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  • Paolo Orlando, il reggino che sceglie i film che vedrai al cinema

    Paolo Orlando, il reggino che sceglie i film che vedrai al cinema

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    Il fiuto per i film su cui puntare si è sviluppato in anni di lavoro sul campo, ma è nato probabilmente sulle colline di Arcavacata. Era nella prima generazione di studenti del progetto pilota di un Dams a Sud, tra i cubi dell’Università della Calabria, dove si è laureato con una tesi su Stanley Kubrick.
    Paolo Orlando oggi è il direttore della distribuzione di Medusa film e in questa fine anno ha buoni motivi per gioire. Guarda i successi in sala, è continuamente collegato con i report di Cinetel.

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    Paolo Orlando

    È un “grande giorno” per il cinema italiano. Il film con Aldo, Giovanni e Giacomo, diretto da Massimo Venier, ha festeggiato un magnifico Natale, con un incasso di oltre un milione e 100mila euro nel giorno di Santo Stefano. A firmare la colonna sonora della commedia ambientata sul lago di Como, è il cantautore calabrese Dario Brunori, che già aveva collaborato con il trio in Odio l’estate.
    Il box office è da record. Se la partenza è questa, si spera anche in un grande anno del ritorno del pubblico in sala nella post pandemia. Il terreno è già tastato da diversi titoli di questa fine 2022. L’omaggio al teatro di Roberto Andò con il suo La stranezza, la commedia piccante Vicini di casa, il family Il ragazzo e la tigre.

    Da Reggio al grande schermo

    Paolo Orlando, 52 anni, reggino, nella grande fabbrica italiana del cinema, che ha il suo quartier generale a Roma, lavora dal 2001. Oggi fa parte della rosa ristretta dei manager. Dal 2019 insieme con il vice-presidente e amministratore delegato Giampaolo Letta, condivide scelte e strategie. Visiona quintali di pellicole ed è presente a tanti festival, da quelli più importanti ai cosiddetti minori, le vetrine del cinema che verrà. Da Cannes, Venezia e Berlino a Giffoni e Saturnia.

    Anche all’invito del Reggio Calabria film festival ha risposto volentieri. Un buon motivo per tornare a respirare l’aria del mare dello Stretto e per fare visita ai suoi genitori.
    Nella città brutia è stato nel febbraio scorso, in occasione dell’anteprima nazionale di un film a lui caro, “Una femmina” del regista cosentino Francesco Costabile, la storia di Rosa la ribelle, l’attrice cariatese Lina Siciliano, che non accetta il clima e la brutalità mafiosa in cui è costretta a crescere.
    Ciò che colpisce dei titoli Medusa è la perfetta osmosi tra il cinema più impegnato e i prodotti che possono piacere a un grande pubblico.

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    Lina Siciliano sul set di “Una femmina” (foto Francesco Spingola)

    Come si sceglie un film?

    «Le scelte nascono da un’idea condivisa, a partire dall’amministratore delegato, fino a coinvolgere tutte le varie funzioni aziendali. Medusa ha sempre avuto la costante coesistenza di titoli dall’alto potenziale commerciale, quindi trasversalmente nazionalpopolari, e di tutto ciò che aveva a che fare con un mondo più art house che passava sia per gli esordi del cinema italiano, sia per il consolidamento di grandi autori. Le congiunture degli ultimi dieci anni hanno modificato l’approccio, anche perché il pubblico ha manifestato un’attenzione particolare al prodotto di qualità».

    Cosa è cambiato? E come si sceglie un listino Medusa?

    «Abbiamo provato a far coesistere quello che più naturalmente ci viene bene, cioè la commedia popolare, con un cinema più ricercato, più impegnato. L’esigenza è, quindi, quella di comporre un listino che sia il più eterogeneo possibile e che vada a intercettare al meglio le tipologie di pubblico È in quest’ottica che nascono film come Perfetti sconosciuti, 2016, oppure film family, un sottogenere della commedia che il cinema italiano non frequentava e che è stato rianimato con Dieci giorni senza mamma (di Alessandro Genovesi, con Fabio De Luigi e Valentina Lodovini, ndr).
    Gli esempi più recenti sono la distribuzione di Un altro giro diretto da Thomas Vinterber, Oscar come miglior film straniero, e Nostalgia di Mario Martone con Pierfrancesco Favino, Tommaso Ragno e un bravissimo Francesco Di Leva».

    Un decennio di risultati, insomma, prima che il covid fermasse tanti progetti. Un esempio per tutti: La grande bellezza e l’Oscar per il miglior film straniero riconquistato dal cinema italiano.

    «Sì, tutta la produzione di Sorrentino fino a Youth è passata da noi. Ma penso anche a Tornatore, a Virzì, a Pupi Avati e ad altri nomi illustri del cinema italiano».

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    Paolo Sorrentino con l’Oscar vinto con il suo La grande bellezza

    Il tuo primo incontro con il cinema è stato in Calabria. Sei stato allievo di Marcello Walter Bruno, semiologo e critico di “Segno cinema”, uno che con i suoi studenti amava discutere di tutte le forme d’arte. È scomparso lo scorso luglio, ed è stato un dolore per chiunque l’abbia conosciuto, ascoltato, letto. È inevitabile chiederti se il tuo intuito abbia a che fare con questo background.

    «L’intuito o sensibilità, io preferisco questa definizione, sicuramente trae le sue origini dal mio percorso di studi ad Arcavacata.
    Con Marcello Walter Bruno fu un incontro folgorante. Lui e un altro docente in particolare, Roberto De Gaetano, sono stati gli attizzatori di questa fiamma. Marcello ha avuto il grande merito di proporre un metodo che utilizzo tuttora: il modo che io ho per approcciare un progetto, a partire dalla sua sceneggiatura, è quello di scomporlo. Ed esattamente era questa la maniera di procedere nello studio dei grandi autori italiani come Visconti o del cinema americano, da Coppola fino ad arrivare a Kubrick. Quando l’ho scelto come relatore, lui stava lavorando proprio al suo libro sul regista (un volume cult uscito qualche mese dopo la morte di Kubrick, per la Gremese n.d.r.).

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    Warren Clarke, Adrienne Corri, Malcolm McDowell e Stanley Kubrick durante le riprese di Arancia meccanica, 1971

    Io ero affascinato dal rapporto di Kubrick con Max Ophüls, il meno conosciuto di tutti i registi teutonici che tra gli anni ’40 e ’50 emigrarono nel cinema americano. Marcello mi aveva suggerito un approfondimento stilistico, ma io sono andato oltre e ho portato avanti una mia tesi, secondo la quale le influenze ophulsiane non riguardavano soltanto la tecnica ma arrivavano alle tematiche. Quindi il mio lavoro aveva questo piano suicida, perché toccare un mostro sacro è da suicida, di dimostrare che Kubrick aveva pescato a piene mani nel cinema del regista tedesco. Ho lavorato per sei mesi notte e giorno ed ero pronto a laurearmi, quando Marcello mi chiese altri tre mesi di approfondimento. Io ero completamente sfinito e non accettai».

    Come andò a finire?

    «Non bene. In sede di commissione di laurea bocciò la proposta del presidente del Dams di conferirmi la lode. Lui che era il mio relatore. Ecco Marcello era preciso, netto, era trasparente. E anche queste sue qualità sono state un lascito, oltre al metodo di lavoro, a cui cerco di ispirarmi».

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    Marcello Walter Bruno

    Qual è oggi la tua visione della Calabria? Pensi anche tu che potrebbe essere un set naturale, a cielo aperto?

    «Sono nato a Reggio Calabria ma all’età di sette anni sono andato a vivere a Roma, per poi trasferirmi a Cosenza negli ultimi anni di scuola. La mia è sicuramente una visione poco campanilista che non mi impedisce di vedere le grandi potenzialità e insieme i grandissimi sprechi e anche gli scempi che vengono fatti da tutti i punti di vista. È sicuramente vero che negli ultimi tempi si è mosso qualcosa. Con la Calabria film commission sono nati progetti che hanno prodotto risultati importanti. C’è stata tutta una serie di film girati nella regione che hanno guadagnato il panorama nazionale e internazionale, partecipando a festival, riscuotendo premi, ottenendo attenzioni da parte della critica.

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    Gianni Amelio al Festival di Venezia

    Penso ad Anime nere di Francesco Munzi, tratto dal romanzo di Gioacchino Criaco e al “mio” Una femmina del regista Francesco Costabile. C’è un nuovo rigurgito di nuovi autori che hanno trovato origine in produzioni locali e, inoltre, non dimentichiamo che uno dei più grandi autori italiani viventi, parlo di Gianni Amelio, è calabrese. Ecco, mi sembra che ci sia più di un elemento per essere fieri. Se poi è un set a cielo aperto bisognerà vedere. La cosa più importante è non disperdere ciò che sinora è stato fatto».

    Anche sotto l’ombrellone, quando arrivi in Calabria per trascorrere qualche giorno di vacanza, guardi immagini e sceneggiature. È vero che spesso coinvolgi i tuoi familiari e i tuoi amici nella visione di un trailer, di un cortometraggio divertente, della bozza di un manifesto?

    «Sì, spesso, coinvolgo persone a me vicine, ascolto i pareri di amici, familiari e anche di figure target. Per esempio, se deve uscire un film per famiglie, mi capita di mostrare il trailer a un bambino e di chiedergli cosa ne pensa».

    Un’attrice, un volto nuovo femminile del cinema, sulla quale punteresti molto?

    «Mi fa molto piacere parlare di un’attrice che secondo me ha un potenziale che adesso sta venendo fuori, anche se già da qualche anno era evidente, e che, non vorrei essere blasfemo, ma potrebbe essere una nuova Monica Vitti. È Pilar Fogliati (vista in Forever Young, in Corro da te e nella serie Netflix Odio il Natale, ndr).
    È molto giovane ed ha tantissime caratteristiche, riesce ad essere fragile, divertente, quindi comica, ma anche intensa e drammatica. È per queste sue doti che ricorda lo stile Vitti».

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    Pilar Fogliati

    Quale sarà il film italiano del nuovo anno, il film che lascerà qualcosa di importante nel pubblico, il più amato, il più visto?

