Classe ’71, abilitata dal ’96, è vicepresidente dell’Ordine degli Architetti di Messina e ha maturato una vasta esperienza anche all’estero. Intervistata da I Calabresi ci ha raccontato dell’esperienza vissuta in questi anni tra ricorsi ed esposti e della solitudine che spesso si prova combattendo battaglie di legalità. Oggi, però, sta vivendo un momento di rivincita e riscatto, con molte persone che la contattano e le esprimono solidarietà e stima.
Lei denunciando ha scoperchiato il vaso di Pandora all’Università di Reggio Calabria, oggi crede ancora nel sistema universitario italiano?
«Ci credo nel senso che ci devo credere. Cosa ci resta se perdiamo la speranza in una istituzione così importante come l’Università. È quella che forma il futuro, quella che forma i giovani di domani. Come possiamo rassegnarci a che non funzioni? È proprio questo che mi conduce a portare avanti questa battaglia. Non è una lotta per un posto che posso pensare sia mio, né una questione di principio e basta, è una lotta per la legalità. È una lotta per sperare che prima o poi qualcosa che nel contesto universitario – nella parte che non funziona, perché non posso pensare che sia tutto così – cambi».
Il suo, diciamolo, è stato un atto di coraggio, quanto è stato difficile metterci la faccia? Molti suoi colleghi non hanno firmato l’esposto, lo ha fatto solo lei…
«È stato difficilissimo. È difficile anche parlarne, infatti non l’ho fatto per tanti anni. Questa è una battaglia che conduco in solitudine sostanzialmente da 14 anni. Per diversi anni sono andata avanti solo con ricorsi amministrativi, tutti accolti al Tar e al Consiglio di Stato, una quarantina. Solo di recente anche a seguito di vicende analoghe conosciute tramite l’associazione Trasparenza e merito, e anche su consiglio dei legali che hanno ipotizzato potessero sussistere diversi illeciti penali, ho presentato l’esposto in Procura. Ho avuto la sensazione che la via amministrativa non fosse sufficiente, che arrivava fino a un certo punto. L’Università disattendeva tutto ciò che disponeva la giurisprudenza amministrativa».
Tra l’altro ha raccontato che negli accessi agli atti che faceva in Università si trovavano degli errori macroscopici nelle valutazioni nei concorsi…
«Se tornassimo indietro e avvolgessimo il nastro, io non avrei mai pensato di fare un ricorso. Ma quando ho fatto l’accesso agli atti per curiosità e ho visto delle cose inverosimili o stavo zitta, o mi giravo dall’altra parte e me ne andavo o affrontavo la cosa. Altri colleghi non hanno fatto ricorso perché magari la volta dopo in altre sedi avrebbero potuto rifare il concorso secondo loro. Altri, invece, non se la sono sentita. Una collega in particolare, pur non facendo ricorso, mi è stata vicina. Almeno mi attestava solidarietà, ma, in generale, ho condotto questa vicenda in totale solitudine. Ora, invece, sto ricevendo tantissimi messaggi dai miei ex studenti. Io per 10 anni ho insegnato alla Mediterranea, ero docente a contratto, ho lavorato, ero correlatore di tesi di laurea. Avevo un rapporto meraviglioso con gli studenti e ritrovare questi attestati di stima oggi è emozionante. È avvilente, invece, quello che altri continuano a fare in una istituzione, non è un bell’esempio».
Dalle sue parole mi sembra di capire che lei volesse bene all’Università Mediterranea…
«Io volevo tanto bene a quell’Università. Per me è stata una delusione. Era il posto dove mi ero formata. Io a 17 anni mi sono iscritta a questa Università piena di speranze, poi ho fatto molte cose fuori. Ma mi piaceva lavorare in quell’istituzione, era un arricchimento e una forma di crescita, mi piaceva la ricerca».
Conosceva, quindi, coloro che ha denunciato…
«Non avrei mai pensato di fare l’esposto penale. C’erano cose un po’ pesanti fin dall’inizio, molto pesanti, ma sono cose prescritte. Non me la sono sentita perché queste persone le avevo conosciute, avevamo fatto workshop insieme, era capitato di organizzare cose insieme. Di alcuni conoscevo il marito, la moglie. Una come si sente nel fare un esposto penale sapendo cosa possono rischiare? La prima volta ho pensato ad un errore. Qualcuno in Università mi ha detto che erano stati pasticcioni nella commissione d’esame, ho detto proviamo a vedere se fanno un concorso con meno pasticci. Ma così non è stato. Quando ho fatto l’esposto penale, era una cosa per me troppo intima per parlarne, lo sapevo io, l’avvocato, mio marito e il procuratore».
L’ex Rettore Catanoso si rivolge a lei definendola “quella grandissima puttana”, cosa ha pensato nel leggere queste parole?
Pasquale Catanoso
«È una cosa bruttissima per me, ma anche per le donne. È un insulto sessista, ma non fa una bella figura chi lo dice. La cosa più raccapricciante non è quello che uno legge. Rispetto a quello che ho visto io in 14 anni, queste sono solo coltellate che si aggiungono su ferite aperte».
C’è speranza per l’Università Mediterranea di scrostarsi da questo sistema?
«Io me lo auguro. Sono una gocciolina, però la goccia scava la roccia come si sa. Però da sola no, bisogna diventare un fiume in piena. Dobbiamo essere in tanti. Spero che tanti altri che sono vittime denuncino. Invito a contattare l’associazione Trasparenza e Merito. Porterà a non sentirsi soli come mi sono sentita io. La speranza per il contesto universitario c’è, ma è necessario che le rivoluzioni partano da dentro. Qualche attestato di stima l’ho avuto da persone dell’Università Mediterranea, ma vorrei che fossero attestati pubblici e non privati. Ripeto, le distanze vanno prese da chi è dentro l’istituzione».
La facoltà di Architettura nell’Università Mediterranea di Reggio Calabria
C’è molta paura…
«Deve essere difficile per chi è dentro vedere queste cose e girarsi dall’altra parte. La paura è tanta, ma anche la paura mia era tanta quando ho fatto il ricorso. La paura c’è sempre quando si fa una battaglia, ma bisogna trovare il coraggio. Molti mi dicono “tu hai una forza che io non ho”, ma io la forza non ce l’ho, io la forza me la do. Affrontiamo le nostre paure, le cose possono cambiare. Altrimenti non ci chiediamo perché i nostri figli vanno all’estero… Con i soldi pubblici si fanno concorsi pubblici secondo le regole della Costituzione, altrimenti cambino la Costituzione se non si vogliono fare concorsi regolari!»
Dall’ordinanza del Gip Vincenzo Quaranta sull’inchiesta “Magnifica”che ha decapitato l’Università ‘Mediterranea’ di Reggio Calabria emerge quello che si potrebbe chiamare il manuale della clientela perfetta. Circostanze tutte da passare al vaglio della magistratura giudicante, ma le intercettazioni agli atti riaprono, a distanza da tre anni dall’inchiesta “Università bandita” che ha coinvolto l’ormai ex rettore dell’Università di Catania, interrogativi sulle presunte distorsioni del mondo universitario.
Non per soldi ma…
Pasquale Catanoso
L’ex rettore dell’ateneo reggino, Pasquale Catanoso, dalle carte parrebbe essere il garante di un sistema di potere ben radicato e con profonde relazioni politiche e istituzionali.
«Emerge un quadro istituzionale sconcertante. Nulla avviene nella legalità in sede di selezione, tutto è soffocato da logiche clientelari e di favoritismo», scrive il giudice per le indagini preliminari. Quali possano essere le finalità perseguite le spiega, invece, il pubblico ministero negli atti di inchiesta: «Ciò che li spinge ad una gestione così illegale della cosa pubblica non è “la mazzetta” ma un’utilità ben più articolata, fatta di prestigio, presenza e notorietà in ambito professionale e disponibilità di risorse materiali da investire nei propri progetti».
