Il pianto del coccodrillo. È paradossale come Provincia e Comune si siano strette al capezzale della Civica, la biblioteca che custodisce l’inestimabile patrimonio librario della città sin dal 1871, dal momento che sono le stesse istituzioni che hanno contribuito al suo crack economico.
Un milione e 63mila euro, il rendiconto economico della Civica al 31 dicembre 2020 segna un passivo monstre. A farla da padrone sono i debiti con dipendenti, fornitori e demanio. Gli unici creditori, invece, sono Provincia e Comune di Cosenza, che da statuto avrebbero dovuto versare rispettivamente 80mila e 120mila euro ogni anno. Solo che nel tempo i versamenti sono diventati sempre meno cospicui e frequenti. E così si è generato il buco, non solo economico, della Civica.
Il dissesto colpisce ancora
Ad oggi la Provincia deve complessivamente 48.509 € riferiti alle annualità 2018 e 2019. Più indietro nei pagamenti il Comune di Cosenza, complice anche la procedura di dissesto finanziario. Da decine di mesi non versa un quattrino e dal 2018 ad oggi Palazzo dei Bruzi ha accumulato un debito di 261mila euro.
Il sindaco Occhiuto ha precisato più volte di avere erogato, dal suo insediamento nel 2011 ad oggi, alla Civica 1 milione 426mila euro, di cui 104mila nel 2018 solo di arretrati. Attualmente, i contributi del 2019 (106mila euro) sono oggetto di insinuazione alla massa passiva. Sarà la commissione straordinaria di liquidazione ad occuparsene e comunque saranno trattati come un normale credito a beneficio di terzi. Tradotto: nel migliore dei casi alla biblioteca andrà la metà del dovuto. Sempre che i commissari ritengano legalmente obbligatorio saldare parte degli arretrati all’ente morale. Sui versamenti 2020 e 2021 è buio pesto.
C’è l’allarme debiti, non quello antifurto
La metà dei debiti della Biblioteca – 556mila euro – spetta al Demanio per canoni di locazione non versati cui vanno aggiunti i 79mila euro per il passaggio della Civica alla Provincia avvenuto nel 2020. Seguono quelli con il personale, che tra stipendi arretrati dal 2019, tfr, contributi, quote sindacali e coattivo Inps, arrivano a 352mila euro. Sono 57mila, accumulati tra il 2014 e il 2020, gli euro che spetterebbero invece alla società che assicura la struttura e il patrimonio librario. Dal 2018 si trascina un debito di 14mila euro per l’impianto di non intrusione, difatti la Civica al momento è sprovvista di sistema d’allarme. Nello stesso periodo è stata erogata una consulenza del valore di 15mila euro ma non è stato possibile risalire al beneficiario. Riscossioni fermo al 2017 a 52mila euro e le spese per la vigilanza e la manutenzione degli impianti ferme al 2018 con un paradossale saldo zero.
La scure dell’Agenzia delle Entrate
Non compiutamente rendicontata, invece, è l’entità del debito nei confronti dell’Agenzia delle Entrate. Che però pesa come un macigno sulle possibilità di ripresa della Civica: eventuali contributi destinati al conto della biblioteca sarebbero intercettati dal fisco e dagli istituti previdenziali prima di arrivare in piazza XV marzo. È successo anche con i fondi – un contentino da circa 35mila euro – stanziati qualche anno fa dalla Regione quando in Giunta sedeva l’assessore Corigliano, mai incamerati dalla struttura cosentina.
In queste condizioni, le spese aumentano e il debito è fatalmente destinato ad ingrossare. La politica litiga sul futuro della Biblioteca. Nell’attesa della statalizzazione e di due progetti di rilancio finanziati di recente, le associazioni provano a dare una mano con una campagna di crowdfunding internazionale senza nascondere mire ambiziose. Ma mentre il medico studia il malato rischia di morire. Tutti dicono di voler salvare la Civica, ma coi soldi di qualcun altro.
Trent’anni di solitudine
Il rischio chiusura per default non è una novità per la Civica. Il primo grido d’allarme a riguardo risale all’aprile 1990, trentuno anni fa, e a lanciarlo fu l’allora Cda della Biblioteca cosentina.
La prova è in una lettera indirizzata ai candidati di Regione, Provincia, Comune e Circoscrizione, firmata da Giacinto Pisani, Fausto Cozzetto, Franco Crispini, Wanda Lombardi, Gustavo Valente e Luigi Gullo. I sei denunciavano l’insostenibilità economico-finanziaria della Civica con i soli contributi di Comune, Provincia e Regione. Quei soldi, scrivevano, bastavano a coprire appena il cinquanta per cento delle spese di gestione. E avevano sempre avuto «la caratteristica del più burocratico e disattento adempimento». Un controsenso, vista l’importanza di quella struttura che aveva poche eguali nel Meridione.
La lettera inviata ai candidati dal Cda della Civica nel 1990
Una lunga decadenza
Nel corso degli anni, alle perdite economiche si sono aggiunte importanti perdite nel patrimonio librario. Nel 1998, sotto la direzione Pisani, sono stati trafugati cinquanta testi rari scritti a mano dai monaci tra il Cinquecento e il Settecento di inestimabile valore culturale ed economico. Dove siano finiti è un mistero ancora irrisolto. Una storia di decadenza civile che fa il paio con quella strutturale. Nel 2010 a causa del «precario stato di conservazione dei fondi antichi della Biblioteca» la Soprintendenza ha proposto l’istituzione del deposito coattivo presso l’Archivio di Stato per il riordino e la ristrutturazione della sede.
La missiva della Soprintendenza
Oggi la struttura della Biblioteca presenta danni al tetto e durante i temporali piove dentro. I due dipendenti (sui 27 previsti dalla pianta organica) rimasti a dar man forte all’attuale direttrice Gentile, non possono nemmeno lavorare. La Civica non rispetta gli standard minimi di sicurezza. E così aspettano la pensione, tra decine di stipendi arretrati accumulati, sperando nell’Inps per recuperare parte di ciò che le istituzioni locali hanno loro negato.
Parafrasando Marx, potremmo dire che uno spettro si aggira tra le vecchie pietre del centro storico. È lo spettro delle chiacchiere, delle parole buttate, delle promesse dimenticate da chi le ha fatte, ma pure da chi le ha accolte. La memoria implacabile di quelle parole resta nell’abbandono dei vicoli, nella rassegnazione delle persone che li abitano, nelle macerie tutt’attorno. E, soprattutto, nel web. È lì che dobbiamo cercarle quelle parole rimaste vuote e scoprire che spesso sono del tutto bipartisan.
Il parco acquatico affonda
Come le parole trionfanti di Franco Ambrogio, epigono di una lunga storia legata al vecchio Pci, che da vice sindaco di Salvatore Perugini annunciava la nascita di un parco acquatico sul lungofiume. Era il 2011, mancava un mese alle nuove Amministrative. e il progetto prevedeva piscine, spazi ludici e attrattivi a poca distanza dal popolare quartiere dello Spirito Santo. «Sta nascendo – gongolava Ambrogio – il Central Park di Cosenza, nel verde delle colline, sulle sponde del Crati e del torrente Cardone, un complesso non solo sportivo che ingloberà le piste ciclabili già funzionanti, i campi da tennis e calcetto e che rappresenterà una grande risorsa per la città». Di quel progetto oggi restano tristi macerie abbandonate, strutture svuotate dal saccheggio dei vandali, emblema del degrado e delle risorse economiche buttate. Risorse cospicue, visto che solo la piscina, realizzata ma mai entrata in funzione, costò 2,5 milioni di euro.
L’interno delle piscine comunali sul Lungofiume
«Sta nascendo il Central Park di Cosenza, nel verde delle colline, sulle sponde del Crati e del torrente Cardone, un complesso non solo sportivo che ingloberà le piste ciclabili già funzionanti, i campi da tennis e calcetto e che rappresenterà una grande risorsa per la città»
Non si è trattato solo di un fallimento politico. Quell’area ha finito per diventare la metafora dell’inerzia e dell’incapacità di una intera stagione amministrativa, ma anche imprenditoriale. La ditta che aveva vinto l’appalto è quasi finita sul lastrico per i ritardi del Comune, sia con Perugini che Occhiuto, nel pagare i lavori. Le condizioni in cui versano le strutture, ormai fatiscenti, sono tali da non rendere pensabile alcun recupero. Servirebbero cifre enormi per ripristinare la funzionalità della piscina e non varrebbe la pena. Il centro storico quindi ha visto nascere e subito morire il suo parco acquatico.
Un mare di promesse sul fiume navigabile
Questa fissazione del parco acquatico pare impossessarsi di chiunque vesta la fascia da sindaco. Anche Occhiuto ha spesso nutrito di oniriche fantasie l’immaginazione dei cosentini, annunciando ciclicamente la navigabilità del Crati. Ed ecco che dal sindaco architetto sono giunte promesse di paesaggi idilliaci, con sponde verdi e alberate, frequentate da cittadini gioiosi. Dulcis in fundo, canoe colorate che solcano le acque del fiume all’ombra del fiore all’occhiello della città: il ponte di Calatrava. Di rendering realizzati grazie alla grafica digitale ne sono circolati diversi, oggi sotto il ponte ci sono solo canneti. Questo non ha impedito al Comune di annunciare ben più di una volta l’avvio dei lavori. Per esempio nell’agosto del 2017, a seguito di un vertice tecnico, poi di nuovo nel gennaio del 2018 e più recentemente all’inizio del 2021. In quel caso però qualcosa era vero: le ruspe scesero nell’alveo del fiume, ma solo per pulirne gli argini.
