Tag: reggio calabria

  • Venuti dal Mare, drammaturgia di un tempo policronico

    Venuti dal Mare, drammaturgia di un tempo policronico

    Il ricordo è solo la costruzione di una realtà soggettiva, emozioni improvvise che agiscono costruendo, o ri-costruendo, un tempo oggettivamente inesistente, ma concreto nella percezione di impressioni dettate da una dimensione tanto sfuggente quanto radicata nella propria storia e nel proprio vissuto. In virtù di questo, Gaetano Tramontana, regista, autore, attore e direttore artistico di Spazio Teatro – associazione culturale nata a Reggio Calabria nel 1999 – costruisce la drammaturgia di Venuti dal Mare, un racconto nel quale si intreccia la storia di un giovane ragazzo e quella di una comunità entusiasta per l’arrivo in città di quei due misteriosi guerrieri opliti.

    Venuti dal Mare, 50 anni dopo i Bronzi

    Venuti dal Mare è uno spettacolo teatrale nato nel 2022. Un’idea che Tramontana coltivava già da molto tempo si è concretizzata in occasione del cinquantesimo anniversario del ritrovamento dei Bronzi di Riace, avvenuto il 16 agosto del 1972. Da circa un anno lo spettacolo teatrale calca con successo i palcoscenici italiani, cercando di restituire al pubblico una storia, quella del 1981, vista con gli occhi di un adulto, Tramontana, che posa il suo sguardo indietro, al ragazzo che era e a una città, Reggio Calabria, ancora socialmente provata per essersi vista negare la possibilità di diventare capoluogo di regione, rimanendo così relegata in una condizione di perenne marginalità.

    bronzi-riace-ritrovamento
    Uno dei Bronzi circondato dalla folla dopo il ritrovamento di 50 anni fa

    Un romanzo di formazione

    Tramontana che in luglio ha replicato lo spettacolo a Torino e Frosinone, accompagnato da Ernesto Orrico che per l’occasione ha abbandonato il suo ruolo di attore per diventare Dj, riprenderà le repliche in autunno, riportando in scena le lancette indietro nel tempo, per il suo personale racconto di ex adolescente nella città della Fata Morgana.
    Se è vero che Venuti dal Mare rientra in quel genere riconosciuto come Teatro di Narrazione, quindi quel tipo di drammaturgia costruita intorno a temi di attualità politica e sociale, in cui l’attore coincide con la figura di un narratore testimone dei fatti accaduti, risulta altrettanto vero che la performance di Tramontana presenta alcune peculiarità che lo collocano, azzardando un accostamento strettamente letterario, nella dimensione del romanzo di formazione, quindi una narrazione che segue la crescita del personaggio.

    tramontana-orrico
    Tramontana e Orrico

    In scena non c’è un narratore di cronache esclusivamente collettive, ma un attore che attraverso il suo monologo ci rende partecipi di un suo esclusivo flusso di coscienza. Ciò che affiora è il suo racconto personale messo in relazione con le aspettative di una città che, con l’arrivo dei Bronzi, si illudeva di uscire dalla sua condizione di periferia.
    Il testo drammaturgico è concepito come un ipertesto, così una serie di eventi storici raccontati in ordine sparso, quasi come se fossero dei link di un’epoca pre-digitale sui quali cliccare, creano una narrazione tanto emozionante quanto incompleta. Ma è proprio nell’incompiutezza descrittiva, tipica dell’alternarsi dei ricordi, che si determina la sua originalità.

    Viaggi paralleli

    Una trasmissione radiofonica diventa l’espediente narrativo per dare inizio ad un racconto privato che inevitabilmente raggiunge un pubblico fatto soprattutto di giovani. È il racconto di un ragazzo degli anni ‘80 che parla con altri giovani che, diventano in quel momento, nonostante lo scarto temporale, suoi coetanei. Tramontana riesce a tenere lontana ogni forma di retorica paternalistica, scarta il senso di superiorità che si presenta quando si parla della propria giovinezza. Semplicemente, racconta delle cose successe in un momento in cui il mondo stava cambiando e ci riesce con ironia e leggerezza.

    bronzi-riace-50-anni-e-non-sentirli-tutto-quasi-fermo-per-anniversario
    I Bronzi nel Museo di Reggio Calabria

    I Bronzi di Riace, figure avvolte da un alone di mistero che ne rafforzava la popolarità, dopo il lungo intervento di ripulitura e restauro presso il Museo Archeologico di Firenze, finalmente nell’estate del 1981 stavano per tornare a casa, non prima di un passaggio a Roma per volere del presidente partigiano Sandro Pertini.
    Il Museo Archeologico di Reggio Calabria era pronto ad accoglierli, una città intera lusingata dal fatto di poter essere visitata, come Pompei, Roma e Parigi, da persone di tutto il mondo, per l’importante scoperta delle antiche, preziose ed enigmatiche statue greche. Ma quello dei Bronzi non è l’unico viaggio. Parallelamente, in pullman, dopo una gita tra Francoforte, Londra e Parigi, la sera del 2 agosto 1981 un gruppo di giovani scout faceva ritorno a casa.

    Reggio Calabria tra passato e presente

    Attraverso il viaggio, Tramontana, traduce la sua esperienza interiore: una nascita come quella dei Bronzi emersi dalla profondità del mare, l’adolescenza fatta di esperienze nello spazio e nel tempo, la maturità fatta anche di disillusioni e, dopo il lungo viaggio, l’incontro con la morte, il primo lutto di un quindicenne che, per quella “mania, di dare ai nipoti il nome del nonno”, vedeva il suo nome scritto sul manifesto a lutto. Nel parallelismo tra il suo viaggio personale e quello dei Bronzi, Tramontana, non fa altro che restituire se stesso e il suo percorso di uomo inserito nella circolarità della vita.

    venuti-dal-mare-tramontana
    Un altro momento di Venuti dal Mare (foto Marco Costantino)

    Da maggio ad agosto una serie di eventi aveva segnato la storia non solo personale, ma anche quella della sua città e di un mondo sulla soglia tra un passato e un presente destinato alla digitalizzazione. La morte di Bob Marley, l’incidente mortale di Rino Gaetano, la tragedia di Vermicino con la morte in diretta televisiva del piccolo Alfredino Rampi, l’attentato a papa Wojtyla, sono le storie che si alternano ai ricordi personali di quei venti giorni lontani da casa e con pochissimi contatti con la famiglia, giusto qualche minuto per dire «stiamo bene, ci stiamo divertendo», tanto poi i genitori «si sarebbero sparsi le notizie fra loro», perché ci volevano molti gettoni per telefonare dall’estero e i soldi dovevano bastare fino al ritorno a casa.

    Venuti dal Mare tra spazio e tempo

    La musica che si alterna ai ricordi e ai racconti emoziona per la sua capacità di riportarci a quel 1981. I successi musicali diventano un ponte con il passato, trascinando il pubblico in una dimensione temporale accarezzata da successi come Enola Gay, Sfiorivano le viole, No woman no cry, Summer on a solitary beach, La costruzione di un amore e Quello che non ho. Un giradischi, i dischi in vinile, il cubo di Rubrik che in Italia diventa una moda proprio nel 1981, uno zaino, il modellino di una Volvo 343 per ricordare la tragica morte di Rino Gaetano, diventano oggetti capaci di superare la dimensione del monologo, imponendosi in una dimensione corale della scena.

    L’estate è il riferimento temporale delle vicende, ma il tempo più che indicare un periodo si avvicina molto di più a una condizione, una qualità di ciò che è stato. Non un tempo misurabile, quanto una esperienza pronta a comunicare valori condivisi e relazioni sociali. Per questo motivo il narratore si chiede:
    «Quanto spazio è necessario, perché il tuo mondo cambi? Quanti metri, quanti chilometri Sì, spazio. Non tempo. Quello è facile basta un calendario… È nel tempo che siamo abituati a calcolare i cambiamenti, no? Ma lo spazio?».

    Un tempo policronico

    Non è il tempo a creare le relazioni sociali, quanto lo spazio. I 700 metri che separano la casa dal museo di Reggio Calabria, le strade percorse ogni giorno, gli angoli della città conosciuti a memoria, sono gli spazi che creano le relazioni sociali e allora il tempo diventa policronico, legato ai cicli della vita e delle stagioni, altro da quel tempo così come siamo abituati a conoscerlo, misurabile quantificabile e monetizzabile. La condizione dell’estate si scontrerà con quella dell’autunno che conoscerà la delusione per un tradimento e la fine dell’entusiasmo di una città che assisterà alla conclusione delle lunghe file davanti al museo. I due guerrieri venuti dal mare finirono per essere inghiottiti, insieme ai ragazzi degli anni ‘80, in uno spazio vuoto e in un tempo monocronico incapace di creare relazioni.

    venuti-dal-mare-tramontana-2
    Il monologo di Tramontana (foto Marco Costantino)

    Venuti dal Mare è una produzione Spazio Teatro. Scritto e interpretato da Gaetano Tramontana, con la partecipazione in scena di Alessio Laganà (Dj set live), la collaborazione artistica di Anna Colarco e, per luci e audio, di Simone Casile.

