Tag: reggio calabria

  • Ponte o traghetti? Sullo Stretto resta puzza di ‘ndrine

    Ponte o traghetti? Sullo Stretto resta puzza di ‘ndrine

    Una delle obiezioni più pratiche che oppongono i “no ponte sullo Stretto” è quella della sua inutilità per il collegamento delle due sponde dello Stretto. Basterebbe, a detta di costoro, implementare una rete efficace di traghetti e trasporto marittimo. Sulla carta, certamente un’idea condivisibile. Ma la pratica è ben altra cosa. La società Caronte & Tourist che si occupa del servizio di traghettamento dello Stretto da Villa San Giovanni a Messina, opera di fatto in regime di monopolio da decenni. Questo, ovviamente, comporta costi molto alti per l’attraversamento. Per intenderci, un biglietto di andata e ritorno per un’utilitaria arriva a costare 40 euro per il percorso nelle 24 ore. E il prezzo sale ancor di più se lo stacco tra un viaggio e l’altro si allunga.

    Ma c’è dell’altro rispetto al tema del ponte sullo Stretto e dei traghetti. La società, valutata mezzo miliardo di euro, è recentemente finita in amministrazione giudiziaria in seguito a un’indagine condotta dalla Dda di Reggio Calabria. I pm antimafia reggini sostengono che la ‘ndrangheta abbia infiltrato la Caronte&Tourist. In particolare, le potenti famiglie Buda e Imerti, già protagoniste della seconda guerra di ‘ndrangheta, avrebbero da tempo controllato quasi tutto. Parliamo infatti dell’azienda più grande che opera sul territorio reggino, con circa 1200 dipendenti. La Caronte & Tourist ha un capitale sociale di euro 2.374.310,00 e vanta numerose partecipazioni in altre società, insieme alle quali svolge, in massima parte, servizi di navigazione. Non solo sullo stretto di Messina, ma anche in ulteriori tratte tra la Sicilia e altre destinazioni. Il provvedimento emesso dai magistrati è mirato proprio a “bonificare” i vari settori su cui le cosche avrebbero esteso i propri tentacoli: dalla ristorazione alla ditta per le pulizie e la disinfestazione.

  • Cognato del boss investito a Reggio, due arresti per tentato omicidio

    Cognato del boss investito a Reggio, due arresti per tentato omicidio

    Avrebbero provato a uccidere investendolo Giorgio (detto Franco) Benestare, cognato del boss Orazio De Stefano, e ora l’accusa per loro è di tentato omicidio, ricettazione e danneggiamento a mezzo incendio. Tutti reati con l’aggravante mafiosa. La Squadra mobile di Reggio Calabria ha arrestato Emilio Molinetti e Marco Geria, entrambi 31enni, e, rispettivamente, figlio e uomo di fiducia del boss Gino Molinetti, arrestato nell’operazione “Malefix”. A disporre l’arresto, un’ordinanza emessa dal gip su richiesta del procuratore Giovanni Bombardieri e dei pm della Dda Stefano Musolino e Walter Ignazitto. Secondo la Dda l’incidente sarebbe, infatti, l’atto finale di un piano premeditato.

    Il tentato omicidio

    Benestare, ritenuto un esponente di spicco del clan De Stefano-Tegano, era stato investito il 26 maggio nel quartiere di Archi. Stava percorrendo a piedi via Croce Cimitero quando un furgone Fiat Doblò bianco lo ha travolto procurandogli lesioni gravissime. L’ipotesi che si trattasse di un banale incidente stradale ha presto lasciato il posto a quella di un tentato omicidio programmato da tempo. E le immagini registrate dagli impianti di videosorveglianza hanno indirizzato gli investigatori su questa pista.

    Il bis mancato

    Molinetti e Geria, secondo l’accusa, avrebbero saputo della presenza di Benestare nelle vie di Archi. Così, dopo aver recuperato il furgone, rubato nei mesi scorsi, si sarebbero appostati per colpire al momento giusto. Benestare stava percorrendo una strada isolata, senza marciapiede, al momento dell’impatto col veicolo. I due, poi, avrebbero fatto inversione di marcia, per cercare di colpirlo una seconda volta. Un bis fallito soltanto perché il primo colpo aveva sbalzato la vittima in un piccolo ballatoio di fronte a un’abitazione.

    Le indagini hanno consentito di accertare anche il percorso di fuga dei 31enni accusati del tentato omicidio. Molinetti e Geria si sono allontanati verso Gallico, dove hanno abbandonato il mezzo nel greto del torrente Scaccioti. È lì che il furgone è stato ritrovato, incendiato, il giorno seguente. A breve distanza c’erano le targhe del veicolo, le stesse comparse nel video. A dare alle fiamme il Doblò è stato un soggetto arrivato sul posto a bordo di uno scooter con la targa coperta.

