Tag: reggio calabria

  • 2022, fuga da Reggio Calabria: uffici in Procura sempre più vuoti

    2022, fuga da Reggio Calabria: uffici in Procura sempre più vuoti

    Fuga dalla Procura di Reggio Calabria. Negli anni, l’ufficio requirente della città dello Stretto è stato l’avanguardia della lotta alla ‘ndrangheta. Gli anni iniziati, nel 2008, con l’avvento in città del “corso palermitano” targato Giuseppe Pignatone, ma anche Michele Prestipino e Ottavio Sferlazza, hanno segnato una svolta nella lotta al crimine organizzato.

    Procura di Reggio Calabria: arrivano i palermitani

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    Giuseppe Pignatone, ex capo della Procura di Reggio Calabria

    All’avvento dei palermitani, infatti, la lotta alla ‘ndrangheta nella provincia di Reggio Calabria era quasi all’anno zero, ferma agli anni del maxiprocesso “Olimpia”. In circa quattro anni di gestione, quel modello portò all’arresto di quasi tutti i boss di Reggio e provincia, che erano latitanti da decenni. Da Pasquale Condello, “il Supremo”, a Peppe De Stefano, l’elemento più carismatico del casato del rione Archi, fino a Giovanni Tegano, “l’uomo di pace”. E poi, ancora, le inchieste “Fehida”, che ricostruì la strage di Duisburg e la faida di San Luca. O ancora, spostandosi sulla Piana di Gioia Tauro, le operazioni “Cent’anni di storia” e “Maestro”, contro le cosche Piromalli e Molè. Oppure quelle “All inside” e “Vento del Nord”, sui clan Pesce e Bellocco. Un (iper)attivismo giudiziario culminato con l’operazione “Crimine”, scattata il 13 luglio 2010, che porterà alla fondamentale pronuncia dell’unitarietà della ‘ndrangheta.

    Con Gratteri l’attenzione si sposta su Catanzaro

    Una Procura d’avanguardia nella lotta alla ‘ndrangheta, insomma. A proseguire l’opera anche il successore di Pignatone, quel Federico Cafiero de Raho che, con metodi diversi, con una strategia comunicativa più “smart” ha portato l’ufficio del sesto piano del Cedir a fuoriuscire dalla dimensione provinciale ed essere ambito anche per la possibilità di far carriera. Gli stessi capi, Pignatone e De Raho, avevano, infatti, un curriculum importante nella lotta ad altre organizzazioni criminali, come Cosa nostra e camorra.

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    Nicola Gratteri durante il maxi processo Rinascita-Scott

    Se, quindi, per circa un decennio, è stata la Procura di Reggio Calabria a dettare la linea del contrasto repressivo alla ‘ndrangheta, l’avvento di Nicola Gratteri a capo della Procura di Catanzaro ha spostato nel capoluogo di regione l’attenzione (anche mediatica) sul fenomeno ‘ndranghetista. Tutto ciò corrisponde anche a uno svuotamento che la Procura reggina sta subendo. Non tanto e non solo in termini numerici, quanto in termini qualitativi.

    Il “decennio d’oro” della Procura di Reggio Calabria

    Se, infatti, dal 2008 al 2018, la Procura di Reggio Calabria è stata un ufficio di frontiera, dove poter misurare le proprie doti di investigatore con quella che, unanimemente, è riconosciuta come l’organizzazione mafiosa più ricca e potente, negli anni successivi si è ritornati a quella dimensione ristretta che, nella scelta della collocazione, attira, quasi esclusivamente, magistrati locali oppure di prima nomina. Negli anni, infatti, diversi sono stati i magistrati che, conoscendo e fiutando la verve di Gratteri, hanno scelto di spostarsi nel capoluogo. Qualche esempio? Antonio De Bernardo, che alla Dda di Reggio Calabria ha colpito duramente le cosche della Locride. Oppure Annamaria Frustaci, che oggi è alla Dda di Catanzaro. O, ancora, Giulia Pantano, per anni pm antimafia con competenza sulla Piana di Gioia Tauro e oggi procuratore aggiunto di Reggio Calabria.

    Vecchi e nuovi addii

    Ma negli anni la Procura di Reggio Calabria ha perso magistrati che sono andati a occupare incarichi di primissimo livello. Da Giovanni Musarò, cui si deve il merito, da pm a Roma, di aver riaperto il caso Cucchi. A Matteo Centini, il pm che, andando via da Reggio, ha scoperto la caserma degli orrori a Piacenza. E, ancor prima, Beatrice Ronchi, che in riva allo Stretto aveva indagato sui rapporti tra ‘ndrangheta e magistratura e che da pm antimafia di Bologna lega il proprio nome all’inchiesta “Aemilia”, la più importante sulle cosche in Emilia Romagna. Ha deciso di allontanarsi dal sesto piano del Cedir anche Roberto Di Palma, uno dei massimi esperti di ‘ndrangheta, oggi procuratore per i minorenni.

    Il Cedir a Reggio Calabria

    Nei prossimi mesi si libereranno altri due posti in Dda: andranno via Francesco Ponzetta (pm con competenza sulla Piana di Gioia Tauro) e Antonella Crisafulli (che invece si occupa delle cosche della Locride). A fronte di perdite del genere, l’ufficio si è rimpolpato di un numero congruo di giovani magistrati, spesso di prima nomina. Fin qui, però, non sono riusciti a portare i risultati che un territorio come quello reggino necessiterebbe.

    La Procura di Reggio Calabria decapitata

    Tutto questo in un momento in cui anche l’immagine pubblica dell’Ufficio è stata scalfita dalla decisione del Consiglio di Stato che ha annullato (dopo quattro anni) la nomina di Giovanni Bombardieri a capo della Procura, definendola “illogica” nelle motivazioni. E sono tuttora vacanti due posti di procuratore aggiunto su tre. L’ultimo in ordine di tempo, il procuratore aggiunto Gaetano Paci che, dopo otto anni, ha ottenuto la nomina come procuratore di Reggio Emilia. È invece vacante da oltre otto mesi l’altro posto di procuratore aggiunto, quello lasciato libero da Gerardo Dominijanni, che si è insediato in Procura Generale il 15 ottobre 2021.

  • Reggio Calabria, il Comune la fa sfrattare ma interviene l’Onu

    Reggio Calabria, il Comune la fa sfrattare ma interviene l’Onu

    Rischiava di finire per strada, nel disinteresse del Comune di Reggio Calabria che avrebbe dovuto tutelarla, ma a garantirle ancora un tetto sotto cui dormire ha pensato l’Onu. E così, per la prima volta, in riva allo Stretto un provvedimento delle Nazioni Unite ha fermato l’esecuzione dello sfratto di una signora indigente. La donna non è l’unica ad aver corso questo rischio: sono 218 gli sfratti che il Tribunale cittadino ha deciso durante i due anni di pandemia, tutti in esecuzione nel 2022 dopo il blocco del biennio precedente.