  • “Caro diario”, il contemporaneo a portata di clic

    “Caro diario”, il contemporaneo a portata di clic

    Ogni esperienza, si sa, fa storia a sé, anche dopo anni testardi di disincanto, e questa con i ragazzi di “Caro diario”, campus sull’accoglienza promosso dalla Fondazione Antonino Scopelliti in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Reggio Calabria, di cui ho curato la realizzazione del volume finale, è sicuramente fra quelle che infondono nuova energia e nuove motivazioni.

     

    Soprattutto per la capacità di sorprendere con narrazioni e visioni mai scontate, che a dispetto di certo disincanto da sorrisetto adulto, che conosce e capisce come ogni anelito venga alla fine risucchiato, tornano a dare fiducia alla possibilità di costruire per la nostra terra un quotidiano ed una società che non languiscano di rassegnazione.
    Lontane da rappresentazioni stereotipate o peggio, da tentazioni edulcoranti, le immagini di quanti si sono messi in gioco con questo workshop fotografico curato da Michele Furci appaiono intrise della lucida passione di chi pur non nascondendosi pragmaticamente la realtà, è ancora capace di proiettarsi in un futuro che non è semplice immaginario da inclinazione anagrafica, ma autentica voglia di cambiamento.

    Ed è stato confortante verificare come i ragazzi, ancora scevri da certi condizionamenti formativi, dall’estetica ghirriana a tutta la scuola di paesaggio italica, si siano approcciati istintivamente alla poetica contemporanea dell’insignificante e del banale piuttosto che del monumentale e del bello canonicamente inteso, rivelando una sorta di rifiuto del sin troppo celebrato momento decisivo a favore dell’in-between. Approccio che traduce in visione fotografica un manifesto esistenziale della vita intesa come realtà fatta dallo scorrere di infiniti momenti qualsiasi mentre si è in attesa del proprio treno. E non c’è nulla di più identitario di questa consapevolezza, forgiata rudemente dalla nostra terra.
    Dai ricordi bambini che legano con forza alle proprie origini al tappeto accasciato su un balcone dalla precarietà senza ringhiera, metafora della medesima caducità di sogni e aspirazioni che viaggiano su quel tappeto, le immagini tracciano un percorso disseminato di indizi che invitano alla scoperta, suggerendo come l’accoglienza sia un lento, reciproco divenire.
    Per chi vorrà, l’appuntamento con questi ragazzi dallo sguardo profondo di visioni è per mercoledì 9 agosto a Reggio Calabria, Palazzo San Giorgio, con la mostra e la presentazione del libro “Caro diario”.

    Attilio Lauria

  • Serie B: il Tar boccia ancora la Reggina, ok per il Lecco

    Serie B: il Tar boccia ancora la Reggina, ok per il Lecco

    Non c’è spazio per la Reggina in serie B secondo il Tar. Per i giudici amministrativi il ricorso degli amaranto è «improcedibile». Confermata così la prima bocciatura delle settimane scorse, con la società dello Stretto che non potrà procedere all’iscrizione della squadra tra i cadetti. Il Tar del Lazio ha quindi fatto sue le decisioni che aveva preso il consiglio federale del 7 luglio, facendo precipitare nello sconforto la tifoseria.

    Serie B: no alla Reggina, sì al Lecco

    Verdetto opposto, invece, per il Lecco. Dopo l’iniziale esclusione, apparsa ai più paradossale, è arrivato il dietrofront. Se non c’è spazio per la Reggina in serie B, ci sarà invece per il Lecco. E presto potrebbe aggiungersi anche un altro club lombardo. Il Brescia, infatti, dopo la retrocessione sul campo nella doppia finale dei playout contro il Cosenza è la principale candidata a riempire la casella lasciata vuota dal club che Saladini aveva rilevato soltanto un anno fa dopo l’arresto dell’allora patron Gallo.

    Per la stesura definitiva del calendario dei cadetti, però, toccherà attendere ancora qualche settimana. La Federcalcio, infatti, ha deciso di attendere il 29 agosto, giorno in cui il Consiglio di Stato dovrà dire l’ultima parola sulla questione delle iscrizioni. E così il campionato – la prima giornata è prevista il 19 agosto – inizierà con una X e una Y al posto di due squadre.

  • Emergenza incendi: l’Aspromonte rinasce mentre Reggio brucia

    Emergenza incendi: l’Aspromonte rinasce mentre Reggio brucia

    Incendi a Reggio. Ricorderemo il 2023 come un nuovo annus horribilis. 
    Quasi negli stessi giorni in cui nel 2021 sono andati in cenere oltre 8.000 ettari di aree protette in Aspromonte, le fiamme hanno divorato vaste aree del Reggino e lambito tutto il perimetro del capoluogo.

    Incendi: a Reggio un record infame

    Alcuni dati elaborati da Legambiente sulle rilevazioni satellitari Effis sono utili a tracciare il disastro: su base nazionale le province più colpite risultano Palermo, Agrigento, Reggio Calabria, Messina e Siracusa. Messe insieme, fanno il 75,62% del totale distrutto da incendi di vegetazione dall’1 gennaio al 27 luglio di quest’anno.
    In questo stesso periodo, nella sola provincia di Reggio Calabria c’è l’86,44% di tutte le superfici arse nella nostra Regione.
    Il dato reggino fa ancora più impressione confrontato alle altre province italiane interessate dai roghi. Sono 6.388 gli ettari di vegetazione persi e corrispondono al 12,43% su base nazionale.
    È un triste primato, secondo solo a Palermo coi suoi 17.957 ettari distrutti (il 34,95% a livello nazionale).

    incendi-reggio-oltre-seimila-ettari-fumo-ma-aspromonte-rinasce
    Alberi dell’Aspromonte a due anni dell’incendio

    Incendi a Reggio: l’assemblea e la marcia

    Proprio a Mosorrofa, una delle aree più colpite nel Reggino, in queste ore si è tenuta un’assemblea pubblica di confronto sui danni verificatisi.
    La marcia per l’Aspromonte indetta per lo scorso 29 luglio dall’Associazione delle Guide Ufficiali del Parco e organizzata già dai mesi precedenti ha avuto la curiosa coincidenza di realizzarsi a ridosso dell’emergenza roghi 2023. Il fuoco, in questo caso (e per fortuna!) ha interessato solo relativamente l’area del Parco di Aspromonte. Ma ha inevitabilmente alimentato feroci polemiche sui soliti nervi scoperti: il sottodimensionamento di Calabria Verde e del corpo dei Vigili del fuoco, la carenza di mezzi, i ristori, l’abbandono percepito dalla cittadinanza.

    Aspromonte: una ripresa lenta

    Ho partecipato anch’io alla marcia, un’iniziativa per la memoria e un tentativo di fare comunità per rafforzare un presidio di tutela diffuso. Vedere con i propri occhi un prato di felci in cui svettano carcasse di vegetazione carbonizzata, un tempo foreste di pini larici ultracentenari, dà la misura del disastro occorso.
    È il primo passo di un lungo percorso appena iniziato, che mira al coinvolgimento di tutti gli attori del territorio, secondo quanto annunciato dall’Associazione delle Guide. Un passo per posizionarsi saldamente ai blocchi di partenza, ma che appare timido.

    incendi-reggio-oltre-seimila-ettari-fumo-ma-aspromonte-rinasce
    Escursionisti in marcia

    La testimonianza delle guide

    Secondo Luca Lombardi, presidente dell’organizzazione, non esistono ristori per un tale patrimonio andato perso. Tuttavia, qualcosa è cambiato: «Appena partiti gli incendi che hanno interessato l’area di San Luca, in via informale mi ha contattato un funzionario del Parco che, a margine di una conversazione privata, ha tenuto a informarmi delle azioni di contrasto al fuoco in corso. Una cosa mai accaduta prima».
    Giunti a ridosso di Roccaforte del Greco, dopo diversi chilometri di cammino abbiamo potuto toccare con mano cosa fosse rimasto dopo il passaggio del fuoco: nulla.

