Nell’imbarazzante classifica dei privilegi di politici e papaveri di Stato, la Regione Calabria non fa certo distinzione. Quella dei burocrati che guadagnano quanto un Presidente della Repubblica sembra essere una caratteristica trasversale dal Nord al Sud del Paese. E il personale che occupa gli scranni più alti della Cittadella regionale si pone in piena continuità con i pari grado del resto d’Italia nell’usufruire a man bassa della generosità del settore pubblico.
Va da sé che tutti questi soldi e privilegi solletichino gli appetiti di molti. E, spesso, dal momento che sedie per tutti non ce ne stanno, chi resta col cerino in mano le prova tutte per accasarsi sulle comode e ben retribuite poltrone regionali. Dunque non stupisce il fermento che si registra ai piani alti della Cittadella in vista della nuova infornata di nomine dirigenziali che andranno a comporre il nuovo spoils system regionale dopo la schiacciante vittoria del centrodestra di Roberto Occhiuto.
Scontro in tribunale
Non è un caso che lo scorso 15 dicembre ci sia stata la prima udienza della causa avviata dal “superdirigente” Maurizio Priolo (ex segretario/direttore generale del Consiglio regionale) contro colei a cui è stata affidata la reggenza del doppio incarico a capo della burocrazia regionale: la dirigente di ruolo Maria Stefania Lauria. Priolo si è rivolto ai giudici ritenendo «del tutto illegittima» la nomina di Lauria, «avvenuta senza alcuna valutazione comparativa dei dirigenti interni al ruolo del consiglio regionale e senza fornire alcuna motivazione della scelta compiuta». Questa procedura non gli avrebbe consentito di concorrere per la poltrona «nonostante vantasse requisiti e competenze maggiori rispetto a quelle dell’assegnataria dell’incarico».
Maurizio Priolo
Centinaia di migliaia di euro in ballo
Punti di vista argomentati in un ricorso di una trentina di pagine dai legali dell’ex capo della burocrazia. Ora toccherà al giudice Valentina Olisterno della sezione Lavoro del Tribunale di Reggio Calabria valutare la fondatezza dei rilievi di Priolo e decidere se la nomina di Stefania Lauria sia stata legittima o meno. Di mezzo c’è anche un discreto gruzzoletto: l’ex segretario sostiene di aver perso quasi 10mila euro al mese di guadagni dopo la “retrocessione”. E, oltre alla carica, vuole indietro pure quelli. Erano praticamente 120mila euro a settembre, quando Priolo ha presentato il ricorso. Ma – precisano i suoi legali – bisognerà calcolare la cifra finale al momento in cui Lauria sarà eventualmente destituita. Quindi, come minimo, la somma potrebbe raddoppiare.
Il dirigente che non dovrebbe esserlo
L’udienza, dopo la costituzione delle parti, è stata infatti rinviata al prossimo 22 settembre 2022. Qualcosa, però, è già filtrata. L’avvocato della Regione, Angela Marafioti, ha chiesto tutta la documentazione inerente l’inquadramento di Priolo nei ruoli del personale del Consiglio regionale per sollevare una eccezione di nullità del rapporto di lavoro. Quello che l’ex segretario/direttore generale non ha forse messo adeguatamente in conto, infatti, è che lui stesso, non avendo mai partecipato ad un concorso pubblico per occupare poltrone in Regione, nel tempo è stato fatto oggetto di una serie di interpellanze e mozioni arrivate fin dentro l’aula di Montecitorio.
Un caso arrivato in Parlamento
La Uil – Fpl ha dedicato alla sua vicenda una intera conferenza stampa per chiedere al consiglio regionale su quali basi giuridiche si fonda il suo mantenimento in servizio. Un dubbio sorto in Regione già nel 2013, quando l’allora segretario generale Nicola Lopez evidenziò «anomalie che sostanziano delle palesi illegittimità» nell’arrivo di Priolo in Cittadella. Non gli risposero che la situazione era legittima, ma che esistevano «altre situazioni soggettive analoghe».
Qualche dubbio sulla vicenda, da consigliere d’opposizione, lo aveva anche Mimmo Tallini, che chiese lumi a riguardo. Poi, divenuto presidente del Consiglio regionale, era stato proprio lui a scegliere Lauria come capo della burocrazia. Nel 2017, invece, è stata la deputata grillina Federica Dieni a rivolgere una interrogazione a risposta scritta all’allora ministro Madia sul “caso Priolo”.
Mimmo Tallini e Stefania Lauria
Dieni citava una delibera della Corte dei conti – la 143/2014 del 17 febbraio 2015 – che censura la prassi della mobilità dalle società controllate dalla Pubblica amministrazione nei ranghi della PA. Anche la Consulta ha più volte censurato le leggi regionali «che consentono i meccanismi di reinternalizzazione attraverso il passaggio da impiego privato (società partecipata) a quello pubblico (Ente territoriale) aggirando l’articolo 97 della Costituzione».
La scalata della Regione
Quest’ultima occorrenza sembrerebbe calzare a pennello al caso del grand commis calabrese. Maurizio Priolo, figlio dell’ex consigliere regionale (e attuale presidente dell’associazione degli ex consiglieri) Stefano, inizia infatti la sua folgorante carriera nel Consorzio per l’area di sviluppo industriale della provincia di Reggio Calabria il 14 settembre 1998. Il 1 aprile 2010 viene inquadrato nella dotazione organica del Consiglio regionale della Calabria. E da quel momento non si ferma più.
Malgrado la fragilità giuridica della sua posizione, diventa segretario e direttore generale del Consiglio regionale nel 2015. Un ruolo a cui si sovrappongono nel tempo anche quelli di dirigente ad interim del Settore Tecnico e delle aree funzionali “Assistenza Commissioni”, “Relazioni Esterne, Comunicazione e Legislativa”, “Gestione” e quelli di responsabile anti corruzione e responsabile della trasparenza. Un potere in Regione degno di un oligarca che adesso dovrà passare al vaglio di un Tribunale per capire se l’interregno di Maurizio Priolo sia giunto o meno al capolinea.
La Giunta regionale ha approvato, con delibera 480, il Documento di Economia e Finanza per il triennio 2022-2024. Emerge un quadro preoccupante sullo stato della Calabria: robusta evasione tributaria sulle tasse automobilistiche, gestione del patrimonio regionale senza adeguato controllo, mancata riscossione delle entrate in conto capitale, perché non si riesce a governare la rendicontazione, a fronte di spese in conto capitale che continuano a crescere.
La voragine sanitaria ed il Pnrr costituiscono le sponde opposte della complessa matassa che va dipanata per dare una prospettiva diversa alla regione. Da un lato c’è una decennale situazione di sbandamento nell’amministrazione finanziaria e nella gestione dei servizi sanitari per i cittadini. Dall’altro si prospetta l’opportunità delle risorse del Pnrr, che costituiscono l’ultima vera occasione per imprimere una svolta verso lo sviluppo.
Il nostro viaggio dentro il Def non può che partire dai numeri, quelli delle entrate e delle uscite. Emergono indicazioni che spiegano meglio di tante altre considerazioni astratte le ragioni della crisi regionale.
Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto
La difficoltà di rendicontare le entrate
Nel 2020 il volume delle entrate totali accertate a consuntivo nel bilancio regionale è pari a 5,74 miliardi di euro, in leggera diminuzione rispetto all’anno precedente (-0,29%). Quanto alle previsioni per gli anni successivi, il valore nettamente più alto registrato nel 2021 per le entrate in conto capitale non è attribuibile a più elevate assegnazioni statali o comunitarie. Riguarda, invece, risorse per contributi a rendicontazione non utilizzate nel corso del 2020, riprogrammate in attesa di definirne l’utilizzo o differite negli anni successivi.