    «A saperlo! Magari! Posso anticipare alcuni film su cui riponiamo speranze. Uno di questi è Il primo giorno della mia vita di Paolo Genovese tratto dal suo romanzo, un film con un supercast, sulla ricerca della felicità, del motivo per essere felici e che uscirà a fine gennaio. È la storia di una sorta di gestore di anime, Toni Servillo, che offre sette giorni per far ritrovare la forza di vivere a persone che stanno per suicidarsi. È una storia intrigante e interessante. Subito dopo, a febbraio, usciremo con Laggiù qualcuno mi ama, il docufilm di Mario Martone su Massimo Troisi, che proprio nel 2023 avrebbe compiuto settanta anni. È stato realizzato con documenti inediti e testimonianze di colleghi e amici e che tra l’altro vedrò per intero proprio stasera, quando finiremo questa intervista, perché sinora ho visto dei pezzi. Stasera vedrò il film finito».

    Cosa ti manca di Reggio Calabria?

    «Ciò che mi manca di più in assoluto sono i miei genitori, poi ci sono anche altri affetti, amici, che rivedo sempre volentieri. Una cosa che mi lega moltissimo a Reggio è il mare, perché è qualcosa di ancestrale, che va oltre qualunque deturpamento della realtà. Sì, è anche il mare a mancarmi molto».

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    L’Arena dello Stretto a Reggio Calabria

    Il mare della Fata Morgana che avvicina le sponde e incanta, culla di reperti riemersi, il mare archeologico che fa venire in mente proprio la testa di Medusa, quella cara a Versace, che inchioda la sguardo, come fa un bel film con il suo pubblico.

     

     

  • Reggio, Rem e Paul McCartney: che musica per Francesco Villari

    Reggio, Rem e Paul McCartney: che musica per Francesco Villari

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    Francesco Villari è andato via molto presto da Reggio: subito dopo il liceo. Arrivato a Roma, già durante l’università,  ha messo a frutto quella che era sempre stata la sua passione: il giornalismo musicale. A ICalabresi racconta il suo cammino. Che lo ha portato a intervistare big del rock. E collaborare con mostri sacri della musica leggera italiana.

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    Francesco Villari, giornalista e scrittore di Reggio Calabria

     

    Dove è nato il fuoco sacro per il giornalismo?

    «Sono entrato nella prestigiosa Università della Musica, che era stata creata da due grandi maestri, Gino Castaldo ed Ernesto Assante. Lì si imparava concretamente a scrivere una recensione di un pezzo, di un disco o di un concerto. Il preside della facoltà era Gianfranco Salvatore, famoso etnomusicologo. Da subito, le opportunità erano tante: così ho cominciato con la rivista Tutti Frutti, che era la bibbia del giornalismo di cultura alternativa in quei primi anni Novanta. Da lì sono passato al Mucchio Selvaggio, Rumore e naturalmente anche la bellissima esperienza con Musica del quotidiano La Repubblica. Era un cammino a metà esatta tra il pratico e il teorico, al punto che dai nostri laboratori universitari è nata proprio la squadra che ha creato l’inserto del quotidiano, allora ancora guidato da Scalfari».

    Quanto è durato il percorso lì dentro?

    «Tre anni. Come un master post-universitario».

    Quando ancora eri a Reggio e hai capito che questa doveva essere la tua strada, come l’hanno presa in famiglia?

    «Io vengo da una famiglia che fortunatamente ha sempre avuto una maggiore apertura mentale, ma è chiaro che la “vena artistica” viene sempre vista con sospetto. La mia è una famiglia di storici, quindi ha vissuto di qualcosa di molto tangente all’arte. Rosario Villari si è occupato di storia moderna, Lucio di storia contemporanea, mio padre Nicola di storia del folklore. Quindi, come per discendenza spontanea, io mi occupo di storia della musica. Inizialmente mi hanno consigliato di approcciarmi a qualcosa di più concreto, già all’epoca si pensava che queste strade fossero un po’ complicate e nonostante questo io sono sempre stato un sognatore. Alla fine è andata anche bene».

    All’inizio dove vivevi a Roma?

    «All’inizio la classica vita del fuorisede calabrese a Roma: le prime case in comune con alcuni amici in zona Tiburtina e Prenestina, poi invece sono diventato pariolino».

    Com’è iniziata la collaborazione con “Tutti Frutti”?

    «È stata la mia prima esperienza. Cinquanta-sessanta recensioni di dischi a settimana. Poi anche tanti concerti. Erano gli anni del Palladium alla Garbatella, del Palaeur. All’epoca nascevano i Modena City Ramblers, i Bluvertigo, gli Almamegretta: la scena alternativa italiana era fiorente e io ero lì ad assistere. Poi l’intervista agli Oasis».

    Paul McCartney

    E sono arrivate anche le “trasferte”.

    «Sì, per il Mucchio. La mia prima trasferta importante a New York nel 1994, per intervistare i REM, che ancora non erano famosi, sarebbero esplosi più avanti con l’album Out of time, ma in Europa ancora non li conosceva nessuno. Poi a Londra con Paul Mc Cartney, una leggenda davanti ai miei occhi. Abbiamo parlato del suo album Off the ground, che era appena uscito. La mitologia vera».

    E i cantautori italiani?

    «Sono arrivate le occasioni per intervistare anche loro. De André, De Gregori, Dalla, Battiato. Con Franco ho addirittura realizzato un disco, in collaborazione con il Banco del Mutuo Soccorso. Si intitolava Imago Mundi».

    Hai continuato anche con “Rumore”. Esperienze di rilievo?

    «L’intervista con Roger Taylor, batterista dei Queen. Anche gli Spearhead di Michael Franti, un gruppo hip hop molto interessante, crossover tra i generi».

    Francesco Villari, quale è stato l’incontro più strano?

    «Senza dubbio quello con Fish dei Marillion. Lui era completamente sbronzo. Paolo Maiorino, un caro amico dirigente della Emi dell’epoca, mi chiese se avevo bisogno di un traduttore. Io mi piccai perché pensavo di non averne bisogno. Dopo capii il perché. Fish era un boscaiolo scozzese, era come se parlasse un sardo. Facevo finta di capire tutto. Così mi sono dovuto inventare l’intervista. Lo so che non si dovrebbe dire. Ma è quello che ho fatto, tanto ormai non mi possono più radiare. Però il giorno dopo mi chiamò l’ufficio stampa del cantante per farmi i complimenti».

    A un certo punto qualcosa cambiò nell’editoria musicale.

    «Musica ha cominciato a uscire autonomamente ma non ha funzionato. Le altre riviste e gli altri giornali stavano cambiando molto rapidamente, diventando le “fanzine” prezzolate dalle case discografiche. Non si scriveva più di un disco che piaceva davvero, ma lo si faceva per far piacere a loro. Ho cominciato a fare produzione, altre cose. Poi, per motivi sentimentali, sono tornato a Reggio nel 2012».

    E com’è iniziata la nuova avventura di “Cartoline Rock”?

    «Non potevo rinunciare alla musica e alla scrittura musicale. Così è nata la pagina Facebook (che oggi ha quasi settemila iscritti), mi serviva come sfogo per continuare a seguire la mia passione ma all’inizio non pensavo che il mezzo dei social media potesse avere così tante potenzialità di diffusione. Poi invece si è creata una bellissima rete, con Castaldo, Assante e anche con Carlo Massarini, poi Gegé Telesforo, Ellade Bandini e tanti altri. A un certo punto questa comunità spontanea è cresciuta un po’ anche per la dimensione “forzata” online (eravamo ancora in piena pandemia) con un megaevento alternativo il Primo Maggio del 2020, realizzato dagli studi di Radio Touring 104».

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    Vota Jim Morrison e Jimi Hendrix, la “campagna elettorale” di Cartoline rock

    E così hai capito che volevi uscire dal guscio virtuale?

    «Sì, ho capito che questa comunità voleva guardarsi in faccia, erano stati anni complicati. Così ho creato Cartoline Club. Una specie di hang out di Cartoline Rock: ho cominciato a organizzare eventi musicali, di letteratura, cinema, teatro, stand up comedy. Il locale, prima nella zona di via Aschenez (al centro di Reggio). D’estate abbiamo avuto la nostra appendice Cartoline beach club, su una terrazza sul mare in zona Pentimele e da poco abbiamo una nuova sede più grande, in via Friuli (zona Parco Caserta)».

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    Cartoline Club a Reggio Calabria

    Che oggi è un locale a tutto tondo.

    «Sì, facciamo musica live, di tutti i generi. 140 eventi ad oggi. Per iscriversi al circolo bastano 5 euro al mese e si può pagare con una o due annualità. Coinvolgiamo già una serie di artisti che vengono da un po’ tutta la Calabria. Facciamo anche serate di reading di poesia e letteratura, presentazioni di libri rassegne cinematografiche, la stand up comedy curata dal direttore artistico Rocco Barbaro. La rassegna jazz e quella blues. Poi c’è Rock Tales, curata da me con il chitarrista Salvatore Familiari e con la pittrice Luisa Malaspina che dipinge dal vivo. Ogni volta analizziamo un tema diverso affrontato dal rock, attraverso un filo conduttore di canzoni che ne hanno parlato. C’è un bar con piccola ristorazione all’interno, così ci si può anche fermare a consumare qualcosa. Non manca niente al Cartoline Club!».

    La pittrice Luisa Malaspina dipinge dal vivo al “Cartoline Club” di Reggio Calabria
  • Sud chiama Sud: con Filippo Cogliandro il ponte sullo Stretto arriva fino in Gambia

    Sud chiama Sud: con Filippo Cogliandro il ponte sullo Stretto arriva fino in Gambia

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    «Ci tornerò presto. Voglio tornarci. Devo. Ci penso da quando sono rientrato. È una strana sensazione: col corpo sono qui, ma la mia mente è sempre lì». È una soleggiata domenica di dicembre quando incontro lo chef Filippo Cogliandro, Ambasciatore dei Sapori, dei Colori e della Creatività della Calabria nel mondo, un lungo impegno insieme a Don Ciotti, patron del Ristorante L’Accademia, che aderisce all’Alleanza Slow Food dei cuochi, la rete di oltre 700 professionisti della ristorazione che sostengono i piccoli produttori custodi della biodiversità, impiegando i prodotti dei Presìdi. «Sono i prodotti della mia terra a raccontare il mio amore per la Calabria e per le sue tradizioni. Far incontrare eccellenze di diversi presìdi Slow Food serve a innovare la tradizione, costruendo una rete di scambio, di tutela, di opportunità».

