Tag: regione calabria

  • Migranti, Occhiuto ha cambiato idea?

    Migranti, Occhiuto ha cambiato idea?

    Scrivere di immigrazione mettendo da parte la mia coscienza, nella quale sono scolpiti principi che impongono di soccorrere chiunque sia in difficoltà in qualsiasi situazione e zona del “globo terracqueo”, è impresa ardua. Tuttavia ci voglio provare, e lo faccio componendo un mosaico composto dalle seguenti tessere.

    Migranti? Un’opportunità, parola di Occhiuto

    «I flussi di migranti sono difficilmente arginabili… Penso che in un Paese di 60 milioni di abitanti, 100 mila migranti non dovrebbero essere molti da integrare; diventano, invece, troppi quando non c’è integrazione, quando si costruiscono dei ghetti magari a ridosso delle stazioni. Ma un Paese moderno che si affaccia sul Mediterraneo il problema dell’integrazione dei migranti avrebbe dovuto affrontarlo e risolverlo già da tempo. Io ho proposto, per esempio, di organizzare un’accoglienza diffusa… Troppe volte in Italia si è discusso del problema dell’immigrazione senza capire come potesse essere arginato facendolo diventare un’opportunità… Quelli che oggi vengono in Europa scappano dalla fame, dalle guerre, dalla morte. Un Paese civile è un Paese fatto di donne e uomini che non hanno una concezione proprietaria del territorio nel quale hanno avuto la fortuna di nascere e di vivere».

    Queste dichiarazioni sono tratte da un’intervista. Non le ha rilasciate Gino Strada buonanima. No. È il presidente della Regione Calabria a parlare, Roberto Occhiuto.

    La legge Loiero

    La legge regionale 18/2009 (c.d. “legge Loiero”, anche per dare a Cesare quel che è di Cesare) prevede che la Regione Calabria «nell’ambito delle proprie competenze, ed in attuazione dell’articolo 2 del proprio Statuto, concorre alla tutela del diritto d’asilo sancito dall’articolo 10, terzo comma, della Costituzione della Repubblica promuovendo interventi specifici per l’accoglienza, la protezione legale e sociale e l’integrazione dei richiedenti asilo, dei rifugiati e dei titolari di misure di protezione sussidiaria o umanitaria presenti sul territorio regionale con particolare attenzione alle situazioni maggiormente vulnerabili tra le quali i minori, le donne sole, le vittime di tortura o di gravi violenze» e «promuove il sistema regionale integrato di accoglienza e sostiene azioni indirizzate all’inserimento socio-lavorativo di rifugiati, richiedenti asilo e titolari di misure di protezione sussidiaria o umanitaria».frontex

    Gli accordi di “esternalizzazione” (anche i termini hanno una loro importanza, e questo è orribile se l’argomento è l’immigrazione) con Tunisia e Libia, regalando motovedette e supportando le intercettazioni in mare insieme a Frontex, non hanno fermato la fiumana di disperati che fanno rotta verso l’Italia.
    È invece cresciuta e cresce giorno dopo giorno: “come può uno scoglio arginare il mare?”.

    Scuola, demografia, famiglie

    È di questi giorni l’accendersi del dibattito sul dimensionamento scolastico, il cui frutto avvelenato è la scomparsa di un buon numero di istituzioni scolastiche dotate di autonomia dovuta essenzialmente al calo della popolazione. Ne abbiamo già scritto circa sette mesi fa, quindi rinviamo a quell’articolo.
    Il “ricongiungimento familiare”, oltre ad essere un istituto giuridico per richiamare i congiunti nel Paese dove il migrante ha trovato nuove opportunità di vita, è diventato una pratica che coinvolge la nostra terra. Personalmente, conosco almeno una ventina di famiglie che hanno deciso di trasferirsi in altre zone dell’Italia, soprattutto al Nord, per raggiungere i figli che hanno stabilito in quei luoghi il centro dei loro interessi di studio/formazione/lavoro. La spiegazione è semplice e rassegnata: «E perché dovremmo rimanere qui?». Oltre all’affetto, incide la necessità di aiutare i membri della famiglia nella gestione quotidiana dei figli, o anche esigenze economiche se la remunerazione non è adeguata ai costi da affrontare per condurre un’esistenza “libera e dignitosa” (viva la nostra Carta!).

    In un video, girato a Lampedusa nella notte del 14 settembre, si vedono abitanti dell’isola, turisti, immigrati, ballare per le strade tutti insieme, sorridenti. Quella che per molti seguaci del ministro della paura uscito dalla fantasia di Antonino Albanese è un’emergenza, un disastro, una calamità simile a terremoti e inondazioni, si può trasformare in qualcosa di gioioso, in vita ed arricchimento reciproco. D’altra parte, Riace sta in Calabria, non in Veneto.
    In definitiva, invece di andare appresso alla propaganda e alle scelte securitarie dei vari Minniti, Salvini, Meloni, i cui risultati sono sotto l’occhio di tutti quelli che non se li bendano, facciamo una scelta diversa.

    Migranti e Occhiuto, le ultime parole famose

    Presidente Occhiuto, utilizzi gli strumenti a sua disposizione, le funzioni in capo alle Regioni, e quindi anche alla Calabria, per realizzare per i migranti ciò che lei stesso ha proposto: «organizzare un’accoglienza diffusa», in quanto «in Italia si è discusso del problema dell’immigrazione senza capire come potesse essere arginato facendolo diventare un’opportunità».
    L’Italia è o no “un Paese civile fatto di donne e uomini che non hanno una concezione proprietaria del territorio nel quale hanno avuto la fortuna di nascere e di vivere”?
    Questa, a mio avviso, l’affermazione più significativa del presidente Occhiuto, piacevolmente sorprendente, in quanto cancella in un colpo solo la teoria della sostituzione etnica, quella della non italianità dei cittadini italiani di pelle nera (Paola Egonu, copyright il generale che non voglio neanche nominare), quella (addirittura!!!) della stirpe, riportata alla luce dal Medioevo dal cognato–fratello d’Italia.

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    La pallavolista italiana Paola Egonu

    Se pensiamo ai Calabresi, tralasciando il resto dello Stivale e delle isole, essi sono il frutto di un miscuglio di etnie, colori di pelle, culture, idiomi, religioni: un vero melting pot in salsa calabrese. Basti pensare che lo Statuto regionale, e la Costituzione italiana, riconoscono sul nostro territorio tre minoranze linguistiche con radici che affondano in centinaia e, in un caso, migliaia di anni.

    Occhiuto e le opportunità dei migranti

    E allora, presidente Occhiuto, contribuisca a fare rinascere la Calabria partendo dai migranti, da quella che definisce un’opportunità. Siamo d’accordo con lei. Crei le condizioni per portare nella nostra regione nuova linfa. Gente che, come i nostri avi e i nostri coevi, ha una spinta in più, dettata da motivazioni forti, tanto forti da spingerla a rischiare la vita su barchini in balia delle onde o di rimanere internati per settimane a Ellis Island prima di entrare negli USA, o di tornare indietro con lo stesso bastimento dell’andata.

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    Italiani in arrivo ad Ellis Island nl secolo scorso

    Con la terra abbandonata, a rischio incendi per mancanza di cura e di occhi vigili, tanto da dover ricorrere a droni e telecamere. Con i paesi e le città che si svuotano, e hai voglia a protestare per il ridimensionamento dei servizi (le scuole, in primis, ma non solo) in una fase storica in cui per ognuno di essi le entrare devono coprire in larga parte i costi.
    Risolviamo il problema. Anzi: cogliamo l’opportunità. Cosa potrà succedere? Che avremo qualche bambino un po’ meno bianco? E allora dovremmo vietare anche la tintarella e le abbronzature nei centri estetici.
    D’altra parte, i medici cubani di bianco hanno solo il camice.