    Il parere della studiosa

    Piuttosto dura, al riguardo, la particolare testimonianza dell’entomologa Elvira Castiglione: «Al di là della perdita di un patrimonio inestimabile e al netto del fatto che la Natura ha capacità rigenerative ben superiori ai danni causati dall’uomo, la ricostituzione di quell’ecosistema sarà lunga e non è detto che produca gli stessi risultati». Così esordisce la studiosa, che si chiede: «Ci saranno le stesse condizioni che hanno portato ad avere delle foreste originarie con i caratteristici giganti di pino laricio distrutti?».
    «Come gruppo di ricerca del Laboratorio Lea del Dipartimento patrimonio architettura e urbanistica dell’Università di Reggio Calabria, abbiamo realizzato uno studio entomologico nell’area di Acatti», spiega Castiglione.
    Eccolo lo studio in dettaglio: «Abbiamo campionato insetti di tre aree diverse: una impattata dagli incendi di chioma, una di transizione e una incombusta. A due anni l’area è stata lentamente ripopolata da 19 specie di insetti contro le 28 precedentemente presenti nella parte incombusta e le 21 di quella di transizione».
    Il risultato non è esaltante: «Sono scomparse le specie più tipiche della foresta, oggi sostituite da quelle più comuni che rappresentano le cosiddette specie pioniere, i coleotteri stafilinidi del genere Ocypus meno specializzati. Gli Ocypus Italicus che sono la specie caratteristica della lettiera del bosco sono spariti completamente, sono invece arrivati i “fratellini” Ocypus Olens. Cioè la specie che troviamo nei nostri giardini, o nelle nostre cantine».

    incendi-reggio-oltre-seimila-ettari-fumo-ma-aspromonte-rinasce
    L’entomologa Elvira Castiglione (la seconda da sinistra)

    Parla il generale Battaglia

    Riusciranno questi insetti ad aprire la strada al nuovo ecosistema in formazione? Qualche segnale positivo lo danno le felci, a cui seguiranno le ginestre. A patto che l’area non sia interessata dal pascolo abusivo.
    Cosa che, purtroppo, è all’ordine del giorno: lo scampanio di vacche e capre in piena zona A (tutela integrale) ci ha accompagnato per lunga parte del nostro tragitto. Non è un dettaglio: svela, invece, lo scarso monitoraggio di una montagna per lo più desertificata.
    Lo ha detto chiaramente il generale Giuseppe Battaglia, già alla guida del comando provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria, autore e escursionista esperto: «Il problema degli incendi è complesso e sfaccettato. Da una parte è vero che un territorio abbandonato diventa preda di piccoli e grandi interessi; dall’altra il principio di emulazione ha un forte impatto. Qualche anno fa arrestammo in flagranza un anziano. Davanti al giudice dichiarò che stava appiccando il fuoco per proteggere le centinaia di capi del suo bestiame dagli attacchi dei lupi. Non solo non aveva quel numero di animali, ma fu sostenuto da una testimonianza che attestava le sue affermazioni. Dopo aver affrontato la carcerazione domiciliare, fece causa per ingiusta detenzione e vinse. Danno e beffa».

    Incendi a Reggio: l’ipotesi di Bombardieri

    In un recente incontro pubblico il procuratore Giovanni Bombardieri ha inquadrato il fenomeno come particolare e variegato e non imputabile a una strategia complessiva delle criminalità. Dolo, colpa, errore umano, emulazione sono alla base di certi disastri. La scarsa prevenzione, unita alla difficoltà di individuare strategie investigative efficaci e a deficit culturali rendono il tema di difficile gestione. In poche parole non è sufficiente inquadrare la questione in termini investigativi e repressivi, ma formare alleanze tra tutti gli attori del territorio coinvolti.

    Un momento dell’escursione commemorativa degli incendi del 2021

    I guai di Calabria Verde

    Calabria Verde si porta dietro enormi problemi legati a una finanza dissestata, all’esiguità del personale (8.076 unità iniziali passate alle circa 5.800 di oggi con 4.000 di questi addetti alla forestazione) e alla carenza di ricambio generazionale.
    La storia dell’azienda è costellata di fallimenti operativi, scandali, dimissioni, commissariamenti, arresti.
    La proposta di una sua trasformazione in ente pubblico economico operante secondo il diritto privato potrebbe avere diversi risvolti.
    I sindacati, al riguardo, parlano dei pericoli dell’esternalizzazione. Tuttavia, il cambio di natura giuridica potrebbe risolvere altri problemi, tra cui l’ampliamento dell’organico.
    A causa del dissesto pluriennale – un buco da 80 milioni non rendicontati e un bilancio non approvato da almeno tre anni – mancano i fondi per le assunzioni. I sindacati oscillano tra il timore che vengano intaccati i diritti contrattuali e la paura che i fondi pubblici per il contrasto al dissesto idrogeologico finiscano altrove. Questi timori che potrebbero cadere ove la vigilanza dello Stato e del ministero competente funzionasse a dovere.

    L’intervento del Parco

    Lo scorso 28 luglio l’Ente Parco Aspromonte ha diramato una nota in cui vengono elencate le azioni intraprese a tutela della riserva naturale. Queste vanno dal monitoraggio, dai contratti di responsabilità con enti di protezione civile e del terzo settore, alle pianificazioni di settore, alla piattaforma per il potenziamento dell’intervento aereo per antincendio e soccorso pubblico.
    Una nota doverosa e minuziosa se non fosse per certi toni e una chiosa finale poco istituzionale.

    Incendi a Reggio: una coincidenza?

    I roghi di Reggio, va da sé, hanno caratteristiche diverse da quelli del 2021 in Aspromonte.
    Oggi, a parte l’incendio nel sottobosco di San Luca, il territorio del Parco non è stato intaccato. E comunque gli interventi tempestivi hanno contenuto i danni. Resta una domanda inquietante: perché gli incendi reggini sono esplosi proprio nei giorni del picco di calore e con il forte vento di scirocco? Cioè proprio quando le fiamme potevano fare più danni, com’è puntualmente avvenuto?
    Anche considerando tutte le variabili in gioco, si prova grande difficoltà a ritenere tutto questo una sfortunata ed aberrante coincidenza. O no?

    Gli scheletri degli alberi carbonizzati nel Parco

    Un problema culturale

    Che ci sia un enorme problema culturale è palese. È lo stesso problema che tra gli anni ’80 e ’90 minacciava i rapaci migratori sullo Stretto.
    Le Guide hanno ribadito che, dentro o fuori dal Parco, Reggio e provincia vanno tutelate come aree a maggiore biodiversità di tutto il Mediterraneo. Zone collinari comprese, dove trovano rifugio flora e fauna specialistica di rilevanza europea. «Dal singolo cittadino ai massimi livelli, tutti sono coinvolti e devono ritenersi necessari nella tematica, dalla prevenzione allo spegnimento, fino alle indagini successive».

  • MAFIOSFERA| Granducato di Mammola: le ‘ndrine joniche in Lussemburgo

    MAFIOSFERA| Granducato di Mammola: le ‘ndrine joniche in Lussemburgo

    L’Operazione Malea, della Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria, il 25 luglio ha portato all’arresto di 12 persone. Si ritiene abbiano tutte legami con la ‘ndrangheta nel locale di Mammola, sulla Jonica reggina. Tra le attività spiccano classici intramontabili: traffico di stupefacenti, acquisto e detenzione abusiva di armi, estorsione nel settore boschivo e nell’edilizia. Ma ci sono anche alcune attività più creative del solito.
    Un esempio? Il reato di estorsione per aver imposto ai titolari delle giostre installate a Mammola, in occasione della festa patronale di San Nicodemo, di emettere un numero elevato di titoli (gettoni e/o biglietti) per poter usufruire gratuitamente delle attrazioni ludiche.
    Alle giostre ancora non ci eravamo arrivati. E non è segno da poco: simboleggia l’esistenza di una struttura di ‘ndrangheta arrogante, radicata e presente in paese.

    La ‘ndrangheta in Lussemburgo e i rapporti con Mammola

    Destinatario della misura cautelare in carcere è stato, tra gli altri, Nicodemo Fiorenzi. Per le autorità sarebbe stato il referente del gruppo di Mammola in Lussemburgo. Avrebbe dovuto riferire e concordare con i vertici del locale di Mammola le varie scelte e decisioni sul territorio estero. L’articolazione territoriale in Lussemburgo ha interessi e attività proprie, ma a livello di vertice, ancora ci si parla col paese.
    Queste le dichiarazioni di Antonio Ciccia ai magistrati: «Come ho già scritto vi sono molti miei paesani affiliati che si trovano o sono andati in passato in Lussemburgo. Non so la ragione di tale scelta e cioè non so dire se lì sia stato costituito e autorizzato un locale di ‘ndrangheta. Ma ciò che posso dire è che nel tempo in Lussemburgo sono andati Fiorenzi Nicodemo, Deciso Nicodemo, che fanno la spola tra il Lussemburgo e Mammola».

    operazione-Malea-mammola-lussemburgo-ndrangheta
    Un fotogramma dalle riprese della Polizia nell’Operazione Malea

    Non a caso, è proprio a Nicodemo Fiorenzi che un giovane della famiglia Cordì, Attilio, di Locri si sarebbe dovuto rivolgere per trasferirsi in Lussemburgo e trovare lavoro, destando sospetti a Mammola sull’opportunità (non avallata) di supportare l’ingresso dei Cordì in Lussemburgo.
    Dirà infatti un presunto capo locale di Mammola che in Lussemburgo Fiorenzi è autonomo, ma non del tutto: «Con tutto il rispetto vostro, …dopodiché, se voi mandate un ragazzo di San Luca, così, va bene… Nico [Fiorenzi], non mi deve dare spiegazioni». E su Attilio Cordì: «Questo poi si tira gli altri, e vedi che poi non avrete voce in capitolo».