Le scale (im)mobili del centro storico
Annunciare e non fare può essere una strategia per raccattare consenso, ma fare e poi abbandonare è suicidio politico. Una pratica che all’amministrazione Perugini riusciva alla grande: oltre al “Parco acquatico”, quella amministrazione realizzò anche delle opportune scale mobili in grado di unire comodamente via Padolisi alla Giostra Vecchia. Era il 2009, tempo di elezioni provinciali. E anche in quel caso si esultava «per un’opera che agevola l’accessibilità dei luoghi sia a chi li percorre quotidianamente sia ai visitatori occasionali». Ecco quindi la festosa inaugurazione, la benedizione dell’allora vescovo Nunnari, la presenza del Gotha del ceto politico. Quelle scale mobili, costate 700 mila euro, non sono mai entrate in funzione.
Le scale di via Padolisi hanno funzionato solo durante l’inaugurazione
I soldi delle periferie al salotto buono
Da Perugini ad Occhiuto i destini del centro storico non sono mutati. Le opere realizzate e lasciate morire non sono state salvate dall’oblio. In compenso le dinamiche con le quali si sono diffusi gli annunci di nuove utili opere hanno acquisito modalità più efficaci al fine di conquistare consensi, diventando la cifra caratterizzante degli anni di governo di Occhiuto. L’attuale sindaco ha presidiato i social network usandoli per divulgare capillarmente le nuove progressive sorti che ci attendevano attraverso animazioni grafiche fantasmagoriche, capaci di fare sognare una città nuova e diversa.
Nel 2017, per esempio, Occhiuto parla della “Cosenza che verrà”. E alimenta le speranze nei cittadini delle periferie e particolarmente della città antica, anche perché il progetto si chiama “Riqualificazione urbana lungo il fiume Crati da Vaglio Lise al Centro Storico”. I fondi sono parecchi, la possibilità di una rinascita sembra ben fondata, ma le cose andranno diversamente. La Giunta però, col consenso muto, complice o distratto della maggioranza, delibera di spendere quei soldi altrove. Serviranno per pavimentare la parte finale di corso Mazzini e poi di corso Umberto. Lo scopo ufficiale è «riconnettere il tessuto urbano centrale con quello periferico». Le periferie sono dimenticate, la città storica beffata, il denaro dirottato per abbellire il salotto buono. Quei lavori ancora oggi non sono ultimati, anche a causa di interdittive antimafia.
Universi paralleli e palazzi cassonetto
Ma che le parole fossero un universo separato dai fatti si era ben visto anche prima. Per esempio nel 2016 lo stesso Occhiuto, in piena campagna elettorale, parlava della «rinascita commerciale del centro storico, del museo di Alarico e della Biblioteca civica che abbiamo salvato». Oggi corso Telesio versa nell’abbandono e solo qualche giorno fa, a causa dell’ennesimo crollo, non era transitabile, mentre il museo di Alarico è soltanto quel che resta dell’Hotel Jolly e infine la Civica è agonizzante.
I resti dell’ex Hotel Jolly
Per non parlare del quartiere Santa Lucia, per il cui risanamento Occhiuto nel settembre del 2017, affermava: «Abbiamo voluto incontrare la stampa e tutte le associazioni del centro storico perché la ripresa di questi luoghi è una nostra priorità». Quel giorno aveva al suo fianco il suo vicesindaco, Jole Santelli, che qualche anno dopo sarebbe diventata presidente della Regione. In quell’incontro Occhiuto promise la rinascita del quartiere, interventi di consolidamento delle case, sostegno verso il disagio sociale e contro la povertà, una migliore vivibilità e igiene urbana. Nel 2019 gli abitanti del quartiere scrivevano al sindaco una lettera. Cominciava così: «Santa Lucia è oggi tristemente famosa soprattutto per i suoi palazzi cosiddetti cassonetto».
Alla fine, per Cosenza vecchia, così come per ogni altra area periferica, è sempre una questione di soldi: quelli promessi, quelli mai arrivati, quelli usati per altro.
Fausto Orsomarso l’ha detto e ripetuto: è pronto a denunciare chiunque oserà dire che il mare calabrese è inquinato. Il motivo? La buona qualità delle acque è certificata dai controlli dell’Arpacal. E le chiazze marroni che vi galleggiano sopra? Altro non sono che fioritura algale.
Poco importa che agli occhi (e spesso al naso) dei comuni mortali quelle macchie ricordino più lo sterco che fioriture. O che queste ultime, qualora la versione dell’assessore venisse confermata in toto, non siano esattamente le beniamine dell’associazione Dermatologi italiani. O, ancora, che tra le possibile cause delle fioriture ci sia anche l’inquinamento. Trascurabili dettagli.
Questa mattina, però, a mettere in dubbio la bontà delle affermazioni di Orsomarso sono stati proprio coloro che avrebbero dovuto raccogliere le sue eventuali denunce, ossia magistratura e forze dell’ordine. Con la prima che se l’è presa, tra i tanti, proprio con un tecnico dell’Arpacal, reo secondo gli inquirenti di aver taroccato i controlli delle acque in modo da farle risultare più pure di quanto siano in realtà.
Fossimo in un sillogismo aristotelico l’enunciato sarebbe semplice: Orsomarso denuncia chi dice che il mare è inquinato, la Procura dice che il mare è inquinato, Orsomarso denuncia la Procura. La logica, però, quando c’è di mezzo la politica calabrese non sempre è applicabile.
Dal maestro Scopelliti al discepolo Orsomarso
Qualche anno fa, ad esempio, l’allora governatore Scopelliti si presentò in enorme ritardo a una conferenza stampa presso la Confindustria bruzia. Si giustificò spiegando di aver passato le ore precedenti sorvolando in elicottero il Tirreno cosentino insieme agli esperti regionali e la Guardia costiera. Dal volo avevano tratto una conclusione (secondo lui) rassicurante, che enunciò con solennità: «Il mare calabrese non è inquinato, è sporco». Se fosse impolverato o altro non lo chiarì, nonostante gli sguardi curiosi dei suoi ascoltatori.
Fausto Orsomarso insieme al celebre dj Bob Sinclar
Orsomarso, che di Peppe Dj è stato fido discepolo al punto da intrattenersi in consolle con Bob Sinclar l’estate scorsa, ha usato più o meno la stessa tecnica. Solo che l’operazione della Procura di Paola gli ha scombinato i piani. La minaccia gli si è ritorta contro, mentre sui social fiorivano i commenti ironici sull’accaduto. Una figura degna delle celebri profezie di Fassino. O, per restare in tema, una figura di fioritura algale.
I Decreti Salvini hanno ammazzato anche la scuola di Riace, chiusa per mancanza di alunni. Il grande murales con il faccione imponente degli antichi guerrieri venuti dal mare mostra i segni del tempo. Da quasi tre anni i bambini non passano più sotto l’effigie dei bronzi che li attendevano ad ogni suono della campanella. Anche i corsi di italiano per stranieri e per gli stessi riacesi sono stati sospesi, tutto spostato nel plesso della frazione a mare. Con buona pace dei progetti di rilancio del borgo che avevano portato il paesino jonico sulle prime pagine dei media di mezzo pianeta.
A lezione solo grazie ai migranti
Come tanti micro paesi arroccati sulle colline di questo spicchio di Meridione, il borgo dei santi Cosma e Damiano paga lo scotto di uno spopolamento inarrestabile. Tra gli effetti immediati compare la chiusura sistematica di quelle scuole che non raggiungevano il numero minimo di alunni necessari a tenere aperti i battenti. Nella scuola di Riace però le cose sono precipitate solo negli ultimi tempi. Fino a tre anni fa infatti, l’istituto comprensivo – che raccoglie asilo, scuola dell’infanzia, elementari e medie – era riuscito a mantenere aperta la scuola del borgo grazie all’affluenza massiccia dei piccoli studenti venuti da terre lontane. Eritrei, pakistani, afghani. Gli alunni stranieri hanno rimpolpato per oltre un decennio le fila degli studenti che ogni mattina frequentavano la piccola scuola colorata nel cuore del borgo.
La mazzata dei decreti Salvini
Poi, con l’approvazione dei decreti Salvini varati dal primo governo Conte, i progetti Cas e Sprar sono stati via via smantellati, con le famiglie costrette ad abbandonare il paese in cerca di nuove possibilità. E così, anche le due pluriclassi – un corso per i bimbi dei primi due anni, un altro per il triennio conclusivo delle elementari – sono state chiuse e i bambini trasferiti nel plesso della marina, dove convergono anche i giovanissimi studenti di Camini. Sono poco più di una ventina i bambini rimasti a vivere nelle vecchie case addossate l’una all’altra, tra loro anche una manciata di alunni migranti che, nonostante la chiusura dei progetti, non si sono mai mossi dalle colline a due passi dal mare dei bronzi.
