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  • Sacal e Sorical, debiti pubblici e profitti privati

    Sacal e Sorical, debiti pubblici e profitti privati

    Gli interessi della politica e dell’imprenditoria si incontrano nel mondo delle società miste. La partecipazione del pubblico in quota maggioritaria rispetto al privato ne è una caratteristica distintiva. Ma spesso, per esempio in Calabria, queste Spa se ne ricordano solo quando c’è bisogno di appianare debiti e disastri vari. Se le cose vanno bene privatizziamo i profitti, se vanno male pubblicizziamo le perdite.

    Prendere in esame due casi distinti e distanti come quelli di Sorical e di Sacal può aiutare a capire le cause e gli effetti di certi paradossi sui nostri territori. Anche perché, nonostante vi si investano parecchi soldi pubblici, i cittadini sanno spesso poco delle vicissitudini societarie, finanziarie e talvolta anche giudiziarie che attraversano queste società.

    La Regione salva la Sacal

    La Società aeroportuale calabrese sta patendo parecchio, com’era prevedibile, gli effetti del crollo del traffico aereo nell’anno della pandemia. Ne è derivata una crisi di liquidità che ha allarmato a tal punto la Regione. Che è intervenuta per evitare la messa in liquidazione, con una ricapitalizzazione da 10 milioni di euro. C’è stato un primo step legislativo in consiglio regionale con un impegno di spesa di 927mila euro per il 2021 (proporzionato al 9,27% delle azioni della Cittadella). Il facente funzioni Nino Spirlì ha garantito a un’Aula non del tutto convinta che bisogna affrontare questo passaggio per «mantenere la maggioranza pubblica». La linea è sottile: attualmente sono 13.666 le azioni in mano a enti pubblici e 13.259 quelle dei privati.

    Cantieri per 60 milioni di euro

    Poi, solo «successivamente si valuteranno – continua Spirlì – ulteriori investimenti» e arriveranno «cantieri per 60 milioni di euro» sui tre aeroporti calabresi. Sacal infatti gestisce non solo lo scalo più attivo, quello di Lamezia, ma dal 2017 anche quelli di Reggio e Crotone. Gli ultimi due reduci dai fallimenti delle rispettive società di gestione e accorpati a Sacal sotto la presidenza del prefetto/poliziotto Arturo De Felice. Era arrivato un mese dopo la bufera dell’inchiesta “Eumenidi”.

    Il supermanager in quota Lega

    Spirlì ha poi garantito che «il presidente della Sacal (il supermanager in quota Lega Giulio de Metrio, ndr) ha già affrontato il piano strategico. Tra qualche giorno saranno coinvolti nella discussione i soggetti interessati perché nessuna parte del territorio abbia a patire le dimenticanze registrate in passato». Qui si fermano le notizie sul Piano industriale.

    Gli enti pubblici stanno mettendo i soldi per la ricapitalizzazione. Compreso il Comune di Lamezia, che detiene il 19,2% delle azioni, con una variazione di bilancio da 150mila euro. Non si sa ancora nulla di come e con quali investimenti si dovrebbero rilanciare i tre aeroporti della Calabria. Intanto la Metrocity di Reggio vuole entrare e non ci riesce. Catanzaro (Comune e Provincia, per un totale di circa il 16% delle azioni) vuole uscire suscitando polemiche dentro e fuori dal capoluogo.

    E i lametini pagano

    I lametini si sentono quasi defraudati perché sono gli unici, a parte la Regione, a metterci i soldi pur avendo l’aeroporto che fa più numeri, mentre crotonesi e reggini lamentano i mancati investimenti di Sacal sui loro scali e qualcuno, sommessamente, ripropone i dubbi di sempre sulla capacità della Calabria di reggere la presenza di tre aeroporti.
    A Lamezia oltre al Piano industriale aspettano anche la nuova aerostazione: bocciato dalla Commissione europea un progetto da 50 milioni di euro, rimasto solo sulla carta, si è parlato di un altro più contenuto – dovrebbe costare la metà – di cui De Metrio aveva anche tratteggiato i contorni.

    Nella principale porta d’ingresso di treni e aerei nella regione si aspetta da anni anche un collegamento «multimodale» tra stazione ferroviaria e aeroporto, un ultimo miglio di cui c’è bisogno come il pane ma che ormai sta assumendo i contorni della leggenda. Tutto bloccato, specie con la mazzata del Covid: i dati di giugno di Assaeroporti fanno registrare, su Lamezia, un calo del 50,2% di passeggeri rispetto al 2019.

    La Sorical in liquidazione con le consulenze a go-go

    Per Sorical, società che dal 26 febbraio 2003 gestisce le risorse idriche calabresi (53,5% della Regione, 46,5% di una società controllata dalla multinazionale Veolia), la bestia nera sono invece i Comuni. Molti sono in dissesto e pre-dissesto: tanti cittadini non pagano l’acqua, tante reti sono vetuste e hanno perdite, tanti allacci sono abusivi. E il risultato è che i crediti vantati dalle amministrazioni locali ammonterebbero a circa 200 milioni di euro. La società, che paga un canone di solo 500mila euro all’anno per la gestione degli acquedotti calabresi, è in liquidazione volontaria dal 13 luglio 2012 ma oltre a continuare a garantire il servizio – e ci mancherebbe – in questi anni ha visto aumentare anche la spesa per il personale (a cui va aggiunta quella per i consulenti esterni): 13,9 milioni nel 2017, 14 milioni nel 2018, 15,6 milioni nel 2019 (fonte: Piano di razionalizzazione periodica delle partecipazioni societarie della Regione, dicembre 2020).

