Tag: regione calabria

  • Spirlì e il vangelo secondo Matteo…Salvini

    Spirlì e il vangelo secondo Matteo…Salvini

    Dalla cucina di Jole Santelli, dove per sua stessa ammissione preparava ottimi manicaretti, all’assessorato regionale alla Cultura. E dopo la prematura scomparsa della presidente della Regione, il salto che lo catapulta al piano più alto della Cittadella. Nino Spirlì è un uomo che non pone limiti alla Provvidenza.

    Spirlì promuove la Calabria dei prodotti tipici
    Sacro e profano

    Ernesto De Martino sarebbe impazzito davanti ad un personaggio come lui, capace di mischiare mistico e profano, senso del sacro e (presunta) trasgressione. «Frocio a tempo perso» ma «cattolico praticante», calabrese ma leghista in prima linea, amante dei selfie col Capitano. Solo recentemente, forse dietro utile suggerimento, ha cominciato a vestire abiti più congrui al ruolo che ha ricoperto. Sono tornati negli armadi i capispalla modello saio e le reliquie con santini appesi al collo. Al loro posto maglioni con stemmi tricolore.

    Spirlì
    La prima foto istituzionale da assessore per Nino Spirlì

    L’ormai ex presidente facente funzioni si autoproclama «intellettuale», evidentemente organico alla destra cristiano–sovranista, non disdegnando la pratica apparentemente disubbidiente del disprezzo verso il lessico politicamente corretto, percepito come un complotto contro la sua libertà di parola. Ecco quindi la rivendicazione del diritto di essere omofobi e razzisti, usando le parole chiave «frocio» e «negro». Però in senso buono, si intende.

    In missione per conto di Dio

    Il “Signor Nino Spirlì”, come da profilo personale sull’amato Facebook, è un personaggio multiforme, ma la cifra caratteriale più rappresentativa è la sua religiosità primitiva, fatta di forme devozionali arcaiche ed elementari, segnata da una marcata permalosità. Il Nostro ha spesso reagito con inusitata veemenza contro quanti ne sottolineavano l’assoluta mancanza di laicità.

    Il punto più alto è stato probabilmente quando ha invocato l’aiuto vendicativo della Madonna contro i non meglio precisati «Figli di satana» che lo perseguitavano per la sua fede cristiana. «O Immacolata Concezione, Maria Madre di Dio, quanto dà fastidio la mia fede mentre lavoro, schiumano odio e rabbia», scriveva sui social.
    Il mondo dell’ex ff ha una sua semplicità: da una parte lui e Dio, dall’altra quelli che non gli piacciono (e dunque non piacciono a Dio).

    satana_spirlì

    La verità è che Spirlì ha inteso il suo ruolo istituzionale, ereditato a seguito di una disgrazia, come una sorta di crociata contro quanti non apprezzano l’idea di una Calabria feudo salviniano e teocratico. Nel giorno della sua investitura disse «Invoco la Benedizione del Signore e mi affido alle amorevoli cure della Santa Vergine Immacolata. E mi impegno a svolgere il mio compito nell’unico interesse della mia gente. Accompagnatemi solo con le Vostre preghiere. Grazie. Dio Vi voglia bene». Parole più da sacerdote che da guida di una Regione.

    Matteo Salvini con Nino Spirlì e Jole Santelli, ex presidente della Regione scomparsa prematuramente
    Gaffe e sconfitte

    All’uomo di Dio casualmente alla guida della Calabria parrebbe piacer accompagnare i suoi passi con l’odore dell’incenso delle messe e col puzzo di bruciato dei roghi dei suoi detrattori. Ma a seguirlo come una implacabile ombra sono state invece le brutte figure. Come quando diffuse, con tanto di foto, una falsa notizia che annunciava il trasvolo della statua della Madonna a bordo di elicotteri dell’Aeronautica sui cieli d’Italia per liberare il Paese dal Covid. Era una bufala, ma molto suggestiva.

    Quando Spirlì giocava a fare Salvini con le grafiche del Carroccio

    Di lì in poi una serie gustosa di gaffe e battaglie perdute, scene da avanspettacolo e strepiti. Come quando, in fase di diffusa epidemia, ingaggiò uno scontro con il Governo che aveva dichiarato la Calabria zona arancione, trascinandoci a suo parere in una dittatura: «Lunedì la Calabria sarà in zona arancione, quindi saranno chiusi tutti i negozi. La Calabria sarà chiusa». Ovviamente nulla di ciò era vero, visto che la sola limitazione riguardava il poter uscire dai confini del comune di residenza.

    Pipi e patate

    Ma la verità per Spirlì è qualcosa che si acconcia a una narrazione utile per far salire i like social. Nella scorsa primavera si accanì a voler chiudere le scuole «perché non vogliamo vedere i nostri bambini nelle bare», Poi le riaprì di corsa dopo aver perso i ricorsi presentati al Tar da genitori furenti. La pandemia non gli è stata mai alleata, infatti sul tema ha preso diversi scivoloni. Per esempio insistendo nel confondere il numero di dosi di vaccino somministrate con quello delle persone realmente vaccinate. Oppure pronunciando parole ingrate e faziose all’indirizzo di Gino Strada.

    Tuttavia il meglio di Spirlì venne durante una delle amate dirette social, quando fece emergere la sua vera natura: quella gastronomica, con l’elogio dei “pipi e patate”. Oggi la sua poltrona è assai vacillante, ma alla fine di tutto questo ci sarà qualcuno che di lui dirà che ha fatto anche cose buone: probabilmente ai fornelli di casa Santelli.

  • Rifiuti raddoppiati tra vigne e uliveti? Siderno sfida la Regione

    Rifiuti raddoppiati tra vigne e uliveti? Siderno sfida la Regione

    Case che diventano aziende agricole, nuovi capannoni che si nascondono dietro anglicismi tattici, limiti ambientali cancellati d’imperio, strade che non esistono e su cui dovrebbero passare decine di camion al giorno: è finito, inevitabilmente, a carte bollate il braccio di ferro tra la Regione e il comune di Siderno sul “rinnovo” dell’impianto di trattamento dei rifiuti di San Leo. Un ricorso al Tar, presentato sull’ultima curva disponibile dalla terna commissariale che regge la cittadina jonica dopo l’ennesimo commissariamento per mafia, che mira a una sentenza sospensiva per i previsti lavori di profonda ristrutturazione dell’impianto gestito da Ecologia Oggi, società del gruppo Guarascio che in provincia di Reggio già gestisce il termovalorizzatore di Gioia Tauro.

    Il ricorso ai giudici amministrativi che potrebbe avere sviluppi già nei prossimi giorni. Presto gli si affiancherà quello che i cittadini dell’associazione «Siderno ha già dato» stanno preparando a supporto e integrazione del primo. Una battaglia che tra riunioni infuocate, consigli comunali aperti e manifestazioni di protesta, covava da mesi. E che è esplosa quando dal dipartimento di Tutela ambientale della Regione, è arrivata l’autorizzazione all’ampliamento.

    Le tappe

    Quella del raddoppio dell’impianto di San Leo è una storia vecchia. Dal dicembre 2016 – quando il Consiglio regionale approvò il Piano regionale di gestione dei rifiuti – incombe su un pezzo di Calabria sottratto alla fiumara e piazzato a poche centinaia di metri dal mare, più o meno a metà tra i territori di Siderno e Locri, i centri più grandi dell’intero comprensorio. Nel piano originario approvato a Palazzo Campanella nel 2016, San Leo sarebbe dovuta diventare un eco-distretto attraverso la creazione di nuove linee di produzione per i rifiuti differenziati e l’adozione della tecnologia anaerobica per il trattamento della forsu e del “verde” per la produzione di biogas.

    Una trasformazione profonda a cui si misero di traverso cittadini e amministrazione comunale in un braccio di ferro durato fino all’aprile del 2018. All’epoca la struttura regionale fa parziale marcia indietro accogliendo le istanze del territorio e limitando i lavori previsti nel centro di San Leo ad un profondo restyling che passava attraverso la riqualificazione delle linee di trattamento dei rifiuti e il potenziamento delle sezioni di aspirazione e biofiltrazione.

    Un progetto differente

    Quando la pratica per i lavori al centro di San Leo sembrava essere finita stritolata negli elefantiaci ingranaggi burocratici della cittadella di Germaneto, nel 2020 c’è una decisa accelerazione dell’iter. A settembre, sull’onda dell’interminabile emergenza monnezza, sul sito del Dipartimento Ambiente spunta la pubblicazione del progetto: un progetto che però, sostengono gli uffici comunali della cittadina jonica, si differenzia in maniera sostanziale dalla bozza venuta fuori durante la conferenza di servizi e gli incontri con i cittadini e a cui la terna prefettizia risponde quindi con parere sfavorevole ai lavori.

    Quel parere non ferma però gli uffici regionali che, lo scorso 12 agosto «decretavano il provvedimento autorizzativo n° 8449» per la trasformazione dell’impianto di San Leo. Un muro contro muro che, inevitabilmente, è finito in tribunale con i giudici amministrativi chiamati a valutare il ricorso presentato dalla terna prefettizia lo scorso primo ottobre.

    La relazione tecnica

    Sono tanti i punti critici evidenziati dalla dettagliata relazione degli uffici comunali contro il piano regionale per San Leo. A cominciare dalle nuove strutture da realizzare: da una parte il progetto regionale, che parla di «modeste modifiche all’attuale assetto morfologico dell’area interessata… che possono determinare un ulteriore moderato impegno di territorio necessario per garantire le nuove e più complesse funzioni operativi dell’impianto», dall’altra gli uffici comunali che, nero su bianco, rispondono «alla bizzarra tesi» avanzata da Catanzaro quantificando le modeste modifiche in «62mila metri quadri di nuova superficie pesantemente trasformata ed edificata che produrrà più di un raddoppio delle dimensioni fisiche dell’attuale impianto».