Il sindaco leghista gongola
Troppo pochi i bambini per giustificare la riapertura della scuola. Con il municipio e la stazione dei carabinieri rappresentava l’unico presidio dello Stato sul territorio. I vicini borghi di Stignano e Placanica hanno pagato la stessa drammatica emorragia di studenti in seguito alla chiusura dei progetti d’accoglienza diffusa. Ma gli amministratori locali hanno tentato fino all’ultimo di scongiurare la partenza dei ragazzi.
A Riace le cose hanno preso una piega diversa, con il sindaco leghista Antonio Trifoli (che ha preso il posto dell’ex primo cittadino Mimmo Lucano, indagato dalla Procura di Locri). Trifoli non rimpiange la vecchia realtà. «Se anche fosse possibile mantenere l’apertura della scuola – racconta il primo cittadino – se ci fosse un così alto numero di persone in accoglienza, io non sarei d’accordo a creare delle classi con persone che vengono solo da altri Paesi». E termina: «Io penso che la vera integrazione si faccia quando le altre persone si possono inserire studiando accanto ai bambini del posto. Questa è la vera integrazione. Creare le scuole ghetto, cioè dove ci sono solo bambini immigrati, secondo me non è una cosa buona».
«Il turismo è una cosa complessa», sussurra Sergio Stumpo, cosentino, Ceo di Target Euro, società che si occupa di consulenze per realizzare progetti di sviluppo, con uno sguardo mirato al turismo, impegnata in 60 paesi con 120 professionisti in rete.
Il concetto da cui partire e che Stumpo ripete come un mantra è: collaborazione e partecipazione attiva, strumenti necessari per competere e crescere sul piano sociale ed economico. Non esattamente quel che accade in Calabria.
«Qui c’è una separazione tra il tessuto imprenditoriale e la politica», comincia a spiegare Stumpo, al punto da sospettare una forma di bipolarismo. «Senza condivisione, senza convergenza, non si va da nessuna parte». E se manca un progetto cui aderire, la partita è persa sin da subito.
La bellezza non basta
Eppure, magari pochi lo ricorderanno, il turismo in Calabria ha conosciuto una stagione di crescita. «Erano gli anni settanta – rievoca Stumpo – e la voglia di crescere era tanta. Scalea, Copanello, Tropea, si proiettarono verso lo sviluppo turistico». Quella spinta si fermò presto, naufragando, nella maggior parte dei casi nella speculazione edilizia, nella conurbazione esagerata, nel saccheggio dei territori. Si mandò in fumo la bellezza e con essa il futuro.
Tuttavia «promuovere la bellezza non serve a nulla», dichiara lapidario Stumpo, che vede le opportunità costruite sulla progettualità. Avere spiagge da sogno può risultare paradossalmente inutile, se a sostenere la promozione di quella bellezza manca una idea strutturata.
Uno è meglio di cento
A mancare di progettualità sembrerebbe solo chi ci governa, invece Stumpo su questo aspetto è apparentemente indulgente. Spiega che «la classe politica è il prodotto del meccanismo democratico». L’accusa, dunque, pare rivolta anche a chi l’ha nominata quella classe politica. Eppure questo legame si dissolve, perché «la politica non vede ciò che dovrebbe rappresentare».
Oggi, piuttosto tardivamente, chi governa la Regione propone 100 marcatori identitari. Ma Stumpo storce la bocca. «Sono troppi, creano confusione. Ne basterebbe uno: su cosa si vuole puntare? Cultura, paesaggi, storia?».
Questo errore, che possiamo definire generalista, emerge pure nelle parole di Aldo Presta, docente di Comunicazione visiva all’Unical, responsabile dell’Identità visiva dello stesso ateneo ed Art Director designer.
«Lo spot di Muccino, ma pure quelli precedenti, parlano di una Calabria indistinta e confusa», e comunque arrivano troppo tardi, sempre a ridosso dell’estate.
Un approccio fragile ad un mondo competitivo come quello turistico, una realtà aggravata dal post Covid, che «impone riposizionamenti e marketing territoriali accurati», prosegue Stumpo.
Il richiamo della Calabria poco efficace
I due sguardi, quello dell’economista che crea progetti di sviluppo e quello del comunicatore che costruisce trame per veicolare le idee, convergono nel giudizio sconfortante. «Qual è l’idea di Calabria? Promuoviamo oggetti, non progetti», continua Stumpo, ponendo l’attenzione sulla grande assenza: una strategia.
Si punta sulla presunzione di bellezza, illudendoci che questo basti a richiamare eserciti di turisti. Invece il richiamo resta vago, destinato a perdersi tra le offerte dei competitor, mirate, precise, facenti capo a un piano ben studiato.
«Un progetto per il turismo – spiega Presta – deve partire da una analisi di ciò che si deve comunicare» e in Calabria non sappiamo se questa analisi esiste. Il turismo è un fenomeno complesso e il successo o l’insuccesso sono determinati da quello che fanno tutti i protagonisti di un territorio. Avere un albergo bellissimo, ma con la spazzatura sulla strada, vanifica ogni sforzo. «Se dichiari di avere in Sila l’aria migliore, allora i quad e i fuoristrada devono restare fuori, dando spazio alla montagna dolce, ai cavalli».
Dal turismo ai turismi
Ma c’è una difficoltà in più. Come avvisa Presta, «oggi parliamo di turismi, al plurale, e dobbiamo scegliere su quale puntare per potere individuare i soggetti cui parlare». E oggi i soggetti del turismo usano lingue differenti, al punto che non si parla più di target, ma di tribù, comunità che si raccolgono attorno a pratiche sportive, passioni gastronomiche, istanze culturali. «Con i soldi dati a Muccino si sarebbero potuti finanziare quattro progetti finalizzati a differenti obiettivi», prosegue Presta sconfortato.
Un’altra difficoltà attende la promozione del turismo in Calabria. Nell’era della Rete il digitale non perdona e se i servizi sono deludenti rispetto all’offerta, allora sei spacciato.
Il turismo calabrese sembra imprigionato nello stereotipo che è nella testa dei politici. «La responsabilità è del committente, non dell’efficacia della comunicazione ed è inutile inseguire nomi famosi, da Toscani a Muccino. Se quella è l’idea della Calabria, ogni sforzo è destinato al fallimento», conclude Presta.
Stumpo va oltre: «Siamo abituati a ricevere i turisti, non a conquistarli. La Spagna, la Grecia sono avanti, hanno progettato le isole Covid Free. Qui da noi nessuno parla di progetti turistici, eppure le prossime elezioni regionali sono alle porte».
Non ci sono più gli imprenditori di una volta. In provincia è finito il tempo in cui qualcuno inventava un prodotto o un servizio, lo lanciava sul mercato e se aveva successo ne traeva profitto, dando lavoro in maniera più o meno onesta a un po’ di persone. Dalla fine dello scorso millennio ovunque si è affermata una nuova leva di aziende che fanno dell’intermediazione il loro punto di forza. Assorbono risorse pubbliche per ruminarle in attività indipendenti dalla forbice tra domanda e offerta. In Messico li chiamano “coyote”.
Le fonti di energia più o meno rinnovabili, lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, il calcio e la sanità hanno tra di loro qualcosa in comune. Essendo beni e servizi che comportano una domanda inesauribile, le imprese impegnate in questi settori possono dettare le condizioni dell’offerta. È la più classica delle cornucopie.
A quale delle due tipologie di imprenditori appartiene Eugenio Guarascio? A quella classica, dei produttori di farina, vino o liquori, che in provincia di Cosenza non sono mai mancati? Oppure alla nuova leva delle imprese sagaci? Egli stesso, nella sua autobiografia, cosìama definirsi: «lungimirante».
Calcio e spazzatura, un binomio ad alto rischio
Tutti sanno che esiste un forte legame tra il football cosentino dell’era Guarascio e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani. Proprietaria del Cosenza Calcio è infatti la 4el Group, con sede a Lamezia Terme. Come tutte le holding, essa controlla altre società che possono far parte di un unico processo produttivo oppure operare in settori indipendenti. Ed è proprio qui che sta il problema.
L’errore più grave che il signor Guarascio abbia commesso in questi anni consiste nel “modus operandi”, per usare un termine caro a un’altra delle società da lui guidate: la Hexergia che mette a disposizione il suo «know how, come general contractor, per realizzare insieme alle imprese locali l’efficientamento energetico richiesto dal superbonus 110%».
Sempre nobili propositi, quindi, subordinati però alla circolazione di fondi pubblici. Pensare di poter gestire una società di calcio come un’azienda di smaltimento dei rifiuti è un atto di presunzione. Già tanti, in altri contesti geografici, lo hanno pagato caro. E con essi, soprattutto, a farne le spese sono state le tifoserie legate ai colori di quelle società. Retrocesse, fallite, in alcuni casi cancellate dal panorama calcistico nazionale.