    E rimetti a noi i vostri debiti Sorical

    L’esposizione debitoria di Sorical quantificata in un iniziale Accordo di ristrutturazione partiva da 386 milioni di euro, oggi è scesa di parecchio – secondo la società del 68% – ma resta comunque un bel problema. Specie perché, ora che si vorrebbe revocare la liquidazione e rendere il capitale interamente pubblico, c’è da fare i conti con una banca tedesco-irlandese, la Depfa Bank, che è assieme a Enel il principale creditore di Sorical, con cui anni fa ha sottoscritto degli strumenti finanziari derivati e a cui ha dovuto evidentemente cedere delle garanzie.

    Pronti al Recovery

    Ma fermi tutti, ora c’è il Recovery fund. Il Pnrr assegna un gruzzolo molto sostanzioso alle risorse idriche, ma per metterci le mani sopra bisogna rilevare le quote dei privati e convincere la banca, cosa che non riuscì alla Giunta guidata da Mario Oliverio. Vedremo se ce la farà la governance leghista che accomuna Spirlì e il commissario Sorical Cataldo Calabretta. Quel che è certo è che la Regione dovrà metterci dei soldi perché è l’unica, anche stavolta, a poterlo fare.

    Per ora di concreto c’è solo un atto di indirizzo per verificare le condizioni e la fattibilità dell’operazione, intanto va chiarito che una Spa, anche se sarà interamente a capitale pubblico, resta un soggetto di diritto privato. La disciplina a cui è sottoposta è quella dettata dal codice civile in materia di impresa. Poi ci sono i ritardi dell’Autorità idrica calabrese, l’ente di governo d’ambito diventato operativo dopo anni di inerzia. Non ha ancora individuato il soggetto gestore che, a questo punto, non potrà che essere la “nuova” Sorical.

    I timori dei comitati per l’acqua pubblica

    Le perplessità dei comitati per l’acqua pubblica, che continuano a chiedere che venga rispettata la volontà popolare espressa con il referendum tradito di 10 anni fa, riguarda quello che potrebbe succedere dopo. Dopo che eventualmente la Regione avrà messo i soldi per revocare la liquidazione e dopo che gli investimenti sulle reti saranno realizzati con i soldi del Recovery. Non è che una volta sanata la società e ammodernati gli acquedotti – si chiedono gli attivisti – si spalancheranno di nuovo le porte ai privati? Non è che l’obiettivo è far tornare la gestione dell’acqua calabrese appetibile per chi cerca il profitto e per chi non vede l’ora di svendere i beni comuni in cambio di nuove clientele?

    Il rapporto dell’Arera

    Intanto l’Arera (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) proprio qualche giorno fa ha segnalato a Governo e Parlamento che «permane nel nostro Paese un Water Service Divide» e che «persistono situazioni, principalmente nel Sud e nelle Isole, in cui si perpetuano inefficienze». La segnalazione si basa sui risultati del monitoraggio semestrale sugli assetti locali del servizio idrico integrato svolto dalla stessa Autorità attraverso l’analisi delle informazioni trasmesse dagli enti di governo d’ambito e da altri soggetti territorialmente competenti secondo la legislazione regionale.

    Se non si cambia rotta addio soldi del Pnrr

    Un quadro di criticità che evidenzia «la necessità di un’azione di riforma per il rafforzamento della governance della gestione del servizio idrico integrato, soprattutto in considerazione del permanere di situazioni di mancato affidamento del servizio in alcune aree del Paese». Quali? «Molise e Calabria, nonché la parte maggioritaria degli ambiti territoriali di Campania e Sicilia». Senza questi adempimenti, insomma, i soldi del Pnrr – che indica la strada della gestione «industriale» delle risorse idriche – rischiano di restare un sogno. Forse anche per questo c’è tanta fretta dopo anni di ritardi e di gestione evidentemente fallimentare dei manager indicati dalla politica. Chissà poi chi eventualmente sarà, tra il Pollino e lo Stretto, a governare questi flussi di denaro e questa gestione «industriale» dell’acqua dei cittadini.

  • Codice etico o conta dei voti? Bruni e Pd al bivio

    Codice etico o conta dei voti? Bruni e Pd al bivio

    La supercandidata civica Amalia Bruni ha iniziato a scaldare i motori in maniera aggressiva. Sa che deve recuperare terreno a sinistra, dove i Masanielli di de Magistris sono piuttosto avanti, e mettere in riga lo schieramento che si sta completando a fatica attorno a lei.
    La sua ricetta è piuttosto semplice: il civismo (a cui si è già accennato), appena curvato in chiave tecnocratica e dirigista, progressismo quel che basta e, ovviamente, tanta tanta etica, dentro e fuori i codici, proposti da Tansi e dal Pd.
    Ma l’etica è moneta usurata: l’ha invocata Roberto Occhiuto (che però si è limitato all’antimafia), la predica Tansi da due anni, è nel dna dei grillini (per il poco che pesano a livello territoriale), ne fa una bandiera il quasi ex sindaco di Napoli.

    Semmai, a questo punto, l’interrogativo vero è un altro: quanto potrà reggere tanto afflato di fronte ai compromessi che i big dovranno accettare, perché le liste si devono pur riempire e le elezioni si affrontano coi voti?
    «Io ci metto la faccia, quindi decido io», ha dichiarato la Bruni la sera del due agosto in occasione del suo primo bagno di folla a Lamezia.

