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  • Regione, gli assessori per “conto terzi” e l’enorme potere di Roberto Occhiuto

    Regione, gli assessori per “conto terzi” e l’enorme potere di Roberto Occhiuto

    Calma, calma, non alimentiamo facili populismi e non cediamo alle semplificazioni più becere e scontate: non esistono prestanome e in piedi non c’è alcun teatro con tanto di pupi e pupari. Sarebbe scorretto soltanto pensarlo. Epperò, una qualche chiave interpretativa sulla nascita della Giunta Occhiuto bisogna tentare di inserirla nella toppa di questa generale confusione istituzionale.

    Proviamo a sintetizzare: il governatore, a parte due soli casi, potrebbe contare su tanti assessori “alexa”, nel senso che – con ogni probabilità – a comando devono giocoforza rispondere con una certa sollecitudine. Forse, però, i boomer (persone mature, diciamo così), che spesso ignorano i vantaggi offerti dall’assistente vocale di Amazon, avranno qualche difficoltà a capire di cosa parliamo. Un’altra definizione, allora. Ecco: Occhiuto, secondo un’idea parecchio diffusa tra gli addetti ai lavori, avrebbe nominato assessori “per conto terzi”. L’espressione è tratta dal burocratese applicato ai trasporti ma, probabilmente, rende meglio il concetto in questione.

    Cinque esterni alla Regione

    Andiamo dritti al punto: il presidente della Regione, a novembre, circa un mese dopo la straripante quanto scontata vittoria elettorale, ha varato la sua squadra di Governo, composta inizialmente da sei assessori, a cui in seguito se ne è aggiunto un settimo. Tra loro, solo due sono stati pescati dal Consiglio regionale: Gianluca Gallo (Fi, quasi 22mila voti) e Fausto Orsomarso (Fdi, 9mila).
    Tutti gli altri sono componenti esterni al parlamentino calabrese, dunque non eletti e non premiati dal corpo elettorale: Giusi Princi, vicepresidente con tanto così di deleghe (Istruzione, Lavoro, Bilancio, Città metropolitana di Reggio); Tilde Minasi (Politiche sociali); Rosario Varì (Sviluppo economico e Attrattori culturali); Filippo Pietropaolo (Organizzazione e Risorse umane); e poi, appunto, l’ultimo arrivato, Mauro Dolce (Infrastrutture e Lavori pubblici).

    Chi sono costoro? Alcuni erano sconosciuti al grande pubblico fino al momento della nomina, altri si erano candidati senza successo alle ultime Regionali o avevano avuto qualche discreto successo nelle rispettive attività lavorative o professionali.
    Una cosa accomuna tutti gli esterni: il fatto di essere stati sponsorizzati o – se vogliamo rimanere nella metafora trasportistica – l’aver ottenuto l’autorizzazione dei proprietari dei carichi, che non hanno mai smentito, anzi, il loro ruolo attivo nella formazione della Giunta.

    Questi assessori sono offerti da…

    Partiamo dalla vice di Occhiuto. Princi è stata una dirigente scolastica che, alla guida del Liceo scientifico “Vinci” di Reggio, ha riscosso un buon successo personale. Preparata, affabile e, nella maggior parte dei casi, apprezzata da studenti e genitori. Questo curriculum, per quanto brutalmente riassunto, può bastare a giustificare la sua presenza nel Governo della Regione, perdipiù con un portafoglio di deleghe da far impallidire anche il più scafato degli amministratori pubblici?
    Senza nulla togliere alla vicepresidente, in Calabria tanti altri dirigenti scolastici, stando così le cose, avrebbero potuto ambire a quel ruolo. La discriminante è un’altra e si chiama Ciccio Cannizzaro, deputato di Forza Italia (il partito di Occhiuto) e, soprattutto, cugino di Princi. Il parlamentare azzurro è insomma riuscito a replicare quanto fatto nella scorsa legislatura, quando impose il nome di Domenica Catalfamo all’allora presidente Jole Santelli.

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    Gli assessori Princi e Dolce

    Avvocato con impegni lavorativi a Roma, con un lontano passato da assessore a Vibo, Varì è invece tornato in Calabria e ha assunto l’incarico in Cittadella grazie all’appoggio del numero uno di Fi Calabria, Giuseppe Mangialavori. Tra il senatore e Varì esiste infatti un forte legame di amicizia coltivato fin dall’adolescenza.
    Le ricostruzioni ricorrenti, anche queste mai smentite, riportano che pure altri due assessori, sebbene politici di medio-lungo corso, sarebbero stati “raccomandati” con calore dai big dei rispettivi partiti. È il caso di Minasi, indicata dal leader della Lega Matteo Salvini, e di Pietropaolo, benedetto dalla commissaria regionale di Fdi Wanda Ferro.
    Sia Minasi, sia Pietropaolo, si erano candidati alle elezioni dello scorso ottobre senza essere rieletti. I calabresi, con il loro voto, hanno cioè stabilito che non dovessero rappresentarli nelle istituzioni regionali.

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    Tilde Minasi con Matteo Salvini

    Bertolaso rifiuta la Regione

    Dolce merita un discorso a parte. Pare che Occhiuto, nelle settimane precedenti al varo della Giunta, fosse in cerca di un nome altisonante per la sua squadra. Secondo alcuni (i soliti maligni), per camuffare il livello non proprio altissimo degli altri assessori; secondo altri (forse ancora più maliziosi), per scimmiottare la stessa Santelli, che in Cittadella era riuscita a far arrivare personaggi del calibro di Capitano Ultimo, Sandra Savaglio e, alla Film commission, Giovanni Minoli (tutti con risultati piuttosto controversi, ma questo è un altro discorso).

    Il governatore avrebbe dunque corteggiato a lungo il feticcio per eccellenza del berlusconismo, Guido Bertolaso. L’ex capo della Protezione civile, in un primo momento, si sarebbe fatto convincere, per poi gradualmente richiudere la porta di casa, lasciando Occhiuto interdetto e con i piedi ancora sullo zerbino. Indiscrezioni di stampa avevano però fatto trapelare la trattativa, e a quel punto l’ex capogruppo di Fi alla Camera non poteva certo permettersi di fare una figura barbina, peraltro causata da un tecnico della propria area politica.

    E così, si dice negli ambienti della politica, Bertolaso, per farsi perdonare il gran rifiuto, avrebbe suggerito la nomina di Dolce, con cui aveva collaborato gomito a gomito ai tempi della Prociv. Curriculum di tutto rispetto, quello del prof della “Federico II” di Napoli, «un uomo – ha commentato lo stesso Occhiuto – che negli anni ha coordinato e gestito tante emergenze, uno specialista in lavori pubblici, un ricercatore e uno studioso con alle spalle innumerevoli e pregnanti esperienze». A lui toccherà la funzione di «raccordo tra la Regione e i Ministeri per il Pnrr». Un ruolo che, tuttavia, forse il governatore avrebbe voluto affidare a Bertolaso e non a quello che in molti ritengono un «sostituto», per quanto super competente.

    Oliverio e la riforma

    Bisogna sottolineare che questa apertura estrema a figure sponsorizzate da terzi e, sostanzialmente, sconosciute agli elettori, non è un’invenzione di Occhiuto, ma di quel gran riformatore di Mario Oliverio. L’allora presidente della Regione, siamo nel gennaio 2015, come primo atto della legislatura pensa bene di far approvare dal Consiglio una legge di modifica dello Statuto regionale. Prima del suo intervento, gli assessori esterni potevano essere al massimo tre, dopo la riforma fino a sette, cioè tutti.

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    Carlo Guccione e Mario Oliverio festeggiano dopo la vittoria alla Regionali: il primo sarà nominato assessore sull’onda dei risultati elettorali per poi essere sostituito in Giunta da un esterno in seguito a Rimborsopoli

    Oliverio segue un suo disegno. Dopo l’inchiesta Rimborsopoli, in cui erano rimasti coinvolti gli assessori della sua prima Giunta, il governatore azzera tutto e nomina un esecutivo composto di soli membri esterni. Le ragioni di questa scelta sono in qualche modo legate anche alla riduzione dei membri del Consiglio regionale, passati da 50 a 30, così come deciso dal Governo Monti. Il taglio, per i politici calabresi, è un trauma terribile, dal momento che vengono a mancare, non proprio dalla sera alla mattina, 20 ben comode poltrone. Grosso guaio. Oliverio lo attenua con la modifica dello Statuto e, per effetto conseguente, aumentando per sette i posti/costi della Regione. Alla faccia della spending review.

    Col senno di poi, è certamente interessante, oltreché istruttivo, ricordare in che modo venne bollata l’operazione da uno degli allora maggiorenti di Fi, Mimmo Tallini: «Una riformicchia che serve solo a sistemare i conflitti interni al centrosinistra». Curioso che, sei anni dopo, a trarre benefici dalla «riformicchia» sia stato l’azzurrissimo Occhiuto, che per questa via ha trovato la quadra e con i compagni di partito e con gli alleati.

