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  • Epidemia permanente: i buchi neri della sanità e il vuoto della politica

    Epidemia permanente: i buchi neri della sanità e il vuoto della politica

    Ci sono un centralinista, un elettricista e un giardiniere. Non caricature da barzelletta, ma dipendenti della sanità pubblica almeno fin dagli anni ’70, quando a gestire gli ospedali erano i Comitati di gestione delle Unità sanitarie locali (Usl) con assunzioni scientificamente lottizzate tra i partiti della Prima Repubblica. Per capire in che condizioni sia la sanità calabrese oggi bisogna partire proprio da qui. L’emergenza non è arrivata con il Covid. Ha radici nell’epoca in cui la sanità pubblica era la vera, grande industria del Mezzogiorno, l’unica che per decenni ha permesso a tante famiglie di contrarre il mutuo e mandare i figli all’università. Poi l’assetto di potere ha cambiato forma, così come sono mutati, almeno all’apparenza, i partiti che ne costituiscono l’ossatura.

    Nel nuovo millennio per fare nuove clientele si esternalizzano i servizi. Le Usl diventano Aziende (prima Asl e poi Asp) e il lavoro che dovrebbero fare il centralinista, l’elettricista e il giardiniere va in appalto a coop private che assumono le persone indicate dal politico di turno. Senza dimenticare i legami, cementati con milioni di euro pubblici, tra politica e sanità privata. La bolla alla fine scoppia perché è un sistema che proprio non si sostiene. Tutto a un tratto ci si accorge che si devono far quadrare i conti e arrivano i tagli orizzontali. Si chiudono anche ospedali di zone molto disagiate che erano l’unico approdo sanitario per tanta gente che sopravvive nella periferia della periferia del Paese.

    Oltre dieci anni di commissari, ma la sanità peggiora

    L’involuzione della sanità calabrese si è dunque tramutata in un commissariamento ultradecennale accentuato da quel “decreto Calabria” che, nelle ultime ore, la Corte costituzionale ha bocciato solo in parte. Le reazioni e le interpretazioni circa la pronuncia della Consulta si sprecano, ma è sempre bene ricordare come e quando questa vicenda abbia avuto origine.

    La “tutela” governativa sulla Salute dei calabresi inizia con il governatore-commissario Peppe Scopelliti – anche se i tagli erano arrivati già con Agazio Loiero – e prosegue con i suoi successori: l’ingegnere toscano Massimo Scura; il generale dei carabinieri in pensione Saverio Cotticelli; l’ex superpoliziotto Guido Longo. Quest’ultimo è attualmente in carica, gli altri si sono avvicendati in un decennio in cui le cose non sono affatto migliorate.

    Spulciando tra le carte del Ministero della Salute ci si accorge infatti che i Livelli essenziali di assistenza (Lea) nel 2011 si attestavano a un «punteggio pari a 128», collocando la Calabria «in una situazione “critica”». Dopo 10 anni, stando ai verbali del Tavolo interministeriale (detto “Adduce”) che monitora le Regioni in Piano di rientro, la situazione è addirittura peggiore di prima. Nella riunione romana del 22 dicembre 2020 si registra, per il 2019, un «punteggio provvisorio pari a 119, in rilevante peggioramento rispetto alla precedente annualità e collocando la regione nella soglia di non adempienza».

    Nelle ultime ore dalla nuova riunione del Tavolo Adduce è emerso che il disavanzo al 2020 si dovrebbe attestare sui 90 milioni. È una voragine finanziaria da cui non sembrano in gradi di farci risalire né i commissari-poliziotti con i superpoteri dei decreti Calabria né tantomeno gli stessi politici che in questa cavità ci hanno precipitato e che ora scalpitano per riprendersi “tutt’ chell’ ch’è o’ nuost”.

    Le (poche) proposte dei candidati

    La candidata del centrosinistra Amalia Bruni è del mestiere, le forze politiche che la sostengono, a partire da Pd e M5S, hanno fatto subito sapere che lei «conosce perfettamente i limiti del sistema sanitario regionale». E che questo sarà un «tema centrale dell’azione politica e amministrativa a cui intendiamo guardare».

    L’aspirante presidente del centrodestra Roberto Occhiuto ha annunciato di volere chiedere al governo di «mettere a disposizione della Regione la Ragioneria generale dello Stato insieme ai reparti operativi della Guardia di Finanza per ricostruire i conti della sanità».

    Luigi de Magistris si è schierato «per la sanità pubblica, per una sanità che funzioni e dia garanzia a tutte e tutti» attaccando non tanto Bruni quanto chi la sostiene che, a suo dire, «ha contribuito in questi anni, come il Pd a livello regionale, allo smantellamento della sanità pubblica». Insomma, come proposta politica ancora c’è davvero poco di sostanziale sul piatto della campagna elettorale.

    I ritardi della sanità

    In attesa che si faccia chiarezza (documenti alla mano) sull’ultimissima riunione del Tavolo interministeriale, vale la pena ricordare che a Roma hanno già messo nero su bianco nei mesi scorsi «la gravità concernente la mancata adozione dei bilanci 2013-2017 della Asp di Reggio Calabria», aprendo un capitolo sui buchi milionari finiti al centro di indagini giudiziarie che di recente hanno investito anche l’Asp di Cosenza. E poi le «fortissime criticità sui tempi di pagamento da parte degli enti del Servizio sanitario della Regione Calabria: sulla base delle informazioni fornite dalle aziende, Tavolo e Comitato rilevano che tutte le aziende del Servizio sanitario calabrese non rispettano la direttiva europea sui tempi di pagamento, con ritardi fino a oltre 800 giorni».

    Persistono, secondo i tecnici dei Ministeri, «gravi criticità nell’adesione ai programmi di screening oncologici» e anche le assunzioni restano ferme, tanto da spingere il governo a sottolineare «l’urgenza di dare piena attuazione ai decreti Covid». Al di fuori delle carte ministeriali, invece, va ricordato che se da un lato gli operatori sanitari sono stati costretti a combattere a mani nude la guerra al Covid, con gli infermieri che hanno denunciato turni massacranti e straordinari non pagati, dall’altro sono stati annullati o posticipati migliaia di ricoveri e di interventi. Per non parlare delle prestazioni ambulatoriali, letteralmente crollate.

    I vuoti sul territorio

    In un quadro simile sono in forte ritardo sia la conversione degli ospedali dismessi in Case della salute che la piena operatività delle Usca (Unità speciali di continuità assistenziale). Sono strumenti che, con la pandemia in atto, avrebbero potuto rivelarsi essenziali per evitare le morti, le code delle ambulanze, il caos vaccini, i dati aggiornati a mano perché nessuno ha ancora effettuato la digitalizzazione del sistema.

    «Siamo una regione “ospedalocentrica” ma senza avere gli ospedali», spiega Rubens Curia, ex manager della sanità pubblica e portavoce di “Comunità competente”. Si tratta di una rete di enti di terzo settore, associazioni, persone, sindacati, che da due anni porta avanti una «battaglia culturale» invocando gli interventi previsti dalla legge per la medicina territoriale. «Quando abbiamo rilanciato le nostre proposte, a novembre scorso, c’erano solo 17 Usca attive in tutta la regione, nei mesi successivi ne hanno attivata qualcun’altra ma a ranghi ridotti e con giovani medici che fanno un lavoro massacrante».