     

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    Filippo Cogliandro

    Di lui si conosce la storia della sua lotta contro il pizzo. Ma quello che racconto oggi è il suo impegno per i Sud. Perché il luogo dove Filippo vuole tornare è il Gambia, il più piccolo dei Paesi africani continentali. «Poco dopo il mio rientro sono arrivate le foto dei banchi che abbiamo acquistato per aiutare la scuola islamica del villaggio di Jiffarong nel distretto di Kiang West. È stata una grande emozione. Tubabo (uomo bianco in wolof, nda) – il sottoscritto! – ha fatto un buon lavoro».

    Filippo è l’emblema di ciò che significa fare rete: contattare e mettere in contatto persone, aziende territori e sviluppare nuove opportunità. Il suo viaggio alla scoperta del Gambia, assieme ai suoi cuochi gambiani, sponsorizzato da Olearia San Giorgio, presidio Slow Food del reggino, ne è prova.

    La Notte dello Chef Afro-solidale

    La sua storia inizia diversi anni fa: «Fui contattato dall’associazione Destino Benin, che mi propose di realizzare qualcosa assieme per raccogliere fondi a favore del Benin. Da quell’incontro nacque l’idea della Notte dello Chef Afro-solidale, una sorta di contest cui aderivano i cuochi di Reggio che avevo coinvolto. Organizzavamo un menù degustazione di dieci portate che comprendeva una quota di partecipazione per gli ospiti. Ogni cuoco era chiamato a presentare un proprio piatto. Io acquistavo la materia prima e la mettevo a disposizione di chi l’avrebbe trattata. Tutto l’incasso delle serate veniva devoluto a Destino Benin che lo utilizzava per portare avanti i propri progetti di solidarietà e cooperazione.

     

    Ogni anno veniva eletto lo chef afro-solidale dell’anno, i cui piatti erano stati scelti e/o preferiti agli altri. Poi la pandemia non solo ci ha bloccati, ma ha impedito che il residuo dei fondi donati all’associazione potesse essere speso. Quel residuo sono i soldi che poi sono stati utilizzati durante la mia missione per acquistare quei banchi per i 92 bambini della scuola di Jiffarong, il villaggio di Salihu, perché le scuole arabe non ricevono fondi statali e la loro attività si basa sulla possibilità delle famiglie di finanziarle. Cosa non sempre scontata».

    Il Gambia e il sistema scolastico

    Il Gambia, a maggioranza musulmana, solo nel 2017 ha abbattuto la dittatura che lo opprimeva. Oggi è una Repubblica nuova e fragile che chiaramente ha bisogno di tutto. Il suo sistema scolastico è basato su quello inglese. Esistono asili statali laici, privati e islamici, ma solo i primi sono oggetto di finanziamento pubblico. Nonostante l’articolo 30 della Costituzione preveda un’istruzione libera, obbligatoria e accessibile a tutti, nella pratica il governo non è riuscito a renderla gratuita fino al 2013 per la scuola primaria, al 2014 per la scuola media e al 2015 per la scuola secondaria.

    Accanto al sistema scolastico laico statale ne esiste anche uno islamico con oltre 300 mandrasa dove, oltre alle normali materie scolastiche, vengono insegnati i valori islamici e le sure del Corano a memoria. Le statistiche riportano che, nel 2014, approssimativamente il 15% dei bambini ha completato lì i cicli scolastici obbligatori. Una percentuale importante che dà il polso di come avvenga l’istruzione nei villaggi rurali lontani dalla capitale Banjun.

    Filippo Cogliandro, Abdou Dibbasey e Salihu Barrow

    Il rapporto di Filippo Cogliandro con l’Africa e col Gambia è figlio di una storia precedente. Nel 2013 Abdou Dibbasey e Salihu Barrow sbarcano in Italia. Li attende la trafila di tutti i richiedenti asilo, dato che il Gambia è sotto la dittatura di Jammeh: la richiesta di protezione, l’audizione in Commissione Territoriale, il programma di accoglienza. I ragazzi iniziano il loro percorso di inserimento fin quando, su richiesta della struttura, Filippo attiva dei corsi professionalizzanti di cucina per gli utenti stranieri che di lì a poco sarebbero usciti dai programmi e avrebbero dovuto trovare lavoro. Saper cucinare li avrebbe facilitati.

    «L’obiettivo era dunque quello di trasmettere gli elementi basici della cucina italiana ed europea. Dalla pasta fresca alle salse base. Fu un’esperienza bellissima. Abdou e Salihu si erano dimostrati molto interessati. Poi, quel centro di accoglienza venne chiuso e gli utenti distribuiti in tutta la Regione. Saliou ed Abdou, che erano arrivati in Italia insieme, che avevano condiviso quel viaggio e che, fin dal Gambia, si sostenevano a vicenda, furono separati. Mi scrivevano dicendo che volevano rientrare a Reggio e volevano farlo insieme. Ma non esisteva altra possibilità che chiedere il loro affidamento. E questo feci. Iniziammo le procedure. Nel frattempo, Abdou divenne maggiorenne ed era sul punto di dover lasciare il centro dove risiedeva. La mia proposta fu quella di fargli un contratto di apprendistato. Salihu che, invece, era ancora minorenne, mi fu affidato per quattro mesi fino al compimento dei suoi diciotto anni. Anche lui mi chiese di poter diventare un cuoco e anche a lui proposi un contratto di apprendistato.

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    Abdou Dibbasey e Salihu Barrow

    Ancora oggi sono qui con me, sono i miei cuochi e non hanno solo imparato a cucinare, ma anche a gestire un’azienda di ristorazione: analizzare i costi di approvvigionamento, gestire la sala, occuparsi della parte finanziaria. È la dimostrazione di due cose importanti: la prima è che se vuoi, se ti impegni, ce la fai; la seconda è che stringere alleanze permette di raggiungere obiettivi importanti. Abdou e Salihu sono la ragione che mi ha portato in Gambia, sono stati i miei compagni di viaggio e sono i primi mattoni del ponte che sto costruendo».

    Un ponte tra la Reggio e il Gambia: Sud chiama Sud

    Si tratta del ponte tra Reggio e il Gambia. Abdou è il più giovane cuoco extracomunitario dell’Alleanza Slow Food in Italia; insieme lui e Salhiu, Filippo visita il Gambia in qualità di ambasciatore di Slow Food Calabria. L’idea è diffonderne i valori e l’attività ed entrare in relazione con il Convivium Slow Food Gambia. L’incontro con la referente, Ndeye Corr-Sarr, getta le basi per esplorare opportunità di scambio tra i prodotti calabresi e gambiani.

    Un momento del viaggio di Filippo Cogliandro in Gambia

    «Non mi aspettavo un’accoglienza tanto calorosa. Ho incontrato le massime autorità del Paese: il Presidente della Repubblica Barrow, il ministro degli Esteri, quello dell’Istruzione, il Presidente dell’Assemblea parlamentare e quello del partito di maggioranza. Proprio il Presidente Barrow mi ha detto: “Se volete davvero aiutarci, fate in modo che i nostri ragazzi non lascino il Gambia. Se vanno via i giovani, scompare il futuro“. Vorrei tornare lì e aprire un punto di ristorazione che sia attività imprenditoriale e centro di formazione per chi vuole fare cucina. E voglio che Abdou e Salihu, che desiderano fare ritorno, possano mettere a disposizione le competenze che ho trasmesso loro e fare ciò che io ho fatto con loro: formare e addestrare altri ragazzi. Per questo il viaggio è servito anche a prendere i primi contatti con le scuole alberghiere del luogo.

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    Filippo Cogliandro e Adama Barrow, Presidente della Repubblica del Gambia

    Lo stesso ministro degli Esteri ha accolto con grande piacere la mia proposta e sta valutando la possibilità di creare un consolato onorario a Reggio che sia punto di riferimento per i gambiani che risiedono in Calabria, Sicilia, Puglia. Un primo passo per aprire nuove opportunità di interscambio commerciale tra Reggio e Gambia, dove esiste un buon artigianato, ma manca la piccola industria e non vi sono processi di produzione moderni».
    Gli emigrati gambiani giocano un ruolo importante. Già con le loro rimesse e il loro sostegno dall’estero inviano aiuti in patria che spesso sono impiegati migliorare la vita dei loro villaggi. A Jiffarong, ad esempio, stanno realizzando la delimitazione dello spazio cimiteriale assediato dagli animali selvatici. Persone come Abdou e Salihu potrebbero portare, oltre al denaro, le competenze.

    Le prospettive future

    «Proseguiremo con la realizzazione del tetto della scuola di Jiffarong, sostituendo il vecchio in lamiera con un nuovo coibentato. Noi compreremo i materiali e le famiglie degli studenti lo realizzeranno. Entro fine anno, prima dell’inizio della stagione delle piogge, doneremo i 2000 euro necessari che stiamo raccogliendo, cosicché i ragazzi possano frequentare la scuola in condizioni più dignitose. Tubabo tornerà per continuare a seminare. Perché questo primo viaggio mi ha cambiato la vita e mi ha insegnato la solidarietà. Una solidarietà che ho visto praticare da chi ha nulla o quasi.

    Considera questo: con i soldi che Abdou mandava a casa, il padre acquistava le batterie di alimentazione per gli impianti solari della sua casa. E, sapendo che i suoi vicini l’elettricità non ce l’avevano, inviava loro un suo cavo con la lampadina di modo che la luce arrivasse anche a loro. La bella storia di emigrazione del figlio era un dono di Dio e questa fortuna doveva essere condivisa. Oggi guardo le loro storie e rivedo, pur nella loro diversità, le storie di emigrazione italiana in Australia, America, Francia, Belgio, Svizzera. Lasciare il proprio paese è sempre dura, anche se oggi Internet ci consente di mantenere un contatto stabile».