    Nella sostanza, dicono da Siderno, tutto quello che non era entrato dalla porta, sta rientrando dalla finestra. Quello delle nuove costruzioni rappresenta però solo la punta di un iceberg che rischia di mandare a monte l’intero programma regionale sui rifiuti: nel ricorso presentato al Tar infatti sono evidenziate tutte le criticità avanzate in conferenza di servizi e “superate” di forza dalla Regione.

    La monnezza tra le eccellenze

    L’impianto di San Leo è stato costruito infatti «nelle immediate vicinanze di un nucleo abitato» che nel progetto diventa invece magicamente «azienda agricola non residenziale» e, «adiacente alla fiumara Novito e quindi estremamente vulnerabile alla pericolosità idraulica della stessa». Ricade quasi interamente «all’interno dei 150 metri dalla fiumara e quindi in zona sottoposta a vincolo paesaggistico». E poi l’impatto sulle produzioni agricole di pregio: la zona in cui sorge l’impianto di trasformazione dei rifiuti e che si troverebbe a dovere ospitare nuove strutture per 62mila metri quadri, ricade «in quella porzione di territorio comunale dove è più spiccata la presenza di produzioni di vino greco Doc, vino della Locride Igt e bergamotto, clementine e olio di oliva Dop».

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    Mariateresa Fragomeni si è imposta nel ballottaggio e guiderà il Comune di Siderno

    E ancora, la strada di collegamento – che sulle carte non esiste e che nella realtà è una mulattiera sterrata costruita su una lingua di terra strappata alla fiumara e divenuta nel tempo, discarica a sua volta – e il documento definitivo di impatto ambientale che non sarebbe mai stato presentato, per una rogna sociale prima ancora che legale, che rischia di esplodere nelle mani del nuovo sindaco di Siderno. Dal canto suo, la neo eletta Mariateresa Fragomeni prende tempo: «Sono sindaca da meno di 24 ore, nei prossimi giorni leggeremo tutte le relazioni e valuteremo come muoverci anche sentendo la Regione e la città metropolitana».

  • Portaborse “portavoti”: la Regione e il ritorno degli amici

    Portaborse “portavoti”: la Regione e il ritorno degli amici

    Con l’insediamento del nuovo consiglio regionale uscito dalle urne il 4 e 5 ottobre si manda in soffitta l’undicesima legislatura della Calabria. Un’esperienza da record sotto molti punti di vista. La prima che ha visto una donna sedere sullo scranno più alto dell’Assemblea, Jole Santelli, scomparsa dopo neanche un anno dall’elezione. La prima legislatura nata e cresciuta in piena pandemia e durata appena 18 mesi (anche questa è una prima assoluta).
    Una esperienza da record anche per ciò che riguarda portaborse e co.co.co. Nell’ultimo anno e mezzo l’Ufficio di presidenza e le strutture del consiglio regionale sono costati la bellezza di 5 milioni 172mila euro.

    Gli incarichi lampo

    Facciamo due conti. Solo i lavoratori con contratti di collaborazione che nel 2020 si sono succeduti alle dipendenze dei gruppi consiliari sono stati 233 e sono costati 597mila euro. Nel 2021 qualcuno si è perso per strada e ne sono rimasti 179, per un spesa complessiva di 253mila euro. Tradotto in soldoni: 850mila euro in appena 18 mesi.
    La tipologia e la durata degli incarichi lasciano qualche dubbio: i più impegnativi durano 5 mesi, quelli più sbrigativi appena 17 giorni.

    Anche i compensi in questi 18 mesi oscillano parecchio. L’ultimo in classifica intasca 296€ contro i 17mila del primo arrivato che, ovviamente, è una vecchia conoscenza della tecnocrazia calabrese. Si chiama Flavio Cedolia, rendese, nel 2012 direttore generale di Fincalabra e commissario liquidatore dell’Arssa nel 2013.
    Fortuna che non ci sono malelingue e oppositori politici a commentare questi dati. Altrimenti avrebbero potuto interpretarli come una sorta di ricompensa post-elettorale per ripagare gli amici.

    Portaborse o portavoti?

    Nei corridoi di Palazzo Campanella c’è sempre stato un gran via vai di segretari, autisti, portaborse, collaboratori più o meno esperti. Gli ultimi 18 mesi non fanno eccezione. La legge consente agli eletti di assumere personale esterno pagato dalle casse pubbliche e i consiglieri non fanno altro che usare uno strumento del tutto legittimo. Chiarito questo punto, andiamo a vedere chi sono i collaboratori che hanno sostenuto un Consiglio convocato in poco più di quindici occasioni, quasi solo per gestire l’ordinaria amministrazione. E come in un elenco che dovrebbe comprendere tecnici o chauffeur la politica faccia spesso capolino.

    Mogli, mariti e possibili ripescaggi

    Non essendo stato riconfermato non potrà più accontentare i suoi grandi elettori, il consigliere uscente di opposizione, Graziano di Natale, che ci aveva mostrato come fosse possibile infilare nella sua struttura fino ad otto componenti con un compenso mensile variabile tra i 1400 e i 1700 euro.

    Tra segretari particolari, responsabili amministrativi, collaboratori esperti e autisti, in un anno e mezzo si sono succeduti Ilaria De Pascale, vicesindaco di Lago, Chiara Donato, consigliere comunale di Paola, Francesco Città, ex segretario del Pd di Paola, Vanessa Franco, presidente del consiglio comunale di Roseto Capo Spulico, Sonia Forte, ex assessore di Morano Calabro. Per tutti un lungo curriculum da esperti in campagne elettorali.

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    Il consigliere regionale uscente Graziano Di Natale

    Resterà a casa anche il consigliere di minoranza Giuseppe Aieta e, come lui, anche il suo segretario particolare Matteo Viggiano. Quest’ultimo, consigliere comunale di Bonifati, dovrà rinunciare ad un mensile di 3.300 euro. Lascerà sul piatto 1.400 euro, invece, il sindaco di Acri, Pino Capalbo, prima autista poi promosso da Aieta collaboratore esperto. In passato per pochi mesi nella stessa posizione lo aveva preceduto sua moglie.

    Fuori dal risiko delle nomine a chiamata anche il consigliere uscente Dem, Carlo Guccione che lascia a casa l’assessore di Aiello Calabro, Luca Lepore. Niente di più facile, però, che Lepore venga ripescato dal neo-eletto Pd, Franco Iacucci, che di Aiello Calabro è sindaco.

    Si resta in famiglia?

    Chissà se la moglie dell’uscente Luca Morrone, Luciana De Francesco, appena eletta in quota Fdi, rinnoverà il contratto di collaborazione a miss Cotonella Calabria 2015, Annalisa Torbilio. Annovera nel cv anche una partecipazione a Temptation Island nel 2019. O se deciderà di mantenere l’ingegnere Santo Serra, già candidato alle amministrative di Cosenza del 2011 con i socialisti dell’avvocato Paolini. Poi deve essere rimasto deluso ed è passato dall’altra parte.

    De Francesco potrebbe inoltre contare su Paolo Cavaliere (vicesindaco di Fuscaldo), Pietro Lucisano (ex consigliere comunale di Rossano e consigliere alla Provincia di Cosenza) già “testati” dal marito come responsabili amministrativi al 50% e su due autisti d’eccellenza come Franco Piazza, che in Consiglio c’era già con papà Ennio, e Williams Verta, che si è fatto le ossa alla guida dei giovani di Forza Italia a Cosenza.

    Chi fa tris

    Nicola Irto si appresta ad inaugurare la sua terza legislatura consecutiva sotto le insegne del Pd. Se lo farà nel segno della continuità dovrebbe riconfermare per la terza volta consecutiva il suo autista Francesco Foti e l’ex coordinatore del Pd reggino, Girolamo Demaria, segretario particolare al 50%.

    Terzo ingresso a Palazzo Campanella anche per Mimmo Bevacqua, sempre Pd, che dovrà decidere se confermare i suoi storici collaboratori: l’autista Raffaele Morrone, (già consigliere comunale di Acri) e i segretari particolari al 50% Gianpaolo Grillo e Gianmaria Molinari, questo ultimo figlio del potente direttore generale della Provincia di Cosenza ai tempi di Oliverio, Tonino Molinari, poi sbarcato alla corte del sindaco Occhiuto fino alla dichiarazione di dissesto del Comune bruzio.

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    Mimmo Bevacqua

    Un giro nella struttura di Bevacqua in qualità di autista se lo è fatto pure Mario Aragona, segretario del movimento civico “Insieme Libera-Mente Insieme” di Montalto Uffugo vicino alla corrente Zonadem. Quella di Bevacqua, ovviamente. Come responsabile amministrativa spazio a Maria Luisa Cennamo, figlia del sindaco di Cetraro, Ermanno Cennamo. Per l’assessore del comune di Aprigliano, Giulio Le Pera, invece, il ruolo di segretario particolare al 50%, fresco di assoluzione dall’accusa di abuso d’ufficio nell’attribuzione di incarichi pubblici.

    I figli so’ piezz’e core

    Incetta di “parenti” per l’uscente Sinibaldo Esposito (Casa delle libertà) che ha ospitato Marco Polimeni, già consigliere comunale di Catanzaro e figlio del conduttore televisivo Lino, e Alessio Mirarchi, figlio del consigliere comunale di Catanzaro Antonio Mirarchi coinvolto nell’inchiesta Gettonopoli. Senza dimenticare Francesco Lobello, padre di Alessandra Lobello, assessore al Turismo sempre del comune capoluogo di Regione.