Il valore percentuale del 2021 delle entrate in conto capitale rispetto al volume totale delle entrate (31,9%) rispecchia una difficoltà strutturale nell’utilizzo delle risorse destinate agli investimenti ed allo sviluppo. Eppure, nonostante questa sia la fotografia di un drammatico punto di debolezza, si stima di passare in un anno da un valore rendicontato di poco più di mezzo miliardo di euro del 2020 a 2,7 miliardi nel 2021.
Le previsioni
Considerato che siamo ormai avviati verso la conclusione dell’anno, varrebbe davvero la pena di augurarci che sia così quando dovrà essere redatto il bilancio consuntivo del 2021. I valori molto bassi delle entrate in conto capitale previsti nel biennio 2022 e 2023 scontano, invece, nella scelta di pianificazione condotta dalla Regione, la mancata previsione delle risorse destinate all’attuazione della programmazione comunitaria e nazionale 2021-2027 ancora tutta da definire.
Eppure, forse, qualche stima poteva essere messa in conto, considerando che le risorse di investimenti per il PNRR dovranno tutte essere utilizzate entro il 2026. Non c’è mica molto tempo per spendere e rendicontare questi ingenti finanziamenti disponibili.
Virtuosi all’improvviso? È il contrario
Nel 2020 il volume complessivo degli impegni risulta pari a 5,6 miliardi di euro circa, in aumento rispetto al 2019 (+1,2%). Dall’analisi della composizione della spesa distinta per tipologia si delinea un andamento divergente: aumentano le spese correnti (+0.9%) e soprattutto quelle in conto capitale (+8.8%), diminuiscono le spese per rimborso mutui (-57,3%). In apparenza, siamo entrati improvvisamente nel pianeta dei virtuosi: le spese in conto capitale aumentano molto più rapidamente delle spese di parte corrente, mentre gli oneri finanziari si riducono.
La realtà sta al polo opposto. Mentre corrono le spese in conto capitale, crollano in modo simmetricamente opposto le riscossioni delle entrate in conto capitale, per la incapacità di rispettare i meccanismi della rendicontazione. Si rischia di aprire in questo modo una voragine nei conti regionali, tale da dare il colpo di grazia alla finanza locale. Soprattutto se teniamo in conto il volano di risorse molto ingente che attiveranno contestualmente il PNRR e la prossima tornata di fondi comunitari 2021-2027.
La diminuzione delle spese per il rimborso dei mutui si deve alla sospensione delle rate di ammortamento a carico del bilancio statale in scadenza non pagate nel 2020 per effetto della legge n. 27 del 24 aprile 2020, ma che devono essere coperte nell’annualità 2021 con oneri a carico del bilancio regionale(oltre 3 miliardi di euro), e alla rinegoziazione con Cassa Depositi e Prestiti dei mutui in ammortamento con oneri di rimborso a carico del bilancio regionale per far fronte alle esigenze di liquidità determinate dal Covid 19.
Le riscossioni crollano
Le riscossioni delle entrate in conto capitale sono pari, sul totale delle entrate del 2021, solo all’1,5% rispetto all’11,1% del 2016. Il dato dell’anno in corso di conclusione, anche se parziale, rende in ogni caso ancora più evidente la difficoltà di riscossione dei contributi a rendicontazione. Il suo ammontare desta al momento forti preoccupazioni, soprattutto se rapportato al livello dei pagamenti. La riscossione delle entrate in conto capitale è passata da 579,5 milioni di euro nel 2016 a 58,1 milioni nel 2021.
Evasione fuori controllo
L’altro fenomeno da ricondurre ancora sotto controllo è l’elevato livello di evasione fiscale, che riguarda innanzitutto le tasse automobilistiche. Ogni anno vengono inviati in Calabria oltre 250.000 accertamenti, per un valore approssimato pari circa al 33% del tributo dovuto (180 milioni di euro).
Nonostante le azioni attivate per il recupero, resta circa un 20% di introiti fiscali che non vengono incassati dalla Regione Calabria per le tasse automobilistiche. La situazione sta andando a peggiorare: nel 2021 le riscossioni spontanee ammontano a 91 milioni di euro, rispetto ai 123,3 milioni di euro del 2018. Per gli altri tributi regionali la situazione è meno preoccupante, ma non certo tranquillizzante perché i soggetti passivi sono inferiori di numero e si tratta prevalentemente di persone giuridiche.
Gestione patrimoniale: una catastrofe
Il patrimonio regionale costituisce un altro fronte aperto di dimensioni significative. A fronte di 37 atti di concessione, di cui 10 a titolo gratuito e 27 a titolo oneroso, si registra un introito annuo per la Regione di 31.661 euro. Non è un errore di battitura: trentunomilaseicentosessantuno euro. Sembra una barzelletta, ma le cose stanno proprio così.
Per sole otto concessioni sono stati versati i canoni dovuti, per 6 è stato emesso un decreto di risoluzione con contestuale pagamento degli arretrati, per altre 6 è stato avviato lo stesso procedimento, mentre per altre 7 sono in corso gli accertamenti sui pagamenti effettuati.
Poi c’è il capitolo dolente del contenzioso. Al 31.12.2020 la Regione ha accantonato un fondo rischi per potenziali soccombenze pari a 136,6 milioni di euro, con un incremento rispetto all’anno precedente del 51%. Nel bilancio 2021 ne sono stati accantonati altri 23,1 milioni, con una previsione di ulteriori 11,2 milioni per ciascuna successiva annualità del 2022 e del 2023.
Altri 3 milioni di euro se ne vanno ogni anno per debiti fuori bilancio e per esecuzione di pignoramenti da parte di terzi. L’importo dei pignoramenti viaggia attorno ai 30 milioni di euro all’anno. Deriva in parte rilevante dalla esecutività di sentenze originate da situazioni debitorie di soggetti terzi a loro volta debitori verso la Regione Calabria.
Le società partecipate tra liquidazioni e fallimenti
Sono quindici le società partecipate dalla Regione Calabria: tre sono pienamente controllate con il 100% delle azioni (Ferrovie della Calabria, Terme Sibarite e Fincalabra), cinque sono in fallimento, quattro in liquidazione: sembra più un ospedale che una sistema di organizzazione economica.
L’indirizzo della Regione consiste nel mantenere l’assetto azionario in sei casi, alienare sotto forma di cessione a titolo oneroso in un caso (Comalca scrl), seguire le procedura di liquidazione per le restanti tre ed attendere l’esito delle altre 4 procedure fallimentari.
La diga del Menta, gestita dalla Sorical, società partecipata della Regione Calabria
Crescono le addizionali
A distanza di circa undici anni dall’avvio del commissariamento, la gestione sanitaria costituisce la più grave problematica della regione, per via di un persistente debito che si mantiene ancora molto elevato, oltre che per una qualità dei servizi molto modesta.
Per ridurre quell’enorme disavanzo è stato approvato un piano di rientro. In nome del risparmio, oltre a ricalcare i tagli già previsti a livello nazionale, ha smantellato diversi ospedali, comportando disagi alla popolazione. Ha previsto inoltre riduzioni di spese, producendo una carenza di servizi, che non garantiscono, ancora dopo undici anni, la risposta alle esigenze di salute per troppo tempo compromesse nella regione.
Non si è nemmeno riusciti a ricostruire il quadro del contenzioso che grava come ulteriore spada di Damocle sulla già pesante situazione debitoria. Nel 2020 il 67,4% del bilancio regionale è destinato al funzionamento del Servizio sanitario, comprese le risorse derivanti dalla fiscalità regionale finalizzata alla copertura dei disavanzi.