    Il Comune e la Prefettura latitanti

    Gli enti dell’Osservatorio sul disagio abitativo, dopo aver lanciato l’allarme, avevano sollecitato il Comune e la Prefettura ad assumere delle misure operative per garantire il diritto alla casa alle famiglie sfrattate con reddito basso. ma, scrivono in un comunicato, «nessuna misura è stata adottata». Il Comune, infatti, «non ha neppure avviato le assegnazioni ordinarie per i casi di emergenza in graduatoria da dicembre 2020 e non ha fornito alcuna risposta alle istanze successive». Quanto alla Prefettura, «non ha costituito il tavolo sfratti richiesto dalla Ministra dell’Interno». Tant’è che la domanda di alloggio per sfratto che la signora ha inoltrato lo scorso dicembre attende ancora risposte.

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    Il Comune di Reggio Calabria

    Uno sfratto a Reggio sul tavolo dell’Onu

    A trovare una soluzione ha pensato Cesare Ottolini, membro della Segreteria nazionale Unione Inquilini e coordinatore dell’Alleanza Internazionale degli Abitanti. Ottolini ha presentato il 10 giugno scorso un ricorso al Comitato per i Diritti Economici, Sociali e Culturali dell’ONU. L’Italia, infatti, ha ratificato fin dal 2014 il Protocollo Opzionale del Patto Internazionale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali. E l’Alto Commissario per i diritti umani dell’Onu ha accettato il ricorso il 22 giugno scorso. Il suo provvedimento chiede allo Stato italiano «di prendere misure urgenti per la sospensione dello sfratto» della donna. O, in alternativa, di offrirle una sistemazione che rispetti le sue esigenze.

    Grazie al documento dell’Alto Commissario, l’avvocato della signora, Francesco Nucara, ha presentato ricorso al Tribunale di Reggio Calabria. E quest’ultimo lo ha accolto con provvedimento del 28 giugno 2022. Ad emetterlo, il GOT Anna Marraffa, che ha sospeso l’esecuzione dello sfratto del 29 giugno fissando l’udienza del procedimento per il 19 luglio prossimo.

    Onu e Tribunale concordi, che farà ora il Comune di Reggio?

    Esultano l’Osservatorio sul disagio abitativo, il CSOA Angelina Cartella e le associazioni “Un Mondo Di Mondi”, “Reggio Non Tace”, “Ancadic” e “Società dei Territorialisti/e Onlus”. «Per la prima volta nella nostra città – commentano in una nota – grazie all’intervento dell’Onu e la positiva risposta del Tribunale è stato affermato il principio di legge che l’esecuzione di uno sfratto è legale e quindi è possibile solo se viene garantito alla persona sfrattata a basso reddito il passaggio da casa a casa, mentre in caso contrario l’esecuzione è illegittima e deve essere fermata». Immancabile la stoccata finale al Comune: «Il Tribunale di Reggio Calabria con questo provvedimento ha dimostrato di rispettare il diritto alla casa sancito dai trattati internazionali mentre il Comune, purtroppo, continua a non farlo. Dopo l’intervento dell’Onu e la risposta del Tribunale, il sindaco f.f. Brunetti deciderà ancora di mettere il Comune fuori dalle norme del diritto internazionale?».

    Il sindaco facente funzioni Brunetti
  • Il Brasile salva Morabito: come mai salta l’estradizione del re della coca?

    Il Brasile salva Morabito: come mai salta l’estradizione del re della coca?

    In Brasile è già una celebrità. Il suo caso sta dividendo l’opinione pubblica e gli esperti. E, probabilmente, lo farà ancora per un po’ di tempo. Perché in Brasile, Rocco Morabito, rimarrà ancora. Secondo quanto rivelato dalla stampa locale, lo stato carioca avrebbe bloccato l’estradizione di quello che è considerato uno dei boss della ‘ndrangheta più importanti, nonché uno dei narcotrafficanti più influenti a livello globale.

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    Rocco Morabito scortato dalla polizia federale brasiliana

    Brasile: Morabito salvato dalla carceri italiane

    Morabito potrebbe essere (temporaneamente?) salvato dalle carceri italiane per via di alcuni cavilli giurisprudenziali brasiliani. Avrebbe infatti commesso reati per i quali la sua estradizione in Italia potrebbe essere posticipata fino alla conclusione di un eventuale nuovo processo. Un caso piuttosto insolito – emerge da fonti brasiliane de I Calabresi – dato che, assai recentemente, la Corte suprema del Brasile (una sorta di organo a metà tra la Cassazione e la Corte Costituzionale) aveva confermato l’estradizione del boss calabrese.

    Ma ora l’autorità brasiliana contesta a Morabito altri reati prima dell’ultima cattura. Avrebbe infatti commercializzato droga fino a poche settimane prima rispetto al suo arresto avvenuto nel 2021. Un business messo in atto con il cartello brasiliano Primo comando della capitale (Pcc), che a sua volta li avrebbe venduti a trafficanti brasiliani che li avrebbero distribuiti in località del litorale di San Paolo come Guarujà.

    Chi è Rocco Morabito

    «El rey de la cocaina en Milàn». Così il giornale El Observador definiva qualche tempo fa Morabito. Al momento della sua cattura era considerato il ricercato più pericoloso dopo Matteo Messina Denaro, la primula rossa di Cosa Nostra, irreperibile da decenni. Condannato in contumacia a 30 anni dalla giustizia italiana, comminata dopo che agenti sotto copertura lo avevano sorpreso a pagare 13 miliardi di lire per un carico di droga di quasi una tonnellata.

    Originario di Africo, in provincia di Reggio Calabria, feudo della cosca di Peppe, “u Tiradrittu”, la definizione data dal giornale El Observador non è casuale. Morabito a 25 anni ha lasciato l’Aspromonte per Milano dove era entrato nel giro dei giovani rampanti del centro per curare lo spaccio di cocaina. Stando alla sua storia giudiziaria e criminale, tra il 1988 e il 1994 avrebbe fatto parte di un gruppo del narcotraffico, nel quale organizzava il trasporto della droga in Italia e la distribuzione a Milano.

    “Tamunga” – questo il suo soprannome, dalla storpiatura dell’indistruttibile fuoristrada tedesco Dkw Munga. Restano nella “storia” del traffico internazionale di stupefacenti alcuni carichi di droga che Morabito avrebbe trattato. Nel 1993 di 32 kg di cocaina in Italia, operazione fallita a causa della cattura in Francia di un trafficante, e di 592 kg nel 1992 dal Brasile all’Italia, droga confiscata in quest’ultimo Paese. Da ultimo, un’operazione l’anno successivo con 630 kg di cocaina.