  • Stretto di Messina: una marea di energia contro la crisi

    Stretto di Messina: una marea di energia contro la crisi

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    L’attuale crisi energetica legata alle tensioni tra Europa e Russia ha palesato i limiti del sistema energetico europeo e italiano, e accelerato la necessità di trovare fonti alternative per non dipendere solamente da quelle fossili. A rendere la situazione più incombente, recenti studi prevedono che per il 2050 l’Italia avrà bisogno annualmente di più del doppio dell’energia elettrica richiesta oggi per un valore stimato di circa 700TWh rispetto ai 300TWh odierni. Avere un piano energetico nazionale capace di affrontare e rispondere a questa sfida è quindi una priorità.

    I rischi con eolico e solare

    Negli ultimi anni, la proliferazione sul territorio nazionale di campi eolici e solari, non sempre realizzati rispettando l’ambiente e le normative, hanno contribuito a sostenere la domanda di energia, ma da soli non saranno sufficienti a soddisfarla nel lungo periodo. In questo contesto, come recentemente illustrato da Geppino De Rose sulle colonne di questo giornale, la Calabria produce più energia di quella necessaria alla sua autonomia energetica. Se non si vuole continuare ad installare campi solari ed eolici a spese di aree destinate all’agricoltura (soprattutto al Sud) con il rischio di stravolgere equilibri sociali e economici delle comunità locali, solitamente rappresentati da territori che già soffrono di mancanza di lavoro e spopolamento, compito del Governo è quello di sostenere la ricerca di fonti alternative e di processi che possano aiutare ad aumentare la produzione energetica e ridurre l’impatto climatico limitando le ricadute ambientali e sociali degli stessi.

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    Pale eoliche nel Crotonese

    L’energia dalle maree

    Bisogna quindi sostenere finanziariamente e promuovere delle politiche di transizione energetica che spazino su vari campi per massimizzare le potenzialità del nostro territorio.
    Un sistema per produrre energia verde, usato in altre nazioni (es. Canada, Cina, Francia, Galles, Giappone e Scozia) e che sta riscontrando negli ultimi anni un aumento dell’interesse da parte dei governi, ma poco investigato in Italia, è l’energia tidale legata ai flussi di marea.
    Le maree sono lo spostamento di larghi volumi di acqua legati all’attrazione gravitazionale prodotti dalla Luna e dal Sole. Processo che produce due alte maree e due basse maree ogni giorno. Questo significa che in aree caratterizzate da forti flussi di marea, possiamo trasformare parte di questa energia usando turbine sottomarine che girano al passare dell’acqua, simili alle pale eoliche a cui siamo ormai abituati, generando elettricità.

    Vantaggi e svantaggi

    Contrariamente alle incertezze legate alla presenza di vento e sole necessari per far funzionare pale eoliche e pannelli solari, il vantaggio delle maree risiede nella previsione della loro forza e capacità di produrre energia basata sull’osservazione della rotazione della Terra e della Luna, permettendo di prevedere la produzione elettrica con un anticipo di giorni, settimane e perfino anni permettendo una pianificazione di medio-lungo periodo.
    Ad oggi però, il principale limite dell’energia tidale è legato ai costi di produzione generalmente più alti rispetto all’eolico e al solare dovuti ai maggiori costi e rischi nel dover lavorare in un ambiente marino rispetto alla superfice. Esiste inoltre un problema ambientale legato alla possibile collisione di animali con le pale delle turbine o l’impatto delle stesse sulla circolazione delle acque, importante per la produzione dei nutrienti in ambienti marini.

    Scelte mirate per rispettare l’ambiente

    Sebbene studi scientifici indichino che questi problemi siano minori rispetto ai rischi legati ai cambiamenti climatici cui stiamo andando incontro che ci spingono ad investigare soluzioni alternative a quelle fossili, la scelta dei siti dove collocare le turbine richiede un accurato studio geologico, marino e ambientale per comprendere al meglio le caratteristiche geologiche dei siti, la circolazione delle acque ed evitare un impatto nell’equilibrio di ecosistemi marini. Questo significa che l’energia tidale non sarà in grado di sostituire le fonti energetiche correnti ma, in aree caratterizzate da forti correnti di marea, può sicuramente giocare la sua parte con potenzialità di crescita future.

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    La maxi turbina finanziata dal governo scozzese

    Recentemente, è stata prodotta la più potente turbina tidale al mondo grazie ad un finanziamento pubblico da parte del governo scozzese di circa 4 milioni di euro. Turbina che sarà installata nelle Isole Orcadi (arcipelago a nord delle coste scozzesi) per la produzione di energia elettrica destinato ad uso civile e industriale. Questo significa che ci sono margini di miglioramento per aumentare l’efficienza delle turbine, ridurre i costi e massimizzare l’energia prodotta dalle maree.

    Lo Stretto di Messina come le Isole Orcadi

    Guardando ai nostri mari, l’area mediterranea è caratterizzata da escursioni di marea (differenza tra alta e bassa marea) di pochi centimetri, non comparabile con altre aree come il Mare del Nord dove si registrano variazioni dell’ordine metrico. Ma, in particolari contesti come lo Stretto di Messina, si possono creare le condizioni per correnti forti abbastanza da creare energia. La presenza nello Stretto di Messina di pericolosi vortici e forti e repentine correnti con direzioni che cambiano durante il giorno è un fenomeno ben conosciuto dai marinai e che ha ispirato il mito di Scilla e Cariddi come custodi dei due lati dello Stretto.

    Questi processi sono legati alle forti condizioni mareali possibili grazie alla ridotta ampiezza dello Stretto di Messina che misura solo circa 3 km ed ha una profondità minima di circa 70 metri. In queste condizioni, si osserva l’amplificazione delle maree che coinvolge una larga massa di acqua il cui flusso è regolato da inversioni semi-giornaliere delle fasi di marea tra il lato Tirrenico a nord e quello Ionico a sud dello Stretto.

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    Credit: Longhitano et al., 2020

    La fase di alta marea su di un lato coincide con la fase di bassa marea dall’altro che provoca una differenza nel livello del mare creando forti correnti. In particolare, nello Stretto di Messina si registrano correnti superiori ai 2 metri al secondo capaci di produrre 125 GW/h all’anno di energia elettrica, sufficiente per soddisfare la richiesta energetica di città come Reggio Calabria o Messina.
    Le Bocche di Bonifacio tra Sardegna e Corsica e altre simili configurazioni morfologiche simili a ‘stretti’ presenti nei mari italiani capaci di amplificare e accelerare i flussi di marea potrebbero rappresentare altri possibili siti da investigare.

    Investire nella Ricerca

    Ci aspettano sfide importanti e tempi bui (sia metaforicamente che letteralmente legati alla probabile riduzione di energia elettrica disponibile) che richiedono decisioni tempestive, lungimiranza e investimenti nella Ricerca. In Italia abbiamo ricercatori eccellenti pronti ad offrire soluzioni e risposte alle domande correnti. Ricercatori che spesso si ritrovano a lavorare con limitati mezzi e risorse ma che, nonostante continui tagli ai fondi alla ricerca, continuano a produrre risultati eccellenti. Hanno solo bisogno di una classe dirigente capace di guardare al futuro che inizi ad investire nella ricerca, così come avviene in altre nazioni per ridurre la dipendenza energetica da partner stranieri e invertire la corrente tendenza.

     

     

  • Da Rosarno alla Lombardia, passando per Ostia: affari e alleanze della cosca Bellocco

    Da Rosarno alla Lombardia, passando per Ostia: affari e alleanze della cosca Bellocco

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    Uno dei casati storici della ‘ndrangheta reggina. Di quelli capaci di sedersi al tavolo con l’élite della criminalità organizzata calabrese, per dirimere controversie, per determinare strategie della ‘ndrangheta unitaria. La cosca Bellocco di Rosarno non ha mai perso, però, la propria vena imprenditoriale, con la capacità di colonizzare territori diversi, allacciando alleanze con altre consorterie criminali. Alternando, inoltre, il volto “pulito” degli affari, con quello più violento dell’intimidazione tipicamente mafiosa. Una cosca capace di rigenerarsi, anche grazie alle nuove leve, succedute ai boss più anziani.

    Gli affari della cosca Bellocco

    Un quadro che emerge in tutta la sua completezza con gli arresti che hanno sconquassato non solo il territorio calabrese, ma anche quello lombardo e laziale. Un’operazione congiunta, tra la Dda di Reggio Calabria, che ha curato la sponda dell’inchiesta denominata “Blu notte” e quella di Brescia, la cui indagine è denominata “Ritorno”. Complessivamente 65 soggetti arrestati – 47 in carcere, 16 agli arresti domiciliari e 2 sottoposti all’obbligo di dimora –  ritenuti responsabili – in particolare – di associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, porto e detenzione di armi comuni e da guerra, estorsioni, usura e danneggiamenti aggravati dalle finalità mafiose, riciclaggio e autoriciclaggio, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti.

    Un settore di importanza strategica è risultato essere quello della spartizione dei proventi relativi allo sfruttamento delle risorse boschive. Stando a quanto sostenuto dagli inquirenti, i contratti per lo sfruttamento delle risorse montane venivano stabiliti proprio dal vertice della cosca Bellocco: «I contratti delle montagne o si fanno in questa casa o se li fanno a Laureana, siccome io sono delegato pure da quell’altri si fanno in questa casa». A pronunciare queste parole nel novembre 2019 è Francesco Benito Palaia, 49 anni, considerato uno degli uomini di fiducia di suo cognato, il boss Umberto Bellocco detto “Chiacchiera”, 39enne e nuovo capo del clan.

    La successione

    Gli accertamenti, infatti, avrebbero delineato i nuovi equilibri della cosca Bellocco e le proiezioni di questa cosca di ‘ndrangheta nel Nord Italia. Come le cosche più importanti, infatti, negli anni anche la famiglia Bellocco ha subito l’offensiva dello Stato. Ma ha saputo rimanere in piedi, retta sulle spalle dell’anziano patriarca Umberto Bellocco, classe 1937, deceduto alcuni mesi fa. Uomo dal carisma criminale indiscusso, cui viene persino ricondotta la nascita della Sacra Corona Unita pugliese – fatta risalire alla notte di Natale del 1981 all’interno del carcere di Bari.

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    Umberto Bellocco, patriarca dell’omonima cosca, morto di recente

    Alla morte del boss, allora, la diretta prosecuzione del comando sarebbe finita al nipote omonimo, classe 1983. Un’ascesa naturale non frenata nemmeno dalla detenzione in carcere. Come documentato dagli accertamenti svolti dai carabinieri, Bellocco poteva godere, dietro le sbarre, di telefoni cellulari, grazie al supporto di altri detenuti e dei familiari di questi, per lo più semiliberi e/o ammessi ai colloqui.