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    Roberto Occhiuto con alcuni dei medici cubani giunti in soccorso della sanità calabrese
  • Disastri naturali, la Calabria è la più vulnerabile d’Europa

    Disastri naturali, la Calabria è la più vulnerabile d’Europa

    Non succede, ma se succede… in Calabria farà più danni che in tutto il resto d’Europa.
    Parliamo di disastri naturali e degli effetti sul territorio e sugli esseri umani a tutti i possibili livelli. L’allarme stavolta proviene direttamente dalla Commissione europea che dall’ottobre del 2022 pubblica uno studio in costante aggiornamento. L’ultimo upgrade risale al mese scorso e i risultati sono a dir poco inquietanti per la Calabria.
    Emerge, infatti, come in Europa l’Italia sia il paese più vulnerabile alle catastrofi naturali insieme a Bulgaria, Romania e Grecia. Tuttavia, mentre in prospettiva le cose negli altri tre paesi appaiono in lento miglioramento, in Italia la situazione sembra destinata a rimanere stabile.

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    La mappa della vulnerabilità delle province italiane

    Perentoria l’indicazione per il nostro territorio: «Italiani sono anche altri due primati: la regione più fragile del continente è la Calabria e la provincia è Reggio Calabria».
    Scopo dello studio è avvisare gli amministratori locali e nazionali per correre ai ripari prima che sia troppo tardi.
    Il governatore Occhiuto, insomma, è un “avvisato speciale”, visto che la Calabria è la zona con i peggiori indici di vulnerabilità in caso di disastri naturali.

    Irpinia e Giappone: un confronto impietoso

    Quattro i fattori che determinano l’indice di vulnerabilità totale: economico, sociale, ambientale e politico. Per capire meglio bisogna pensare ai tanti fenomeni naturali di forte impatto quali terremoti, inondazioni, siccità, tempeste e altri eventi di tipo atmosferico, frane ecc. Questi avvenimenti in zone pericolose sono molto più probabili ma a parità di pericolosità le zone più vulnerabili sono quelle dove poi si verificano i danni maggiori per la scarsa organizzazione locale e le ripercussioni sui cittadini provocano disastri nei disastri.

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    Il tragico terremoto in Irpinia del 1980

    Il terremoto in Irpinia, ad esempio, e i terremoti in Giappone spiegano bene di cosa parli lo studio della Commissione europea. Zone più pericolose come il Giappone con terremoti superiori in magnitudo a quello dell’Irpinia hanno avuto moli meno danni a cose e persone. La Calabria ha il massimo punteggio di vulnerabilità in Europa e il capoluogo regionale il peggiore di tutte le province dell’Ue. Questo il dato sui cui tutti i calabresi devono riflettere e a partire dai quali gli amministratori devono darsi da fare sin da subito. Prima che sia troppo tardi.

    Disastri naturali: lo studio europeo

    Il Disaster Risk Management Knowledge Centre (Drmkc) del Joint Research Centre (Jrc) della Commissione europea ha pubblicato uno studio con l’obiettivo di accendere un faro sulla vulnerabilità ai disastri naturali dei paesi europei. Rappresenta un primo tentativo di indagare, attraverso la definizione di un indice, sulle possibili conseguenze di calamità.
    Il Drmkc ha sede nel Jrc di Ispra, alle porte di Varese. È un laboratorio europeo che, grazie a una impressionante ricchezza di dati, consente la gestione in tempo reale delle crisi provocate da disastri naturali.
    Non tutti i beni, i sistemi o le comunità con lo stesso livello di esposizione a un pericolo specifico sono ugualmente a rischio: conoscere la vulnerabilità, perciò, è fondamentale per determinare il livello di rischio.

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    Reggio Calabria risulta essere la provincia più vulnerabile d’Europa

    Asset molto esposti possono avere una vulnerabilità molto bassa, quindi essere considerati a basso rischio: in una zona sismica un edificio tradizionale è più vulnerabile di uno costruito con criteri antisismici. Per queste ragioni, dunque, la vulnerabilità è la componente fondamentale di cui tener conto nella definizione delle politiche e delle azioni per la riduzione del rischio di catastrofi. Ridurre la vulnerabilità e l’esposizione dei territori e delle comunità è la via più efficace per ridurre il rischio, dal momento che non è sempre possibile ridurre la gravità e la frequenza dei pericoli naturali. Ancora di più, se si considerano gli impatti dei cambiamenti climatici.

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    Tra le regioni europee è ancora la Calabria a guidare la classifica dei peggiori

    Le colpe dell’uomo

    La funzione dell’indice e della mole di dati raccolti è anche quella di aiutare gli amministratori a prendere le decisioni. Per ridurre la vulnerabilità è necessario identificare e affrontare i fattori di rischio quasi sempre derivanti da scelte e pratiche di sviluppo economico e urbano inadeguate. Essi hanno, infatti, un legame con il degrado ambientale, la povertà, la disuguaglianza, le istituzioni deboli.
    I governi possono applicare strategie e politiche per ridurre la vulnerabilità introducendo misure precise, progettate per ridurre sia la componente “indipendente dal pericolo” (dovuta essenzialmente all’azione dell’uomo) che quella “dipendente direttamente dal pericolo” (legata agli eventi naturali).

    In particolare, la vulnerabilità indipendente dal pericolo, su cui si concentrano gli indici costruiti dal JRC, tiene conto degli ostacoli che indeboliscono le capacità di un sistema o di una comunità di resistere alle sollecitazioni poste da qualsiasi pericolo. Descrive la suscettibilità a potenziali perdite o danni delle comunità indipendentemente dalla loro esposizione ai vari pericoli. Si basa su molteplici fattori che caratterizzano una comunità situata in un determinato territorio.

    Disastri naturali e vulnerabilità: il caso Calabria

    Nel 2022 la regione europea più vulnerabile ai disastri naturali in assoluto era la Calabria, seguita dalla Ciudad de Melilla (città autonoma spagnola situata sulla costa orientale del Marocco). Un graduino del podio più giù, altre due regioni italiane: Campania e Sicilia.
    Nella classifica delle province, il poco invidiabile primato è di Reggio Calabria e dei primi 30 nomi più della metà sono di altre province italiane. La maggior parte si trovano nel Mezzogiorno, ma non solo: ci sono anche Latina, Frosinone, Fermo, Pesaro-Urbino, Pescara, solo per citarne alcune.

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    Le medie nazionali di vulnerabilità e i cambiamenti negli anni, regione per regione

    Nel confronto rispetto alla media nazionale, sorprendono alcune situazioni specifiche. In positivo la Puglia, il cui indice è in costante e moderata discesa sotto la media italiana, come la Val d’Aosta. In miglioramento anche la Sicilia, mentre sono in netto peggioramento Trento e Bolzano che partivano da situazioni molto virtuose. Nessun progresso, invece, per la Calabria
    Le aree più vulnerabili pagano soprattutto la fragilità economica e ambientale: in Calabria 4 province su 5 segnano il massimo di vulnerabilità ambientale. Quanto all’indicatore di vulnerabilità sociale, vede livelli molto bassi in tante province del Sud e delle isole. Peggio di così è difficile fare.

  • Camigliatello, il mistero degli alberi numerati

    Camigliatello, il mistero degli alberi numerati

    Sul piazzale dell’ingresso agli impianti di risalita di Camigliatello –  fermi,  tra l’altro, per il consueto e irrisolto problema del collaudo dei cavi – ci sono numerosi alberi alti anche oltre venti metri. Su molti di essi qualcuno ha tracciato un numero con della vernice rossa. Generalmente questa procedura prelude a un solo destino: qualcuno abbatterà quegli alberi. Solo che nessuno, tra le autorità presumibilmente competenti (Ente Parco, Regione e Comune) è stato in grado di spiegare quale sarà il destino di ben 39 pini silani.