  • Ponte sullo Stretto, torna la gallina dalle uova d’oro

    Ponte sullo Stretto, torna la gallina dalle uova d’oro

    Per qualcuno è un’opera strategica, per altri, invece, il ponte sullo Stretto è una infrastruttura irrealizzabile. Gli ambientalisti dicono che devasterebbe irreversibilmente il territorio e la fauna marina. Altri ancora, poi, che sarebbe solo un favore alle mafie, dato che ingrasserebbe tanto Cosa Nostra quanto la ‘ndrangheta. È un tema ciclico. Sia sotto il profilo politico, che sotto quello economico. E, come vedremo, anche sotto quello criminale. Il tema della costruzione del ponte sullo Stretto torna costantemente. A intervalli irregolari, ma torna.

    La linea di Roberto Occhiuto

    La possibilità di collegare la sponda reggina con quella messinese, divise da soli tre chilometri di mare, è qualcosa di cui si parla da tempo immemore. Almeno da quarant’anni sotto il profilo politico. Ma qualcuno si è sforzato di trovare traccia anche nella storiografia antica. La prima proposta di realizzazione di un ponte è datata 1866, allorquando il ministro dei Lavori Pubblici Jacini incarica l’ingegnere Alfredo Cottrau, tecnico di fama internazionale, di studiare un progetto di ponte tra le due sponde.
    In questi mesi di pandemia si è spinto molto anche affinché il progetto entrasse nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Il costo del progetto è di circa 4 miliardi (3,9 per la precisione) per coprire una distanza di 3,3 km su una delle zone più a rischio sismico d’Italia.

    L’ultimo a (re)iscriversi al gruppo di sostenitori del ponte sullo Stretto è Roberto Occhiuto. Oggi vicepresidente dei deputati di Forza Italia ma, cosa ancor più rilevante, candidato alla presidenza della Regione Calabria per il centrodestra. «Un collegamento stabile e veloce tra Calabria e Sicilia rappresenta per noi una priorità nazionale. Il ponte non servirebbe solo a 7 milioni di cittadini calabresi e siciliani, ma a tutto il Mezzogiorno e al Paese intero. Sarebbe un viatico di sviluppo, lavoro, crescita e turismo», ha detto all’inizio di luglio, commentando la decisione del Governo presieduto da Mario Draghi, che ha riformulato la propria linea. Impegnandosi, di fatto, al reperimento di risorse per la realizzazione dell’opera.
    Arrivando da Occhiuto, la battaglia pro ponte diventa quindi più di un documento programmatico per il candidato favorito per la vittoria delle prossime Regionali.

    Quanto è già costato il ponte sullo Stretto

    Un’idea. Una chimera, forse. L’atto più concreto riguardante il ponte sullo Stretto è l’esproprio effettuato, ormai qualche decennio fa, ad alcuni malcapitati proprietari dei terreni dove dovrebbe passare l’opera. Che ha già bruciato parecchi quattrini. Per la realizzazione era stata costituita anche una società: la Stretto di Messina SpA. Siamo nel 1981. Nei primi anni ’80, infatti, si inizia a parlare, concretamente, della realizzazione del collegamento tra le due sponde. E allora ci si muove: nella Stretto di Messina, infatti, gli azionisti sono lo Stato e Anas. E, nonostante del ponte non ci sia nemmeno una pietra, l’opera è già costata parecchio: 300 milioni di euro se si considera quanto sborsato per i dipendenti e per varie vicende burocratiche legate agli appalti.

    Ma la cosa più grottesca (e tipicamente italiana) è che la società Stretto di Messina continua a gravare sul bilancio dello Stato, sebbene sia in liquidazione dal 2013. Per la precisione, costa 1500 euro al giorno. Il calcolo è presto fatto: oltre mezzo milione di euro l’anno. E poi, ovviamente, lo stipendio dal commissario liquidatore, le parcelle per i revisori dei conti e una serie di costi incredibili e inspiegabili per una società che non ha mai operato e che ora è ferma da quasi un decennio. Ma non finisce qui.

    Durante uno dei governi presieduti da Silvio Berlusconi, che con Forza Italia è sempre stato uno dei fautori del ponte, la gara d’appalto per la realizzazione dell’opera venne vinta da Impregilo. E ora Impregilo chiede circa 700 milioni di euro in un contenzioso che farebbe aumentare ancor più il bilancio da capogiro dell’opera mai costruita. Da qui, l’ormai nota cantilena dei pro ponte: «Costa meno realizzarlo che non realizzarlo».

