in piedi al più presto una quarantena monitorata per i contagiati, e qui torniamo alla nostra infermiera Maria. Il 16 di aprile il dipartimento Tutela della salute della Regione stila un piano in cui prevede il trasferimento dei contagiati in altre strutture del circondario. Dire che i sindaci dei paesi coinvolti abbiano reagito con le barricate è più di un’espressione eufemistica. Romeo Basile, il primo cittadino del vicino comune di Mottafollone, arriva addirittura a schierare le ruspe a difesa della verginità epidemiologica del suo paese. Altri, in modo meno mediatico, rispondono comunque che non se ne parla.

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    Romeo Basile, sindaco di Mottafollone, blocca l’accesso al suo paese con una ruspa

    Il piano della Regione dunque rimane lettera morta. La grana dei contagiati ora è sostanzialmente tutta sulle spalle del sindaco di Torano Lucio Franco Raimondo. Che, di concerto con l’Asp, in pochi giorni decide di chiudere in compartimenti stagni la clinica, emanando parallelamente un’apposita ordinanza di confinamento per Maria e i suoi colleghi nell’ex San Felice, un vecchio hotel abbandonato vicino alla Rsa Villa Torano.

    Turismo e Sanità

    Andando a vedere le carte si scopre che entrambe le strutture, di proprietà pubblica e affidate in convenzione alla società “Medical center”, nascono come hotel negli anni ’70. Le due strutture sono vicine, ma i loro destini biforcano sul finire del secolo. Mentre nel 1999 la Medical Center diventava assegnataria della struttura comunale, infatti, dando vita alla prima Rsa della Calabria, il nuovo Motel San Felice vedeva la luce con un rinnovato slancio turistico. Una luce destinata a brillare poco, però. A differenza della sanità privata, in questo campo a decollare non sono stati gli affari ma i registri, poco tempo dopo atterrati in tribunale.

    Sono entrambe vetuste e vanno chiuse. A metterlo nero su bianco è una relazione dettagliata del Comune di Torano Castello, che già nel 2017 denotava tutte le carenze strutturali e le usure delle strutture convenzionate, illustrando nel dettaglio il progetto di spostare in 24 mesi di lavori tutto 600 metri più a nord. Una nuova megastruttura d’eccellenza per il Sud, con un ampliamento di posti per un investimento complessivo di 11.272.512,00 euro. I terreni privati erano stati individuati ed era stato persino stipulato un preliminare di compravendita con un costo del terreno fissato a 15 euro al metro quadrato. Ma i lavori non sono mai partiti.

    Perciò tre anni dopo, lo stesso ente che certificava l’inadeguatezza di una struttura vi disponeva il confinamento coatto di uomini e donne con l’infezione più sconosciuta e pericolosa mai vista ancora in atto. Una decisione figlia sicuramente dall’emergenza in atto, ma controversa, tanto che sei lavoratori con infezione asintomatica in corso rifiutano di attuarla, dando mandato di opposizione all’avvocata Angela Cirino del foro di Cosenza. La legale presenta così un ricorso in cui va ben oltre le criticità già presenti nei documenti municipali. «Ho anche scoperto che l’hotel», ha ricostruito, «è affidato a una curatela fallimentare rimasta all’oscuro di tutti i passaggi fatti dall’amministrazione di Torano Castello in accordo con l’Asp di Cosenza».

    Un trasloco non autorizzato

    Un bel pasticcio, perché, spiega la legale, «prima di autorizzare lo spostamento si sarebbe dovuta rilasciare l’autorizzazione igienico sanitaria prodotta dal proprietario di struttura». Finito? No, perché l’avvocata ha anche scoperto che una parte della struttura è sottoposta a sequestro penale per un’inchiesta della magistratura su un incidente che causò la morte di un minore qualche anno prima.

    L’esperimento del quarantena hotel, in definitiva, presenta diversi profili di illegalità e non può proseguire. L’Asp a questo punto non può che recepire le eccezioni e quindi emanare un’ordinanza di sgombero. Gli operatori sanitari rimasti però, fedeli alla propria missione professionale, decidono di mettere la salute degli altri davanti alla propria, scegliendo di portare a termine l’esperimento. Maria, finalmente negativizzata, è l’ultima infermiera a lasciare l’hotel, il 18 maggio 2020.

    La Scienza e la Legge

    «Il caso di Villa Torano creò molto scalpore mediatico, per tanti motivi. Ma noi eravamo concentrati sui pazienti e non ci rendevamo conto di cosa accadeva fuori. Noi ci occupiamo solo di curare i malati», ricostruisce il dottor Sisto Milito, a capo della squadra di medici che si è occupata di spegnere questo focolaio. Dal punto di vista dei medici, «quello sperimentato a Torano è un metodo che ha funzionato, che di lì a poco tutti avrebbero adottato», ribadisce.