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    Il corso principale di Camigliatello Silano

    Il sindaco di Spezzano, nel cui territorio ricade l’area interessata, in una frettolosa telefonata ha rapidamente scaricato la responsabilità sulla Regione.
    Più disponibile a fornire spiegazioni, tuttavia insufficienti, è stato il direttore dell’Ente Parco, Ilario Treccosti. Al telefono ha chiarito che non può «essere informato su tutto», ipotizzando anche che gli alberi numerati siano quelli non destinati all’abbattimento. I sopravvissuti, in pratica. Poi ci ha invitati a scrivere una mail al Parco.
    E qui è partita la battaglia delle Pec.

    Gli alberi di Camigliatello e la battaglia delle Pec

    Una prima mail certificata l’abbiamo inviata al Parco il 21 giugno, restando senza risposta. Una seconda invece, anch’essa del 21, ha avuto come destinatario il settore “Parchi e Aree naturali protette” della Regione Calabria, da cui non abbiamo avuto repliche.
    Il dipartimento “Territorio e Tutela dell’ambiente”, sempre della Regione, il 29 ci ha risposto a sua volta affermando che «In riferimento alla Pec in oggetto si fa presente che la richiesta pervenuta non è di competenza dello scrivente settore».

    La cittadella regionale di Germaneto

    Dalla Pec del settore “Agricoltura e forestazione”, invece, ci spiegano che la nostra richiesta di informazioni «si trasmette per competenza e per opportuna conoscenza». Destinatario della trasmissione è il dipartimento “Territorio e Tutela dell’ambiente”. Lo stesso, cioè, che aveva negato ogni competenza quando lo abbiamo contattato. Visto, invece, che l’Agricoltura non ha coinvolto il dipartimento “Politiche della montagna, Foreste, forestazione e Difesa del suolo” abbiamo evitato di distogliere anche gli uffici in questione dal loro duro lavoro con una email.

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    Gianluca Gallo, assessore regionale all’Agricoltura

    Una Pec, per non farci mancare nulla, l’abbiamo mandata pure all’assessore Gallo. Certo, non apre lui stesso la posta, ma qualche suo assistente l’avrà pure trovata e letta, senza però degnarsi di fornire alcuna spiegazione. In questa specie di matrioska di competenze e ruoli, abbiamo mandato Pec pure a Calabria Verde. Anche lì la posta certificata deve risultare un seccante impiccio.

    Chi martella taglia

    Ma il bello viene adesso. Perché se numerare gli alberi vuol dire probabilmente segnare quelli da tagliare – o da salvare, secondo l’ipotesi di Treccosti – quanto si vede a Camigliatello è piuttosto bizzarro.
    Il modo corretto per realizzare il taglio di alberi in area boschiva è quello di procedere alla “martellatura”. È una pratica che impone l’apposizione di un sigillo col simbolo dell’Ente che ha scelto quanti e quali alberi abbattere, tramite appunto la martellatura da fare alla base del tronco dell’albero. Tutto questo al fine di conoscere sempre chi lo ha tagliato. Senza tale sigillo “martellato” adeguatamente dove tutti possano trovarlo, il taglio potrebbe essere opera di chiunque.

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    Uno degli alberi senza martellatura a Camigliatello

    Attorno a questi alberi numerati a Camigliatello fioriscono le ipotesi. Qualcuno parla di salvaguardia delle macchine poste sotto gli alberi, sulle quali d’inverno potrebbero cadere ammassi di neve. Altri sostengono si tratti di un semplice allargamento del parcheggio stesso. Non manca nemmeno chi con un’alzata di spalle assicura che ogni tanto qualcuno traccia numeri sui tronchi, ma poi nessuno li taglia davvero.
    Se però questa volta dovesse accadere, non sapremo mai chi l’ha deciso.

  • Vitalizi in Calabria: quanto ci costano le pensioni dei politici?

    Vitalizi in Calabria: quanto ci costano le pensioni dei politici?

    Capita a volte di pensare che i politici locali non abbiano dato un grande contributo per il futuro dei nostri territori. Certo è che grazie ai contribuenti calabresi il loro, di futuro, sarà più sereno di quello della maggior parte dei rispettivi elettori. Perché il periodo trascorso in Regione Calabria, oltre a uno stipendio tra i più alti del Paese durante il proprio mandato, garantirà ai vecchi eletti i sospirati vitalizi e le agognate indennità differite. Quelle finite nell’occhio del ciclone dopo il tentativo di farle elargire con «la legge che si illustra da sé» (poi ritirata) qualche anno fa. Stando alle stime più recenti, costano poco più di 7 milioni di euro ogni anno alla Calabria, oltre mezzo milione al mese.

    Vitalizi in Calabria: quelli che guadagnano meglio

    In Calabria c’è stato un tempo in cui Pino Gentile era il Maradona delle preferenze, oggi invece è il Cristiano Ronaldo dei vitalizi. Avrà anche dovuto cedere la poltrona in aula Fortugno alla figlia Katya, ma, forte delle numerose legislature trascorse tra Consiglio e Giunta, è ancora quello che incassa di più tra i nostri ex governanti per i servizi resi alla collettività. I suoi anni alla Regione valgono un assegno da circa 8.500 euro al mese. Come lui non c’è nessuno, gli altri meglio retribuiti non arrivano nemmeno a quota 8.000.
    Si ferma a circa 7.600, per esempio, Mario Pirillo, che troverà comunque modo di mettere insieme il pranzo e la cena con l’altro assegno da ex europarlamentare. Problema (e soluzione) simile per Mario Oliverio, ex governatore e consigliere che si ferma a soli 3.500 euro al mese: può contare comunque anche sulla pensione da deputato e quella maturata per il suo lavoro a scuola, seppur in perenne aspettativa per impegni politici.

    Di soldi ne vanno più del doppio, circa 7.100 euro, a Mimmo Tallini. Poca cosa, certo, al cospetto delle lezioni sul fascismo che il politico catanzarese ha generosamente regalato dai banchi dell’Aula Fortugno negli anni. Parrebbe quasi un premio alla cultura se non fosse che Mimmo Talarico, pur autoiscrivendosi al club dei principali pensatori del ‘900, ogni 30 giorni ha diritto a soli 2.700 euro. Al suo omonimo Francesco, preso da ben altri pensieri ultimamente, ne vanno invece 6.200.

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    La conclusione del curriculum presentato da Mimmo Talarico alle ultime elezioni regionali

    Inchieste, danni erariali e vitalizi in Calabria

    A volte capita che gli assegni in questione – o, almeno, parte della cifra – tornino automaticamente nelle casse di chi paga. È il caso di quanti, durante il loro mandato, si sono macchiati di danno erariale nei confronti della Regione Calabria, con conseguenze per i loro vitalizi. Solo per citare qualche nome finito in Rimborsopoli: Antonio Rappoccio e Giulio Serra, oppure Luigi Fedele.

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    Giuseppe Scopelliti, ex presidente della Regione Calabria

    Non sono gli unici percettori di vitalizio ad avere o aver avuto problemi con la giustizia italiana. Nell’elenco dei beneficiari, ad esempio, ci sono alcuni dei protagonisti della recente inchiesta che ha travolto Crotone e provincia. Vincenzo Sculco in primis, con i suoi 3.200 euro mensili, ma anche un habitué (suo malgrado) delle indagini sui politici calabresi come Nicola Adamo, che di euro ne prende quasi 6.900 ogni 30 giorni. O chi, come Peppe Scopelliti, è passato dalle patrie galere dopo gli anni nei palazzi del potere: per l’ex governatore ci sono circa 4.700 euro al mese dallo scorso ottobre. Sono pressappoco 1.500 in meno rispetto al suo predecessore Agazio Loiero, ma comunque più dei 3.900 toccati in sorte a un altro ex presidente della Regione, Giuseppe Chiaravalloti.