    La differenza

    Bisogna intendersi: la nomina di assessori esterni non è certo un unicum della nostra regione e in linea teorica è perfino auspicabile, perché un presidente ha il diritto/dovere di scegliere gli uomini che ritiene più adatti per realizzare il proprio programma di governo. Il punto cruciale, a parte l’esagerato quantum di membri non eletti, ha tuttavia a che fare con la democrazia stessa. Che peso politico possono mai avere assessori nominati in ossequio a queste liturgie? Mettiamo il caso che uno di loro entri in rotta di collisione, per una qualsiasi questione, con il proprio dante causa: quest’ultimo, fautore della nomina, potrebbe cambiare repentinamente idea e chiedere un cambio in corsa a Occhiuto.

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    Gianluca Gallo (FI), eletto in Consiglio regionale con più di 20mila preferenze

    Questo perché i politici “alexa” (abbiate pazienza, boomer) di fatto non possiedono alcun potere contrattuale; il medesimo potere che facilita la pronuncia di quei «no» che, nell’azione di governo, spesso sono doverosi e necessari, nella logica dei pesi e contrappesi che reggono ogni democrazia. La differenza con gli assessori eletti è lampante. Gallo, ad esempio, è stato legittimato – tanto legittimato – dal voto popolare e il governatore avrebbe il suo bel da fare per levarselo di torno nel caso in cui si mettesse a fare ostruzione rispetto a certe politiche, a certe iniziative, a certe, magari, esagerazioni amministrative.

    Un enorme potere

    Occhiuto, invece (grazie a Oliverio), dispone di un potere pressoché enorme anche per via della presenza dei “conto terzi”, sostituibili in un battibaleno perché in possesso solo della fiducia (rivedibile) di chi li ha indicati e non di quella popolare. Non è questione da poco, in una terra in cui il presidente di Regione è anche capo assoluto della sanità (e dei fondi correlati, più di quattro miliardi), gran signore della programmazione europea e dominus del Pnrr.

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    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Un governo di assessori autonomi, in questo contesto, non guasterebbe di certo. Calma, di nuovo: non si può affermare con certezza che gli esterni non lo siano. Allo stesso tempo, in linea di principio, non si può nemmeno escludere che, durante le riunioni di Giunta, vengano pronunciati ordini e non illustrate proposte. Cose tipo «Alexa, cambia canale». Perfino i boomer intravedono i rischi di una tale situazione.

  • Ne resterà sempre qualcuno e si chiamerà Gentile

    Ne resterà sempre qualcuno e si chiamerà Gentile

    I Gentile non si creano, i Gentile non si distruggono, i Gentile si trasformano. E ritornano, eccome se ritornano.
    Prendiamo Andrea Gentile, ripreso di recente dalle telecamere del Tg3 davanti a Montecitorio.
    Il giovane avvocato cosentino, noto per una lunga serie di consulenze, dentro e fuori regione, è riuscito a entrare a Montecitorio in seguito alla vittoria di Roberto Occhiuto alle Regionali di ottobre.
    Infatti, Andrea si era candidato alla Camera nel 2018 nella lista di Forza Italia ed era stato travolto dallo tsunami grillino.

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    Andrea Gentile, figlio di Tonino e deputato di Forza Italia

    L’eclisse dei fratelli Gentile

    Due anni dopo, si verificò la massima eclissi per la sua famiglia, che fu assente in maniera totale dalle istituzioni per la prima volta dagli anni ’90: zio Pino non fu eletto in Regione, papà Tonino non era in Senato da oltre due anni e la cugina Katya non era più a Palazzo dei Bruzi.
    Poi, la scomparsa prematura di Jole Santelli rimescola le carte: Katya, grazie anche al formidabile aiuto di papà Pino, fa il pieno di voti e diventa la donna più votata in Regione, Roberto lascia la Camera e i Gentile tornano in versione 2.0: non più fratelli, bensì cugini, ma con ruoli simili a quelli dei rispettivi papà.

    Piccoli scandali, grandi consensi

    Una leggenda metropolitana tramanda che i fratelli Gentile furono di fatto costretti a lasciare il Pdl nel 2013 perché, come aveva rivelato un giornale dell’epoca, Pino era amico del magistrato che, prima di condannare Berlusconi, aveva esternato cose non proprio bellissime sull’ex Cavaliere.
    Vera o meno che sia questa storia, la scelta di mollare l’ex premier e di approdare a Ncd, il partito salva-notabili di Angelino Alfano, si dimostrò vincente: di lì a poco, (2014) Tonino Gentile sarebbe entrato come sottosegretario nel governo Renzi. Vi durò pochissimo, perché fu colpito dall’Oragate. Questa vicenda è diventata un pigro ricordo, ma allora esplose a livello internazionale e accese i riflettori sull’informazione in Calabria.

    L’Ora chiude, gli altri restano

    I protagonisti furono Andrea Gentile, finito nel mirino della Procura di Paola per la sua attività di legale dell’Asp di Cosenza, L’Ora della Calabria, il giornale fermato in tipografia quando la notizia stava per uscire, Alfredo Citrigno, l’editore del giornale, e Umberto De Rose, il tipografo accusato di aver stoppato le rotative.

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    Alfredo Citrigno bacia suo padre Piero in un’occasione pubblica

    Com’è andata a finire è noto: a Tonino è rimasto il nomignolo di “cinghiale”, De Rose è stato assolto dopo cinque anni e passa di processo. In compenso, Pino Gentile ha ottenuto la condanna per diffamazione di Piero Citrigno, papà di Alfredo ed ex editore dell’Ora della Calabria. L’Ora, invece, ha chiuso i battenti nel giro di un mese. A dispetto del fatto che l’inchiesta sui Gentile e sulla Sanità cosentina avesse spinto in alto le vendite della testata.

    Ma erano cifre insufficienti: l’Ora raggiunse al massimo 6mila copie di vendita in un giorno. Invece i fratelli Gentile erano quotati ancora attorno ai 16mila voti. Tanti elettori in una terra di grande astensione contro pochi lettori in una regione in cui si legge pochissimo… di cosa parliamo?

    De Rose è per sempre

    Ciò spiega la prudenza con cui, nel 2016, la stampa diramò la notizia della condanna inflitta dalla Corte dei Conti a De Rose per danno erariale durante la sua presidenza a Fincalabra. In particolare, al tipografo furono contestate le consulenze date ad Andrea e a Loredana Gentile. Loredana, detta Lory, è la sorella di Andrea. Sui due fratelli, che non risultano indagati nel procedimento penale legato ai fatti di Fincalabra, la magistratura contabile ha espresso giudizi diversi: Andrea non è causa di danno erariale, sia perché la sua parcella era piuttosto “contenuta” (35mila euro), sia perché con la sua attività aveva consentito un risparmio. Su Lory, invece, è emerso un dato curioso: coi suoi circa 50mila euro per un incarico a tempo determinato, la sorella di Andrea aveva causato il danno erariale.

    Lo stampatore Umberto De Rose

    Tuttavia, si affermò che la giovane Gentile avrebbe lavorato per circa 370 giorni in un anno. Un refuso marchiano o un adattamento dello spazio-tempo a misura dei Gentile?
    Come per l’Oragate, De Rose si è sobbarcato il processo, con qualche difficoltà in più: è stato prosciolto dalla Corte d’Appello di Catanzaro nel novembre 2020 dall’accusa di abuso di ufficio che gli era costata un anno e mezzo di condanna in primo grado.

    Scarpelli, l’appendice sanitaria

    Un altro gentiliano che ha passato qualche guaio è Gianfranco Scarpelli, primario di Neonatologia all’Annunziata e direttore generale dell’Asp durante l’era Scopelliti. Proprio quest’ultimo ruolo ha procurato grane giudiziarie a Scarpelli, uscito solo di recente da processi spinosi. Ma il medico cosentino non può lagnarsi: sua figlia Rita è diventata dirigente del Settore farmaceutico della Regione grazie a una determina firmata da Roberto Occhiuto in persona. Ad appena 33 anni, la giovane Scarpelli è una delle dirigenti più giovani della storia della Pa. C’è di che rincuorare papà Gianfranco per le disavventure subite.

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    Gianfranco Scarpelli è stato direttore generale dell’Asp di Cosenza

    Super Pino

    Il gentilianesimo, a Cosenza, non è una corrente filosofica ma una dottrina quasi religiosa, che si basa su un solo elemento: il consenso elettorale.
    Le cattedrali in cui si celebra questa fede, che conta tuttora oltre 9mila adepti, sono la Sanità e altre importanti centraline di spesa pubblica, come ad esempio l’edilizia popolare.
    Infatti, il nome di Pino Gentile è emerso in vari procedimenti penali legali all’edilizia pubblica, come indagato e, a volte, come imputato. C’è da dire che questi procedimenti sono prossimi alla prescrizione. Tuttavia, proprio questa situazione giudiziaria avrebbe costretto Pino a fare un passo indietro nelle ultime Regionali a favore di sua figlia.
    Comunque, questa “sostituzione” cambia poco: quando si parla di fede l’importante è pregare, a prescindere che si preghi un santo o il Padre Eterno in persona.