    Tra i collaboratori esperti fa capolino l’avvocato Nunzio Sigillo, parte del collegio difensivo nei processi Stige e Timpone Rosso. Di questi tempi, un buon penalista può fare comodo. Per tutti, una paga intorno ai 1.700 euro mensili.

    Giù dal Carroccio

    Non siederà più tra i banchi del Consiglio, Pietro Molinaro e così toccherà trovare nuova collocazione ai suoi ex collaboratori Antonio Mondeta, (presidente regionale di Lega Consumatori), al consigliere comunale di Acri in quota Lega, Marco Abruzzese, all’ex consigliere provinciale Lucantonio Nicoletti e a Carmine Bisignano, figlio dello storico sindaco di Bisignano, Umile, nonché fratello di Stefania Bisignano, candidata del Carroccio uscita sconfitta alla ultime comunali.

    Ha sfatato il vecchio luogo comune “donne al volate pericolo costante” il consigliere Giuseppe Graziano scegliendo come autista prima Giusi De Luca e poi la moglie di Diego Tommasi (ex assessore regionale all’Ambiente) Ester Bernabò. Alla corte di Graziano anche il collaboratore esperto recordman di “incassi” Flavio Francesco Cedolia.

    Il futuro

    Per la legge regionale 13 del 2002, (“le spese organizzative, di rappresentanza, di aggiornamento e documentazione, riconducibili esclusivamente agli scopi istituzionali riferiti all’attività del Consiglio regionale), ad ogni singolo consigliere spettano 8.159,76 Euro annui. In totale fa 1 milione e 264 mila euro in cinque anni.
    Con decorrenza 27 marzo 2020, l’ufficio di presidenza del Consiglio Regionale, inoltre, ha rideterminato il tetto massimo di spesa per il personale dei gruppi consiliari in 1.328.671,78 euro annui (42.860,38 euro a consigliere).

    Ancora non è dato sapere come si determinerà il prossimo consiglio regionale a riguardo. Ma, viste le sfide che ci attendono e le risorse del PNRR che dovrebbero arrivare, sarebbe forse utile, spendere più soldi per aggiornare il personale interno. Acquistare dotazioni tecnologiche magari, investire in formazione. Stabilire che nelle strutture dei consiglieri lavorino dipendenti regionali. E non ricompensare più i mestieranti delle campagne elettorali, siano essi grandi o piccoli elettori.
    Se il nuovo presidente eletto Roberto Occhiuto vuole che la Calabria sia davvero la regione “che l’Italia non si aspetta” potrebbe partire da qui.

  • «Saranno pure mogli o amanti, la destra elegge più donne»

    «Saranno pure mogli o amanti, la destra elegge più donne»

    È la prima volta che i calabresi eleggono sei donne in consiglio regionale. Amalia Bruni entra in qualità di candidato presidente della coalizione di centrosinistra, la più votata dopo quella di Roberto Occhiuto.
    Giuseppe Giudiceandrea, consigliere regionale con Mario Oliverio, esce fuori dai cardini del politicamente corretto: «Saranno pure mogli, amanti, fidanzate, ma il centrodestra ha 6 donne nella massima assise politica regionale». In realtà sbaglia i conteggi, perché sono cinque quelle di maggioranza. E il centrosinistra? «Soffre di misoginia politica».

    Talarico e Conia, i consoli perdenti di De Magistris

    A elezioni finite, Giuseppe Giudiceandrea, ha deciso di togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Nel corso della video-intervista con ICalabresi.it – che in basso troverete integralmente -, Giudiceandrea definisce «fallace» l’operato di Mimmo Talarico e Michele Conia, sindaco di Cinquefrondi. Le liste di DemA e dell’intera coalizione le hanno approntate loro. E Talarico ha mancato la sua elezione, pur essendo il più votato a Rende. Piccoli veleni nel fronte de Magistris erano già emersi prima. Adesso assumono forma e sostanza.

    Un film già iniziato con la mancata candidatura di Giudiceandrea. L’escluso ha rintracciato la causa in un suo eccesso di voti. Cosa mai vista, sentita, immaginata nel panorama politico forse dei 5 continenti.

     

    Non si vince con le riserve indiane

    Sarà pure bello presentarsi con tutti perfetti sconosciuti. Alla fine i risultati deludono un po’ le grandi aspettative della vigilia elettorale. Giuseppe Giudiceandrea fa degli esempi concreti: l’esclusione da DemA del genero di Santo Gioffré, Antonio Billari, che nelle scorse regionali aveva raccolto 8mila preferenze.
    Due parole pure sull’ex governatore Mario Oliverio: sbagliato allontanarlo dalla coalizione di De Magistris, non mi pare che abbia candidato delinquenti nelle sue liste.

    Ossessionato dal Pd pur essendone uscito

    Enrico Letta ha favorito la restaurazione in Calabria, Iacucci e Bevacqua rappresentano il vecchio. Sono due considerazioni di Giudiceandrea. Parla spesso del Pd come se fosse ancora il suo partito. Eppure ne era uscito anche in maniera polemica. Dopo avere sperato nel rinnovamento – mancato – di “piazza grande” dell’ex segretario Nicola Zingaretti.

    Ma in cuor suo, il figlio della sindaca comunista Rita Pisano – immortalata da Picasso in un famoso bozzetto e interpretata da Rocio Munoz Morales (già nel cast del corto di Muccino) in una docu-serie prodotta dalla CalabriaFilmCommission – continua ad avere un rapporto di amore e odio con i democrat. Al punto di suggerire a Luigi de Magistris di uscire fuori dal recinto e aprire un dialogo persino con il Pd. Un dialogo fra sordi, forse è possibile. Nulla più.

  • IN FONDO A SUD | Calabria: l’audace colpo dei soliti voti

    IN FONDO A SUD | Calabria: l’audace colpo dei soliti voti

    C’è quel brano di Alvaro, divenuto col tempo un comodo luogo comune, che dice che la Calabria e i calabresi hanno bisogno di essere parlati: «il calabrese “vuole essere parlato”. Bisogna parlargli come a un uomo che ha sentimenti, doveri, bisogni, affetti: insomma, come a un uomo». Poi ce ne sarebbe un altro, in cui lo stesso Alvaro immagina che: «Di qui a cinquant’anni, se ai moti esteriori della civiltà risponderanno quelli interiori, la regione sarà una regione totalmente cambiata».

    A elezioni regionali 2021 chiuse si può dire che a distanza di quasi un secolo da queste osservazioni che identificavano l’idealtypus dell’escluso calabrese da romanzo verista, rovesciando lo stereotipo alvariano, oggi i calabresi per parlare parlano (e non poco). Ma di sicuro non hanno ancora imparato a cambiare, o non vogliono proprio che nulla cambi nella loro regione.

    Nulla è cambiato

    All’indomani del fatidico voto, presentato da più parti come una sorta di ultima spiaggia, un redde rationem per la politica della Calabria e dei calabresi per i prossimi cinque anni, rispetto a prima del voto, infatti nulla, ma proprio nulla, è cambiato. La Calabria ha scelto il proprio futuro. E ha scelto Occhiuto, con gli stessi consensi che andarono alla Santelli. Forza Italia, caso unico in Italia guida di nuovo la Calabria come trent’anni fa. La Bruni e il centro-sinistra a guida Pd è di nuovo l’alternativa principale, come da quando è nata la Regione.

    L’astensionismo cresce

    Il numero percentuale dei votanti in una Calabria che perde costantemente elettori interessati al voto con lo stesso ritmo con cui la gente emigra e abbandona paesi e città, è sceso persino più in basso di quello di gennaio 2020. Siamo al 43%. Molti dei calabresi residenti altrove e all’estero, ma anche in Calabria, sono rimasti a casa. Il non voto continua a crescere.

    Azzoppato Lucano dopo l’abnorme sentenza di condanna, bandiera delle opposizioni antisistema, neanche la consolazione di vederlo eletto. Lo straniero Luigi de Magistris, capo della coalizione civica, avversato dal centrosinistra ufficiale, pur respinto dal voto popolare, fa con le sue liste un 16% di voti. Che equivale a circa 127mila calabresi che hanno immaginato e creduto in uno strappo risolutivo alla continuità del sistema. Pochi, troppo pochi. Ma non una frazione insignificante.

    Segnali di resistenza

    A Cosenza, città che votava anche per il Comune, De Magistris ha superato il 30%, battendo la Bruni e limitando il distacco da Occhiuto a circa il 13%. Risultato, due consiglieri regionali eletti in Consiglio, e con l’introduzione della preferenza di genere, nello schieramento DeMa Anna Falcone tra le donne ottiene diversi consensi. A Rende, il comune dell’Università della Calabria, de Magistris sta al 33% dei voti. Segno che le aree urbane, con quel poco di opinione pubblica che la Calabria libera riesce ancora a mettere in campo, rappresentano forse le ultime sacche di resistenza alla politica del malgoverno e del malaffare, un argine residuo allo strapotere della corruzione e delle mafie. Non sono, credo, segnali da sottovalutare.

    La rivoluzione eternamente rimandata

    Ma il cambio di rotta, la discontinuità, la rinascita civica, i diritti di cittadinanza, la rottura del sistema, la “rivoluzione”? Sarà per la prossima volta. Per i calabresi il cambiamento vero non è cosa necessaria. Anzi, è un trauma, un salto nel vuoto da scongiurare. Accade nonostante il buco nero della sanità, l’occupazione azzerata, l’emorragia continua dei giovani, i paesi che si spopolano, lo strapotere dei gruppi criminali e l’inanità di una classe dirigente da terzo mondo e incapace di farne una buona. Tranquilli tutti. Per i calabresi va benissimo continuare così.