Trimarchi dirige il centro di ricerca in Economia e Management dei Servizi. In un’intervista al magazine economico Costozero dello scorso dicembre affermava che «bisogna avere una visione laica della cultura». Dalle carte dell’inchiesta, però, emergerebbe ben poco di laico. Ad esempio, l’interessamento di Trimarchi per una studentessa che avrebbe partecipato al concorso di dottorato in architettura della “Mediterranea”. Nell’ordinanza il Gip rileva «quanto sia radicata l’abitudine ad interferire con le dinamiche di selezione tra candidati di un concorso, quale il dottorato, aperto ad esterni e interni all’Ateneo che lo bandisce, nell’ottica di sistemazione dei propri pupilli».
Seconda per principio
È proprio in questo sistema che si sarebbe mosso Trimarchi, indagato insieme alla sua presunta pupilla Francesca Sabatini. La ragazza, estremamente competente e che sarebbe potuta arrivare prima nella graduatoria di merito, secondo quanto riferiscono tutti gli altri indagati nelle intercettazioni (che la mettono al secondo posto solo «per principio», secondo quanto si legge nell’ordinanza) – si ritrova invece in questo presunto, ma potenzialmente abietto, sistema di spintarelle.
A fine luglio del 2018 l’Università Mediterranea dà il via a una selezione per il dottorato di ricerca in “Architettura e territorio”. Inizialmente le borse di studio sono 6 (su 8 posti), poi divenute 8 su 10 posti: tre finanziate dall’ateneo reggino, altrettante dalla Magna Graecia e due da fondi POR Calabria 2014/2020. Tra le vincitrici del dottorato con borsa di studio di Catanzaro c’era proprio Sabatini, arrivata seconda con un punteggio 104/120.
Per garantirle un posto al dottorato, il docente Umg si sarebbe letteralmente “fatto in quattro” unitamente all’allora rettore della Mediterranea, Pasquale Catanoso. Secondo la Procura, i candidati “favoriti” hanno conseguito «indebiti e ingiusti vantaggi patrimoniali, legati alla remunerazione e alla progressione di carriera discendenti dall’ammissione al corso di dottorato in architettura e territorio – XXXIV Ciclo dell’Ateneo».
Le intercettazioni
Proprio due giorni fa, Trimarchi ha scritto sul suo profilo Facebook: «Miei cari, per circostanze complesse non ho più il cellulare. Per salvare insieme la galassia accontentiamoci dei messaggi su fb, ig, linkedin, etc.».
Quello stesso cellulare durante le indagini è stato oggetto di intercettazioni, dalle quali emergerebbe il forte interesse del docente affinché non una, ma due “sue” candidate la spuntassero all’esito del concorso di dottorato, con relativa borsa di studio triennale. Un desiderio, però, che dovrà ridimensionare perché l’allora rettore Catanoso spiega di poter “garantirgli” soltanto un posto sul totale di quelli banditi.
Inoltre, in altra conversazione, il professore dell’Umg specifica di aver già segnalato due anni prima una ragazza (non indagata), chiamandola “la mia dottoranda”, pur essendo all’Università di Reggio Calabria, dove Trimarchi non è docente.
Trimarchi e Catanoso, ignari di avere i telefoni sotto controllo, ne parlano l’1 agosto 2018. Il primo si duole perché negli anni precedenti solo uno dei candidati che ha segnalato, si legge nell’ordinanza, «è stato effettivamente favorito»:
«Trimarchi: senti, volevo anticiparti una cosa banale ma, importante che posso dirla solo a te… Quest’anno avrei due candidate per il dottorato Catanoso: eh Trimarchi: in forza delle tre borse che fa… Reggio ogni tanto Catanoso: se puoi… fartene una… no veramente, vabbè poi ti spiego perché… se puoi mettine una Trimarchi: se posso preferisco due Catanoso: comunque il concorso è… rigoroso si… il concorso è rigoroso Trimarchi: sono sono bravissime queste qua… mi… mi vergognerei di presentarle insomma… so proprio brave, però mi sembrava carino parlarne con te Catanoso: il concorso è rigorosissimo… si il concorso è rigorosissimo… perciò ti voglio… capito? Trimarchi: va bene, perché io… l’anno scorso, una su tre… due anni fa una su tre… ricordiamocelo Catanoso: si ma non c’entra… poi ti dico Trimarchi: lo so che non c’entra lo dico anch’io non c’entra niente, però… voglimi bene, va bene? Ciao Ciccio grazie…»
Una sì, due no
Massimiliano Ferrara
Michele Trimarchi – un mese dopo, il 4 settembre 2018 – in un’ulteriore conversazione telefonica intercettata, parla con un altro indagato, Massimiliano Ferrara, direttore del dipartimento di Giurisprudenza. Si lamenta perché da due anni non fa parte della commissione esaminatrice per la selezione dei candidati per il dottorato in architettura. Manifesta all’interlocutore la speranza che stavolta lo inseriscano, anche perché «ha due candidate» da far entrare. Il problema che paventa Trimarchi è che il rettore gli ha fatto, invece, intendere che due candidati sarebbero stati troppi. Ma quest’ultimo, afferma, «non deve rompere i cogl…». Così annuncia di voler parlare della questione con il coordinatore del dottorato, Gianfranco Neri (altro indagato nell’inchiesta).
«Trimarchi: no, la situazione è questa qua, allora, io sono al collegio nel dottorato, ovviamente ci rimango, quest’anno… ora non ho capito perché loro per due anni non mi hanno messo nella commissione… quest’anno gli avevo detto, eventualmente gli avevo detto eventualmente di met… dovrei avere due candidate visto che ogni anno diamo tre borse da Catanzaro Ferrara: eh ma ci sono le tue candidate? Trimarchi: eh Ferrara: si sono candidate? Hanno presentato la domanda? Trimarchi: si si serie… si si certo Ferrara: e… entrato sempre quello del DarTe no? Trimarchi: del DarTe si, tanto conoscendomi bene sai che non faccio candidare gente scarsa cioè… Ferrara: ma che stai scherzando? Trimarchi: però appunto io vedo di capire che cosa succede in questa tornata di dottorati… Pasquale mi ha subito detto… ah però… due sono troppi qua e la… e Pasquale deve rompere i coglioni Ferrara: che cazzo vuole dire… e si perché quelli che candidano quegli altri sono belli…? Trimarchi: e non me lo dire a me… io adesso ne parlo direttamente con Neri che rimane il coordinatore del dottorato e confido che non mi rompano i coglioni dopodiché ne parliamo con calma, però insomma dovrebbe essere una cosa tranquilla, quindi adesso guarda, facciamo così, io appena capisco com’è la situazione perché non so manco quando saranno le prove di ammissione al dottorato…»
Rapporti da salvaguardare
Alla fine, Trimarchi deve ridimensionare la sua “pretesa”, come gli ha anticipato Catanoso ad agosto. Quest’ultimo, però, in sede di concorso, pare adoperarsi comunque a favore della Sabatini. Così scrive il Gip: «Il Catanoso ha manifestato un fortissimo interesse a che la candidata Sabatini superasse il concorso, anzi l’ha preteso, si è fatto in quattro per assicurare la vincita del concorso, ritenendo che da tale fatto dipendessero le sorti dell’Università reggina. Le conversazioni hanno fatto emergere l’interesse del Catanoso a favorire la Sabatini, uno dei candidati catanzaresi, al fine di non compromettere i rapporti con Catanzaro, per assicurarsi la futura collaborazione sul piano dello stanziamento di somme da destinare al dottorato di ricerca».
La facoltà di Architettura nell’Università Mediterranea di Reggio Calabria
Nella tarda serata della data di conclusione della prova orale per l’ammissione al dottorato, il 19 settembre 2018 alle ore 22, Catanoso chiede al direttore generale dell’Università, Ottavio Amaro, se siano passati candidati di Catanzaro, riferendosi proprio alla Sabatini, la candidata “segnalata” da Trimarchi.