    Mentre in quel periodo la strategia della chiusura della struttura è stata la scelta per gran parte delle Rsa dove è dilagata l’emergenza, infatti, così non è stato per i pazienti di Villa Torano. «Non chiudere la Rsa – aggiunge Milito, che ha operato nel cluster insieme a Vincenzo Gaudio, Filippo Luciani, Giovanni Malomo, Vincenzo Pignatari e Nunzio Conforti – ci ha permesso di tutelare la vita di malati senza famiglia, che sarebbero finiti in mezzo alla strada privi di qualsiasi cura o in qualche altra struttura a diffondere l’epidemia».

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    La stazione mobile con i medici dell’Asp all’ingresso di Villa Torano

    Per quanto riguarda invece i confinati nell’hotel fantasma, i rimpianti sono tanti. «Sì, lì si sarebbe potuta produrre letteratura scientifica di valore con tutta la mole di dati arrivata dai supporti della telemedicina, che ha garantito il monitoraggio dei parametri vitali degli infetti, 24 ore su 24 per oltre un mese». In un periodo in cui non solo la Calabria, ma il mondo intero aveva fame di farlo, si poteva capire di più sulla carica virologica e sulla effettiva durata della quarantena o del periodo di incubazione, considerando anche i casi di negatività al primo tampone e positività al secondo. «La struttura era compromessa da beghe giudiziarie, ma noi avevamo fatto un pensierino a requisirla, per l’autunno soprattutto. Era attesa una nuova ondata influenzale e poteva essere di nuovo necessario isolare persone che non possono fare una quarantena completa a casa», conclude Milito.

    Insomma, si poteva imparare da questo esperimento e adeguare alle evidenze scientifiche raccolte l’organizzazione sanitaria per l’annunciata seconda ondata autunnale. Invece è andata diversamente. Tanto la comunità scientifica, quanto l’opinione pubblica non hanno saputo nulla di questa buona pratica medica avvenuta fra le montagne calabresi.

    Mentre con l’arrivo dell’estate i focolai pian piano si sono spenti in tutta Italia, in Calabria la struttura commissariale chiamata a predisporre il piano pandemico, attraverso le parole del commissario Saverio Cotticelli in diretta tv, ha addirittura ammesso di aver dimenticato di doverlo scrivere un piano pandemico. Il risultato è quello che tutti sappiamo: una lunga stagione di scandali, dimissioni e rinunce, ma soprattutto un tributo altissimo in termini di vittime.

    Covid hotel

    Eppure, un tentativo di attuare la politica dei covid hotel anche in Calabria alla fine è arrivato. La stipula dei primi contratti risale a fine 2020. E nel giro di due mesi l’accordo era scritto fra la Regione e otto strutture alberghiere diffuse sul territorio regionale, per un totale di 371 posti letto disponibili. Era già troppo tardi probabilmente. La Calabria aveva ancora negli occhi mesi con le autoambulanze in fila fuori dai pronto soccorso; centinaia di posti letto per pazienti con pochi o nessun sintomo in quella fase avrebbe potuto rappresentare una boccata d’ossigeno per le sottodimensionate strutture calabresi. Ma qualcosa non ha funzionato e continua a non funzionare.

    Si contano infatti con le dita le strutture convenzionate che hanno ospitato contagiati covid in Calabria finora, per un rimborso 65 euro al giorno cadauno. Tutte le altre stanze sono rimaste vuote, con un costo per la comunità comunque significativo: 15 euro al giorno per ogni posto letto dedicato a contagiati covid rimasto vacante.

    Infografica-Covid-Hotel

    Individuata la categoria di persone da sottoporre a quarantena controllata e trovati i posti dove farlo, pare fosse difficile l’organizzazione perché le due cose si incontrassero. E con l’arrivo della nuova estate praticamente tutte le strutture convenzionate hanno preferito ritornare a dedicarsi ai turisti in arrivo. Così la Calabria, destinata ad accogliere migliaia di turisti da ogni dove, è tornata praticamente e al netto di un’eccezione al punto di partenza: a cercare hotel per la quarantena.

  • Occhiuto tra alibi di Ferro e ritorni di… Fiamma

    Occhiuto tra alibi di Ferro e ritorni di… Fiamma

    A Roma verranno sciolti a breve gli ultimi nodi del centrodestra. E questi nodi non dovrebbero riguardare (o non del tutto) le Regionali. Infatti, stando ai bene informati, resta confermato, al momento, il ticket Occhiuto-Spirlì. Non solo per una questione di continuità amministrativa ma anche di cinica Realpolitik. Grazie ai suoi irriverenti coming out, il presidente facente funzioni è diventato un’icona gay particolare, un simbolo di quella parte del mondo Lgbt che non si identifica nelle frange “estreme” o – parole sue – nelle «lobby frocie».

    E questo ruolo dell’ex vicejole ha assunto un valore politico non proprio secondario in seguito allo stop al ddl Zan, ottenuto da Lega e Forza Italia e poi da Italia Viva con innegabile abilità nella manovra parlamentare.
    Il centrodestra (tranne Fdi) e i renziani hanno evitato il muro contro muro con una soluzione efficace: la proposta di una versione attenuata del ddl antiomofobia.
    Il risultato, tra l’altro prevedibilissimo, è arrivato subito. Gli ambienti gender si sono spaccati. E la fazione (incluse alcune importanti componenti dell’Arci) che riteneva eccessiva la proposta di Zan si è schierata con Renzi o avvicinata al centrodestra.