    Le metamorfosi di Pino

    Il gentilianesimo ha un suo dogma particolare, che richiama in maniera stramba quello della Trinità: i calabresi quando dicono Gentile pensano a una famiglia, tuttavia il capo resta Pino, che vanta oltre cinquant’anni in politica, iniziati in quella grande chiesa che era il Psi e proseguiti, salvo qualche incidente, in Forza Italia, Ncd e di nuovo Forza Italia. E una piccola parentesi come sindaco di Cosenza da indipendente eletto con il Partito Repubblicano.

    Ma restando sempre Pino, perché a un leader religioso come lui nessuna confessione può negare il ruolo di arcivescovo. Nel suo caso, di assessore regionale a oltranza nei dicasteri in cui ci sono risorse vere da gestire.
    Tonino, invece, è il cardinale. Esploso con Forza Italia negli anni ’90, è diventato subito senatore e da allora non ha più mollato Roma.
    All’apice del loro successo, i Gentile contavano oltre 20mila voti, che li rendevano forti quando erano al governo e, ancor più forti, all’opposizione, da dove potevano negoziare meglio…

    Lo scontro con gli Occhiuto

    Chi ha a che fare i due fratelli, come alleato o avversario, sa benissimo due cose: si vince se si ha un loro pensiero Gentile, si governa per Gentile concessione.
    E c’è da dire che quasi tutti hanno avuto a che fare coi Gentile sia come alleati sia come avversari.

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    Il sindaco di Cosenza Mario Occhiuto con il suo vice Katya Gentile prima di rimuoverla dalla poltrona

    Prendiamo il caso dei fratelli Occhiuto, che si rifugiarono nel Ccd e poi nell’Udc a partire dagli anni ’90, quando i Gentile li defenestrarono da Forza Italia.
    Dopo anni di guerre feroci, Mario Occhiuto divenne sindaco di Cosenza anche grazie all’apporto dei Gentle Bros, che resero Katya la consigliera più votata nelle Amministrative del 2011. Poi ci fu la rottura tra Katya e Mario.

    Quest’ultimo sopravvisse benissimo perché si rifugiò in Forza Italia assieme al fratello Roberto, approfittando del fatto che Pino e Tonino se n’erano andati con Alfano. Ma il prezzo lo pagò Wanda Ferro, candidata alla presidenza della Regione nel 2014 sotto le insegne azzurre. I Gentile non fecero coalizione ma corsero da soli. E si impegnarono parecchio, proprio contro la candidata berlusconiana, che perse in malo modo grazie alla loro campagna elettorale martellante.

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    Il posto di Katya Gentile lasciato vuoto al tavolo della Giunta di Cosenza (foto Camillo Giuliani)

    Il soccorso a Manna e Talarico

    Discorso leggermente diverso a Rende. Avversari di Sandro Principe, i fratelli Gentile furono determinanti nella prima vittoria di Marcello Manna, grazie a un listone in cui figuravano un battaglione di medici e Annarita Pulicani, moglie di Granfranco Ponzio, ex consigliere provinciale di provata fede gentiliana.
    Poi arrivò la rottura. Ma niente paura: c’è sempre qualcuno che ha bisogno dei Gentile. In questo caso, Mimmo Talarico, che tentò l’elezione a sindaco nel 2019 anche con l’appoggio dei Fratelli Terribili.
    Talarico non arrivò al ballottaggio, dove i gentiliani si ritrovarono schierati con Principe. Anche lui perse, ma pazienza: un pensiero Gentile lo aveva avuto comunque…

    Il sindaco di Rende, Marcello Manna (foto Alfonso Bombini)

    La sfida per il futuro

    Mario Occhiuto non è più sindaco di Cosenza. Roberto ha il suo da fare per gestire anche i gentiliani in Regione.
    L’unica certezza è che i Gentile, a dispetto del calo di voti, sono vivi e vegeti. A questo punto, è obbligatoria una domanda: riusciranno i cugini Gentile a perpetuare il potere dei rispettivi genitori?
    Tutto lascia pensare che il loro cognome resterà a lungo sinonimo di potere in una terra, la Calabria, che critica i potenti perché in realtà li venera e li combatte solo per potercisi accordare meglio. E resteranno a lungo anche le villone di Muoio Piccolo con le piscine a forma di ostrica. Perché, si sa, non c’è potere vero senza un tocco di kitsch.

  • Ombre rosse: la favola di Adamo ed Enza

    Ombre rosse: la favola di Adamo ed Enza

    Tra i big politici che hanno iniziato dal centro storico di Cosenza, Nicola Adamo vanta almeno un primato: è il più alto. Una sfida piuttosto facile: Ennio Morrone è di altezza media, Pino e Tonino Gentile sono decisamente bassini e Luigi Incarnato non potrebbe comunque candidarsi in una squadra di basket. Questa è una prima certezza sul leader ex comunista. La seconda certezza su Adamo riguarda i faldoni delle inchieste giudiziarie in cui è risultato coinvolto a vario titolo: se qualcuno si prendesse la briga di metterli in pila, risulterebbero decisamente più alti di lui.

    Pd, Cosenza 2022

    Non sappiamo come finirà la partita dei congressi provinciali del Pd, rinviati per i consueti casini interni a febbraio. L’unica sicurezza, ancora una volta, è che Nicola Adamo c’è e, d’accordo con Carlo Guccione, ha lanciato a Cosenza la candidatura del giovane Vittorio Pecoraro. Il tutto, dopo aver negoziato un sì scontato alla candidatura di Nicola Irto alla segreteria regionale e a dispetto della lite furibonda di novembre col malcapitato Italo Reale, il presidente della commissione per il tesseramento del Partito democratico.
    Questi brevi cenni dovrebbero far capire una cosa: passano i decenni, passano le inchieste, ma Adamo resiste.

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    Enza Bruno Bossio e Vittorio Pecoraro prima del comizio di Enrico Letta a Cosenza (foto Alfonso Bombini) – I Calabresi

    Onda araba

    I tempi in cui l’ex mattatore del Pci faceva il pieno di voti sono lontani. Dopo le disavventure dell’era Scopelliti, Adamo ha capito che è meglio fare il “padre nobile” dietro le quinte che mettere la faccia nelle contese, tanto più che c’è chi lo fa per lui: sua moglie Enza Bruno Bossio.
    L’Adamo degli ultimi otto anni ricorda l’ultimo Gheddafi, che non aveva più ruoli pubblici nello Stato e nell’esercito libico e tuttavia gestiva le sorti della Libia dalla sua tenda nel deserto. E forse questa similitudine, più di ogni altra cosa, fa capire come il termine “democratico”, nel partito di Letta, molte volte sia solo un aggettivo.

    Amore e potere

    Quello tra Enza Bruno Bossio e Nicola Adamo è un amore politico cementato dalla militanza e sublimato dal potere. Quando i due si conobbero – tra l’altro in maniera burrascosa, come tramandano alcuni sapidi pettegolezzi – esistevano ancora il Pci, dove lui si era fatto le ossa, e la sinistra indipendente o “extraparlamentare”, da dove proveniva lei, che aveva esordito col gruppo del Manifesto. Più che una coppia, Nicola ed Enza sembrano una staffetta.

    In una prima, lunghissima fase, lui ha macinato elezioni e incassato incarichi istituzionali mentre lei si è dedicata al management nell’informatica e nelle telecomunicazioni.
    Poi è esplosa Why not, la maxi inchiesta di Luigi de Magistris, e la parabola di Adamo entra in fase discendente. Non è il caso di soffermarsi su polemiche e dietrologie vecchie: l’inchiesta, in cui era coinvolta anche Enza, è finita in nulla, ma si è rivelata comunque una mazzata forte a livello politico e d’immagine. Soprattutto, costrinse una parte del Pd calabrese, fresco di nascita, a mutare atteggiamenti di fronte alle inchieste giudiziarie e ad assumere atteggiamenti garantisti simili a quelli di Forza Italia.

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    Nicola Adamo ed Enza Bruno Bossio ai tempi di Why Not

    Adamo, nel frattempo, ha rotto anche con Mario Oliverio, ha suicidato il centrosinistra alle Amministrative di Cosenza del 2011 ed esce dal gruppo del Pd in Regione.
    La pace con Oliverio, siglata a partire dal 2012, ha un costo politico: l’elezione di Enza in Parlamento. Già: qualcuno che tenga un piede nelle istituzioni in famiglia serve sempre, perché in democrazia il potere puro non si giustifica.
    Il passaggio di testimone è celebrato nelle elezioni politiche del 2013, a dispetto del fatto che l’avvento di Renzi riduce un po’ gli spazi per gli ex comunisti, ed è confermato nel 2018, quando Bruno Bossio sopravvive allo tsunami grillino, che travolge tutti ma soprattutto il Pd, bollito ovunque e a rischio evaporazione in Calabria.

    Nicola Adamo contro le toghe

    Nel frattempo, Nicola sopravvive a ben altro. Esce da Why Not nel 2016, ma entra in altre quattro inchieste: Eolo (2012), che passa da una Procura all’altra e finisce praticamente in prescrizione; Rimborsopoli (2015), Lande desolate (2019), da cui viene prosciolto per non aver commesso il fatto, e Rinascita Scott (2019), tuttora in corso. Le uniche conseguenze per l’ex vice di Agazio Loiero sono piccole misure cautelari, tra l’altro revocate a velocità lampo. In pratica, dei graffietti.