«Catanoso: è passato qualcuno di Catanzaro? Amaro: si è stata la prima, la più brava mi hanno detto Catanoso: eh brava si va bene va bene Amaro: la Sabatini Catanoso: vabbè, grazie Ottavio»
Massima riservatezza
Il concorso è stato bandito, come si è detto, nel luglio 2018, mentre le prove sono state a settembre. Quattro mesi prima dell’emanazione del bando, risulta dall’ordinanza del Gip una conversazione tra il coordinatore Gianfranco Neri (indagato) e Trimarchi circa lo stanziamento delle borse di studio finanziate dalla ‘Magna Graecia’ a favore del dottorato reggino (una delle quali, come risulta dagli atti, andrà alla “segnalata” Sabatini).
Come scritto dal Gip, «l’intervento del Trimarchi risulta essere stato decisivo per lo stanziamento ma non è possibile però ipotizzare, a livello di gravità indiziaria, a carico del Trimarchi il compimento di atti contrari ai doveri del proprio ufficio con riferimento alla fase dello stanziamento delle borse/fondi». «Non si conoscono – prosegue il giudice – le dinamiche che sono state attivate dallo stesso Trimarchi, anche se è emerso come lo stesso Rettore (Giovambattista De Sarro, ndr) avesse chiesto di tenere il massimo riserbo sulla questione (non si individua l’esigenza di cotanta segretezza)». Sempre nell’ordinanza si legge che «il Trimarchi nella veste di professore ordinario e quindi di pubblico ufficiale è sicuramente nella condizione di poter influenzare le scelte dell’Ateneo catanzarese in tema di stanziamento di borse di studio in favore di altri Atenei».
Il rettore De Sarro
A differenza di quanto sostenuto dal pubblico ministero, però, per il Gip «gli elementi che si hanno portano a ravvisare, secondo le valutazioni che sono proprie della presente fase procedimentale, la fattispecie di cui all’art. 318 e 321 cp in relazione alla quale il Trimarchi riveste la qualità di corrotto e il Catanoso (ma anche Neri, Amaro e Tornatora) la qualità di corruttore».
Ecco il testo della conversazione telefonica, datata 28.3.2018, tra Neri e Trimarchi sullo stanziamento dei fondi per le borse di studio: «Trimarchi: Sentimi sono riuscito finalmente a parlare con il Rettore e ha detto va bene. Neri: va bene d’accordo… Trimarchi: Quindi stasera gli mando una lettera, ha detto naturalmente di fare…far stare la cosa nel più massimo silenzio possibile Neri: D’accordo Trimarchi: perchè loro c’hanno sai Neri: D’accordo»
Subito dopo aver parlato con Trimarchi, riportano gli atti, Neri chiama la moglie del Dg dell’Università ‘Mediterranea’ Ottavio Amaro, la docente Marina Tornatora per renderla edotta di quanto gli hanno comunicato.
«Neri: Senti ho sentito Michele Trimarchi… Tornatora: si Neri: Si, il quale mi ha detto che ha parlato con il Rettore e che… domani mattina… che sta tutto a posto per lui va bene, domani mattina ci comunicheranno questa cosa…Mi diceva, ma lo dirà pure a te di avere il massimo… massima riservatezza su questa cosa perché il Rettore vuole così, il Rettore di Catanzaro…»
Il silenzio del rettore
Nessun commento è pervenuto al momento da parte del rettore dell’Università di Catanzaro, Giovambattista De Sarro. Nè è chiaro se nella prossima seduta del C.d.a. universitario o del Senato accademico si parlerà del “caso Trimarchi”.
Certo è che l’Umg già tre anni fa, nell’ambito dell’inchiesta “Università Bandita, venne scalfita con l’inserimento tra gli indagati di docenti dell’ateneo catanzarese.
Allora si mise tutto sotto il tappeto, ma certamente De Sarro dovrebbe spiegare come mai avrebbe imposto il silenzio sui fondi “sollecitati” da Trimarchi a favore del dottorato in architettura dell’Università di Reggio Calabria. Al tramonto del suo settennato, su De Sarro (che, si sottolinea, non è indagato) pende questa situazione assai scomoda. I molteplici organi istituzionali dell’Ateneo o i rappresentanti degli studenti gliene chiederanno conto?
Doveva “aspettare il proprio turno”. Avrebbero funzionato così i concorsi all’Università Mediterranea di Reggio Calabria. È un vero e proprio bubbone quello che ha fatto scoppiare l’inchiesta “Magnifica”, condotta dalla Procura reggina ed eseguita dalla Guardia di Finanza.
Decapitata l’Università Mediterranea di Reggio Calabria
A essere coinvolti, 6 professori ordinari e 2 dipendenti dell’area amministrativa dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria. Tra le persone sottoposte alla misura cautelare del divieto temporaneo all’esercizio del pubblico ufficio ricoperto presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria figurano anche l’attuale rettore dell’Ateneo, Santo Marcello Zimbone, sottoposto ad una misura interdittiva della durata di 10 mesi.
È il successore di Pasquale Catanoso, attuale prorettore vicario e anch’egli colpito dall’inchiesta “Magnifica”. Per Catanoso, da anni uomo assai influente nelle dinamiche accademiche, è arrivata una misura interdittiva della durata di 12 mesi. Nei confronti di quest’ultimo, il GIP ha altresì disposto l’esecuzione di un sequestro preventivo del valore di circa 4 mila euro.
L’indagine
L’arco temporale investigato è molto significativo e va dal 2014 al 2020. Secondo gli inquirenti, all’interno dell’Ateneo sarebbe esistita in tutto questo periodo un’associazione dedita alla commissione di delitti contro la pubblica amministrazione e contro la fede pubblica. Una vera e propria “Concorsopoli”, che mette nel mirino la direzione e gestione dell’Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria e delle sue articolazioni compartimentali.
Sulla base di quanto emerso dalle indagini, la perpetrazione di molteplici e reiterati atti contrari ai doveri d’ufficio di imparzialità, lealtà, correttezza e fedeltà si manifestava, soprattutto, in occasione delle varie procedure concorsuali e comparative, nella selezione delle commissioni esaminatrici attraverso la scelta di componenti ritenuti “affidabili” e pertanto idonei a garantire un trattamento favorevole ai singoli candidati scelti “direttamente” o a seguito di “segnalazione”.
“Aspettare il proprio turno”
Le indagini traggono origine da un esposto, presentato alla Procura della Repubblica reggina, retta da Giovanni Bombardieri. A denunciare tutto, una candidata non risultata vincitrice, che avrebbe segnalato condotte irregolari perpetrate in occasione dell’espletamento della procedura di valutazione comparativa per un posto di ricercatore universitario.
Il procuratore Bombardieri
La denuncia penale è stata solo l’extrema ratio decisa dalla candidata, che inizialmente aveva promosso presso la Giustizia amministrativa dei ricorsi. Ma arriverebbe qui, stando al racconto, la frase “incriminata”. Non solo sotto il profilo penale, ma anche sotto il profilo sociale. Sarebbe stato infatti suggerito di rinunciare all’azione giudiziaria intrapresa ed “aspettare il proprio turno” per avere accesso a future opportunità professionali all’interno del Dipartimento.
Le perquisizioni
È un bubbone perché, oltre a essere coinvolti i vertici, finiscono nelle maglie delle Fiamme Gialle anche altri docenti ordinari. Nonché alcuni membri del personale amministrativo. Sono in tutto quattro i docenti interdetti dai due ai quattro mesi.
Si tratta di Ottavio Salvatore Amaro, professore associato del Dipartimento di architettura ed ex direttore generale dell’ateneo; Adolfo Santini, direttore del Dipartimento di architettura; Massimiliano Ferrara, direttore del Dipartimento di giurisprudenza, economia e scienze umane; Antonino Mazza Laboccetta, professore associato dello stesso Dipartimento di giurisprudenza. L’interdizione riguarda, inoltre, anche due funzionari dell’Area tecnico-scientifica elaborazione dati dell’Ateneo, Alessandro Taverriti e Rosario Russo.