    Morabito è detenuto in Brasile da circa un anno, quando, cioè, un blitz interforze lo scovò a Joao Pessoa insieme a un altro latitante, Vincenzo Pasquino, ricercato almeno dal 2019. Da quel momento si è iniziato a lavorare per la sua estradizione nel più breve tempo possibile.

    Il business con le cosche della Piana

    La sua figura emerge con grande chiarezza nell’inchiesta “Magma”, condotta dalla Dda di Reggio Calabria contro le cosche Bellocco e Gallace, attive proprio nel traffico internazionale di stupefacenti con il Sud America.  Le investigazioni avrebbero di dimostrato come i Bellocco, uno dei casati storici della ‘ndrangheta della provincia di Reggio Calabria, avessero esportato anche oltreoceano le loro attività criminali, grazie alle relazioni con cosche come i Morabito e i Mollica di Africo.

    Così, nell’area platense, tra Buenos Aires e Montevideo, i calabresi dialogavano da pari a pari con i cartelli sudamericani, coordinando l’acquisto e la spedizione di quintali di cocaina verso l’Italia e l’Europa. L’area platense, quella che si trova vicina al Rio della Plata su cui si affacciano quasi dirimpettaie Buenos Aires e Montevideo, capitale dell’Uruguay è diventata da tempo una zona su cui si sono installati vari gruppi di ‘Ndrangheta in contatto con i narcos di Colombia, Bolivia e altri paesi Centroamericani.

    L’indagine prese avvio dopo il sequestro di 385 chili di cocaina rinvenuti in mare al largo di Gioia Tauro. Da quell’episodio la Guardia di finanza ha ricostruito la rete dei Bellocco che avevano da tempo ormai loro referenti in Sudamerica. Tra cui proprio Rocco Morabito, “Tamunga”.

    Il primo arresto

    Già nel 2017, infatti, era stato arrestato in un hotel di Montevideo dopo 23 anni di latitanza. In quell’occasione, “Tamunga” si celava dietro la falsa identità di un imprenditore brasiliano di 49 anni, di nome Francisco Cappeletto. Stratagemma, questo, che gli aveva consentito di ottenere una carta d’identità uruguayana.

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    Il documento falso ritrovato a Rocco Morabito

    La cattura era avvenuta in un hotel di Montevideo, insieme alla moglie, una 54enne angolana con passaporto portoghese. Morabito risiedeva da 13 anni nella vicina località balneare di Punta del Este. Si sospettava che fosse fuggito in Brasile ma le indagini in Uruguay erano scattate dopo che aveva iscritto una figlia a scuola sotto il suo vero nome. A Morabito furono confiscati una pistola, un coltello, due autovetture, 13 cellulari, 12 carte di credito e assegni in dollari.

    Specialista in evasioni

    La revoca dell’estradizione di Morabito sta facendo discutere il Brasile. Anche perché il narcotrafficante calabrese è esperto in evasioni dalle carceri sudamericane. Nel giugno 2019, la clamorosa evasione mentre anche in quel caso era in attesa dell’estradizione.

    Morabito sarebbe riuscito a fuggire insieme ad altri tre detenuti dalla terrazza del carcere ubicato nel pieno centro della capitale. Si sarebbe quindi introdotto in un appartamento confinante situato ai piani alti e, dopo aver derubato una donna, sarebbe scappato in taxi.

    Scene da film, latitanze dorate, possibili anche grazie alla sua fitta rete relazionale costruita in Sud America. Fin dai tempi della vita a Milano, infatti, Morabito spicca per la sua capacità di inserirsi molto bene nei salotti più importanti dell’alta società. Anche con lo scopo di penetrare le istituzioni.

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    Rocco Morabito, supernacotrafficante arrestato dopo oltre 20 anni di latitanza

    Brasile: Morabito è un caso che divide il Paese

    Ora una nuova tappa nell’incredibile vita di “Tamunga”. La sua estradizione, infatti, nonostante le pronunce della Corte suprema, doveva essere autorizzata dal presidente Jair Bolsonaro. Ma proprio nelle ultime ore, il ministero della Giustizia avrebbe bloccato tutto.

    L’ordinanza è firmata dal segretario nazionale alla Giustizia, Josè Vicente Santini, uno dei fedelissimi di Bolsonaro. Ma la vicenda, anche sotto il profilo legale, non è così chiara. La legge in vigore in Brasile impedirebbe l’estradizione se vi sono procedimenti pendenti o condanne definitive in Brasile. Tale procedura può essere completata solo su richiesta della persona che dovrebbe essere trasferita. Oppure su autorizzazione della giustizia brasiliana.

    Insomma, per qualcuno, Morabito potrebbe essere deportato in Italia solo quando il caso si fosse concluso. Ma altri giuristi sostengono che “Tamunga” potrebbe rientrare in Italia prima della conclusione di un eventuale nuovo processo. Ma per adesso il re del narcotraffico non tornerà in Italia, da dove manca (almeno ufficialmente) da oltre 30 anni.

  • Mai più da sole: nove anni di lotte del centro antiviolenza di Reggio Calabria

    Mai più da sole: nove anni di lotte del centro antiviolenza di Reggio Calabria

    Quella del Centro antiviolenza Angela Morabito è una storia di donne che aiutano le donne.
    Questa storia è partita da Reggio e ora ha esteso il suo raggio d’azione anche in provincia. A Polistena prima e ad Ardore poi, per una “guerra” in cui si recita sempre lo stesso copione: le donne nel ruolo di vittima e gli uomini in quello di carnefici.

    Violenze di genere: vittima una donna su tre 

    Le violenze di genere sono un dramma quotidiano che investe un terzo della popolazione femminile italiana.
    Una donna su tre, dicono le statistiche, ha subito almeno una volta un atto violento da un maschio: sberle, botte, abusi sessuali, ma anche delegittimazioni sociali e professionali, umiliazioni e privazioni economiche.
    Il Centro Morabito, costituito da donne calabresi preparate e risolute, prova a fermare questo campionario degli orrori. Lo fa con l’impegno sul campo e , adesso, con un fondo di oltre 200mila euro. La somma proviene da un gruppo di artiste ed è il frutto del maxi concerto al Campovolo di Reggio Emilia.

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    Francesca Mallamaci (a sinistra) e le sue colleghe del Centro antiviolenza

    Centri antiviolenza: tutto iniziò da Angela

    Il Centro antiviolenza (e la relativa casa rifugio in grado di ospitare fino a sei persone) nasce nel 2013, in collaborazione con “Piccola opera Papa Giovanni”. È intitolato alla memoria di Angela Morabito, la donna che solo durante le terapie contro la sua leucemia trovò il coraggio di accusare il padre orco che tante volte la aveva insidiata da ragazzina.
    Da allora, centinaia di donne si sono appoggiate ai loro servizi e sono riuscite a rompere il muro di silenzio, paura e vergogna che le imprigionava. Un muro spesso invalicabile, perché costruito all’interno di relazioni familiari tossiche.