    Ancora una volta, da una maxi-inchiesta contro la ‘ndrangheta, emerge il ruolo crescente rivestito dalle donne. In questo caso, spicca la figura di Maria Serafina Nocera, 69enne madre del nuovo boss Umberto Bellocco. Sarebbe stata lei a tenere la chiave della “cassa comune” cui il clan attingeva. Un “tesoretto” che serviva per il sostentamento dei detenuti e per l’attuazione del programma criminale del figlio.

    I brindisi per le nuove cariche

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    Il giovane Umberto Bellocco ha ereditato il potere da suo nonno

    Anche dal carcere, Bellocco avrebbe potuto supervisionare le nuove cariche, deciso i nuovi assetti, arginato le frizioni. L’inchiesta coordinata dal pm antimafia Francesco Ponzetta ha documentato anche il brindisi con il quale un anziano della consorteria, davanti ai nuovi adepti ed agli alti ranghi della cosca, ha voluto esaltare quel momento di vita associativa pronunciando la frase: «È cadda… è fridda… e cala comu nenti, a saluti nostra e di novi componenti».

    Moltissimi sono i summit di mafia che l’inchiesta sarebbe riuscita a ricostruire. Alcuni necessari all’attuazione del programma criminale della cosca, che generalmente avvenivano all’interno dell’abitazione della sorella di Umberto Bellocco, e quelli, ben più complessi, organizzati nelle aziende agrumicole di Rosarno, dove si regolavano le controversie con gli altri esponenti della ‘ndrangheta.

    Ai summit era solito prendere parte, in diretta, anche il boss detenuto dal carcere, che con la propria presenza, “partecipata” a distanza, era naturalmente portato ad irretire le iniziative dei convenuti.

    «Rosarno è nostro e deve essere per sempre nostro… sennò non è di nessuno»

    Come detto, la famiglia Bellocco, da sempre, appartiene al gotha della ‘ndrangheta, dividendosi il controllo su Rosarno e San Ferdinando con l’altra potentissima cosca dei Pesce ed estendendo la propria influenza anche sul porto di Gioia Tauro, dove, comunque, un ruolo primario lo hanno da sempre i clan gioiesi Piromalli e Molè.

     

    Diverse, negli anni, le inchieste che hanno colpito la cosca. A cominciare da quella “Tallone d’Achille”, con la coraggiosa denuncia dell’imprenditore Gaetano Saffioti, passando poi per le inchieste “Nasca” e “Timpano”. E, ancora, l’inchiesta “Pettirosso” curata dall’allora pm antimafia Roberto Di Palma, che ha permesso di ricostruire tutto il circuito criminale che ha favorito per anni la latitanza di Gregorio e Giuseppe Bellocco, esponenti di vertice della cosca rosarnese considerati fra i trenta ricercati più pericolosi d’Italia. In un’indagine di qualche tempo fa, proprio l’anziano patriarca Umberto Bellocco dirà: «Rosarno è nostro e deve essere per sempre nostro… sennò non è di nessuno».

    I Bellocco al Nord

    Già le inchieste degli scorsi anni “Vento del Nord”, “Blue call” e “Sant’Anna” avevano certificato la presenza e lo strapotere del clan su territori lontani dalla nativa Rosarno. L’Emilia Romagna, in particolare, era diventata una terra di conquista florida, dove poter far proliferare gli affari.

    La sponda bresciana dell’inchiesta avrebbe invece confermato la presenza attiva dei Bellocco in Lombardia. Non solo nella provincia di Brescia, ma anche in quella di Bergamo. Anche su quei territori, senza mai perdere il contatto con la casa madre calabrese, i Bellocco avrebbero infiltrato la fiorente economia legale di quei luoghi.

     

    Nell’operazione sono stati individuati «i terminali calabresi (stanziali a Rosarno) della struttura criminale lombarda i quali concorrevano nella gestione delle molteplici attività economiche di interesse del sodalizio realizzate prevalentemente tramite un imprenditore» attivo tra Brescia e Bergamo nei settori edile e immobiliare.

    Il traffico internazionale di stupefacenti

    Da tempo, peraltro, gli inquirenti, hanno messo nel mirino il ruolo crescente del clan nel traffico internazionale di stupefacenti. Il 18 giugno 2019 si conclude l’operazione “Balboa” della Guardia di Finanza di Reggio Calabria che arresta cinque persone. Lavoravano per conto della cosca Bellocco per l’importazione dal Sud America di eroina da far arrivare nel porto di Gioia Tauro. Pochi mesi dopo, a novembre, sono invece ben 45 gli arresti nell’ambito dell’inchiesta “Magma”, anche in questo caso con l’accusa di narcotraffico internazionale.

    La droga arrivava dal Sudamerica, dall’area tra Buenos Aires e Montevideo, dove i clan erano riusciti a stringere legami con diversi colletti bianchi locali. E sembrerebbe che grazie a questi contatti e pagando l’equivalente di 50.000 euro siano riusciti a liberare Rocco Morabito detto “U Tamunga” evaso il 29 marzo 2019 dal carcere di Montevideo.

    L’alleanza dei Bellocco con la famiglia Spada

    Quelle indagini già cristallizzavano l’importanza criminale della cosca in provincia di Roma. Ma sono gli arresti delle ultime ore a sancire ulteriormente i rapporti illeciti con quei territori. Uno dei dati di maggior interesse investigativo emerge con l’alleanza tra la cosca di Rosarno e il potente clan degli Spada, egemone a Ostia e sul litorale romano. Gli Spada sono emersi negli anni come clan violento e capace di esercitare un controllo oppressivo sulle attività economiche del Lazio, anche in combutta con l’altra nota famiglia Casamonica. Negli scorsi mesi, peraltro, la famiglia Spada è stata riconosciuta da alcune sentenze come organizzazione mafiosa.

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    Anzio vista dall’alto

    Un’alleanza, soprattutto per quanto concerne il traffico di cocaina, che sarebbe nata proprio dietro le sbarre. In particolare, l’accordo stretto tra gli esponenti dei due clan, oltre a scandire le gerarchie criminali all’interno del penitenziario, ha riguardato i traffici di cocaina effettuati dalla Calabria verso il litorale romano e la risoluzione di situazioni conflittuali tra gli Spada e alcuni calabresi titolari di attività commerciali nelle aree urbane di Ostia ed Anzio.

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    Gioacchino Bonarrigo ad Amsterdam

    «La verità fra’, la verità! Oggi io sono stato invitato ad un tavolo, eravamo diciassette persone, tutti… la ‘Ndrangheta!», dice in un’intercettazione uno degli indagati. Le cimici dei carabinieri hanno anche captato il tentativo di vendita di una consistente partita di cocaina da parte del clan Bellocco in favore di narcotrafficanti di Ostia esponenti degli Spada.

    Per conto dei calabresi, a condurre le trattative con il clan romano sarebbe stato Gioacchino Bonarrigo, di 38 anni, che risulta tra le persone coinvolte nel blitz. Soggetto storicamente inserito non solo nella ‘ndrangheta, ma anche nel narcotraffico. Arrestato nel 2017 da latitante ad Amsterdam. Bonarrigo si sarebbe recato più volte a Ostia per incontrare esponenti degli Spada che voleva rifornire con la droga importata dall’estero.

  • Qualità della vita, province calabresi in fondo alle classifiche

    Qualità della vita, province calabresi in fondo alle classifiche

    Come ogni anno Il Sole 24 Ore ha pubblicato il suo report sulla qualità della vita nelle 107 province italiane. E come ogni anno quelle calabresi si ritrovano nei bassifondi della classifica. Fanalino di coda, 107esima su 107, è infatti Crotone. Ma le altre quattro rappresentanti della Calabria non vanno molto meglio. Vibo si piazza al 103esimo, Reggio una posizione più su, Catanzaro 96esima. Cosenza, la meglio piazzata, tiene alto il nomignolo della regione alla posizione numero 95.
    Il quotidiano di Confindustria analizza la qualità della vita attraverso sei macrocategorie, suddivise a loro volta in molteplici indicatori. Ma da qualsiasi punto si analizzi la classifica è impossibile non notare come, invece di progredire, i nostri territori registrino un arretramento.

    Qualità della vita a Cosenza

    Prendiamo il caso di Cosenza, punta di diamante della regione alla luce dei risultati. La provincia bruzia peggiora in 5 categorie su 6. Rispetto all’anno precedente scende di due posizioni in classifica per quanto riguarda Ambiente e servizi (ora è 58esima), Cultura e tempo libero (posizione n°98). Si ritrova 103esima per Ricchezza e consumi, prima era cinque posti più su, e 80esima (da ex 71esima) nella categoria Demografia e società. Precipita di ben 44 posizioni in classifica (ora è 85esima) anche in quella Giustizia e Sicurezza anche per l’incapacità di riscuotere i tributi dei Comuni che la compongono. In questa specifica sottocategoria, infatti, è la terzultima in tutta Italia.

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    Si registra, al contrario, un bel balzo in avanti nella classifica che riguarda il settore Affari e lavoro. In questo caso la provincia di Cosenza guadagna 16 posizioni rispetto all’anno precedente, grazie anche a una percentuale sopra la media nazionale per quel che riguarda l’imprenditorialità giovanile. Ma anche qui c’è poco da esultare. Cosenza, infatti, anche nella sua performance migliore tra le 6 macrocategorie non va oltre l’80° posto in classifica.

    I dati di Catanzaro

    A Catanzaro, invece, si può festeggiare per i pochi furti negli appartamenti: solo in altre tre province italiane ne denunciano meno. Va molto peggio nei tribunali però, con la provincia che si piazza al penultimo posto nazionale per durata delle cause civili e i reati legati a stupefacenti; quartultima invece per la quota cause pendenti ultratriennali, con una durata media che è due volte e mezza quella del resto d’Italia. La provincia del capoluogo regionale comunque può essere soddisfatta rispetto al recente passato. Migliora infatti in tre macrocategorie: Affari e lavoro (50°; + 20 rispetto al 2021), Ambiente e servizi (41°; + 10) e, seppur di poco, Cultura e tempo libero (95°; + 2). Sarà, in quest’ultimo caso, per le 8,8 librerie ogni 100mila abitanti, contro le 7,7 della media nazionale.