Contestualmente, i finanzieri hanno eseguito perquisizioni domiciliari e personali nei confronti di 23 soggetti. L’obiettivo della Guardia di Finanza è quello di scovare materiale probante nei sistemi informatici/telematici in uso alla “Mediterranea”. Le procedure comparative e concorsuali riguardavano indistintamente le posizioni di ricercatori, di professori ordinari e associati, di assegnisti di ricerca nonché le selezioni per l’accesso ai dottorati di ricerca e ai corsi di specializzazione.
Lo sperpero di denaro all’Università di Reggio Calabria
Gli indagati rispondono infatti di associazione per delinquere, concussione, corruzione, abuso d’ufficio, falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atti pubblici, peculato e turbata libertà del procedimento di scelta del contraente.
Alla Mediterranea, infatti, sarebbe stato documentato un sistematico sperpero di risorse universitarie. E, quindi, di soldi pubblici. Le autovetture di servizio, infatti, sarebbero state sistematicamente sottratte alle loro finalità istituzionali per essere utilizzate ai fini privati. L’indebito utilizzo delle risorse dell’ente non ha riguardato solo le autovetture di servizio. Le contestazioni di peculato concernono, infatti, anche le carte di credito intestate all’Università, reiteratamente utilizzate per pagare spese di natura prettamente personale.
Ma è quella degli appalti la questione apparentemente più grave: l’affidamento di lavori edili di manutenzione dei locali universitari, infatti, sarebbe arrivato in assenza di apposite procedure di gara e sulla base di false prospettazioni della realtà fattuale.
Sono 52 in totale le persone che figurano nel registro degli indagati:
Elvira Rita Adamo, 1990, Cosenza
Renata Giuliana Albanese, 1957, Roma
Salvatore Ottavio Amaro, 1959, Reggio Calabria (professore associato Dipartimento Architettura)
Nicola Arcadi, 1953, Reggio Calabria
Giuseppe Bombino, 1971, Reggio Calabria
Pasquale Catanoso, 1953, Reggio Calabria (pro rettore università di Reggio Calabria)
Antonio Condello, 1973, Taurianova
Zaira Dato, 1949, Catania
Alberto De Capua, 1964, Reggio Calabria
Roberto Claudio De Capua, 1961, Reggio Calabria
Lidia Errante, 1989, Reggio
Philipp Fabbio, 1976, Villorba (Tv)
Giuseppe Fera, 1950, Messina
Massimiliano Ferrara, 1972, Reggio Calabria (direttore del dipartimento Giurisprudenza, Economia e Scienze Umane)
Giovanna Maria Ferro, 1977, Reggio Calabria
Gaetano Ginex, 1953, Palermo
Giovanni Gulisano, 1959, Catania
Rita Iside Laganà, 1994, Reggio Calabria
Filippo Laganà, 1964, Reggio Calabria
Maria Teresa Lombardo, 1990, Roccella Ionica
Demetrio Maltese, 1988, Reggio Calabria
Chiara Manti, 1991, Campo Calabro
Domenico Manti, 1955, Campo Calabro
Antonino Laboccetta Mazza, 1972, Reggio Calabria (professore associato dipartimento Giurisprudenza)
Martino Milardi, 1962, Reggio Calabria
Carlo Francesco Morabito, 1959, Villa San Giovanni
Gianfranco Neri, 1952, Roma
Stefania Ilaria Neri, 1991, Pavia
Paolo Neri, 1961, Reggio Calabria
Rossella Panetta, 1991, Galatro
Adele Emilia Panuccio, 1988, Reggio Calabria
Giuseppe Pellitteri, 1954, Palermo
Giulia Ida Presta, 1993, Cosenza
Antonello Russo, 1972, Messina
Valerio Maria Rosario Russo, 1956, Salerno (funzionario area tecnica)
Francesca Sabatini, 1994, Roma
Giovanni Saladino, 1963, Bova marina
Adolfo Santini, 1955, Catania (direttore dipartimento Architettura)
Leonardo Schena, 1971, Monopoli
Andrea Sciascia, 1962, Palermo
Aurelia Sole, 1957, Cosenza (ex rettore dell’Università della Basilicata)
Vincenzo Tamburino, 1953, Catania
Alessandro Taverriti, 1959, Messina (funzionario area tecnica)
Laura Thermes, 1943, Roma
Marina Rosa Tornatora, 1970, Reggio Calabria
Michele Trimarchi, 1956, Roma
Giuseppe Tropea, 1975, Soverato
Agostino Urso, 1965, Reggio Calabria
Giovanna Zampogna, 1990, Palmi
Giuseppe Zampogna, 1954, Palmi
Antonio Demetrio Zema, 1970, Reggio Calabria
Agrippino Marcello Santo Zimbone, 1961, Catania (rettore dell’Università di Reggio Calabria)
Volete visitare la Locride ma non ne potete più della macchia mediterranea? Siete stufi delle litanie sul consumo del territorio e sul rispetto dell’ambiente? Stanchi della cattedrale medievale incastonata in un paese gioiello o della banalissima passeggiata tra le pietre degli antichi greci? Della Calabria da cartolina di scena in questi giorni alla Bit di Milano?
Dimenticatevi il solito weekend fatto di escursioni al borgo e passeggiate bucoliche. Questo itinerario mette al centro uno degli elementi di spicco più autentici del territorio: il cemento armato. Materiale poliedrico attraverso cui si è voluto omaggiare alcuni tra i massimi artisti della scena planetaria con opere capaci di spingersi oltre il consueto. Opere cadute nel dimenticatoio e che noi intendiamo riportare ai fasti di un tempo.
L’architettura avanguardistica del depuratore di Caulonia
Caulonia e l’Anarchitecture
Il nostro mini tour alla riscoperta del patrimonio perduto inizia a Caulonia, con una visita al capolavoro di building-cuts ripreso da un progetto originale di Gordon Matta-Clark.
L’esponente di punta del movimento Anarchitecture fu chiamato a intervenire nell’ambito del programma “progettiamo con arte” varato dall’allora giunta comunale. Fu lui a volere riproporre il suo splitting – il famoso taglio che raddoppia gli spazi rendendoli speculari – sull’indispensabile depuratore.
Degli amministratori dell’epoca invece l’oculata scelta relativa al quadratino di spiaggia – proprio accanto alla foce della fiumara più distruttiva del reggino – dove edificare qualche migliaia di metri cubi di cemento, in questo pregevole esempio di arte prestata all’ingegneria civile.
Un’opera da tutelare
L’artista, morto purtroppo prima dell’inaugurazione, ha voluto contaminare la sua opera con un omaggio alla cultura bizantina presente sul territorio. Da qui la presenza, sulle pareti esterne che guardano al mare, di una volta stellata col il caratteristico blu di lapislazzuli.
Il blu delle stelle sul muro del depuratore si fonde con quello del cielo diurno in un poetico omaggio a Magritte
Della Giunta di allora, e di quelle che seguirono, l’intento di non fare mai entrare in esercizio l’opera di ingegneria per evitare che vibrazioni e umidità potessero danneggiarla. Obiettivo raggiunto. Il tour cauloniese prevede anche una visita guidata alla piazzetta dei finti bronzi, con riproduzioni nane degli antichi guerrieri (in cemento) su piedistalli oblunghi (sempre in cemento). E prosegue con la “colonna solitaria”, omaggio contemporaneo al vero deus ex machina del territorio: il palazzinaro.
“Colonna solitaria”, opera simbolo della scuola filocementista locridea
Locride, un esempio che ha fatto scuola
Attribuito invece al movimento del neobrutalismo lo splendido edificio che possiamo ammirare sulla spiaggia tra Riace e Stignano. Originariamente dedicato alla residenzialità turistica, questo raro esempio di architettura – che alcuni riconducono alla scuola di As Found – è lungo quanto un campo di calcio e alto cinque piani. Rappresenta ancora, a distanza di quasi 40 anni dalla posa della prima pietra, una meraviglia unica, seppure malamente replicata a macchia di leopardo su tutta la costa. L’ardito utilizzo del cemento armato a vista – il beton brut così come esce dalle casseforme – realizza fino in fondo l’idea del brutto che diventa bello solo perché reale.