    Ma la scelta dei candidati può essere una questione decisamente più prosaica: come si fa a dire no a chi si presenta con un carico di consensi? Ed è davvero così facile imporre regole ai partiti, che, anche se malridotti come il Pd calabrese, restano macchine organizzative di cui non si può fare a meno, soprattutto quando manca poco al voto?

    L’asticella

    Non è solo una questione di casellario giudiziale. Un altro aspetto determinante è quello, piuttosto grillino, del numero di mandati già svolti. Al riguardo, è praticamente certo che il centrosinistra della Bruni (come, del resto, quello dei Masanielli), abbia fissato in due il limite dei mandati. Detto altrimenti: chi ha fatto due mandati è dentro, chi più di due è fuori.

    Per quel che riguarda il Pd, l’esclusione eccellente sarebbe una: Carlo Guccione, che di mandati in Consiglio regionale ne ha svolti già tre. Il suo girovita, perciò, sarebbe piuttosto largo per passare sotto l’asticella. Viceversa, possono ballare tranquillamente il limbo Mimmo Bevacqua, Graziano Di Natale e altri centometristi del voto per frenare l’emorragia a sinistra.

    Questo limite, intendiamoci, non implica necessariamente il ricambio: Bevacqua, per esempio, prima di approdare a Palazzo Campanella, è stato dirigente di lungo corso della Margherita e poi del Pd e consigliere provinciale di Cosenza per altre due consiliature.
    Ma resta l’unica misura praticabile, per non sacrificare troppo l’esperienza politica – che sarà diventata un marchio d’infamia, ma serve – e, soprattutto, il legame coi territori.

    La partita cosentina

    A proposito di territori, la scienziata di Lamezia dovrà fare i conti con gli equilibri cosentini. Anche per questa tornata elettorale vale la regola secondo cui la Regione si vince o si perde a Cosenza, dove il Pd vanta ancora buoni numeri, sia a livello provinciale sia a livello cittadino.
    E il problema che le si pone non è piccolo né leggero, visto che il capoluogo andrà anch’esso al voto. Quindi, quel che succederà alle Amministrative cosentine sarà determinante per i risultati regionali.

    Si è già parlato, a proposito della corsa a Palazzo dei Bruzi, del ticket tra Franz Caruso, principe del Foro ed esponente storico dell’area socialista, e Bianca Rende, esponente dell’ala popolare (leggi: ex Dc) e vicina alla famiglia Covello. Questo ticket avrebbe la benedizione dei vertici Dem cosentini, in particolare di Francesco Boccia.

    Ma la partita non finisce qui, perché c’è un’altra presenza illustre che scalpita per giocarsi la partita a sindaco: Giacomo Mancini, che avrebbe ancora la benedizione di Tommaso Guzzi, segretario del IV circolo cittadino del Pd, che racchiude i seguaci di Carlo Guccione. La candidatura dell’ex assessore regionale avrebbe avuto la benedizione, tra le altre, di Marco Miccoli, ex commissario del Pd, uscito di scena dopo la sconfitta a Roma.
    Ma tutto lascia pensare che la mente dell’operazione sia stato Carlo Guccione.

    Il vespaio

    Parlare di Guccione a Cosenza significa evocare un attrito di lunghissimo corso: quello tra l’ex assessore di Oliverio e Nicola Adamo.
    I maligni, che coincidono coi bene informati, sussurrano che i due big abbiano messo da parte i vecchi livori, in seguito alla dissidenza di Mario Oliverio, che si appresterebbe a travasare i candidati e gli uscenti di Dp (la storica lista civetta dei centrosinistra calabrese e cosentino) nella coalizione di De Magistris.
    Questa dissidenza mutila senz’altro l’area Pd nell’enorme territorio provinciale, dove l’ex governatore è stato sempre fortissimo e popolare. Ma lascia campo libero nel capoluogo, dove il big resta Nicola Adamo, che, pur non occupando da un pezzo posizioni istituzionali e a dispetto dei guai giudiziari, mantiene un forte ascendente.

    Per venire a capo di tanta complessità, è importante completare la mappa politica. Franz Caruso è legatissimo da sempre a Luigi Incarnato, ex assessore dell’era Loiero, commissario della Sorical e segretario regionale del Partito socialista. Incarnato, a sua volta, è vicino ad Adamo, col quale ha collaborato a stretto contatto sempre, soprattutto nelle situazioni più delicate.

    Basti ricordare quel che accadde nel 2011, quando il Pd si spaccò in due in seguito alla lite tra Oliverio e Adamo: Incarnato mise a disposizione il marchietto del Psi per accogliere i candidati del Pd che non si erano allineati alla scelta di appoggiare la candidatura a sindaco di Enzo Paolini (allora “campione” di Oliverio e Guccione) e sostenne la ricandidatura di Salvatore Perugini. Sembra un secolo fa, ma certe dinamiche di provincia sono dure a modificarsi.
    Mancini, al contrario, è un outsider, che tenta per la terza volta la candidatura a sindaco, sulla base della sua tradizione ed esperienza politica.

    Il nodo si scioglie?

    A questo punto si capisce benissimo come dietro le candidature di Caruso e Mancini covino le dinamiche tra Adamo e Guccione. Se davvero i due, come sussurrano i malevoli, hanno fatto pace, una candidatura è di troppo.
    Tramontata l’ipotesi della coalizione sociale vagheggiata da Miccoli, che avrebbe dovuto includere le sinistre radicali e i movimenti civici, prende quota la candidatura di Caruso. Anche senza ticket perché, si apprende da credibilissime voci, Bianca Rende (che tra l’altro non risulta iscritta ad alcun partito) non sarebbe disposta ad accettare il ruolo di vice.