    In questo scenario, il recupero di Spirlì risulterebbe funzionale all’accreditamento di una destra più gender friendly o, comunque, non omofoba.
    Oltre i simbolismi, resta la prosaica necessità di non turbare troppo gli equilibri della coalizione, soprattutto tra Lega e Fdi, e quelli interni alla Lega. Mantenere Spirlì nella casella di vice scoraggerebbe gli appetiti dei centometristi del voto, vecchi e nuovi. E garantirebbe a Salvini, legato da amicizia personale all’attuale facente funzioni, un ruolo di controllo.

    L’armata

    È difficile definirla “gioiosa” o “invincibile”, ma comunque l’armata c’è. E, salvo sorprese dell’ultimo minuto, sembra vincente. Già: il problema di Roberto Occhiuto non è la penuria ma la sovrabbondanza.
    L’aspirante governatore non deve dare la caccia ai candidati, ma cercare di collocarli senza far danni. Così, ad esempio, per Pino Gentile, di cui è ancora dubbia la candidatura in Fi, per un problema politico non secondario: la lista azzurra stando a voci attendibili, si annuncia fortissima nel collegio Calabria Nord. E di questa forza è un indizio più che consistente la presenza dell’assessore uscente Gianluca Gallo.

    In questa situazione, l’eventuale compresenza di due big del calibro di Gallo e dell’evergreen Gentile diventerebbe un deterrente per altri candidati potenziali. Che temerebbero, non a torto, di restare schiacciati tra i due moloch.
    Tuttavia, di Gentile non si può fare a meno, perché la sua presenza resta determinante per gli equilibri politici delle imminenti amministrative di Cosenza, l’altro piatto dell’election day calabrese. Ad ogni buon conto, problemi di spazio non ce ne sono. Occhiuto e il suo staff hanno a disposizione sette simboli per almeno sei liste, quasi tutte collegate ai partiti.

    Le liste

    Vediamole nel dettaglio. Di Forza Italia si è già detto. Ma sono in fase avanzata anche le liste di Lega, Fratelli d’Italia e Udc. Resta un dubbio sulle liste politiche minori: “Cambiamo!”, che si rifà al movimento di Giovanni Toti, e “Noi con l’Italia” di Maurizio Lupi. Queste due liste sono appetibili, almeno sulla carta, per i calibri medi, tra cui l’ex big dell’Udc cosentino Franco Pichierri. Che, appunto, si starebbe dando un gran da fare per assicurare una bandierina calabrese a Lupi.

    Altri notabili si sarebbero rivolti invece al governatore della Liguria, per capitalizzare al massimo i propri voti in liste che, sperano, superino il 4%. Il rischio sarebbe di scatenare competizioni feroci all’ultimo voto e di creare “liste Coca Cola” costruite attorno a pochi candidati. Per scongiurarlo, lo stato maggiore occhiutiano ipotizza di fondere i simboli di Toti e Lupi in una sola lista.
    A proposito di personalismi, l’aspirante governatore coltiverebbe una mossa di marketing: spersonalizzare la lista del presidente, che si chiamerebbe Azzurri.

    Legalità…

    In non pochi hanno notato l’ambiguità della mossa tentata da Roberto Occhiuto a metà luglio: la richiesta di un vaglio preventivo delle liste da parte della Commissione antimafia per espellerne gli incandidabili. Una richiesta quantomeno strana, soprattutto nel momento in cui il centrodestra spingeva (e spinge tuttora) compatto sulla riforma Cartabia e sul depotenziamento della legge Severino.

    Che Occhiuto facesse sul serio, lo si evince da un particolare: da circa una settimana girano tra gli aspiranti candidati dei moduli con cui si richiede loro una generica disponibilità a candidarsi. E, quindi, a farsi vagliare dalla Commissione guidata dal gelido Nicola Morra.
    La tempistica ha giocato a favore di Occhiuto. La modifica, proposta dalla meloniana Wanda Ferro, al codice di autoregolamentazione dell’Antimafia è passata da circa un giorno. Ora l’aspirante governatore, che ha giocato d’anticipo, ha la possibilità di dire dei no motivati.

    … e opportunismi

    Quanto in questi eventuali “no” pesino le ragioni legalitarie e quanto le dinamiche politiche è difficile da dire. Certo è che, a ben guardare, non c’è quasi un big del centrodestra che non abbia qualche peccatuccio, più o meno veniale (o venale…).
    E questi peccati verrebbero senz’altro notati, visto che il codice di autoregolamentazione non si ferma alle ipotesi di reato degli articoli 416bis e ter. Comprende anche l’associazione a delinquere semplice, i reati contro la pubblica amministrazione (concussione e corruzione innanzitutto), ma anche reati comuni come estorsione e usura. Mancano gli ormai banali abusi di ufficio (un amministratore che non ne abbia almeno uno è quasi uno sfigato…).