Il concetto di interazione tra spazi urbanizzati e natura assume qui nuovi significati
In questo caso, il concetto di “sottrazione” caro al movimento, sposandosi con le accuse di abusivismo e speculazione edilizia mosse ingiustamente ai mecenati dell’epoca, consentì di lasciare intatto lo scheletro nudo dell’opera, proprio come lo avevano pensato gli architetti inglesi. Seppure risultino remotissime le possibilità di abbattimento e di ripristino dei luoghi, dobbiamo segnalare che la vegetazione sempre più disordinata e la prepotenza del mare potrebbero minarne la solidità strutturale.
Palafitte a Gioiosa
Con un breve trasferimento lungo la pittoresca Statale 106, il nostro itinerario nella Locride prosegue e si conclude nella vicina Siderno. Non prima però di avere reso omaggio all’inconfondibile stile palafittesco – in omaggio ai primi esempi di autogrill – della sala da pranzo “sospesa” che accoglie con i suoi pali turchese le frotte di turisti in arrivo sul lungomare di Gioiosa Marina. Qui la burocrazia si è messa di mezzo. Da tempo l’accesso all’opera è precluso ai turisti, che possono però transitare sotto l’arco che guarda lo Jonio e godere dell’ombra.
Il richiamo evidente agli autogrill come architettura di denuncia civile contro l’inadeguatezza della SS 106
Parkour a Siderno
Giunti a Siderno, il nostro tour nella Locride prevede una visita al vecchio molo: 180 metri di acciaio e cemento inutilmente protesi sul mare. Anticamente era utilizzato come molo commerciale, alcuni vecchi pescatori del posto favoleggiano di quando le navi vi attraccavano. Da anni ormai è stato riconvertito in percorso di parkour. Interruzioni, cedimenti e vertiginose arrampicate sull’acqua sempre nuove e sorprendenti, grazie all’azione continua del binomio mare/vento. Una perniciosa ordinanza della capitaneria ne vieta, attualmente, l’accesso al pubblico.
Il sacro fuoco dell’arte
Risalendo la costa, il nostro tour comprende una sosta al famoso “stabilimento balneare flambé”. Si trova nel centro geografico del lungomare delle Palme, a 50 metri dalla piazza e dal corso principale della cittadina. Lo stabilimento, ovviamente in cemento armato, sfida orgoglioso lo scorrere del tempo. E, incurante delle varie ordinanze che lo bollano come abusivo, continua ad attirare turisti e appassionati che vi si intrufolano tra porzioni di tetto bruciacchiate e preziosi esempi di streetart di «coraggiosa denuncia».
La Locride e il brutalismo
Ormai stanchi, ma non paghi di tanta bellezza, i turisti verranno accompagnati per il pernottamento al “Grand Hotel Burraccia”. Attribuito all’architetto milanese esponente del brutalismo italiano, Vittorio Viganò, e dedicato alla memoria dell’omonimo mendicante amico di tutti – unico ad abitarci fino ad ora, esclusi gli ambulanti che vi soggiornano di straforo durante la settembrina festa di Portosalvo – l’hotel chiude il cerchio sul nostro tour della Locride. Cibo e bevande non compresi nel prezzo.
Due punti di penalizzazione in classifica per la Reggina e 45 giorni di inibizione per il numero uno della società amaranto, Luca Gallo. A deciderlo, il Tribunale federale nazionale della Figc, presieduto da Carlo Sica. Le sanzioni arrivano dopo il deferimento della società dello Stretto nelle scorse settimane.
Gallo non avrebbe versato entro il termine del 16 febbraio scorso le ritenute Irpef riguardanti gli emolumenti dovuti ai tesserati per il periodo marzo-ottobre 2021. Idem per i contributi Inps relativi agli emolumenti dovuti ai tesserati per il periodo luglio-ottobre 2021. L’amministratore avrebbe dovuto comunicare alla Covisoc, entro lo stesso termine, l’avvenuto pagamento delle somme in questione.
La penalizzazione per la Reggina e lo stop per Gallo scatteranno già durante la stagione in corso. Ma, vista la posizione a metà classifica degli amaranto, in serie B le squadre in corsa per la promozione e la salvezza restano sostanzialmente identiche.
La vicenda, certamente poco seria e non si sa quanto grave, richiama subito il celebre aforisma di Ennio Flaiano. E viene in mente anche una battuta – già cult – dell’ultimo film di Paolo Sorrentino. Ma prima, per ricondurre tutto alla sua reale misura, forse è meglio soppesare le dichiarazioni che stanno rinfocolando la polemica tra Catanzaro e Reggio. Che ricaccia la Calabria indietro di 50 anni, se non ai tempi delle Calabrie degli Aragonesi (Citeriore e Ulteriore) e poi dei Borboni (Ulteriore I e II).
Quanto ce ne fosse bisogno, in un momento storico come quello attuale, è superfluo rilevarlo. Ma si sa: quando ci sono elezioni in ballo la frizione che regola l’emissione di comunicati stampa scappa sempre un po’ troppo. Dunque eccoci qua, catapultati all’indietro in un surreale dibattito che contrappone il centro e la punta della periferia d’Italia.
Valerio Donato, prof all’Università di Catanzaro e candidato a sindaco
Catanzaro vuole pure il consiglio regionale
L’apriti cielo si materializza con un’uscita del “Comitato elettorale Valerio Donato Sindaco”. I sostenitori del prof catanzarese, fuoriuscito dal Pd e ora appoggiato dal centrodestra, la buttano lì: «Giunta e Consiglio regionale devono essere riuniti presso la stessa sede, quella naturale, ossia Catanzaro». Presentata come una «battaglia concreta per la riduzione reale dei costi della politica», risponderebbe a «un fatto di correttezza istituzionale giacché il capoluogo della regione deve essere messo nelle condizioni di esercitare pienamente il proprio ruolo».
La sortita prende le mosse da un antefatto, anzi da due collegati tra loro. Il primo: l’11 aprile si tiene alla Cittadella regionale di Catanzaro una riunione del «Coordinamento dei presidenti delle Commissioni per le Politiche europee delle Assemblee legislative delle Regioni». Prima e dopo non mancano i comunicati di giubilo perché la riunione si svolge «per la prima volta in Calabria».
Lo strappo istituzionale
Il secondo: due giorni dopo si riunisce il consiglio regionale e in apertura il capogruppo (reggino) del Pd Nicola Irto parla (nel video in basso dal minuto 16) di «strappo istituzionale» perché «la sede naturale» di quella riunione era l’Astronave di Reggio. Raccoglie «il monito» il presidente (catanzarese) del Consiglio Filippo Mancuso che dice di aver già chiarito il «malinteso» con il presidente (catanzarese) della commissione competente, Antonio Montuoro.
Si tratta di una questione definita con sarcasmo «assai urgente» dal Comitato di Donato, che con un certo sprezzo del dileggio appena usato parla di «polemica forse non molto qualificante» e lancia l’ormai famigerata proposta di cui proprio tutti, da Praia a Mare a Melito Porto Salvo, non potevano fare a meno.
Segue, immancabile come un buffet dopo un meeting aziendale, una delle pratiche in cui eccelliamo da tempo immemore: la levata di scudi. Dalla sponda calabrese dello Stretto si alza un coro unanime di «giù le mani dal consiglio regionale». Gli stessi partiti che sostengono o sono dati come vicini a Donato insorgono.
Ciccio Franco, uno dei protagonisti del Moti di Reggio
«Non stuzzicate la città di Reggio»
Peppe Neri (capogruppo di FdI a Palazzo Campanella) quasi rievoca i moti del 1970 contro Catanzaro capoluogo: la sede del Consiglio a Reggio «assicura quell’equilibrio istituzionale che la storia ha decretato non senza tensioni». Il deputato di Forza Italia Francesco Cannizzaro definisce «grottesche» le dichiarazioni di Donato e ipotizza che le abbia rilasciate «dopo un’allegra serata con gli amici».