    A favore della candidatura dell’avvocatissimo pende anche un sondaggio commissionato da Boccia, che lo darebbe per favorito. Ovviamente, questo sondaggio non è stato accolto bene da tutti. E, anzi, qualcuno lo avrebbe contestato. In particolare, Luigi Aloe, coordinatore cosentino dei Cinquestelle, e Saverio Greco, altro socialista storico vicino da sempre a Giacomo Mancini. Una rondine non fa primavera. E nemmeno due, considerato che si vota in autunno.
    Come nei film e telefilm Highlander, ne resterà solo uno. Anche perché sulla candidatura di Caruso reggono (ancora…) gli equilibri cosentini e le loro importanti proiezioni sulle Regionali.

    Verso palazzo Campanella

    I dolci (magnifici i cannoli) e i gelati in riva allo Stretto sono irrinunciabili per chiunque faccia politica in Calabria.
    Ad esempio, lo sono per Franco Iacucci, sindaco storico di Aiello Calabro con un importante passato nel Pci, presidente della Provincia di Cosenza. Oliveriano storico, ha rotto col suo leader e cerca di trovare la propria nicchia nel Pd sgombro dall’illustre sangiovannese. In prima battuta, Iacucci portava (e porta tuttora: è solo questione di convinzione) Felice D’Alessandro, attuale sindaco di Rovito e consigliere provinciale di Cosenza. D’Alessandro, forte di un buon risultato alle Regionali 2020 preso proprio nel capoluogo, carezzerebbe l’idea dell’assalto a Palazzo dei Bruzi.

    Tuttavia, la pax Adamo-Guccione ha il suo peso. E, soprattutto, una posta: le liste per il Consiglio regionale. Iacucci, infatti, sarebbe l’erede di Guccione a palazzo Campanella. Adamo, invece, carezza ancora l’idea di mandare la deputata Enza Bruno Bossio (che, come sanno anche i muri, è sua moglie) in Consiglio regionale.
    Nessuno dei due è fresco di politica, non Iacucci né la Bruno Bossio. Ma entrambi hanno due elementi a favore, a prova di codice etico: nessun incidente giudiziario in corso né una presenza, se non da “turisti politici” nel palazzone reggino.

    La forma è salva, almeno per Bruni e Tansi, gli unici ad aver parlato di codice etico.
    Tant’è: le guerre e i matrimoni nascono sempre dalle passioni. Le paci, invece, dagli interessi e dalle necessità. E l’area del Pd ne ha almeno tre: limitare i danni, che comunque ci saranno (e non pochi), tutelare posizioni politiche e tenere più caselle possibili, in attesa di tempi migliori (e, al momento, per soddisfare le indicazioni romane).
    Il dissestato Comune di Cosenza, in questo casino, può diventare benissimo la classica Parigi che vale una messa…

  • Comunali Cosenza, Franz Caruso non è il candidato dei grillini

    Comunali Cosenza, Franz Caruso non è il candidato dei grillini

    Franz Caruso non è il candidato dei grillini alle elezioni comunali di Cosenza. Alle 11:30 di oggi è così. Lo conferma, Luigi Aloe, coordinatore cittadino del Movimento 5 Stelle per la campagna elettorale. «Ho una stima enorme per il professionista, però – prosegue Aloe – i percorsi politici restano incompatibili». Stessa cosa vale per «Giacomo Mancini» – sottolinea.

    A sinistra del Pd tutti contro il penalista

    Il M5S non è solo in questa guerra dei veti. Contro la candidatura dell’avvocato socialista si schierano pure Cosenza in Comune, Buongiorno Cosenza, Progetto Meridiano, What women want, Controcorrente, Pse. Sigle pronte a mettere sul tavolo di una eventuale trattativa con il Pd i nomi di Valerio Formisani, Bianca Rende e Sergio Nucci. Questo è emerso dalla riunione di ieri nella sede della Cgil. Tra i commensali della serata anche il Movimento 5 stelle.

    L’incontro on line con i parlamentari del M5S

    La posizione del coordinatore Luigi Aloe e le decisioni prese nella riunione di ieri con le altre sigle saranno discusse oggi on line. Una riunione alla quale parteciperanno i deputati Anna Laura Orrico, Alessandro Melicchio e Massimo Misiti. In collegamento da Bruxelles interverrà anche l’europarlamentare Laura Ferrara. Da Cosenza si collegheranno gli attivisti. Particolarmente agguerriti.

    Boccia non ci ascolta

    Con il commissario del Partito democratico, Marco Miccoli, era un’altra musica per il Movimento 5 Stelle. Francesco Boccia ha cambiato sinfonia. Il coordinatore del M5S, Lugi Aloe: «Noi abbiamo proseguito la nostra collaborazione con il Pd rispettando le regole di ingaggio». E poi? «Boccia ha interloquito separatamente con ogni formazione politica, con Miccoli le candidature erano state azzerate per fare sintesi».

    Il sondaggio che divide

    Il sondaggio commissionato dal Pd ha alimentato la rabbia dei grillini. Sono stati sottoposti ai cittadini «nomi del M5S che non possono essere presenti perché non candidabili in base al nostro statuto» – puntualizza Aloe. Si riferisce al senatore Massimo Misiti, nome circolato insieme a quelli di Franz Caruso e Bianca Rende proprio nel sondaggio commissionato dal Pd.

    La guerra dei voti

    Non è solo una questione di sigle. Sul tavolo peserà pure la consistenza elettorale dei protagonisti. Il blocco composto da grillini, associazioni e sinistra può dire la sua anche da questo punto di vista? E orientare Il Partito democratico verso la cancellazione delle candidature in atto? Candidature, peraltro, non ancora ufficializzate.