    Per attivare la Commissione basta il semplice rinvio a giudizio e, dato non secondario, le sue valutazioni sono politiche e non giudiziarie. E, soprattutto, non vincolanti.
    Detto altrimenti: Occhiuto e i suoi competitors non sarebbero obbligati a “espellere” nessuno, perché l’eventuale parere negativo dell’Antimafia fornirebbe solo un’autorevole pezza di appoggio per negare una candidatura.
    Ci fermiamo qui: gli scenari aperti da questa novità meritano un approfondimento a parte.

    Il nodo Cosenza

    Lo ripetiamo fino alla nausea: le Regionali si vincono e si perdono nel Cosentino. E per il centrodestra le Amministrative di Cosenza hanno lo stesso peso che per l’area Pd.
    Rispetto alle Regionali, la corsa a Palazzo dei Bruzi è un piatto modesto: un secondo magro, quasi un contorno. Un municipio dissestato in cui i conti si ostinano a restare in rosso e una città in decrescita demografica sono poco appetibili.

    Eppure, i big che contano sono tutti cosentini (le famiglie Occhiuto, Gentile e Morrone) o hanno a Cosenza il loro quartier generale (Fausto Orsomarso). La contesa interna si annuncia accesa e ci sono già le premesse, che ruotano attorno a un dato certo: il candidato sindaco tocca a Fratelli d’Italia. Un ostacolo non insormontabile, visto che il partito degli ex An ha strutture così minime da far sembrare il vecchio Udeur di Mastella un mostro di solidità.

    Fiammella, fiamma e super fiamma

    Infatti, Mario Occhiuto ha designato come proprio successore il mite Francesco Caruso, dopo averne propiziato l’adesione a Fdi, motivata in maniera non proprio banale. Il delfino del sindaco, infatti, è figlio del compianto Roberto Caruso, deputato di An a inizio millennio. Il giovane sodale di Occhiuto non avrà il piglio e l’attitudine del missino, ma ne ha comunque i galloni.

    Sempre a proposito di fiamme, Fausto Orsomarso insiste invece sulla candidatura di Pietro Manna, il quale non ha forti esperienze politiche dirette (è un segretario comunale, con trascorsi da dirigente regionale nell’era Scopelliti). Ha, però, un pedigree missino di tutto rispetto: appartiene all’ultima generazione del Fronte della Gioventù cosentino, di cui ha fatto parte assieme all’ex vicesindaco Luciano Vigna e allo stesso Orsomarso. Camerati di merende.

    Resta in campo, sempre a proposito di fiamma, la candidatura di Fabrizio Falvo, già consigliere provinciale e più volte consigliere comunale. Professionista stimato, Falvo è l’erede di una tradizione familiare importante: suo padre, l’ex deputato Benito, è stato per decenni sinonimo di destra, a Cosenza e non solo. Per lui simpatizza essenzialmente Luca Morrone, che tuttavia si allineerebbe senza problemi alle decisioni della coalizione (più realisticamente, ai diktat dello stato maggiore).

    Una variabile a questa partita interna alla destra, la porta il già menzionato Franco Pichierri, che per puntellare le sue ambizioni regionali, starebbe preparando più liste a Cosenza. Anche nel centrodestra il quadro è complesso. Forse non incasinato come quello del Pd e di chi gli fa concorrenza a sinistra, ma comunque divertente.

  • Sacal e Sorical, debiti pubblici e profitti privati

    Sacal e Sorical, debiti pubblici e profitti privati

    Gli interessi della politica e dell’imprenditoria si incontrano nel mondo delle società miste. La partecipazione del pubblico in quota maggioritaria rispetto al privato ne è una caratteristica distintiva. Ma spesso, per esempio in Calabria, queste Spa se ne ricordano solo quando c’è bisogno di appianare debiti e disastri vari. Se le cose vanno bene privatizziamo i profitti, se vanno male pubblicizziamo le perdite.

    Prendere in esame due casi distinti e distanti come quelli di Sorical e di Sacal può aiutare a capire le cause e gli effetti di certi paradossi sui nostri territori. Anche perché, nonostante vi si investano parecchi soldi pubblici, i cittadini sanno spesso poco delle vicissitudini societarie, finanziarie e talvolta anche giudiziarie che attraversano queste società.

    La Regione salva la Sacal

    La Società aeroportuale calabrese sta patendo parecchio, com’era prevedibile, gli effetti del crollo del traffico aereo nell’anno della pandemia. Ne è derivata una crisi di liquidità che ha allarmato a tal punto la Regione. Che è intervenuta per evitare la messa in liquidazione, con una ricapitalizzazione da 10 milioni di euro. C’è stato un primo step legislativo in consiglio regionale con un impegno di spesa di 927mila euro per il 2021 (proporzionato al 9,27% delle azioni della Cittadella). Il facente funzioni Nino Spirlì ha garantito a un’Aula non del tutto convinta che bisogna affrontare questo passaggio per «mantenere la maggioranza pubblica». La linea è sottile: attualmente sono 13.666 le azioni in mano a enti pubblici e 13.259 quelle dei privati.