Mancuso ha provato a stoppare le polemiche bollandole come «surreali e divisive», ma un assessore comunale a lui vicino, Francesco Longo, ha rincarato la dose: «Ha fatto non bene, ma benissimo il comitato elettorale di Valerio Donato a ribadire che per evitare ulteriori “sgarbi istituzionali” basterebbe riportare il Consiglio Regionale a Catanzaro». Probabilmente però vince tutto il sindaco facente funzioni di Reggio Calabria, Paolo Brunetti: «Si è deciso 50 anni fa di portare il capoluogo a Catanzaro. Ormai avevamo metabolizzato la cosa, però non stuzzicate la città di Reggio. Non fateci rispolverare l’idea d’avere qui la Giunta…»
Vabbè: forse non ci si poteva aspettare molto altro dal Paese dei campanili e da una regione in cui si litiga pure per un lampione tra rioni e rughe di piccoli paesi. Ma far girare ancora, dopo mezzo secolo di fallimentare regionalismo, il disco rotto del «popu-campanilismo» (la definizione è del giornalista Giuseppe Smorto) è esattamente il contrario di ciò che davvero ci servirebbe: un po’ di sincera solidarietà e di sana ironia. Allora proviamo, per una volta, a non disunirci. E soprattutto a non prenderci sempre così tanto sul serio.
«Dimezzata, monca, a metà». Rimbalzano tra le vinedde del paese vecchio i malumori per lo strano compromesso raggiunto in vista del Caracolo, la secolare processione del sabato di Pasqua. Dopo due anni di blocco causato dalla pandemia, avrebbe dovuto ripopolare l’antica Castelvetere. Invece si è ritrovata mutilata e al centro di una polemica che ha spaccato la piccola comunità cittadina.
Una delle due gambe su cui si regge la tradizione antica della processione a “zig zag” lungo la piazza principale di Caulonia si è infatti chiamata fuori. E si è rifiutata di fare sfilare le statue di propria competenza che completerebbero il corteo, mandando all’aria secoli di tradizione immutabile.
Le statue del Caracolo davanti alla chiesa dell’Immacolata, oggi a pochi metri da una frana
Il gran rifiuto
E così, dove anche le bombe degli Alleati fallirono, riuscì il dissesto idrogeologico. Dopo secoli di confortevoli ripetizioni andate in scena nonostante guerre, terremoti, invasioni e carestie infatti, quest’anno, il rito ereditato dalla dominazione spagnola – unico del genere a svolgersi in Italia – andrà “in scena” in forma ridotta. La causa è la clamorosa autoesclusione di una delle due confraternite che da secoli mandano avanti la tradizione del corteo funebre che prelude alla domenica di Pasqua.
La decisione si lega al disfacimento della porzione di rupe su cui poggia la chiesa dell’Immacolata – sede dell’arciconfraternita omonima e “casa” delle quattro statue che salteranno la processione – e ha finito col dividere il paese. Da un lato chi sostiene la protesta, dall’altro chi, anche se a denti stretti, fa finta di niente e si prepara a mandare avanti lo spettacolo nonostante tutto.
Caracolo: l’ok del vescovo e il diktat del Comune
Jusu e Susu, Carmine e Rosario. La secolare divisione del paese si manifesta nell’appartenenza alle due arciconfraternite. E si rinnova ogni anno, durante i riti della settimana Santa, con piccoli dispetti e malcelate smanie da grandeur. Avrebbe dovuto riprendersi la scena dopo il via libera arrivato dal vescovo alla fine di marzo, invece si è spiaggiata contro un’ordinanza comunale.
A causa del deterioramento che mina la solidità di una parte del borgo antico, l’atto impedisce da circa due anni l’accesso alla chiesa dove sono custodite quattro delle otto statue. Ed è su questa ordinanza che si è arroccata l’arciconfraternita “barricadera”: «Se i fedeli non possono raggiungere la chiesa per le funzioni – filtra dalle stanze dell’associazione che fa capo alla chiesa dell’Immacolata – allora non possono nemmeno andare a prendere le statue. È irricevibile la proposta arrivata del Comune di mettere una passarella temporanea per fare passare il corteo del Caracolo. Poi la festa passa e la chiesa torna chiusa al culto».
foto Giovanni Cannizzaro
foto Giovanni Cannizzaro
Il rito dimezzato
Gli “incanti” delle statue del Rosario (una vera e propria asta con tanto di banditore in cui le famiglie si contendevano all’ultimo soldo le statue da portare in processione, ma proibiti dal vescovo alla fine dei ’90), i battibecchi sui ritardi, le leggendarie scazzottate a forza di paramenti sacri: il Caracolo, tipico esempio della cultura sacra che si mischia con quella profana, paradigma del paese in cui va in scena e vanto massimo della millenaria cultura cauloniese, quest’anno andrà in scena in forma ridotta. E con un tracciato che, per forza di cose, escluderà una parte del paese: quella cioè maggiormente minacciata dal disfacimento della porzione di rupe che guarda a sud.
Messaggi a metà tra ironia e sarcasmo diretti a una delle confraternite
Putin e il Caracolo
E se tutti concordano sulla gravità della situazione, la decisione di abdicare al Caracolo da parte di una delle due anime del paese (l’arciconfranternita del Rosario e quella dell’Immacolata contano, insieme, quasi 800 iscritti, la quasi totalità degli abitanti del borgo) ha lasciato profonde ferite. Tanto che sui muri del paesino sono anche spuntati manifesti che puntano il dito contro i vertici dell’associazione in “rivolta” e contro la decisione di abdicare dalla processione. Uno strano vortice che si smarca dal vincolo sacro/profano e mischia il “Cristo alla Colonna” con Vladimir Putin.
Cercasi Madonna
La decisione di trattenere ai box le quattro statue protagoniste del Caracolo – dall’arabo karahara, girare – verrà bypassata con un corteo “monco”. Il problema dell’assenza dei “protagonisti” (in questo caso la statua della Madonna) si ripropone, però, anche per la giornata di domenica. Ossia quando, da calendario, dovrebbe andare in scena la rappresentazione della Svelata che chiude i riti della settimana santa.
In questo caso la statua della Madonna – che nella tradizione popolare riceve la notizia della rinascita di Cristo da San Giovanni, spogliandosi del velo nero del lutto – non sarà quella consueta. L’arciconfraternita ribelle non la concederà, per cui toccherà prenderla in prestito da un’altra chiesa. «Tanto le Madonne a Caulonia non mancano – dice il Priore della confraternita del Rosario, che si presenterà all’appuntamento orfano degli amici rivali della chiesa dirimpettaia – e pazienza se i paramenti sono diversi. La processione è importante e si deve fare a tutti i costi. Anche senza tutte le statue».
Statua della Madonna portata in processione durante il Caracolo (foto Giovanni Cannizzaro)
Appena l’argomento, per qualche insondabile motivo, viene fuori in una discussione, la domanda scatta automatica: «Ma le Province non le avevano abolite?». A quel punto i più informati rispondono con il tono di chi la sa lunga: «Macché… hanno abolito solo le elezioni». Alla fine è così. Eppure delle Province si parla ancora. E se ne parla, con qualche ragione, molto male.
Non è questione rimandabile all’antropologia dei campanili e nemmeno all’ormai discendente parabola anticasta. È che, evidentemente, anche nei suoi anfratti meno appetibili e più discussi, il potere attira sempre e comunque l’attenzione. Per comprendere le ragioni della lunga agonia di questi enti, intermedi e dunque transitori quasi per definizione, bisogna però andare oltre le gaffe e le liti spicciole a cui ci ha abituati la politica nostrana.