    Secondo la legge dovrebbe essercene una ogni 50mila abitanti, ma quella che c’è a Cosenza in via degli Stadi, per esempio, ne ha serviti oltre 160mila. Gli ospedali da campo non hanno impedito che si ingolfassero di nuovo i reparti. E non si sa che fine abbiano fatto i Covid Hotel – il bando della Protezione civile prevedeva per le strutture individuate il pagamento di 65 euro per le camere occupate e 15 euro per quelle rimaste inutilizzate. Ci sono stati anche tanti anziani che, per seguire le paradossali indicazioni della piattaforma di prenotazione, hanno dovuto fare fino a 200 km per vaccinarsi. Qualcuno, addirittura, è dovuto arrivare fino in Sicilia per la sua dose.

    Intanto alla Cittadella si avvicendano ciclicamente gli stessi burocrati che sopravvivono ai commissari inviati dal governo per gestire questa epidemia permanente. Inamovibili più del centralinista, del giardiniere e dell’elettricista.

  • Amianto, voti e lavoro dalle fabbriche del Tirreno

    Amianto, voti e lavoro dalle fabbriche del Tirreno

    Lavoro, amianto e voti sulla strada che porta alle fabbriche del Tirreno cosentino. Qui a Nord della Calabria non solo il turismo ha creato un po’ di reddito e tanta ricchezza per pochi. Migliaia di uomini e donne erano impiegati in quelle che adesso sono soltanto  archeologia industriale. Operai nelle fabbriche della Marlane e Lini e Lane di Praia a mare, donne alla camiceria di Scalea, alla Foderauto di Belvedere, alla Emiliana tessile di Cetraro. Di tutto questo lavoro oggi non rimane niente.

    Le fabbriche abbandonate
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    Il vecchio stabilimento abbandonato della Lini e Lane

    La Foderauto di Belvedere e la Lini e Lane sono abbandonate, la Emiliana di tessile riconvertita ad altro, la Marlane ancora invasa da rifiuti tossici sotterrati. E sembra incredibile che una struttura di questa grandezza, maestosità, imponenza, totalmente in preda al degrado stia al centro di una cittadina, considerata turistica, come Praia a Mare. Uno scheletro enorme emerge fra campi ancora coltivati, il vicino cimitero, palazzi per turisti e residenti. Si entra da un lato, quasi nascosto, proprio alle spalle del cimitero. Di fronte c’è la linea ferroviaria, dall’altra parte scorre la strada provinciale che delimita un altro scheletro: quello della famigerata Marlane.

    Era una fabbrica con 400 operai

    Quando entri nello stabilimento della Lini e Lane campeggia gigantesco, sulla sinistra, a mo’ di guardiano un enorme serbatoio in cemento e amianto. Una discarica invisibile che non vede nessuno, né il sindaco Praticò, né l’Asl. I tetti sono in amianto, così altre strutture. I topi sono dappertutto. Il silenzio è rotto solo dai treni che passano e che rimbombano all’interno vuoto della vecchia fabbrica. Negli anni Sessanta, questo capannone, era il fiore all’occhiello di tutta la Calabria con 400 operai. Da qui uscivano lenzuola, ricami, fazzoletti, tovaglie per tutta Italia.

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    Il vecchio serbatoio della “Lini e Lane”
    Dalla fabbrica uscivano voti alla Dc

    Lo Stato di allora, i governi di allora, i vari panzoni, forchettoni democristiani venivano a visitarla periodicamente rivendicandone nuovi finanziamenti e nuovi incentivi. Così come alla Marlane e in tutte le fabbriche tessili dell’epoca, a Castrovillari come a Cetraro ed a Scalea, da qui non uscivano solo lini e lane, ma anche voti a profusione per la DC. Basta leggere le interrogazioni parlamentari, finte, che gli stessi democristiani calabresi rivolgevano ai loro stessi governi democristiani. Le facevano dimostrando interesse per gli operai e poi in parlamento votavano per le dismissioni. Le interrogazioni del 1967 portano la firma di Mariano Luciano Brandi, socialista saprese, di area manciniana che fu deputato dal 1968 al 1972. Le altre del 1979 portano la firma di Romei, Buffone, Cassiani, Pucci. Democristiani doc che hanno fatto la storia del partito e della Calabria.

    I sindacati reggevano il sacco ai partiti

    I sindacati non disturbavano i partiti. Si accontentavano di esistere con le loro tessere ed anche loro ne approfittavano per ottenere qualche indotto lavorativo. Come avveniva alla Marlane dove la “triplice” si era spartita tutto l’indotto esterno della Marzotto costituendo cooperative guidate proprio dai segretari di Praia a Mare. Loro sapevano che quelle industrie tessili si reggevano solo con i cospicui finanziamenti delle varie Isveimer, Imi, Gepi, Cassa del Mezzogiorno.

    Non avevamo mai visto uno stipendio mensile

    Sono gli operai che non lo sapevano. Operai che provenivano tutti dal mondo contadino, che non avevano mai visto uno stipendio mensile, e che per loro anche una cifra modesta ricevuta ogni mese, serviva loro per incentivare i loro sogni. Vedere il figlio laureato, pagare qualche debito, comprarsi l’auto, magari una Cinquecento o un tre ruote per andare il pomeriggio in campagna, finirsi la casa costruita mattone per mattone da loro stessi.

    Quel che resta delle fabbriche

    Oggi tutto è ridotto a scheletri industriali. Potrebbero diventare musei questi fabbricati. Ma il loro destino è ben altro. Nonostante le denunce fatte dal Comitato cittadino per le bonifiche dei terreni, nessuno è intervenuto. Il Comune dice di non poter intervenire in quanto l’area apparterrebbe ad un privato di Scalea, il privato non ha soldi per intervenire e cerca un compratore. Intanto la struttura continua a vivere mangiando i rifiuti che solerti cittadini praiesi avvezzi alla differenziata continuano a portarle.

     

  • Oliverio verso De Magistris? Sono più di tre indizi

    Oliverio verso De Magistris? Sono più di tre indizi

    Come Ernesto Magorno anche Mario Oliverio non correrà alla presidenza della Regione Calabria. Due rinunce con sorpresa. Mentre il primo ha scelto il centrodestra di Roberto Occhiuto, il secondo si dirige verso Luigi de Magistris.
    L’ex presidente aveva provato a forzare la mano come nel 2014 ma non c’è stato niente da fare. Forte del consenso e della rete costruita tra sindaci e amministratori locali ha deciso di giocare comunque la sua partita e cercherà da gregario le soddisfazioni che non è riuscito a trovare da protagonista.

    Tre indizi fanno una prova

    Lo farà, però, spendendosi fuori dal partito dove ha militato per anni decidendo di offrire il suo patrimonio politico al sindaco di Napoli. Se tre indizi fanno una prova basterebbero i nomi di Giuseppe Giudiceandrea, Mimmo Lucano e Ugo Vetere per confermare quella che per il momento è una voce insistente. E in queste ore diverse sono le indiscrezioni di consiglieri ed ex consiglieri regionali del Cosentino e del Vibonese che hanno avuto un abboccamento con Luigi de Magistris. I nomi che circolano con maggiore insistenza sono quelli di Aieta, Di Natale e Censore.

    Amalia, l’amica di Mario

    Il Pd ha provato a ricucire lo strappo mettendo in difficoltà l’ex governatore con la candidatura della scienziata Amalia Cecilia Bruni, professionista stimata e amica di lungo corso dell’ex governatore tanto da essere stata nominata  nel Consiglio superiore della Sanità proprio durante la presidenza del sangiovannese. Ma non è stato sufficiente. Tutt’altro, se l’effetto è stato quello di spingere Oliverio ad utilizzare tutto il suo ascendente per svuotare le liste del Pd a favore del Polo civico dell’ex sindaco.