In considerazione del disavanzo non coperto per gli anni 2018 e 2019, portato a nuovo, si sono realizzate nel 2020 le condizioni per l’applicazione degli automatismi fiscali previsti dalla legislazione vigente. Ciò comporta l’ulteriore incremento delle aliquote fiscali di IRAP e addizionale regionale IRPEF per l’anno d’imposta in corso, rispettivamente nelle misure di 0,15 e 0,30 punti.
La Calabria storicamente mostra uno scarsissimo indice di attrattività sanitaria, a fronte di una elevatissima mobilità passiva, determinata, principalmente, dalla carenza di servizi sanitari. Nel 2020 il saldo di mobilità sanitaria extraregionale è pari a -287,3 mln di euro, mentre quello di mobilità sanitaria internazionale è pari a -1,5 mln di euro.
La presentazione del Pnrr con la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen e il presidente del Consiglio, Mario Draghi
Verso il Pnrr
Questo è lo stato di forma con la quale l’istituzione territoriale si presenta all’appuntamento del PNRR. La forbice tra rendicontazione delle entrate in conto capitale e aumento delle stesse spese in conto capitale è una questione che rischia di essere deflagrante per i prossimi anni.
La Calabria viene specificamente citata nel PNRR per diversi cantieri di attività:
la conversione verso l’idrogeno delle linee ferroviarie non elettrificate e caratterizzate da elevato traffico in termini di passeggeri con un forte utilizzo di treni a diesel;
le misure per garantire la piena capacità gestionale nei servizi idrici integrati;
gli interventi infrastrutturali e tecnologici nel settore ferroviario con particolare riferimento alla realizzazione dei primi lotti funzionali delle direttrici Salerno-Reggio;
i collegamenti ferroviari ad Alta Velocità verso il Sud per passeggeri e merci permettendo di ridurre i tempi di percorrenza e di aumentare la capacità;
il miglioramento delle stazioni ferroviarie nel Sud;
il rafforzamento delle Zone Economiche Speciali (ZES) mediante una riforma che punti a semplificare il sistema di governance delle ZES e a favorire meccanismi in grado di garantire la cantierabilità degli interventi in tempi rapidi.
Trecento milioni di euro dovrebbero inoltre essere assegnati alla Calabria per interventi destinati a migliorare le infrastrutture sanitarie. Una cifra sostanzialmente identica spetta alla Calabria per interventi per la mobilità sostenibile e per il miglioramento della qualità nelle ferrovie regionali. Si tratta di un volume di investimenti di estremo rilievo in settori dove la debolezza competitiva della Calabria oggi genera scenari che non consentono di liberare adeguate energie per lo sviluppo del territorio.
Di indigestione di parole rimangiate non risulta mai morto nessun politico e siamo certi possa sopravvivere anche l’assessore regionale Gianluca Gallo. Mentre la maggioranza si appresta a votare per la nascita di Azienda Zero, non risultano in merito dichiarazioni del recordman di preferenze delle ultime elezioni. Niente di straordinario, si dirà: Gallo fa parte della maggioranza che vuole affidare tutta la sanità al presidente Occhiuto, perché opporsi? Il problema è che lo stesso Gallo, da consigliere d’opposizione, ne diceva di tutti i colori su un’idea a dir poco simile quando a proporla era stato Oliverio.
Basta andare a ritroso sulla sua bacheca Facebook per trovarne ancora le prove. Siamo a dicembre del 2017 e il Nostro pubblica un post inequivocabile. «Vogliono che la politica controlli la sanità. Vogliono che il loro governo orienti scelte, decisioni e probabilmente nomine. Invece di occuparsi dei problemi della gente, che non ha più ospedali in cui curarsi né servizi efficienti sui quali poter contare, con un emendamento infilato nella Legge di Stabilità la giunta Oliverio punta a sopprimere le aziende sanitarie provinciali ed a creare un’unica azienda sanitaria regionale, con sede a Catanzaro. Alla faccia del decentramento e delle esigenze dei cittadini, e di negative esperienze passate, con un blitz vogliono accentrare tutto per poter avere maggior potere decisionale. Una vergogna. Ci opporremo con tutte le forze».
L’azienda unica rimase sulla carta, magari per merito anche dell’opposizione dell’attuale assessore all’Agricoltura. Che si deve essere tanto sforzato all’epoca da non avere nemmeno più un briciolo d’energia per rilanciare la vecchia, sentitissima battaglia quattro anni dopo.
La Sanità calabrese sono io. Roberto Occhiuto potrebbe parafrasare il motto di Luigi XIV (in quel caso era “Lo Stato sono io”), incoronandosi sovrano assoluto di un settore così nevralgico. Dopo la nomina a commissario straordinario alla Sanità, martedì 14 dicembre arriverà a Palazzo Campanella la proposta di legge di istituzione dell’Azienda Zero a firma del fedelissimo consigliere regionale, Pierluigi Caputo.
Operazione da 700mila euro iniziali che poi pescherà nelle risorse stanziate per la garanzia dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) previste dal bilancio di previsione 2022-2024.
Parola d’ordine “centralizzare”
L’azienda Zero nasce dalla necessità di “razionalizzare, integrare ed efficientare i servizi sanitari, socio-sanitari e tecnico amministrativi del Sistema sanitario regionale” dopo 12 anni gestione commissariale ritenuta fallimentare dall’organo controllo ministeriale sui conti della nostra sanità.
Per raggiungere tali obiettivi, è previsto l’accentramento di poteri e funzioni attraverso la gestione dei flussi di cassa relativi al finanziamento del fabbisogno sanitario regionale.
All’Azienda Zero faranno capo tutti gli acquisti, le procedure di selezione del personale delle aziende sanitarie, le autorizzazioni e gli accreditamenti delle strutture private, la gestione del contenzioso, le eventuali transazioni, coordinerà la medicina territoriale e darà gli indirizzi in materia contabile alle Asp e Ao della Regione: il cuore malato della sanità calabrese dove si annidano clientele, sperperi, inefficienze, commistioni e interessi che hanno generato quel debito monstre che gli stessi organi contabili continuano a definire incalcolabile.
La sede dell’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza
Un potere immenso nelle mani di Occhiuto
L’Azienda zero avrà un potere immenso che fino a questo momento non aveva avuto nemmeno l’ufficio del Commissario che, pur avendo avocato in una sola figura praticamente la gestione dell’intero comparto, doveva sempre e comunque rispondere anche al dipartimento regionale Tutela della Salute che oggi viene derubricato a un mero organo di coordinamento. Si bypasseranno così – o almeno questo è l’obiettivo – anche le difficoltà di interlocuzione con dirigenti territoriali.
Ma chi controlla chi?
Il direttore generale dell’Azienda Zero sarà nominato dal presidente della Regione Calabria previa autorizzazione della Giunta o dal commissario ad acta. Non farebbe una piega se non fosse che il presidente della giunta si chiama Roberto Occhiuto che poi è anche il commissario delegato alla sanità. Facile immaginarsi Occhiuto mentre s’interroga sul professionista da nominare guardandosi allo specchio.
Che la sanità fosse il regno incontrastato di baroni e baronetti era cosa nota ma adesso siamo alla restaurazione della monarchia. Occhiuto è presidente, commissario ad acta, nomina il dg del Dipartimento Salute e sceglie il capo dell’Azienda Zero. Roberto come Luigi XIV: il re Sole della Regione Calabria.