Le Province dall’Italia preunitaria a oggi
Senza addentrarsi in discussioni per feticisti dell’ingegneria istituzionale, è utile ricordare che le Province trovano fondamento nell’art. 114 della Costituzione, ma in realtà sono più vecchie della stessa Italia unita: le creò, quando ancora c’era il Regno di Sardegna (1859), Urbano Rattazzi, ministro dell’Interno del governo La Marmora, mutuando il sistema francese dopo l’annessione di alcune parti della Lombardia.
Un ritratto di Urbano Rattazzi: fu lui a istituire le Province in Italia
Da 95 sono poi arrivate a essere 110. Oggi nelle regioni ordinarie sono 76, più 14 città metropolitane. A cui si devono aggiungere 6 liberi consorzi (le ex province della Sicilia non trasformate in Città metropolitane), 4 province sarde, le 2 province autonome di Trento e Bolzano, 4 del Friuli Venezia Giulia che servono però solo alla geografia e alla statistica non essendo enti politici autonomi.
In Calabria erano 3 fino al 1992. Poi in quell’infornata – che comprendeva Biella, Lecco, Lodi, Rimini, Prato e Verbano-Cusio-Ossola – rientrarono anche Crotone e Vibo Valentia. Poco prima dello scorso Natale è arrivato il rinnovo dei loro consigli provinciali, come pure di quelli di Catanzaro e Cosenza. In quest’ultima, come a dicembre anche a Crotone, ora è cambiato anche il presidente. A breve ce ne sarà uno nuovo pure a Catanzaro.
Il consiglio ogni due anni, il presidente ogni quattro
A proposito di elezioni, dal 2014 in poi (riforma Delrio) sono arrivate un po’ di novità. Tra queste il fatto che i consigli provinciali si rinnovano ogni due anni mentre il presidente ogni quattro. La giunta provinciale non esiste più. E a eleggere sia i consiglieri che il presidente sono sindaci e consiglieri comunali del territorio, il cui voto “pesa” in base alla popolazione del Comune di appartenenza. È un aspetto che sembra bizzarro, ma non è certo quello più paradossale delle “nuove” Province, enti in cui spesso il fattore politico va oltre la classica dialettica maggioranza/opposizione.
Centrodestra alla riscossa
I risultati di queste ultime votazioni, in Calabria, pendono molto verso il centrodestra. A Cosenza c’era stato un sostanziale pareggio tra i consiglieri. Poi la Presidenza è andata alla sindaca di San Giovanni in Fiore (area Forza Italia) Rosaria Succurro. Divisioni e disastri targati centrosinistra hanno chiuso la partita già prima del voto anche a Crotone, dove ha vinto il sindaco di centrodestra di Cirò Marina, Sergio Ferrari. A Catanzaro, nonostante le divisioni già striscianti e ora esplose in vista delle Comunali, i consiglieri restano in maggioranza di destra. Nei prossimi mesi si dovrà scegliere il successore di Sergio Abramo. A Vibo ha trovato conferma il peso forzista, ma ne ha acquistato parecchio anche Coraggio Italia.
Rosaria Succurro, fresca di elezione a presidente della Provincia di Cosenza
Reggio in attesa di funzioni
Poi c’è Reggio, dove la Provincia ha ceduto il posto alla Città metropolitana. Da novembre, cioè dalla condanna di Giuseppe Falcomatà per il “caso Miramare”, la regge il facente funzione Carmelo Versace, che è un dirigente di Azione di Carlo Calenda. In teoria le Città metropolitane avrebbero anche più funzioni delle Province. Quella di Reggio è però l’unica in Italia a cui la Regione non le ha ancora attribuite, nonostante debba farlo per legge.
Vibo e i conti che non tornano
La Provincia di Vibo è famigerata per il disastro finanziario in cui è stata cacciata. Sta ancora cercando di uscire dal dissesto dichiarato nel 2013. Uno spiraglio di luce si era visto a novembre, quando la Commissione liquidatrice ha approvato il Piano di estinzione dei debiti: default chiuso con una massa passiva quantificata in 14,8 milioni di euro distribuiti a circa 1.200 creditori. A fine marzo però è venuto fuori che serve un nuovo Piano. Ci si è accorti che i prospetti contabili andavano aggiornati e che la massa passiva totale era in realtà di 25 milioni di euro. Dunque ne ce sono ancora altri 11 da liquidare.
Salvatore Solano stringe la mano a Papa Francesco
La necessità di un aggiornamento l’ha segnalata alla Commissione lo stesso presidente della Provincia di Vibo, Salvatore Solano, finito nel processo “Petrolmafie”. Lui ha sempre dichiarato fiducia nella giustizi,a ma anche la sua totale estraneità alle accuse che gli vengono contestate. Forza Italia però, che pure lo aveva scelto nell’ottobre del 2018, lo ha scaricato politicamente.
Catanzaro, da ente modello al rischio dissesto
Problemi di natura diversa li ha invece Abramo, che si accinge a chiudere tra ben poche glorie il suo ciclo da sindaco e da presidente della Provincia di Catanzaro. L’ente che visse un’epoca descritta come d’oro con Michele Traversa e poi con Wanda Ferro era considerato infatti un modello di buona amministrazione. Fin quando, proprio con Abramo, è scoppiata la bolla dei derivati, operazioni di swap contratte nel 2007 (con Traversa) per oltre 216 milioni di euro e ora annullate in autotutela da Abramo. Che si ritrova con la grana dei ricorsi presentati al Tar dalle banche, e con il rischio del dissesto e di non riuscire a pagare nemmeno gli stipendi dei dipendenti.
Partiamo dai tagli, iniziati già dal 2010 e dunque ancora prima della Delrio. Secondo uno studio della fondazione Openpolis ammontano a ben 5 miliardi di euro i trasferimenti statali decurtati negli anni. Con una conseguenza prevedibile: «Ciò ha portato ad una riduzione dei servizi e soprattutto negli investimenti (ad esempio infrastrutture di trasporto -65%)».
La sede dell’ex Provincia, oggi Città metropolitana, di Reggio Calabria
La Calabria si contraddistingue per un forte accentramento verso la Regione delle funzioni che erano prima delle “vecchie” Province. Unica eccezione la Città metropolitana, che ne ha invece mantenute molte. Per farsi un’idea dell’importanza che invece hanno le poche funzioni rimaste oggi in capo alle “nuove” Province è sufficiente menzionare due settori chiave.
Due settori chiave
Innanzitutto la manutenzione dell’edilizia scolastica: si parla a livello nazionale di 5.179 edifici (che ospitano di 2,6 milioni di studenti), il 41,2% dei quali si trova in zona a rischio sismico. Nella nostra regione il 10,4% risulta vetusto, il 3,8% è in zona sottoposta a vincolo idrogeologico. E poi le strade provinciali, una di quelle cose che attirano su questi enti maledizioni e improperi perfino dai cittadini più morigerati. In Calabria le Province gestiscono 7.713 km di strade, molte delle quali in zone di montagna e disagiate: il 44,75% dei 2.578 km di strade della Provincia di Cosenza è sopra i 600 metri sul livello del mare, così come il 47,34% (su 1.690 km totali) di quella di Catanzaro, il 30,5% (su 818 km) di quella di Crotone, il 25% (su 875 km) di quella di Vibo e il 16,95% (su 1752 km) di quella di Reggio.
Il paradosso delle nuove Province
Dare risposte alle giuste rivendicazioni degli utenti, in queste condizioni e con pochi fondi a disposizione – le tasse principali che vanno alle Province sono quelle per Rc e trasferimento dei veicoli – diventa dunque complicato. E il problema del passaggio delle funzioni – e dei beni ad esse collegati – resta completamente irrisolto. La Delrio nasceva come norma transitoria verso il (poi fallito) referendum renziano del 2016 che avrebbe dovuto eliminare le Province dalla Costituzione. Invece quella legge, che doveva essere provvisoria, disciplina ancora oggi il funzionamento di questi enti.