    Un numero verde per chiedere aiuto sempre

    Psicoterapeute, avvocate, assistenti sociali e mediatrici culturali: queste professioniste aiutano le donne che si rivolgono allo sportello di ascolto o al numero verde 800 170 940 operativo a tutte le ore, sette giorni su sette. Loro sono, per le vittime, il punto di partenza di un percorso estremamente delicato e complesso.
    «Il nostro percorso – racconta a I Calabresi la responsabile del centro e della casa rifugio, Francesca Mallamaci – mira a elaborare le violenze subite e a ridefinire un nuovo progetto di vita per le donne che trovano il coraggio di contattarci.
    Noi offriamo, totalmente gratis, servizi che vanno dall’assistenza legale all’accoglienza residenziale e forniamo consulenze psicologiche e specialistiche in ambito sociale e di orientamento lavorativo».
    È un lavoro estremamente complicato. Anche perché, a fronte di una quotidianità sempre più drammatica, il Centro antiviolenza Angela Morabito è, nel Reggino, l’unica realtà specializzata sulla violenza di genere.

    L’ufficio del Centro antiviolenza di Reggio

    Centri antiviolenza Calabria: a Crotone zero totale

    Il “vuoto” è preoccupante, ma in Calabria c’è di peggio. Nel Crotonese, ad esempio, non esiste nessuno sportello sulle violenze di genere. E mancano posti letto per le donne che vogliono allontanarsi dai loro contesti.
    Dallo scorso marzo, i servizi dell’associazione sono disponibili anche sul versante jonico della provincia di Reggio.
    Grazie ad una collaborazione con il Comune di Ardore e con l’Auser, tre professioniste del posto – la psicologa Loredana Oppedisano, l’assistente sociale Daniela Andrianò e l’avvocata Vincenza Corasanti – hanno aperto uno sportello d’ascolto dell’associazione in una stanzetta del municipio messa a disposizione dal Comune.
    Lo sportello è aperto il martedì e il giovedì ma è possibile rivolgersi a tutte le ore al numero verde 800 177 507. Quest’esperienza dura da pochi mesi ma i riscontri sono già evidenti.

     

    Solo una donna ha chiesto aiuto a Polistena

    L’associazione finora ha preso in carico quattro donne vittime di violenza di genere.
    Il contesto è la provincia profonda, dove il “sommerso” pesa più che altrove. Perciò farsi avanti diventa ancora più complicato. E i risultati sono altalenanti.
    Ad Ardore i servizi dello sportello d’ascolto cominciano a fare breccia. A Polistena, dove l’associazione è presente dal luglio 2021, le cose vanno altrettanto bene: solo una donna ha chiesto aiuto.
    «Raggiungere le realtà periferiche è molto importante», sottolinea ancora Francesca Mallamace, «perché spesso a una donna può risultare difficile anche giustificare la propria assenza da casa per qualche ora. La nostra presenza sul territorio può rappresentare un notevole passo in avanti».

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    Lo staff dello sportello d’ascolto di Ardore

    La generosità dell’arte

    In aiuto all’associazione e ai suoi tentativi di radicamento nella Locride, a breve arriveranno gli oltre 200mila euro di cui si parlava prima. Li hanno donati sette cantanti italiane: Fiorella Mannoia, Gianna Nannini, Laura Pausini, Giorgia, Elisa, Emma e Alessandra Amoroso. Le artiste hanno raccolto lo scorso 11 giugno con lo spettacolo Una, nessuna, centomila, i fondi per sostenere sette diverse realtà su tutto il territorio nazionale.
    Tra queste, lo sportello di Ardore, che con quei soldi conta, tra l’altro, di organizzare una casa rifugio per accogliere le donne che ne faranno richiesta, su un territorio che ne è rimasto finora sprovvisto.
    Sulla bontà della scelta non ha dubbi Celeste Costantino, presidente dell’Osservatorio sulla parità di genere del ministero della Cultura, e “delegata” dalle artiste all’individuazione dei centri.
    «La selezione dei centri da finanziare ha richiesto un lavoro lungo e approfondito», spiega Costantino. «L’associazione Angela Morabito rispondeva a tutti i requisiti. Noi vogliamo intervenire nei contesti più difficili, proprio come Ardore. E per essere ancora più incisivi abbiamo scelto di aiutare singole realtà con contributi importanti e diretti».

  • Omicidio Vincenzo Cordì, ergastolo alla compagna e al suo amante

    Omicidio Vincenzo Cordì, ergastolo alla compagna e al suo amante

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    Quando i giudici della corte d’assise di Locri fanno il loro ingresso in aula per la lettura della sentenza, lo stanzone al primo piano di piazza Fortugno è affollato dei parenti di Vincenzo Cordì, morto ammazzato nel novembre di 3 anni fa. Seduti ordinatamente sugli scaloni per il pubblico, indossano, tutti, una maglietta con il faccione sorridente del ragazzo. Tanti tra loro, la madre di Cordì e gli altri parenti che hanno presenziato all’udienza, piangono mentre la presidente Monteleone legge le condanne: fine pena mai per Susanna Brescia e per il suo amante Giuseppe Menniti, 23 anni per il figlio di lei Francesco Sfara. Sono loro 3, hanno deciso i giudici, ad avere organizzato e messo in piedi l’omicidio.

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    La sorella e la madre di Vincenzo Cordì all’esterno del Tribunale di Locri dopo la lettura della sentenza

    Omicidio Cordì: cadavere ritrovato dai cacciatori

    Cameriere in tanti ristoranti della riviera, Vincenzo Cordì era un ragazzo normale. Animo gentile e padre di una coppia di gemelli, Cordì è finito stritolato da un rapporto tossico: ammazzato – hanno stabilito in primo grado i giudici del tribunale di Locri – dalla compagna con l’aiuto del suo amante e di uno dei figli di primo letto della donna. Una storia tremenda, costruita su odio, gelosia e rancore, che è finita col costare la vita a quel ragazzone sempre allegro, stordito con una botta in testa e lasciato bruciare all’interno della sua auto quando era ancora in vita. A ritrovare il cadavere carbonizzato di Cordì, nel novembre del 2019, era stato un gruppo di cacciatori in battuta nei dintorni della “Scialata”, una delle zone più gettonate della zona per le scampagnate fuori porta, due giorni dopo la denuncia di scomparsa presentata dalla compagna Susanna Brescia.