La Cittadella regionale a Germaneto
Occhiuto: meno poteri alle Asp
L’Azienda unica della sanità non è una novità calabrese. Lo dice lo stesso Roberto Occhiuto parlando con i giornalisti a Catanzaro del progetto Calabria Zero. «Esiste già in altre Regioni – è il commento del presidente della Giunta -, ho voluto farla anche in Calabria perché nelle aziende sanitarie c’è una capacità amministrativa non sempre adeguata. Ho ritenuto che fosse più utile costruire un unico cervello – continua Occhiuto – che accentrasse tutta la capacità amministrativa e che potesse svolgere, per conto di tutte le Aziende sanitarie, le funzioni che altrimenti non riescono a svolgere. Anche questo va nella direzione di riorganizzare e rendere più efficiente il sistema sanitario».
Occhiuto ha infine precisato: «Non c’è una riduzione del numero delle aziende, c’è la costituzione di quella che di fatto sarà una sorta di agenzia. Certo, le Aziende sanitarie faranno meno di quello che hanno fatto finora dal punto di vista amministrativo, ma non mi sembra che abbiano brillato».
I presupposti per dare una sterzata convinta alla governance della sanità, ci sarebbero pure. Ma c’è da capire – e non è una questione di secondo piano – a chi sarà affidata la gestione dell’Azienda unica regionale dal momento che al timone della nostra disastrata sanità si sono succeduti marescialli, comandanti e generali ma mai nessuno con una concentrazione di potere così grande.
Tutelare il paesaggio e l’ambiente non pare interessare granché alla Regione, meglio il cemento. La prova? L’ultimo Piano Casa approntato dalla Cittadella, impugnato dal Governo e bocciato dalla Corte costituzionale poche settimane fa. Le ragioni dello stop sono appena uscite sul Burc. E dimostrano ancora una volta l’impegno dei nostri legislatori a tenere alto il nomignolo della Calabria. Che, già sommersa dall’edificazione selvaggia, rischiava di essere seppellita sotto un ulteriore strato di cemento grazie all’introduzione di norme edilizie all’insegna del “liberi tutti”.
Dialogo interrotto
La legge regionale oggetto del contendere era la numero 10 del luglio 2020, ma la questione affonda le sue radici nel tempo. La Calabria, infatti, non è in grado da anni di dotarsi di un Piano paesaggistico regionale, come previsto invece dal Codice dei Beni culturali e, appunto, del Paesaggio. L’unico passo in avanti in tal senso risale al 2016. All’epoca il Consiglio approvò il Quadro territoriale regionale a valenza paesaggistica (QTRVP) a seguito di un’interlocuzione col Mibact avviata quattro anni prima.
Il dialogo col ministero, obbligatorio in base agli accordi tra le parti, si è interrotto però. E, quattro anni dopo, la neoeletta maggioranza di centrodestra ha deciso di mettere mano alla materia in autonomia infichiandosene dei patti con Roma. E del fatto che l’ultima parola su paesaggio e ambiente spetti al Governo e non agli enti locali.
Nuove deroghe ai vecchi vincoli
Cosa hanno deciso, invece, in Calabria? Di legiferare in (ulteriore) deroga agli strumenti urbanistici vigenti, modificando (al rialzo) i limiti relativi agli ampliamenti volumetrici e quelli legati alle variazioni di destinazione d’uso e del numero di unità immobiliari. E gli impegni circa una pianificazione condivisa, il corretto inserimento degli interventi edilizi nel contesto paesaggistico, la tutela del paesaggio prevista anche dalla Costituzione, la necessità di una programmazione unitaria sul territorio nazionale? Chissenefrega.
La Cittadella aveva dato il via libera ad ampliamenti volumetrici fino al 30% per gli immobili esistenti, introdotto deroghe all’altezza massima dei nuovi edifici, la possibilità di riposizionare diversamente quelli demoliti e da ricostruire. Tutto al di fuori di ogni criterio di pianificazione paesaggistica «da concordare necessariamente e inderogabilmente con lo Stato».
Via al cemento, il paesaggio non conta
Così quest’ultimo ha impugnato la norma, ritenendo «palese l’intento del legislatore regionale di stabilizzare nel lungo periodo la previsione di interventi edilizi in deroga agli strumenti urbanistici, che erano, invece, stati introdotti come straordinari». La conseguenza? «Accrescerne enormemente il numero e renderne “costante l’estraneità […] rispetto all’alveo naturale costituito dal piano paesaggistico”».
Come si è difesa la Regione? Sostenendo che il ricorso del Governo peccasse di eccessiva genericità e indeterminatezza. E affermando che la concertazione con i ministeri competenti fosse obbligatoria soltanto in caso di beni e aree tutelate. I giudici, però, hanno smontato punto per punto questa linea. E sottolineato al contrario che, avendo siglato la Cittadella un protocollo nell’ormai lontano 2009 che stabiliva l’obbligo di dialogare con lo Stato in tema di paesaggio per arrivare alla stesura del Piano regionale, cambiare le carte in tavola come se gli accordi non esistessero è illegittimo.
A quando il Piano?
Pacta sunt servanda, i patti si rispettano: la massima latina vale ancora oggi. E il Consiglio regionale della Calabria non poteva non tenerne conto, svalutando peraltro principi costituzionalmente garantiti, per autorizzare colate di cemento extra. Le modifiche introdotte, infatti, avrebbero finito per «danneggiare il territorio in tutte le sue connesse componenti e, primariamente, nel suo aspetto paesaggistico e ambientale». Una lesione, a detta dei magistrati, ancora più fuori luogo alla luce della «circostanza che, in questo lungo lasso di tempo non si è ancora proceduto all’approvazione del piano paesaggistico regionale». Tutto sbagliato, tutto da rifare.
L’articolo 116, terzo comma, della Costituzione prevede la possibilità di attribuire forme e condizioni particolari di autonomia alle Regioni a statuto ordinario.
L’attribuzione di queste forme rafforzate di autonomia deve essere stabilita con legge formulata sulla base di un’intesa fra Stato e Regione, acquisito il parere degli enti locali interessati, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119 della Costituzione in tema di autonomia finanziaria ed approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti.
Queste disposizioni sono state introdotte in Costituzione con la riforma del Titolo V prevista dalla legge costituzionale n. 3 del 2001 e finora mai attuate, almeno fino alla nota di accompagnamento al DEF 2021, dove si ritrova il disegno di legge su Autonomia Differenziata Regionale.
Il governo Draghi con il Documento di Economia e Finanza 2021 ha confermato infatti, tra i disegni di legge collegati alla legge di Bilancio 2022-2024, il DDL “Disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata di cui all’art.116, 3° comma, Cost.”.
Ricchi contro poveri
Poiché il 28 febbraio 2018 il Governo Gentiloni sottoscrisse con Emilia Romagna, Lombardia e Veneto, gli “Accordi preliminari“ per acquisire maggiore autonomia in alcuni ambiti strategici: politiche del lavoro, istruzione, salute, tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. Vale la pena andare a rileggere tali accordi per comprendere qual è la direzione verso la quale si sta spingendo: un sistema federale di regioni, che contraddice l’unità del nostro paese, amplificando, cosa ancor più grave, le disparità esistenti tra nord e sud Italia, tra regioni ricche e regioni più povere.
Contro questo rischio, che farebbe sprofondare la nostra regione, che presenta tutti gli indicatori economici con il segno negativo, in uno stato di gravissima povertà, consegnandola definitivamente nelle braccia della malavita organizzata, si sta muovendo Progetto Sud che, accogliendo le istanze di Anaao Assomed, organizza incontri di sensibilizzazione e informazione, coinvolgendo associazioni e comitati che hanno un riferimento in Comunità Competente.