    Il buco nero dell’Europa

    In Lussemburgo, infatti, risiedono anche alcuni “giovani”, trentenni o poco meno, di Mammola. E da qui inizia un déjà vu. Perché questa storia dei mammolesi, alcuni anche giovani, in Lussemburgo noi già la sapevamo.
    Facciamo un passo indietro. Qualche anno fa, nel febbraio del 2021, grazie a dei dati ricavati da OpenLux IrpiMedia ci aveva raccontato della ‘ndrangheta in Lussemburgo. OpenLux era un’inchiesta collaborativa che partiva da un database raccolto da Le Monde, reso ricercabile da Occrp sulle 124 mila società che popolano il registro delle imprese lussemburghese.conto-lussemburgo-mammola-ndrangheta

    L’inchiesta ha permesso di analizzare i nomi dei proprietari delle società registrate nel Granducato, finora schermati da prestanome e professionisti.
    In quell’occasione il Lussemburgo era apparso in tutta la sua “debolezza”: un paese con forte protezione del capitale privato, dove fare affari sporchi, o semi-puliti, non costa tanto, grazie anche a una diaspora italiana ormai ben radicata sul territorio. Complici la segretezza bancaria e fiscale e una difficile transizione alla trasparenza tra banche e organi preposti al controllo su attività commerciali e di capitali, il Lussemburgo è spesso considerato un buco nero (per le indagini finanziarie) nel cuore dell’Europa.

    Mammola, Lussemburgo e ‘ndrangheta: un déjà vu

    Ed ecco che si arriva al déjà vu. Infatti, OpenLux aveva identificato una rete di 17 famiglie di Mammola – per lo più tutti ristoratori nel Minett, ex distretto minerario del Lussemburgo che aveva attratto molti migranti proprio grazie all’industria mineraria – grazie all’analisi del registro dei beneficiari effettivi. Ristoranti vicini, residenze vicine, e amicizie intrecciate sui social. Un paese a doppia anima, Mammola, come ce ne sono tanti qui in Calabria: una locale e una migrante.
    IrpiMedia aveva chiarito come tanti di questi ristoranti avessero avuto in realtà vita breve, ma fossero stati aperti con investimenti significativi portati da “casa”. Se, come confermano le indagini, è dagli anni Novanta che soggetti legati a famiglie di Mammola registrano imprese in Lussemburgo, nella geografia di ‘ndrangheta questo significa di solito due cose: il riciclaggio dei proventi del narcotraffico nel Granducato, e la presenza di strutture mobili di coordinamento tra le frontiere che nascono spontaneamente quanto più da “casa” si utilizzano certi canali.

    Il marchio di fabbrica

    Per quanto riguarda il narcotraffico, è noto da anni che sull’alta Jonica reggina a far da padroni sono i Sidernesi (oltre ovviamente ai gruppi di San Luca e aspromontani). Infatti, tra Mammola e Siderno si è sempre mantenuto un collegamento stretto. In particolare per mano degli Scali, famiglia reggente a Mammola.
    Non a caso, tra le varie operazioni che avevano coinvolto il Granducato e a cui le indagini di OpenLux si erano intrecciate si distingue l’arresto di Santo Rumbo nel 2019, a Differdange, nel sud-ovest del Lussemburgo, dove gestiva un ristorante.

    riccardo-rumbo
    Riccardo Rumbo

    Rumbo, figlio di uno ‘ndranghetista sidernese, Riccardo, già condannato al 41-bis, è considerato una “promessa” della ‘ndrangheta della Jonica. In particolare, secondo l’Operazione Canadian Connection 2, del Siderno Group of Crime, quella propaggine ‘ndranghetista attiva nell’Ontario. Un asse America-Europa-Calabria che è il marchio di fabbrica dei Sidernesi, soprattutto dei Rumbo-Figliomeni (e dunque legati alla più potente super-‘ndrina Commisso).

    Da Mammola al Lussemburgo, non tutti per ‘ndrangheta

    Per quanto riguarda il secondo aspetto, cioè la nascita di strutture di coordinamento, bisogna partire anche qui dall’analisi sociale. In un paese a vocazione migratoria è normale legarsi alle catene di migranti, cioè andare dove altri dal paese sono già andati. Nel caso di Mammola, pertanto, di giovani partiti per raggiungere “i parenti” in Lussemburgo ce ne sono sicuramente stati e ancora ce ne sono. Alcuni con intenti criminali, ma molti sicuramente con intenti commerciali e la voglia di “fare fortuna” all’estero.

    Mammola-lussemburgo-ndrangheta
    Un panorama di Mammola, il cui locale di ‘ndrangheta per gli inquirenti avrebbe ramificazioni fino in Lussemburgo

    Ecco che tra chi crea un business di import-export dall’Italia al Lussemburgo (portando generi alimentari e a volte riportando armi verso sud…), chi si apre un negozio di servizi per la stampa, e chi invece investe “denaro di famiglia”, qualche migliaio di euro, per licenze di ristorazione e rilevamento di attività, passa molto poco.
    Dichiara per esempio Damiano Abbate a Rodolfo Scali (entrambi raggiunti dall’ordinanza di custodia cautelare e considerati elementi di vertice del locale di Mammola): «E se facciamo qualche cosa [in Lussemburgo]? Io e mio cognato vogliamo investire 50mila euro, 100mila euro, là che stai tu, che stanno i figli tuoi, a gestirseli loro, devo vedere che ce li devono prendere che, che quelli vengono là».

    Piccoli don e percezioni da ribaltare

    Nel momento in cui ventenni o trentenni dalla Locride e dalla Jonica, “figli di”, si stabiliscono poi all’estero, in Lussemburgo, diventa poi molto facile, e necessario, coordinare attività, legali ma soprattutto illegali. E, dunque, creare “posizioni” di coordinamento in capo a individui capaci di fare la spola, di parlare le lingue. Insomma, di cavarsela nella doppia anima del paese.
    Bisogna ribaltare la percezione della mobilità europea della ‘ndrangheta. La questione in un paese come il Lussemburgo, e non solo il Lussemburgo, non è “com’è possibile che la ‘ndrangheta arrivi fin là?”. È, piuttosto, il contrario: «Com’è possibile che non ci arrivi?» e «perché mai non dovrebbe arrivarci?». La banalità della mobilità mafiosa, soprattutto europea, si palesa qui chiaramente.

    Vittoria fuori, punti in casa

    Ma c’è un lato spesso dimenticato in questa banalità del male: è la ragione per cui in un paese come Mammola l’esistenza di un locale di ‘ndrangheta, sebbene spesso percepito o “tentato”, apparirebbe soltanto in questa inchiesta Malea e non prima.
    È sempre più ovvio, infatti, che l’estero “amplifica” la Calabria. Abbiamo infatti tanti esempi di come far fortuna all’estero, vantarla, o comunque coltivarla – al di là dell’occasionale traffico di stupefacenti – con attività stazionarie o presenza costante in un luogo, aumenti il prestigio mafioso “a casa”. E, dunque, anche le opportunità di investimento mafioso “da casa”.
    Essere “attivi” come ‘ndranghetisti all’estero, insomma, ti rende più organizzato e amplifica il successo, a casa. Questo aspetto è un altro effetto della banalità della migrazione mafiosa: nel mondo globalizzato, anche quello della mafia, tutto ciò che si muove lontano da noi torna indietro in altra forma.

  • Il mare blues di Roccella Jonica

    Il mare blues di Roccella Jonica

    Roccella Jonica: non solo il longevo Festival del Jazz e l’ormai scontata bandiera blu. Anche il “Rocca Blues Festival” – patrocinato dal Comune di Roccella – la cui ormai prossima terza edizione si svolgerà dal oggi al 31 luglio, attira nella bella cittadina schiere di appassionati della musica che affonda le sue radici nelle piantagioni di cotone del Sud degli States e nel Delta del Mississippi.

    Gli organizzatori di Radio Roccella hanno scelto un angolo particolarmente seducente per piazzare il palco. I musicisti si esibiranno infatti con le spalle il mare della Magna Graecia e davanti il Largo Rita Levi Montalcini, dove svettano due colonne monolitiche in porfido egiziano, dette Melissari dal luogo del loro ritrovamento nel 1868. Tre serate gratuite di grande musica, e non solo. Il 29 luglio aprirà la manifestazione la Freddie Maguire Band, ideale ponte tra Italia e Stati Uniti.

    rocca-blues-festival-musica-mare-roccella-jonica
    Il musicista Alberto Lombardi

    Il 30 salirà sul palco il chitarrista e performer Alberto Lombardi, che ha al suo attivo partecipazioni ai tour e collaborazioni con artisti di fama mondiale. Tra essi l’australiano Tommy Emmanuel, uno dei chitarristi migliori al mondo. Arriverà invece da Cosenza, per la serata di chiusura, la band White Bread 69, coi suoi coinvolgenti ritmi groove. Di Radio Roccella gli speaker incaricati di condurre gli spettacoli: Manuela Cricelli, Nicola Procopio e Tiziana Romeo. Non solo musica, dicevamo: il direttore artistico, Ilario Ierace, ha previsto per ogni serata, alle ore 20:00, L’AperiBlues con il DJ Set di Tony L, e alle 21:30 la proiezione di filmati d’epoca con Racconti e aneddoti del Blues, dalle origini ai giorni nostri, a cura dello speaker Gianfranco Piria, ideatore e conduttore del programma Me&Blues.