    Cantieri per 60 milioni di euro

    Poi, solo «successivamente si valuteranno – continua Spirlì – ulteriori investimenti» e arriveranno «cantieri per 60 milioni di euro» sui tre aeroporti calabresi. Sacal infatti gestisce non solo lo scalo più attivo, quello di Lamezia, ma dal 2017 anche quelli di Reggio e Crotone. Gli ultimi due reduci dai fallimenti delle rispettive società di gestione e accorpati a Sacal sotto la presidenza del prefetto/poliziotto Arturo De Felice. Era arrivato un mese dopo la bufera dell’inchiesta “Eumenidi”.

    Il supermanager in quota Lega

    Spirlì ha poi garantito che «il presidente della Sacal (il supermanager in quota Lega Giulio de Metrio, ndr) ha già affrontato il piano strategico. Tra qualche giorno saranno coinvolti nella discussione i soggetti interessati perché nessuna parte del territorio abbia a patire le dimenticanze registrate in passato». Qui si fermano le notizie sul Piano industriale.

    Gli enti pubblici stanno mettendo i soldi per la ricapitalizzazione. Compreso il Comune di Lamezia, che detiene il 19,2% delle azioni, con una variazione di bilancio da 150mila euro. Non si sa ancora nulla di come e con quali investimenti si dovrebbero rilanciare i tre aeroporti della Calabria. Intanto la Metrocity di Reggio vuole entrare e non ci riesce. Catanzaro (Comune e Provincia, per un totale di circa il 16% delle azioni) vuole uscire suscitando polemiche dentro e fuori dal capoluogo.

    E i lametini pagano

    I lametini si sentono quasi defraudati perché sono gli unici, a parte la Regione, a metterci i soldi pur avendo l’aeroporto che fa più numeri, mentre crotonesi e reggini lamentano i mancati investimenti di Sacal sui loro scali e qualcuno, sommessamente, ripropone i dubbi di sempre sulla capacità della Calabria di reggere la presenza di tre aeroporti.
    A Lamezia oltre al Piano industriale aspettano anche la nuova aerostazione: bocciato dalla Commissione europea un progetto da 50 milioni di euro, rimasto solo sulla carta, si è parlato di un altro più contenuto – dovrebbe costare la metà – di cui De Metrio aveva anche tratteggiato i contorni.

    Nella principale porta d’ingresso di treni e aerei nella regione si aspetta da anni anche un collegamento «multimodale» tra stazione ferroviaria e aeroporto, un ultimo miglio di cui c’è bisogno come il pane ma che ormai sta assumendo i contorni della leggenda. Tutto bloccato, specie con la mazzata del Covid: i dati di giugno di Assaeroporti fanno registrare, su Lamezia, un calo del 50,2% di passeggeri rispetto al 2019.

    La Sorical in liquidazione con le consulenze a go-go

    Per Sorical, società che dal 26 febbraio 2003 gestisce le risorse idriche calabresi (53,5% della Regione, 46,5% di una società controllata dalla multinazionale Veolia), la bestia nera sono invece i Comuni. Molti sono in dissesto e pre-dissesto: tanti cittadini non pagano l’acqua, tante reti sono vetuste e hanno perdite, tanti allacci sono abusivi. E il risultato è che i crediti vantati dalle amministrazioni locali ammonterebbero a circa 200 milioni di euro. La società, che paga un canone di solo 500mila euro all’anno per la gestione degli acquedotti calabresi, è in liquidazione volontaria dal 13 luglio 2012 ma oltre a continuare a garantire il servizio – e ci mancherebbe – in questi anni ha visto aumentare anche la spesa per il personale (a cui va aggiunta quella per i consulenti esterni): 13,9 milioni nel 2017, 14 milioni nel 2018, 15,6 milioni nel 2019 (fonte: Piano di razionalizzazione periodica delle partecipazioni societarie della Regione, dicembre 2020).

    E rimetti a noi i vostri debiti Sorical

    L’esposizione debitoria di Sorical quantificata in un iniziale Accordo di ristrutturazione partiva da 386 milioni di euro, oggi è scesa di parecchio – secondo la società del 68% – ma resta comunque un bel problema. Specie perché, ora che si vorrebbe revocare la liquidazione e rendere il capitale interamente pubblico, c’è da fare i conti con una banca tedesco-irlandese, la Depfa Bank, che è assieme a Enel il principale creditore di Sorical, con cui anni fa ha sottoscritto degli strumenti finanziari derivati e a cui ha dovuto evidentemente cedere delle garanzie.

    Pronti al Recovery

    Ma fermi tutti, ora c’è il Recovery fund. Il Pnrr assegna un gruzzolo molto sostanzioso alle risorse idriche, ma per metterci le mani sopra bisogna rilevare le quote dei privati e convincere la banca, cosa che non riuscì alla Giunta guidata da Mario Oliverio. Vedremo se ce la farà la governance leghista che accomuna Spirlì e il commissario Sorical Cataldo Calabretta. Quel che è certo è che la Regione dovrà metterci dei soldi perché è l’unica, anche stavolta, a poterlo fare.