Progetto Sud ha recentemente organizzato un incontro con i consiglieri e le consigliere regionali della coalizione che aveva Amalia Bruni candidata presidente alle recenti elezioni regionali e si propone di fare altrettanto con i consiglieri e le consigliere delle altre coalizioni, con i sindacati, con la conferenza dei sindaci, con tutte le organizzazioni che possono contribuire a costruire una partecipazione dal basso, che eserciti pressione verso gli organi istituzionali deputati a prendere decisioni in merito, soprattutto alla salvaguardia del diritto alla salute.
Diritti negati
La Calabria non garantisce i LEA. Basta fare un giro negli ospedali pubblici calabresi per comprendere quali sono le reali condizioni di lavoro per chi esercita la propria professione in ambito sanitario, ma, soprattutto, per comprendere le condizioni spesso gravissime di mancanza delle cure fondamentali, di negazione del diritto alla dignità della persone che subisce chi si trova in condizioni di avere bisogno di cure ospedaliere.
Il “turismo sanitario” dalla Calabria verso regioni del nord, ormai anche per la cura di patologie leggere e facilmente risolvibili in regione, raggiunge quote da diaspora, facendo lievitare oltre misura i costi regionali per la sanità, in una situazione di gravissimo indebitamento, nonostante gli oltre dieci anni di commissariamento governativo, soluzione che aveva l’obiettivo di risanare il debito e che invece ha contribuito ad amplificarlo.
Ventuno Regioni, altrettante Sanità
La pandemia da Covid 19 ha dimostrato, nella sua drammaticità, che è fondamentale una governance unitaria del Servizio sanitario nazionale. Né possiamo illuderci che la pandemia sia un evento eccezionale: la devastazione del Pianeta dalle scellerate attività antropiche ci porrà di fronte a frequenti zoonosi e rischi di pandemia.
L’appello lanciato da Comunità competente alla società civile organizzata per mobilitarsi contro l’istituzione nel nostro paese di 21 sistemi sanitari regionali, contro una scelta politica che potrebbe portare alla distruzione del sistema sanitario pubblico italiano, già fortemente minato dai troppi aiuti economici erogati a favore di strutture private, è stato sottoscritto finora da oltre 150 associazioni, ma l’elenco è destinato ad allungarsi.
Basta commissari
E se l’attribuzione del commissariamento a Roberto Occhiuto potrebbe avere il sapore di una restituzione alla politica locale della gestione della sanità, rimane l’istituto del commissariamento che non è stato risolutivo, ma è stato parte del problema, oltre a richiedere, data la gravità della situazione, un impegno totale a tempo pieno che difficilmente potrà essere garantito da chi ha l’onore e l’onere di essere presidente di Regione.
La fine del commissariamento è conditio sine qua non per una ripartenza dignitosa e collettiva, rovesciando il paradigma che finora ha visto nell’arcipelago di monadi dei commissari e dei direttori generali il fallimento della gestione della sanità pubblica calabrese.
I bisogni della Calabria
Abbiamo bisogno di quantificare il debito della sanità calabrese, che si aggira su cifre a nove zeri, per capire come gestire la situazione. Abbiamo bisogno di costruire la medicina territoriale e ripristinare il diritto alla salute e alla dignità della persone. Di assunzioni a tempo indeterminato, con garanzia di condizioni di lavoro accettabili e dignitose, di personale medico, infermieristico, Oss in ogni ospedale pubblico calabrese.
Occorre uscire dalla visione economicistica della gestione della sanità pubblica. Serve costruire competenze specifiche nella gestione di fondi messi a disposizione della regione e rimasti finora inutilizzati.
Abbiamo bisogno di aprire consultori, importanti presidi di medicina territoriale aperti e gratuiti per tutte le persone che vi si rivolgono, e applicare la Convenzione di Istanbulratificata dal nostro paese nel lontano 2013 e mai applicata.
Una questione politica
Una concezione partecipata della sanità pubblica è imprescindibile da ogni proposta di risanamento e ricostruzione di quanto è stato finora demolito da una classe politica incompetente, ingabbiata in un sistema clientelare che garantisce potere a discapito delle competenze professionali, a discapito di diritti inalienabili.
L’impegno della società civile nella mobilitazione è fondamentale, ma non può bastare senza un preciso impegno di chi ha responsabilità politiche. Perché la questione è una questione politica.
L’autonomia differenziata regionale, come si può evincere dagli accordi preliminari delle tre regioni italiane, è uno stravolgimento dell’assetto politico del nostro paese, rischia di essere un ritorno a una condizione preunitaria, con indebolimento importante dei poteri del Parlamento in materie fondamentali per la nostra società. A essere penalizzate saranno le regioni più povere a maggior tasso di emigrazione e a più basso reddito pro capite. Noi non possiamo permettercelo!
Quando la politica si è svegliata l’assalto era già bell’e consumato. Qualcuno ci aveva già provato nel 2014 senza riuscirci, oggi invece la privatizzazione della società che gestisce la principale porta d’ingresso della Calabria si è concretizzata nell’indifferenza degli enti pubblici coinvolti. Solo a cose fatte Roberto Occhiuto, «un po’ arrabbiato», si è reso conto che proprio appena prima che lui diventasse presidente «il privato ha messo in atto strane procedure per trasformare l’assetto proprietario ed avere così la maggioranza delle quote» della Sacal, che gestisce i tre aeroporti calabresi.
L’ira di Roberto Occhiuto
Secondo il neo governatore la scalata sarebbe «contro la legge», secondo i privati che l’hanno condotta – i Caruso, famiglia di imprenditori lametini che possiede la società Lamezia Sviluppo –tutto sarebbe invece avvenuto nel rispetto della legge e dello statuto di Sacal «nell’interesse di salvaguardare i dipendenti e la continuità dell’azienda». Al di là delle rispettive convinzioni giuridiche e degli asseriti intenti filantropici, in questa storia il privato ha fatto il privato acquisendo le quote che gli enti pubblici hanno lasciato scoperte. Se lo abbia fatto legittimamente lo verificheranno, eventualmente, la Procura di Catanzaro, l’Antitrust e l’Autorità nazionale anticorruzione a cui l’Enac (Ente nazionale per l’aviazione civile) si è rivolta avviando il procedimento di revoca della concessione per l’aeroporto di Lamezia e proponendo la nomina di un commissario per la gestione operativa dello scalo.
Il centrodestra gioca a scaricabarile
Scoppiata la bomba è subito partito lo scaricabarile tra, per esempio, Comune/Provincia di Catanzaro – entrambi guidati da Sergio Abramo, approdato prima delle elezioni a “Coraggio Italia” – e la stessa Regione, guidata fino ad appena due settimane fa da Nino Spirlì, uomo di punta della Lega a cui Matteo Salvini fa spesso sapere di essere molto grato «per quello che ha fatto per la sua gente».
Un tutti contro tutti che ha visto anche Mimmo Tallini criticare il sindaco di Catanzaro, a cui ha risposto anche lo stesso Spirlì sostanzialmente scaricando le responsabilità sul presidente Sacal Giulio de Metrio che però è stato voluto proprio dalla Lega. Insomma i vari Abramo, Spirlì, lo stesso Occhiuto che era già in piena campagna elettorale, erano distratti mentre i privati si prendevano Sacal e solo ora sono diventati loquaci.
L’allarme inascoltato della Cgil
Nessuno però può dire che non si sapesse quanto il rischio della privatizzazione fosse concreto. I Calabresi ne ha scritto a inizio agosto quando Spirlì aveva assicurato il consiglio regionale che la maggioranza sarebbe rimasta pubblica. La Filt Cgil lanciava allarmi da mesi. E se non bastasse tutto ciò ci sono anche atti ufficiali come la delibera con cui il Comune di Lamezia, retto in quel momento da un commissario prefettizio, approvava per le quote una variazione di bilancio da 150mila euro, comunque non sufficienti a confermare il 19,2% dell’ente (maggior azionista) che oggi è sceso all’11%.