La strana coppia
Fu il sindaco Mario Occhiuto, all’inizio dello scorso decennio, a instradare male Guarascio. Gli propose di assumere la guida di un cammino, quello del Cosenza Calcio, che da ormai tanti anni sbandava tra fallimenti, inchieste giudiziarie e conduzioni avventuriere. L’appalto da circa 8 milioni di euro per lo smaltimento dei rifiuti, a suo tempo aggiudicato alla società Ecologia Oggi di Eugenio Guarascio, certificava la sua capacità potenziale di “far girare i soldi”. E chi, se non un uomo dotato di questa disponibilità economica, potrebbe accollarsi un’impresa ardua come una società calcistica dalla tormentata storia recente? Occhiuto ha però tralasciato di spiegare a Guarascio che il football è una cosa, l’immondizia un’altra.
La trattativa tra Guarascio e… Guarascio
Anche il calcio produce energia rinnovabile, ma è una fonte sociale. Oltre a denaro e pallonate sforna simboli, miti, relazioni, linguaggi e comportamenti non sempre monetizzabili. Ed è l’unico campo della vita pubblica e dell’economia sottoposto al controllo popolare. Se in Italia la politica, la sanità e la scuola riscuotessero lo stesso livello di attenzione e monitoraggio che la cittadinanza riserva al calcio, questo Paese forse potrebbe divenire una democrazia meno incompiuta. È improbabile che un gruppo spontaneo di cittadini si organizzi per studiare il bilancio del Comune di Cosenza. Di solito si delega questo compito ai consiglieri, la maggioranza dei quali lo fa poco e male.
«È opportuno aver dato corso alla transazione su una parte di credito vantato dal Cosenza Calcio nei confronti di Ecologia Oggi, tuttora top sponsor della società, derivante appunto da sponsorizzazione, di ben 450mila euro? In pratica si è fatta una transazione con se stesso, del tutto lecita per carità, ma opportuna?»
Invece nulla sfugge ai tifosi sinceri. Inchiodanti, tanto per formulare un esempio, sono le domande di recente poste dal blog La Bandiera rossoblù a Eugenio Guarascio in merito al bilancio della società rossoblu nel 2018: «È opportuno aver dato corso alla transazione su una parte di credito vantato dal Cosenza Calcio nei confronti di Ecologia Oggi, tuttora top sponsor della società, derivante appunto da sponsorizzazione, di ben 450mila euro? In pratica si è fatta una transazione con se stesso, del tutto lecita per carità, ma opportuna? […] Presidente, da un’attenta analisi dei conti societari si evince che, a fronte di un risparmio maniacale sul lato sportivo che ha contraddistinto il Suo operato da quando è amministratore del Cosenza Calcio, certificato dai budget più bassi della categoria che annualmente mette a disposizione dei Suoi collaboratori, si registra probabilmente uno spreco in altri settori, dove i costi per servizi e oneri diversi di gestione rappresentano quasi la metà delle uscite societarie e risultano essere di gran lunga superiori rispetto a società che hanno costi più consistenti».
Mario & Eugenio, nemiciamici
Ecco perché Occhiuto avrebbe dovuto essere più chiaro col suo amico Eugenio tanti anni fa, a costo di apparire brusco e perentorio. Invece, il loro sodalizio non è mai entrato davvero in crisi. I rapporti tra i due non si sono incrinati tutte le volte che Ecologia Oggi ha tardato nel retribuire i suoi dipendenti. Né quando la città ha vissuto giornate di emergenza nella raccolta dei rifiuti. Guarascio ha scaricato le responsabilità su Palazzo dei Bruzi, che in questi anni di soldini gliene ha versato tanti, al di là dei fisiologici e congeniti ritardi della pubblica amministrazione. La base d’asta del capitolato d’appalto prevede 6.696.321 euro solo per la retribuzione del personale. Ai costi di gestione delle attrezzature (mastelli, carrellati ecc.) sono destinate 152.943 euro. Soltanto per le buste se ne spendono 252.240 e 1.351.787 in automezzi.
Il loro rapporto di amicizia si è ricomposto anche dopo lo scaricabarile in mondovisione, all’indomani della figuraccia galattica rimediata il 1° settembre 2018, quel Cosenza-Verona che avrebbe dovuto consacrare il ritorno della città in serie B, invece non si disputò e finì 3-0 a tavolino per gli scaligeri a causa dell’impraticabilità del manto erboso, un evento inedito nella storia del calcio italiano.
Il progetto del nuovo stadio del Cosenza
E Mario ed Eugenio non hanno litigato nemmeno quando il sindaco propose all’imprenditore un oneroso investimento nel project financing che avrebbe dovuto partorire il nuovo stadio “San Vito-Marulla” a gestione privata. Il progetto sfumò forse anche per l’incapacità di trovare un attore locale. Del resto, Guarascio era stato chiaro sin dall’inizio. Lui di calcio capisce poco e niente. Avrebbe svolto il suo “compitino” riportando la squadra nel professionismo ma lasciandola galleggiare. Si sarebbe guardato bene dall’effettuare spese pazze, badando soprattutto a mantenere in equilibrio il bilancio societario.
Cambia la categoria, non il modus operandi
La svolta è avvenuta inattesa, quasi per caso o comunque in conseguenza di quello che all’unanimità è stato definito un “miracolo sportivo”: la promozione in serie B del Cosenza 2017-18, allenato da mister Braglia. È stato a quel punto che Guarascio s’è reso conto di quanto possa divenire redditizio questo “settore” della sua holding.
Peccato, però, che abbia coltivato l’assolutistica pretesa di mutuare il modus operandi dalla sua impresa attiva nello smaltimento dei rifiuti: poche le risorse impegnate nella valorizzazione del personale e nella comunicazione, scarsissimo rischio negli investimenti, strategia del salvadanaio, massimo del risultato da ottenere col minimo sforzo economico. Nei rifiuti questo è possibile, nel calcio no.
Tutta colpa dei cosentini
Sia Guarascio che Occhiuto diranno che se in città la raccolta differenziata non sempre è svolta in modo “europeo”, e le nostre strade spesso sono punteggiate da mini-discariche condominiali, la colpa non è né del Comune né di Ecologia Oggi. Ma a entrambi bisognerebbe chiedere se le campagne di sensibilizzazione pubblica per favorire il corretto svolgimento della raccolta differenziata, previste e finanziate dal capitolato d’appalto, siano state effettuate davvero in modo incisivo. Perché è chiaro che se la cittadinanza fosse stata educata alle buone pratiche, maggiore sarebbe la domanda di mastelli, sacchetti per il conferimento e ritiro degli oli esausti a domicilio.
Se la richiesta dall’utenza non c’è, sebbene il servizio sia predisposto, l’erogatore non è tenuto a procedere con l’erogazione del servizio, quindi può risparmiare sui costi di lavorazione. Quanti mastelli e quante buste rimangono “nella pancia” di Ecologia Oggi perché nessuno ne fa richiesta? Eppure appaltante e appaltatore dovrebbero avere interesse a incentivare la differenziata. Nel capitolato Palazzo dei Bruzi riconosce a Ecologia Oggi detrazioni per 668.450 euro di ricavi annui derivanti dal conferimento di materiali riciclabili alle piattaforme Conai.
A beautiful mind
Riversare questa “filosofia” da imprenditore stop and go nel football è il vero peccato mortale del signor Guarascio. Nello smaltimento dei rifiuti solidi urbani, quando un dipendente è inviso ai superiori o poco compatibile con l’azienda, lo si licenzia. Nell’impresa del pallone questa prassi è impraticabile. Contano i risultati sul campo, altrimenti l’enciclopedia mondiale del calcio non conterrebbe le sacre icone di Paul Gascoigne e George Best. E dalle nostre parti, non avremmo mai potuto osannare talenti come Michele Padovano e Marco Negri.
Nella valorizzazione dell’immondizia si può fare a meno di una figura geniale come Ilenia Caputo che aveva contribuito notevolmente a costruire il brand Cosenza Calcio. E si può rinunciare ad assumere un direttore generale. Nel football del terzo millennio si ha bisogno più di siffatte figure che del pallone per giocare. Ma questo a Guarascio nessuno lo ha spiegato. E siccome egli stesso definisce la propria mente «brillante e carismatica», è chiaro che ritiene di non aver bisogno di consiglieri.
È un vero peccato. Quel che manca a lui come a tanti imprenditori del nostro tempo è una formazione umanistica. Se l’ecologico patron avesse letto Pasolini, Galeano, Desmond Morris o i nostri Francesco Gallo e Francesco Veltri, chissà, forse il Cosenza avrebbe meritato sul campo la permanenza in serie B.
«Gigliotti? Si è trovato al posto giusto al momento giusto». Un professore che sa bene come vanno le cose nell’Università Magna Graecia di Catanzaro commenta così, chiedendo di restare anonimo, la folgorante carriera di Fulvio Gigliotti, ordinario di Diritto privato al Dipartimento di Giurisprudenza, economia e sociologia dell’ateneo del capoluogo e, dal luglio del 2018, componente del Csm.