    Per ora di concreto c’è solo un atto di indirizzo per verificare le condizioni e la fattibilità dell’operazione, intanto va chiarito che una Spa, anche se sarà interamente a capitale pubblico, resta un soggetto di diritto privato. La disciplina a cui è sottoposta è quella dettata dal codice civile in materia di impresa. Poi ci sono i ritardi dell’Autorità idrica calabrese, l’ente di governo d’ambito diventato operativo dopo anni di inerzia. Non ha ancora individuato il soggetto gestore che, a questo punto, non potrà che essere la “nuova” Sorical.

    I timori dei comitati per l’acqua pubblica

    Le perplessità dei comitati per l’acqua pubblica, che continuano a chiedere che venga rispettata la volontà popolare espressa con il referendum tradito di 10 anni fa, riguarda quello che potrebbe succedere dopo. Dopo che eventualmente la Regione avrà messo i soldi per revocare la liquidazione e dopo che gli investimenti sulle reti saranno realizzati con i soldi del Recovery. Non è che una volta sanata la società e ammodernati gli acquedotti – si chiedono gli attivisti – si spalancheranno di nuovo le porte ai privati? Non è che l’obiettivo è far tornare la gestione dell’acqua calabrese appetibile per chi cerca il profitto e per chi non vede l’ora di svendere i beni comuni in cambio di nuove clientele?

    Il rapporto dell’Arera

    Intanto l’Arera (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) proprio qualche giorno fa ha segnalato a Governo e Parlamento che «permane nel nostro Paese un Water Service Divide» e che «persistono situazioni, principalmente nel Sud e nelle Isole, in cui si perpetuano inefficienze». La segnalazione si basa sui risultati del monitoraggio semestrale sugli assetti locali del servizio idrico integrato svolto dalla stessa Autorità attraverso l’analisi delle informazioni trasmesse dagli enti di governo d’ambito e da altri soggetti territorialmente competenti secondo la legislazione regionale.

    Se non si cambia rotta addio soldi del Pnrr

    Un quadro di criticità che evidenzia «la necessità di un’azione di riforma per il rafforzamento della governance della gestione del servizio idrico integrato, soprattutto in considerazione del permanere di situazioni di mancato affidamento del servizio in alcune aree del Paese». Quali? «Molise e Calabria, nonché la parte maggioritaria degli ambiti territoriali di Campania e Sicilia». Senza questi adempimenti, insomma, i soldi del Pnrr – che indica la strada della gestione «industriale» delle risorse idriche – rischiano di restare un sogno. Forse anche per questo c’è tanta fretta dopo anni di ritardi e di gestione evidentemente fallimentare dei manager indicati dalla politica. Chissà poi chi eventualmente sarà, tra il Pollino e lo Stretto, a governare questi flussi di denaro e questa gestione «industriale» dell’acqua dei cittadini.

  • Codice etico o conta dei voti? Bruni e Pd al bivio

    Codice etico o conta dei voti? Bruni e Pd al bivio

    La supercandidata civica Amalia Bruni ha iniziato a scaldare i motori in maniera aggressiva. Sa che deve recuperare terreno a sinistra, dove i Masanielli di de Magistris sono piuttosto avanti, e mettere in riga lo schieramento che si sta completando a fatica attorno a lei.
    La sua ricetta è piuttosto semplice: il civismo (a cui si è già accennato), appena curvato in chiave tecnocratica e dirigista, progressismo quel che basta e, ovviamente, tanta tanta etica, dentro e fuori i codici, proposti da Tansi e dal Pd.
    Ma l’etica è moneta usurata: l’ha invocata Roberto Occhiuto (che però si è limitato all’antimafia), la predica Tansi da due anni, è nel dna dei grillini (per il poco che pesano a livello territoriale), ne fa una bandiera il quasi ex sindaco di Napoli.

    Semmai, a questo punto, l’interrogativo vero è un altro: quanto potrà reggere tanto afflato di fronte ai compromessi che i big dovranno accettare, perché le liste si devono pur riempire e le elezioni si affrontano coi voti?
    «Io ci metto la faccia, quindi decido io», ha dichiarato la Bruni la sera del due agosto in occasione del suo primo bagno di folla a Lamezia.

    Ma la scelta dei candidati può essere una questione decisamente più prosaica: come si fa a dire no a chi si presenta con un carico di consensi? Ed è davvero così facile imporre regole ai partiti, che, anche se malridotti come il Pd calabrese, restano macchine organizzative di cui non si può fare a meno, soprattutto quando manca poco al voto?

    L’asticella

    Non è solo una questione di casellario giudiziale. Un altro aspetto determinante è quello, piuttosto grillino, del numero di mandati già svolti. Al riguardo, è praticamente certo che il centrosinistra della Bruni (come, del resto, quello dei Masanielli), abbia fissato in due il limite dei mandati. Detto altrimenti: chi ha fatto due mandati è dentro, chi più di due è fuori.

    Per quel che riguarda il Pd, l’esclusione eccellente sarebbe una: Carlo Guccione, che di mandati in Consiglio regionale ne ha svolti già tre. Il suo girovita, perciò, sarebbe piuttosto largo per passare sotto l’asticella. Viceversa, possono ballare tranquillamente il limbo Mimmo Bevacqua, Graziano Di Natale e altri centometristi del voto per frenare l’emorragia a sinistra.