Aeroporti in crisi di liquidità
La S.P.A. che gestisce i tre aeroporti calabresi si è trovata quest’anno in una crisi liquidità – secondo la stessa società e la Regione esclusivamente riconducibile al crollo del traffico aereo durante la pandemia – che ne ha messo a rischio la tenuta. Si è così arrivati a una ricapitalizzazione da circa 10 milioni di euro ed erano state anche fissate delle scadenze precise per i soci. Le riporta nero su bianco la stessa delibera del Comune di Lamezia, che risale ai primi di agosto: per la sottoscrizione dell’aumento di capitale il termine fissato era il 30 luglio; per l’esercizio del diritto di opzione sulle azioni non sottoscritte dagli aventi diritto il termine era al 30 settembre; per esercitare il diritto di prelazione sulle azioni rimaste inoptate la deadline era quella del 4 novembre.
Cronaca di un assalto annunciato
È la cronaca di un assalto annunciato. E mentre gli alleati di Occhiuto guardavano altrove i privati sono riusciti a fare ciò che non era stato possibile nel 2014. All’epoca era appena stato eletto Mario Oliverio ma non era ancora stato indicato per la guida della Sacal il superprefetto/poliziotto Arturo De Felice, chiamato a spendere il suo prestigio legalitario dopo la bufera dell’inchiesta “Eumenidi”.
La Spa che ha accorpato gli aeroporti
Sotto la sua presidenza, nel 2017, la Spa ha accorpato a sé anche agli aeroporti di Reggio e Crotone reduci dai fallimenti delle rispettive società di gestione. Da lì sono cominciati anche i problemi finanziari, sfociati nell’anno del Covid in una crisi di liquidità senza precedenti.
La Regione ci ha dunque messo i soldi approvando in Consiglio la sottoscrizione da 927mila euro che doveva servire a confermare il 9,27% delle azioni, misteriosamente però oggi Occhiuto parla di una quota minore in capo alla Cittadella, ovvero il 7%.
ll supermanager in quota Lega
Spirlì aveva addirittura annunciato cantieri «per 60 milioni di euro» sui tre scali, forte dell’asse con il supermanager di area leghista chiamato alla guida di Sacal nell’era Santelli. De Metrio ha tenuto nascosto il Piano industriale e ingaggiato una lotta durissima con i sindacati che, indignati per il suo super stipendio da 240mila euro l’anno, in estate hanno chiesto certezze occupazionali per lavoratori stagionali e part time.
A Lamezia, inoltre, ancora aspettano che sia de Metrio che la Regione trasformino in fatti le parole sulla nuova aerostazione: bocciato dalla Commissione europea un progetto da 50 milioni di euro, si è parlato di un altro che dovrebbe costare la metà. Il finanziamento da 25 milioni di euro però doveva arrivare dall’Europa passando proprio dalla Cittadella, ora invece non lo si potrà certamente destinare a un privato. Per non parlare del mitologico collegamento «multimodale» tra stazione ferroviaria e aeroporto, un ultimo miglio di cui si parla da anni e che ancora è solo sulla carta.
La scalata agli aeroporti calabresi
Alla luce di questo quadro non proprio edificante, il rimpallo di responsabilità della classe dirigente che guida la Calabria da due anni risulta un’ulteriore beffa. La scalata dei privati è avvenuta nel momento in cui la governance della Sacal e quella della Regione erano appannaggio della Lega, che a quanto se ne sa è ancora oggi un’alleata di ferro di Occhiuto (con tanto di rappresentanza in Giunta e Presidenza del consiglio regionale già aggiudicata) e addirittura ora, con un certo sprezzo del ridicolo, «plaude» alla sua «azione di chiarezza» parlando di «malaffare» e di «lobby di potere» su una Sacal che sostanzialmente ha finora governato tramite i suoi uomini.
Un fuggi fuggi indecoroso di fronte a uno scandalo enorme. Nessuno può dire di essersi accorto solo adesso degli «strani accordi» che hanno fatto finire in mano privata un settore di enorme interesse strategico per l’intera regione. E nessuno può negare che nel recente passato siano scattate inchieste e misure cautelari per molto meno.
Ci sono molti modi per privatizzare una società pubblica. Ne abbiamo viste di ogni colore e risma nel nostro Paese: dal nocciolino duro (Telecom) ai capitani coraggiosi (Alitalia). Per non parlare delle privatizzazioni ripubblicizzate con plusvalenza per i privati, sul modello autostradale. Eppure, mai prima era accaduto di veder portare a compimento una privatizzazione inconsapevole, una sorta di cessione della maggioranza della proprietà pubblica a propria insaputa.
È accaduto così con la Sacal, la società regionale che gestisce gli aeroporti del territorio calabrese.
Sacal, il socio privato conquista terreno senza sforzi
Era stato deciso un aumento di capitale che ha visto i soci pubblici lasciare inoptate le quote, che sono state a quel punto acquisite da un socio privato. L’azionista privato a quel punto ha conquistato senza colpo ferire la maggioranza della società. E senza nemmeno pagare il sovrapprezzo che è normale venga valutato, e corrisposto, quando un soggetto acquisisce il potere di controllo su una impresa.
Privatizzazione a propria insaputa
Quali sono le conseguenze di questa privatizzazione a propria insaputa? Si tratta innanzitutto di una procedura per così dire insolita, che ha escluso il mercato da qualsiasi contendibilità. Solo gli azionisti presenti al momento dell’aumento di capitale potevano difatti optare le azioni dell’aumento di capitale. È stata evitata in questo modo ogni forma di pubblicità e di trasparenza. Si è creato il cerchio magico della possibile cessione della proprietà ai privati.
Sacal, una privatizzazione da oligarchia postsovietica
Procedere ad una privatizzazione chiusa al mercato è stata la prima anomalia. Nessuna forma di partecipazione di terzi alla operazione era possibile. E dunque è come se si fosse operato entro un recinto chiuso di interessi. Già questo fatto delinea gli elementi di una privatizzazione oligarchica, sul modello di quelle che sono state realizzate nella confusione post-sovietica degli anni Novanta del secolo passato.
Un capitalismo amorale e familistico
La seconda incredibile modalità, coerente con un capitalismo amorale e familistico, è stata quella di cedere la maggioranza delle azioni, non sottoscrivendo i soci pubblici l’aumento di capitale, senza riscuotere in questo modo il valore del premio per la maggioranza stessa.
In questo caso siamo in presenza di un regalo vero e proprio, costruito nella forma di mancata sottoscrizione delle azioni da parte delle istituzioni pubbliche che fanno parte della compagine societaria. Una smemoratezza degna di approfondimento politico e legale.
Infine, e non è questione irrilevante, la Sacal è una società concessionaria dello Stato che gestisce aeroporti. In quanto tale, è soggetta ad obblighi di trasparenza verso il concedente. Per questa ragione Enac ha sporto denuncia.
Il precedente che mancava
Il panorama italiano delle privatizzazioni, che già non presentava un pedigree particolarmente felice, si arricchisce ora di una perla di cui non si sentiva francamente il bisogno.
Gli aeroporti sono un tassello strategico per la mobilità e la competitività di un territorio. Ancora una volta la Calabria rischia di fare l’ennesimo autogol. A segnare stavolta è un azionista privato che si frega le mani per l’affare che ha realizzato. Una stupidità così palese non si era mai vista da parte di un azionista pubblico. Al punto tale che è legittimo avanzare sospetti di interessi inconfessabili. Lo vedremo nelle prossime puntate di questa brutta storia.