  • C’eravamo tanto amati, Tansi e de Magistris a torte in faccia

    C’eravamo tanto amati, Tansi e de Magistris a torte in faccia

    Quanto sembrano lontani i tempi (brevi) in cui Carlo Tansi e Luigi de Magistris andavano “in Tandem” promettendo di rivoltare la Calabria come un calzino. Oggi i due ex alleati se le danno di santa ragione, come se fossero nemici giurati da sempre. Soltanto sei mesi fa si autodefinivano – la frase è di Tansi – «come Coppi e Bartali che si scambiano la borraccia», due campioni che si supportano in nome del «lavoro di squadra che abbandona i personalismi». Adesso, dopo quella su chi ha l’ego più grande, conducono una nuova gara tutta loro. Ci si sfida ad accusare l’altro di essere il più compromesso con il sistema che entrambi promettevano di scacciare dai palazzi della politica.

    Il ritorno del Put

    Illustre assente del duello tra i due ex amici è l’eleganza. Tansi ha dato prova del suo proverbiale savoir-faire rispolverando un intramontabile classico: i pregiudizi contro i napoletani, maestri della finzione, e le loro presunte allergie al lavoro. Per il geologo il «quasi ex sindaco napoletano futuro disoccupato» starebbe «cercando di convincere i calabresi, con le indiscusse capacità di recitazione che sono chiaramente impresse nel suo DNA, di garantirgli per i prossimi cinque anni uno stipendio ed evitargli l’incubo dell’iscrizione alle liste di disoccupazione napoletane».

    E via con la lista dei personaggi con cui de Magistris starebbe brigando in cerca di voti: Mario Oliverio in primis, ma anche Giuseppe Giudiceandrea, Giuseppe Aieta e Antonio Billari, Francesco D’Agostino e Brunello Censore. Tutta gente dell’ormai mitico Put, l’acronimo coniato dall’ex capo della Protezione civile per inglobare nel Partito unico della torta chiunque non stia con lui.

    Una torta tutta per Tansi

     

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    La torta fatta preparare da de Magistris per replicare alle accuse di Tansi

    De Magistris, dal canto suo, più che la sceneggiata, come lo accusa Tansi, chiama in causa un altro grande classico partenopeo: i dolci. Alle invettive del geologo replica dandogli appunto del pasticciere. Specializzato per di più proprio in quella torta che tanto dichiara di disprezzare. Le candidature filo oliveriane nelle sue liste? «Bugie» inventate da chi ha «svelato la propria voglia di assaggiare la torta insieme a quel famoso Put che oggi è l’unico a potergli garantire, o almeno così pensa Tansi, un qualche tipo di poltrona e qualche prebenda». Una stoccata, quest’ultima, condita dalla foto di una torta col faccione di Tansi sopra. Perché a Napoli di pasticceria, come di sceneggiate, se ne intendono.

  • Strage di Bologna, 41 anni dopo: quel filo nero che porta alla Calabria

    Strage di Bologna, 41 anni dopo: quel filo nero che porta alla Calabria

    Sono passati 41 anni. Senza verità. Senza giustizia. Sono le 10.25 del 2 agosto 1980 quando l’orologio della stazione di Bologna si ferma. La deflagrazione, il boato, le fiamme, i brandelli umani. Il bilancio: 85 vittime e oltre 200 feriti. Il più grave atto terroristico (per proporzioni) del secondo dopoguerra, uno degli ultimi degli anni di piombo. Proprio quegli anni di piombo ancora da riscrivere – giudiziariamente e non solo – per i collegamenti tra entità oscure e occulte. Dalla strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969, alla strage di piazza della Loggia del 28 maggio 1974, fino alla strage del treno Italicus del 4 agosto 1974.

    Massoneria, servizi deviati e ‘ndrangheta

    Un intreccio inquietante tra terrorismo, soprattutto di matrice neofascista, servizi segreti deviati, logge coperte (su tutte la P2), comitati d’affari di altissimo e raffinatissimo livello, criminalità organizzata. In particolare, la ‘ndrangheta, per decenni sottovalutata, avrebbe avuto un ruolo centrale in alcune delle vicende più oscure della storia d’Italia. La strage della stazione di Bologna non fa eccezione.

    Proprio recentemente è iniziato il processo a carico di Paolo Bellini, ex membro di Avanguardia Nazionale, ma anche soggetto con collegamenti importanti all’interno della ‘ndrangheta. Per la criminalità organizzata calabrese compirà almeno una decina di omicidi. Oggi è alla sbarra insieme all’ex capitano dei carabinieri Piergiorgio Segatel per depistaggio. Con loro anche Domenico Catracchia, amministratore di alcuni immobili di via Gradoli a Roma usati come rifugio dai Nar. Risponde di false informazioni al pm al fine di sviare le indagini. Tra gli imputati ci sarebbe dovuto essere anche l’ex capo del Sisde di Padova, Quintino Spella, nel frattempo deceduto.

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    L’ex capo della Loggia P2, Licio Gelli

    È proprio questo l’intreccio perverso e indicibile. Per la bomba alla stazione di Bologna sono stati già condannati definitivamente gli ex Nar Giuseppe Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini. Tutti puniti in concorso con Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi, individuati quali mandanti, finanziatori o organizzatori. Di Licio Gelli sappiamo molto (ma non tutto) circa le trame della sua Loggia Propaganda 2. I nomi di Ortolani (banchiere intrallazzato con lo IOR), D’Amato (direttore dell’Ufficio Affari riservati del Ministero degli Interni) e Tedeschi (giornalista e politico) formano (ma non completano) il quadro a tinte fosche.