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    (foto Antonio Capria)

    Reggio Calabria, la più lenta nei pagamenti

    A Reggio Calabria invece le fatture si pagano più tardi che in tutto il Paese: se altrove la media è di 10 giorni oltre i canonici 30 usati come indicatore, sullo Stretto il tempo extra sale a tre settimane. Certo, la provincia reggina è tra quelle più soleggiate (15°), ma l’apporto al clima di Madre Natura contrasta con il terzultimo posto nella categoria Ambiente Servizi (l’anno scorso era 25 posti più su in classifica). Reggio è terzultima anche per quel che riguarda Cultura e tempo libero, addirittura un gradino più giù se si parla di Ricchezza e consumi.

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    Nubi minacciose sull’Arena dello Stretto a Reggio Calabria

    Sale invece di ben 40 posizioni (ora è 58esima) nel settore Affari e Lavoro, nonostante sia 101esima per tasso di occupazione. Sale anche di 23 posizioni, piazzandosi 52esima, in Giustizia e Sicurezza. Anche qui pesa parecchio la lunghezza delle cause in tribunale, così come il numero altissimo di cause civili, circa il 40% in più che altrove.

    Vibo Valentia non è una provincia per donne

    Vibo invece è la migliore d’Italia per imprenditorialità giovanile sul totale delle imprese registrate, ma anche la peggiore di tutte quando si parla di qualità della vita per le donne. Paradossale, inoltre, che la provincia della Capitale del libro si piazzi nei bassifondi quando si parla di Indice di lettura (87°), Offerta culturale (105°) e librerie (7,3 ogni 100mila abitanti, in Italia la media è di 7,7). In più è la seconda provincia del Paese per numero di estorsioni, quella col maggior numero di cause pendenti ultratriennali e con le cause civili che durano di più. Il valore, in quest’ultimo caso, è di 1.453, in Italia si ferma a 561,9.

    L’insegna sbagliata con cui Vibo si è celebrata “Città del libro”

    Anche il Vibonese, nonostante tutto, può comunque festeggiare per la qualità dell’aria (19°), uno dei dati che gli permette di risalire 14 posizioni, piazzandosi 78° in Ambiente e servizi. E, anche se non esistono o quasi start up innovative sul territorio, anche in Affari e lavoro la classifica segna un sontuoso +49 nel settore Affari e lavoro: ora Vibo è 52esima, l’anno scorso era 101esima.

    Qualità della vita, Crotone ancora nei bassifondi

    Infine Crotone, che si conferma fanalino di coda nazionale. Da qui sono in tanti a scappare, il decuplo che dal resto d’Italia: la provincia pitagorica è 107esima per saldo migratorio totale. Ma Crotone è anche ultima per Depositi bancari delle famiglie consumatrici e Spesa delle famiglie per il consumo di beni durevoli. È anche il territorio con la percentuale più alta di beneficiari del reddito di cittadinanza.E poco importa che qui le case costino in media 1000 euro in meno al metro quadro rispetto al resto del Paese.

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    Italia. Crotone 2013: Veduta della città: Crotone è circondata da colline di argillose che la dividono in due.
    (foto © Agostino Amato)

    Crotone e la sua provincia sono anche il posto dove si studia meno: ultima per numero di laureati (o con altri titoli terziari), penultima per anni di studio tra la popolazione over 25, quart’ultima per persone con almeno un diploma. Chi non studia, però, ha poco da fare nel tempo libero: pochissime librerie (104°), palestre e piscine (106°), ancor meno spettacoli (107°). In compenso gli amministratori pubblici sono tra i più giovani del Paese (4°), nonostante da queste parti si registri la più bassa partecipazione elettorale d’Italia. Qui almeno, però, le cause civili durano meno della media (57°). E in mancanza di altri svaghi si passa il tempo tra le coperte: in sole tre province italiane le donne partoriscono prima che a Crotone, dove l’età media delle neo-mamme si attesta a 31 anni, contro i quasi 32 e mezzo del resto d’Italia.

  • Protesta in piazza e corse alle poltrone: Reggio, una città allo sbando

    Protesta in piazza e corse alle poltrone: Reggio, una città allo sbando

    La legge è uguale per tutti. Per alcuni è più uguale che per gli altri. È il paradosso che vive la città di Reggio Calabria. In trappola. Sospesa, proprio come la maggior parte dei suoi principali esponenti politici. In un momento cruciale, in cui servirebbero guide stabili, ma, soprattutto, una visione anche per la gestione dei fondi del PNRR.
    E, invece, l’amministrazione comunale galleggia, naviga a vista. E si rende protagonista di scelte quantomeno discutibili, costituendosi parte civile in alcuni processi contro gli amministratori e non in altri.

    I presunti brogli elettorali

    È accaduto appena pochi giorni fa anche nell’udienza preliminare che vede imputato il consigliere comunale e capogruppo del Partito Democratico a Palazzo San Giorgio, Antonino Castorina, accusato dalla Procura di presunti brogli elettorali nel corso delle elezioni del settembre 2020. In quell’occasione, nel raggiro che avrebbe architettato Castorina, risulterebbe anche il voto di un centinaio di anziani che in realtà non si erano mai recati al seggio. Persino persone decedute, secondo l’impostazione accusatoria sostenuta dai pm coordinati dal procuratore Giovanni Bombardieri.

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    Antonino Castorina

    Uomo forte del Pd, Castorina, con rapporti intensi anche con il partito romano. È considerato «promotore, organizzatore e capo indiscusso» di un’associazione per delinquere finalizzata a «commettere più delitti in materia elettorale» finalizzati ad ottenere l’elezione in consiglio dello stesso Castorina. Tra gli imputati c’è pure l’ex presidente del Consiglio comunale Demetrio Delfino (oggi assessore comunale), accusato, assieme al segretario dell’ufficio elettorale Antonio Covani, di abuso d’ufficio in relazione all’autonomina di Castorina a componente della commissione elettorale.

    Il caso Miramare

    La costituzione come parte civile di Palazzo San Giorgio contro chi avrebbe truccato le consultazioni appare il minimo sindacale. Allo stesso tempo rappresenta un paradosso politico e amministrativo il fatto che l’Ente non si sia costituito parte civile (come avrebbe dovuto fare altrettanto doverosamente) anche contro il suo sindaco, Giuseppe Falcomatà, anch’egli del Partito Democratico, condannato appena poche settimane fa anche in appello nell’ambito del cosiddetto “Caso Miramare”.
    Anche i giudici di secondo grado, infatti, hanno riconosciuto la colpevolezza di Falcomatà e della sua ex Giunta per l’affidamento di una parte dell’ex albergo Miramare, immobile di pregio della città, alla semisconosciuta associazione Il sottoscala, dell’amico imprenditore Paolo Zagarella.

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    Giuseppe Falcomatà

    In quel processo, scatenando le ire delle opposizioni, Palazzo San Giorgio non è stato così solerte come avvenuto nel processo contro Castorina. E oggi quella scelta stride ancora di più dopo la condanna in appello che ha fatto ripartire la sospensione nei confronti di Falcomatà, lasciando, nuovamente, in sella il facente funzioni Paolo Brunetti, nominato vicesindaco in fretta e furia poche ore prima della condanna di primo grado.
    Nei giorni successivi, la macchina propagandistica di Falcomatà ha lanciato la crociata contro la Legge Severino, un tempo sostenuta dal Pd. Dall’Ufficio Stampa della Città Metropolitana sono partite diverse mail con l’adesione di svariati sindaci dell’hinterland reggino, che chiedono l’abrogazione della legge che impone la sospensione in caso di condanne, anche non definitive. Qualcuno si è poi anche smarcato da tale manovra.

    Reggio in ostaggio, la protesta

    Per il medesimo caso, è stata invece assolta in appello l’ex assessore Angela Marcianò, unica a scegliere il rito abbreviato e grande accusatrice di Falcomatà.
    In città, quindi, è caos politico, con un’amministrazione che pare alla deriva, senza una rotta chiara su quasi alcun aspetto. Dalle opere, fino agli eventi e alle luminarie di Natale.

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    Reggio in ostaggio, un momento della protesta a corso Garibaldi

    Il malcontento cresce e appena pochi giorni fa corso Garibaldi, strada principale della città, è stato teatro di un corteo che ha avuto una riuscita che forse neanche gli stessi organizzatori si aspettavano. Ad animare la protesta, che chiedeva le dimissioni in blocco della maggioranza, il centrodestra. Ma per le strade del centro si sono ritrovati in circa 500, molti dei quali senza una tessera di partito. Segno evidente di uno scollamento che gli ultimi eventi hanno sancito tra la cittadinanza e la sua classe dirigente.

    La corsa alla poltrona

    Il vuoto politico è percepito dai cittadini. Ma è percepito anche da chi vuole tentare di formarsi o riformarsi un ruolo amministrativo. E così, negli ultimi giorni, fioccano le (auto)candidature, tra uomini nuovi (o presunti tali) ed esponenti che le istituzioni le hanno già animate. Con risultati altalenanti.

    Tra questi, l’imprenditore Pino Falduto, assai noto in città e già componente della maggioranza che sosteneva Italo Falcomatà negli anni ’90. Si propone ora (con un non meglio identificato dream team) come panacea dei mali di Reggio, per la sua resurrezione.

    A volte ritornano: Eduardo Lamberti Castronuovo

    Il suo annuncio segue di pochissimi giorni l’auto-candidatura del medico ed editore Eduardo Lamberti Castronuovo, già candidato nel 2007 e sconfitto malamente da Peppe Scopelliti. Nella sua carriera politica ha svolto anche il ruolo di assessore provinciale. E il suo nome compare (pur senza mai essere stato indagato) nelle conversazioni di Paolo Romeo, considerato un’eminenza grigia della masso-‘ndrangheta, che lo indicava (millantando o no, non è dato sapere) come suo uomo.

    Insomma, la girandola è iniziata. E Reggio Calabria guarda tutto ciò proprio come un ostaggio guarda quella piccola luce che filtra da dietro la porta della propria cella. Senza capire di cosa si tratti realmente.