    In famiglia

    Gino e Michele nel resto d’Italia sono i due autori comici tra gli ideatori di Drive-In e Zelig; in Calabria i Trematerra, padre e figlio. A casa loro di euro ne arrivano circa 8.500 al mese, 4.100 al papà e il resto al pargolo. A casa Morrone invece, nell’attesa che Luca raggiunga l’età della pensione (e la relativa indennità) ci si accontenta dell’assegno da 6.400 euro mensili per il babbo Ennio. Nel remoto caso di difficoltà economiche da affrontare, c’è comunque la nuora Luciana De Francesco a poter dare una mano con lo stipendio da consigliera in aula Fortugno.

    Luigi Incarnato, a sua volta, si ritrova a lavorare gratis come braccio destro – per gli oppositori più maliziosi: alter ego – del sindaco di Cosenza, Franz Caruso, ma per fortuna ci sono i vitalizi della Regione Calabria. Nel suo caso, corrispondono a circa 3.800 euro mensili che gli consentono di entrare nel supermercato a fare la spesa senza eccessivi patemi.
    Menzione d’onore finale per Baldo Esposito: il suo, sarà che non si chiama più vitalizio tecnicamente, sembra quasi il moribondo reddito di cittadinanza. L’assegno, data la brevità dei suoi trascorsi in aula, si ferma infatti a poco meno di 1.000 euro mensili. Prendono come minimo il doppio di lui perfino i beneficiari degli assegni di reversibilità per gli ex consiglieri deceduti. Sono una cinquantina e costano in totale alla Regione poco meno di 120mila euro ogni mese.

  • Pnrr e Por: i quattrini ci sono, sbrighiamoci

    Pnrr e Por: i quattrini ci sono, sbrighiamoci

    Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), avviato dopo la pandemia, ha stimolato molte aspettative nel nostro Paese.
    Ad esso sono state legate in parte le prospettive di crescita economica, che dipendono anche dalla capacità di realizzare la transizione ecologica e quella digitale, le principali missioni del piano.
    Al Pnrr si è guardato, poi, come a uno strumento per ridurre le disuguaglianze territoriali che storicamente caratterizzano l’Italia. Le risorse, come si sa, sono ingenti. Ammontano a 191,5 miliardi (di cui, è bene ricordarlo, 122,6 sono prestiti), cui se ne aggiungono altri 30 del “fondo complementare”, per un totale di 222 miliardi da impiegare entro il 2026.

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    La storica sede di Bankitalia a Reggio Calabria

    I dubbi sul Pnrr

    Oggi, l’enfasi che ha accompagnato l’approvazione del Pnrr comincia a lasciare spazio ai dubbi. Sarà in grado l’Italia di spendere, nei tempi previsti e secondo gli obiettivi stabiliti, le risorse disponibili?
    I primi dati mostrano come questi dubbi non siano infondati. L’attuazione del piano procede a rilento: molti sono gli ostacoli normativi, burocratici, organizzativi da superare.
    Per quanto riguarda la Calabria, il rapporto annuale sull’economia regionale, redatto dalla Banca d’Italia, contiene utili dati sullo stato di avanzamento del Pnrr, ma anche dei programmi finanziati dai fondi europei.

    Il Pnrr in Calabria

    Secondo il rapporto, a maggio, risultavano assegnati ai soggetti pubblici calabresi (Regione, Comuni, altri enti e imprese nazionali partecipate dallo Stato come Anas e Ferrovie, Rfi) circa 5 miliardi di euro.
    In rapporto alla popolazione calabrese, si tratta di 2.265 euro per abitante (a fronte dei 1.911 euro della media nazionale). La quota principale dei fondi, il 31 per cento, è assegnata ai Comuni, mentre il 27 per cento a operatori nazionali (enti e società partecipate).
    Qual è lo stato di attuazione? Ad aprile di quest’anno (ultimo dato disponibile), i bandi di gara delle amministrazioni locali calabresi ammontavano a 764 milioni di euro, pari al 26 per cento degli importi che queste dovranno utilizzare.

    La cittadella regionale di Germaneto

    Pnrr e Calabria: ritardi nella media

    Nel quadro generale dei ritardi che caratterizzano l’attuazione del Pnrr, il dato dei Comuni calabresi, pur modesto, è sostanzialmente in linea con quello nazionale. Ciò significa che, come le altre amministrazioni locali italiane, anche quelle calabresi sono tenute ad accelerare le procedure indispensabili per attuare i progetti nei tempi previsti. Secondo le stime della Banca d’Italia, da qui al 2026, i comuni calabresi dovrebbero incrementare la capacità di spesa tra il 94 e il 125 per cento, pena il sottoutilizzo delle risorse.

    Allarme Por: diamoci una mossa

    Se per il Pnrr è necessaria un’accelerazione delle procedure, più critica risulta l’attuazione dei progetti finanziati con fondi europei. Ci riferiamo al Programma operativo regionale (Por) 2014-2020 gestito dalla Regione. Alla fine del 2022, risultava speso solo il 60 per cento dei 2,3 miliardi di euro messi a disposizione della Calabria; una percentuale inferiore a quella delle regioni italiane meno sviluppate (oltre alla Calabria, Campania, Puglia, Basilicata e Sicilia). In base alle normative europee, la spesa dovrà essere completata entro il 2023, per evitare il disimpegno automatico delle risorse non utilizzate. Pochi mesi, dunque, per recuperare ritardi accumulati negli anni.pnrr-calabria-ritardi-nella-media-pericolo-vero-sono-fondi-por

    I soldi? Ci sono: usiamoli

    Si consideri che, per il ciclo di programmazione 2021-27, la Calabria ha già ottenuto 3,2 miliardi di euro: un importo maggiore di quello del ciclo precedente che pure si fatica a utilizzare.
    A fronte dei problemi e delle strutturali carenze (anche infrastrutturali) che caratterizzano la regione, l’incapacità a utilizzare pienamente i fondi disponibili sarebbe difficile da comprendere. Si perderebbe non solo la possibilità di realizzare investimenti, si darebbero anche argomenti a quanti sostengono che, in Calabria, il problema non stia tanto nella disponibilità di risorse, quanto nella capacità di utilizzarle in maniera efficace per creare opportunità di sviluppo.

    Vittorio Daniele
    professore ordinario di Politica economica
    Università Magna Graecia

  • Operazione Chiacchiera: i 16 mesi che non cambiarono la Sanità calabrese

    Operazione Chiacchiera: i 16 mesi che non cambiarono la Sanità calabrese

    Qualche giorno fa Roberto Occhiuto ha presentato alla stampa l’Operazione verità sulla sanità in Calabria. Il presidente e commissario alla Sanità ha comunicato che negli ultimi 16 mesi si è proceduto all’assunzione di 2.191 unità di personale: 1.450 a tempo indeterminato e 741 precari stabilizzati, ai quali bisogna aggiungere 1.080 lavoratori a tempo determinato. I dati sono stati presentati sotto forma aggregata per il periodo Gennaio 2022-Aprile 2023.
    La dichiarazione che ha accompagnato le cifre è stata: «Non c’è mai stata una attività tanto imponente in tutti gli anni di commissariamento».

    Se da un lato è apprezzabile che finalmente anche in Calabria si affrontino le questioni politiche e sociali partendo dall’evidenza dei dati, dall’altro sarebbe più giudizioso presentarli in una forma facilmente verificabile. Ad esempio, la pratica corrente nelle rilevazioni statistiche è raggruppare i dati su base annuale, o trimestrale, al fine di facilitare la comparazione e la proiezione immediata con i dati storici esistenti. Dover analizzare un periodo di 16 mesi risulta più complesso, ma con gli strumenti giusti si può.