    Il sistema è salvo

    Il malcostume politico, l’impianto inveterato delle clientele, l’assistenzialismo, la dipendenza parassitaria, il consociativismo e lo scambio orizzontale “cazzi mei/cazzi tuoi”: il sistema è salvo ed è anzi più saldo che mai. Altro che opinione pubblica libera e fluida, altro che cittadini attivi e consapevoli come vorrebbe la moderna politica post-ideologica.
    Le vecchie clientele in Calabria sono ancora oggi il nucleo pesante del sistema di potere. Sono fortezze inespugnabili, formano una sorta di enclave etnica, in cui i bisogni fondamentali e la vita quotidiana dei gruppi sociali sono scanditi con metodo orwelliano, ottenendo per chi ci sa fare consensi duraturi e serene carriere da politico di lungo corso.

    Chiedere favori invece che reclamare diritti, inginocchiarsi per ottenere privilegi e grazie, è ancora oggi una cosa normale in una terra in cui la libertà è ritenuta un lusso per pochi. E la gente continua a sottomettersi a scelte, comportamenti e simboli che dilatano lo spazio del silenzio complice dell’obbedienza, con le prassi e i riti di un potere vetusto e prepolitico.

    Lontani anni luce

    Un recente sondaggio pre-elettorale aveva dimostrato che su un significativo campione di elettori, solo pochi cittadini calabresi avevano manifestato liberamente le loro intenzioni di voto. Insomma neanche davanti ai test impersonali di internet e dei social i calabresi si sbottonano, non si dichiarano, temono. Restiamo lontani anni luce dalla fluidità ideologica del mondo post-industriale e delle libertà del post moderno. Eterogenei al laicismo e alla mobilità che contraddistinguono altri campioni di popolazione italiana nei confronti delle risorse civili della politica e della partecipazione democratica.

    Ma nonostante l’abbarbicamento al passato, anche in questo perdurante panorama di conservazione, alcuni profili cambiano. Non solo nell’elettorato. Anche la politica politicante si mostra capace di stare al passo con le tendenze, e a modo suo in sintonia coi tempi. Si profila anche in Calabria una figura ibrida di politico (aspirante o in carriera, il modello è il medesimo): una sorta di populista iper-presenzialista, ruzzante e rampante. Personaggi che si pongono tra l’olocrate arruffapopolo e l’influencer della porta accanto. Sempre presenti sui social e nelle piazze virtuali, come “uno di noi”.

    Lamentele e azioni

    È l’olocrazia della governance alla plebea, la fenomenologia del politico pop che si fa vedere allo stadio con la sciarpa della squadra di casa, che addenta un panino nella calca di una sagra di paese, quello che incontri per strada e a cui si dà populisticamente del tu. È l’olocrazia dei Cicc’ dei Nanà, dei Pinuzz’, dei Maruzz’, dei Carlett’, dei Totonn’. Mestieranti, ingegni modesti, macchiette da strapaese. Che però una volta sbalzati oltre il proscenio social mettono le mani sul potere vero, quello della politica che decide, e che poi pesa per anni sul groppone di una Calabria che soffre e si lamenta. Si lamenta sì, ma non agisce.

    Un casting sui generis

    In Calabria il casting senza fine che approvvigiona il ceto della politica dice che oltre ai soliti inossidabili mestieranti che hanno fatto il giro delle sette chiese (e sono sempre lì incollati alle poltrone e agli ambiti scranni con annesse prebende garantite da un posto nel parlamentino regionale), a fare la fortuna di un carneade debuttante non può bastare un profilo da influencer politico di mediocrissimo calibro strapaesano. L’empireo degli ottimati tra i politici regionali non può essere raggiunto senza certe requisiti di qualità che fanno potere e consenso. Come aver amministrato un comune, diretto un’ASP, o avere alle spalle una professione di quelle che la politica trasforma in fonti di clientele e di varie utilità.

    La politica come risorsa

    Vale però tanto per debuttanti che per i politici di lungo corso, prima che per i loro elettori, un principio di ferro: che la politica è e resta per loro una risorsa. Un ascensore sociale. Per arricchimenti, carriere, vite comode. Un’occasione quindi da non perdere. Perciò si battano i territori con i vecchi strumenti del galoppinaggio di buona tradizione calabra: il clientelismo, le promesse di lavoro, i voti contati casa per casa, con la spesa fatta nel supermarket di riferimento. Perché in Calabria c’è chi, tra gli elettori, il voto lo esce solo all’ultimo momento. C’è chi lo mette all’asta, chi lo promette a tutti. Mentre, invece, molti altri elettori neanche ci vanno più a votare. Come dimostra la massa crescente di indecisi e di restii del voto. Sono coloro che vivono in una condizione assicurata, che nulla o quasi hanno da chiedere alla politica.

    Crisi d’identità

    Il voto fotografa quindi in Calabria un panorama di fenomeni assai complessi. Conseguenze della regnante confusione sociale (c’entra qualcosa anche l’impoverimento e l’ulteriore fragilità inflitta dal Covid), con la crescente opacità che avvolge la realtà di questa regione-laboratorio. Da un lato la democrazia rappresentativa, sempre più esposta a forze demagogiche che si consolidano e riorganizzano, sfruttando anche la potenza digitale dei nuovi mezzi di comunicazione. Dall’altro, le emergenze e il caos di una regione in profonda crisi di identità collettiva, dove vecchi gruppi di potere e nuova poliarchia politica cozzano senza sintesi, ma volentieri si associano e stressano i limiti da valicare per giungere a conquiste democratiche moderne, a soluzioni laiche, rapide e incisive.

    Dicevamo anche degli indifferenti: quel 57% che resta a casa, che da anni si disinteressa e non vota. È la maggioranza silente. Il nocciolo di un’opinione pubblica potenzialmente libera, più consapevole, mobile e laica. Che invece finora accondiscende e legittima i piani di coloro che, a turno, comandano. Questi ceti, dalla fisonomia sociale e dai confini ancora incerti e indecifrati, che fanno a meno della risorsa politica, sono forse gli unici in Calabria in grado di cambiare il gioco, di aprire ad un altro futuro. Ma per ora restano fuori e privi di rappresentanza.

    Aspettando il cambiamento

    Stando così le cose, la Calabria cambierà mai? C’è ancora qualche speranza? Esiste la possibilità reale che accada? Per chi proponeva il cambiamento, dopo l’ennesima delusione, dopo la cocente sconfitta, è d’obbligo chiedersi come andare avanti, che fare in questa regione. Di strade ne restano solo due. Andare via: molti continueranno a farlo. L’altra è continuare a resistere e a combattere, con ostinazione, civilmente e per il bene di tutti. E in parecchi continueranno a farlo ancora.

    Sarà però impossibile se non spazziamo via, una volta per tutte, la retorica e la prassi vittimistica della resa al peggio, della lamentazione rituale, della subalternità autoinflitta dal nostro cattivo agire, individuale e collettivo. Se ai nostri comportamenti e al nostro orizzonte sociale asfittico, in cui il privato vale sempre più del pubblico, non ridiamo lungimiranza e dignità di cittadini. Per davvero, o così o non avremo speranze.

    Sessant’anni dopo

    La Calabria è il cuore malato della Questione Meridionale. È una condizione cronica, che va affrontata con coraggio, assumendosi nuove responsabilità culturali, civili, umane, respingendo le solite scorciatoie dell’assoluzione collettiva per giustificare tutti i nostri mali. Si smetta di fuggire. Si resti davvero, per il bene di tutti. E «senza dramma, senza rancore», con tutte le sue forze migliori, finalmente la Calabria trovi il coraggio di reagire «ad una condizione inferiore o servile» che dura da troppo tempo. Cerchi di meritare finalmente «una condizione in cui l’uomo sia padrone di sé e del suo destino». Anche questo lo diceva Alvaro. Più di sessanta anni fa.

  • Regionali Calabria: Gallo superstar, volti nuovi e trombati

    Regionali Calabria: Gallo superstar, volti nuovi e trombati

    Un cambiamento cruento in queste elezioni regionali in Calabria, con i vecchi big superstiti che si mescolano, anche per interposta persona, ai volti nuovi, alcuni dei quali tali solo per modo di dire.
    Giusto a voler anticipare qualcosa, non è un volto nuovo Franco Iacucci, che ha iniziato la sua carriera nel vecchio Pci (quello vero…), è sindaco uscente di Aiello Calabro, che ha amministrato praticamente a vita e presidente della Provincia di Cosenza.

    Nuovismo in salsa PCI

    Eppure Iacucci è uno dei “nuovi” consiglieri regionali più votati: coi suoi 6.705 voti ha stracciato, nella lista cosentina del Pd, il decano Mimmo Bevacqua, fermo sui 6.300, ed è entrato a Palazzo Campanella con la tutta la freschezza di un veterano, che ha speso la sua vita in politica e, in fin dei conti ha una sola novità: essersi smarcato in tempo utile dall’ex governatore Mario Oliverio.

    Chi non ha fatto altrettanto, cioè Giuseppe Aieta, ha pagato dazio. L’ex sindaco di Cetraro, candidatosi coi dem all’ultimo minuto utile, è rimasto fuori, nonostante una campagna elettorale dura e impegnativa. Così va la vita. Soprattutto in Calabria.