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    Vincenzo Cordì e Susanna Brescia

    Una questione privata

    Archiviata quasi immediatamente dai carabinieri la pista del crimine organizzato – la vittima non era collegata agli ambienti della ‘ndrangheta – le indagini si erano spostate quasi immediatamente sul versante della sua vita privata. E quasi immediatamente era venuto fuori il rapporto burrascoso che si era ormai creato tra Cordì e la sua compagna. Un rapporto così controverso che avrebbe portato la Brescia, nel 2016, a drogare con della benzodiazepina il suo partner provocandone un incidente in auto che solo per un caso non ebbe conseguenze mortali.

    I cellulari inchiodano i colpevoli

    A inchiodare i presunti colpevoli di questo omicidio crudele, le tante tracce informatiche lasciate alle loro spalle. A cominciare dai loro cellulari, che si agganciano alle celle telefoniche nel luogo dell’omicidio, all’ora dell’omicidio e che, nonostante i tentativi di ripulitura, mostrano contatti frenetici nei minuti precedenti e successivi alla morte di Cordì.

    E poi le telecamere a circuito chiuso che i carabinieri hanno spulciato una ad una, ricostruendo il percorso di vittima e carnefici, dal cancello di casa fino alle campagne che si inerpicano sulla Limina, passando per il distributore di benzina di Marina dove Menniti si sarebbe fermato per riempire la tanica di benzina necessaria al rogo. E poi gli screenshot del cellulare che gli indagati non avevano cancellato dai loro telefonini e che hanno aiutato gli inquirenti a ricostruire il giro di bugie e sotterfugi che gli indagati avevano messo in atto nel tentativo di indirizzare le indagini verso l’ipotesi del suicidio. Fino al dna della Brescia trovato sull’accendino antivento usato per bruciare il corpo del suo compagno.

  • Venti quintali di tonno rosso sequestrati a Reggio Calabria

    Venti quintali di tonno rosso sequestrati a Reggio Calabria

    Circa 20 quintali di tonno rosso, trasportati come tonno alalunga e privi della necessaria documentazione, sono stati sequestrati dai militari della Capitaneria di porto di Reggio Calabria a bordo di un automezzo proveniente dalla Sicilia a seguito di una richiesta di intervento della Polizia stradale.

    I poliziotti della sottosezione di Reggio Nord, durante un servizio di vigilanza su strada, hanno fermato un furgone isotermico per effettuare un controllo notando all’interno del mezzo la presenza di un notevole quantitativo di prodotto ittico e richiedendo l’ausilio dei militari della Guardia costiera. Grazie all’ausilio del personale veterinario si è poi potuto accertare che il prodotto trasportato, destinato ai mercati calabresi, non corrispondeva per caratteristiche a quello riportato nella documentazione di accompagnamento.

    Difatti, i 13 esemplari, trasportati come tonno alalunga, risultavano essere della specie tonno rosso per i quali la normativa europea e nazionale detta regole stringenti per la cattura, il trasporto, e la commercializzazione. La violazione ha comportato l’elevazione di sanzioni amministrative per oltre 4 mila euro. Giudicato idoneo al consumo umano, il prodotto ittico è stato devoluto in beneficienza ad enti caritatevoli della città.

  • Castorina imbarazza il Pd, ma dice: votato dai vivi, non dai morti

    Castorina imbarazza il Pd, ma dice: votato dai vivi, non dai morti

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    Antonino Castorina di professione fa l’avvocato. È stato capogruppo del Pd in Consiglio comunale a Reggio Calabria e consigliere metropolitano con delega al Bilancio.
    Castorina è stato pure membro della direzione nazionale del Partito democratico. In occasione delle primarie del 2019 è diventato coordinatore regionale della mozione “Sempre Avanti” di Roberto Giachetti e Anna Ascani, ex ministra dell’Istruzione e ora sottosegretaria alo Sviluppo economico.
    L’ex capogruppo è stato, inoltre, coordinatore regionale di “Energia democratica”, la corrente della sottosegretaria.
    Una carriera politica in ascesa, fino al clamoroso arresto nel 2020 nell’inchiesta sui presunti brogli elettorali a Reggio. Oggi Castorina è rinviato a giudizio per tentata induzione indebita nel processo Helios e indagato per concorso morale in falso ideologico nell’inchiesta sui brogli alle ultime amministrative reggine.
    Decorsi i termini della misura cautelare che gli vietava la dimora a Reggio Calabria, l’avvocato è pronto a rientrare nella sua città e nel consiglio comunale dopo un anno e mezzo. Ha deciso di parlare in esclusiva a I Calabresi.

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    Palazzo San Giorgio, il municipio di Reggio Calabria

    Avvocato Castorina, a Reggio i morti votavano per lei?

    «Per la seconda volta consecutiva sono stato tra i pochi consiglieri a superare le mille preferenze in tutti i seggi della città.
    La storia dei morti che mi avrebbero votato è sconfessata prima dal Tar e poi dal Consiglio di Stato. I due organi di giustizia amministrativa hanno chiarito la validità delle comunali di Reggio del 2020. Inoltre, negli atti di indagine a mio carico non c’è alcuna contestazione sul presunto voto dei defunti. Anche perché i loro nomi – proprio perché morti – non possono essere nei registri elettorali. Una fake news bella e buona, usata ad arte per creare suggestione e provare a fare un processo fuori dal Tribunale».

    Il Tribunale del Riesame a febbraio 2021 ha parlato di «vero e proprio sistema di alterazione dell’espressione del voto». Cosa dice a riguardo?

    «Il Riesame si è espresso sulle esigenze cautelari e non sul fatto. Su questo si esprimerà un altro Tribunale quando ci sarà il processo. Mi preme specificare che abbiamo fatto ricorso contro la decisione del Tdl in Cassazione. Tuttavia, la stessa Procura aveva già revocato i domiciliari con il divieto di dimora e poi ha dato parere favorevole alla cessazione della misura».

    Il Presidente di Seggio Carmelo Giustra aveva parlato di un vero e proprio “accordo con Castorina” sui brogli durante l’interrogatorio del dicembre 2020. Lei aveva un davvero questo accordo?

    «Se si legge tutto l’interrogatorio, si può capire come in nessuna parte si sostiene che io ho dato indicazioni di fare brogli. E non è un mistero che il presidente di seggio sottoposto a misura cautelare sia stato interrogato ben tre volte: ciò significa che le sue dichiarazioni sono state alquanto contraddittorie».

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    Giuseppe Falcomatà, il sindaco “destituito” dalla legge Severino

    Quindi non c’erano liste di anziani il cui voto sarebbe stato espresso da altre persone…

    «Di sicuro, durante la campagna elettorale esistevano liste di potenziali elettori che potevano essere intercettati: giovani, anziani, stranieri, tutte le categorie. Alterare la libera espressione del voto non fa parte della mia cultura. Per questo motivo, non avrei mai praticato alcuna alterazione. Inoltre, ritengo che sia molto complicato o addirittura impossibile taroccare i consensi: un seggio elettorale è composto da sei persone, oltre le forze dell’ordine e i dipendenti comunali a presidio degli stessi».