    Sedici mesi alla prova del nove

    Per verificare l’andamento del reclutamento del personale in ambito sanitario, ed in generale della PA, si può accedere al sito della Ragioneria dello Stato denominato OpenBDAP. Questa piattaforma offre un panorama dettagliato su assunzioni, cessazioni, lavoro flessibile, con dettagli per ogni ente. I dati sono aggiornati solo quando sono definitivi e consolidati, pertanto al momento si fermano al 2021. Ciò è tuttavia sufficiente per costituire uno storico delle assunzioni nelle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere della Calabria. In generale si osserva che dal 2015 in poi si sono assunte annualmente circa un migliaio di unità di personale, con un debole ma costante aumento. Più di recente, nel 2019 si sono registrate 1.246 assunzioni, nel 2020 1.349 assunzioni e nel 2021 1.525 assunzioni.

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    La sede della Ragioneria Generale dello Stato

    Al fine di verificare se si tratti effettivamente di numeri “straordinari” prendiamo come riferimento di calcolo il 2021. Come accennato sopra, si sono realizzate 1.525 assunzioni che suddivise in 12 mesi corrispondono a 127 assunzioni mensili. Moltiplichiamo per 16, ovvero il numero di mesi a cui ci si è riferiti con l’operazione verità, il risultato è 2.033. Ça va sans dire, le 2.191 assunzioni effettuate tra gennaio 2022 ed aprile 2023 sono assolutamente in linea con l’andamento del recente passato.

    Calabria, la Sanità di Occhiuto: straordinaria ordinarietà

    Comunicare la straordinarietà di un risultato ordinario può rivelarsi assolutamente controproducente. In realtà, ci sarebbe bisogno di chiedere ai “tavoli romani” un piano straordinario per le assunzioni, al fine di allineare il personale del SSR calabrese alla media del resto d’Italia ed in tal modo compensare gli squilibri causati dal Piano di Rientro. La carenza di professionisti è sicuramente tra le criticità principali che ostacola l’erogazione dei Livelli Essenziali di Assistenza ai cittadini calabresi. Ad oggi, non c’è struttura sanitaria operante sul territorio regionale che non sia sottodimensionata in rapporto al proprio fabbisogno di personale.

    Tempi per le assunzioni da umanizzare

    La narrazione della Calabria Straordinaria deve fare i conti anche con la realtà di altri dati, come le tempistiche necessarie per finalizzare le procedure concorsuali: negli ultimi 3 anni l’ASP di Cosenza ha impiegato in media quasi mille giorni dalla pubblicazione del bando alle graduatorie finali. Senza trascurare il fatto che la maggior parte delle procedure avviate tra il 2021 ed il 2023 sono completamente ferme.

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    L’ingresso dell’Asp di Cosenza – I Calabresi (foto C. Giuliani)

    A ciò si aggiungono le sfide del PNRR: si dovrà creare – a partire da zero – la rete dell’assistenza territoriale. La Calabria ha previsto 100 nuove strutture tra Case di Comunità, Ospedali di Comunità e Centrali Operative Territoriali, il loro funzionamento richiederà quasi un migliaio di nuove unità di personale tra infermieri, medici, OSS e personale amministrativo, tutte da reclutare.

    Occhiuto e la Sanità in Calabria: operazione chiacchiera?

    Occhiuto non ha certamente la bacchetta magica per risolvere problemi decennali della Sanità in Calabria. Ma ha sicuramente poteri decisionali che nessuno dei suoi predecessori ha avuto, oltre al sostegno del Governo. Difficilmente chi frequenta o lavora negli ospedali calabresi ha percepito la boccata di ossigeno celebrata dalla maggioranza che sostiene Occhiuto. Iniziative come Azienda Zero, Sanibook e Rilevatori dell’Umanizzazione sembrano creare nuovi problemi anziché risolvere i vecchi.
    “Operazioni verità” e tabaccherie ‘e lignamme ‘o Banco ‘e Napole nun ne ‘mpegna.

    Enrico Tricanico

  • Grande Cosenza: quanto fa paura la città unica?

    Grande Cosenza: quanto fa paura la città unica?

    Iniziamo dall’ultimo capitolo del dibattito sulla Grande Cosenza. Per la precisione, dal convegno, intitolato senza troppa fantasia Fusione dei Comuni, svoltosi a Rende il 31 maggio. Cioè nella città che più teme di confluire nel Comune unico assieme a Cosenza e Castrolibero perché considera la fusione un’annessione tout court al capoluogo.
    E forse e così e i timori non sono infondati. Tuttavia, nel dibattito, promosso dai gruppi di opposizione, non è emerso un no secco. Ma il classico “ni”: un disegno di legge regionale alternativo a quello proposto da Pierluigi Caputo e approvato a Palazzo Campanella il 23 maggio.
    Ni, in questo caso non è “sì ma”, bensì un altro modo per dire no. Infatti, il ddl, elaborato dal demagistrisiano Andrea Maria Lo Schiavo e dal grillino Davide Tavernise, rimette dalla finestra ciò che la legge Omnibus aveva cacciato dalla porta: il ruolo centrale (ovvero il potere decisionale) dei Comuni e, soprattutto, dei cittadini. Che possono dire sì o no alle fusioni anche a discapito delle delibere dei loro municipi.
    Tutto il contrario di quel che prevede la recente, criticatissima, normativa della Regione, che invece bypassa Consigli e Giunte e dà un valore consultivo ai referendum popolari.

    Pierluigi Caputo, il primo firmatario della legge Omnibus

    Grande Cosenza: c’è chi dice nì

    Facciamo una carrellata del tavolo rendese: tolti i due consiglieri regionali, che non hanno rapporti diretti con l’area urbana, sono tutti protagonisti di primo piano della politica Rendese. A partire da Sandro Principe, che incarna la memoria storica della città, a finire a Massimiliano De Rose. Passando per l’evergreen Mimmo Talarico.
    Nessuno di loro può dire no all’idea della grande Cosenza. Soprattutto per un motivo: il progetto fu lanciato negli anni ’80, in piena golden age del socialismo rendese, dall’allora sindaca Antonietta Feola. E, per quel che riguarda Principe, è doveroso ricordare i dibattiti (e i bracci di ferro) col vecchio Giacomo Mancini sull’area urbana e, in prospettiva, sulla città unica.
    Durante il dibattito rendese le associazioni hanno dichiarato guerra e si preparano alle carte bollate per stoppare il referendum. Parrebbe, così ha confermato il docente Unical Walter Nocito, con buone possibilità di successo.
    Ma il problema reale non è giuridico né tecnico (anche se diritto e amministrazione hanno un peso non proprio secondario): è politico.

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    Sandro Principe

    Le leggi? Pesano ma…

    Il dibattito sulla fusione, variamente definita “a freddo” o autoritaria, si può dividere in due fasi: prima e dopo il 22 maggio, giorno della contestata approvazione della legge Omnibus.
    Nel prima, si sono sentiti tutti in dovere di impartire lezioni di Diritto costituzionale. Sulle quali non è il caso di impegnarsi troppo. Giusto una battuta per dire che la legge Omnibus è costituzionale solo perché il Titolo V della Costituzione, riformato nel 2000, è piuttosto ambiguo e permette queste e altre soluzioni. Meglio ancora: la fusione a freddo è legittima come lo è l’autonomia differenziata.
    Il dato più importante della legge per la città unica è la deadline: 1 febbraio 2025. Venti mesi in cui organizzare i referendum (di cui la Regione può non tener conto), predisporre il nuovo organigrammi amministrativi. E, infine, andare al voto in un quadro mutato del tutto, con aggregazioni politiche diverse e leadership storiche che saltano. Mettiamo da parte (per ora) le dietrologie e andiamo al succo: i numeri.