    Cosa vuoi di più dalla vita? Un Lucano

    Ad indicare la via, un mese e mezzo fa, era stato l’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano che nel web talk KlausCondicio ha dichiarato: «Non sono nessuno per dare indicazioni, il mio è solo un auspicio che si possa avere un orizzonte più largo possibile. Questo non significa tornare al vecchio politichese. Verso Mario Oliverio così come Agazio Loiero c’è un rapporto di affetto. Mi rendo conto che non sono la sinistra antagonista ma sulla questione che ha fatto volare l’immagine della Calabria intesa come terra di solidarietà e inclusione nel mondo sono stati presenti e partecipi. È un auspicio, una speranza».

    Il 30 luglio è prevista una riunione a Lamezia Terme tra tutti i candidati di Luigi de Magistris, il giorno della verità. Dentro o fuori.

  • Cosenza, quartieri popolari alla conquista del Palazzo

    Cosenza, quartieri popolari alla conquista del Palazzo

    L’attuale balcanizzazione del quadro politico di Cosenza, ha un aspetto curiosamente nuovo: su sei aspiranti sindaco, tre provengono da via Popilia, che con i suoi oltre 20mila abitanti è un terzo della città. Di questi pretendenti allo scranno di Palazzo dei Bruzi, uno solo ha percorsi politici di rilievo (e conseguenti numeri potenziali): Francesco De Cicco, già vicino al notabile Ennio Morrone e poi sostenitore di Mario Occhiuto. Ora De Cicco balla da solo, con un programma minimale e “tutto cose”, probabilmente concepito sugli stessi marciapiedi in cui viene diramato prima che inizi la campagna elettorale. 

    Gli altri due sono Luigi Bevilacqua, self made man di origine rom che vanta un’ascesa culturale non scontata (da operaio ha conseguito il diploma di maturità e ora fila come un treno a Scienze politiche all’Unical), e Francesco Civitelli, che gareggia in pragmatismo (ma non in consensi) con De Cicco.

    I tre hanno un tratto comune: la voglia di dare una voce autonoma ai quartieri popolari, a partire da quello più rilevante, anche a livello simbolico.
    Sempre a proposito di quartieri popolari: se si sommano gli oltre ventimila “popiliani” ai circa diecimila cosentini sparsi tra via degli Stadi e San Vito Alto si arriva a metà abitanti della città. Se a questi si sommano gli oltre cinquemila che resistono nel Centro storico, che ha perso il suo carattere interclassista ed è in fase di “popolarizzazione” avanzata, fare i conti è facile: i quartieri popolari predominano. 

    Una demografia in declino

    Questa trasformazione è dovuta alla demografia e alle mutate condizioni economiche della città, che si è impoverita tutta.
    C’è un’espressione non bellissima che gira tra alcuni addetti ai lavori, che forse l’hanno ripresa dagli intellettuali: “città policentrica”, che, riferita a Cosenza, non è proprio un complimento. 

    Al più, è un modo di indorare la pillola: i cosentini si sono sparsi in tutta l’hinterland, hanno colonizzato Rende e Montalto a Est, determinandone crescita demografica ed economica, Vadue, Mendicino, Laurignano a Ovest e, praticamente, il municipio del capoluogo ne rappresenta solo una parte. Quindi, è un’espressione soft per spacciare il dimagrimento demografico del capoluogo per un’espansione urbana, visto che di realizzare la Grande Cosenza – che fu un sogno urbanistico fascista prima e socialista poi – se ne parla a pezzi e bocconi.

    Quarant’anni, 40mila abitanti in meno

    Ma il dimagrimento demografico, iniziato negli anni ’80 avanzati, ha acquisito due aspetti tragici: quello tipicamente meridionale dell’emigrazione, ripreso alla grande a partire dagli anni ’90, e quello più global (almeno per quanto riguarda l’Occidente) della denatalità.

    Ed ecco che Cosenza, dopo aver raggiunto il massimo della popolazione residente nel 1981 con 106mila e rotti abitanti (dato Istat), si è ridotta agli attuali 65mila e rotti (dato del 2019). In pratica, è sprofondata nella sua stessa Provincia, dove l’ha battuta la nuova città Corigliano-Rossano, con i suoi oltre 70mila abitanti. Ed è diventata una città di peso secondario nel contesto regionale, visto che viene anche dopo Lamezia Terme, che non è capoluogo e non vanta importanti tradizioni storico-urbane. Ma ha quasi 70mila abitanti e l’unico aeroporto funzionante della Regione. 

    Chi sono i cosentini?

    A dirla tutta, Cosenza non è mai stata una città di grandi numeri. Si presentò all’Unità d’Italia con poco più di 18mila abitanti, raggiunse un primo picco demografico nel Ventennio, quando superò i 40mila ed ebbe il boom urbanistico a partire dal dopoguerra.

    La crescita di Cosenza si è basata su un fenomeno tipico delle aree marginali: l’inurbazione, che in questo contesto riguardò gli abitanti del contado e della provincia, attratti dalle maggiori opportunità offerte dalla città e la minoranza rom, che crebbe in maniera forte a partire dagli anni ’50. I cosentini “puri”, che potevano vantare più di quattro generazioni nel perimetro urbano, sono diventati minoranza in una popolazione che si è rimescolata più volte.

    Alla crescita artificiale, stimolata dalle opere pubbliche e dalle assunzioni più o meno clientelari nelle amministrazioni e negli enti pubblici nati come i funghi durante la Prima Repubblica, è seguita una decrescita naturale, che tuttavia prosegue a rilento perché, mentre i rampolli del ceto medio emigravano per studiare o lavorare, i quartieri popolari hanno tenuto a livello demografico. E ora, giustamente, presentano il conto.

    È il caso di chiarire un passaggio: l’aggettivo “popolare” è anche sinonimo di “povero” e “disagiato”. Questo chiarimento aiuta a capire un altro aspetto amaro della realtà: dal 2001 in avanti è andato via soprattutto chi ha potuto, in cerca di prospettive di vita e di lavoro migliori.

    Sono i migranti col trolley e col laptop a tracolla, ben descritti dal rapporto della Fondazione Migrantes per il 2018. La Calabria ne vanta circa 200mila, il 10 per cento circa della popolazione, in larghissima parte under 50 e in buona parte (il 30 per cento) laureati. Somigliano poco o nulla ai braccianti con le valige di cartone che li avevano preceduti il secolo scorso. Ma con essi hanno un tratto comune: sono partiti con poche speranze di tornare.

    Cosenza si svuota

    Proiettiamo questo dato su Cosenza. Nel 2019 sono morti 871 cosentini di fronte a 448 nuovi nati, le persone coniugate di entrambi i sessi oscillano tra 14 e 15mila, meno di mille in più dei single ambosessi, che oscillano tra i 13 e i 14mila. Il dato più inquietante riguarda l’invecchiamento: il blocco maggioritario della popolazione (circa il 52%) è compreso tra gli over 45 a salire, i minori non toccano il 15%, i cosiddetti “giovani”, compresi tra i 18 e i 35 anni, superano di poco il 33%.

    Dove sono spariti quei gruppi sociali da cui la città reclutava le classi dirigenti? Sono in buona parte al Nord, attratti dalle opportunità delle grandi aree metropolitane e all’estero. Logico, allora, che a questa trasformazione demografica segua un cambiamento antropologico e politico.

    Il consenso che cambia

    Esistono un “prima” che stenta a finire e un “dopo” che si sta delineando con una certa velocità. Il “prima” è rappresentato dai vecchi gruppi dirigenti, che pescavano voti a man bassa nei quartieri popolari, grazie a pratiche clientelari consolidate, ma si legittimavano sui ceti medio-alti.