    Le conferme dirette

    In certi casi i numeri parlano da soli. È così per l’azzurro Gianluca Gallo, l’assessore uscente all’Agricoltura.
    Coi suoi 21.631 voti, Gallo è, probabilmente, il consigliere regionale calabrese di tutti i tempi. Per capirci, ha preso di più di Pino Gentile quando era all’apice nella Forza Italia e nel Pdl degli anni d’oro, e di Carlo Guccione, che fece urlare al miracolo nel 2014 per aver preso di più di Pino Gentile (che era già in fase calante…).

    Comunicazione e stile morbidi, come si conviene a un ex Dc, Gallo è riuscito in un altro miracolo politico: aver fatto a lungo il sindaco di Cassano Jonio, una delle realtà regionali più flagellate dalla mafia, senza essersi attirato neppure l’ombra di un sospetto.
    Anche il fatto che abbia gestito l’Agricoltura, una delle poche gettoniere efficienti della Regione, potrebbe voler dire poco: Giovanni Dima, per fare un esempio, fece il diavolo a quattro durante l’amministrazione Chiaravalloti, spese fondi alla grande e trasformò il suo assessorato in una fabbrica di dop. Tuttavia, riuscì a farsi rieleggere e basta.
    Solo la storia futura ci dirà se questa di Gallo sia “vera gloria”. Di sicuro il successo è indiscutibile.

    Le riconferme del collegio Sud

    Un altro confermato, nel collegio Sud, è Giuseppe Neri di Fratelli d’Italia. La sua performance, stavolta, è stata un po’ più bassa rispetto al 2020: poco più di 5mila voti rispetto ai precedenti 7mila e rotti. Ma l’importante è esserci. O no?
    Una superconferma arriva sempre da Reggio: è data dagli oltre 10mila voti di Nicola Irto, che prende un po’ meno rispetto al 2020 ma resta il consigliere più votato del Pd.
    I bene informati intravedono dietro questo successone una strategia politica ben precisa, che potrebbe prendere due direzioni: un ruolo nella dirigenza romana, quindi in Parlamento, o la segreteria regionale.

    Orsomarso ha giocato bene le sue carte

    A rigore non sarebbe un confermato Fausto Orsomarso, che nella precedente legislatura non era stato eletto. Tuttavia, l’assessore uscente al Turismo ha saputo giocare bene le carte offertegli dal suo dicastero e la fiducia di Giorgia Meloni, al punto di diventare, con 9.020 voti, il più votato in Fdi, anche a dispetto di qualche figuraccia rimediata nel corso dell’estate.
    Un’altra confermona è quella di Giuseppe Graziano, che inaugura la sua terza legislatura regionale con oltre 7mila voti, che ne fanno l’unico eletto nell’Udc. Segno che mollare Forza Italia, di cui era stato dirigente su indicazione della scomparsa Jole Santelli, a volte porta bene.
    A volte fa benissimo addirittura cambiare schieramento. Come per Francesco De Nisi, entrato a Palazzo Campanella grazie a Coraggio Italia, dopo vari, inutili tentativi col Pd.

    Conferme indirette

    Quando si stravince, come ha fatto Roberto Occhiuto, c’è chi vince per interposta persona.
    È il caso della famiglia Gentile, che ricorda un po’ il mito dell’Idra: se ne fai fuori uno, ne spuntano due. Infatti, lo spauracchio del giudizio preventivo della Commissione antimafia ha indotto Pino Gentile a miti consigli, quindi a non candidarsi. Al suo posto, si è candidata la figlia Katya, ex vicesindaca di Cosenza, che ha preso 8.077 voti in Forza Italia ed è la consigliera più votata della prossima legislatura regionale.

    Simona Loizzo, politicamente vicina a Tonino Gentile, fratello minore di Pino ed ex senatore azzurro, è riuscita ad affermarsi invece nella Lega, con 5.360 voti.
    Ma la vittoria che sa più di “vendetta” è quella di Luciana De Francesco, la moglie di Luca Morrone, altro grande escluso dalla competizione per via delle fregole legalitarie di Roberto Occhiuto. Con le sue 4.654 preferenze la De Francesco si è presa la rivincita di suo marito.

    Nuovissimi e nuovi ma non troppo

    La vera novità di queste elezioni è il paradosso del Movimento 5 Stelle, che prendono per la prima volta consiglieri regionali in Calabria mentre perdono pezzi in tutto il resto d’Italia.
    Uno dei due volti nuovi dei grillini appartiene al cariatese Davide Tavernise, che è riuscito a capitalizzare bene le alchimie politiche grazie alle quali M5s ha preso il quorum, anche a danno del suo compagno di lista Domenico Miceli, grillino della prima ora ed ex capogruppo al Consiglio comunale di Rende.

    Un altro volto nuovo è quello del notaio Antonio Lo Schiavo, uno dei due sopravvissuti alla sconfitta della coalizione di Luigi de Magistris. Lo Schiavo, tuttavia, è nuovo solo in Consiglio, perché ha all’attivo una candidatura a sindaco nella sua Tropea col centrosinistra.
    Stesso discorso per il medico castrovillarese Ferdinando Laghi, conosciuto ai più per le sue battaglie ambientaliste molto accese.

    Gli esclusi

    Tra i perdenti “eccellenti” figurano la reggina Tilde Minasi, salviniana di ferro esclusa dal consiglio perché i suoi non pochi voti sono risultati insufficienti nella stravittoria del centrodestra.
    Discorso diverso per il consigliere uscente Pietro Molinari, che invece ha perso voti, a dispetto della presidenza di una Commissione consiliare che secondo i maligni gli sarebbe stata cucita “su misura” per compensarlo della mancata attribuzione dell’assessorato, andato a Gallo Superstar.
    Flora Sculco, invece, ha scontato sulla sua pelle la batosta elettorale del centosinistra e il fatto di non essere riuscita a salire per tempo sul carro del probabile vincitore.

    Un evergreen

    Non è nuovo, tuttavia è come se fosse un consigliere regionale “onorario”: ci si riferisce all’eccentrico ed esplosivo Leo Battaglia, titolare dei manifesti elettorali più kitsch (in cui sembra una specie di Zio Sam in camicia nera…) e autore della bravata ferragostana che lo ha reso celebre in tutt’Italia: il lancio delle mascherine chirurgiche con spot elettorale.
    I suoi 1.500 voti sono un premio simpatia, che dovrebbe incoraggiarlo a insistere. In fondo, molte pareti pubbliche del collegio nord sono piene di sue scritte elettorali: gli torneranno utili, in maniera totalmente gratuita, per le prossime volte…

    Per concludere

    Con venti eletti su trenta, Roberto Occhiuto è anche il dominus indiscusso della consiliatura che sta per iniziare. E forse questo potrebbe essere un bene per la Calabria, visto che i dieci esponenti di minoranza saranno comunque costretti a fare opposizione: dati i numeri, non ci sarebbe troppo spazio per trasversalismi.
    La vittoria del leader azzurro non è bulgara, ma polacca. Cioè ricorda un po’ l’unico sistema dell’ex impero sovietico dove era tollerata una specie di minoranza politica.
    L’augurio è che la minoranza attuale sia rumorosa e faccia sul serio.
    Già: è facile, specie per i supertrombati come Carlo Tansi, dire che con la vittoria di Occhiuto ha perso la Calabria. Ma diventerebbe vero se il nuovo presidente fosse lasciato libero di fare e disfare senza polemiche e contrasti.

  • La FI di Occhiuto umilia tutti, il Pd riesce a salvarsi

    La FI di Occhiuto umilia tutti, il Pd riesce a salvarsi

    Diciamola tutta, amministrare la Calabria è un’ambizione che Roberto Occhiuto coltivava da sempre. Alla fine, c’è arrivato con un percorso piuttosto lineare, iniziato dieci anni fa con la vittoria di suo fratello Mario a Cosenza. Nulla di trascendentale: Occhiuto ha applicato alla lettera una regola non scritta ma ineludibile della politica calabrese, secondo cui si vince e si perde a Cosenza. Eroso il fortino “rosso”, per decenni appannaggio dei reduci della sinistra, il resto è stato una passeggiata.

    Roberto Occhiuto è il terzo presidente di regione consecutivo espresso da Cosenza. Ha preso di meno rispetto a Mario Oliverio (che nel 2014 conquistò la Regione col 61% calcolato su un’affluenza al voto prossima al 45%) e ha fatto quasi pari e patta con Jole Santelli, che ha preso nel 2020 il 55% dei consensi su una base elettorale del 45% circa.

    Su tutto dominano due dati. Il primo: Occhiuto ha fatto cappotto con una campagna elettorale piuttosto semplice e dai toni composti. Il secondo: mentre il centrodestra arranca in tutti gli altri contesti elettorali, in Calabria stravince. Scendiamo un po’ più nel dettaglio.

    Moderazione e furbizia

    Toni morbidi e rassicuranti. Soprattutto uno slogan banale e piacione: “La Calabria che l’Italia non si aspetta”. E poi un profluvio di foto e video, con cui il candidato azzurro ha invaso ogni spazio pubblico, a partire dai social.
    Niente urla né pose da giustiziere, ma solo una grossa furbata: la modifica al regolamento della Commissione antimafia, con cui l’allora aspirante governatore è riuscito a sterilizzare l’ombra ostile dell’ex grillino Nicola Morra e a togliersi di torno alcune candidature ingombranti.