    Il grande massacro a Cosenza

    Per Cosenza, sulla carta, non cambia nulla. Quindi cambia tutto. Il Consiglio comunale della nuova città avrà 32 componenti. Gli stessi dell’attuale capoluogo.
    Ma questi consiglieri saranno spalmati su 109.149 abitanti, in pratica la somma delle anagrafi dei tre Comuni in fusione.
    Caliamo questi numeri nella realtà politica delle tre città. Franz Caruso è diventato sindaco di Cosenza nel 2021 con 14.413 voti. Cioè col 57,6% dei votanti.
    A questo punto calcoliamo in maniera ipotetica gli aventi diritto al voto della città unica, che con una certa prudenza sarebbero il 75% degli abitanti. Cioè 81mila e rotti. Quindi, per diventare sindaco della città unica Caruso dovrebbe prendere 48mila voti e rotti. Più di tre volte tanto.

    Franz Caruso (foto Alfonso Bombini)

    Manna è stato confermato sindaco di Rende nel 2019 con 9.217 voti, ovvero il 57,13% dei votanti. Nella nuova città dovrebbe prenderne più o meno come Caruso. Ma per lui lo sforzo sarebbe enorme: sei volte tanto i voti del 2019.
    La situazione più estrema è quella di Orlandino Greco, tornato sindaco di Castrolibero alcuni giorni fa con 4.143 voti, ovvero il 77,7% dei votanti. Proiettare il suo dato sulla città unica è una cattiveria inutile…
    Ma il vero gioco al massacro riguarderebbe i consiglieri. Sui quali si può fare un calcolo grossolano, astratto ma semplice: la divisione degli aventi diritto per 32. In parole povere, ci vorrebbero 2.531 elettori per fare un consigliere.
    Questa soglia, grossolana e astratta metterebbe in serie difficoltà tutti i mattatori del voto delle tre città, a partire da Francesco Spadafora, il consigliere cosentino più votato. O, sempre per restare a Cosenza, un altro big delle urne come l’immarcescibile Antonio Ruffolo, alias Mmasciata, alias Lampadina.

    Una strana legge

    I sostenitori della legge Omnibus hanno quindi ragione su un punto: chi contesta lo fa anche per il timore di perdere la poltrona. Comprensibile in chi è sindaco da poco e gestisce una situazione finanziaria pesante (Caruso) o in chi è tornato primo cittadino da pochissimo, con tante voglie di rivalsa (Greco),
    Anche i critici hanno la loro buona fetta di ragioni: il meccanismo della legge Omnibus non è quel modello di democrazia. A dirla tutta, innesca un processo senz’altro dirigista (direbbero quelli bravi), che funziona davvero dall’alto verso il basso e dà alla Regione (o meglio, a chi ne controlla la sala dei bottoni) un potere di impulso notevole, praticamente inedito in Italia.
    Per di più, questo meccanismo sarebbe replicabile su tutto il territorio, con i dovuti adattamenti, se l’esperimento cosentino andasse bene. E ciò scatena le critiche più tardive, ad esempio quella di Fausto Orsomarso, che ha steccato nel coro del centrodestra all’ultimo momento utile.

    Rende non è come Gomorra: assolto Principe, ora sono lacrime e paradossi
    Marcello Manna (foto Alfonso Bombini)

    I maligni (e bene informati) sussurrano due cose. La prima riguarda il rapporto tra il senatore di Fdi e Orlandino: quest’ultimo avrebbe sostenuto il Faustone di Calabria nella corsa a Palazzo Madama e SuperFausto si sarebbe “disobbligato”. La seconda tocca, invece, i rapporti tra il senatore meloniano e vari sindaci di Comuni bonsai, che potrebbero cessare di esistere in seguito a fusioni più o meno “coatte”. I soliti maligni riferiscono di solidi legami, maturati durante gli assessorati regionali di SuperFausto.
    Ovviamente nessuno ce l’ha con Orsomarso: il suo, se confermato, è solo un esempio ripetibile sulla totalità dei consiglieri regionali attuali. In pratica, le fusioni biturbo potrebbero devastare la cinghia di trasmissione del potere e dei relativi consensi dal Pollino allo Stretto. Di più: potrebbero diventare uno strumento particolarmente acuminato e low cost in mano ai vari inquilini dei piani alti di Germaneto per disegnare il territorio regionale a proprio uso e consumo.

    Fausto Orsomarso (foto Alfonso Bombini)

    Cosenza, grande ma zoppa (e artritica)

    Torniamo al presente più immediato. L’area urbana che si appresta a diventare città è una zona in crisi grave. Politica, amministrativa e di leadership.
    Andiamo con ordine. Il dissesto di Cosenza è più che noto. E sono altrettanto note le attuali difficoltà finanziarie del capoluogo, che proprio non riesce a smaltire il suo passivo. Detto questo, Rende sta meglio ma non troppo: nonostante gli annunci dell’attuale amministrazione, la città del Campagnano non è ancora fuori dal predissesto. Nei fatti, la situazione è uguale a quella cosentina (sebbene con prospettive meno gravi): tasse a palla.
    Passiamo al livello politico. Al momento, il Comune più stabile è Cosenza. Rende, al contrario, è decapitata a livello politico e decimata a livello amministrativo dalle inchieste della magistratura. E la situazione potrebbe peggiorare: i soliti maligni, che coincidono coi bene informati, considerano prossimo lo scioglimento per mafia.
    Dalle vicissitudini giudiziarie emergono i problemi di leadership. Sotto quest’aspetto, l’unico a non avere guai è Franz Caruso. Il quale, tuttavia, a dispetto di una lunga militanza nell’area socialista, non ha il peso necessario per guidare l’eventuale amalgama tra le tre città.

    Sindaci nei guai

    Sul caso di Marcello Manna, che da sindaco alla fine del secondo mandato (quindi non ricandidabile a Rende), avrebbe potuto coltivare altre ambizioni, sono necessarie considerazioni più complesse. È vero che Manna, “nato” col centrodestra, ha goduto in realtà di un appoggio bipartisan. Tuttavia, i suoi incidenti giudiziari (per i quali è doveroso il massimo garantismo) azzoppano non poco ogni ipotesi, reale o virtuale.

    Orlandino Greco

    Più sfumato il discorso su Orlandino Greco (per il quale vale il medesimo garantismo). Il neo ri-sindaco di Castrolibero affronterà entro la fine dell’estate alle porte l’ultima udienza del processo di primo grado in cui è imputato per presunti fatti di mafia. È un primo cittadino sub iudice, le cui vicende potrebbero condizionare non poco, nell’ipotesi peggiore, la stabilità amministrativa del suo Comune.
    Discorso simile, ma non troppo, per il convitato di pietra del dibattito furioso che ha accompagnato l’approvazione della legge Omnibus: Mario Occhiuto. Secondo molti, l’ex sindaco di Cosenza è il potenziale primo-cittadino “ombra” della città unica. Tuttavia, la recente condanna in primo grado, frena le ambizioni, che il diretto interessato non ha confermato (ma neppure smentito in pubblico).

    Rende l’anello debole della grande Cosenza

    In tutto questo, come già detto, l’anello debole è Rende, di cui ancora non è certa l’uscita dal predissesto ed è invece probabile, così dicono i malevoli, lo scioglimento per presunte infiltrazioni mafiose.
    Se ciò avvenisse, Rende arriverebbe alla fusione senza alcuna guida politica, neppure quella supplente dell’attuale facente funzioni Marta Petrusewicz. Ma, anche a prescindere dai terremoti giudiziari, la città del Campagnano rischierebbe di perdere non poco del proprio peso socio-economico. Vediamo come.
    Innanzitutto, perché diventerebbe la periferia est della nuova città unica, che nella versione attuale non include Montalto Uffugo. In seconda battuta, perché rischierebbe di perdere non pochi servizi, che finirebbero inghiottiti dal dissesto del capoluogo. Infine perché la mancata inclusione di Montalto esaspererebbe la competizione, già in corso, tra i due territori ad est dell’area urbana.