    L’opinione pubblica, italiana e calabrese, non è più quella di Tangentopoli e dei tempi delle prime inchieste di de Magistris. Non è un caso, allora, che Nicola ed Enza contrattacchino alla grande, con esposti al Csm e polemiche furibonde a mezzo stampa.
    Il risultato è un pari: nessuno tocca i magistrati (soprattutto quando si chiamano Gratteri) e i due restano al loro posto, dove continuano a passarsela bene.

    Una geometria trasversale e variabile

    Meno grosso di quello dei Gentile, il pacchetto di voti di Nicola Adamo è comunque resistente e capace di condizionare gli equilibri politici del centrosinistra e non solo. Lo si è visto in occasione della diatriba con Mario Oliverio, la cui leadership fu prima incrinata e poi rafforzata da Adamo.
    Ma lo si vede anche dal rapporto con Carlo Guccione, se possibile più burrascoso di quello con l’ex governatore. Ora che vanno d’accordo, Adamo e Guccione condizionano Cosenza, tornata al centrosinistra dopo i dieci anni di Occhiuto.

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    Carlo Guccione e Nicola Adamo nella segreteria di Iacucci durante le ultime elezioni regionali (foto A. Bombini) – I Calabresi

    Ma in realtà il rapporto è triangolare: nel 2011 Adamo diede una prova di forza contro Guccione e Oliverio, che non riuscirono a sostenere adeguatamente Paolini; nel 2014 Adamo e Oliverio spinsero alla grande su Guccione che, grazie anche ai voti di entrambi, risultò il consigliere regionale più votato.
    Ora, con l’eclissi del sangiovannese, i due cosentini sono padroni del campo e mirano a rafforzarsi in provincia. Anche a dispetto del fatto che il Pd continua a perdere consensi. Non importa, in altre parole, che la casa sia piccola: l’importante è che ci stiano bene loro.

    Il futuro

    È difficile capire, al momento, se Enza Bruno Bossio riuscirà a tornare a Montecitorio, dove comunque ha dato prova di attivismo.
    Certo, grazie al taglio dei parlamentari passato a furor di popolo nel 2019, gli spazi elettorali sono minori. Ma c’è da dire che la famiglia Adamo ha dimostrato che la politica, a volte, può essere l’arte dell’impossibile.
    Soprattutto, gli Adamo hanno dimostrato di essere una famiglia resistente. Anche all’infedeltà di Nicola, che a suo tempo ha fatto il giro d’Italia.
    Finché morte non li separi, nel loro caso, può non essere solo un modo di dire.

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    Nicola, Enza, figli e figliocci (politici) al seggio qualche anno fa: sulla destra l’attuale capogruppo deo Pd in consiglio comunale a Cosenza, Francesco Alimena (foto C. Giuliani) – Calabresi

    Perciò i cosentini stiano tranquilli: il centro storico potrebbe spopolarsi del tutto, ma resterebbe comunque un primo circolo del Pd dominato da Adamo e Bruno Bossio e capace di condizionare la città. Ancora: potrebbe finire tutta l’informazione cartacea, ma Nicola resisterebbe imperterrito con la “mazzina” di quotidiani sotto il braccio e col cellulare più vintage del suo linguaggio politico.
    Di più: i magistrati passano, ma Nicola ed Enza restano. E resteranno anche se il Pd dovesse finire, come sono finiti l’Urss, il blocco orientale il Pci, il Pds e i Ds.
    Chi dice che il Gattopardo è solo di destra?

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    Enza Bruno Bossio (foto A. Bombini) – I Calabresi

     

  • Sanità, appalti, portaborse: le ultime parole famose dei politici calabresi

    Sanità, appalti, portaborse: le ultime parole famose dei politici calabresi

    Certo si tratta di contraddizioni meno drammatiche rispetto a quella per cui, nello stesso giorno, si esulta perché Studio Aperto parla del «primato» della Calabria sui vaccini ma si registrano, in appena 24 ore, 8 morti per Covid e migliaia di nuovi contagi. Con i ricoveri che schizzano al 41% in area medica e al 19% in Terapia intensiva.

    Le dichiarazioni dei politici calabresi

    La situazione degli attuali politici calabresi, giusto per scomodare una volta di troppo Ennio Flaiano, resta grave, ma davvero poco seria. Specie se ci si attarda nell’esercizio di mettere a confronto certe dichiarazioni che protagonisti e comparse della scena regionale rilasciano, con evidente sprezzo del ridicolo, smentendo puntualmente se stessi. La scarsa memoria dei cittadini amministrati è sempre un buon alleato, dunque ricordare ogni tanto le acrobazie verbali dei Nostri può essere uno spunto per valutarne l’affidabilità.

    Chiudere gli ospedali? Ottimo, riapriamoli

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    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Partiamo proprio dal dominatore del momento, Roberto Occhiuto. Oltre a citare i «target di Figliuolo» almeno tre volte al dì ha da poco annunciato con altrettanto zelo la riapertura degli ospedali di Cariati, Trebisacce e Praia a Mare. Giova fare un salto indietro di oltre un decennio. Il 23 luglio 2010 l’allora presidente della Regione Peppe Scopelliti, commissario-governatore proprio com’è oggi Occhiuto, diceva al consiglio regionale che «la chiusura degli ospedali – riportano i resoconti di Palazzo Campanella – rappresenta un messaggio culturale nuovo».

    Neanche 3 mesi dopo (9 ottobre 2010) Scopelliti presentava il Piano di rientro al teatro Morelli di Cosenza. E in prima fila c’era proprio Occhiuto, all’epoca deputato dell’Udc, che dichiarava: «Oggi finalmente si mette mano a una riforma che, certo, genera qualche protesta come è naturale quando si fanno scelte impopolari. Diamo tempo a chi governa di affrontare tutti i problemi».

    Tra i 18 ospedali indicati dall’allora governatore c’erano anche quelli di Trebisacce, Praia a Mare e Cariati. A disporre la riapertura dei primi due è stato in realtà il Consiglio di Stato. Per il terzo c’è voluta un’occupazione a oltranza dei cittadini e il sostegno clamoroso di Roger Waters. Dopo l’intervento del fondatore dei Pink Floyd Occhiuto ha almeno ammesso che «l’errore fu quello di chiudere, forse, gli ospedali sbagliati e soprattutto di non convertirli in Case della salute e poliambulatori».

    Dema di lotta e di governo

    A ricordargli questa contraddizione è stato, con la nota veemenza, il tre volte ex (pm, sindaco di Napoli e candidato alla Presidenza della Calabria) Luigi de Magistris durante la recente campagna elettorale. Anche a lui però la memoria gioca brutti scherzi. È ancora agli atti dei social un suo tweet del 24 febbraio 2013 in cui si autodefiniva un «visionario» sostenendo che «la fase più avanzata della democrazia sia l’anarchia». E aggiungendo di «sognare» comunità che «si autogestiscano senza poteri, solo amore!».

    In quel momento, più che un ibrido tra Bakunin e Mario Capanna, Dema era però già sindaco di Napoli da due anni e sarebbe stato rieletto anche per un altro mandato. Qualche anno dopo la sua tendenza alla sovversione, e giammai al potere, lo avrebbe portato a candidarsi alla Regione mentre ancora vestiva la fascia di primo cittadino. E la via rivoluzionaria di de Magistris alle istituzioni probabilmente continuerà con le Politiche 2023. Intanto è cronaca di questi giorni la molto poco anarchica nomina di suo fratello Claudio nello staff di uno dei due consiglieri regionali eletti nelle sue liste, Ferdinando Laghi.

    Scontro tra titani

    Il populismo fa fare di queste figure ai politici calabresi (autoctoni o adottati, come Dema)come, di recente, ha confermato il comportamento del 5stelle locali con i portaborse. Ma de Magistris è riuscito nell’impresa di farsi rinfacciare l’incoerenza perfino da un campione di giravolte come Carlo Tansi. Il geologo ha ricordato all’ex pm di averlo criticato perché si era avvicinato al «PUT (Partito Unico della Torta)» come in effetti avvenuto con l’ingresso di Tansi in coalizione col vituperato Pd, mentre ora «quel PUT gli ha sistemato suo fratello come portaborse alla regione».

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    C’eravamo tanto amati: Luigi de Magistris e Carlo Tansi ai (brevi) tempi della loro alleanza

    Feudalesimo democratico

    A proposito di Pd, nel girone dei politici calabresi smemorati non può certo mancare Nicola Irto, neo incoronato leader con un congresso – «unitario» per gli apologeti, farsa per i detrattori – che, nei fatti, non ha certo brillato per dialettica democratica. È stato eletto segretario l’unico candidato alla segreteria e sono entrati nell’assemblea regionale tutti i delegati che erano stati inseriti nelle liste. Il 21 maggio scorso in un’intervista all’Espresso Irto annunciava di non volersi più candidare a governatore. E, soprattutto, dichiarava che «il Pd è in mano ai feudi». Se dopo pochi mesi quell’impostazione medievale si sia dissolta non è dato saperlo. Ma valvassini e valvassori sembrano ben rappresentati nel gioco correntizio che ha portato Irto dov’è ora. Magari anche lui in prospettiva Politiche 2023.