    Lei è imputato nel processo Helios. Secondo l’accusa avrebbe cercato di assumere persone amiche nell’azienda dei rifiuti di Reggio Calabria. Reato o clientela?

    «Lo chiarirà il processo. Io ho fiducia nella giustizia».

    Ma Castorina cosa pensa del clientelismo politico?

    «Io ho fatto politica sempre per passione e per amore del mio territorio, sin da quando ero rappresentante a scuola, all’Università e militavo nel Movimento giovanile. Non vivo di politica, faccio l’avvocato. Perciò il mio impegno politico non si inserisce negli scambi di favori».

    Torna in consiglio comunale, riabbraccerà il Pd?

    «La mia casa è il centrosinistra moderato, riformista e cattolico. La mia idea è quella del Pd. Il Pd si dovrà determinare.
    Tuttavia, tengo a dire una cosa: se se una persona come me – non condannata ma solo indagata – non può stare nel Pd, lo stesso principio dovrà essere applicato a tutti i soggetti indagati o condannati che militano o hanno ruoli nel partito. Io quando ho subito la misura cautelare ho subito comunicato la sospensione dal Pd e da tutti gli incarichi, compreso quello in direzione nazionale.
    Nelle prossime settimane manderò una lettera al segretario regionale Nicola Irto e a Enrico Letta per capire quel che accadrà».

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    Nicola Irto, il segretario regionale del Pd

    Ci sono malumori o mal di pancia da quelle latitudini per il rientro di Castorina nel Pd?

    «Bisogna chiederlo a quelli del Pd. Io non ho malumori con nessuno».

    Ha ricevuto solidarietà dal suo partito in questo anno e mezzo?

    «Ho ricevuto tanta solidarietà umana. Per quanto riguarda l’aspetto politico, ho evitato qualsiasi contatto o rapporto con esponenti della politica calabrese, fino alla revoca delle misure cautelari e al reintegro in Consiglio. Ritenevo inopportuno fare altrimenti».

    Ha mai pensato di dimettersi?

    «Neanche per un istante. Le dimissioni avrebbero significato una ammissione di responsabilità che non ho mai immaginato di avere».

    Falcomatà “destituito” dalla legge Severino, il cui referendum abrogativo ha fatto flop alle urne, che ne pensa?

    «È una legge giustizialista, totalmente sbagliata e che danneggia le comunità. Mi auguro che molto presto Giuseppe Falcomatà possa tornare al suo ruolo istituzionale».

  • In viaggio con Adele Cambria tra luoghi e memorie

    In viaggio con Adele Cambria tra luoghi e memorie

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    A volte mi trovo a curiosare tra gli scaffali dei rigattieri, o mercatini dell’usato, come li si chiama oggi.
    Resto affranto dallo spettacolo di tutti questi oggetti – tappeti, lampade, servizi per il thè – raccolti negli anni, acquistati forse a rate con sacrifici e rinunce, e custoditi nelle case dove il loro ingombro rende impossibile la vita. Oppure creano dissapori, per il costo eccessivo e il gusto non condiviso.
    Fino a quando, insieme ai mobili scuri ed enormi di vecchi arredamenti, finiscono in vendita a poco prezzo, segno che i loro proprietari non ci sono più.

    Oggetti morti, ricordi vivi

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    La copertina di Storia d’amore e schiavitù

    Sono visite istruttive, “didattiche”: mi riprometto sempre di non comprare più nulla, neanche un ombrello. La sociologia e la psicologia hanno cercato di spiegare il motivo per cui ci riempiamo di cose superflue (pare che la casa sia un’estensione, della tana primitiva).
    I tormenti maggiori mi vengono dai libri, specie quelli originali, raffinati, autografati dagli autori. In vendita per pochi spiccioli.
    Pure i libri vanno incontro al loro destino, e cerco di non comprarne, perché poi penso che verranno portati, di nuovo, dopo la mia prematura dipartita, dal rigattiere a rattristarsi.

    Un ricordo di Adele Cambria

    Ma davanti a un testo di Adele Cambria non ho resistito, l’ho comprato. Tre euro. Mi ha colpito la dedica autografa: «Ad Alessandra, con gratitudine per il suo contributo alla “piccola felicità” di questo mio soggiorno a Cosenza. Adele 19 aprile 2000».
    Si intitola Storia d’amore e schiavitù (Marsilio editore, 2000). Adele Cambria non ha bisogno di presentazioni, è stata una notissima giornalista e scrittrice, nata a Reggio Calabria nel 1931, scomparsa nel 2015.
    La Rai l’ha scelta tra le protagoniste della serie Donne di Calabria (prima puntata il 21 giugno su Rai Storia, alle 22,10). Un racconto del suo modo di vedere la vita affidato al ricordo di persone amiche, alla suggestione di vecchie foto.

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    Eleonora Giovanardi interpreta Adele Cambria in Donne di Calabria

    Critiche dure, provocazioni innocenti

    Non conosco bene i suoi scritti, ho trovato divertente l’articolo che l’ha resa famosa, giovanissima, quando prese di mira le ragazze col Cantù.
    Cioè le ragazze meridionali di buona famiglia, titolari di ampi corredi in vista delle nozze. Questi corredi che dovevano assolutamente comprendere vari capi di pizzo delle pregiate manifatture di Cantù.
    Lei invece desiderava diventare giornalista, perciò dopo la laurea in legge andò a Roma, presentandosi in varie redazioni (ha anche raccontato che avrebbe desiderato fare il magistrato, ma all’epoca le donne non erano ammesse al concorso).

    Il mistero della dedica

    La dedica attesta una sua presenza a Cosenza, probabilmente per la presentazione di questo libro. Ho trovato alcuni video in rete, che si riferiscono ad altre occasioni, a Cosenza e a Reggio Calabria, per i suoi ultimi libri, Nove dimissioni e mezzo (Donzelli, 2010) e In viaggio con la zia (Città del Sole, 2012).

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    Una delle ultime immagini di Adele Cambria

    Non sono riuscito a trovare immagini di questa giornata, del 19 aprile 2000, anche se credo di avere individuato la destinataria della dedica, ma non penso sia importante qui.
    Piuttosto ci sono rimasto male perché nel 2000 ero spesso presente agli eventi, dunque ho cercato di ricostruire perché non c’ero.

    L’invito mancato

    Il 19 aprile 2000 era mercoledì, prima di Pasqua (ho controllato). All’epoca ancora si usavano i manifesti, gli inviti spediti per posta.
    Non mi hanno invitato, evidentemente (mi mancava l’iscrizione a qualche circolo esclusivo). Conservo molti ritagli di stampa locale e non. Non trovo niente sul 19 aprile 2000. Forse, approfittando delle vacanze scolastiche, ero partito per qualche giorno? I posteri avranno grossi problemi a ricostruire la mia biografia, se già io non mi raccapezzo.