Cinquantuno famiglie cosentine perdono la principale fonte di reddito. Operatori sociosanitari, centralinisti, amministrativi e ausiliari della RSA San Bartolo e della clinica Misasi stanno per essere licenziati. Garbati ma freddi e risoluti, appena subentrati alla vecchia proprietà, nelle strutture che hanno rilevato dai Morrone, i Greco hanno fatto subito sapere che l’aria sarebbe cambiata. Com’è noto, nel tempo hanno sviluppato una singolare competenza nel correre non solo al capezzale dei pazienti, ma anche delle aziende in coma.
Così i nuovi amministratori si sono affrettati a chiarire al personale sanitario che non avrebbero guardato in faccia nessuno e non si sarebbero lasciati condizionare da eventuali protezioni parentali. Soprattutto, i Greco avrebbero preteso l’allineamento della qualità delle prestazioni agli standard, secondo loro elevati, delle altre cliniche di cui sono proprietari. Prodigi della “società liquida”: una potente famiglia contro il familismo.
La clinica Misasi a Cosenza, ceduta di recente dalla famiglia Morrone al gruppo iGreco
Cinquantuno esuberi su 129 dipendenti
Pochi giorni fa questo potente gruppo, da tanti anni ai vertici di settori differenti dell’imprenditoria locale, ha annunciato 51 esuberi su 129 unità lavorative. Il personale superstite dovrà dunque gestire 45 posti di riabilitazione intensiva, 10 letti di lungodegenza medica, 60 di RSA non medicalizzata e prestazioni ambulatoriali fisioterapiche.
Le formule adottate per motivare i licenziamenti sono quelle che da sempre accompagnano i tagli dei posti di lavoro nelle aziende: “situazione di crisi”, “piano di risanamento economico”, “indispensabile riequilibrio finanziario”, “riduzione dei costi aziendali”.
Le colpe addebitate alla Regione
Secondo la nuova proprietà, le responsabilità principali, tanto per non cambiare, sono imputabili alla Regione Calabria che avrebbe effettuato «il tardivo rimborso delle prestazioni erogate negli anni che vanno dal 2002 al 2014, nonché la insufficiente remunerazione delle prestazioni relative all’anno 1995, e la continua contrazione dei budgets che non hanno consentito la copertura dei costi fissi». Nel documento inviato alle organizzazioni sindacali si ribadisce che determinanti sarebbero state «le politiche sempre più stringenti poste a base del patto di stabilità regionale».
La sede della Regione Calabria a Germaneto
E quelle dei Morrone
Secondo i Greco, i fondi pubblici sono stati ridotti, i posti letto pure, ma il personale è rimasto ai livelli di prima. Quindi, bisogna tagliuzzarlo. Ci sarebbero poi gli errori commessi dai Morrone: «Le altre cause che hanno concorso a determinare il dissesto finanziario – si legge nel documento – sono addebitabili alla errata previsione di un investimento immobiliare, ovvero all’acquisizione di un terreno in permuta nel comune di Cosenza su cui realizzare la struttura immobiliare da adibire a Casa di cura».
L’operazione doveva essere effettuata in virtù di un cospicuo credito d’imposta, ma in seguito un provvedimento normativo ne avrebbe limitato la fruizione, «sicché non era più possibile, considerate le restrizioni temporali, completare l’opera progettata. A tal punto, per non disperdere le opere murarie realizzate, si decise di convertire il progetto originario in un intervento di edilizia residenziale da destinare al mercato immobiliare. Tutto ciò generava dei forti ritardi nella realizzazione dell’opera (…), causando inadempienze contrattuali nell’assegnazione degli immobili da attribuire ai venditori del terreno concesso in permuta e determinando delle forti penali da corrispondere ai cedenti il terreno. Il suddetto processo fu l’inizio di un sistemico ed inarrestabile ciclo d’indebitamento che ha innestato, a sua volta, una incontrollabile crisi finanziaria».
Il ritorno degli ospedali riuniti?
Insomma, secondo i Greco, galeotte furono l’ennesima avventura edilizia e un’altra disastrosa operazione immobiliare che i Morrone realizzarono acquistando un edificio a Diamante. Di fronte a dati così oggettivi, ci sarebbe ben poco da ribattere. Eppure, in una lettera aperta, un gruppo di lavoratrici e lavoratori fa notare che «il nuovo colosso iGreco si espande ed è pronto ad acquisire l’ex palazzo della Banca Carime a Vaglio Lise, proprio lì dove sorgerà il nuovo ospedale», caldeggiando così le ipotesi degli analisti di politica cittadina, che vedono una convergenza di interessi tra il blocco di potere politico che sostiene la nuova amministrazione comunale e gli imprenditori della sanità privata.
La leghista Simona Loizzo
Riprenderebbe fiato il programma di centralizzazione delle strutture al momento gestite da iGreco. Cioè il vecchio progetto di ospedali riuniti che avrebbe dovuto trovare una location nella zona nord dell’area urbana. Stavolta troverebbe pure la benedizione di nuove figure del quadro politico regionale, come la leghista Simona Loizzo, da sempre estimatrice del marchio iGreco.
I sindacati non si fidano
Critici e guardinghi i sindacati. «Come mai – si chiede Ferdinando Gentile, dell’USB – di questa situazione si sono accorti solo adesso? La procedura di concordato preventivo, avviata dalla precedente proprietà, forniva un quadro realistico. Prima di subentrare alla vecchia proprietà, una visura camerale i Greco l’avranno fatta. È chiaro che l’annuncio dei licenziamenti pone due condizioni: o la Regione destina più fondi o i lavoratori e le lavoratrici accettano contratti mortificanti per loro e meno onerosi per l’azienda. Il piano prevede anche un taglio secco di portinai e centralinisti, come se in strutture delicate come queste non ce ne fosse bisogno».
Licenziamenti entro Natale
Serratissimi i tempi per le procedure di licenziamento, che si chiuderanno entro 45 giorni. Entro una settimana, l’esame congiunto al quale parteciperanno i sindacati, poi le carte passano all’ispettorato. «Già per il prossimo 15 novembre i Greco hanno convocato i dipendenti – prosegue Gentile -. Li metteranno di fronte a scelte già fatte. Così pagano i lavoratori per gli interessi di due famiglie. Non dimentichiamo che i soldi che permettono alle cliniche private di funzionare sono privati solo sul piano nominale. In realtà, provengono da casse pubbliche. Non ci possiamo permettere licenziamenti in questa drammatica fase storica. Chiediamo che la Regione e il Comune intervengano. Se questi licenziamenti avverranno, potrebbe essere l’inizio della macelleria sociale in Calabria».
L’intreccio perverso
Emerge dunque quanto perverso sia l’intreccio tra sanità pubblica e privata. La seconda si è nutrita delle risorse disponibili per la prima, fino a quando la pubblica non è andata in crisi totale. Come accade in ogni sistema costruito su rapporti patologici, anche il parassita, alla fine, soccombe insieme al corpo che lo ha ospitato. È molto improbabile che il nuovo commissario alla Sanità, il presidente della Regione Roberto Occhiuto, in considerazione dei suoi trascorsi e soprattutto delle sue ferme convinzioni neoliberiste, possa restituire risorse alla sanità pubblica calabrese.
Luciano Moggi
Luciano Moggi è stato evocato da iGreco nelle trattative della scorsa estate per l’acquisizione, poi sfumata, del Cosenza Calcio. C’è chi con malizia fa notare che il presunto sistema Moggiopoli, nonché il suo abbraccio mortale che fece franare gran parte dei vertici del calcio italiano del secolo scorso, rischia di riproporsi nell’organizzazione dei servizi alla salute dei calabresi. Come prendere la sanità, già agonizzante, a pallonate.