    È il caso della famiglia Gentile, partita dal Centro storico, che ha trovato la sua roccaforte nella Sanità. Il suo rapporto con le aree popolari è diventato man man sempre più mediato. Si pensi al fedelissimo Massimo Lo Gullo, se possibile più gentiliano dello stesso Pino Gentile: è stato uno dei consiglieri comunali più votati nella zona compresa tra via degli Stadi e San Vito Alta. I suoi consensi sono irrinunciabili per la famiglia politica più vecchia di Cosenza (ad eccezione dei Mancini, per i quali vale un discorso diverso), che tuttavia basa il suo potere sulle Aziende sanitaria e ospedaliera.

    Un discorso simile, ma minore nei numeri vale per i Morrone, il cui ruolo nella Sanità privata è più che noto: pure loro hanno pescato a man bassa nei quartieri popolari grazie all’attività di sodali più o meno turbolenti e fedeli come il menzionato De Cicco o l’effervescente Roberto Bartolomeo, che non è stato rieletto per poco in Consiglio Comunale.

    Un meccanismo analogo è applicabile a Nicola Adamo ed Enza Bruno Bossio: fortissimi nel Centro storico, ma capaci di proiettarsi a livello regionale e nazionale grazie ai loro legami col mondo istituzionale e imprenditoriale “che conta”.

    Un patto che scricchiola

    Tuttavia, è importante un altro passaggio: il consenso dei quartieri popolari si limita spesso all’immediato (le buche per strada, l’acqua che manca, le fogne che scoppiano, i marciapiedi inesistenti ecc) e ha come referente immediato il Comune. Chi guarda oltre perché può permetterselo è il ceto medio, che mira invece al buon posto di lavoro e alla carriera. In questo caso, i target istituzionali si alzano: sono la Regione e i ministeri. 

    Ma che succede quando il Comune va in dissesto e non è in grado di soddisfare più le richieste minime, clientelari e non? Succede che il meccanismo si rompe e il “patto feudale” tra i “vassalli” popolari e i loro potenti scricchiola.

    Voglia di protagonismo

    Tra i vassalli che tentano di mettersi in proprio (De Cicco) e i nuovi aspiranti leader, è facile delineare il trend: una buona fetta di abitanti dei quartieri popolari vuol far sentire i propri bisogni più direttamente possibile. Forse non si fida più dei “potentes” vecchi e nuovi (tra i quali è doveroso includere Enzo Paolini) e riversa i propri consensi su figure percepite come simili. O perché, come l’assessore occhiutiano, vivono le stesse situazioni e parlano lo stesso linguaggio. Oppure perché incarnano un sogno di riscatto e di ascesa almeno culturale, come Bevilacqua.

    La partita vera deve ancora iniziare, ma i presupposti attuali rendono il caos cosentino più interessante del solito. E – perché no? – più divertente e istruttivo per gli osservatori.

  • Il sindaco del rione via Popilia

    Il sindaco del rione via Popilia

    Quanto è distante via Popilia da Palazzo dei Bruzi? E quanto cammino si deve affrontare per arrivare dal quartiere più popoloso della città fino allo scranno di sindaco? La fatica si misura non in passi, ma nella capacità di aggregare consenso e i modi sono sostanzialmente sempre uguali: promettere il riscatto del quartiere.

    Via Popilia ha sempre rappresentato il campo dove si vincono o si perdono le elezioni a Cosenza. Per il grande numero di famiglie che vi abitano, ma anche per ragioni storiche e sociali che ne hanno fatto nel tempo terreno di caccia per costruire gli imperi clientelari delle ben note famiglie politiche cosentine.

    I soliti noti

    Nell’avvicinarsi inesorabile delle prossime elezioni comunali, si prepara la consueta schiera di chi minaccia o medita di candidarsi a sindaco e tra questi è difficile scorgere autentici segni di novità. Non è nuovo Francesco Caruso, organico all’esperienza dell’amministrazione Occhiuto e che proprio nell’architetto che ha governato la città potrebbe avere il suo vice sindaco.

    A Cosenza già girano gustose battute sulla “Strana coppia”, (senza riferimenti a Walter Matthau e Jack Lemmon, che nel confronto risulterebbero comunque vincenti), con Caruso succube di un esuberante Occhiuto per nulla intenzionato a levare le mani dalla città. Anche la scelta di prendersi come vice chi ha trascinato nell’abisso del dissesto il capoluogo, se dovesse trovare conferma, pare chiaramente il frutto di un patto a tavolino separato dai bisogni dei cittadini.

    Certamente non è nuovo Marco Ambrogio, che si candida con la benedizione dei fratelli Occhiuto ed evidentemente pensa che un sindaco in famiglia non basti. Nella sinistra ancora c’è incertezza, altrimenti non sarebbe la sinistra. Quella movimentista cerca un nome in grado di rappresentare il disagio e la sofferenza sociale generati da dieci anni di indifferenza verso i bisogni reali delle persone, mentre il centrosinistra dibatte inutilmente, facendo ogni tanto affiorare la proposta di Franz Caruso, ex giovane socialista, il cui nome ciclicamente viene annunciato.  

    Via Popilia alla riscossa

    A ben guardare la novità viene proprio da via Popilia, da dove si muovono tre candidature: Francesco De Cicco, Francesco Civitelli e Luigi Bevilacqua. Mai accaduto prima. De Cicco per la verità nuovo non lo è per nulla, ma la sua appartenenza allo strategico quartiere lo pone all’attenzione. Per anni assessore di Occhiuto – che giura di non sentire da «oltre un anno e mezzo», proprio a volerne marcare la sopraggiunta distanza –  ha tenacemente presidiato ogni buca nell’asfalto, ogni tombino ostruito, chiamando celermente squadre di operai per le riparazioni, spesso supervisionando e partecipando lui stesso ai lavori. È anche in questo modo che ha lentamente costruito un consenso popolare, proiettando di sé l’immagine dell’uomo del fare. 

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    Francesco De Cicco amava definirsi l’assessore “pala e pico”, in contrapposizione (e rima) con la passione di Occhiuto per la figura di Alarico

    Lo dichiara lui stesso, quando avvisa che «dal basso sto lavorando da tempo al programma», preparando «sette liste vere» e l’aggettivo vorrebbe sottolinearne la potenza e il radicamento. La sua visione della città non vola altissimo, ma si basa su un buon proposito, «quello di togliere il muro tra i cittadini e la politica». E il suo stare sempre «sul marciapiede» vale a dire a diretto contatto con «la gente», gli sembra il modo più efficace per superare le distanze.

    Le multe a Guarascio

    Sul concreto De Cicco pare avere le idee chiare, «col Comune in dissesto, non si può fare molto, chiunque prometta il contrario mente». Tuttavia un piano ce l’ha e sulle grandi opere, vanto della stagione del sindaco Occhiuto, aggiunge che “«certamente non si possono demolire, ma molte cose si possono aggiustare». De Cicco sa di parlare al cosentino medio, quello che smadonna chiuso in macchina nel traffico bloccato e gli promette di «allargare il tratto stradale di viale Parco, aggiungendo anche parcheggi con strisce bianche, creare una variante su via Molinella e sbloccare così via XXIV Maggio». Poi il suo sguardo si volge a via Roma e aggiunge che «pure la villetta davanti alle scuole può essere modificata, con l’uso di semafori si può consentire il traffico stradale lineare e scorrevole».