    rocca-blues-festival-musica-mare-roccella-jonica
    White Bread 69

    In sella alle Harley d’Aspromonte

    Il villaggio del “Rocca Blues Festival” ospiterà inoltre una esposizione motociclistica curata dall’associazione Harley-Davidson “Aspromunti Calabria”, una mostra fotografica, una esposizione di oggettistica di vario genere. E, per allietare il gusto oltre che l’udito e la vista, si potranno degustare prodotti tipici locali. Il “Rocca Blues Festival” costituisce l’ennesima scommessa vinta dagli animatori, tutti volontari, di Radio Roccella, emittente senza scopo di lucro e senza vincoli commerciali. Dal 1976 essa mantiene una particolare connotazione che ancora oggi, dopo quasi quarant’ anni, ci consente di poterla associare allo spirito originario che caratterizzava quelle che allora erano definite “radio libere”.  È indicativo il fatto che per l’informazione Radio Roccella si avvalga del gemellaggio con Radio Popolare, storica emittente con una ben precisa collocazione culturale e politica. Radio Roccella organizza, proprio per ancorarsi maggiormente al territorio di riferimento, un Rock Contest per giovani gruppi emergenti e segue in diretta manifestazioni come il Festival jazz ma anche congressi, eventi sportivi, teatrali e cinematografici.

    rocca-blues-festival-musica-mare-roccella-jonica
    Agli albori di Radio Roccella, storica radio libera nata nel 1976

    La roulotte di Radio Roccella

    La ciliegina sulla torta è lo studio mobile Azzurra, una roulotte vintage che da sette anni racconta quanto di rilevante accade in giro per la costa Jonica reggina e non solo. Insomma, una realtà viva e pulsante perfettamente in sintonia con una cittadina che già al primo sguardo si segnala come una vera e propria oasi, conosciuta e apprezzata da tanti in Italia e all’estero. Le ragioni di questa diversità in positivo andrebbero indagate e analizzate per cercare di esportare il modello Roccella al di fuori dei suoi confini territoriali.

  • La Calabria brucia ancora, cronaca (social) di un disastro annunciato

    La Calabria brucia ancora, cronaca (social) di un disastro annunciato

    Alle sei di questa mattina Reggio Calabria era avvolta dal fumo e dall’odore acre degli incendi ancora in corso che hanno divorato l’hinterland cittadino. Nonostante un morto, intere aree distrutte, la costa Viola sfregiata, l’emergenza è ancora in corso. Da tutto il giorno, e ancora mentre scrivo, l’eco dell’elisoccorso e dei canadair che volano senza sosta rimbomba in tutta la città. L’aria è irrespirabile, come lo era ieri e come lo è stata stanotte.

    Se non fosse chiara la dimensione del disastro che sta colpendo la Calabria e la Sicilia, è sufficiente andare a dare uno sguardo alle mappe del fuoco in tempo reale sul sito della Nasa. Non esistono ammende, riparazioni, mea culpa. Colpire un territorio con questi atti che devono essere inquadrati come vere e proprie condotte terroristiche significa causare danni irreparabili e permanenti che causeranno effetti per gli anni a venire. Non solo in termini di salvaguardia di flora e fauna (e basterebbe quello), ma di costi sociali che si riverberano in tutti gli ambiti.

    L’eterna litania sugli incendi in Calabria

    Adesso ricominceremo con le solite litanie circa le cause di questa ecatombe. In un indistinto e maleodorante vociare da bar, la sequela sarebbe più o meno questa, con alla base sempre il vile danaro: accesso ai fondi europei per la riforestazione, compensi per le missioni in emergenza delle flotte aeree dedicate, rigenerazione dei pascoli, lavoro dei forestali (la proposta di privatizzazione di Calabria Verde cade proprio a fagiuolo), riaccatastamento delle aree agricole e/o boschive in terreni edificabili (ipotesi lunare per la legislazione che tutela le aree ambientali), piromania, roghi colposi nati da errore umano e tramutatisi in disastro ambientale, criminalità organizzata e perfino micragnose ripicche tra vicini di casa per ragioni di varia natura tra cui il deprezzamento dei terreni coinvolti per una più conveniente compravendita.

    Un canadair in azione durante gli incendi dell’estate 2021 in Calabria

    Forse ognuno di questi punti contiene un pezzetto di verità. Ma la verità in questo caso serve a poco. Le indagini per il disastro del fuoco dell’estate 2021 in Aspromonte si sono chiuse con un nulla di fatto. Nessun colpevole, ma un rimpallo di eventuali responsabilità la cui scia arriva al fuoco di oggi, giorno in cui piangiamo un morto, diverse abitazioni minacciate, interi poderi divorati dalle fiamme, boschi ridotti in cenere, linee ferroviarie e arterie stradali interrotte.

    Gestire (male) l’emergenza, nulla più

    Ma il senso vero, la desertificazione delle aree interne, dei costoni di montagna, lasciati alla rovina dell’abbandono, battuti e vissuti più da nessuno, senza coltivazioni, senza uomini che le preservano, non si azzarda a tirarlo fuori nessuno. Parliamo del massimo comune denominatore che rende queste catastrofi sempre più drammatiche.
    Non c’è nessuno che abbia interesse a preservarle e tutelarle se non come cocci di una bomboniera che è comunque andata in frantumi. Territori senza uomini e vallate deserte continueranno a subire questa sorte perché nessuno ha la lungimiranza di programmare strategie adeguate e di lungo termine. Non ci sono droni che tengano. Ci si limita a cercare di gestire – male – l’emergenza. Fin quando non ci sarà più nulla da gestire.

    https://www.facebook.com/rbocchiuto/videos/266892979396507

    Nel frattempo in queste ore non ho sentito un politico, che sia uno, spendere una parola, manifestare solidarietà, o annunciare provvedimenti concreti. In compenso abbiamo tutti visto i video social del presidente Occhiuto alle prese con i droni davanti a una stazione di monitoraggio video. Ma si sa che oggi vale in comunicazione quella strana legge per cui un esempio, che è poi il pallido simulacro di una realtà falsa e distorta, diventa per antonomasia la scopa politica paradigmatica con cui mettere il resto della polvere sotto un tappeto di vuota sostanza. Il medium è andato ben oltre il messaggio.

    Terrorismo e social network

    Vorremmo invece vedere pienamente applicato l’articolo 423 bis del codice penale, inasprito con il DL 120/2021, che punisce gli atti incendiari boschivi con al reclusione da 5 a 10 anni. Vorremmo la certezza della pena, vorremmo indagini approfondite capaci di individuare e punire aspramente chi colpisce il nostro futuro. E non basta: vorremmo che, per la rincorsa che hanno preso gli stravolgimenti climatici che continuano ad essere negati da personaggi come il ministro Salvini (basta scorrere i suoi ultimi post social), simili atti fossero equiparati ad atti terroristici.
    Vorremo questo e tanto altro. Vorremo, ma ci limitiamo a postare.

  • Silvestra Sesini, dagli orrori nazisti all’amore per Siderno

    Silvestra Sesini, dagli orrori nazisti all’amore per Siderno

    Cum panis… condividere lo stesso pane: il titolo calzante per lo scritto di Antonella Iaschi e per la serata dedicata a Siderno alla memoria di una donna. Si chiamava Silvestra Tea Sesini e ha vissuto più vite, ma con una costante: la condivisione col prossimo delle sofferenze, delle lotte, delle vittorie e delle sconfitte. Da antifascista, da partigiana, da attivista nella politica e nel sociale dopo la débacle del regime. Fino agli ultimi anni passati, lei nata a Biella come Silvia Francesca Luigia Tea, a Siderno.

    L’incontro è stato voluto dalla sezione ANPI insieme alla Federazione Italiana Teatro Amatori e all’associazione Il Gabbiano, col patrocinio del Comune di Siderno rappresentato dall’assessora Francesca Lopresti. Dopo l’introduzione di Federica Roccisano, la scena l’ha dominata in modo sublime l’attrice Daniela Bertini, con la regia di Daniele Matronda. Grande merito va attribuito ad Antonella Iaschi, poetessa e scrittrice che, come Silvestra Sesini, ha scelto di lasciare il Nord Italia per venire a vivere a Roccella Jonica.

    Il marito, l’amica e i nazisti

    Il suo testo – liberamente tratto da scritti della stessa protagonista, di Rosalba Topini e di Domenico Romeo – si apre con lo sguardo di Silvestra che scruta il mare. Pensa al marito Ugo Sesini, ebreo antifascista che finì i suoi giorni nel 1944 a Gusen, dopo l’internamento a Mauthausen.
    «Padre del mio unico figlio, compagno di vent’anni della mia vita», così lo ricorda Silvestra nella versione di Antonella Iaschi. «Sapessi, Ugo, quanto è stato difficile, continua, (…) rapportarmi con un figlio orfano senza fargli mancare il padre, senza fargli sentire la mia solitudine».

    mauthausen
    L’ingresso del campo di Mauthausen

    Poi la mente di Silvestra si volge all’amica Anna Maria Enriques, chiamandola con il cognome paterno negatole dalle leggi razziali. «Compagna di studi, di stanza, di ideali, di conquiste, di paure e di dolori, donna e partigiana disarmata, lottatrice coraggiosa che nemmeno le più atroci torture naziste hanno piegato».
    Antonella Iaschi rende bene lo struggimento della partigiana Silvestra Sesini che scrive «sulla battigia due date: i giorni in cui vi ho perso per sempre fisicamente, ammazzati come bestie dai nazisti, ma un’onda più saggia le ha cancellate (…) quelle date non sono nulla nel calendario delle nostre vite. Il ricordo delle ore trascorse insieme è il campo che ho a disposizione per coltivare frutti buoni. Per la cancrena nazista ho perso il vostro corpo, i vostri sguardi, i vostri abbracci, la vostra voce, ma non la forza di portare avanti i NOSTRI valori».