    Nicola Irto prima delle ultime elezioni regionali
    Nicola Irto prima delle ultime elezioni regionali

    Garantismo a processi alterni

    Irto è il futuro, ma anche il recente passato dei dem ha regalato soddisfazioni. Basti pensare all’ex presidente Mario Oliverio: quando usò come pretesto gli avvisi di garanzia di “Rimborsopoli” per liberarsi della sua prima giunta politica si mostrò nei fatti giustizialista; le grane giudiziarie successive che lo hanno visto coinvolto in vicende da cui è puntualmente uscito pulito ne hanno fatto un indefesso garantista. Ma è lo stesso Oliverio che durante il suo mandato aveva giurato e spergiurato di non volersi mai e poi mai ricandidare alla guida della Regione. E che ha poi finito ingloriosamente la sua carriera candidandosi e ottenendo un misero 1,7%.

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    Mario Oliverio festeggia con Carlo Guccione dopo la vittoria alla Regionali: lo nominerà assessore per poi scaricarlo

    Dottor Orso e mister Marso

    Non mancano esempi fulgidi anche nell’attuale Giunta. Delle dichiarazioni di Gianluca Gallo, che le cantava proprio a Oliverio su politica e sanità, abbiamo già scritto. Ma non è da meno il collega Fausto Orsomarso. L’assessore di FdI, che si faceva fotografare in discoteca con Bob Sinclar mentre sulle strade del Tirreno cosentino veniva inviato l’Esercito per controllare gli assembramenti della movida, si è prodotto in un discreto carpiato anche sulla metro leggera Cosenza-Rende.

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    Fausto Orsomarso insieme al celebre dj Bob Sinclar

    A luglio 2011 intestava a Scopelliti il merito di aver «snellito l’iter burocratico» e sbloccato «i capitali che serviranno ad implementare la mobilità urbana». Una mossa grazie alla quale «entro il 2015 […] ogni giorno 50/60 mila utenti useranno questo sistema per spostarsi». A giugno 2016 tacciava l’allora governatore Oliverio di «scarsa cultura istituzionale» perché non aveva consultato l’allora sindaco Occhiuto (Mario) prima di procedere alla gara d’appalto per una metro «con una previsione assurda di 40mila persone di bacino quotidiano».

    Politici calabresi ed elettori smemorati

    Da notare che il fratello dell’attuale presidente della Regione – fuoriclasse di giravolte, specie sulla metro in questione, e promesse da marinaio: giusto in questi giorni a Cosenza si festeggiano i cinque anni di quella sulla realizzazione (mai avviata) del nuovo stadio nei successivi 36 mesi – era stato eletto proprio ai tempi della prima dichiarazione di Orsomarso. Che nel 2011 (in maggioranza) esaltava l’opera – «in meno di mezz’ora collegheremo tutta l’area metropolitana» – e nel 2016 (all’opposizione) ne metteva in risalto i problemi. D’altronde è la stessa classe dirigente che annuncia i «ticket» ancora prima del voto e li dimentica subito dopo. Ed è forse quella che, essendo noi elettori i primi smemorati, ci meritiamo.

  • Amalia Bruni dopo Mattarella? Ok per la Dandini, non per i suoi compagni

    Amalia Bruni dopo Mattarella? Ok per la Dandini, non per i suoi compagni

    I giochi nel consiglio regionale calabrese sono fatti da poco più di 24 ore quando un’icona de sinistra, in una trasmissione che riscuote ampio consenso proprio in quel target, fa il nome di Amalia Bruni. Intervistata da Diego Bianchi a Propaganda Live (La7), Serena Dandini affronta un trend topic: perché non una donna al Colle?

    Donne di Calabria (e non)

    Dandini si indigna perché si sente spesso dire che il presidente della Repubblica può essere Draghi, o Berlusconi, o una donna. «Cioè una donna a caso: Draghi, Berlusconi o un dromedario. Come se nel nostro Paese non esistessero decine e decine di donne con un curriculum elevatissimo in grado di ricoprire questo ruolo».

    Dunque tira fuori un elenco con le sue papabili. E tra una Barbara Jatta (nominata direttrice dei Musei Vaticani da Papa Francesco) e un’Anna Maria Loreto (prima donna a capo di una grande Procura come quella di Torino) piazza proprio la neuroscienziata lametina sconfitta alle elezioni regionali da Roberto Occhiuto.

    La calabrese Antonella Polimeni, prima donna nella storia a guidare l'Università La Sapienza di Roma
    La calabrese Antonella Polimeni, prima donna nella storia a guidare l’Università La Sapienza di Roma

    Nell’elenco c’è un’altra calabrese, almeno di origine, ovvero Antonella Polimeni, «prima donna dopo 700 anni a guidare l’università della Sapienza». Ma il dato è politico, non geografico. Al di là della facile battuta – «avere in Italia un presidente che ha scoperto il gene dell’Alzheimer può aiutare…» – l’interessata subito reagisce con comprensibile orgoglio postando il video sui social e ringraziando pubblicamente Dandini.

    La solitudine di Amalia Bruni

    Poi aggiunge due cose. La prima è un autoelogio – «sono quaranta anni anni che dedico tutte le mie energie professionali al miglioramento delle condizioni di vita dei calabresi» – mentre la seconda va al punto: «Fa strano – dice Bruni – che se ne debba parlare in una trasmissione, per quanto colta e intelligente come Propaganda Live, e che a sollevare il problema debba essere una donna, preparata e sensibile, come Serena Dandini, mentre dalla politica che conta, Parlamento, Istituzioni e Palazzi vari, nessuno batte ciglio».

    Amalia Bruni durante la campagna elettorale per le Regionali 2021
    Amalia Bruni durante la campagna elettorale per le Regionali 2021

    Ecco, la riflessione è opportuna ma anche rivelatrice della solitudine di chi la suggerisce. Amalia Bruni in un Palazzo c’è entrata e, coerentemente con la campagna elettorale, continua a definirsi – o almeno dà questa indicazione al suo ufficio stampa – come «leader dell’opposizione in consiglio regionale». Ma per eleggere il presidente della Repubblica la sua coalizione non ha mandato lei a Roma.

    Tre uomini come delegati

    Proprio giovedì dal consiglio regionale sono venuti fuori i delegati calabresi che parteciperanno al più alto rito istituzionale della Repubblica. Si tratta di tre uomini, come sempre due di maggioranza e uno dell’opposizione: per il centrodestra ci sono i due presidenti – quello della Giunta Roberto Occhiuto e quello del Consiglio Filippo Mancuso – e per il centrosinistra il capogruppo del Pd Nicola Irto. L’indicazione non può non avere un significato politico. E, al netto del bon ton di facciata, esautora di fatto Bruni dal ruolo di leader della coalizione Pd-M5S.

    Amalia Bruni: celebrata in tv, ignorata dai suoi

    Certo lei non ha fatto molto per evitarlo: aderire al gruppo Misto appena eletta, diventando capogruppo di se stessa, pur nell’intenzione di rimanere equidistante non è sembrata una scelta strategica fruttuosa. Tanto più che proprio nel Pd Bruni sta pescando per il suo staff – ne fanno parte la dirigente dem lametina Lidia Vescio e la vicepresidente di Avviso Pubblico Maria Antonietta Sacco da Carlopoli – e proprio al Pd lei ha tolto le castagne dal fuoco accettando la candidatura dopo la girandola di nomi che ha coinvolto anche lo stesso Irto, Enzo Ciconte e Maria Antonietta Ventura.

    È la politica matrigna, che a queste latitudini, dietro una facciata di sinistra, non si crea troppi problemi né di genere né di merito. Divorando con implacabile cinismo le creature che ha da poco generato. E senza curarsi del paradosso di una «leader» celebrata in diretta nazionale ma ignorata dai suoi stessi compagni di banco.

     

  • La tarantella triste dei posti letto destinati al Covid

    La tarantella triste dei posti letto destinati al Covid

    Mentre la quarta ondata galoppa, e si intravede la zona arancione, i calabresi hanno la sensazione di essere ancora, dopo due anni, «in braccio a Maria». Lo stesso governatore Roberto Occhiuto nelle scorse ore si è detto «preoccupato per la pressione sulla rete ospedaliera». Si può dunque immaginare quanto lo siano i cittadini da lui amministrati che assistono inermi a quella che, in un futuro non troppo lontano, potrebbe essere raccontata come la tarantella dei posti letto.

    È forse allora il caso di mettere insieme un po’ di numeri e di nomi, partendo però dagli ultimi dati. L’incidenza dei nuovi contagi tra il 3 e il 6 gennaio è stata abbondantemente sopra i 400 casi per 100mila abitanti. Molto alta. Come il tasso di occupazione dei reparti di area medica, che è al 34%. Con oltre 370 ricoverati in area medica su 1.055 posti letto attivati. Di questi, circa 200 sono stati creati negli ultimi 4 mesi.