    In giro con gli scrittori

    Mi dispiace non esserci stato perché accogliere e accompagnare scrittori in visita nella propria città può essere un’esperienza. A scuola, con altri colleghi, per parecchi anni abbiamo scortato e portato a spasso l’autore di turno, per l’annuale incontro con gli alunni.
    Roberto Pazzi fu colpito dalla toponomastica locale, si soffermò davanti al monumento ai fratelli Bandiera, al vallone di Rovito (contò i cipressi e annotò altri dettagli).
    Dacia Maraini aveva sofferto il viaggio e fu condotta con tutti gli onori a fare un massaggio che la rimise in sesto per affrontare i giovani lettori.

    Dacia Maraini, altra importante icona della scrittura al femminile

    Un altro noto romanziere scroccò la macchina a una collega molto gentile e se ne andò al mare, esonerandoci dai nostri doveri.
    Dante Maffia ci raccontò del metodo di lavoro di Elsa Morante, che aveva frequentato a Roma.
    Ettore Masina mi inviò due romanzi in regalo, lo avevo salvato dal congelamento portandolo in albergo (aveva un abito estivo, ma era una primavera cosentina gelida anche per lui che era nato in Valcamonica).

    Il ritorno in Calabria in punta di penna

    Chi si è occupato di Adele Cambria? Cosa avrà chiesto prima dell’incontro? Avranno organizzato una cena in suo onore?
    Sembrerebbe di sì: nella dedica esprime gratitudine per il soggiorno in città, e non suonano come parole di circostanza.
    Adele Cambria aveva fatto ritorno in Calabria con gli ultimi romanzi, collocandovi storie e personaggi.

    Un’immagine iconica di Adele Cambria

    Forse per fare i conti con le sue radici, come accade a tutti, anche a quelli che non scrivono libri. In Storia d’amore e schiavitù parla di una famiglia benestante, colta, che potrebbe anche essere la sua, di una nonna che nel 1891, appena quindicenne, riceveva lettere appassionate da un giovane brillante e geloso. Un amore contrastato ovviamente.
    E poi racconta del terremoto del 1908, che sconvolge quel mondo e della vita della figlia e della nipote di quella ragazzina, chiusa in casa e sorvegliata a vista fino al matrimonio. Vengono rappresentati gli ultimi decenni del secolo scorso, attraverso la vita di tre generazioni d donne, le libertà conquistate dalle più giovani, ma anche la devastazione del territorio ad opera della ‘ndrangheta.

    Gli occhi di un viaggiatore

    Guardare la propria terra attraverso gli occhi di un viaggiatore ci aiuta a riflettere, ci fa notare particolari a cui non abbiamo prestato attenzione. La Calabria mi sembra ancora poco raccontata, e sta correndo il rischio di diventare lo sfondo cinematografico di nuove, insopportabili saghe criminali.
    Altri libri di Adele Cambria, pubblicati successivamente, portano in Calabria. Ad esempio In viaggio con la zia. Una zia con due ragazzine in giro per la Magna Grecia, tra Calabria e Sicilia, ad esplorare luoghi e miti e culti. Anche qui storie di donne, di case e famiglie viste da una sensibilità femminile.
    Insomma forse non è male andare per rigattieri. Con tre euro si può viaggiare. Se ci torno potrei trovare qualche pizzo di Cantù, da mettere accanto ai libri della Cambria. Come citazione.

  • Il Venerdì nero e il miracolo di Taurianova

    Il Venerdì nero e il miracolo di Taurianova

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    «Mio fratello aveva vinto un viaggio-premio con la Findus, disse: vieni, mia moglie rinuncia, dobbiamo tirarci su. Andammo dunque a Rio de Janeiro: stavamo salendo verso il Cristo del Corcovado quando sentimmo alla radio la parola “Taurianova” E io mi sentii piccolo così».
    Negli anni ’90 la frase «Tanto si ammazzano fra loro» non prevedeva la presenza di innocenti.

    Il paese di don Ciccio Macrì detto Mazzetta, della sua Mercedes e dell’ospedale che sistemava tutti. Pertini che lo caccia via con un provvedimento senza precedenti, il consiglio comunale sciolto per mafia. E poi la faida, la Calabria buia, perduta, tribale. Oltre trent’anni dopo, è successo che alcuni parenti delle vittime – delle une e delle altre famiglie – hanno ideato e partecipato a un docufilm, presentato nella chiesa del Rosario. Persone da ascoltare – gente come noi, con gli occhiali, con i figli, ma bollati a vita – perché questo è un piccolo miracolo. Un segno di futuro, che va oltre la paura e il risentimento.

    Così hanno salvato i bambini delle faide 

    C’è una storia di quegli anni, rivenuta fuori da poco e raccontata anche da don Luigi Ciotti: a quel tempo, i bambini delle faide calabresi furono nascosti a casa di famiglie che si offrirono di crescerli, a rischio della vita. Quei bambini oggi sono uomini e donne salvate, magari hanno un altro nome, uno fa il musicista. Il male ha un appeal commerciale, il bene stufa: chi ha mai raccontato questa storia? Del resto viviamo in un paese in cui i libri noir sono più degli omicidi.

    Quel romanzo e la distruzione di una comunità

    Patria di Fernando Aramburu non è un noir ma una storia vera: letta, riletta, regalata. Parla del terrorismo dell’Eta nei Paesi Baschi, di innocenti ammazzati, di esistenze al buio e morti che camminano, di un sentimento che non è mai perdono, forse rimorso. Di posti chiusi, silenzi e omertà. Aramburu racconta la distruzione di una comunità, che è poi quello che accadde a Taurianova e ad altri paesi della Calabria. Con una rinascita che arriva all’ultima riga.
    Quindi, ecco il docufilm Il Venerdì nero: dopo trent’anni di silenzio che non sono passati invano. Insolita la location per la presentazione, ma girando per la Calabria, scoprirete che moltissime esperienze di riscatto, di lavoro e di resistenza partono da una molla, la fede. Non ci sono state solo processioni fermate sotto il balcone del boss, ma preti e, meno spesso, vescovi che si sono ribellati.