    E poi una campagna elettorale tutta in discesa, in cui il deputato forzista ha avuto una sola difficoltà, tra l’altro interna: gestire i mal di pancia di Fratelli d’Italia, che minacciava fuoco e fiamme ma è stato smentito dai numeri. Col suo 17,3% Forza Italia stacca di nove punti il partito della sora Giorgia, inchiodato all’8,7%. Una cifra sulla base della quale è praticamente impossibile alzare la voce.
    Tantopiù che Fdi è tallonato a vista dalla Lega, che tiene la barra sul 8,34%, e da Forza Azzurri, di fatto la lista del presidente, che si attesta all’8,1%. Ma il cappotto riguarda tutte le liste occhiutiane, che, tranne Noi con l’Italia, hanno superato il quorum.

    Fin qui i dati grezzi, gli unici su cui è possibile ragionare, restituiscono una leadership forte, che probabilmente è l’esito di una gestione autoritaria della fase più delicata di ogni campagna elettorale: la compilazione delle liste.
    Tutto il resto è retorica della vittoria: l’accenno forte sul “fare”, il ripudio rituale della ’ndrangheta e dell’illegalità, la promessa di impegno per risollevare le sorti della Calabria, ecc.
    Ma i numeri azzurri non possono essere fraintesi né interpretati: dato per spacciato nel resto d’Italia, il movimento di Berlusconi tiene alla grande in Calabria e umilia gli alleati recalcitranti.

    Perde la Bruni, salvo il Pd

    I risultati complessivi ribadiscono l’inconsistenza degli avversari, tutti vittime del collasso del centrosinistra. È senz’altro vittima Amalia Bruni, col suo poco più del 27,6%.
    Questo dato conferma come la candidatura della scienziata lametina sia stata più il frutto di un’improvvisazione disperata che di una scelta. E fa capire come, dietro tutto, potrebbe esserci stato un ragionamento piuttosto cinico di alcuni vertici romani: suicidare il centrosinistra per “salvare” il Pd.

    Il segretario del Pd, Enrico Letta, a Cosenza (foto Alfonso Bombini)

    Infatti, il partito di Letta, col suo 13,1%, conferma, seppure in parte, anche in Calabria l’attuale trend nazionale. E pazienza se questo risultato è stato ottenuto grazie al bagno di sangue più classico e truce, cioè costringendo tutti i big a candidarsi sotto il simbolo di partito, con la consapevolezza che solo uno per collegio ce l’avrebbe fatta.

    Uno zoom sul collegio cosentino può aiutare a chiarire: nella lista dem hanno gareggiato Mimmo Bevacqua, Giuseppe Aieta, Graziano Di Natale e Franco Iacucci.
    I primi tre hanno ottenuto risultati lusinghieri alle scorse Regionali, Iacucci, attuale presidente della Provincia di Cosenza, potrebbe contare su un buon risultato.
    Ma, data la performance della coalizione, solo uno entrerà in Consiglio. In pratica, si sono sacrificati per mantenere il partito sopra la linea di galleggiamento.

    Non finisce qui: l’asse del Pd potrebbe spostarsi verso lo Stretto se Nicola Irto confermasse i circa 12mila voti del 2020. In questo contesto fanno notizia due fatti: il raggiungimento del quorum dei Cinquestelle, che in Calabria prenderanno un consigliere (il mite Domenico Miceli?) e l’evaporazione di Carlo Tansi, la cui Tesoro Calabria è al 2,2%, a dispetto dei toni barricaderi del leader.

     

    Un flop per de Magistris?

    A Luigi de Magistris spetta la gloria degli sconfitti: è riuscito a staccare le sue liste, una sola delle quali de Magistris presidente (5,5%), ha superato il fatidico 4%. Tutto il resto, a partire da Dema (che sulla carta sembrava la lista più forte) è stato deludente.

    Luigi de Magistris (foto Alfonso Bombini)

    Il quasi ex sindaco di Napoli, in realtà, ha poco da rimproverarsi: si è mosso tanto e con molta abilità, è riuscito a smarcarsi bene da alcuni compagni di strada non proprio affidabili (Tansi, per capirci) ed è, infine, riuscito comunque a inserirsi in un territorio non proprio facilissimo, come quello calabrese.

    Tuttavia, il 16,15% non è un risultato lusinghiero per un candidato che prometteva rivoluzioni. Al contrario, significa che de Magistris non è riuscito a portare alle urne gli astensionisti e i delusi, gli unici che per lui avrebbero potuto fare la differenza.
    E non occorre essere politologi scafati per capire che in questo risultato hanno pesato non poco alcuni errori nella compilazione delle liste, in cui si sono schierati alcuni evergreen della sinistra, radicale e non (ad esempio, il cosentino Mimmo Talarico, già consigliere regionale in Idv con un passato turbolento in Sd e nella Sinistra arcobaleno).

    La fine di Oliverio

    L’ultima raffica per l’ex governatore. Mario Oliverio è stato letteralmente azzerato. Col suo 1,7% non è riuscito neppure a scalfire il Pd, che intendeva demolire per riprenderselo, né a fare una battaglia di testimonianza.
    Lui e i suoi fedelissimi hanno cercato la “bella morte”, come i repubblichini a Salò. Ma sono morti e basta, per loro fortuna solo a livello politico.

    Solo la Calabria è di destra

    Per capirci di più, occorre aspettare i risultati delle amministrative, in particolare quelli di Cosenza.
    Tuttavia, se si proietta il dato calabrese sullo scenario nazionale, emerge con prepotenza un altro dato: il centrodestra non ha bucato dove aveva i numeri per farlo (Roma) e ha subito degli stop un po’ ovunque, a volte non lusinghieri (è il caso di Milano e Napoli). E un po’ ovunque va al ballottaggio col rischio di essere stritolato dalla somma dei propri avversari.

    Il 15% circa ottenuto da Fratelli d’Italia a livello nazionale è una crescita inutile, che rischia di collassare tra gli scandali e, probabilmente, tra le inchieste giudiziarie che ne seguiranno o sono già in corso. Solo la Calabria, a dispetto dell’astensionismo, segna una controtendenza rispetto a un contesto generale in cui il centrosinistra ha ripreso a fiatare.
    Occhiuto ha stravinto senza alzare la voce e senza sbagliare una mossa. Tant’è che potrà gestire gli equilibri della sua coalizione col classico manuale Cencelli: dando a ognuno sulla base del suo peso.

    Ma i problemi per lui iniziano ora: la “Calabria che l’Italia non si aspetta” è ridotta al lumicino per responsabilità pesanti anche del centrodestra, che ha rivinto con pochi cambiamenti. Riuscirà a fare la rivoluzione assieme alla coalizione meno attrezzata per realizzarne una?

  • Geni, zampogne e fritture: i cv dei candidati alle Regionali

    Geni, zampogne e fritture: i cv dei candidati alle Regionali

    Il dono ce lo ha fatto la legge “Spazzacorrotti” voluta dall’ex Guardasigilli Alfonso Bonafede. Obbliga ogni candidato a qualsiasi elezione, eccetto quelle dei piccoli Comuni, a mettere online, al massimo due settimane prima del voto, il certificato penale e il curriculum vitae. A campione, come fosse un sondaggio, abbiamo dato un’occhiata ai cv dei quasi 500 candidati che si contendono un posto all’interno del consiglio regionale della Calabria. Ne sono venute fuori delle perle che restituiscono un quadro singolare, più antropologico che politico, della varia umanità che si presenta come potenziale protagonista della vita pubblica calabrese. Eccone alcune.

    Baby democristiani

    Molti cv, piuttosto che un riepilogo schematico come da formato europeo, sono brevi scritti spesso coniugati in prima persona. È il caso di due seguaci di Carlo Tansi candidati nella lista “Tesoro Calabria”. Pietro Lirangi (circoscrizione Nord) fa sapere: «La mia attività politica nasce in tenerissima età, avevo nove anni quando frequentavo la DC di Bisignano, l’attività organizzativa, che poi, anche per merito della mia professione, ha fatto sì che mi sono sempre trovato in prima linea con impegno e dedizione con occhio vigile al bene comune e al servizio di tutti, specialmente delle classi più deboli». La prosa di Lucia Quattrocchi (circoscrizione Sud) è più fluida, ma ci permette di sperare che in consiglio regionale arrivi una «liturgista, cantante, direttore, gregorianista, citarista, salmista, suonatrice di tuba, zampognara, insegnante di Religione da circa 22 anni».

    Chi lo ha più lungo

    Lo stesso ex capo della Protezione civile ha ripercorso in 7 pagine tutte le sue skills, comprese le attività di conferenziere, le apparizioni televisive e l’impegno nel Rotary Club di Rende. Ma se Tansi si è spesso vantato di avercelo lungo (il curriculum) c’è chi lo ha superato di brutto: Daniele Nicola, ingegnere di Petilia Policastro candidato con la Lega, ha avuto bisogno di addirittura 40 pagine per elencare tutte le sue esperienze.

    Di tutt’altra pasta, anche se il partito è lo stesso, il mitologico Leo Battaglia. Già agente immobiliare, imprenditore nel settore dell’arredamento e «responsabile per la Calabria» del mensile di annunci gratuiti “Leo Business”, il noto lanciatore di mascherine in mare tiene a far sapere che il nonno è stato «il primo farmacista di Castrovillari» e che, da «cattolico praticante», lui è stato «per anni chierichetto nella Parrocchia della S. S. Trinità». Nel collegio Nord dovrà vedersela con un altro leghista promettente: Santo Capalbo, imprenditore agricolo e della ristorazione, nonché vicepresidente della società sportiva “Tiro a volo”, ha fatto dei corsi di ausiliario del traffico e di «Sefty e Securiti» (testuale).