    Le Terapie intensive

    Più complessa è la situazione delle Terapie intensive. I dati Agenas dicono che il tasso di occupazione è al 16%. E oltre 30 persone sono ricoverate in terapia intensiva su 189 posti letto esistenti. In proporzione, abbiamo a disposizione 10 posti letto ogni 100mila abitanti. È il dato più basso in Italia assieme a quello dell’Umbria. Secondo Agenas sono al momento attivabili altri 9 posti in Rianimazione.

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    I dati Agenas sui posti letto in terapia intensiva

    Occhiuto, dopo l’ultima riunione dell’Unità di crisi, ha annunciato che i posti letto in area medica dedicati al Covid verranno incrementati nei prossimi giorni perché è evidente che le ospedalizzazioni aumenteranno. Si sta pensando anche di utilizzare come Covid hospital i presidi sanitari di Rogliano, Cariati e Tropea. E di attivare in «tempi strettissimi» Villa Bianca a Catanzaro.

    Il piano per 400 posti letto Covid mai attivati

    Ora, per capire cosa sia stato fatto in due anni e per riscontrare gli annunci con la realtà, occorre fare un salto a inizio pandemia. Marzo 2020. La compianta Jole Santelli è stata eletta da poco alla presidenza della Regione. E la sanità calabrese è saldamente – si fa per dire – in mano al generale Saverio Cotticelli.

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    Le grafiche social della Regione Calabria guidata dalla Santelli per comunicare l’attivazione (mai arrivata) di 400 posti letto in terapia intensiva

    La pandemia si sta rivelando nella sua gravità e un annuncio viene veicolato con un post su Facebook. La presidente della Regione, in accordo con Cotticelli e con il supporto del Dipartimento Salute, ha «approvato il piano che prevede l’attivazione di 400 posti letto di terapia intensiva e subintensiva per le aree nord, centro e sud della regione».

    Inutile ricordare anche la ripartizione di quei posti letto, perché in realtà non sono mai stati attivati. Giugno 2020. Il documento di riordino della rete ospedaliera certifica l’amara verità. Ma non tralascia l’ottimismo: dopo la prima ondata la Calabria si ritrova ancora con 146 posti letto di Terapia intensiva. Però sono «incrementabili con ulteriori 134». Anche in questo caso segue uno schema con la ripartizione che (non) verrà.

    I fondi Covid non utilizzati

    Ritorniamo all’oggi. Prima di Natale la Regione ha da approvare il Bilancio e per farlo deve passare dal Giudizio di parifica della Corte dei conti. I magistrati contabili di Catanzaro però non si limitano a usare il pallottoliere. Ma indugiano, impietosamente, sulla situazione della sanità. Che con i conti ha in realtà molto a che fare visto che assorbe circa 3,9 miliardi di euro all’anno (il 62,4% del bilancio regionale).

    La presidente della Sezione di controllo della Corte, Rossella Scerbo, concludendo la sua relazione apre un «doveroso» squarcio sulla gestione del Covid in Calabria. Viene fuori che nel 2020 sono stati trasferiti alle Aziende sanitarie calabresi circa 115 milioni di euro di fondi Covid. E che «la gran parte di queste somme, ossia circa 77 milioni di euro, giace accantonata nei bilanci delle Aziende al 31 dicembre 2020 senza che sia stata riorganizzata la rete ospedaliera».

    Non prima del 2022 inoltrato

    Spiega, la relazione, che era stato il ministero della Salute – con circolare del 29 maggio 2020 – a prevedere che ai 146 posti letto di terapia intensiva «già attivi prima dell’emergenza» se ne aggiungessero altri 134, oltre alla riconversione di ulteriori 136 in semi-intensiva. Numeri lontanissimi da quel che poi è stato effettivamente fatto. Pochi nuovi posti letto – pochissimi secondo la Corte dei conti, 43 in due anni secondo Agenas – e interventi tutti ancora da avviare, il cui completamento è previsto «non prima del 2022 inoltrato (in alcuni casi del 2023)».

    Nessun rinforzo per i pronto soccorso, mentre tutte le altre prestazioni sanitarie hanno accumulato ritardi «più significativi rispetto alla media nazionale». Le azioni indicate dal commissario ad acta per recuperare questo gap sono state «pianificate in modo generico». E, di nuovo, i fondi messi a disposizione dallo Stato (circa 15 milioni di euro) «non sono stati spesi dalle Aziende sanitarie, che li hanno ancora una volta accantonati in bilancio».

    La Corte dei conti boccia la Regione

    Le conclusioni della Corte non hanno bisogno di appendici retoriche. «Nel complesso, risulta di tutta evidenza che la Regione Calabria – si legge nel documento – è ben di là da rafforzare effettivamente la propria rete territoriale». Ancora: «Le risorse distribuite dallo Stato non sono state impegnate in modo efficace». E inoltre: «Deve evidenziarsi che il contributo dei privati alla gestione dell’emergenza sanitaria pare essere stato minimo». E la Regione «non ha ancora contezza della rendicontazione delle prestazioni rese».

    Assunzioni? Troppo poche o non pervenute

    In questo lasso di tempo, struttura commissariale e dipartimento regionale hanno garantito al Tavolo interministeriale di verifica del Piano di rientro che nel Programma operativo (che ancora non c’è) sarebbero state inserite le nuove assunzioni di personale. Il commissario ha detto al Tavolo che nell’emergenza sono state assunte 1.080 unità di personale a tempo determinato. Si tratta di 139 dirigenti medici, 30 dirigenti non medici, 771 non dirigenti-comparto sanità, 140 altro personale. Circa la metà (563 unità) è stata impiegata nei 5 Hub regionali.

    Nel 2020, secondo la struttura commissariale, risulterebbero assunte 830 unità e altre 250 circa nel 2021. Roma ha chiesto conferma di questi dati sollecitando ulteriori aggiornamenti e il commissario che ha preceduto Occhiuto si è riservato di trasmettere una relazione. Il Tavolo ha comunque ricordato le autorizzazioni concesse «da anni» per le assunzioni. Quelle che ancora oggi «non risulterebbero effettuate o risulterebbero in grande ritardo attuativo».

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    La sede dell’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza

    Si tratta di valutazioni che emergono dalla versione integrale, depositata agli atti, della requisitoria del Procuratore regionale della Corte dei conti. Che ha anche raccolto ulteriori dati, concludendo che l’impatto delle spese complessive legate al Covid nelle Asp e nelle Ao calabresi, almeno stando a quanto comunicato alla magistratura contabile a metà del 2021, è stato di circa 14 milioni di euro.

    Il caso Belcastro

    In questo periodo alla guida del dipartimento Salute della Regione si sono avvicendati diversi manager. C’è stato prima Antonio Balcastro, nominato da Mario Oliverio a dicembre del 2018 e rimasto in carica fino ai primi mesi dell’era Santelli. La presidente poi prematuramente scomparsa lo scaricò ai microfoni di Report, dopo il caso dei tamponi preferenziali a Villa Torano, dichiarando: «Se Belcastro ha fatto degli abusi, va verificato. Non l’ho nominato io». Poi però lo ha comunque mantenuto come «soggetto attuatore dell’emergenza Covid».

    Da Bevere alla Fantozzi

    Gli è succeduto Francesco Bevere, oggi di stanza ai piani alti della Regione Sicilia, da settembre consigliere in materia di sanità del Ministro per gli Affari regionali e le autonomie. In carica alla Cittadella dal 29 giugno 2020 al 31 marzo 2021, Bevere era stato dg di Agenas (Agenzia nazionale dei servizi sanitari regionali) e, prima ancora, del Ministero Salute. Oggi Occhiuto – dopo una reggenza di Giacomino Brancati – ha messo al suo posto Iole Fantozzi da Cosenza, che dal 2019 era commissario del Grande ospedale metropolitano di Reggio.

    Longo sostituisce il tragicomico Cotticelli 

    Fantozzi è l’unica manager rimasta in carica nonostante la girandola dei commissari innescata dal decreto Calabria che, con il primo governo Conte, ha dato il via a un supercommissariamento certamente non risolutivo come l’alleanza M5S-Lega dell’epoca preventivava. Basterà, allo scopo, solo accennare alle tragicomiche vicende di Cotticelli, che fu poi affiancato dalla mitologica Maria Crocco – forse proprio la stessa Maria che ci ha tenuti «in braccio» – e a cui, dopo un balletto poco edificante di nomi e rinunce, succedette a novembre 2020 il non indimenticabile Guido Longo.

    Le nomine 

    Era stato proprio quest’ultimo, d’intesa con l’allora facente funzioni Nino Spirlì, a nominare i commissari che attualmente guidano le Aziende calabresi: Vincenzo La Regina (Asp Cosenza), Maria Bernardi (Asp Vibo), Domenico Sperlì (Asp Crotone); Jole Fantozzi (sostituita a marzo da Gianluigi Scaffidi all’Asp di Reggio), Isabella Mastrobuono (Ao Cosenza), Giuseppe Giuliano (passato dall’Asp vibonese al “Mater Domini”), Francesco Procopio (Ao “Pugliese Ciaccio” Catanzaro). Mentre dopo la scadenza del mandato di una terna prefettizia (Luisa Latella, Franca Tancredi e Salvatore Gullì) l’Asp di Catanzaro – che come quella di Reggio era stata commissariata per infiltrazioni mafiose – è retta dal dg facente funzioni Ilario Lazzaro.