    Da uno che parte da via Popilia ti aspetti attenzione verso i quartieri, ed ecco che De Cicco vuole ridare fiato «alla consulta dei quartieri». Se il ruolo assegnato nel programma alle aree periferiche e popolari vi pare troppo vago, molto decise sono invece le parole sui rifiuti e chi ne gestisce la raccolta.
    «Guarascio se ne deve andare», e la richiesta del candidato non riguarda solo il calcio. «Se fosse per me rescinderei il contratto, paghiamo milioni e la città è sporca. Gli ho fatto fare multe per mancata raccolta dei rifiuti, ma nessuno si è preoccupato di esigerne il pagamento», spiega sconsolato. Poi aggiunge che «per via del fatto che ha il Cosenza calcio nessuno osa «parlarne male»

    El pueblo unido ma non troppo

    Il percorso di avvicinamento più lungo verso una candidatura è forse quello di Luigi Bevilacqua, rom cosentino da tempo impegnato in iniziative a favore delle aree periferiche e delle marginalità sociali. «Stiamo lavorando da tempo per concretizzare un impegno e, nello specifico, realizzare una lista civica dal nome “Orizzonti futuri”», spiega Bevilacqua. Nel cammino, aggiunge, sarebbe utile trovare compagni di viaggio per non disperdere energie.

    Dunque ecco la necessità di «dialogare con altri candidati che provengano dai quartieri periferici, per portare un unico programma e restare compatti in questa tornata elettorale». E quando Bevilacqua si guarda attorno per cercare compagni di viaggio, aggiunge «con Civitelli non penso sia possibile, con De Cicco si potrebbe fare».

    Dalle baracche al Palazzo

    Rispetto a De Cicco, Bevilacqua ha una visione della città più concretamente legata al sociale e le sue battaglie ne sono la testimonianza. Con orgoglio rivendica le sue origini, nella desolazione delle baracche di via Reggio Calabria, fino alle conquiste come quella per la tutela della minoranza linguistica ottenuta con la legge n°41 del 2019 della Regione Calabria.

    Anche per lui il problema è il superamento della separazione della città in due parti che sembra non si appartengano. Sembra assai consapevole delle difficoltà e infatti spiega che «non abbiamo la velleità di vincere, ma di cominciare il cambiamento». Per questo il welfare e la distribuzione delle risorse sono un punto centrale del programma, anche per porre rimedio a dieci anni di Occhiuto, «contro cui mi sono sempre opposto, anche con esposti in procura». La Cosenza che immagina Bevilacqua è diversa dagli estetismi di chi ha governato fin qui. «A lui piace il bello – spiega riferendosi ad Occhiuto – ma ha prodotto due città separate e ingiuste». 

    La barriera invisibile

    Civitelli si era candidato a sostegno di Enzo Paolini cinque anni fa, ottenendo 268 preferenze, salite a 747 alle Regionali 2020. Anche per lui si deve passare dall’effimero che sembra aver dominato questi anni al concreto dei bisogni della città. Dunque «niente statue, né feste, ma strategie per la viabilità, parcheggi gratis, ciclovie fuori dal centro urbano». Un programma radicale, che probabilmente non dispiacerà a chi passa la giornata imbottigliato nel traffico.

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    Il vecchio rilevato ferroviario che separava via Popilia dal resto della città

    La sua corsa è cominciata nel 2016, «quando abbiamo visto chi aveva vinto e abbiamo capito che non ci sarebbe stata alcuna opposizione ad Occhiuto». Di qui l’esigenza di organizzarsi, ponendosi anche la questione dell’unità del nucleo urbano. «Quando c’era il rilevato ferroviario esisteva una vera barriera. Ora non c’è più, ma la separazione è rimasta. Lo scopo è quello di fare della città un solo corpo organico».

    Tra poco ci sarà un fiorire di liste e programmi, e come avvisa De Cicco, che forse di queste cose ne capisce, «molti candidati mirano solo ad un accordo». Alla fine ne resterà uno, potrebbe essere il più forte, non necessariamente il migliore. 

  • Tirreno inquinato, Magorno come Orsomarso: dalle querele all’imbarazzo

    Tirreno inquinato, Magorno come Orsomarso: dalle querele all’imbarazzo

    La realtà è sotto gli occhi di tutti quotidianamente: l’acqua appare sporca in molti tratti del Tirreno cosentino. Chiamatelo come volete questo sporco: polvere della spiaggia, fioritura algale, mare mosso, detersivi dei fondali. Il dato è che la voglia di fare un bagno è sempre meno. I turisti sui social sono scatenati. Furiosi, pubblicano foto da ogni spiaggia tirrenica con il mare tutt’altro che limpido. E ne hanno piena ragione: una settimana in un hotel o casa privata presa in affitto arriva a costare fino a 1500 euro. Aggiungete il costo dei lidi, dei parcheggi e del sostentamento e alla fine ci si ritrova con una bella spesa.

    Bandiere Blu

    L’esborso si sosterrebbe anche volentieri se si potesse fare un bagno nel Tirreno in tranquillità. Ma se si arriva sulle spiagge e si trovano sporche e il mare, in più, non è balneabile allora ci si sente truffati. Se poi si è venuti in questa zona spinti dalle nuove Bandiere Blu, la sensazione aumenta. Già, le Bandiere Blu: Per ottenerne una – è scritto sul sito che le assegna -, bisogna rispondere a ben 35 criteri che vanno dall’accesso dei disabili alle spiagge al controllo sulla depurazione, passando per l’affissione pubblica dei dati sulla balneabilità. Criteri forse rispettati altrove, mentre ad oggi in nessun paese sul Tirreno cosentino che abbia ottenuto la bandiera Blu tutto ciò si è avverato.

    L’inchiesta sulla depurazione

    Cade come un macigno a mezza estate l’inchiesta del procuratore Bruni sulla depurazione, un macigno grande come un palazzo che ha sconvolto tutti i centri del Tirreno. In particolare, i comuni di Diamante, Buonvicino e San Nicola, paesi sui quali vigeva la legge dei gestori dei depuratori e di funzionari degli uffici tecnici, forti tutti dall’appoggio di un infedele tecnico dell’Arpacal che li avvertiva dell’arrivo di eventuali ispezioni ai depuratori. Il sistema scoperchiato da Bruni dà l’idea di individui presi da delirio di onnipotenza per il tanto danaro che ricevevano dai Comuni con delibere a cadenza mensile. Quasi fossero sicuri dell’impunità, parlavano liberamente fra loro sui cellulari delle loro malefatte e dei traffici in atto.

    https://www.facebook.com/456580921189432/videos/745458892971276

    Dall’inchiesta apprendiamo cose che confermano i timori di quanti da anni lottano per avere un mare pulito individuando le cause della sporcizia e proponendo i metodi per eliminarle. Nell’indagine è finito anche un video che i militanti dell’associazione ambientalista Italia Nostra avevano effettuato a San Nicola Arcella filmando in diretta la rottura della condotta sottomarina e la conseguente fuoruscita dei liquami in mare. Quel video, appena apparso su Facebook, aveva allarmato le ditte, i tecnici, il sindaco di San Nicola, che immediatamente erano corsi ai ripari. Con buona pace di quegli amministratori che vedono negli ambientalisti l’equivalente di un’invasione di cavallette o altre sciagure.

    Magorno come Orsomarso, querele per chi dissente

    L’ultimo ad intervenire in questa direzione è stato proprio il sindaco di Diamante, Ernesto Magorno. Il renziano, infatti, ha stigmatizzato l’intervento di Italia Nostra che ha mostrato proprio il mare sporco fra Diamante e Belvedere in una bellissima giornata. E con una delibera subito approvata dalla giunta ha messo in guardia le associazioni per future querele da parte dell’ente a tutela di un mare pulito per decreto. Neanche due settimane dopo e l’inchiesta di Bruni ha cambiato le carte in tavola.