Nel massimo organo della magistratura Gigliotti ci arriva come membro “laico”, ovvero eletto dal Parlamento, in quota M5S. Ai grillini spettano all’epoca – sono i “bei” tempi in cui anche per questi incarichi bisogna passare dal voto sulla piattaforma Rousseau – tre caselle nel Csm. E dopo Alberto Maria Benedetti e Filippo Donati, il prof catanzarese supera di 76 clic il quarto candidato, Vito Mormando. Dopo qualche mese (ottobre 2018) c’è per lui un ulteriore scatto. Il plenum lo elegge quale componente laico della Sezione disciplinare, organismo permanente dello stesso organo costituzionale che si occupa dei procedimenti contro i magistrati ordinari. Giusto per capire quanto sia rilevante e delicata la funzione: Gigliotti presiede il collegio giudicante che espelle Luca Palamara dalla magistratura.
Lupacchini, Palamara e i bordini bianchi
Qualche passaggio ironico sulla sua scalata al Csm lo dedica di recente, intervistato da Nicola Porro a “Quarta Repubblica”, l’ex procuratore generale di Catanzaro Otello Lupacchini. Il quale a sua volta, nella seduta della commissione disciplinare – che poi ne avrebbe confermato il trasferimento a Torino per gli scontri con il procuratore capo Nicola Gratteri – viene interrotto spesso proprio da Gigliotti che lo invita a rimanere sull’argomento.
L’ex magistrato Luca Palamara
Ma l’ex segretario dell’Anm ne parla con toni non proprio lusinghieri già nel libro-intervista Il Sistema con Alessandro Sallusti. Palamara dice di essere stato avvicinato «direttamente e indirettamente» da Gigliotti – «uno sconosciuto professore calabrese uscito per magia, nella migliore delle ipotesi, dalle primarie che i Cinque Stelle avevano indetto su Internet per scegliere i candidati al Csm» – il quale sarebbe stato tra quanti avrebbero tentato di dividerlo da Cosimo Ferri, parlamentare renziano considerato fautore del “Patto del Nazareno” che, in quella fase di guerra correntizia tra toghe, avrebbe condiviso con Luca Lotti e lo stesso Palamara l’obiettivo di «sbarrare la strada all’ascesa dei Cinque Stelle nel governo della magistratura».
Un’altra citazione Palamara gliela dedica raccontando un retroscena frivolo sull’elezione (settembre 2018) del nuovo vicepresidente del Csm: «Tra i candidati – meglio sarebbe dire autocandidati – c’è Fulvio Gigliotti, membro laico eletto dai Cinque Stelle. Sa qual è la battuta che circolava nelle sacre stanze del Csm che si erano indignate per Mesiano (il giudice dai calzini “strani” che condannò Fininvest, ndr)? Questa: “Uno che si presenta con scarpe blu con i bordini bianchi per definizione non può fare il vicepresidente”». Per la cronaca: a imporsi è David Ermini, deputato – «renzianissimo», tuonano all’epoca i 5 stelle – e avvocato penalista.
Il curriculum di Gigliotti
Per i curiosi interessati al curriculum vitae del professor Gigliotti viene in soccorso una rivista specializzata, “Giustizia Civile”, diretta da Giuseppe Conte – “quel” Giuseppe Conte – e Fabrizio Di Marzio. Nato a Catanzaro – si legge nella versione online del giornale – il 13 giugno 1966, Gigliotti si laurea a 24 anni con 110 e lode e dignità di pubblicazione della tesi. Dal 1994 è abilitato all’esercizio della professione forense mentre, nel 1999, entra nei ruoli universitari come ricercatore.
Qui c’è il primo salto con tempistica definita «non comune» da chi conosce le dinamiche universitarie. Da ricercatore in Diritto della navigazione e dei trasporti diventa, nel giro di soli 2 anni, professore associato di Istituzioni di diritto privato (2001). Quindi l’altro passaggio «sorprendente». Nel 2005, a soli 6 anni da quando è entrato nei ruoli dell’ateneo, è professore ordinario di Diritto privato. Quindi entra nel Cda dell’Università e della Fondazione universitaria Umg. Insegna in (e dirige) diversi Master. Fa parte di commissioni di concorso per docenti e ricercatori universitari e in quelle per gli esami da avvocato e commercialista.
Negli anni è anche componente del Consiglio giudiziario istituito presso la Corte d’Appello di Catanzaro, membro del Comitato di consulenza giuridico-amministrativa del Commissario delegato per l’emergenza ambientale in Calabria, consulente della Regione per la formazione del Quadro territoriale regionale e consulente della Field, fondazione regionale in house finita in una bufera giudiziaria per presunte «spese pazze» nell’era (Scopelliti) in cui a presiederla era Domenico Barile. È autore di molti saggi e pubblicazioni ma è ricordato anche per aver iniziato (dal 1993 e fino al 1999) l’attività di avvocato nell’Ufficio legale dell’Enel.
Il mentore e la guerra in facoltà
«Ha indubbiamente scritto molto – commenta ancora la nostra anonima fonte – e non metto in dubbio la qualità dei suoi lavori. Ma è altrettanto indiscutibile che nella sua ascesa abbia giocato un ruolo importante l’essere stato allievo di Ciccarello». Sebastiano Ciccarello è il (compianto, è scomparso nel 2017) preside della Facoltà di Giurisprudenza proprio negli anni in cui Gigliotti passa velocemente da ricercatore a professore associato.
L’Università di Catanzaro
A Catanzaro ha insegnato per più di un ventennio. Ha ricoperto l’incarico di direttore di Dipartimento (dal 1989 al 1995) e, appunto, di preside dal 1995 al 2001, anno in cui viene eletto alla guida della facoltà di legge a Reggio, dove è poi confermato anche per il mandato successivo. Ciccarello è espressione di quella “fazione” accademica che nei corridoi dell’ateneo del capoluogo identificano come «messinese», da sempre in contrasto con quella «napoletana» che invece governa il Dipartimento da qualche anno a questa parte. Si tratta di “scuole” potenti, i cui allievi hanno spesso fatto carriere veloci.
Lo sponsor politico
In politica invece su chi sia lo sponsor di Gigliotti non ci sono molti dubbi. Se lo si chiede off the record a diversi parlamentari calabresi del M5S rispondono tutti in coro che per farlo arrivare al Csm è statodecisivo il ruolo di Nicola Morra. Come presidente della Commissione Antimafia, si racconta nel sottobosco grillino locale, Morra ha sempre esercitato una sorta di ultima parola sulle nomine che contano. Ed è sempre riuscito anche ad avere una certa influenza su alcuni gruppi di attivisti che in determinati frangenti possono risultare decisivi nelle votazioni online.
Pare che alcuni deputati pentastellati abbiano provato ad opporsi alla nomina al Csm di Gigliotti. In che modo? Utilizzando le voci, rimaste solo tali, su una sua presunta e mai confermata appartenenza alla massoneria. Sono i mesi in cui nel M5S scoppia il caso del candidato massone Bruno Azzerboni e qualcuno prova a fare leva su quelle dicerie per sbarrare la strada al prof catanzarese. Non c’è però nessuna conferma su quanto sussurrano all’orecchio di Alfonso Bonafede le malelingue istituzionali. Così l’allora ministro si adegua alle indicazioni di Rousseau. Quello scarto di 76 clic entra nella storia della magistratura italiana che, forse, nelle sue pieghe più nascoste è ancora tutta da scrivere.
Scontri durante il vertice internazionale del Global forum. Violente cariche della polizia in assetto antisommossa, una sessantina di feriti tra i manifestanti che volevano raggiungere piazza del Plebiscito. Quattro mesi prima di Genova, arriva per la prima volta in Italia l’onda lunga partita tra giugno e novembre del 1999 a Colonia e Seattle. Prima la catena umana del movimento Jubilee2000 attorno all’edificio che ospita il G8, poi la protesta dei 50mila in occasione del Wto (Organizzazione mondiale del commercio). In seguito, altri scontri a Praga (settembre 2000, summit Banca mondiale – Fondo monetario internazionale) e Nizza (dicembre 2000, vertice del Consiglio europeo).
Bernard 25-30 gennaio 2001, Porto Alegre
L’anno di Napoli e Genova si era aperto a Porto Alegre (Brasile) negli stessi giorni del Forum economico di Davos (Svizzera): del primo Forum sociale mondiale resterà una frase che farà da slogan per i movimenti a seguire («Un altro mondo è possibile», pronunciata da Bernard Cassen, presidente dell’associazione francese Attac).
Canada 21 aprile 2001, Québec
Centinaia di arresti e decine di feriti dopo gli scontri tra forze dell’ordine e manifestanti: una barriera di persone circonda l’edificio che ospita il vertice dei capi di Stato riuniti per discutere del progetto di una zona di libero scambio nelle Americhe (Nafta).
Danesi e tedeschi 15 giugno 2001, Göteborg
Ancora scontri tra polizia e attivisti: due feriti gravi tra i 20mila manifestanti accorsi in Svezia (da Danimarca e Germania, soprattutto) per contestare il vertice dei capi di Stato dell’Ue.