    Condividere lo stesso pane

    Silvestra – Antonella è tormentata. Non è sicura che quello successivo alla Liberazione sia stato e sia un tempo di pace effettiva, o solo un’apparenza. «(…) in realtà quella Pace non è mai nata se ancora esistono la fame e gli stenti, l’ignoranza e la sottomissione alla violenza sia nelle case che nelle strade. Se ancora nel mondo esistono decine e decine di guerre altre. In realtà quella libertà è un’apparenza e lo sarà fino a quando un solo bambino, un solo essere umano dovrà patire sopraffazioni e stenti».

    silvestra-sesini
    Silvestra Tea Sesini

    Solo la morte riesce a separare le due amiche. Silvestra Sesini, grazie a «un provvidenziale trasferimento all’infermeria di Regina Coeli» prima della fucilazione, si salva. «La tua sorte, invece, ha calato la sua falce arrugginita sui tuoi 37 anni (…). (Le SS) ti hanno ammazzata con la pistola insieme ad altri partigiani. Tu che avevi scelto l’Amore e la Resistenza disarmata».
    Per sopravvivere al dolore immenso della morte di due persone così care e vicine, Silvestra sceglie l’unica strada che sente sua fino in fondo, di fare ciò che può rinvigorirla e in parte consolarla: «Ogni giorno della mia vita è e sarà impegno, devoto agli ideali e disobbediente all’indifferenza. Come eravamo noi. Cum panis. Condividere lo stesso pane».

    Silvestra Sesini e Siderno

    Ed ecco, infine, l’approdo di Silvestra Sesini a Siderno, nel 1958. Nelle parole che Antonella Iaschi attribuisce a Silvestra, tutto l’amore per questa terra. E certo non è un caso che, ispirandosi a Silvestra, a scriverle sia una donna che ha sperimentato la stessa emigrazione “al contrario”.

    «A inizio estate qui al Sud l’erba è già imbiondita ma ancora non è bruciata dal sole, i fichi d’India sono puntellati di fiori gialli, i gelsomini sbocciano per le mani veloci delle raccoglitrici mentre decine e decine di fiori spontanei crescono indisturbati. Se questa terra non fosse dimenticata dallo Stato, maltrattata da persone senza scrupoli, e tenuta nell’ignoranza da un sistema scolastico non sufficiente, le sue bellezze la farebbero diventare uno scrigno d’oro. Come d’altronde era un tempo.

    Qui il destino mi ha concesso di nuovo l’emozione grande di incontrare chi non avendo nulla, nemmeno i diritti primari, ti apre il cuore e si affida, senza sapere che sei tu ad affidarti a lui. La gente che si ferma a parlare con me per le strade, in piazza, al mercato, che mi racconta i propri problemi mi ha fatto diventare semplicemente e unicamente Silvestra, una di loro. (…) Questi cieli infinitamente blu, questo mare che sa essere piombo, smeraldo, ametista e turchese, questo arenile dove ogni orma mi dice “sei viva, vai avanti,” mi hanno regalato la consapevolezza di quello che ancora vorrei. È stato talmente facile innamorarmene e decidere di restare».

    Il testamento di Silvestra Sesini

    Ormai anziana, Silvestra Sesini esprime la sua volontà ultima, dando l’ennesima prova di come il nostro andrebbe conservato come mare di vita – non di morte come accade troppo spesso – per come riesce a penetrare nell’anima delle persone che gli si avvicinano: «Voglio che la mia tomba sia rivolta verso il mare. Sì, questo è il mio testamento. Affido ai Sidernesi il mio desiderio di guardare ancora una volta, anzi per sempre, il mare».

  • GENTE IN ASPROMONTE | Il Sud che avanza tra la Locride e lo Stilaro

    GENTE IN ASPROMONTE | Il Sud che avanza tra la Locride e lo Stilaro

    U rigugghiu. L’argento vivo nelle vene, frutto di una rabbia da trasformare in opportunità. Mi accolgono quasi a quest’urlo i ragazzi di We are South: Giulia Montepaone, Aldo Pipicelli, Adele Murace, Guerino Nisticò, Sofia de Matteis, Raffaele Dolce, Annalisa Fiorenza, Valentina Murace, Giorgio Pascolo e Luca Napoli.
    Formano una rete che unisce gli ultimi paesi della Locride con i primi del catanzarese. Qualcosa che va oltre le cooperative o le iniziative dei singoli borghi e che cerca di fare modello e sistema.

    Che cos’è We are South

    We Are South non è solo una rete, ma un metodo di collaborazione, uno standard di qualità affiancato dall’adesione a una certa etica, l’essere partecipi e solidali.
    Resistenza. Resilienza. Coraggio. Sotto questo marchio si lavora nel rispetto delle stesse mission e vision: l’esigenza di fare comunità lavorando sui luoghi e sulle persone, il rispetto e la tutela dell’ambiente, la salvaguardia e la diffusione dei patrimoni, la cultura biologica.
    É una storia che va raccontata per due motivi: rappresenta una best practice e costituisce una cinghia di trasmissione tra le anime della Calabria.

    Vallata-Stilaro
    La vallata dello Stilaro

    Siamo in una terra di confine, periferia della periferia, a cavallo tra Aspromonte e Serre: la valle dello Stilaro. Ma anche qui qualcosa si muove. Bivongi, Stilo, Monasterace, assieme a Guardavalle, Santa Caterina dello Ionio e Badolato sono il cuore di questo nuovo ecosistema. Lavorano insieme sotto un unico marchio per promuovere quei territori, ricucendo ferite e connettendo persone. Il loro brand nasce per facilitare le persone a riconoscere lo standard e i valori comuni, attraverso un marchio e un logo che dall’identità visiva, la forma, si proietta in sostanza.

    Lo Stilaro fa rete

    La tappa a Samo e Natile, mi aveva messo di fronte a molti interrogativi e altrettanti dubbi: il rapporto tra autentico e mitopoietico, il marketing territoriale, i legami di comunità, la resilienza e la questione femminile.
    Quando ho scoperto che nello Stilaro c’era qualcosa che rappresentava un altro passo in avanti nello sviluppo di processi di rete per la rigenerazione territoriale, sono partito per Bivongi.
    Remoto borgo di centenari che, assieme a Stilo e Pazzano, domina la vallata dello Stilaro. Bivongi è un abitato nascosto in mezzo alle ultime pendici dell’Aspromonte. Un luogo di acque termali, di cascate e di vecchie miniere. Un toponimo incerto che Rohlfs fa risalire al greco Boβὸγγες presente nel Brebion, documento greco del 1050 circa, ritrovato nella biblioteca privata dei conti Capialbi a Vibo Valentia.

    bivongi-we-are.aouth
    Uno scorcio della piccola Bivongi, paese dei centenari

    Avevo preso appuntamento con Adele Murace, artigiana orafa, ambientalista, attivista, femminista e animatrice di We are South. Arrivando dalla marina e risalendo la vallata, una curva dopo l’altra, questa terra remota sembrava schiudersi con verecondia agli occhi del viaggiatore, tra il bianco abbagliante delle rocce e l’ampio greto di un fiume, un tempo navigabile, che oggi mostra le sue nudità. Era molto caldo e il verde intenso delle foreste che si arrampicavano sulla montagna circondava un borgo che sembrava appeso e sospeso tra le pendici della vallata.

    La (nuova) vita di Adele

    Al mio arrivo Adele mi ha accolto con un gran sorriso, dandomi il benvenuto. Durante i primi contatti al telefono mi aveva accennato del suo impegno a 360 gradi. E, soprattutto, di questa necessità di raccontare queste terre con uno spirito diverso, nuovo, lontano dal senso di vergogna e di inferiorità che i suoi stessi abitanti avevano fatto proprio.
    «Avevo capito che la narrazione, un nuovo storytelling poteva contribuire a cambiare la percezione negativa, il senso di arrendevolezza e la prostrazione che molti di noi hanno interiorizzato. Sul mio canale Instagram avevo realizzato la rubrica SudProud: interviste per raccontare storie di riscatto e di vittoria dei calabresi e diventare esempio per tutti noi. Avevo ragione. Dopo i primi video i miei follower locali avevano iniziato a scrivermi. Tutti dicevano la stessa cosa: grazie per gli esempi che ci hai mostrato. Se ce l’hanno fatta loro, posso farcela anche io».

    Adele è una ritornata: «Ho vissuto qualche anno al nord dove ho lavorato in fabbrica e aziende. Il senso di malessere che provavo mi ha riportato a casa dove ho costruito la vita che desidero. Oggi sono un’artigiana orafa, ho la mia azienda, mi auto-gestisco e questo mi permette di potermi anche muovere sul territorio».
    Adele, come gli altri membri di We are South, non è solo una partiva IVA che ha deciso di investire nella sua terra.