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    La delibera della Giunta di Diamante firmata meno di due settimane fa dal sindaco Ernesto Magorno

    Gli arresti scattati dopo l’operazione Archimede hanno messo in pausa la questione, con il sindaco che ha commentato l’accaduto lanciando uno striminzito comunicato di appoggio all’azione giudiziaria, come se la cosa non lo riguardasse. Ma il tecnico ai domiciliari è del suo comune, così come i vari responsabili delle ditte in questione. Sono presenti da decenni a Diamante, non solo per il depuratore, ma anche per altre gestioni. Quella dell’acquedotto, per esempio, sulla quale sembra che penda un’altra inchiesta, o quella di diversi appalti su opere pubbliche. Sono sempre gli stessi a vincere le gare e sono sempre gli stessi a poter lavorare.

    Un problema diffuso

    Nei mesi scorsi altre inchieste hanno riguardato ulteriori comuni tirrenici come Maierà, Tortora, Scalea, Praia a mare. Un filo unico che la Procura di Paola sta cercando di portare a galla dopo anni ed anni di acquiescenza . Ma nell’inchiesta c’è di più. Ed è davvero grave.

    I fanghi depurati del depuratore di Buonvicino finivano sotterrati in terreni agricoli e a portarceli erano propri i dipendenti della ditta, autorizzati dal loro capo. Operazioni senza scrupoli che mettevano in pericolo le falde acquifere del territorio circostante oltre che i terreni stessi e le coltivazioni che vi erano. Un’attività criminale scoperta da poco, ma che secondo gli inquirenti andava avanti da tempo. E che si spera l’inchiesta blocchi immediatamente.

  • Teatro e cultura, l’Atene della Calabria non c’è più

    Teatro e cultura, l’Atene della Calabria non c’è più

    «Bambole, non c’è una lira», diceva – a conclusione di una vecchia trasmissione della Rai – l’impresario di avanspettacolo rivolgendosi agli attori della compagnia in teatro. In modo più sobrio e burocratico, la stessa cosa dice il Comune di Cosenza riferendosi alla cultura. Lo dice con pochissime righe, quasi nascoste tra le molte pagine della “Nota integrativa al bilancio di previsione stabilmente riequilibrato”, recitando testualmente che per quanto riguarda il Settore delle manifestazioni culturali, «I capitoli di bilancio, nonostante l’importanza che la spesa riveste in una Città capoluogo di provincia come Cosenza, sono stati di fatto azzerati». In realtà queste laconiche parole certificano una Caporetto della cultura cittadina che è sotto gli occhi di tutti da almeno un decennio. Esattamente dall’inizio dell’epopea dell’amministrazione Occhiuto.

    Il teatro ridotto a scatola vuota
    Saracinesche abbassate al Morelli: il Comune ha disdetto il contratto d agosto 2020 per risparmiare dopo la dichiarazione di dissesto

    Il declino delle manifestazioni culturali e specificatamente delle attività tetrali, ha sempre fatto i conti con un problema di risorse economiche, ma anche con la mancanza di una visione culturale. Perché – come spiega Ernesto Orrico, attore, autore e regista teatrale – «se i luoghi dove fare cultura ci sono, ma restano privi di senso, sono sole scatole vuote di cemento». E di «scatole di cemento», ce ne sono almeno tre in città. La prima è il Teatro Tieri (ex Cinema Italia), chiuso per inagibilità e diventato all’esterno luogo di rappresentazione della povertà, accogliendo sotto il portico alcuni clochard. Poi c’è il Teatro Morelli, per il quale il Comune ha rescisso il contratto di affitto. Infine, il più celebrato Rendano.

    Un simbolo sbiadito
    L’ingresso del teatro Rendano

    Il Rendano è stato da sempre un simbolo della città di Cosenza e della sua borghesia che voleva rappresentarsi colta, illuminata, progressista. Negli album privati delle famiglie importanti si potrebbero trovare certamente foto in bianco e nero di platee e palchi gremiti, di signore in lungo e uomini in rigoroso abito scuro, in occasione delle attese inaugurazioni delle stagioni liriche. Era salotto dove apparire, ma era anche testimonianza di presenza culturale.
    All’inizio del decennio manciniano il Rendano è ancora in restauro e Mancini imprime una accelerazioni dei lavori per poterlo riaprire prima possibile. Inizia così una lunga stagione di successi, sotto la guida di Maurizio Scaparro e poi di Italo Nunziata. Il Rendano conquista un posto di rilievo nel panorama nazionale e diventa punto di riferimento per gli appassionati assieme al San Carlo di Napoli. Sono anni intensi, di attività di pregio e di premi, con il record di abbonamenti.

    La crisi degli ultimi anni

    Segue il periodo sotto l’amministrazione di Salvatore Perugini, che affida il teatro ad Antonello Antonante. Sono anni di lavoro, anche se si cominciano a sentire il peso della difficoltà a reperire fondi. Poi giunge l’ultimo decennio, la guida viene affidata ad Albino Taggeo, ma non dura molto, sostituito poi da Isabel Russinova e successivamente dal musicista cosentino Lorenzo Parisi, che poi sarà nelle liste a sostegno della candidatura di Occhiuto. Il declino è precipitoso, le stagioni musicali non reggono il confronto col passato. Alla fine il Rendano viene anche affidato ai impresari privati, che portano spettacoli buoni per il botteghino, ma senza pretese culturali.

    Dalla Fondazione all’illuminazione

    Il resto è una storia di mera sopravvivenza, soffrendo la «mancanza di progettualità», come spiega ancora Ernesto Orrico. La lirica è scomparsa, malgrado il passato prestigioso, perché il teatro non ha potuto partecipare ai bandi e dunque non ha attinto alle risorse. La ragione, secondo Orrico, è da cercarsi nell’inadeguatezza del Comune, l’ente che governa il Rendano senza visione e capacità organizzativa. «Servirebbe una Fondazione, agile, competente, con un progetto vivace», prosegue Orrico. La reputava necessaria anche Giampaolo Calabrese, all’epoca dirigente del settore Cultura a Palazzo dei Bruzi. E ne annunciò pure la nascita, cosa alla fine mai avvenuta come per la Biblioteca Civica.

    Luminarie natalizie a Palazzo dei Bruzi

    «Quel luogo non è mai stato una priorità», dice sconsolato il regista cosentino, lamentando l’assenza di attenzioni e interessi in grado di catalizzare fondi e risorse necessarie.
    Eppure in questo decennio di denaro ne è stato speso moltissimo, per esempio in luminarie. Segno di cosa questa amministrazione intenda per priorità culturali.

    L’ultimo valzer

    Intanto i nodi della congiuntura e della distrazione della politica che dovrebbe accudire la cultura, stringono inesorabilmente la gola dello storico Teatro dell’Acquario. A dispetto della tenacia e della volontà di esistere, l’Acquario sembra ad un passo dalla chiusura, dovendo fare i conti con debiti e una procedura di sfratto. «Avevamo già programmato la stagione di Teatro per ragazzi, l’anno accademico 21/22 e la produzione di nuovi spettacoli. L’Acquario, finché sarà possibile, svolgerà la sua funzione in quest’ultimo giro di valzer». Queste le parole dei protagonisti di quello spazio teatrale nato dalle ceneri dell’indimenticato tendone del Teatro di Giangurgolo, che si trovava molti anni fa nello spazio ora occupato dall’edificio dell’Ubi Banca.

    Non restano intentate le ultime strade da percorrere, con interlocuzioni richieste presso chi al Comune si occupa di cultura, ma anche cercando di coinvolgere privati, ma la minaccia che un notevole patrimonio cittadino vada perduto è più che concreta, aumentando l’impoverimento di una comunità intera.