Emigrazione 19 luglio 2001, Genova
La prima grande manifestazione del G8 di Genova è per rivendicare i diritti dei migranti: sfilano pacificamente in 50mila, portando l’agenda politica su uno dei temi caldi del movimento.
Ferro 20 luglio 2001, Genova
È la giornata più tragica: scontri dalla mattina, si vedono i black bloc, manganellate e ferimenti, cariche contro i pacifisti della rete Lilliput in piazza Manin (60 feriti) e sul corteo delle tute bianche. In sede processuale si stabilirà che in questo secondo caso alcuni carabinieri hanno agito in modo illegale, senza coordinamento con la centrale operativa e, in qualche caso, con mazze di ferro e armi non di ordinanza.
Giuliani, Carlo 20 luglio 2001, Genova
Le violente cariche in via Tolemaide si spostano tra via Caffa, via Tommaseo e piazza Alimonda. Qui, uno dei due Defender dei carabinieri in ritirata, rimasto senza lacrimogeni e bloccato da un cassonetto della spazzatura, viene attaccato dai manifestanti. Intorno alle 17,40 un carabiniere di 21 anni, Mario Placanica, spara due colpi di pistola, uno dei quali uccide Carlo Giuliani, 23 anni, che ha raccolto un estintore da terra. La camionetta passerà per due volte sul suo corpo prima di lasciare piazza Alimonda.
«Hanno colpito la porta» notte del 21 luglio nella scuola “A. Diaz”, Genova
«Era mezzanotte e dormivamo nei sacchi a pelo. Hanno colpito la porta gridando: polizia. D’istinto chi si è alzato è scappato di sopra. È stato un errore, certo, ma stavamo tutti dormendo. Ci hanno fatti stendere pancia a terra, hanno rovesciato tutto, spaccato ogni cosa, strappato documenti. Ci insultavano e picchiavano coi manganelli la gente distesa, urlando. Ho visto ragazzine svenire. Uno diceva: attenti che non muoiano. Io sono scappato quando hanno aperto per far uscire il primo massacrato» (testimonianza di Michael Gieser a Concita De Gregorio, La Repubblica, 23 luglio 2001)
Inchiesta No global 14 novembre 2002, Cosenza
A pochi giorni dal festoso e pacifico corteo no global di Firenze, scattano le manette: “Retata no global, venti arresti al sud per cospirazione” titolano i quotidiani nazionali. Il blitz all’una di notte: i reati contestati sono associazione sovversiva, cospirazione politica e attentato agli organi costituzionali dello Stato. Cosenza al centro delle attenzioni mediatiche si prepara a vivere la sua settimana più importante, il movimento pulviscolare e litigioso per definizione si ricompatta attorno ai compagni in carcere. È il giorno in cui papa Wojtyla in parlamento chiede «clemenza per i detenuti» e Lina Sotis parla di «tendenza Cosenza» sul Corriere della Sera, paragonando la città di provincia a una piccola Parigi di cui in tanti non conoscono neanche l’esistenza. Per ironia della sorte, per molti proprio da quel giorno non sarà così.
Liberateli 15 novembre 2002, Cosenza
L’aula del consiglio comunale di Cosenza occupata per solidarizzare coi no global arrestati
Assemblea al cinema Italia per chiedere la liberazione degli arrestati: il movimento s’impone alla politica e un mini-corteo spontaneo muove verso il Comune dove è in corso una seduta del Consiglio. L’aula viene occupata e i lavori interrotti con il beneplacito del sindaco Eva Catizone, eletta appena 5 mesi prima. Accogliere i manifestanti sarà un primo modo per schierarsi: sfilerà in corteo e terrà aperte le finestre del Municipio, sempre illuminato, facendo tornare alla mente di molti l’accorato sostegno di Giacomo Mancini – il compianto sindaco che l’ha designata per la successione – dopo i blindati all’Unical di vent’anni prima.
Magistratura democratica 17 novembre 2002, Cosenza
Md nota che gli stessi reati di cospirazione politica contestati ai 18 attivisti meridionali furono usati per incriminare Gelli e Mazzini, o i comunisti durante il Ventennio. I capi d’imputazione sono definiti «retaggio autoritario dell’epoca fascista». Da altri vengono evocati il codice Rocco e il teorema Calogero («il 14 novembre come un nuovo 7 aprile» in riferimento agli arresti del 1979).
Il senatore comunista Francesco Martorelli scrive «L’operazione che ha portato alla cattura di molti giovani si segnala per “un errore di ortografia giudiziaria” e per un “insieme di errori maldestri”, come dice lucidamente, in un articolo sul Manifesto del 19 novembre, il giudice Giuseppe Di Lello. Il dato giudiziario è stato certamente sconvolgente perché espressione di “altra cultura” che si è manifestata in quegli uffici giudiziari. È proprio questa “altra cultura” che ci impensierisce» (Quotidiano della Calabria, 22 novembre 2002).
Intanto, seconda partecipatissima assemblea al cinema Italia: con la delegazione cosentina che ha visitato i detenuti nelle carceri speciali ci sono anche il leader delle tute bianche Luca Casarini (che ai microfoni di Radio Ciroma dirà «spero nel carnevale di Cosenza, è questa la nostra potenza») e don Vitaliano Della Sala, il parroco di Sant’Angelo alla Scala «amico di disobbedienti e comunisti» che sarà poi sospeso a divinis per sei mesi. Quell’assemblea della domenica pomeriggio si chiude con un corale “Bella ciao”.
«Non ci avrete mai…» 22 novembre 2002, Arcavacata di Rende
«… come volete voi». A una settimana dalla prima assemblea spontanea, il Movimento si conta nuovamente e si prepara al mega-corteo dell’indomani. L’ateneo si offre come collettore di storie e volti da tutta Italia. Alimentari e bar della zona offrono convenienti pacchetti take-away per i manifestanti, costo: 3 euro.
Ottantenni 23 novembre 2002, Cosenza
È il giorno dei settantamila in piazza. Immagine simbolo: da un balcone di viale della Repubblica, al passaggio del serpentone, una ultraottantenne sventola una bandiera rossa dalla sua casa popolare del Ventennio. Dai balconi vengono esposte lenzuola bianche e lanciate rose, per strada banchetti con dolci fatti in casa offerti ai manifestanti. L’assessore Franco Piperno ha suggerito di sistemare arance e vino agli angoli delle strade percorse dal corteo (al prefetto dice «il tragitto dev’essere lungo, dobbiamo sfiancarli, mi creda me ne intendo di manifestazioni»).
Qualche commerciante resta aperto, come il compagno Fuccilla, antifascista di lunga data, che vende elettrodomestici a un passo dal Comune, sul corso Mazzini non ancora pedonalizzato; a piazza XI Settembre il bar resta aperto senza problemi: «Tutti gentilissimi, si vede che sono forestieri…». Tornano in piazza le generazioni dei sessantottini, del 77 e del post-riflusso. Slogan: liberi tutti, siamo tutti sovversivi, disobbedire non è reato, il sud è ribelle, Presila sovversiva; si riaffaccia “un altro mondo è possibile” coniato quasi due anni prima a Porto Alegre. «Non avevo mai visto tanta integrazione tra una città e un corteo» (Pietro Fantozzi, docente di sociologia Unical, ai microfoni del tg di La7).
Pinocchio
«Un’operazione contro i no global? Mi si allunga il naso! Mi ha fatto impressione ricevere la notizia, ho fatto un saltello come quelli che fa il mio Pinocchio» (il commento a caldo di Roberto Benigni che mima il suo personaggio, da poco nelle sale).
Qatar novembre 2001, Doha
Piccolo flashback per riflettere su come, nel frattempo, gli attentati dell’11 settembre 2001 oscurarono i fatti di Genova e l’anno caldo dei movimenti anti-globalizzazione, collocando il terrorismo internazionale in testa alle priorità dell’agenda politica: la nuova assemblea della Wto – ora che il mondo ha iniziato a familiarizzare con un’altra sigla, simile: il Wtc delle Torri Gemelle di Manhattan – si tiene in un luogo lontano mentre «è cambiata la situazione del pianeta, per la comparsa di uno degli effetti più dannosi dell’interdipendenza: il terrorismo globale» (Joaquìn Estefanìa, El Pais, 10 novembre 2001). A due anni esatti dal Wto di Seattle, è come se si fosse chiuso un cerchio.
Ros
«Accade che il Raggruppamento Operazioni Speciali (Ros) dell’Arma dei Carabinieri si convinca che dietro i disordini di Napoli (7 maggio 2001) e di Genova (21 luglio 2002) non ci sia soltanto il distruttivo, nichilistico furore di casseur europei o il violento spontaneismo delle teste matte (e confuse) di casa nostra, ma addirittura un’associazione sovversiva. Concepita l’ipotesi, gli investigatori dell’Arma intercettano, spiano, osservano, pedinano. In assenza di contraddittorio, s’acconciano come vogliono cose, frasi, dialoghi, eventi, luoghi edificando una conveniente e coerente cabala induttiva. È il sistema che più piace agli addetti: “lavorare su materia viva, a mano libera”.