    Tartarughe, consultori e bimbi a scuola

    È una donna che combatte per salvaguardarla e promuoverla: «Sono impegnata sul territorio perché credo che sia imprescindibile. Durante la pandemia abbiamo costituito il gruppo WWF Stilaro Vibo Valentia, sollecitati da chi ci diceva che, con ogni probabilità, le Caretta Caretta venivano a nidificare anche alla nostra marina. Mancava però un monitoraggio strutturato che confermasse la teoria, poi risultata vera. Quell’anno trovammo venti nidi. Oggi, dal gruppetto sparuto che eravamo, siamo in cinquanta: tuteliamo gli ecosistemi marini, quelli montani e quelli dunari. Parte delle mie battaglie è dedicata alle donne e alla condizione femminile nella Locride. Ho promosso la riapertura del consultorio di Bivongi e continuo a lottare per la piena applicazione della legge 405. E si sa che istruzione, sanità e infrastrutture forniscono le condizioni minime per vivere nelle aree periferiche».

    we-are-south-caretta-caretta
    Alla ricerca delle Caretta Caretta

    Nel documento appena approvato dalla Regione per la riprogrammazione della rete sanitaria territoriale il consultorio di Bivongi entrerebbe nel cosiddetto “modello spoke” assieme a tutti gli altri 6 consultori della Locride: 36 ore settimanali lavorative garantite coperte da ostetrica, assistente sociale e oss. Non sono previsti però psicologi né ginecologi: «Avanzeremo queste proposte di modifica, cui anche Occhiuto ieri ha aperto, e chiederemo la disposizione di strumentazione di prevenzione».
    Ma la sanità non è tutto. «L’ultimo autobus che parte da Bivongi esce alle 16.30 mentre l’ultimo che entra arriva alle 21. Il prossimo anno la scuola elementare non aprirà perché ci sono solo 4 bambini. Come cittadini, non comprendiamo i limiti a una collaborazione tra paesi attigui per salvare la presenza di un servizio così importante in tutti e tre».

    We are South: tutti insieme appassionatamente

    U rigugghiu di Adele è lo stesso sentimento di cui a turno mi parlano Guerino, Annalisa, Giulia e Aldo ed è quello che ha impresso un’accelerazione definitiva ai loro progetti di vita. Perché, mi dice, «ho imparato negli anni che, se ognuno fa la sua parte, l’entusiasmo può essere contagioso. Si chiama legge dell’attrazione e il territorio sta rispondendo bene».
    Uniti sotto un unico brand che raffigura i Bronzi di Riace, stanno ricostruendo sulle macerie dell’abbandono e della sfiducia, ognuno con le proprie competenze.

    Giulia-Montepaone-we-are-south
    Giulia Montepaone

    Guerino, badolatese, restato, cresciuto a pane e politica, rappresenta la memoria storica della vallata e ha una lunga militanza nei movimenti dal basso.
    Valentina, ritornata nel 2020 per affiancare il padre nella gestione dei vitigni eroici di famiglia, un passato come top manager del Marriot di Venezia, ha deciso di mettere a frutto l’esperienza maturata trasmettendo un metodo organizzativo per rafforzare percorsi di turismo etico.
    Aldo, restato, è un disegnatore e un grafico, ha creato il logo della rete e gestisce una nota pagina social con cui divulga proverbi calabresi. Giulia, botanica, è impegnata nella difesa dei sistemi dunari e botanici.
    Annalisa, albergatrice e ristoratrice, ha resistito alle minacce del racket. «Il pilastro di legalità che non ha mai mollato e che continua a rimettersi in gioco», sottolinea Adele. «Andiamo da Guerino», mi esorta.

    Piccolo è bello, ma serve una strategia

    Dalla montagna, scendiamo al mare dove lui ci aspetta. «Oggi questo isolamento, questa marginalità, può diventare punto di forza. Ma, attenzione, pensare di ripopolare un paese interno per come era è una mera masturbazione intellettuale. Invece con diverse attività, strategie, progetti i borghi possono essere resi vivibili sia per chi ancora ci risiede, sia per chi potrebbe venirci. Servono però piani strategici nazionali e internazionali. Quelli tanto sbandierati durante il periodo pandemico. Tutto fumo e niente arrosto.

    Guerino-Nisticò-we-are-south
    Guerino Nisticò

    Guerino è un fiume in piena: «L’Italia è tutta una questione meridionale. Anzi è la questione meridionale di una nuova questione europea. Noi siamo il sud del sud dell’Europa. Sotto la presidenza Oliverio fu presentato il progetto Crossing per la ripopolazione dei borghi: 136 milioni di euro per un fallimento totale. Ora ci si riempie la bocca di PNRR. Sulla misura A (420 milioni da ripartire tra Regioni e Province Autonome, ndr) il comune di Gerace ha ottenuto un finanziamento di 20 milioni di euro. Per la misura B (580 milioni su base nazionale da dividere tra 229 borghi, ndr) sono stati stanziati 11 milioni di euro da suddividere per 133 progetti. Ma di che cosa stiamo parlando?!?».

    Aree interne e finanziamenti

    Secondo le linee guida del Governo, Gerace sarebbe stato scelto come borgo “pilota” a rischio abbandono. Una sorta di laboratorio in cui sperimentare per ricalibrare o riapplicare. La questione delle aree interne rappresenta in effetti un vero vaso di Pandora. Fabrizio Barca, da ministro, aveva intuito l’importanza del tema e aveva elaborato la Strategia Nazionale per le Aree Interne, poi resa strutturale dal collega Provenzano. La nuova programmazione 2021-2027 inserisce nella strategia 56 nuove aree che si vanno ad aggiungere alle 67 del settennato precedente: 1904 Comuni e una popolazione di più di 4 milioni e mezzo di persone. A questo si aggiunguno i 15 milioni per il 2023 previsti dalla cosiddetta “legge salva borghi.

    Per le aree interne, la Calabria vanta un ampliamento: a quelle già presenti, tra cui la Jonio–Serre riconfermata nella nuova programmazione, se ne sono aggiunte altre. Tra queste quella del Versante Tirrenico Aspromonte. La Regione, tramite il Dipartimento Programmazione, stabilisce criteri e linee guida degli interventi assegnando la competenza sui bandi ai diversi settori di pertinenza: turismo, mobilità, ecc. Un tema che va inserito in una più generale analisi della capacità di spesa dei fondi europei, per cui la Calabria non ha mai brillato.

    L’Ue non basta

    Il documento presentato dall’ISTAT Vent’anni di mancata convergenza sulle politiche di coesione per il Sud fotografa un peggioramento generalizzato del sistema-Italia con picchi negativi al Sud e in Calabria. Un dato che, affiancato alle recenti tendenze demografiche, «fa presupporre che invecchiamento e spopolamento possano in futuro contribuire ad ampliare i divari in termini di reddito con il resto d’Europa». Secondo la Commissaria UE alle Politiche Regionali Ferreira «da sola la politica di coesione non può guidare lo sviluppo di un’intera regione o di un paese». Traduzione: servono investimenti pubblici nazionali.
    Bisogna migliorare «la capacità dei beneficiari e degli enti intermedi di pianificare gli investimenti, costruire linee progettuali e svolgere procedure di gara» In proposito, «nel quadro finanziario 2021-2027 vengono stanziati 1,2 miliardi di euro per lo sviluppo delle capacità amministrative e l’assistenza tecnica che si concentra interamente sui beneficiari e sugli organismi di attuazione nel Sud».

    La cittadella regionale di Germaneto

    Dopo un’analisi di contesto la Regione Calabria ha deciso di investire per lo più sui progetti per l’invecchiamento attivo. Alcune fonti mi hanno confermato che i progetti di aging e telemedicina, su cui investe SNAI Calabria, sono risultati vincenti. La logica rispecchia la conformazione della popolazione delle aree interne, per lo più anziana, su cui si è deciso di investire (1.200 milioni su fondi PNRR) attivando progetti di assistenza capaci di incentivare un’economia basata sull’alleanza tra giovani e anziani.

    Il sistema Badolato

    Si tratta di uno dei modelli possibili. Guerino mi dice che a Badolato da anni esiste un sistema rodato: case a 1 euro e accoglienza degli stranieri. Il borgo è rinato grazie al turismo residenziale a alla comparsa di nuovi nuclei familiari. È stata scongiurata la chiusura della scuola. «We are South lavora in questa direzione. Questo gruppo che abbiamo creato, si innesta su percorsi attivi da tempo. Il nostro innato senso di accoglienza e ospitalità facilita e aiuta certi percorsi di incoming. Siamo esperti in turismo relazionale e puntiamo all’internazionalizzazione di questi territori. Il confronto con l’altro può aiutare questi luoghi a evolvere il proprio modo di pensare e di pensarsi. Ci sono storie simili alla nostra in tutta la Calabria: un processo che si è velocizzato negli ultimi 5 anni».

    panoramica_badolato-borgo
    Badolato, uno dei paesi nella rete We are South

    Salutato Guerino ci spostiamo da Annalisa, la prima a immaginare un filo che unisse tutti i paesi di questo progetto assieme ad Adele: «Siamo partite con i mercatini di Natale e poi tutto è venuto da sé». Annalisa è albergatrice e ristoratrice e membro del consorzio GOEL. 67 ettari all’interno del parco archeologico dell’antica Kaulon affacciati sul promontorio di Punta Stilo a un passo da dove, nel 2012, Francesco Scuteri, “l’archeologo scalzo”, Direttore del Museo di Arte contemporanea di Bivongi, ha ritrovato il mosaico del drago, delfino e ippocampo, uno dei più grandi e importanti dell’età greca.