  • Gigi Marulla, monaci e utopie: benvenuti a Stilo

    Gigi Marulla, monaci e utopie: benvenuti a Stilo

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    I viaggiatori politicamente corretti si riconoscono subito, fanno tenerezza. Ricordano Silvio Orlando in Ferie d’agosto, quando cerca vanamente di isolarsi dai rumori, dalla cafonaggine e dall’invadenza dei suoi vicini. Tenta inutilmente di arginare il mondo reale, rifugiandosi in un paradiso naturale, senza acqua corrente né elettricità, che rivelerà, però, tutti i suoi limiti.

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    Silvio Orlando in Ferie d’agosto (Paolo Virzì, 1996)

     

    I viaggiatori motivati, informati, consapevoli non li incroci nei luoghi più affollati. Se anche dovessero transitare su un lungomare, o in un centro commerciale, non si farebbero notare. Vestono in modo sobrio, quasi dimesso. Non ostentano videocamere e altre apparecchiature elettroniche. Non si espongono neanche troppo agli sguardi, dato che il più delle volte sono pallidi per le ore trascorse sui libri più in voga, nei musei e nei teatri.
    In un posto come Stilo, in provincia di Reggio Calabria, li individui subito, invece, perché spiccano in mezzo agli abitanti del borgo che ha dato i natali a Tommaso Campanella.

    Stilo, la terra dell’utopia

    Come accade in ogni paese del Sud, anzi in ogni meridione, i nativi osservano con sguardo compassionevole e divertito i viaggiatori che ammirano il paesaggio, rapiti dallo spettacolo. Per un nativo di Stilo quello è il panorama quotidiano, abituale, delle faccende di ogni giorno, lavoro, spesa, scuola, chiacchiere. Per un viaggiatore colto e curioso sbarcare a Stilo significa calpestare la terra dell’utopia, dove è nata la trama de La Città del Sole, la comunità perfetta immaginata dal filosofo.

    La Città del Sole, l’opera più famosa del filosofo Tommaso Campanella

    Non per caso ha scelto di chiamarsi Città del Sole anche l’albergo che affaccia sul corso del paese, ricavato da un immobile sequestrato alla criminalità. Un posto confortevole, funzionale, di misurata eleganza, con un bel terrazzo a disposizione degli ospiti, che riposando lì possono rielaborare i pensieri affiorati alla mente durante le passeggiate tra le chiese e le case di Stilo. Tommaso Campanella fu rinchiuso per quasi trent’anni in un carcere dagli spagnoli, per aver organizzato una congiura contro il dominio straniero, da queste parti. A quei tempi spagnoli e baroni, oggi la ‘ndrangheta e i suoi legami con la politica.

    Marulla e granite nel silenzio

    Il luogo di maggior richiamo ovviamente è la Cattolica; oggi la piccola chiesa bizantina è inserita in un percorso che segnala eremi e chiese rupestri, per viaggiatori che amano muoversi a piedi o in bicicletta, un turismo lento e rispettoso dei luoghi e del silenzio che regna, un bene prezioso da tutelare.
    Infatti intorno alla Cattolica i visitatori sono decisamente à la Silvio Orlando, ammiriamo la bellezza del sito e scrutiamo le pietre e le colonne, alla ricerca di una rivelazione misterica. Individuato come cosentino dal vigilante, vengo informato che il grande Gigi Marulla è nato a Stilo, il mio interlocutore è suo cugino. Non è proprio una rivelazione trascendentale, ma mi accontento. Sul calcio sono sprovveduto, devo compiere un percorso di iniziazione.

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    Il ricordo di Gigi Marulla all’ingresso della scuola calcio che aveva fondato

    Unica concessione al consumismo, davanti all’ingresso dell’area della Cattolica, un piccolo chiosco di bibite e gelati, segnalato in rete per la bontà delle granite artigianali. Mi concedo pure io la granita, anche se sono arrivato in macchina. Cerco di essere un viaggiatore politicamente corretto, ma subisco tutto il fascino del turismo becero. Poi col caldo di fine estate non sarei mai arrivato vivo a Stilo, marciando attraverso la montagna, con le provviste in spalla, come i fieri escursionisti che mi circondano, sudati e soddisfatti.

    L’eremo a Pazzano

    Il direttore dell’albergo Città del Sole insiste, dobbiamo assolutamente visitare l’eremo di Santa Maria della Stella, a Pazzano, comune confinante con Stilo. Così lasciando Stilo elaboro un breve itinerario mistico-montano e ci avviamo.
    Dopo pochi chilometri e tante curve arriviamo all’eremo, in una posizione meravigliosa, con una vista splendida sullo Ionio. Naturalmente arrivano alla spicciolata altri viaggiatori consapevoli, alcuni con bambini al seguito, che per ora subiscono i viaggi culturali imposti da mamma e papà, in attesa di diventare grandi e fuggire verso le discoteche dello sballo.
    Cerchiamo di capire come accedere alla grotta, è stato organizzato un sistema di apertura con moneta, un euro a persona, come contributo per l’illuminazione e le pulizie del luogo.

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    L’eremo di Santa Maria della Stella

    Una signora piuttosto scorbutica non si degna di rispondere alle educate richieste di spiegazioni. Temiamo di rimanere rinchiusi per sempre nell’eremo, una volta entrati. Potrebbe essere pure una soluzione a tanti problemi della vita che tentiamo di lasciarci alle spalle andando per eremi bizantini. Vedo inconsapevoli bambini seguire fiduciosi i genitori nella grotta, quando capiranno i rischi a cui sono stati esposti saranno dolori.

    Un viaggio nel tempo fino a… Bivongi

    Ultima tappa a San Giovanni Theristis, nel comune di Bivongi. Un monastero bizantino riportato in vita da un monaco greco, partito dal Monte Athos per recuperare questo angolo di Medioevo dimenticato dai calabresi. Solita strada orrenda, soliti viaggiatori pazienti alla ricerca del sacro. Sembra davvero di viaggiare nel tempo, qui. I monaci non ci degnano, passano silenziosi attraverso il prato, immersi nelle proprie faccende. Caprette e galline negli spazi riservati alla vita quotidiana.

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    Bivongi, il monastero di San Giovanni Theristis

    I monaci non colgono gli sguardi desiderosi di ascesi e incuriositi dei turisti pellegrini dello spirito. Si comportano sempre così, forse la loro regola li obbliga a mantenere le distanze. Non si coinvolgono come i sacerdoti cattolici, sempre in mezzo alla gente, a sbracciarsi nell’accoglienza e nell’inclusione delle pecorelle smarrite (sennò papa Francesco li rimprovera), a mostrarsi comprensivi e indulgenti verso le magagne dei peccatori. I monaci ortodossi, mi pare, non si fidano dei cattolici, custodiscono ancora la memoria della crociata del 1204, quando i cavalieri con la croce, anziché attaccare i musulmani, saccheggiarono Costantinopoli e le sue chiese. Certo che dopo ottocento anni potrebbero pure metterci una pietra sopra. Poi non credo ci siano molti cattolici praticanti tra i visitatori degli eremi sperduti.

    Via dal paradiso

    Andiamo via consapevoli che il paradiso terrestre per ora non possiamo permettercelo, ci tocca tornare nella vita quotidiana. Sosta a Monasterace Marina per qualche conforto materiale. Spiagge affollate, musica ad alto volume, corpi abbronzati ed esposti impudicamente, pure quando le pance e i culi cascanti richiederebbero veli pietosi. Sempre il solito dilemma, godersi i beni terreni più immediati o faticare per distaccarsi dalle miserie del mondo? Ci vorrebbe un consiglio bibliografico di Tommaso Campanella. Durante i trent’anni di carcere avrà avuto modo di chiarirsi tante questioni per noi ancora irrisolte.
    Intanto ci tocca la statale 106, un purgatorio moderno.

  • Golpe Borghese: massoni, Servizi e ‘ndrangheta nella notte della Repubblica

    Golpe Borghese: massoni, Servizi e ‘ndrangheta nella notte della Repubblica

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    Per qualcuno, una delle pagine più oscure della storia della Repubblica. Per altri, invece, un’adunanza di nostalgici, che mai avrebbe potuto prendere il potere. Si dibatte ancora, a distanza di 52 anni, sul tentato golpe Borghese. E tante sono, ancora oggi, le zone d’ombra su un’azione che aveva come proprio centro nevralgico la Calabria.

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    Il “Principe Nero” Junio Valerio Borghese molti anni prima del tentato golpe

    Il Golpe dell’Immacolata

    Un ex gerarca fascista, pezzi di destra eversiva, la P2 di Licio Gelli, pezzi di ‘ndrangheta. Una commistione di realtà e di interessi che, a metà tra storia e mito, rende il racconto ancor più inquietante. Quel progetto eversivo sarebbe dovuto scattare nella notte tra il 7 e l’8 dicembre del 1970. E si incastra in un momento di enorme cambiamento nelle dinamiche della ‘ndrangheta.

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    Ciccio Franco, uno dei protagonisti della Rivolta di Reggio

    Il primo triennio del 1970 è quindi decisivo, perché, con la rivolta di Reggio Calabria, nata, in maniera del tutto naturale, a causa della decisione politica di assegnare il capoluogo della regione a Catanzaro, le cosche riescono a entrare in contatto anche con diversi membri della Destra eversiva. Secondo molti collaboratori di giustizia, infatti, al fallito golpe, messo in atto da Junio Valerio Borghese, nel dicembre 1970, avrebbero preso parte anche centinaia di affiliati alle cosche.

    Un uomo da romanzo, il “principe nero”. Ex comandante della Decima Mas, fiero e carismatico avrebbe tentato di mettere in atto l’ultimo colpo d’ala di una vita avventurosa. Sfruttando, peraltro, il periodo che viveva la Calabria. Esattamente in quegli anni, infatti nasce la Santa, la ’ndrangheta lega il proprio destino alla massoneria. Un legame che è proseguito negli anni e che è ben stretto ancora oggi.