I segnali del dopo voto calabrese, non sono rassicuranti, con una campagna elettorale, da poco chiusa, durante la quale si sono manifestate poche nuove esperienze, scarsissime azioni elettorali innovative, al contrario abbiamo visto i soliti volti, soliti slogan, soliti simboli.
Qualche guizzo, ma nessuna avventura collettiva
Pochissimi quindi i segni di una di rinnovata passione politica, così che il dopo voto consegna allo scenario calabrese lo schema consolidato destra-sinistra con i due blocchi storici che alternano alla guida del territorio volti già noti.
Qualche guizzo, ma nessuna nuova avventura collettiva da vivere come cambio di rotta, nella Calabria da cui fuggiamo e alla quale ritorniamo, che ogni volta ci abbraccia con affetto, oppure ci soffoca con forza, in cui, insieme, cerchiamo di intravedere un futuro-presente che spalanchi la via di un sogno, non già di altri incubi.
Serve fantasia per immaginarsi presidente dei calabresi
Seguendo con attenzione i segni delle prime elezioni post Covid, ciò che da subito ho pensato è che essere eletti presidente della giunta regionale della Calabria, o sindaco di Cosenza, con percentuali di votanti così scarse, deve essere sconsolante e deve porre molte domande. Insomma, ci vorrà un bel po’ di fantasia per immaginarsi presidente di tutti i calabresi -o il sindaco di tutti i cosentini-. Così come lo è assumere queste cariche dopo quasi due anni di pandemia, alle porte di una stagione di risorse che dovrebbero (ripeto dovrebbero!) cambiare gli equilibri tra Sud e Nord.
Una Calabria peggiore dopo la pandemia
Il Covid ha prodotto, nei fatti, una severa discontinuità, ancora poco visibile, ma che già lascia intravedere, in modo più che palese anche nell’aumento dell’astensionismo, un dover ripartire con una più incisiva azione politica dal basso, il ridare fiducia ai tanti delusi, azzerando schemi consolidati e rimettendo ancora di più in discussione i partiti e le loro decotte organizzazioni, approcciando la quotidianità delle azioni di “ricostruzione” del dopo Covid, attraverso un nuovo equilibrio di relazioni tra potere e cittadini.
Non mi pare quindi che la vittoria consegni, oltre il giusto entusiasmo dei vincitori, la solita Calabria di due anni fa, ma una terra addirittura peggiore, incattivita, deteriorata ad ogni livello perché la debolezza strutturale cronica è stata vieppiù minata dalla pandemia.
Ristabilire il rapporto di fiducia con i cittadini
Una terra, in triste sintonia con tutto il Sud, che ha perso ormai milioni di giovani in fuga, e prosegue una desertificazione demografica di centri e città che pone seri dubbi sulle politiche nazionali e regionali, tutte -nessuna esclusa- fallimentari. Perciò mi chiedo se sia stato colto che, oltre i normali compiti istituzionali, e, tra le varie promesse, come quella più grande di rimettere in piedi la sanità, sarà invece importante, prima di ogni cosa, sforzarsi di ricostruire il frantumato rapporto di fiducia con i cittadini, mettendo in atto tentativi poderosi di ricostruire una coesione sociale, che soprattutto in Calabria, al Sud, è il male più grande per un riequilibrio demografico ed economico-sociale.
A lezione di educazione civica
Non basterà quindi ben governare, ammesso ve ne siano le capacità, ma sarà determinante rimettere in sesto le basi democratiche e strategiche della regione. Tutto questo anche con un nuovo percorso di “educazione civica”, assente del tutto, stante la necessità di ricucire i conflitti sociali generati della mancanza di lavoro e risorse. Altresì per prepararsi alle prossime imponenti sfide della riduzione dell’inquinamento, alla risoluzione del cronico degrado ambientale causa dei rifiuti urbani, del traffico e dell’inquinamento. È un regione dove ovunque, città o piccolo centro, per andare a prendere un caffè e percorrere pochi metri, si usa l’automobile e in cui il trasporto pubblico è fatto di meteore e pianeti disconnessi per territori satelliti, fuori da ogni logica di rete.
Preparare con serietà un contributo calabrese alla transizione ecologica, e avviare azioni di rinnovamento profondo dei territori, non sarà pertanto cosa facile e spero di ciò ci si renda conto.
L’utopia dell’ascolto contro i burocrati
Scendere dal piedistallo, dunque, uscire dagli stantii uffici dei burocrati regionali e locali, per stare tra la gente di Calabria, sentire i bisogni veri della regione, dei comuni, condividere le nuove scelte con i cittadini, farli partecipare tutti all’azione di governo e crescere su un progetto comune di sviluppo sostenibile. E poi il pianificar facendo, ovvero tracciando una necessaria visione dei territori al futuro, non più fintamente moderna, ma contemporanea, con tutte le sue potenzialità latenti: costruendo il nuovo e guardando al futuro con significative, diffuse, azioni mirate al cuore dei problemi principali, con tempi certi.
Preparare gli amministratori
Occorre infine preparare i sindaci, tra tutti, poi i cittadini e le imprese, alla stagione di attrazione di nuovi finanziamenti del Pnrr e dei Fondi nazionali e comunitari, senza seguire nell’improvvisare, bensì con un percorso che dia spazio ad un’adeguata, necessaria progettazione di alto profilo, non solo di impronta tecnica, ma di originalità, qualità, inventiva, capace di rispondere alla soluzione delle vere esigenze delle comunità locali così come nel disegnare una nuova Calabria.
Basta logiche da ex Cassa del Mezzogiorno
Solo in tal modo potremmo risparmiare la solita pioggia di denaro stile ex “Cassa del Mezzogiorno” e regalie per consolidare potentati, al contrario mirare ad una adeguata elaborazione per il territorio, l’insieme dei centri e delle città, per riprendere un più grande e annoso tema calabrese, quello del decoro urbano, capace di opporsi al degrado inarrestabile che ha assunto dimensioni imbarazzanti per chi, con occhi attenti, attraversa la regione in lungo e largo.
Stop ai vecchi progetti nei cassetti
Bisogna dismettere il solito metodo di recuperare dai cassetti progetti già fatti e mai stati buoni per nessuna delle stagioni, ma adeguando le proposte ai traguardi comunitari: l’abbattimento degli inquinanti nel 2050, non con qualche incentivo per auto elettriche, né con i pochi bonus energetici per edifici che ben altro richiedono in Calabria, gli adeguamenti sismici, di decoro, sanitari, ambientali, non potendo seguire vivendo ad alta intensità energetica, cambiando le nostre pessime abitudini di consumatori. E ancora avviare una lunga stagione di riciclo dei rifiuti, tornare al cibo di prossimità, ripensare il bello al posto del brutto (a partire dalle case che sempre più saranno il “guscio” accogliente), definire un’intelligente mobilità che si faccia carico di definire una rete sostenibile di collegamenti, e al contempo abbattere la vasta impronta ecologica dei calabresi, tra rifiuti e traffico veicolare, elevatissima e per nulla percepita come problema.
Sarebbe bello, nei prossimi mesi, essere stupiti, smentiti, sorprendersi per una stagione di qualità, un manifesto di diffusa bellezza, una ripresa di cultura dei luoghi e nei luoghi. O ancora sorprendersi per una riaffermazione del sapere sull’arroganza e ignoranza, una diffusione capillare nella regione della ricerca e dell’innovazione con vere reti internazionali. E poi dimenticare vuoti slogan, promesse, illusioni attraverso concrete azioni di una politica visionaria e al contempo vicina alla soluzione dei problemi, che ridia fiducia ad un popolo stanco e senza speranze.
G. Pino Scaglione professore di Progettazione Urbana (Università di Trento)
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