    Questo limite, intendiamoci, non implica necessariamente il ricambio: Bevacqua, per esempio, prima di approdare a Palazzo Campanella, è stato dirigente di lungo corso della Margherita e poi del Pd e consigliere provinciale di Cosenza per altre due consiliature.
    Ma resta l’unica misura praticabile, per non sacrificare troppo l’esperienza politica – che sarà diventata un marchio d’infamia, ma serve – e, soprattutto, il legame coi territori.

    La partita cosentina

    A proposito di territori, la scienziata di Lamezia dovrà fare i conti con gli equilibri cosentini. Anche per questa tornata elettorale vale la regola secondo cui la Regione si vince o si perde a Cosenza, dove il Pd vanta ancora buoni numeri, sia a livello provinciale sia a livello cittadino.
    E il problema che le si pone non è piccolo né leggero, visto che il capoluogo andrà anch’esso al voto. Quindi, quel che succederà alle Amministrative cosentine sarà determinante per i risultati regionali.

    Si è già parlato, a proposito della corsa a Palazzo dei Bruzi, del ticket tra Franz Caruso, principe del Foro ed esponente storico dell’area socialista, e Bianca Rende, esponente dell’ala popolare (leggi: ex Dc) e vicina alla famiglia Covello. Questo ticket avrebbe la benedizione dei vertici Dem cosentini, in particolare di Francesco Boccia.

    Ma la partita non finisce qui, perché c’è un’altra presenza illustre che scalpita per giocarsi la partita a sindaco: Giacomo Mancini, che avrebbe ancora la benedizione di Tommaso Guzzi, segretario del IV circolo cittadino del Pd, che racchiude i seguaci di Carlo Guccione. La candidatura dell’ex assessore regionale avrebbe avuto la benedizione, tra le altre, di Marco Miccoli, ex commissario del Pd, uscito di scena dopo la sconfitta a Roma.
    Ma tutto lascia pensare che la mente dell’operazione sia stato Carlo Guccione.

    Il vespaio

    Parlare di Guccione a Cosenza significa evocare un attrito di lunghissimo corso: quello tra l’ex assessore di Oliverio e Nicola Adamo.
    I maligni, che coincidono coi bene informati, sussurrano che i due big abbiano messo da parte i vecchi livori, in seguito alla dissidenza di Mario Oliverio, che si appresterebbe a travasare i candidati e gli uscenti di Dp (la storica lista civetta dei centrosinistra calabrese e cosentino) nella coalizione di De Magistris.
    Questa dissidenza mutila senz’altro l’area Pd nell’enorme territorio provinciale, dove l’ex governatore è stato sempre fortissimo e popolare. Ma lascia campo libero nel capoluogo, dove il big resta Nicola Adamo, che, pur non occupando da un pezzo posizioni istituzionali e a dispetto dei guai giudiziari, mantiene un forte ascendente.

    Per venire a capo di tanta complessità, è importante completare la mappa politica. Franz Caruso è legatissimo da sempre a Luigi Incarnato, ex assessore dell’era Loiero, commissario della Sorical e segretario regionale del Partito socialista. Incarnato, a sua volta, è vicino ad Adamo, col quale ha collaborato a stretto contatto sempre, soprattutto nelle situazioni più delicate.

    Basti ricordare quel che accadde nel 2011, quando il Pd si spaccò in due in seguito alla lite tra Oliverio e Adamo: Incarnato mise a disposizione il marchietto del Psi per accogliere i candidati del Pd che non si erano allineati alla scelta di appoggiare la candidatura a sindaco di Enzo Paolini (allora “campione” di Oliverio e Guccione) e sostenne la ricandidatura di Salvatore Perugini. Sembra un secolo fa, ma certe dinamiche di provincia sono dure a modificarsi.
    Mancini, al contrario, è un outsider, che tenta per la terza volta la candidatura a sindaco, sulla base della sua tradizione ed esperienza politica.

    Il nodo si scioglie?

    A questo punto si capisce benissimo come dietro le candidature di Caruso e Mancini covino le dinamiche tra Adamo e Guccione. Se davvero i due, come sussurrano i malevoli, hanno fatto pace, una candidatura è di troppo.
    Tramontata l’ipotesi della coalizione sociale vagheggiata da Miccoli, che avrebbe dovuto includere le sinistre radicali e i movimenti civici, prende quota la candidatura di Caruso. Anche senza ticket perché, si apprende da credibilissime voci, Bianca Rende (che tra l’altro non risulta iscritta ad alcun partito) non sarebbe disposta ad accettare il ruolo di vice.

    A favore della candidatura dell’avvocatissimo pende anche un sondaggio commissionato da Boccia, che lo darebbe per favorito. Ovviamente, questo sondaggio non è stato accolto bene da tutti. E, anzi, qualcuno lo avrebbe contestato. In particolare, Luigi Aloe, coordinatore cosentino dei Cinquestelle, e Saverio Greco, altro socialista storico vicino da sempre a Giacomo Mancini. Una rondine non fa primavera. E nemmeno due, considerato che si vota in autunno.
    Come nei film e telefilm Highlander, ne resterà solo uno. Anche perché sulla candidatura di Caruso reggono (ancora…) gli equilibri cosentini e le loro importanti proiezioni sulle Regionali.