     

     

     

     

     

  • Ponte di Calatrava, se l’archistar risolve l’emergenza abitativa

    Ponte di Calatrava, se l’archistar risolve l’emergenza abitativa

    Non è vero che il ponte di Calatrava, costruito anche coi fondi Gescal destinati all’edilizia popolare, ha indirettamente negato un tetto a chi ne ha bisogno.
    Di tetti ne offre quattro – due su ogni lato – e almeno uno è abitato, con tanto di vista sul centro storico. Non solo: questo è uno dei pochi posti della città in cui non manca mai l’acqua – solo che è quella del Crati.
    Benvenuti nel lato B dell’opera faraonica per eccellenza, il manufatto dei record inaugurato con una cerimonia da Olimpiadi e passerella a favore di tg nazionali.

    Un momento della faraonica inaugurazione del ponte nel 2018

    Perché se per ogni cosa di questo mondo esiste il rovescio della medaglia, mai come in questo caso il “sotto” è così diverso dal “sopra”: il pennone sempre lampeggiante e gli stralli proiettati verso un alto che sembra infinito hanno una proiezione speculare verso un mini-girone dantesco abitato da spettri e presenze solo percepite.

    All’ombra del Planetario – un altro feticcio della città che doveva essere – e pochi metri più a nord della confluenza col suo scenario da bombardamento sull’ex Jolly, ecco la versione pulp di quella che doveva essere una promenade parigina; siamo nel territorio molto frequentato della Cosenza che si ferma al condizionale. Potrebbe essere, ma non può.

    Il mondo sotto il ponte

    Avventurarsi per le scale nel “mondo di sotto” col traffico che scorre nel livello dei “normali” spalanca una finestra sui marginali: due preservativi, bidoni, bottiglie rotte, lattine di birra. Due piattini di plastica da piccola pasticceria con avanzi di cibi bruciati. Quattro mattoni che reggono una griglia adattata a brace. Un giaciglio di emergenza ottenuto ammassando su uno strato di cartoni coperte e piumoni: una sensazione di provvisorietà trasformata in consuetudine, come quelle emergenze tutte calabresi divenute norma – la sanità, la gestione dei rifiuti, la casa come diritto di tutti, appunto…
    Una felpa nera appesa ad asciugare al passamano della scalinata che conduce al “mondo di sopra”.
    Il rifugio che affaccia a nord, invece, porta i segni di un rogo che ha annerito il cemento esasperando lo stridore con il bianco lucente della maxiopera che ha stravolto lo skyline bruzio.

    Un collegamento tra il nulla e il niente

    Così si vive a un minuto di auto dal salotto musealizzato dell’isola pedonale (cinque a piedi) vicino ad altri fantasmi come quello di Felicetta, la prostituta di lungo corso che per anni ha abitato la casetta da poco cancellata con la fontanella annessa: al loro posto una rotatoria, al servizio dell’ennesimo ipermercato, grazie alla quale al ponte di Calatrava è stato reso possibile “collegare il nulla al niente” come qualcuno ha scritto.

    E appare fantasmatica anche la presenza degli antichi abitatori di via Reggio Calabria: a dicembre saranno passati 20 anni dal “trasloco più bello dell’anno” osannato dall’amministrazione Mancini, quello che un ghetto cancellò per crearne un altro in via degli Stadi.

    La desolazione sulla sponda del ponte più vicina al centro città

    Oggi ne beneficia il privato, mentre l’intervento pubblico – in questo caso la bretella da saldare con via Sprovieri in funzione di decongestionamento del traffico su via Popilia, ora che viale Mancini è a senso unico – arranca, manco a dirlo. La Giunta ha approvato il progetto soltanto un paio di giorni fa.
    Quando da sotto il ponte vedi sbuffare un altro trenino pensi alla metroleggera, ennesimo feticcio, e alla sua futuribile utilità.
    Il fantasma del ponte chissà da dove arriva, tutte queste cose non le conosce, o forse gliele avranno raccontate: intanto prepara il fuoco e indossa la felpa, ché siamo a luglio ma di notte lungo il fiume è umido.

  • Sanità allo sbando, accreditamenti «fuori controllo»

    Sanità allo sbando, accreditamenti «fuori controllo»

    Il Settore Accreditamenti della Regione, quello che gestisce i rapporti tra sanità pubblica e privata, «è fuori controllo». A metterlo nero su bianco è Remo Pulcini (Agenas) nel report inviato al ministero della Salute e realizzato in collaborazione e su indicazione del dirigente del Settore 2, Francesca Palumbo. Pulcini staziona nella Cittadella in qualità di esperto inviato dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, a supporto della struttura commissariale guidata da Guido Longo.

    La grande fuga

    La guida del settore 2 della Cittadella di Germaneto non sembra un posto ambito, anzi. Molti scappano, altri fanno di tutto per starne alla larga. Palumbo è stata trasferita d’ufficio lì con decreto del presidente facente funzioni Nino Spirlì. Ma ha capito subito, come tanti altri, che il suo ruolo da dirigente non sarebbe stato affatto semplice. A marzo del 2021 partecipa all’avviso interno della Regione Calabria, passando poi al dipartimento Agricoltura. Prima di lei aveva mollato il tellurico Settore 2 anche Francesco Bevere, direttore generale di allora.

    Il report sugli accreditamenti

    Il documento di Palumbo e Pulcini evidenzia come il Settore sia ai limiti del collasso, costretto ad affrontare «gravi criticità». L’aggettivo non è speso a caso, l’elenco dei problemi comprende, infatti, un «ingente arretrato di varia tipologia; nessun criterio logico organizzativo; tempistica di conclusione dei procedimenti non rispettata con inevitabile contenzioso; pratiche incomplete o introvabili; istruttorie avviate con parziale documentazione».

    Le raccomandazioni dell’Anticorruzione

    Anche l’Anac ha segnalato nel 2020 una serie di criticità in merito all’attività di controllo sulle strutture sanitarie accreditate. Nel documento inviato, tra gli altri, anche al presidente Nino Spirlì, l’Anticorruzione raccomandava «la previsione di meccanismi non automatici di rinnovo del contratto ma legati alla verifica della performance, anche in termini di risultati e qualità del servizio offerto». Il suggerimento non sembra avere avuto fortuna.

    «Caos amministrativo»

    Già il 26 gennaio 2021 la stessa Palumbo rispondeva a una richiesta di accesso agli atti del consigliere regionale Carlo Guccione (Pd) evidenziando «il caos amministrativo già segnalato dalla stessa precedente dirigente ad interim». In merito agli elenchi chiesti dal consigliere, la Palumbo scriveva: «La ricognizione è approssimativa». Perché? «Non esiste archiviazione elettronica dei documenti, né fascicoli elettronici delle strutture, né sufficiente personale nel settore».