    «Collaboravamo già per la vendita degli agrumi, ma ho aderito al consorzio nel 2013 dopo il secondo attentato incendiario del 2012 che ha distrutto il tetto e il primo piano del nostro agriturismo». Sospesi a picco sul mare in questo luogo ucciso e rinato sette volte, mi pare di avere davanti lo spirito di un’araba fenice magnogreca. Annalisa non si è mai arresa.

    Bio, attentati e solidarietà

    «Produciamo tutto quello che vendiamo, anche il pane e la pasta realizzati con farine calabresi. Faccio il bio dal 2013. Dei sette attentati subiti, due sono stati devastanti: nel 2015 è stato dato a fuoco il capannone con tutta l’attrezzatura, trattore compreso. GOEL ci ha aiutato facendo letteralmente da scudo. Stare all’interno di una cooperativa ti scherma. Non sei più solo. Sono stati loro a spingerci a raccontare la nostra storia. Abbiamo poi creato fondo, anche con piccole donazioni, che consentisse alle vittime del racket di ripartire, perché la difficoltà maggiore delle vittime è ricominciare. Finché non terminano le indagini l’assicurazione non risarcisce. Siamo arrivati a 70.000 euro».

    Annalisa-fiorenza-we-are-south
    Annalisa Fiorenza

    Il rogo risaliva al 31 ottobre di quell’anno e abbiamo deciso che a dicembre avremmo inaugurato il nuovo trattore acquistato con la Festa della Ripartenza. Ci sono stati anche due ministri. Questa reazione cosi forte ha evidentemente spiazzato. Non c’è stato più alcun attentato. Quello che mi ha lasciato l’amaro in bocca è che a sostenerci sono venuti da fuori, perché sul territorio si ha paura. Abbiamo comunicato che è possibile trasformare il dolore in una storia vincente. Ed è l’esempio che cerchiamo di veicolare anche con We are South».

    We are South: l’unione fa la forza

    Ospitalità, tutela, valorizzazione e promozione dei territori, riconversione della rabbia in opportunità rappresentano ormai i topoi che, tappa dopo tappa, ricorrono. Ma, in questo caso, We are South sviluppa quanto fatto sia a Natile, sia a Samo. I ragazzi hanno capito che l’unione fa la forza, che occorre mettere in rete i borghi e che, per ottenere risultati, è imprescindibile coinvolgere le comunità. Solo attraverso questo passaggio le reti si rafforzano, le economie nascono e si trasformano in ecosistemi di crescita. Ed è solo così che una qualsiasi forma di brand diventa autentica e incarna quello che Guerino chiama lo spirito del luogo.

    bivongi-2
    Un altro scorcio di Bivongi

    «Qualche tempo fa, a Bivongi, fu avviato il progetto albergo della longevità: furono realizzati 40 posti letto, un ristorante e un’enoteca con standard da 4 stelle. La comunità non era pronta, le infrastrutture e l’apparato politico nemmeno. Ad oggi rimane davvero poco di quel sogno. Noi possiamo fare il nostro, come stiamo dimostrando. Ma c’è bisogno di coraggio politico».
    È lo stesso messaggio che mi ha indirizzato Monsignor Bregantini: le persone, le reti, le imprese, le comunità, il terzo settore possono fare molto. Ma serve una regia politica chiara, coraggiosa, visionaria. Quella che ad oggi in Calabria e in Italia continua a latitare.

  • Ponte tra Calabria e Sicilia? Prima ricolleghiamo Jonio e Tirreno

    Ponte tra Calabria e Sicilia? Prima ricolleghiamo Jonio e Tirreno

    Neanche un grande scrittore, o un regista, sarebbe stato capace di mettere l’una accanto all’altra le diverse scene alle quali abbiamo assistito in questi giorni legate, direttamente o indirettamente, alla vicenda Ponte sullo Stretto.
    Gli incontri in pompa magna tra varie amministrazioni, tra le quali quelle di Reggio Calabria e Villa San Giovanni, e l’a.d. della società Pietro Ciucci, durante i quali nessuno ha alzato un sopracciglio per mettere in dubbio un qualsiasi aspetto critico della questione Ponte.
    La dichiarazione dell’ineffabile ministro Salvini, che con nonchalance comunica che se non si farà l’alta velocità in Calabria, perché lui «non vuole una linea a zig zag» (sic), poco male, il ponte si realizzerà lo stesso.

    Prefettura_sindaci_alto_Jonio-1
    I sindaci in protesta nell’androne della Prefettura di Cosenza

    L’occupazione della Prefettura da parte di numerosi sindaci dello Jonio cosentino che chiedono di incontrare Meloni «per avere notizie sullo stato di realizzazione delle opere di compensazione ambientale del Terzo Megalotto e di superare la fase di stallo che si è creata in merito ad esse ed agli svincoli dopo il silenzio di questi anni e tutte le relative richieste disattese». E poi il colpo di scena. Quello che rompe la narrazione corrente e racconta come davvero stanno le cose al di là dei proclami.

    Coast to coast

    La Regione Calabria comunica che da gennaio 2024 la strada statale 682 Jonio-Tirreno, voluta allora fortemente dal presidente della Provincia di Reggio Vincenzo Gallizzi, sarà chiusa per 20 mesi (dubitare sui tempi è lecito, non farlo è da stupidi creduloni). Il motivo? La galleria sotto il Monte Limina richiede improcrastinabili lavori di manutenzione.

    ss682-jonio-tirreno-Foto-sito-anas
    La SS 682 Jonio-Tirreno

    Per chi non lo sapesse, la 682 collega le due coste calabresi, la piana di Gioia Tauro con la Locride. L’opera presenta criticità evidenti per la carreggiata angusta e i conseguenti limiti di velocità. Realizzarla, però, ha consentito a due territori, separati in linea d’aria da pochi chilometri ma da una catena montuosa imponente, di venire a contatto quotidianamente. Non è solo una questione di spostamenti di merci e persone. O della possibilità degli abitanti della Locride di raggiungere i capoluoghi e gli aeroporti di Lamezia e Reggio molto più agevolmente. Dal punto di vista economico una via di comunicazione del genere, in una terra condizionata fortemente dalla sua conformazione geomorfologica, costituisce un oggettivo elemento di sviluppo, favorendo scambi e concorrenza.

    Priorità in Calabria: il Ponte o le strade?

    Sia chiaro che nessuno si sogna di chiedere il rinvio sine die di un intervento necessario su un tunnel lungo oltre tre chilometri. Il problema è un altro. Le risorse e le energie di programmazione anche mentali (?) dello Stato italiano sono in questo momento concentrate su un intervento che presenta molti aspetti critici: l’effettiva utilità; la tenuta gestionale dal punto di vista finanziario; le difficoltà progettuali, etc.

    ponte-sullo-stretto-si-riparte-con-le-proteste
    Matteo Salvini mostra il plastico del progetto del ponte sullo Stretto di Messina

    Ma, alla luce dei fatti appena elencati, è il Ponte sullo Stretto la priorità per la Calabria? O è affrontare tutte le manchevolezze alle quali si è fatto rapido cenno?
    Venendo meno il collegamento della Jonio – Tirreno, non ci sono altre trasversali in grado di ovviare decentemente ai gravi problemi che questa chiusura comporta. Torneremo a decenni fa, con la superstrada jonica 106 da un lato, e l’autostrada dall’altro. A meno che non si voglia pensare che la 280, da Lamezia alla 106 jonica, possa fungere da arteria sostitutiva. O addirittura, più a sud, la 111 Gioia Tauro – Locri o la Bovalino – Bagnara. Nessuno sano di mente può arrivare a tanto.

    Un referendum sul Ponte in Calabria

    E allora torniamo al problema dei problemi, quello del quale non ci stancheremo mai di parlare. Facciamo scientemente i “benaltristi”, giacché giocare questo ruolo, nella situazione data, è da persone responsabili, non un voler dire sempre e solo no “a prescindere”. Ideologicamente, direbbe qualcuno solo perché questa è la vulgata corrente. È, casomai, opporre ragionevolezza a sventatezza, approssimazione, sciatteria decisionale.
    Non credo che la Calabria abbia bisogno del Ponte. Ma voglio che la Calabria e i calabresi siano messi nelle condizioni di potersi muovere, dentro e fuori dai confini regionali, rapidamente, efficacemente, con mezzi e vie moderne.
    L’isolamento ha pesato e pesa ancora molto. È una delle cause principali, se non la principale, dell’arretratezza e del sottosviluppo. Ma dobbiamo decidere noi del nostro destino: bisogna indire un referendum per dare una volta per tutte la parola al popolo calabrese.