    La colonna di Avanguardia Nazionale a Reggio Calabria

    Non lo completano. Perché è quasi tutto da delineare il coinvolgimento delle mafie e, in particolare, della ‘ndrangheta. Il processo a carico di Bellini ci sta provando. In una delle ultime udienze prima della pausa estiva, l’ex esponente di Ordine Nuovo e Avanguardia Nazionale, Vincenzo Vinciguerra, ha parlato di «accordo organico» tra destra eversiva e ‘ndrangheta. «La ‘Ndrangheta vedeva Avanguardia come una forza che poteva mettersi contro lo Stato», ha aggiunto Vinciguerra.

    E Bellini è accusato di essere il “quinto uomo” della bomba alla stazione. Oltre alle tre condanne definitive, infatti, ce n’è un’altra, finora di primo grado, a carico di Gilberto Cavallini. Bellini è stato proprio un uomo forte di Avanguardia Nazionale. La stessa Avanguardia Nazionale che aveva rapporti soprattutto con la ‘ndrangheta di Reggio Calabria.

    In riva allo Stretto, Avanguardia Nazionale aveva, a partire dalla fine degli anni ’60, una colonna formidabile. Ineguagliabile in qualsiasi altra parte del Paese. Proprio la ‘ndrangheta doveva essere di fatto l’esercito armato attraverso cui si sarebbe dovuto attuare il Golpe Borghese. Siamo alla fine del 1969. Pochi mesi dopo, nel luglio del 1970, scoppierà la rivolta di Reggio, quella del “Boia chi molla”, fagocitata dagli ambienti di destra.

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    Un’immagine dei Moti di Reggio del 1970

    Junio Valerio Borghese, Franco Freda, Stefano Delle Chiaie: tutti nomi che nulla avrebbero dovuto avere a che fare con il territorio. A Reggio Calabria, invece, erano di casa. Soggetti che legano il proprio nome alla notte della Repubblica.
    Il nome di Delle Chiaie è stato accostato alle grandi stragi degli anni Settanta, come piazza Fontana o Bologna, e a omicidi eccellenti, come quello del giudice romano Vittorio Occorsio. I processi, però, lo hanno sempre visto assolto per non aver commesso il fatto o per insufficienza di prove.

    Dall’Italia al Sud America

    Un dato molto significativo, emerge dalla sentenza della Corte d’Assise di Bologna sulla strage della Stazione, per cui vengono condannati i neofascisti Giusva Fioravanti e Francesca Mambro: «Stefano Delle Chiaie, invece, si muove con grande disinvoltura nell’Argentina dominata dal regime militare. Da latitante qual è, frequenta liberamente vari ambienti e compare a cena a fianco del console italiano.

    Reduce dall’esperienza cilena, dopo un primo momento di difficoltà, comincia a prosperare, raggiungendo l’apice della sua fortuna nel periodo in cui le forze governative argentine – il che, tenuto conto di quella realtà, equivale a dire gli apparati militari– appoggiano, assieme a quelle cilene, il colpo di Stato militare boliviano. Proprio nel periodo prodromico del golpe intensifica la frequentazione della Bolivia. E, dopo la realizzazione del golpe, ottiene addirittura una collocazione stabile e ufficiale presso lo Stato Maggiore dell’Esercito boliviano, quale assessore del VII Dipartimento: carica di tale importanza, che gli dava l’opportunita di incontri diretti con il Capo dello Stato […]

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    Saluti romani attorno alla bara di Stefano Delle Chiaie

    […] Delle Chiaie comincia a prender quota in quello Stato, dove la polizia militare imperversa. Capo di Stato Maggiore della Marina è l’ammiraglio Massera, piduista e addirittura visitatore dello stabilimento industriale di Gelli in Castiglion Fibocchi. Licio Gelli ha stretti rapporti con i servizi argentini. […]

    La penetrazione del potere gelliano in Argentina, tende dunque ad assumere le medesime caratteristiche e ad attingere livelli non inferiori a quelli dell’analoga penetrazione nella realtà italiana». Per questo, scrivono infine i giudici di Bologna «il collegamento Gelli-Delle Chiaie non si presenta come una possibilità, più o meno plausibile, ma costituisce una necessità logica».

    P2 e ‘Ndrangheta

    Lo stesso Vinciguerra, nel corso degli anni, dichiarerà che timer dello stesso lotto di quelli impiegati per l’eccidio di Piazza Fontana erano stati utilizzati anche per «far saltare i treni che portavano gli operai a Reggio Calabria per una manifestazione sindacale». Siamo proprio nel periodo del “Boia chi molla”. E uno dei soggetti più influenti sarebbe appunto Delle Chiaie.

    Sono gli anni in cui la P2 governa un sistema caratterizzato dalla presenza di metastasi in molti dei gangli fondamentali della vita istituzionale, sociale ed economica, dalla magistratura alle grandi case editrici, dai giornali all’alta burocrazia, fino ai partiti politici. Tuttavia, l’aspetto più inquietante e profondo della penetrazione piduista era rappresentato dalla presenza sistematica e monopolistica di uomini iscritti alla P2 ai vertici delle Forze Armate e soprattutto dei Servizi di Sicurezza.

    I Servizi con grembiule e cappuccio

    Interessante, sul punto, un atto giudiziario che infine è stato confermato e divenuto definitivo. Nella sentenza della Corte di Assise di Bologna del 11 luglio 1988, sulla strage della Stazione, viene affermato che: «Nello stesso volger di tempo, nell’ambito di altro procedimento pendente, avanti all’autorità giudiziaria milanese per l’affare Sindona, il 17 marzo 1981 i giudici istruttori Turone e Colombo disponevano un sequestro nell’abitazione e negli uffici di pertinenza del capo della loggia massonica P2, Licio Gelli.