    Quattro accreditamenti su cinque scaduti 

    Il problema è che in quegli uffici si decide la destinazione – e la sua legittimità – di decine e decine di milioni di euro. Guccione snocciola numeri che mettono a nudo un sistema in tilt: «In Calabria le strutture sanitarie – pubbliche e private – con accreditamenti validi sono solo 86. Quelli scaduti sono 422, mentre solo 142 hanno presentato istanza di rinnovo». Il democrat sintetizza così il dato che ne emerge: «Più dell’80% delle strutture opera in regime di illegittimità per colpa degli uffici del Settore 2, accreditamenti e autorizzazioni, del dipartimento Tutela della Salute». Dati forniti dalla Regione stessa, difficile metterli in dubbio. Ma qualcuno dalla Cittadella dovrebbe spiegare come e perché siano possibili

  • Civica, 10 milioni per salvare il tesoro di Cosenza dall’oblio

    Civica, 10 milioni per salvare il tesoro di Cosenza dall’oblio

    La Biblioteca Civica è uno scrigno prezioso che custodisce al suo interno un patrimonio librario a stampa e manoscritto di oltre 250mila testi. Difficilissimo riuscire ad avere un catalogo aggiornato. Perché? Non esiste, mai fatto per mancanza di personale specializzato. Un grande limite, che nel corso degli anni ha consentito la sottrazione di diversi testi senza che la direzione della Civica avesse piena contezza del maltolto. Un elenco in questi anni ha provato a stilarlo la giornalista cosentina Francesca Canino. Tra i titoli rubati figurano:

    • Telesio B., La Philosophia, Napoli, 1589;
    • Manilius M., Poetae clariss. Astronomicon ad Caesarem Augustum, Lugduni, 1566;
    • Tasso T., Le sette giornate del mondo creato, Venezia, 1608;
    • Tasso T., Il Rinaldo, Milano, 1618;
    • Galenus C., Ars medicinalis. Nicolao Leonicino interprete, Venezia, 1538;
    • Hippocrates, Aphorismi, cum Galeni. Commentariis Nicolao Leoniceno…, Venezia, 1538;
    • Galilei G., Dialoghi, Firenze, 1632;
    • Galenus C., De usu partium…, Lugduni, 1550;
    • Sallustio con altre belle cose. Volgarizzate per Agostino Ortica della Porta, Venezia, 1531;
    • Privilegi et capitoli della città di Cosenza, Napoli, 1571;
    La Civica custodisce secoli di cultura
    Alcuni corali di proprietà della Civica, restaurati di recente dal Mibact

    Fanno ancora parte del tesoro della Civica corali miniati del XVI-XVII secolo; testi manoscritti filosofici autografi del 1500, 1600 e 1700; carteggi privati; pergamene di epoche dal Rinascimento all’Illuminismo; incunaboli (tra cui un San Tommaso); una raccolta imponente della produzione tipografica italiana e straniera del Seicento.
    Al suo interno si trovano fondi monastici, opere antiche e rare a stampa di diversi ordini religiosi, sia cittadini che dei dintorni, oggi ormai soppressi.

    Tra i fondi religiosi anche uno liturgico, costituito da trenta codici musicali membranacei del ‘500 arricchiti da artistiche miniature fatte a mano.
    Presente anche un fondo diplomatico costituito da 54 pergamene, un insieme di bolle, atti privati, testamenti, costituzioni di date e censi, tutti di epoche comprese tra la fine del ‘200 e la metà del ‘700. Costituiscono per lo studioso un unicum nel loro genere.

    Le donazioni dei privati alla Civica

    Diversi i fondi privati, tra i più importanti quelli Salfi, Muzzillo, Conflenti e De Chiara. Il primo comprende circa 12.000 pezzi fra volumi anche di edizioni del ‘500 e del ‘600, opuscoli, riviste e giornali. Riguardano prevalentemente letteratura, storia, arti, viaggi, teatro. E contengono collezioni di classici antichi e moderni, grandi enciclopedie e trattati generali. Il fondo Muzzillo comprende oltre 5.000 volumi di letteratura, archeologia e storia dell’arte. Al suo interno, diverse edizioni di classici antichi e moderni, più numerose pubblicazioni periodiche e una ricca dotazione di opuscoli, in gran parte sulla Calabria.

    Il fondo De Chiara, ereditato sin dal 1929, consta all’incirca di 2.500 esemplari. Tra di essi, testi di letteratura italiana, di storia, di arte e di critica letteraria. Di grande rilevanza è anche una raccolta di opuscoli della critica dantesca.
 Si aggiungono le dotazioni dei fondi Guarasci e Muti e di quelli, più recenti, Rendano e Campagna, con molti libri e lettere autografe di pregio. È andato distrutto invece, durante la seconda guerra mondiale, il fondo Zumbini di circa tremila testi tra volumi e opuscoli. Tra i fondi speciali detenuti dalla Civica di fondamentale importanza è la sezione dedicata alla Calabria, ricca di libri, giornali e altri materiali riguardanti la storia, la cultura e la civiltà calabrese nelle sue diverse sfaccettature.

    Non ci sono solo opere antiche, però. Ai fondi di ricerca e conservazione si affianca infatti anche una dotazione libraria moderna di cultura generale di grande spessore bibliografico costantemente aggiornata, con una larga presenza di libri sulle scienze umane e sociali. La Biblioteca Civica dispone di una vasta emeroteca. Comprende oltre 2000 testate fra riviste e giornali, che spaziano tra storia, letteratura, filosofia, arte, scienze dell’educazione, teatro, cinema, diritto, economia, informazione.

    I cinque milioni per il Comune
    Alcuni dettagli del progetto per la Civica presentato al Governo da Palazzo dei Bruzi

    Le porte della Civica sono chiuse però da oltre un anno e mezzo, prima per la pandemia e ora per evidenti deficit strutturali. Per salvare quel che ne resta e renderlo finalmente fruibile si attendono i 10 milioni del CIS (Contratto Istituzionale di Sviluppo), parte dei 90 destinati al centro storico. Si prevedono due progetti di recupero e valorizzazione della biblioteca. Il primo, in capo al Comune di Cosenza, promette adeguamento sismico, efficientamento energetico e rifunzionalizzazione della Civica. Prospetta la riorganizzazione e il rinnovamento dell’intero sistema bibliotecario attraverso l’uso di tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC). Il progetto contempla inoltre la realizzazione di spazi di allestimento espositivi e di percorsi di visita accessibili a tutti. Parla di modalità innovative di fruizione e di realizzazione dei servizi per la gestione e cura del bene, integrati da un opificio di digitalizzazione, restauro e conservazione del libro e della pergamena. Il finanziamento complessivo ammonta a quasi 5,1 milioni di euro.

    Il polo pensato dal Mic

    Il secondo progetto, proposto dal Mic, implica restauro, conservazione e rifunzionalizzazione del complesso di Santa Chiara. Al suo interno si pensa di creare un polo orientato alla promozione della lettura e alla comunicazione culturale mediante la conservazione e valorizzazione del patrimonio cartaceo della Civica. Il polo in questione sarebbe destinato a interfacciarsi con quelli delle altre città beneficiarie di un Cis: Napoli, Taranto e Palermo. Il finanziamento, anche in questo caso, è di circa 5 milioni.

    Anna Laura Orrico, all’epoca sottosegretario ai Beni culturali, sigla il Cis a settembre del 2020
    La politica litiga

    Al ministero sono pronti a nominare il Ruc, responsabile unico del contratto istituzionale di sviluppo. Manca solo il via libera da Invitalia, che però per procedere attende parte della documentazione da Comune, Provincia e Segretariato regionale del Mic. Il più in ritardo pare essere Palazzo dei Bruzi, che non ha brillato per celerità nemmeno nella fase propedeutica alla firma del Cis. Un film già visto, dunque, col consueto corredo di polemiche politiche a riguardo. Le vecchie diatribe sui soldi in arrivo per il centro storico tra Morra e Occhiuto hanno lasciato il posto a quelle sull’iter burocratico tra Anna Laura Orrico e il vice sindaco Francesco Caruso. Quest’ultimo già l’anno scorso si era scontrato a lungo sui presunti ritardi del Comune con il democrat Carlo Guccione. Cambiano i nomi, non la sostanza. E mentre i partiti litigano, i dubbi sull’arrivo dei dieci milioni aumentano.

     

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