Organizzato il quadro, occorre ora trovare un pubblico ministero che lo prenda sul serio. Alti ufficiali del Ros consegnano il dossier, rilegato in nero, di 980 pagine più 47 di indici e conclusioni ai pubblici ministeri di Genova. Che lo leggono e concludono che “quel lavoro è del tutto inutilizzabile“. Gli investigatori dell’Arma non sono tipi che si scoraggiano. Provano a Torino. Stesso risultato: “Questa roba non serve a niente“. Il dossier viene allora presentano ai pubblici ministeri di Napoli. L’esito non è diverso: il dossier, da un punto di vista penale, è aria fritta. Finalmente gli ufficiali del Ros rintracciano a Cosenza il pubblico ministero Domenico Fiordalisi. Fiordalisi si convince delle buone ragioni dell’Arma dei Carabinieri» (Giuseppe d’Avanzo, la Repubblica, 16 novembre 2002).
Serafini, Alfredo novembre 2002, Cosenza
Il procuratore capo del tribunale di Cosenza si scaglia contro il vescovoGiuseppe Agostino, lo stesso che nel 1970 aveva aperto ai “Boia chi molla” suoi concittadini e ora difende le ragioni della contestazione no global: «Senza conoscere neanche una delle 27.000 pagine del fascicolo processuale, giudica i soggetti basandosi solo su una loro conoscenza di tipo parrocchiale».
Tortura 1 luglio 2021
Alla vigilia del ventennale dai fatti di Genova, nuove violenze nelle carceri riaprono ferite mai suturate. «Nei confronti di persone inermi tanto alla scuola Diaz quanto nella caserma di Bolzaneto attrezzata a centro provvisorio di detenzione, venne praticata la tortura: pestaggi violentissimi (la “macelleria messicana” descritta dall’allora vicequestore di Genova Michelangelo Fournier), atti crudeli come lo spegnimento di sigarette sui corpi dei detenuti, umiliazioni degradanti» (analisi di Riccardo Noury, Amnesty Italia, sul quotidiano Domani).
Umanità
«Li abbattiamo come vitelli (…) Domate il bestiame» (dalla chat degli agenti della polizia penitenziaria protagonisti delle violenze sui detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere il 6 aprile 2020). «Una orribile mattanza» (il gip sull’inchiesta che ha portato a 52 misure cautelari e 110 indagati).
Vedere 14 luglio 2021, Santa Maria Capua Vetere
«Quando si parla di carcere, bisogna aver visto, come ci ricordano le celebri parole di Piero Calamandrei che sapeva bene cosa significasse la vita del carcere. Occorre aver visto. Occorre correggere una visione del diritto penale incentrata solo sul carcere» (Marta Cartabia, ministro della Giustizia, dal discorso pronunciato nel carcere teatro di violenze sui detenuti).
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(Fonti: “Genova 2001”, Internazionale extra n. 15 – estate 2021; “Calabria in prima pagina. Un anno visto dal di dentro – il Quotidiano 10 anni dentro la Calabria”, 2005; “Novembre 2002: le giornate di Cosenza”, speciale Coessenza)
Molto rumore – e altrettanto denaro – per nulla, la storia recente di Cosenza ha per protagonisti i fantasmi delle opere pubbliche mai completate e le ambizioni personali dei politici che le hanno annunciate, spesso in concomitanza con appuntamenti elettorali. Simbolo principale (ma non unico) di questa stagione è la metro leggera, piatto forte dell’agenda politica bipartisan locale da un ventennio. L’idea risale a quando sulle due sponde del Campagnano regnavano Mancini e Principe. Socialisti entrambi ma rivali storici, per una volta si trovano d’accordo su una cosa: si fondano o meno in una città unica, Cosenza e Rende hanno bisogno di servizi integrati. Trasporto pubblico in primis, con buona pace delle aziende private che, di proroga in proroga, continuano a vedersi affidare dalla Cittadella i collegamenti tra i due comuni.
Vent’anni dopo
Da allora sono passati due settennati di programmazione Ue che consideravano strategica la metro, cinque presidenti in Regione (più due facenti funzioni), altrettanti alla Provincia, tre rettori all’università e quattro sindaci per ognuna delle due città, con quelli in carica entrambi al secondo mandato consecutivo. Dai circa 46 milioni di spesa ipotizzati a inizio millennio per realizzare la tranvia si è passati a 90, che sono diventati 160 al momento di fare la gara d’appalto . Ne servirebbero altri 50 però per completare l’opera, stando alle ultime comunicazioni tra Regione e Commissione europea, se mai lo si farà. Nessun binario montato finora, né alternative all’orizzonte. In compenso la sola progettazione definitiva è costata 3,9 milioni di euro fino al 2015. Ma andava completata ed ecco un altro milione e 630mila euro impegnato ad hoc nel 2016.
Cambio di rotta
Non un anno qualsiasi, ma quello della sfiducia al sindaco di Cosenza, Mario Occhiuto. Lascia Palazzo dei Bruzi a pochi mesi dal termine del suo primo mandato. Aveva cominciato nel 2011 proclamando di voler affiancare la Regione nel progetto della metropolitana e di sognare un viale Mancini attraversato dai tram. Si ripresenta agli elettori cinque anni dopo cavalcando l’onda anti-metro cresciuta in città. Nel nuovo programma scrive di voler sfruttare il vecchio rilevato ferroviario e non più il viale per il nuovo collegamento. Sono in tanti a credergli e votarlo per questo. Il sindaco rieletto blocca i tentativi della Regione di dare il via ai lavori, visto che nel frattempo un’Ati composta dalla ravennate Cmc e dalla spagnola Caf si è aggiudicata (da unica partecipante) la gara per la progettazione esecutiva e la realizzazione dell’opera.
Il baratto tra Cosenza e Regione
I ruderi dell’ex hotel Jolly, abbattuto per far posto al museo dedicato ad Alarico
Va in scena il braccio di ferro tra Occhiuto e Mario Oliverio, all’epoca presidente della Regione. Quest’ultimo – insieme alla gauche locale, compreso il candidato democrat a sindaco Carlo Guccione – punta forte sulla metro in centro. Occhiuto, che coltiva ambizioni da leader politico della Calabria postoliveriana, parrebbe pensarla all’opposto. Ma nel 2017, tra lo stupore generale, baratta il suo ok al tram sul viale con altre opere complementari sparite quasi tutte dai radar poco dopo. Le uniche a partire saranno il museo dedicato ad Alarico nel centro storico e il Parco del benessere, proprio sul viale della discordia. Per il primo si è speso già quasi un milione e mezzo, impiegato per acquistare dall’Aterp e poi abbattere l’ex hotel Jolly, sulle cui ceneri dovrebbe sorgere, grazie ad altri tre milioni e mezzo, la struttura in onore del barbaro. Attirerà davvero turisti a Cosenza? Rivitalizzerà il quartiere? A quattro anni dall’accordo è un cumulo di macerie racchiuse tra le reti di un cantiere fermo. Lo scorso ottobre Palazzo dei Bruzi ha annunciato l’imminente ripresa delle attività. I fatti l’hanno smentito.
Quer pasticciaccio brutto de viale Mancini
Va peggio con il parco, che ha costretto a rimodulare a sua misura l’intero progetto della tranvia. Per ora pezzi aperti al pubblico senza collaudo si alternano ad aree chiuse e si è spesa già la metà dei 2,6 milioni previsti. Solo che l’altro milione e 300mila non basta più per finirlo. È recente la notizia di un nuovo impegno di spesa per ulteriori 2,8 milioni che dovrebbero permettere di consegnarlo alla città nel 2022. I cosentini lo attendono dal 2019. Scherzi del calendario, proprio l’anno in cui era attesa la sfida alle Regionali tra Occhiuto e Oliverio, entrambi trombati dai rispettivi alleati prima ancora del voto.
I nuovi stanziamenti si aggiungeranno ad altri 5 milioni liquidati dalla Regione tra il 2018 e il 2020 per la metro che non c’è. E se quest’ultima saltasse definitivamente il conto rischia di aumentare parecchio, con Cmc e Caf a chiedere risarcimenti per i mancati guadagni legati all’appalto. In casi simili si parla sempre di almeno il 10% del suo valore complessivo, ossia un decimo dei 160 milioni alla base della gara vinta dall’Ati.
I fondi dirottati
Sventrare il viale ha creato non pochi problemi di traffico a Cosenza, forse li risolverà una bretella stradale parallela da 800mila euro rifinanziata insieme al parco. Puntare prima sul completamento di quella tornerebbe (o sarebbe tornato) più utile alla città? Chissà, per adesso il Comune pensa a completare il parco. Fatto sta che quest’ultimo, pur restando praticamente uguale, ha bisogno di essere riprogettato. Tant’è che il Comune ha affidato nelle scorse settimane un incarico da 17mila euro al fido – è stato già reclutato per progetti inerenti il verde pubblico e l’edilizia scolastica in passato- ingegner Antonio Moretti affinché provveda.