    L’impatto ambientale del ponte

    Una delle battaglie più veementi poste contro la costruzione del ponte sullo Stretto è ovviamente quella degli ambientalisti. Da anni Legambiente (ma non solo) si sgola per dimostrare, tramite studi e relazioni, come la costruzione di un’opera così invasiva potrebbe sconvolgere l’ecosistema dello Stretto di Messina. Anche recentemente, le associazioni ambientaliste hanno sottolineato l’insostenibilità del progetto del 2010, che oggi si vorrebbe rilanciare.
    Si tratta di uno studio effettuato dal General contractor Eurolink (capeggiato da Impregilo), da parte del Webuild (società composta da Impregilo-Salini e da Astaldi) di un ponte sospeso ad unica campata della lunghezza di 3.300 metri, sostenuto da torri alte 400 metri. Quella proposta fu abbandonata dopo che Eurolink non produsse, nel marzo 2013, gli approfondimenti economico-finanziari e tecnici richiesti, recedendo dal contratto con la concessionaria Stretto di Messina SpA. Che poi fu messa in liquidazione.

    Da sempre, gli ambientalisti sottolineano come il ponte sullo Stretto sorgerebbe in una delle aree a maggiore rischio sismico del Mediterraneo. Su tutti, basti ricordare il terribile sisma che colpì Messina e Reggio Calabria nel 1908. Gli scavi necessari per l’opera a unica campata potrebbero poi incidere pericolosamente sul delicato equilibrio territoriale dei versanti calabrese e siciliano. Infine, lo Stretto di Messina è caratterizzato da un’alta biodiversità. I più recenti studi localizzano ben dodici siti delle Rete Natura 2000, tutelati dall’Europa ai sensi delle Direttive Habitat e Uccelli.

    Gli appetiti delle cosche 

    Da sempre, infine, l’idea del ponte sullo Stretto sembra ingolosire molto le cosche. Non solo quelle di ‘ndrangheta. Ma anche, ovviamente, gli omologhi siciliani di Cosa Nostra per il versante messinese. A dirlo sono le sentenze irrevocabili. Dal 1985 al 1991, infatti, la provincia di Reggio Calabria verrà interessata da una sanguinosissima guerra di ‘ndrangheta. A fronteggiarsi, due schieramenti agguerritissimi: l’uno, facente capo al cartello De Stefano-Tegano-Libri, l’altro agli Imerti-Condello. Una mattanza durata sei anni che terminerà nel 1991, dopo circa 700 morti ammazzati sull’asfalto, con l’uccisione del giudice Antonino Scopelliti, che avrebbe dovuto rappresentare l’accusa in Cassazione nel maxiprocesso a Cosa Nostra istruito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
    Una guerra che sarebbe nata (anche) per gli appetiti mafiosi delle famiglie ‘ndranghetiste sul ponte. In quel periodo, infatti, si parla con maggiore insistenza dell’opera.

    Nel 1982 il Gruppo Lambertini presenta alla neonata società concessionaria, la Stretto di Messina S.p.A., il proprio progetto di ponte. Nello stesso anno il ministro per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, Claudio Signorile, annuncia la realizzazione di «qualcosa» «in tempi brevi». Due anni più tardi si ripresenta agli italiani con una data precisa: «Il ponte si farà entro il ‘94». Nel 1985 il presidente del consiglio Bettino Craxi dichiara che il ponte sarà presto fatto. La Stretto di Messina S.p.A. il 27 dicembre 1985 definisce una convenzione con ANAS e FS. Proprio nel 1985, quando si avviano le ostilità tra le ‘ndrine. E forse non è un caso che la guerra inizi proprio da Villa San Giovanni, località ancor più centrale di Reggio Calabria per la costruzione del ponte.

    «Tra le ragioni alla base della “guerra di mafia” che ha interessato l’area di Reggio Calabria tra il 1985 e il 1991, sembra esserci anche il controllo dei futuri appalti relativi alla costruzione del ponte sullo Stretto», riportano le sentenze ormai definitive. Il ponte sarebbe stato, dunque, il casus belli. Ma anche uno dei motivi della pace, sancita con la garanzia di Cosa Nostra. Come spiega il collaboratore di giustizia Filippo Barreca: «Anche i siciliani presero posizione nel senso che andava imposta la pace fra le cosche del reggino, essendo in gioco grossi interessi economici la cui realizzazione veniva compromessa da quella guerra. Mi riferisco al ponte sullo Stretto nonché alle opere pubbliche che dovevano essere appaltate su Reggio Calabria».