    Verso palazzo Campanella

    I dolci (magnifici i cannoli) e i gelati in riva allo Stretto sono irrinunciabili per chiunque faccia politica in Calabria.
    Ad esempio, lo sono per Franco Iacucci, sindaco storico di Aiello Calabro con un importante passato nel Pci, presidente della Provincia di Cosenza. Oliveriano storico, ha rotto col suo leader e cerca di trovare la propria nicchia nel Pd sgombro dall’illustre sangiovannese. In prima battuta, Iacucci portava (e porta tuttora: è solo questione di convinzione) Felice D’Alessandro, attuale sindaco di Rovito e consigliere provinciale di Cosenza. D’Alessandro, forte di un buon risultato alle Regionali 2020 preso proprio nel capoluogo, carezzerebbe l’idea dell’assalto a Palazzo dei Bruzi.

    Tuttavia, la pax Adamo-Guccione ha il suo peso. E, soprattutto, una posta: le liste per il Consiglio regionale. Iacucci, infatti, sarebbe l’erede di Guccione a palazzo Campanella. Adamo, invece, carezza ancora l’idea di mandare la deputata Enza Bruno Bossio (che, come sanno anche i muri, è sua moglie) in Consiglio regionale.
    Nessuno dei due è fresco di politica, non Iacucci né la Bruno Bossio. Ma entrambi hanno due elementi a favore, a prova di codice etico: nessun incidente giudiziario in corso né una presenza, se non da “turisti politici” nel palazzone reggino.

    La forma è salva, almeno per Bruni e Tansi, gli unici ad aver parlato di codice etico.
    Tant’è: le guerre e i matrimoni nascono sempre dalle passioni. Le paci, invece, dagli interessi e dalle necessità. E l’area del Pd ne ha almeno tre: limitare i danni, che comunque ci saranno (e non pochi), tutelare posizioni politiche e tenere più caselle possibili, in attesa di tempi migliori (e, al momento, per soddisfare le indicazioni romane).
    Il dissestato Comune di Cosenza, in questo casino, può diventare benissimo la classica Parigi che vale una messa…

  • C’eravamo tanto amati, Tansi e de Magistris a torte in faccia

    C’eravamo tanto amati, Tansi e de Magistris a torte in faccia

    Quanto sembrano lontani i tempi (brevi) in cui Carlo Tansi e Luigi de Magistris andavano “in Tandem” promettendo di rivoltare la Calabria come un calzino. Oggi i due ex alleati se le danno di santa ragione, come se fossero nemici giurati da sempre. Soltanto sei mesi fa si autodefinivano – la frase è di Tansi – «come Coppi e Bartali che si scambiano la borraccia», due campioni che si supportano in nome del «lavoro di squadra che abbandona i personalismi». Adesso, dopo quella su chi ha l’ego più grande, conducono una nuova gara tutta loro. Ci si sfida ad accusare l’altro di essere il più compromesso con il sistema che entrambi promettevano di scacciare dai palazzi della politica.

    Il ritorno del Put

    Illustre assente del duello tra i due ex amici è l’eleganza. Tansi ha dato prova del suo proverbiale savoir-faire rispolverando un intramontabile classico: i pregiudizi contro i napoletani, maestri della finzione, e le loro presunte allergie al lavoro. Per il geologo il «quasi ex sindaco napoletano futuro disoccupato» starebbe «cercando di convincere i calabresi, con le indiscusse capacità di recitazione che sono chiaramente impresse nel suo DNA, di garantirgli per i prossimi cinque anni uno stipendio ed evitargli l’incubo dell’iscrizione alle liste di disoccupazione napoletane».

    E via con la lista dei personaggi con cui de Magistris starebbe brigando in cerca di voti: Mario Oliverio in primis, ma anche Giuseppe Giudiceandrea, Giuseppe Aieta e Antonio Billari, Francesco D’Agostino e Brunello Censore. Tutta gente dell’ormai mitico Put, l’acronimo coniato dall’ex capo della Protezione civile per inglobare nel Partito unico della torta chiunque non stia con lui.

    Una torta tutta per Tansi

     

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    La torta fatta preparare da de Magistris per replicare alle accuse di Tansi

    De Magistris, dal canto suo, più che la sceneggiata, come lo accusa Tansi, chiama in causa un altro grande classico partenopeo: i dolci. Alle invettive del geologo replica dandogli appunto del pasticciere. Specializzato per di più proprio in quella torta che tanto dichiara di disprezzare. Le candidature filo oliveriane nelle sue liste? «Bugie» inventate da chi ha «svelato la propria voglia di assaggiare la torta insieme a quel famoso Put che oggi è l’unico a potergli garantire, o almeno così pensa Tansi, un qualche tipo di poltrona e qualche prebenda». Una stoccata, quest’ultima, condita dalla foto di una torta col faccione di Tansi sopra. Perché a Napoli di pasticceria, come di sceneggiate, se ne intendono.