  • La casta a 5 stelle adesso fa il pieno di portaborse

    La casta a 5 stelle adesso fa il pieno di portaborse

    Nelle stesse ore in cui Roberto Fico convoca il Parlamento in seduta comune per eleggere il capo dello Stato i suoi epigoni calabresi dimostrano di essere entrati nella parte allo stesso modo, con le dovute proporzioni, del presidente della Camera. Certo è azzardato il paragone tra il più alto rito di Palazzo e quello, evidentemente più basso, delle nomine di sottobosco nel consiglio regionale calabrese. La stessa è però la cifra politica che i due passaggi restituiscono rispetto a una forza, il Movimento 5 stelle, allattato con il furore anticasta e ormai avvezzo alle liturgie delle stesse istituzioni che si proponeva di ribaltare.

    Nella casta M5S pure Tavernise e Afflitto

    Il loro ingresso nell’Astronave di Palazzo Campanella è stato salutato come storico ma la prassi è altra cosa rispetto alla retorica. Così i due consiglieri regionali M5S mentre con una mano lanciano un messaggio di austerità, con l’altra cominciano a riempire le caselle a disposizione con i vituperati “portaborse”. Si tratta dei co.co.co. che ogni consigliere assume per chiamata diretta e che, va detto, spesso hanno esperienza e cv più che consoni al ruolo. Non di rado però questi incarichi diventano uno strumento per pagare debiti elettorali e certamente tante volte sono finiti nel mirino degli antisistema. Nel sistema però ora ci sono anche Davide Tavernise e Francesco Afflitto.

    I consiglieri regionali del M5s, Davide Tavernise e Francesco Afflitto
    La guerra con la Bausone

    Quest’ultimo, a cui il Pd e il centrodestra hanno concesso la Presidenza della Commissione di Vigilanza, deve fronteggiare in sede giudiziaria (e non solo) la collega di partito Alessia Bausone. Che, dopo aver conquistato il primo posto tra i non eletti in fase di riconteggio, gli contesta l’ineleggibilità puntando al suo seggio e gli muove accuse – a cui lui risponde annunciando querele – non proprio leggere. Come quella di essere «politicamente un Poltergeist» e di muoversi tra «poltronifici, silenzio sulle mafie e mancato rispetto delle regole (anche elettorali)».

    Tavernise è invece il giovane capogruppo e i due ruoli (presidente di gruppo consiliare e di Commissione) consentono a entrambi i 5stelle di assumere il doppio dei componenti dello staff rispetto a un consigliere semplice.

    Così fan tutti

    Sia chiaro: gli altri non sono certo da meno e sono già noti i casi di Leo Battaglia arrivato davvero alla Regione, di un ex fotoreporter di Mario Oliverio nominato autista della leghista Simona Loizzo, dei collaboratori che passano da Carlo Guccione a Franco Iacucci e da Luca Morrone alla moglie, o dello stesso Roberto Occhiuto che ha assunto a Palazzo Campanella una supporter del fratello.

    Ma anche i pentastellati non sembrano avere alcuna intenzione di fare a meno delle assunzioni fiduciarie. Hanno fatto sapere urbi et orbi di aver rinunciato al vitalizio – che oggi è ben poca cosa rispetto al tesoretto da migliaia di euro assicurato ai vecchi ex consiglieri – e all’indennità di fine mandato, ma non sbandierano le nomine che fanno per i loro staff.

    Quattro piccioni M5S per un Tavernise

    Tavernise, per esempio, ne ha portate a casa quattro in un colpo solo. Fabio Gambino, già assistente parlamentare di Alessandro Melicchio, sarà il suo segretario particolare al 50% per poco più di 20mila euro all’anno. Collaboratore esperto (al 50%) del capogruppo è invece Lidia Sciarrotta. Prenderà 16.700 euro all’anno ed è nota agli annali grillini perché, nel 2019, «avrebbe dovuto partecipare alla Parlamentarie per la selezione dei candidati alle europee» – si legge sul sito Informazione & Comunicazione – ma il suo nome sparì dalla lista dei candidati «benché incensurata» perché, «secondo talune fonti», qualcuno avrebbe segnalato che aveva «parenti condannati per usura».

    Duro e puro di Giorno

    C’è poi spazio per un componente interno – il dipendente del consiglio regionale Giovanni Paviglianiti, per la cui indennità di struttura saranno erogati 12.800 euro all’anno – e soprattutto per Giuseppe Giorno. Si tratta di un consigliere comunale di Luzzi che è stato coordinatore della campagna elettorale M5S per le Regionali. A metà luglio diceva peste e corna dell’alleanza con il Pd e Amalia Bruni, accusando i cittadini-portavoce-parlamentari Riccardo Tucci e Massimo Misiti di aver «tramato fin dall’inizio probabilmente solo per interessi personali». Oggi forse avrà cambiato idea sui dem e la loro ex aspirante governatrice, comunque farà il segretario particolare al 50% per circa 20mila euro all’anno.

    L’ex duro e puro Giuseppe Giorno, coordinatore della campagna elettorale del M5S nelle ultime elezioni regionali

    Proprio Giorno nell’estate del 2020, quando il caso dei vitalizi fece arrossire davanti all’Italia sia la maggioranza che l’opposizione dell’epoca, sottoscriveva e spammava il comunicato dei parlamentari grillini che ricordavano come «il Consiglio regionale calabrese costa quasi quanto quello della Regione Lombardia che ha, però, il doppio dei consiglieri, cinque volte la popolazione della Calabria e un reddito pro capite di gran lunga superiore al nostro».

    Quando tuonavano contro gli stipendi troppo alti

    All’epoca erano fuori da Palazzo Campanella e puntavano il dito contro «lo stipendio mensile di 5.100 euro e i rimborsi netti di circa 7mila euro mensili attribuiti a ogni consigliere», oggi invece ci sono dentro e i loro cittadini-portavoce-consiglieri Tavernise e Afflitto incassano puntualmente quei compensi. Viene dunque da chiedersi se proveranno almeno ad approvare la proposta di legge M5S di «taglio ai privilegi» parcheggiata da anni a Palazzo Campanella che produrrebbe «un risparmio di 3 milioni di euro a legislatura». O se, nel caso in cui il centrodestra ne stoppasse gli eventuali buoni propositi, siano pronti a rinunciare almeno a una parte di stipendio o di staff. Produrrebbero un risparmio ben maggiore della loro attuale rinuncia e manderebbero, pur da dentro il Palazzo, un segnale di sobrietà un po’ più concreto.

  • Regionalismo in salsa calabra: maggioranze diverse, identico declino

    Regionalismo in salsa calabra: maggioranze diverse, identico declino

    Dal 2000 ad oggi si sono succeduti in Calabria sei presidenti di regione, con una continua alternanza di schieramenti. L’elenco comprende Giuseppe Chiaravalloti (centrodestra, 2000-2005), Agazio Loiero (centrosinistra, 2005-2010), Giuseppe Scopelliti (centrodestra, 2010-2014), Mario Oliverio (centrosinistra, 2014-2020). Il trend prosegue con l’elezione di Jole Santelli con una coalizione di centrodestra, ma questa esperienza si interrompe drammaticamente dopo pochi mesi per la morte prematura della forzista. E, complice forse la brevità del suo mandato, un anno dopo a uscire sconfitta dalle urne è ancora la gauche, con l’elezione dell’azzurro Roberto Occhiuto.

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    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Questa quasi simmetrica alternanza dovrebbe evidenziare e segnalare, secondo gli schemi dei manuali di politica, indirizzi e scelte economiche e sociali differenti durante l’esercizio dei mandati. L’analisi dei dati sulla performance della Regione mette invece in evidenza esattamente l’opposto. Vale a dire una linea di indirizzo costante verso il declino di tutti i principali indicatori nella produzione di ricchezza, nella demografia, nella qualità della vita.

    La Calabria che si svuota

    La demografia, che costituisce la radiografia del tessuto civile, ha cominciato a declinare proprio nel ventunesimo secolo. In particolare dal 2010 è cominciata una costante caduta della popolazione residente in Calabria, interrotta soltanto per un anno, nel 2013. Si è passati da poco più di 2 milioni di abitanti nel 2001 a poco più di 1,8 milioni nel 2020, con una riduzione del 10%. Di converso, è aumentato il numero delle famiglie, passato da poco più di 730mila a più di 805mila. Intanto è tornata a crescere l’emigrazione. La Calabria conta oggi 430mila residenti all’estero, quasi un quarto della popolazione totale della regione: il 42,8% è nella fascia tra i 18 ed i 49 anni.