    Marta Petrusewicz

    Montalto contro Rende?

    Questa competizione, in primo luogo è fiscale: le zone industriali di Rende e Montalto hanno una perfetta continuità geografica. Ma Montalto costa meno a livello di tasse e ciò, nel recente passato, ha provocato l’“emigrazione” di varie attività da Rende.
    A questo si deve aggiungere l’attrattiva delle nuove infrastrutture, progettate nel territorio montaltese: la stazione ferroviaria per l’alta velocità e il nuovo svincolo dell’autostrada. Tutto ciò potrebbe trasformare la concorrenza, già aggressiva, in dumping vero e proprio. Fuori dalla città unica, Montalto continuerebbe a crescere a danno di Rende.

    La mappa politica della città unica (senza Montalto)

    Inizia la battaglia

    I tre sindaci interessati dalla fusione promettono guerra. E le associazioni iniziano a muoversi con una certa cattiveria.
    Tutti i pronostici, al momento, sono prematuri. Giusto una considerazione per chiudere: da oggetto del desiderio, la grande Cosenza è diventata motivo di discussioni infinite. Che però non spostano di una virgola la portata del problema: l’anomalia di una delle province più grandi d’Italia che fa capo a una città sempre più piccola e frazionata in 150 Comuni, di cui solo 14 superano i 10mila abitanti. Qualcuno, prima o poi, dovrà metterci mano. O no?

  • Acque pulite in Calabria? Solo retorica: per l’Ue siamo i peggiori

    Acque pulite in Calabria? Solo retorica: per l’Ue siamo i peggiori

    La primavera si è vista poco ma prima o poi arriverà l’estate, quindi ferie e week end al mare. Vogliamo scommettere che, anche quest’anno terranno banco, in Calabria, la depurazione e i suoi problemi?
    Gli ultimi dati regionali ufficiali si trovano nell’annuario di Arpacal sull’ambiente.
    Lo scorso marzo il governatore Occhiuto ha dichiarato l’inizio della tolleranza zero su quest’argomento, che inevitabilmente tocca i cittadini e, va da sé, i turisti.

    Sos depurazione in Calabria: la regione “avvisa” i sindaci

    Alla dichiarazione è seguito il classico colpo d’avvertimento. In questo caso, una nota del 23 marzo, con cui, Salvatore Siviglia, il direttore generale del Dipartimento regionale territorio e tutela dell’ambiente, si rivolgeva ai sindaci. Ecco il testo: «Al fine di migliorare il grado conoscitivo degli impianti di depurazione presenti nella Regione Calabria con la presente si chiede ai signori sindaci in indirizzo di provvedere, con l’ausilio dei propri uffici tecnici, alla compilazione di un apposito form».
    Questa discovery non è proprio immotivata. Si pensi che nell’ultimo dossier di Arpacal del 2022 su 102 depuratori controllati 36 erano risultati irregolari, 25 non conformi per parametri chimici non regolari e 29 non conformi per presenza fuori quota di escherichia coli.
    Arpacal, si legge nell’annuario ambientale (che potrebbe e dovrebbe essere molto più chiaro e specifico), ha trovato nei depuratori incriminati tracce irregolari di sostanze chimiche, soprattutto derivate da concimi e fertilizzanti, e tensioattivi di origine organica.

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    Le infrazioni europee nel trattamento delle acque

    Depurazione in Calabria: tutte le strutture irregolari

    In provincia di Catanzaro sono risultati irregolari 5 depuratori, a Cosenza 11, a Crotone 6, a Reggio Calabria 6 e a Vibo 8. Totale: 36 depuratori non regolari per diversi motivi. La balneazione, al momento, è messa bene. Almeno sulla carta. Basterebbe confrontare i dati del 2022 con quelli dell’anno precedente. Da questo paragone si ricava che le acque di balneazione nel 2022 sono state ritenute “eccellenti” per l’88,47%; “buone” per il 6,81%, “sufficienti” per il 2,31%, mentre restano “scarse” il 2,41% delle acque esaminate.
    Il podio va alla costa catanzarese, che si estende per circa 102 km, con acque che Arpacal considera “eccellenti” al 100%. Ma lievi miglioramenti si sono registrati tra i dati del 2021 e quelli del 2022, sulle coste del vibonese (87,82%) e del cosentino (81,14). Sostanzialmente stabili invece le condizioni delle acque balneabili nel reggino (84,44%) e nel crotonese (99,09).

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    La mappa dei controlli dell’Arpacal

    Calabria maglia nera nella depurazione

    Ma in Calabria ancora troppe zone sono sotto procedura d’infrazione europea. Per rendersi conto, basta un’occhiata al sito del Commissario straordinario unico per la depurazione, dove risultano ancora 155 procedure aperte contro la Calabria, che fa a gare con la Sicilia per il numero maggiore di infrazioni.
    Inoltre, interi agglomerati urbani non sono collettati alla rete e scaricano a cielo aperto. Perciò, in alcuni tratti il mare resta ancora inquinato. Non finisce qui: mancano alla conta le zone interne.
    Saremo pure in leggero miglioramento, ma c’è ancora troppo da fare.
    Se ne sono accorti ai piani alti di Germaneto, visto che la Giunta regionale ha stanziato gli scorsi giorni 18,5 milioni di euro.
    «Tra depuratori da sostituire o ammodernare», si legge in una nota della Regione, «per accogliere anche le acque di scarico dei Comuni che ne sono privi, saranno oltre 500 gli interventi programmati, quasi tutti sulla fascia Tirrenica, la più danneggiata dalla mala depurazione, ma anche la più frequentata dai turisti grazie all’alta velocità, l’aeroporto e l’autostrada che la collegano al resto d’Europa». Questo con buona pace delle vecchie polemiche di Fausto Orsomarso.

    Il bastone e la carota: Occhiuto annuncia tolleranza zero

    Occhiuto e la depurazione: si accettano scommesse

    Roberto Occhiuto la settimana scorsa ha ripreso la “croce” della depurazione. E, al di là del consueto ottimismo, non ha nascosto i guai: «In Calabria abbiamo 539 depuratori, sono molti di più in rapporto agli abitanti equivalenti netti di altre regioni e poi abbiamo un sistema depurativo che non funziona. Evidentemente su, questo settore, per decenni in Calabria, non si è governato come era necessario».
    La domanda, a questo punto, è scontata: la nuova legge su Arpacal e gli interventi programmati da Occhiuto e soci basteranno a togliere alla Calabria la maglia nera sulla depurazione o se ne serviranno altri? Solo il tempo darà una risposta. Ora vediamo quel che accadrà nella stagione balneare tra poco alle porte.
    Per il resto, si accettano scommesse.

  • Sanità in rosso? La Lega lancia le “palestre della salute”

    Sanità in rosso? La Lega lancia le “palestre della salute”

    La Lega calabrese come il Padre Gabrielli di Boris? Il sospetto, almeno per i fanatici della celebre serie TV, potrebbe anche venire spulciando il sito del Consiglio regionale della Calabria. Può capitare, infatti, di imbattersi in una nuova proposta di legge che porta la firma di quattro esponenti locali del Carroccio: Giuseppe Gelardi, Pietro Raso, Pietro Molinaro e il presidente dell’Aula Fortugno, Filippo Mancuso. La sanità dalle nostre parti, si sa, ha problemi di bilancio (e non solo) enormi, ma un modo per ridurli c’è. Ed è il segreto della vita che Corrado Guzzanti rivelava all’elettricista Biascica: la palestra.