    Fu una faida feroce, i particolari macabri stanno dentro la letteratura della ‘ndrangheta e ne parlarono anche a Rio, come racconta il figlio e nipote di due vittime, oggi assessore. Ci furono decine di morti, fu colpita una ragazzina. La vendetta doveva arrivare ai figli dei figli, ai padri dei padri. Taurianova è più grande di Locri, ha il colore delle campagne. In certe strade senza nome ci si perde, ogni tanto il cippo di una Madonna e fiori finti, confini invisibili, e una varietà incredibile di case: esagerate, non-finite, dignitose. Ci sono tornato di recente per Agrifest, su invito di un gruppo di ragazzi conosciuti in un centro civico dove si fa formazione e accoglienza: lavorano per la buona e sostenibile agricoltura, prezzo giusto, salario giusto.
    Ma quanti anni sono passati, Taurianova? Nel ’91 per la mattanza scattò il coprifuoco.

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    L’articolo della Gazzetta del Sud sulla terribile strage di Taurianova, nota come il “Venerdì nero”

    Tutto quello che è rimosso, prima o poi riaffiora

    Il sociologo Mimmo Petullà, figlio di una vittima, dice nel film: tutto ciò che è rimosso, prima o poi riaffiora. «E non bisogna scadere nella commemorazione, lo scopo è quello di ricostruire una memoria collettiva. La ‘ndrangheta ha paura della memoria, ha bisogno di persone che non pensano». Dietro di lui, la foto del padre. I ragazzi del Pci appena diventato Pds scesero allora in piazza per dire basta, Giovanni Accardi dice: «Volevamo occupare il nostro spazio di giovani, non potevamo mettere la testa sotto la sabbia». Il Partito comunista aveva già i suoi martiri: Rocco Gatto, Giuseppe Valarioti, Giannino Losardo.

    «Noi non ci vendicheremo»

    Il Venerdì Nero, un anno di lavoro, è firmato da Nadia Macrì, che è direttrice di Taurianova Talk, e dal cugino Filippo Andreacchio. Il loro nonno si chiamava Antonio Alampi e fu colpito alle spalle, nella campagna verso Polistena. «La sua storia ha segnato la nostra famiglia: era tornato a piedi a casa dalla guerra, aveva visto l’orrore. Non sopportava le armi. Due settimane dopo uccisero nello stesso luogo un’altra persona, ci è rimasta sempre in testa l’ipotesi che nonno Antonio fosse stato colpito per sbaglio». In chiesa, Vincenzo “Cecé” Alampi, suo figlio, si alzò in piedi per dire che no, loro non avrebbero reagito. «Andiamo avanti, non ci vendichiamo» disse. Poi è diventato direttore della Caritas diocesana. Oggi aggiunge: «Non siamo rimasti intrappolati dalle ragioni del passato».

    Nadia Macrì era bimba a quei funerali e da allora le ronza in testa quella frase di Peppino Impastato: «La mafia è una montagna di merda». Forse questo film è una forma di perdono? «Nessuno ce lo ha mai chiesto. Più che perdonare, mi viene in mente il verbo ricominciare».
    La voce della cronaca nera è di un carabiniere, il maresciallo maggiore Salvatore Barranco, che guida la caserma della cittadina. L’elenco dei morti è speculare a quello di chi è finito in carcere, di chi si è pentito. «Nessuno ci ha detto no» – commenta Nadia Macrì: «Si sono fidati tutti».
    Angela Napoli, parlamentare del centrodestra che finì sotto scorta per le sue denunce, ricorda che allora non si parlava di criminalità nelle scuole: la consapevolezza arrivò dopo le stragi del ’92. Ma Taurianova è stata più lenta di altri paesi.

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    Angela Napoli, ex parlamentare del centrodestra e membro della Commissione Antimafia

    Quel giorno mio padre doveva andare dai professori

    Massimo Grimaldi, assessore alla Legalità e allo spettacolo di una giunta in teoria leghista – per l’influenza dell’ex presidente regionale facente funzione Nino Spirlì – in pratica ormai civica, non trattiene le lacrime. «Fecero uscire mio padre e mio zio dal negozio, fu un’esecuzione. Quel giorno papà doveva andare al colloquio con i professori. Se sai che ha sbagliato, pensi: se l’è cercata. Non ho nemmeno questa consolazione».
    C’è il viceparroco di Rosarno, don Giovanni Rigoli, che ha fatto la tesi sullo scioglimento dei comuni per mafia. Ricorda l’arciprete Muscari-Tomaioli, che stampò un manifesto dirompente e coraggioso: «Fermatevi e siate maledetti da Dio. Io non vi conosco, ma con quale coraggio vi dichiarate fedeli della Madonna della Montagna, se non risparmiate nemmeno una bambina di tredici anni». La Madonna di Polsi, la devozione e “Il Crimine”, citata in mille ordinanze.

    Alla proiezione mancava il sindaco

    Alla proiezione non c’era proprio tutto il paese, ma quasi: mancava il sindaco, c’erano tutti gli assessori, maggioranza e opposizione, le associazioni, di sicuro qualcuno non è venuto perché ha già versato troppe lacrime, il vescovo ha mandato un messaggio. Ma la chiesa del Rosario era piena, Nadia è stata felice di vedere tanta gente. In molti non avranno dormito, una carrellata di facce sarebbe stata una bella scena per il film, che presto sarà disponibile su YouTube. Merita di finire in qualche Festival, non è solo la storia di Taurianova ma di anni dominati dalla paura e dal dolore, di certi nostri fantasmi. E di una nuova generazione che non ne vuole avere più.

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    La proiezione del docufilm nella chiesa del Rosario a Taurianova
  • Reggina, fumata bianca: Felice Saladini è il nuovo presidente

    Reggina, fumata bianca: Felice Saladini è il nuovo presidente

    La Reggina si lascia alle spalle le stagioni di luci e ombre targate Luca Gallo, da oggi il nuovo presidente è Felice Saladini. La notizia, nell’aria già da qualche giorno, è diventata ufficiale nel pomeriggio di oggi con una conferenza stampa nel centro sportivo Sant’Agata. Felice Saladini si è presentato con una sciarpa della squadra al collo e il sorriso delle occasioni migliori.

    Le prime parole di Felice Saladini da presidente della Reggina

    Il primo scoglio da affrontare per il nuovo patron della Reggina sarà l’iscrizione alla serie cadetta. Ma Felice Saladini ostenta ottimismo, sicuro di scacciare le paure seguite all’arresto del suo predecessore Luca Gallo «Stiamo già lavorando per ottemperare alle scadenze imminenti, quelle che permetteranno al club di iscriversi al prossimo campionato. La Reggina è un patrimonio di tutti e dobbiamo tutelarla, Reggio Calabria deve tornare a far sognare tutto il Paese e calcare palcoscenici importanti. Sono contento di poter essere il condottiero», le sue parole ai cronisti.

    Ma il 38enne lametino, ex operatore di call center trasformatosi in imprenditore di successo, ha le idee chiare anche per il riassetto della società: «Questa società merita tanto e sto lavorando per un Cda importante, che sia garanzia di legalità e abbia competenza e passione sportiva. Da qui voglio fare ripartire la Reggina, questa é la mia strategia».