    Investimenti dimezzati negli anni

    La spesa pubblica regionale è rimasta sostanzialmente stabile nel corso dell’ultimo ventennio, pur nella diversità delle maggioranze politiche. Ad assorbirla sono state molto più le spese correnti che gli investimenti, diminuiti invece in valore assoluto e percentuale.
    Dal 2010 in avanti la spesa per investimenti si è sostanzialmente dimezzata come peso sul totale della spesa. Siamo passati dal 12% del 2010 al 6% del 2012, per poi risalire lentamente sino al 9% del 2020. Va osservato che la spesa pubblica in Calabria dipende per il 98,16% dal governo nazionale, per lo 0,57% dal governo regionale e per l’1,19% dalle municipalità. I margini di manovra per fare la differenza sono quindi molto ristretti.

    Cambiano le maggioranze, non le scelte

    In buona sostanza, nel primo ventennio del ventunesimo secolo si è alternata sempre la maggioranza politica alla guida della Regione, ma sono rimaste identiche le scelte. E queste hanno condotto ad un arretramento costante della Calabria nelle classifiche della competitività.
    La scarsa incidenza delle scelte di politica regionale sull’andamento del tessuto economico e sociale della Calabria si riflette nella analisi di Ernesto Galli della Loggia ed Aldo Schiavone, nel libro appena pubblicato Una profezia per l’Italia (Mondadori 2021). Da almeno quattro decenni il Mezzogiorno è uscito dal discorso pubblico, divenendo soggetto di fiction televisive più che di politiche di sviluppo.

    Ernesto Galli della Loggia
    Ernesto Galli della Loggia
    Una questione meridionale al quadrato

    Dagli Anni Settanta del Novecento ad oggi, il prodotto pro capite del Sud è passato dal 65% al 55% rispetto a quello del Nord, mentre gli investimenti si sono più che dimezzati. Le Regioni, in tutto il Mezzogiorno, sono state una palla al piede per lo sviluppo. Ne hanno frenato le prospettive, ed hanno solo appesantito il tessuto burocratico senza aggiungere alcun valore. Con le Regioni si è affermato quello che Isaia Sales ha chiamato il populismo territoriale.

    L’intero impianto del regionalismo, dati di fatti alla mano, sta franando per manifesta incapacità di sostenere lo sviluppo economico dei territori. La Calabria è diventata una nuova questione meridionale nella questione meridionale. In qualche modo ne è il cuore dolente, con il 90% del territorio costituito da montagne e colline, nonostante un apparato costiero che si estende per 800 chilometri e pesa il 10% del totale nazionale.

    Differenze tra istituzioni

    In questi vent’anni le politiche regionali, sia pur di segno apparentemente diverso per appartenenza politica, hanno solo contribuito ad accompagnare il declino della Calabria. Nella sanità la Regione ha accumulato un debito di oltre un miliardo di euro. E spende ogni anno circa 320 milioni di euro per rimborsare i costi del turismo sanitario dei calabresi che, non trovando risposta di servizio sul loro territorio, si recano in altre regioni.

    Gianni Speranza
    Gianni Speranza

    Non tutte le istituzioni esprimono lo stesso grado di disarmante inerzia. Mentre la Regione Calabria è rimasta sospesa a mezz’aria sospesa nel nulla, Gianni Speranza, sindaco di Lametia tra il 2005 ed il 2015, ha costruito – in soli dieci anni e senza una solida maggioranza consiliare a supportarlo – 50 km di fognature, 35 di illuminazione pubblica, marciapiedi, parchi pubblici, rotatorie, impianti sportivi, un lungomare.

    Un patto da riscrivere

    Insomma, contano le istituzioni, ma anche le persone. Per altro verso, nell’intero Mezzogiorno contiamo oggi 240 comuni commissariati per collusioni degli amministratori con organizzazioni criminali. Si tratta di una popolazione complessiva di 5 milioni di cittadini italiani e meridionali che si trovano sotto scacco della peggiore arretratezza, in una situazione evidentemente intollerabile. Sono tutti segnali che ci dicono chiaramente che il patto tra cittadini, istituzioni e territori va riscritto con estrema urgenza. A cominciare dalla Calabria, dove nemmeno l’alternanza tra maggioranze politiche con matrici opposte sortisce alcun effetto.

  • Ue e Calabria, il balletto della spesa certificata

    Ue e Calabria, il balletto della spesa certificata

    Le ultime parole famose le avevano pronunciate l’allora presidente f.f Nino Spirlì e il dg del Dipartimento Programmazione comunitaria della Regione, Maurizio Nicolai. Era il 4 agosto 2021 e i due annunciarono urbi et orbi il raggiungimento di un obiettivo epocale: la Calabria aveva certificato all’Ue una spesa dei fondi comunitari da record. Il traguardo erano 861 milioni di euro entro il 31 dicembre di quest’anno e la Cittadella era arrivata addirittura a 915 già a metà estate.

    Numeri e reputazione

    Decine di milioni in più che, dichiararono i due, avrebbero fruttato un sostanzioso premio: 82 milioni extra in arrivo da Bruxelles, tutti per noi. Niccolai, stando alle cronache di quei giorni, sembrava quasi commosso. «Ci siamo messi – le sue parole in conferenza stampa – all’interno di un circuito virtuoso di credibilità istituzionale. Questo è importante. Ci tengo a ricordare quando la presidente Santelli mi disse “non mi interessano i numeri ma la reputazione”. […] Tra l’altro parliamo di spesa certificata, perché quella effettiva è anche di più».

    Quarantacinque milioni in meno

    Chi, al contrario della defunta governatrice, è interessato anche ai numeri sarà rimasto stupito da uno degli ultimi comunicati diffusi dalla stessa Regione qualche ora fa. Nell’annunciare trionfalmente pagamenti per circa 11,5 milioni destinati al mondo dell’agricoltura, gli uffici della Cittadella e l’assessore Gallo hanno spiegato che grazie ad essi «la spesa certificata sale a 870.313.520 euro». Ossia 45 milioni in meno dei 915 dati per certificati quattro mesi e mezzo prima.

    Certo, sono comunque più dei fatidici 861 previsti inizialmente dall’Ue. Ma, visto il precedente estivo, è quantomeno bizzarro vederli definire «un ulteriore, importante passo avanti sul sentiero della spesa, rapida e qualificata, dei fondi europei».
    La reputazione – buona o cattiva? – magari sarà anche salva, la credibilità istituzionale forse un po’ meno.

  • Leo Battaglia alla Regione: è successo davvero

    Leo Battaglia alla Regione: è successo davvero

    Migliaia di litri di vernice dopo, in barba agli scettici o a chi nutre ancora fiducia nella politica, è successo: Leo Battaglia è alla Regione. In fondo mancava solo lui al variopinto campionario di portaborse, autisti e assistenti più o meno capaci transitati negli anni dalle strutture dei consiglieri a Palazzo Campanella.

    Dai muri al gemello

     

    Il percorso per il leghista con la passione per la vernice è stato lungo. Ha iniziato come imbrattatore seriale di muri, disseminando i suoi “Leo Battaglia alla Regione” nelle strade e gallerie di metà provincia di Cosenza. Ma la poltrona in Consiglio è rimasta un miraggio. Ci ha riprovato poi sdoppiandosi, ispirandosi forse al grande successo nelle sale cinematografiche di The Prestige. Come il protagonista della pellicola, il buon Leo può contare su un gemello e lo ha sfruttato in campagna elettorale: lui andava da una parte, magari accompagnando l’amato Salvini; il fratello andava da un’altra a far campagna elettorale spacciandosi per quello candidato.

    I santini anti covid

    Neanche quello è bastato. Così come finire sui giornali di tutta Italia quest’estate, quando ha pensato bene di lanciare dal cielo sulle spiagge (e in mare) buste di plastica con dentro l’invito a votarlo e una mascherina chirurgica. I cittadini, privi di fantasia, invece di ringraziarlo ed eleggerlo lo hanno preso per uno scemo che inquinava e provava a farsi pubblicità perfino col covid. Salvo imprevisti, ci toccherà attendere cinque anni per ammirare la sua nuova trovata.

    La "mascherina elettorale" protagonista dell'ultima campagna elettorale di Battaglia
    La “mascherina elettorale” protagonista dell’ultima campagna elettorale di Battaglia
    Leo Battaglia alla Regione

    Ma cotanto genio non farà mancare il suo contributo fattivo alla nuova maggioranza approdata alla Regione. Nel giorno della vigilia di Natale, infatti, il Burc ha fatto dono ai calabresi di questa rassicurante notizia: fino al 4 ottobre del 2026 Leo sarà a carico loro.
    La consigliera leghista Simona Loizzo lo ha scelto infatti come responsabile amministrativo al 50% della sua struttura. Significa che dividerà con un pari ruolo lo stipendio che gli competerebbe se rivestisse da solo l’incarico.

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    La leghista Simona Loizzo
    Quasi 100mila euro per lui

    E a quanto ammonta il salario in questione? Poco meno di 20.400 euro all’anno, che calcolati dal suo ingresso nello staff della Loizzo fino alle prossime elezioni fanno circa 98.000 euro. I primi 500 li prenderà per questo scorcio di dicembre, 20.400 per i successivi tre anni, e 15mila e rotti dal primo gennaio 2026 al termine della consiliatura.