    In Castiglion Fibocchi, la Guardia di Finanza sequestrava, tra l’altro, oltre a una lista degli iscritti alla Loggia P2, tutta una serie di documenti che denunciavano in quali attività e di quale rilievo la Loggia era implicata […] Occorre rilevare sin da ora che risultarono iscritti nelle liste sequestrate fra gli altri, i seguenti nominativi: prefetto Walter Pelosi, capo del Cesis; generale Giuseppe Santovito, direttore del Sismi; generale Giulio Grassini, direttore del Sisde; generale Pietro Musumeci, capo dell’Ufficio Controllo e Sicurezza del Sismi».

    E c’è anche chi sostiene che, anche dopo lo scioglimento, in seguito alla approvazione della“Legge Anselmi”, la P2 non si sia mai effettivamente dissolta. E che abbia continuato, con altro nome, con altre vesti, a perseguire i propri scopi eversivi. Non è un caso che l’inchiesta “Sistemi Criminali”, condotta alcuni anni fa dal pubblico ministero Roberto Scarpinato sulla strategia della tensione dei primi anni Novanta, ipotizzasse questi oscuri accordi.

    Si è conclusa però in un’archiviazione complessiva per personaggi del calibro del gran maestro della P2, Licio Gelli, Stefano Delle Chiaie, mafiosi come Totò Riina e i fratelli Graviano, ma anche l’avvocato Paolo Romeo, avvocato reggino condannato in via definitiva per mafia nel processo Olimpia e considerato un’eminenza grigia delle dinamiche ’ndranghetiste. Ma non arriverà nemmeno in aula, con l’archiviazione del fascicolo.

  • Guerra tra poveri per tappare i buchi del dissesto

    Guerra tra poveri per tappare i buchi del dissesto

    Per l’anno scolastico 2021/2022 il Comune di Cosenza potrebbe affidare il servizio di pre-post scuola e accompagnamento ai percettori del Reddito di cittadinanza. Tutto questo è possibile attraverso i Puc (progetti utili alla Collettività) con buona pace dei 15 lavoratori della cooperativa Adiss impegnati da oltre venti anni ad erogare questo servizio con uno stipendio di 650 euro.

    Il Dissesto welfare e istruzione

    Il dissesto economico-finanziario dell’ente ha pesantemente inciso sulla capacità di garantire da parte di Palazzo dei Bruzi dei servizi nei settori welfare e istruzione.
    A rischio invece l’anno scolastico per gli asili nido. L’assessore Lanzino ha annunciato la possibilità di effettuare una variazione di Bilancio nel mese di agosto che consentirà di garantire un “appalto in convenzione”.

    Sul piatto solo 350mila euro

    Il Comune metterà sul piatto 350mila euro a fronte del 1.080.000 necessario a coprire l’erogazione dei servizi per tutto l’anno scolastico. Una somma irrisoria, se si pensa pensa che solo 750mila euro sono vincolati dagli stipendi ai 35 lavoratori impiegati. La coperta è troppo corta. Delle due l’una: o si riduce il personale e dunque i servizi oppure si aumentano le rette e i costi della mensa per garantire lo stesso servizio.

    Cosa sono i Puc

    I Puc sono progetti utili alla collettività attuati dai comuni, in forma singola o associata anche con enti del terzo settore che, attraverso l’utilizzo di percettori del reddito di cittadinanza garantiscono una nuova attività o il potenziamento di una attività esistente sul territorio.
    Sono sei gli ambiti di intervento: cultura, arte, tutela dei beni comuni, formazione, ambiente e sociale.
    I Comuni sono responsabili dell’approvazione, attuazione, coordinamento e monitoraggio dei progetti anche con l’apporto di altri soggetti pubblici e del privato sociale.

    I Puc in Calabria

    Attualmente in Calabria sono stati attivati 300 progetti Puc. L’ambito d’eccellenza è Soverato con ben 80 progetti attivati, 250 beneficiari e 28 Comuni coinvolti. Sono: Amaroni, Argusto, Badolato, Cardinale, Cenadi, Centrache, Chiaravalle, Davoli, Gagliato, Gasperina, Girifalco, Guardavalle, Isca, Montauro, Montepaone, Olivadi, Palermiti, Petrizzi, S. Andrea, S. Caterina, S. Sostene, S. Vito Sullo Jonio, Satriano, Soverato, Squillace, Stalettì, Torre Di Ruggiero, Vallefiorita.

    Nella raccolta di esperienze positive e buone prassi redatta dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali c’è anche il Comune di Montalto Uffugo con il progetto “L’amico della porta accanto” destinato all’assistenza dei diversamente abili ed anziani e l’associazione E.T.I.C.A. di Crotone con il progetto “Genitori, ripuliamo le scuole”.

    A Vibo spazzini e caregiver

    Dodici i progetti avviati dal Comune di Vibo Valentia. Nove gli ambiti di interesse dall’affiancamento al personale degli uffici comunale all’attività di cura del verde pubblico e delle spiagge, dalla salvaguardia e valorizzazione del patrimonio delle biblioteche alla piccola manutenzione degli immobili comunali. Per finire con la  sensibilizzazione, promozione e corretta esecuzione della raccolta differenziata e le attività di cura ai non autosufficienti.