    Sport, Sanità e conti in rosso

    I quattro salviniani di Calabria, ispirati dai (ma meno accurati dei) colleghi veneti, non hanno dubbi a riguardo e lo mettono nero su bianco nella loro proposta di legge. Dopo attenti studi non hanno potuto che rilevare come risulti «fatto notorio che il benessere psicofisico sia uno dei fattori fondamentali per l’abbassamento del rischio di contrazione di diverse malattie». Qualora non fosse chiaro, lo ribadiscono: «Uno stato di forma ottimale della popolazione porterebbe ad una minor insorgenza di malattie».

    Appurato che di solito mantenersi in forma fa ammalare di meno, è arrivata l’illuminazione: meno malati si tradurrebbero in una minor spesa per il sistema sanitario. Non solo avremmo «una popolazione più sana, e quindi più attiva e più felice». Ci sarebbero pure ricadute positive «in relazione ad alcuni segmenti del bilancio regionale e di quello nazionale».

    Non solo Calabria: la Lega e le palestre della salute

    Ed ecco come la Calabria potrebbe salvare il SSN: mettendo un cartello “Palestre della salute” nelle palestre che esistono già. La legge targata Lega si compone infatti di quattro, scarni articoli. Il primo dice che nel 2023 la Regione riconosce che per realizzare il diritto alla salute fare attività fisica serve, come già legiferato nel 2010. Nel secondo si chiarisce che secondo i nostri governanti le «palestre della salute» – e non, per esempio, le macellerie o i negozi di ferramenta – sarebbero «luogo privilegiato» per la suddetta attività.

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    La Lega di Zaia ha istituito le palestre della salute in Veneto, i salviniani di Calabria vogliono imitarla

    Ma che sono le palestre della salute? Palestre dove – lo certificherà la Regione, spiega l’art. 3 – si faranno attività che fanno bene alla salute con attrezzature a norma. Si prospettano tempi duri, dunque, per quelle dove si va per ammalarsi o farsi male, la Cittadella non avrà pietà per loro. Il quarto articolo, infine, rassicura tutti: non ci saranno costi in più per il bilancio regionale. Il cartello, insomma, se lo pagheranno i gestori.
    La nuova legge deve ancora passare l’esame di due commissioni (la Sesta e la Seconda) e  ottenere l’ok del Consiglio, ma la strada per una Sanità coi conti in ordine sembra già più in discesa.

  • Nuovi ospedali in Calabria: la grande farsa della Regione

    Nuovi ospedali in Calabria: la grande farsa della Regione

    Secondo il penultimo annuncio ufficiale sui nuovi ospedali in Calabria, quello della Sibaritide avrebbe dovuto aprire i battenti al più tardi un paio di settimane fa, sedici anni dopo lo stanziamento dei fondi per realizzarlo. A settembre di quest’anno, invece, sarebbe stato il turno di quello di Vibo e a ottobre 2024 quello del nuovo ospedale della Piana. Lo aveva sostenuto a giugno del 2020 l’allora presidente della Regione Jole Santelli in risposta a un’interrogazione dei consiglieri Guccione, Irto, Bevacqua, Tassone e Notarangelo sullo stato di avanzamento dei lavori delle tre strutture.
    L’ottimismo della governatrice era, evidentemente, eccessivo.

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    L’ex presidente della Regione, Jole Santelli

    Prioritari ma non troppo

    Ora, infatti, è arrivato l’ultimo annuncio ufficiale sui suddetti ospedali. E siccome in Calabria i cronoprogrammi sono mobili qual piuma al vento e la memoria degli elettori labile, ai cittadini si dice come se nulla fosse che ci sarà ancora da aspettare. Come minimo un paio d’anni, se non altri quattro. E meno male che – in controtendenza rispetto a quando elogiava le chiusure dei nosocomi in epoca Scopelliti  — «nell’azione di governo il presidente (Occhiuto, nda) ha posto tra le priorità anche la realizzazione dei tre nuovi ospedali».

    Dalla Regione è partito all’indirizzo delle redazioni un comunicato a firma di Pasqualina Straface, presidente della commissione Sanità, dal titolo inequivocabile: «Nuovi ospedali calabresi, consegne previste tra il 2025 e il 2027». Le parole di Straface arrivano al termine di una seduta della commissione con protagonista l’ingegner Pasquale Gidaro. Chi è? Il dirigente del settore Edilizia sanitaria ed investimenti tecnologici della Regione Calabria, audito per l’occasione proprio per sapere da lui a che punto sia la situazione a Vibo, nella Piana e nella Sibaritide.

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    Pasqualina Straface, presidente della commissione Sanità

    Nuovi ospedali in Calabria: la Sibaritide

    Prendiamo l’ultimo caso, visto che a detta di Santelli, l’apertura sarebbe stata a marzo 2023. Occhiuto – era settembre 2022 – diceva che sarebbe stato «pronto entro il prossimo anno». Quattro mesi prima aveva indicato pure il mese: dicembre. Qui si dovevano spendere 144 milioni di euro per avere 376 nuovi posti letto.
    E invece? Invece «La struttura portante sarà conclusa nei prossimi giorni. Al 31 marzo lo stato di avanzamento dei lavori era pari al 24% dell’importo contabile per oltre 26 milioni», scrive Straface nella sua nota.

    Il quadro economico precedente, complice l’innalzamento dei prezzi in ogni settore, nel frattempo è cambiato. Ora servono 42 milioni di euro in più. Diciassette, precisa la consigliera, la Regione li ha già erogati in attesa che arrivi anche una variante al progetto «entro il 29 maggio 2023». Poi altri due mesi di attesa per ottenere i vari pareri e autorizzazioni dagli enti preposti e «potranno ripartire i lavori a pieno regime». Quando finiranno? «Il cronoprogramma – scrive ancora Straface – prevede la consegna dell’ospedale della Sibaritide entro il 2025».

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    Occhiuto sul cantiere del nuovo ospedale della Sibaritide nel maggio scorso

    Nuovi ospedali in Calabria: Vibo Valentia

    E a Vibo si potrà andare nel nuovo ospedale già a settembre come prometteva Santelli? Inutile sperarci. Anche qui i tempi di consegna, tra sequestri del cantiere e altri problemi, sono slittati e i costi schizzati alle stelle. Dai 143 milioni iniziali per 339 posti letto si è passati a 190 milioni di spesa prevista dal nuovo quadro economico.  Quanto alla consegna, qui va peggio che nella Sibaritide. «I lavori del progetto stralcio approvati il 27 febbraio 2023 dovrebbero partire tra fine aprile e di primi di maggio. Si prevede la consegna dell’opera nella primavera del 2026», annuncia Straface nella nota.

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    Uomini della Guardia di Finanza nel cantiere del nuovo ospedale di Vibo

    Nuovi ospedali in Calabria: la Piana

    Quelli messi peggio, però, sono i cittadini della Piana. Ottobre 2024, la data ipotizzata illo tempore dall’ex governatrice, passerà senza che di nuovi ospedali funzionanti si veda l’ombra. E, bene che vada, toccherà attendere altri quattro anni. Qui i posti letto in programma erano 352, almeno fino al 2020, per una spesa di 150 milioni. Ora, stando alla nota di Straface, saranno invece 339, tredici in meno. Ma costeranno 158 milioni, otto in più di prima.

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    Rendering del nuovo ospedale della Piana

    Un certo peso nei ritardi sarebbe addebitabile alla burocrazia. Ma, a riguardo, non bisogna sottovalutare la sagace idea di realizzare la struttura in un’area che richiede il «superamento di problematiche di tipo geologico e geotecnico dovute alla presenza di faglie sismo-tettoniche». Ecco perché il cronoprogramma aggiornato, stando alle parole di Straface, chiarisce che «entro il 2027, infine, è prevista la conclusione dei lavori dell’ospedale».
    Altri tre-quattro anni di attesa (se tutto va bene), insomma. Almeno – Cosenza docet – fino al prossimo annuncio, s’intende.