    Piatti caldi e freddi

    L’Udc ha riversato i cv di tutti candidati in un unico file di 150 pagine, 26 delle quali occupate da Giuseppe Graziano, già generale del Corpo forestale e capogruppo uscente in consiglio regionale. Ma c’è anche Filippo Scalzi, dipendente Arsac, che oltre a dichiarare la militanza nel movimento giovanile Dc si proclama «poeta dialettale ed autore di testi di musica popolare», nonché di 22 poesie diventate «canzoni musicate» depositate presso la Siae.

    Almeno 7 candidati dello scudo crociato, nella sezione dedicata a capacità e competenze varie, riportano la stessa formula copiaincollata. Ma per chiudere degnamente il capitolo centrista va segnalata, nella lista di Coraggio Italia (Centro), la candidata Denise Priolo che tra le «altre capacità e competenze» include «cucina e tavola calda, piatti caldi e freddi, friggitoria».

    Nel Pd c’è il 43enne Gianluca Cuda che tra le esperienze lavorative, oltre all’essere socio di una società di recupero metalli, inserisce per lo più incarichi di partito o istituzionali come segretario provinciale del Pd catanzarese, sindaco di Pianopoli, componente dello staff del presidente della Provincia di Catanzaro e presidente delle sezioni locali di Emergency e dell’Avis (in teoria sarebbe volontariato).

    Cuda ha un diploma da geometra, ma come titolo di studio si fa notare un altro volto noto del centrosinistra che oggi è candidato con Mario Oliverio nella circoscrizione Sud: Francesco D’Agostino, patron dell’azienda “Stocco & Stocco”, è stato consigliere comunale, provinciale, nonché vicepresidente del consiglio regionale, ma ha solo – non è l’unico tra i candidati – la licenza media.

    Neurogenetica e cittadini per antonomasia

    Nel M5S si fanno notare il vibonese Domenico Santoro che da architetto illustra le sue attività professionali con un «curriculum grafico» e l’ufficiale dell’Esercito Nicola Vero che, oltre alle missioni militari in Italia e all’estero, specifica nella sezione hobby di aver viaggiato molto per il mondo in Harley Davidson e in Jeep off-road, nonché di essere istruttore di nuoto e body building.

    Restando nella coalizione di Amalia Bruni emerge come diversi candidati della lista che porta il suo nome pare abbiano avuto rapporti di lavoro o di volontariato con il Centro di neurogenetica da lei diretto. E spicca nella circoscrizione Sud Antonino Liotta, che scrive nella presentazione di essere «cittadino dello Stretto per antonomasia» e, nel cv, include tra le esperienze l’aver vissuto e lavorato per 6 mesi in Irlanda, l’essere stato studente Erasmus a Siviglia per 4 mesi, l’essere ippoterapista, donatore di sangue dal 1988 e volontario Unitalsi.

    Quel gran genio di Talarico

    Il gradino più alto del podio lo guadagna senza dubbio la lista “Dema” (circoscrizione Nord) di Luigi de Magistris. Ugo Vetere, avvocato e sindaco di Santa Maria del Cedro, nella voce «attività e interessi» inserisce solo di essere «tifoso Juventino». Ma il capolavoro situazionista lo ha senza dubbio compiuto un altro volto noto della politica regionale, il rendese Mimmo Talarico. Già nel 2006 «è promotore dei comitati a sostegno di Luigi de Magistris che si oppongono al trasferimento del pm ad opera del Ministro Mastella».

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    La conclusione del curriculum, aggiornato a poche settimane fa, di Mimmo Talarico

    Sempre «su indicazione» del sindaco di Napoli alle Regionali del 2010 viene candidato «come indipendente nell’Italia dei Valori a sostegno dell’imprenditore Pippo Callipo e risulta eletto». Si definisce «tra i più produttivi consiglieri regionali» nella legislatura 2010-2014. Specifica di avere due lauree e altrettanti Master, di lavorare all’Unical come Responsabile amministrativo gestionale della Scuola Superiore di Scienze delle amministrazioni pubbliche». Ma soprattutto Talarico, chiudendo il suo curriculum, si proclama solennemente «uno dei più grandi pensatori del ‘900». E poi c’è chi parla di cervelli in fuga dalla Calabria.

  • Debito della sanità azzerato, tutti promettono ma Roma dice no

    Debito della sanità azzerato, tutti promettono ma Roma dice no

    Il debito della sanità calabrese? Azzeriamolo. Questa è la parola magica pronunciata in campagna elettorale dalla politica che promette di risolvere il dramma del buco nero del debito, la cui portata reale non è ancora stata interamente quantificata. Comprensibilmente è pure l’argomento cui i calabresi sono maggiormente sensibili, perché qui si decide se ci si può curare oppure no, se si devono cercare altrove centri specializzati e terapie che qui non funzionano.

    Per questo è anche il terreno di gioco dove si consuma la partita più importante, quella in cui si possono vincere oppure perdere le elezioni e l’idea di azzerare il debito della sanità è così suggestiva che finisce per accomunare tutti i candidati. Un desiderio destinato ad infrangersi contro l’ultimo verbale del “Tavolo Adduce”, la commissione che vigila sullo stato dei conti della sanità calabrese. E che spiega impietosamente che ogni ipotesi di stralcio non ha reale fondamento. Il documento evidenzia come «al momento non è stata quantificata l’entità del debito pregresso».

    Annunci da destra…

    Eppure in mille occasioni ogni candidato continua a sostenere la promessa di cancellare il disavanzo. Il primo a sollevare questa ipotesi è stato Roberto Occhiuto, che già nel dicembre del 2020 annunciava trionfante che grazie ad un suo emendamento «di fatto si azzera il debito». In realtà la supposta conquista del candidato della destra è piuttosto una rateizzazione del «debito sanitario diluendolo in 30 anni con un tasso d’interesse del 1,2%». Ma nel gioco delle parole il parlamentare, che ancora non era candidato alla presidenza della Calabria, nel settembre di quell’anno spiegava che «il problema del debito verrà azzerato».

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    Nino Spirlì e Roberto Occhiuto, il ticket che il centrodestra propone per la guida della prossima Giunta regionale

    Sullo stesso fronte nel marzo dello scorso anno il presidente facente funzioni Spirlì proclamava in una delle sue dirette social, ma anche in maniera più ufficiale, di aver avanzato «la richiesta di azzeramento al ministro della Salute Speranza». Il leghista spiegava che tale ipotesi «si poggia sulla constatazione che se non si riparte da zero sarà impossibile poter prevedere nuovi investimenti».

    … E da sinistra

    Ma se credete che il sogno della cancellazione del disavanzo appartenga solo alla destra vi sbagliate: la candidata del centro sinistra, Amalia Bruni, ha in più occasioni affermato la necessità di ricorrere a questa cura, perché «la ricetta necessariamente deve passare dall’annullamento del debito». Sulla stessa linea si è espressa Dalila Nesci, unica calabrese tra i sottosegretari del governo dei Migliori guidato da Draghi. L’esponente dei 5 Stelle, parlando della sanità regionale ha esortato a «lavorare per azzerare il debito». A questo miraggio non si sottrae nemmeno de Magistris, nel cui programma è scritto con chiarezza che si deve ottenere la «fine immediata di ogni commissariamento» e procedere «all’azzeramento del debito sanitario»

    I casi di Reggio e Cosenza

    La proposta dell’azzeramento rivela la misura della distanza tra il meraviglioso mondo della teoria e il severo mondo della realtà. E a marcare questa distanza è la dimensione del debito che gela ogni ipotesi di stralcio. Ma, soprattutto, sono le parole con cui si chiude la relazione del Tavolo Adduce.

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    L’Asp di Cosenza: l’ultimo bilancio consuntivo approvato risale al 2017 e sulla sua attendibilità sussistono parecchi dubbi

    «Con riferimento alla richiesta di costituire gestione stralcio per affrontare la questione del debito pregresso, con particolare riferimento alle ASP di Reggio Calabria e Cosenza, valutano che eventuali modifiche normative che potrebbero rendersi necessarie, dovranno essere valutate una volta definita la quantificazione del debito pregresso». Fuori dalla rigidità del lessico burocratico, vuol dire che non potete stralciare nulla, anche perché non siete stati in grado di dirci a quanto ammonta il debito e soprattutto come coprire l’eventuale azzeramento.

    Roma dice no

    Ma non è finita. La stessa relazione mette sull’avviso che «occorre poi attentamente valutare eventuali proposte normative che potrebbero generare effetti emulativi e ricadute in termini di finanza pubblica nel breve e nel lungo periodo, dopo un lavoro di risanamento dei conti del SSN che ha richiesto impegno pluriennale da parte di tutte le regioni». Tradotto in soldoni significa che le altre regioni che stanno affrontando piani di rientro con successo e sacrifici, potrebbero esigere di azzerare anch’esse il debito residuo.

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    La sede del Ministero della Salute

    E in conclusione di tutto ciò, lapidariamente si afferma che «pertanto la proposta di una gestione stralcio per il debito pregresso, per le motivazioni su esposte, non si ritiene percorribile». Se qualcuno pensava di risolvere la questione con un fantasioso scurdammoce ‘o passato, si è sbagliato alla grande.

  • Consiglio regionale: un anno e mezzo che «si illustra da sé»

    Consiglio regionale: un anno e mezzo che «si illustra da sé»

    Il 3 e il 4 ottobre si vota per rinnovare il consiglio regionale della Calabria, decaduto all’indomani della scomparsa della presidente Jole Santelli.
    Gli ultimi dodici mesi di amministrazione regionale, sono trascorsi in regime di prorogatio e a stipendio pieno –  sotto la guida del presidente ff, Nino Spirlì. In questo contesto, gli unici atti che la legge consente di emanare, sono quelli indifferibili caratterizzati da somma urgenza.