Ma la metro si farà? Nel nuovo progetto sui lotti numero 1 e 2 del parco approvato dal Comune non ci sono riferimenti ai binari che dovrebbero attraversarlo. A difenderla pare rimasto solo Occhiuto, ormai agli sgoccioli di un’esperienza da primo cittadino in cui ha condotto il Comune ad un inedito dissesto. Il suo collega rendese Marcello Manna pare non contarci più e la Regione ha messo nero su bianco le proprie perplessità. Per ora le coperture finanziarie restano garantite da vecchi fondi Fsc, da cui si pensa di attingere anche nella programmazione 2021-2027 qualora si decida di perseverare. I soldi per la metro che erano nel Por 2014-2020, invece, sono stati dirottati (finora virtualmente) a Natale scorso sulla lotta al covid.
Un tesoro per Cosenza nei cassetti
Il progetto per il nuovo ospedale presentato nel 2016 da Occhiuto in campagna elettorale
Denaro per la sanità cosentina, costretta ad affrontare la pandemia in condizioni disastrose, ce ne sarebbe stato comunque a iosa in realtà. È un tesoro da 375 milioni di euro destinato alla costruzione di un nuovo ospedale che sostituisca l’attuale, più altri 45 per trasformare il vecchio nosocomio. Anche su questo, però, la politica si è spaccata a ridosso delle scorse elezioni. Occhiuto voleva un polo sui colli che sormontano l’Annunziata, da demolire parzialmente e riconvertire in parco con annessa una facoltà di medicina che l’Unical non prevedeva ancora di istituire; il centrosinistra lo preferiva a Vaglio Lise lungo la statale Paola-Crotone, nei pressi della semideserta stazione ferroviaria, così da essere più baricentrico per l’intero territorio provinciale, con quello storico tramutato in una cittadella della salute dove raggruppare uffici e ambulatori di Ao e Asp oggi sparpagliati per la città.
I diritti possono attendere
Liquidati finora 330mila euro per lo studio di fattibilità sulla sua migliore ubicazione (individuata a Vaglio Lise, che si è imposto sulla soluzione di Occhiuto e una a Campagnano), tutto si è fermato. Sulla costruzione dell’ospedale, il relativo studio e altri appalti hanno acceso i fari Gratteri e i suoi. L’inchiesta si chiama Passepartout e per adesso alle accuse della Procura hanno fatto seguito solo proscioglimenti e assoluzioni con formula piena.
Poi, dopo decenni di discussioni, l’Unical ha annunciato l’istituzione ad Arcavacata dell’agognata facoltà di Medicina. E subito Marcello Manna ha colto l’occasione per dire che il nuovo ospedale dovrà sorgere a Rende visto che l’ateneo è lì. Occhiuto invece, considerato che suo fratello è dato per favorito tra gli aspiranti presidenti della Regione, a sua volta ha ritirato fuori il suo progetto per l’ospedale. La famiglia e/o i campanilismi contano più delle valutazioni dei tecnici lautamente pagati, si direbbe.
Il paradosso è che nell’area urbana, tra litigi vecchi e recenti, un nuovo ospedale è sorto, proprio a Vaglio Lise. Quello dell’Esercito però, spedito dal Governo a montarne in fretta e furia uno da campo spendendo un milione. In quello di Cosenza lo spazio per i pazienti covid, infatti, non bastava più. Al danno poco dopo si è aggiunta la beffa di veder convertiti quei tendoni in centro vaccinale, mentre all’ingresso dell’Annunziata la fila di ambulanze cariche di positivi si faceva interminabile. Per garantire il diritto alla salute e quello alla mobilità nell’area urbana ci sono circa 600 milioni di euro. E, infatti, i quattrini scorrono a fiumi. Per realizzare cosa, si vedrà.
Non ha mai smesso di viaggiare il treno che in quel luglio 2001 da Genova ci riportò in Calabria dopo il G8. Un elastico invisibile ci lega a quelle giornate. Con Gianfranco Tallarico rendemmo omaggio alla lapide per Carlo Giuliani nel primo anniversario. Pochi mesi dopo, ci arrestarono con l’accusa d’aver cospirato, sovvertito, impedito al Governo l’esercizio delle sue funzioni, ostacolato la globalizzazione dei mercati.
Dal G8 di Genova al tribunale di Cosenza
Nel 2001 Gianfranco assisteva i bambini disabili. Dopo le manette, perse il lavoro. In seguito fu prosciolto in fase preliminare. Adesso è istruttore di pugilato, plurilaureato, s’è costruito una palestra con le sue mani. Educa i ragazzi di quartiere al rispetto, coadiuva la riabilitazione delle persone disabili. Anch’io per 15 giorni fui sospeso dall’insegnamento. Ma la mia scuola di Lauropoli impose al Ministero di richiamarmi subito in servizio. A Cosenza 50mila persone manifestarono per chiedere la nostra liberazione. Nei tre gradi del lungo processo, fummo tutti assolti con formula piena.
L’ingresso del tribunale di Cosenza
Nel processo il compianto avvocato Giuseppe Mazzotta, sarcastico, propose la convocazione in aula, come persone informate sui fatti, degli “otto grandi della Terra”. George Bush incluso. Il Pm non si oppose. È letteratura il controesame in corte d’Assise a Cosenza del teste d’accusa Spartaco Mortola, dirigente Digos nei giorni di Genova. L’avvocato Maurizio Nucci gli mostrò le immagini delle cariche dei carabinieri su corso Torino. E il poliziotto: «Quello fu un comportamento criminale».
Uno specchio elastico lega il G8 di Genova ai due decenni successivi; non c’è istante di quelle giornate che non riverberi nel presente. La sequenza dell’assalto al carcere di Marassi di allora, se rivista, si riflette nei filmati di oggi sulla polizia penitenziaria che infierisce sui detenuti a Santa Maria Capua Vetere.
Le vite parallele
Hanno fatto carriera, senza separazione, le persone che ci arrestarono. Nadia Plastina era Gip, oggi fa il Pm; Domenico Fiordalisi era pm, adesso consigliere in Cassazione. La sua inchiesta costò allo Stato almeno tre milioni di euro. Polizia e Ros dei Carabinieri lavorarono in tandem. Tonino Gentile propose in Senato promozioni per loro. Il Ros ha poi vissuto momenti bui: sentenze del 2018 lo incastrano nella trattativa Stato-mafia negli anni di Falcone e Borsellino. L’ex senatore Gentile ha ottenuto più di un sottosegretariato prima di finire invischiato, da esterno al processo, nella vicenda Oragate e allontanarsi dai palcoscenici politici più in vista. La Procura di Cosenza è retta dai discepoli di chi la resse 20 anni fa.
Oscar Greco, studioso di storia contemporanea, era in quei giorni nella città della Lanterna: «Rappresentarono insieme l’ultimo capitolo del ‘900 e il primo del secolo entrante». Abilitato all’insegnamento da associato, avendo rifiutato le clientele baronali nell’Università della Calabria, dopo tanti anni di gavetta oggi Oscar si ritrova senza cattedra.
Francesco Cirillo si presentò in piazza con la valigia in cartone, emblema del sud migrante e ribelle ai diktat neoliberisti. Anche Francesco sarà arrestato e poi assolto. In questi 20 anni ha confezionato succosi romanzi, accompagnando con gioia gli squarci di ribellione in Calabria: manifestazioni in difesa dei beni comuni, onda studentesca, rivolta dei braccianti neri a Rosarno, occupazioni di case, movimenti femministi, mobilitazioni per la sanità pubblica. Tutti sogni concreti che già a Genova presero fiato ma furono respinti da gas tossici, proiettili, torture, manette.
Il sesto senso del reggino Mimmo Tramontana ci salvò dalla mattanza. Per sfuggire agli agguati a freddo che le varie polizie stavano perpetrando sui manifestanti in uscita da Genova, l’ultima sera fummo tentati di fermarci a dormire nella scuola Diaz. E Mimmo: «Compa’, andiamocene da qui. C’è un’aria che non mi piace» Oggi, col Consorzio Equosud, da lui fondato, guida i forestieri sui sentieri narranti d’Aspromonte ed esporta prodotti alimentari calabresi, liberi da sfruttamento del lavoro, acquistabili nei mercatini solidali dell’Italia centrale.
Tra gli anti-G8 del sud, anch’egli arrestato e poi assolto, c’era pure Michele Santagata. Adesso fa il giornalista. Di recente, un istante dopo aver subito un pestaggio mafioso che avrebbe voluto tarpargli la penna, ha smascherato i suoi aggressori avvalendosi del quarto potere nel web.
La ragione dei vinti
Oltre al settantasettino slogan “vogliamo tutto”, il movimento del 2001 ebbe l’inedita attitudine a proporre. Abolire i brevetti su farmaci e vaccini, tassare i profitti delle multinazionali: oggi siffatte rivendicazioni sono condivise dall’intera umanità. Dopo aver vissuto quelle giornate, qualsiasi partecipazione al gioco della rappresentanza, magari entrando nelle istituzioni, per molti di noi è divenuta improponibile. Ne ha approfittato Beppe Grillo, riciclando quei temi per catalizzare consenso e farsi Stato. Noi abbiamo perso, sì. Eppure è opinione quasi unanime che avessimo ragione. È raro, ma capita pure che siano gli sconfitti a scrivere la propria storia.
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