Nel frattempo la retorica dei tagli ha prodotto un altro paradosso: sono nati moltissimi nuovi enti (circa un migliaio tra unioni di Comuni, autorità di bacino, consorzi e quant’altro) proprio per aiutare i Comuni nella cogestione dei servizi. Un decennio di propaganda e di sperimentazioni normative sulle Province ha dunque generato un evitabile caos istituzionale. E un vuoto riempito solo dall’inettitudine delle classi dirigenti nazionali e locali.
Patrimonio dell’Unesco. Proprio come il Centro Storico di Roma. O Venezia e la sua laguna. O i Sassi di Matera, i Trulli di Albero Bello, la Costiera Amalfitana, le Dolomiti, i Portici di Bologna, solo per rimanere in Italia. E per menzionare solo alcuni esempi. Anche i Bronzi di Riace potrebbero diventare Patrimonio dell’Umanità.
L’annuncio è avvenuto proprio nel corso della conferenza stampa con cui il Comitato Interistituzionale presieduto dalla Regione Calabria ha presentato il logo e le iniziative per il cinquantennale del ritrovamento dei Bronzi di Riace.
Il logo per i 50 anni
Sfondo azzurro. Proprio come quel mare dove vennero ritrovati, ormai quasi 50 anni fa. Era il 16 agosto del 1972. Oggi il Comitato interistituzionale ha presentato il logo che accompagnerà le numerose iniziative, sul territorio e fuori dalla Calabria, che dovranno celebrare la straordinaria scoperta. Nella parte centrale campeggia la scritta “Bronzi 50”, con i numeri in colore oro.
A coordinare il Comitato e il tavolo della presentazione, la vicepresidente della Regione Calabria, Giusi Princi. Ma sono numerosi gli enti coinvolti: il Comune e la Città Metropolitana di Reggio Calabria, il Comune di Riace, la Camera di Commercio e l’Università di Reggio Calabria, il Ministero della Cultura e la Sovrintendenza Regionale dei Beni Archeologici.
La conferenza stampa di oggi per presentare le iniziative in programma
I Bronzi di Riace Patrimonio dell’Unesco?
Il Comitato, infatti, ha elaborato un Piano di promozione, comunicazione ed eventi internazionali, che si concluderanno nel mese di dicembre 2022. Programmati eventi dedicati ai Bronzi di Riace in Texas, Inghilterra, Germania, Francia, con il coinvolgimento delle Camere di commercio estere e delle Ambasciate.
I due Bronzi, di età riconducibile al V secolo a.C., sono custoditi al Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria. Ma solo raramente sono riusciti ad avere la ribalta meritata. Ora, però, la Regione vuole pensare e agire in grande: «L’anniversario del 50esimo del ritrovamento dei Bronzi di Riace rappresenta una grande opportunità, una vetrina importante per la promozione culturale e turistica della Calabria. Proprio per questo stiamo lavorando affinché le due statue diventino Patrimonio mondiale Unesco», ha detto Princi.
Carmelo Malacrino
Per il direttore del Museo nazionale, Carmelo Malacrino, «si tratta di una occasione irripetibile per rilanciare i Bronzi». Melacrino ha confermato che anche per la prossima stagione estiva, il Museo tornerà ad ospitare, dalle ore 20 alle 23, incontri, concerti e approfondimenti culturali.
Le iniziative
Mostre, convegni, incontri, promozione dentro e fuori dal territorio. Ma, soprattutto, l’obiettivo di far conoscere il più possibile i due guerrieri fuori dalla regione. La Cittadella ha già predisposto la proiezione delle statue dei Guerrieri sui video-wall di importanti stazioni ferroviarie, come quelle di Milano e Roma, ma anche sugli schermi degli aeroporti italiani. Tutto dovrebbe partire da maggio e andare fino a dicembre, per far parlare delle statue per tutta la durata del 2022.
L’ingresso della Stazione di Roma Termini
Su questa linea si inquadra anche la partnership con il Giro d’Italia di ciclismo, che partirà a maggio, e con il Salone del Libro di Torino, che si terrà dal 19 al 23 dello stesso mese. Celebrazioni che si dovrebbe concludere a dicembre con l’opera lirica capolavoro di Francesco Cilea, Adriana Lecovreur. Interpreti principali: Maria Agresta, reduce dalla Scala di Milano con la stessa opera, e Michele Fabiano, tenore di fama internazionale, peraltro originario di Scilla.
Ciò che preoccupa, però, è l’isolamento della regione. I potenziali turisti potrebbero essere scoraggiati dalla difficoltà di raggiungere la Calabria e dai prezzi assai esosi per atterrare a Reggio Calabria. Sul tema degli aeroporti, Princi ha rivendicato il lavoro svolto dalla Giunta Regionale presieduta da Roberto Occhiuto con l’acquisizione del 70% delle quote della Sacal. Attraverso questo passaggio, la vicepresidente della Regione è convinta che già nel breve periodo si possa arrivare a eliminare le limitazioni che hanno fin qui frenato lo sviluppo dell’Aeroporto dello Stretto, con l’arrivo, per esempio, delle compagnie low cost.
La vicepresidente della Regione, ancora, ha reso noto la proposta di «pacchetti turistici integrati e mirati per le scuole, dedicati ai Bronzi, con il coinvolgimento dell’imprenditoria locale». Oltre un milione di euro per gli istituti scolastici con meta privilegiata la Città Metropolitana di Reggio Calabria.
Le attività economiche
Il presidente della Camera di Commercio, Antonino Tramontana, ha reso noto che «all’interno dei pacchetti turistici programmati, con soste da una a tre settimane, con l’impegno dei ristoratori, saranno offerti piatti gastronomici in sintonia con l’evento. Un menù tipico della nostra provincia, accompagnato da cocktail, vini tipici e una birra di produzione locale fatta col nostro grano e il bergamotto».
Antichi macchinari per l’estrazione dell’essenza di bergamotto (Consorzio tutela del Bergamotto di Reggio Calabria)
Sono 20 gli itinerari di varia durata, resi già disponibili, dedicati ai Bronzi di Riace e finalizzati a far conoscere le grandi ricchezze culturali, naturalistiche ed enogastronomiche del territorio reggino. Il presidente Tramontana ha annunciato che diversi chef e diversi barman stanno già lavorando per creare dei menù tipici del territorio e dei cocktail dedicati al cinquantennale del ritrovamento dei Bronzi. Così come è in atto il coinvolgimento delle aziende vinicole e dei birrifici. «Le attività ristorative saranno invitate a promuovere anche la somministrazione di preparazioni enogastronomiche identitarie del territorio, dedicate all’evento», dice ancora Tramontana.
Era in possesso di un ingente quantitativo di file multimediali di natura pedopornografica, ritraenti minori anche di tenera età, archiviato sia sui propri dispositivi fissi e mobili, sia direttamente sul web, in cloud. Un uomo di 42 anni, residente nella provincia di Reggio Calabria, è stato arrestato dagli agenti della Polizia Postale e delle Comunicazioni di Reggio Calabria con l’accusa di detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico mediante social network.
I poliziotti, nell’ambito dell’azione di contrasto al fenomeno della pedopornografia online, hanno eseguito una perquisizione locale, personale ed informatica con immediata attività di analisi forense effettuata da personale specializzato della Polizia di Stato, trovando il materiale pedopornografico (oltre 1000 tra immagini e video). L’attività investigativa, coordinata dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria, diretta da Giovanni Bombardieri, è stata condotta dal Compartimento Polizia Postale per la Calabria mediante un’intensa attività di “pedinamento informatico”.
Così come accaduto in precedenti occasioni, anche in questa vicenda è stata fondamentale una segnalazione pervenuta attraverso il circuito internazionale di cooperazione in materia di contrasto allo sfruttamento dei minori online, con enti esteri e associazioni non governative, i cui sviluppi sono coordinati sul territorio nazionale dal C.N.C.P.O., Centro Nazionale per Contrasto alla Pedopornografia Online, incardinato a Roma nel Servizio Polizia Postale e delle Comunicazioni.
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