    E difatti, la maggior parte dei 113 provvedimenti licenziati da questa assemblea legislativa, sono riconducibili all’ordinaria amministrazione: approvazioni di rendiconti finanziari, presa d’atto di indirizzi della Unione Europea, approvazione dei bilanci di previsione degli enti strumentali o delle società partecipate dalla Regione più una infinità di proroghe a scadenze prodotte dall’emergenza Covid. Non fanno eccezione neppure atti datati nel tempo e dal forte valore simbolico come la liquidazione di Calabria Etica e dell’Afor, slittati a data da destinarsi.

    Per il resto, lo spartito seguito durante questa consiliatura è rimasto sempre lo stesso sin dai primi atti. E di rado è andato oltre le formalità: proclamazione degli eletti, nomine e surroghe nelle commissioni.

    Un passo avanti e uno indietro

    L’undicesima legislatura sarà ricordata per l’approvazione all’unanimità della legge sulla doppia preferenza di genere e sulla parità di accesso alle candidature tra uomini e donne.
    La legge, attesa da almeno cinque anni, è arrivata dopo una diffida del Governo che “sollecitava” la Calabria ad adeguarsi alla legislazione nazionale. Con la nuova normativa, nessun genere potrà essere rappresentato nelle liste elettorali per oltre il 60%.  E si possono esprimere due voti di preferenza per candidati di sesso diverso.
    La proposta di legge era stata presentata dai consiglieri Tallini, Minasi, Vito Pitaro, Aieta, Pietropaolo, Arruzzolo, Francesco Pitaro, Crinò, Graziano, Anastasi.

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    Domenico Tallini (Forza Italia)

    Sempre Tallini, il plenipotenziario forzista nel capoluogo di regione, è tra i protagonisti di un pasticcio legislativo difficile da dimenticare. È il 26 maggio del 2020 e Palazzo Campanella approva all’unanimità la legge sull’estensione del beneficio del vitalizio ai consiglieri regionali decaduti. Un provvedimento che «si illustra da sé», come lo definì presentandolo all’aula Fortugno il consigliere Graziano (Udc), approvato in meno di due minuti senza ulteriori discussioni o chiarimenti.
    Siamo in piena pandemia e la notizia deflagra a rete unificate. La pressione mediatica provocata da una ondata di indignazione popolare è tale che i consiglieri sono costretti a fare rapidamente dietrofront. E dopo appena una settimana la legge viene abrogata.

    Così come viene cassata, ma questa volta in silenzio e senza troppo clamore, anche la legge regionale 25/2009 che regolamentava le “Elezioni primarie per la selezione dei candidati alla presidenza della Regione”. La motivazione sempre nelle parole di Tallini: «L’abrogazione comporterà un notevole risparmio alle casse della Regione».

    Il Consiglio fa marcia indietro

    Alla chetichella vengono anche emendate una serie di leggi promulgate nel corso della legislatura con un fine lavoro di taglio e cucito semantico.
    Legge regionale sulle Pro Loco:

    proloco

    Alla legge per la “Promozione dell’istituzione delle Comunità energetiche da fonti rinnovabili” si aggiunge la parola “anche” all’art. 2 così da non limitare il potere delle Comunità energetiche alla sola iniziativa dei soggetti pubblici. Via la frase “zone archeologiche” dalla legge che istituisce il “Consorzio Costa degli Dei”: la materia è di competenza dei Beni Culturali, meglio evitare sovrapposizioni.

    anche
    Ritocchi per il Governo

    Taglia di qua, aggiusta di là. Il lavoro di adeguamento delle norme regionali alla legislazione nazionale è continuo. Su impulso della Giunta regionale, il Consiglio approva la modifica dell’art. 14 della Legge 21/12/2009 per le “Attività di sviluppo nel settore della Forestazione”. Una rettifica dovuta all’illegittimità della norma così come intesa in Calabria per l’esercizio della delega delle funzioni amministrative sull’area del demanio marittimo.

    Per evitare una impugnativa del Governo – il Consiglio aveva “dimenticato” di fare riferimento al codice degli Appalti – viene modificata anche la legge regionale 23/4/2021 (“Disciplina delle modalità e delle procedure di assegnazioni delle concessione di grandi derivazioni idroelettriche della Regione Calabria”).

    Via di bianchetto anche per la legge 20/12/2012 “Istituzione dell’Arsac e disposizioni in materia dello sviluppo dell’agricoltura”. Onde evitare richiami del Governo per la mancata composizione del Comitato tecnico di indirizzo previsto dalla legge, il Consiglio abroga la figura del comitato stesso: problema risolto.

    Una sola legge di sinistra

    Porta la firma di Graziano Di Natale l’unica legge presentata da un esponente di minoranza e approvata all’unanimità dal consiglio regionale. La norma “Disposizioni per garantire condizioni controllate e/o sicure in ambito ospedaliero tra degenti e familiari” punta a istituire un protocollo operativo che garantisca accessi regolamentati ai reparti Covid e al contempo consenta di alleviare le sofferenze dei degenti.

    Se il farmacista è meglio di un caposala

    Nonostante non rivesta il carattere della necessità e dell’urgenza, trova l’approvazione dell’aula la “norma per l’utilizzo dei farmaci nelle strutture pubbliche e private” promossa da Giannetta, Anastasi e Arruzzolo.
    La norma introduce la figura di un farmacista abilitato nelle strutture sanitarie per l’approvvigionamento, allestimento e somministrazione dei farmaci all’interno delle strutture sanitarie pubbliche e private.

    «Allo stato attuale, infatti, nelle strutture sanitarie i caposala infermieri – si legge nella relazione descrittiva – , al di fuori delle loro competenze, detengono un armadio farmaceutico e dispensano i farmaci. Questa anomala situazione comporta un costo elevato per il sistema sanitario perché i frequenti errori nella gestione, somministrazione e controllo della terapia farmaceutica possono provocare danni ai pazienti, aumentare i giorni di ricovero, non garantire prestazioni sanitarie ottimali e aumentare gli oneri a carico del sistema sanitario calabrese».
    Una legge, a detta dei firmatari, che non comporta alcun aggravio per le casse regionali ma che forse peserà sui bilanci delle strutture sanitarie con i conti già in rosso.

    Liquidazioni lunghe per enti strumentali e comunità montane

    Il consiglio regionale è intervenuto con una legge ad hoc per impedire che la liquidazione delle comunità montane finisse in un indistinto pignoramento di massa. L’iter legislativo è partito dopo che i creditori di una comunità montane del reggino avevano bloccato i conti di una comunità montana cosentina per il solo fatto che facevano riferimento allo stesso soggetto.
    In questo caso, il Consiglio è intervenuto per ribadire che «sebbene il commissario liquidatore fosse unico, l’entità giuridica delle comunità montane è da considerarsi separata e nessuno poteva avanzare pignoramenti presso terzi».

    Molinaro e la passione per l’agricoltura

    Si concentra sui Consorzi di bonifica e sul patrimonio forestale, l’attività legislativa del leghista Pietro Molinaro. Forte del suo passato al timone della Coldiretti, il consigliere propone una modifica nella procedura di trascrizione – pubblicazione dei parametri dei contribuenti dei consorzi che ottiene il via libera dall’assemblea. Si passa così da una trascrizione e da una pubblicazione dei computi per ogni singolo consorzio a una sola pubblicazione per conto della Regione Calabria.

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    Pietro Molinaro (Lega)

    Disco verde anche per la modifica apportata alla gestione, tutela e valorizzazione del patrimonio forestale regionale (art. 2 legge regionale 12/10/2021) che introduce la modifica dei piani di coltura per la sostituzione delle piante esotiche con specie autoctone. Via libera all’eradicazione delle piante non gradite, senza troppi problemi.

    Più dettagliata la modifica e l’integrazione legislativa introdotta da Pitaro, Arruzzolo, Neri, Pietropaolo, Minasi, Graziano e Crinò alla legge regionale 30/4/2009 sull’esercizio delle attività formative previste per le aziende agricole.
    Il consiglio regionale approva la sostituzione di “dieci ore obbligatorie di stage” con “l’impegno a presentare attestazione di formazione entro sei mesi dalla data della domanda di iscrizione”.

    Questione di euro

    Per dare una scossa al sistema produttivo regionale in piena emergenza Covid, su impulso del consigliere Pietropaolo viene approvato un provvedimento per lo “Sviluppo dell’industrializzazione e dell’insediamento dell’attività produttive”: tre milioni di euro da FinCalabra al Corap.

    Commissioni

    A rilento anche il lavoro delle commissioni consiliari. La più produttiva risulta la Commissione sanità. Che tenta più volte di introdurre un sussidio per i malati oncologici affetti da alopecia, senza riuscire però a fare approdare la discussione in Consiglio.
    Ferma al palo la Commissione riforme, riunitasi solo nel luglio 2020. Nessuna proposta di rilievo dalle altre commissioni, neanche dalla commissione speciale contro la ‘ndrangheta. Eppure di stimoli ne avrebbe parecchi.

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    Il consigliere regionale uscente Graziano Di Natale

    L’attivismo in Consiglio è prerogativa della maggioranza, in questa legislatura l’opposizione è apparsa particolarmente sonnacchiosa e priva di mordente. Poche interrogazioni, interpellanze e mozioni. La palma del più sveglio alla new-entry Graziano Di Natale che ha presentato 69 interrogazioni e 22 mozioni. Eterea la presenza di Aieta: due provvedimenti in due anni.

    Al Consiglio che uscirà dalle urne il prossimo 3 e 4 ottobre, l’incarico di vincere la sfida lanciata dai loro predecessori. A conti fatti, non dovrebbe essere un compito impossibile.