    Un sentiero che porta a Montalto, nel cuore dell’Aspromonte

    Il summit di Montalto

    Tutto affonda nel summit di Montalto del 26 ottobre 1969. In quell’incontro, nel cuore dell’Aspromonte, l’anziano patriarca Peppe Zappia ammonisce sulla necessità della ‘ndrangheta di organizzarsi, di essere unita. «Non c’è ’ndrangheta di Mico Tripodo, non c’è ’ndrangheta di ’Ntoni Macrì, non c’è ’ndrangheta di Peppe Nirta», dovrà tuonare nel corso della riunione. Si discute di strategie, si discute di equilibri, si discute dell’alleanza con la Destra eversiva. Quella di Junio Valerio Borghese. Ma anche di Stefano Delle Chiaie, uomo forte di Avanguardia Nazionale. Legami, quelli tra le cosche calabresi e la destra eversiva, che si protrarranno per anni, fino ai rapporti tra la cosca De Stefano e Franco Freda.

    Stefano Delle Chiaie in un’aula di tribunale durante uno dei tanti processi che lo hanno visto coinvolto

    Le divergenze tra i clan scaturiranno, invece, negli anni Settanta, nella prima guerra di mafia, in cui cadranno, tra gli altri, don ’Ntoni Macrì, e don Mico Tripodo (ucciso nel carcere di Poggioreale), oltre ai fratelli Giovanni e Giorgio De Stefano, che fanno parte, però, della “nuova mafia”. Del nuovo che avanza, appunto.

    La ‘ndrangheta e le mafie in generale sarebbero dovute essere l’esercito di Borghese. Di contatti fra elementi mafiosi ed emissari di Junio Valerio Borghese parla anche il boss siciliano Luciano Liggio nel corso di una udienza svoltasi il 21 aprile 1986 dinanzi alla Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria. Liggio racconterà di una riunione che si era tenuta a Catania con la presenza di Salvatore Greco, Tommaso Buscetta e dello stesso Liggio per discutere in merito all’adesione al golpe.

    Il piano per il Golpe Borghese

    Proprio i De Stefano e i Piromalli – le due cosche che, più delle altre, sarebbero artefici dell’ingresso della ‘ndrangheta nella massoneria – sarebbero state le famiglie calabresi più impegnate a favore del progetto di Borghese. A un nucleo speciale coordinato da Gelli sarebbe stato affidato il compito di rapire il Presidente della Repubblica, Giuseppe Saragat.

    Il particolare emerge dalla sentenza-ordinanza emessa dal giudice di Milano, Guido Salvini. «Si trattava di un compito primario sul piano operativo e istituzionale nell’ambito del progetto di golpe e non è un caso che tale incarico fosse affidato ad un uomo del livello di Gelli, che godeva di molteplici, e allora ancora nascosti, contatti con i Servizi Segreti, l’Esercito, l’Arma dei Carabinieri e forse con Centrali internazionali» – si legge nel documento.

    La presa del potere

    «Italiani, l’auspicata svolta politica, il lungamente atteso colpo di stato ha avuto luogo. La formula politica che per un venticinquennio ci ha governato, e ha portato l’Italia sull’orlo dello sfacelo economico e morale ha cessato di esistere. Nelle prossime ore, con successivi bollettini, vi saranno indicati i provvedimenti più importanti ed idonei a fronteggiare gli attuali squilibri della Nazione. Le forze armate, le forze dell’ordine, gli uomini più competenti e rappresentativi della nazione sono con noi; mentre, d’altro canto, possiamo assicurarvi che gli avversari più pericolosi, quelli che per intendersi, volevano asservire la patria allo straniero, sono stati resi inoffensivi. Italiani, lo stato che creeremo sarà un’Italia senza aggettivi né colori politici. Essa avrà una sola bandiera. Il nostro glorioso tricolore! Soldati di terra, di mare e dell’aria, Forze dell’Ordine, a voi affidiamo la difesa della Patria e il ristabilimento dell’ordine interno. Non saranno promulgate leggi speciali né verranno istituiti tribunali speciali, vi chiediamo solo di far rispettare le leggi vigenti. Da questo momento nessuno potrà impunemente deridervi, offendervi, ferirvi nello spirito e nel corpo, uccidervi. Nel riconsegnare nelle vostre mani il glorioso tricolore, vi invitiamo a gridare il nostro prorompente inno all’amore: Italia, Italia, viva l’Italia!»

    Con queste parole, l’ex comandante della X Mas avrebbe dovuto salutare la presa del potere. Non un progetto fantasioso di arzilli nostalgici del Ventennio, ma un piano studiato nei minimi particolari in accordo con diversi vertici militari e membri dei Ministeri. Il golpe del Principe nero prevedeva l’occupazione del Ministero dell’Interno, del Ministero della Difesa, delle sedi Rai e dei mezzi di telecomunicazione (radio e telefoni) e la deportazione degli oppositori presenti nel Parlamento.

    Le dichiarazioni dei pentiti

    Tra i primi a riferire, nel 1992, dei legami tra ’ndrangheta e Destra eversiva per il tentato golpe Borghese è il collaboratore di giustizia Giacomo Lauro. Dichiara anche che nell’estate del 1970 avvenne un incontro a Reggio Calabria tra i capibastone dei De Stefano (Paolo e Giorgio) e il principe Borghese attraverso l’avvocato ed ex parlamentare Paolo Romeo (secondo il collaboratore, ’ndranghetista ed esponente di Avanguardia Nazionale) per discutere sul colpo di stato.

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    Paolo De Stefano, boss della omonima famiglia prima di essere ucciso nel 1985

    Le sue dichiarazioni sono contenute nella sentenza-ordinanza del giudice istruttore di Milano, Guido Salvini, sulle attività della Destra eversiva. Nello stesso procedimento figuravano, tra gli altri, proprio Stefano Delle Chiaie e Licio Gelli: «[…] Più volte alla ’ndrangheta fu richiesto di aiutare i disegni eversivi portati avanti da ambienti della Destra extraparlamentare fra cui Junio Valerio Borghese; il tramite di queste proposte era sempre l’avvocato Paolo Romeo. I De Stefano erano favorevoli a questo disegno e in particolare al programmato golpe Borghese».

    A parlarne è anche l’ex estremista nero, Vincenzo Vinciguerra: «La mobilitazione avvenne nella provincia di Reggio Calabria e si trattava di un gran numero di uomini armati. Anche in Calabria venne fatto riferimento, da persona che non intendo nominare, alla possibilità di mobilitare 4000 uomini sempre appartenenti alla ’ndrangheta ove la situazione politica lo richiedesse».

    Gli appartenenti alla ’ndrangheta, armati e mobilitati per l’occasione sull’Aspromonte, erano stati messi a disposizione dal vecchio boss Giuseppe Nirta, estimatore di Stefano Delle Chiaie il quale era in grado, secondo lui, di «ristabilire l’ordine nel Paese». Sul punto, anche il collaboratore Serpa ricorda come il summit di Montalto, dell’ottobre del 1969, dovesse servire per trovare un accordo tra i clan e il principe Borghese: «A Montalto doveva essere sancita l’alleanza tra l’organizzazione mafiosa calabrese e il gruppo eversivo di destra presente allo stesso summit e guidato dal principe Borghese».

    Golpe Borghese, salta tutto

    Il golpe sarà però annullato per motivi ancora oggi, a distanza di oltre cinquant’anni, oscuri. Con l’avvio delle indagini Borghese fuggirà in Spagna, dove morirà nel 1974. I procedimenti imbastiti, tuttavia, finiranno con un nulla di fatto. Piuttosto accreditati, ma non provati, i coinvolgimenti sia dei Servizi segreti italiani, in particolare il Sid (Servizio Informazioni Difesa), sia della Cia americana. Un progetto che avrebbe visto un inquietante connubio tra destra eversiva, Servizi segreti, massoneria deviata (la P2 di Licio Gelli) e criminalità organizzata.

    Paolo De Stefano, boss della omonima famiglia prima di essere ucciso nel 1985
    Licio Gelli, è stato il capo della P2

    Da ultimo, sul punto, il racconto di Carmine Dominici, ex appartenente ad Avanguardia Nazionale e in quegli anni molto vicino proprio a Delle Chiaie. Quando decide di collaborare con la giustizia, Dominici parla del ruolo che l’organizzazione estremista avrebbe avuto in alcune delle vicende più oscure della storia d’Italia, tra cui la strage di piazza Fontana. Parla anche del golpe progettato da Junio Valerio Borghese. E racconta delle grandi manovre gestite, in quel periodo, dal marchese Fefè Genoese Zerbi, che era il referente di Avanguardia Nazionale sul territorio:

    «[…] Anche a Reggio Calabria eravamo in piedi tutti pronti per dare il nostro contributo. Zerbi disse che aveva ricevuto delle divise dei Carabinieri e che saremmo intervenuti in pattuglia con loro, anche in relazione alla necessità di arrestare avversari politici che facevano parte di certe liste che erano state preparate. Restammo mobilitati fin quasi alle due di notte, ma poi ci dissero di andare tutti a casa. Il contrordine a livello di Reggio Calabria venne da Zerbi».

  • Muffa e sporcizia in un ristorante: sequestrati 700 kg di alimenti nel Reggino

    Muffa e sporcizia in un ristorante: sequestrati 700 kg di alimenti nel Reggino

    Sequestrati a Rosarno 700 chili di carne, salumi e preparati vari privi di tracciabilità e conservati in locali privi di qualsiasi requisito igienico sanitario.

    Nel comune di Rosarno, infatti, un ristorante è stato sottoposto ad ispezione da parte dei carabinieri del Nas, dalla quale sono emerse, secondo l’accusa, delle gravi criticità igienico sanitarie, quali muffa e sporcizia diffusi in depositi e laboratori per la preparazione di alimenti, risultati anche abusivi.

    Ciò ha reso necessario l’immediato intervento del personale dell’Asp-dipartimento di prevenzione, che ha disposto l’immediata sospensione dell’attività. Nel corso delle operazioni inoltre è stata accertata la presenza di un dipendente privo di regolare contratto lavorativo, la mancanza di sorveglianza sanitaria, l’omessa formazione dei lavoratori e mancati adempimenti per la sicurezza sui luoghi di lavoro. Sono state quindi contestate sanzioni per un importo complessivo di 33mila euro. Al termine degli accertamenti gli alimenti dovranno essere distrutti da una ditta specializzata.
    L’operazione è stata condotta dai carabinieri del Nas di Reggio Calabria insieme ai militari del Nucleo Ispettorato Lavoro del capoluogo reggino e in collaborazione con la Tenenza di Rosarno.