    A Catanzaro archivisti e pre-post scuola

    Solo quattro, per il momento i progetti realizzati a Catanzaro: riordino archivio cartaceo e verifica numerazione civica, valorizzazione della biblioteca di Palazzo de Nobili, catalogazione beni comunali; accoglienza e sorveglianza alunni (pre-post scuola).
    Per ampliare gli ambiti d’interesse l’assessorato alle Politiche Sociali, guidato da Lea Concolino, ha istituito “il catalogo dei Puc” che sarà aggiornato mensilmente per garantire servizi anche in altri settori.

    Reggio ha approvato solo a luglio i Puc

    Dopo Catanzaro e Vibo Valentia anche la città metropolitana di Reggio Calabria ha approvato a metà luglio i Puc.
    «I percettori di reddito di cittadinanza – ha annunciato il sindaco Giuseppe Falcomatà – contribuiranno in maniera fattiva nella cura e nella tutela dei beni comuni. I progetti previsti porteranno dei “rinforzi” in settori nevralgici come la pulizia delle piazze, delle aree cimiteriali, della cura del patrimonio culturale e degli impianti sportivi».
    Mancano ora all’appello Crotone e Cosenza.

    I numeri di una nuova forza lavoro

    Al 30 maggio 2021 in Calabria sono 189.235 i percettori del reddito di cittadinanza, 80.070 i nuclei familiari coinvolti con un reddito medio di 566,45 euro per circa 107.192.165 euro complessivi al mese.
    La Provincia con il maggior numero di richieste di Rdc nel 2021 è Cosenza seguita da Reggio Calabria, Catanzaro, Crotone e Vibo.
    Per legge il percettore del reddito di cittadinanza è obbligato ad offrire la propria disponibilità a partecipare a progetti comunali utili alla collettività nel Comune di residenza, mettendo a disposizione un numero di ore non inferiori a 8 ore settimanali, aumentabili sino a 16.

    Se non partecipi al Puc perdi il Reddito di cittadinanza

    La mancata partecipazione ai PUC comporta la decadenza del beneficio del RdC.
    Sono esclusi dalla partecipazione ma possono aderire volontariamente i componenti con disabilità, i beneficiari di Rdc o pensione di cittadinanza con età pari o superiore ai 65 anni, chi frequenta regolare corso di studio, le persone con lavoro dipendente sopra gli 8500 gli autonomi con un reddito superiore ai 4800 euro.

    Un nuovo bacino di precari? 

    Il principio cardine dei Puc è la loro non assimilabilità ad attività di lavoro subordinato, para-subordinato o autonomo, trattandosi di attività contemplate nel Patto per il lavoro o nel Patto per l’inclusione sociale che il beneficiario del reddito di cittadinanza è tenuto a prestare e, dunque non darebbe luogo ad alcuni ulteriore diritto. Tuttavia, l’idea comune tende ad identificare i percettori del reddito di cittadinanza impiegati nei Puc agli ex lavoratori socialmente utili o di pubblica utilità, anche perché le attività da svolgere sono coincidenti.

    L’intervento del legislatore

    Per differenziarli il legislatore ha inserito limiti e vincoli sulle attività da svolgere tali da evitare l’instaurazione, di fatto, di una nuova categoria di lavoratori precari, come avvenuto con gli L.S.U., da anni oggetto di finanziamento di politiche di stabilizzazione negli enti utilizzatori o di erogazione di incentivi regionali finalizzati all’attività autonoma o alla micro-imprenditorialità ma forse non basta.

    L’ideale sarebbe predisporre progetti in misura tale da poter occupare tutti i percettori del Reddito di cittadinanza dei Comuni, anche perché in assenza dei progetti il reddito viene comunque percepito e in caso di mancato avvio dei Puc si potrebbe profilare, a carico del dirigente comunale di turno, una ipotesi di danno alla collettività.

    Ma a queste latitudini, con le amministrative alle porte anche un diritto contenuto in una legge dello Stato e che non avrebbe bisogno di spintarelle, pacche sulle spalle o telefonate, sarà trasformato nella gentile concessione di politici e ‘mmasciatari vari.

     

  • Sanità: dai morti nelle Rsa agli affari, il partito trasversale sotto inchiesta

    Sanità: dai morti nelle Rsa agli affari, il partito trasversale sotto inchiesta

    «Sono stati molto solerti quando dovevano segnalarmi che avevo dimenticato di pagare la retta. Invece mi hanno inviato solo un messaggio WhatsApp per comunicarmi che mia madre aveva contratto il Covid. Lei poi è morta nel giro di un mese. E io non ho potuto neanche vederla, salutarla, far celebrare un funerale o anche solo una messa».

    Quella di Giuseppe, avvocato di Soverato, è una delle storie della “Domus Aurea”, ma non è l’unica. «Ad altri è andata peggio», racconta, «una persona che conosco ha scoperto che suo fratello era morto, dopo essere stato contagiato nella stessa struttura, solo da una telefonata di cordoglio che gli è arrivata da altri. Avevano appreso prima di lui la notizia».

    Uno stillicidio di morti

    Mettono i brividi i racconti dei familiari di chi ha vissuto i giorni terribili della Rsa di Chiaravalle Centrale, entroterra catanzarese, diventata un focolaio di Covid costato la vita a 28 persone. È successo poco più di un anno fa, ma il tema della sanità e del rapporto coi privati, nonostante una campagna elettorale già in corso, non sembra centrale nel dibattito di oggi.

    Il primo caso accertato a Chiaravalle risale al 25 marzo 2020. Poi, per la lunghissima settimana successiva, sono rimasti tutti lì, mentre morivano i primi sette pazienti.
    La narrazione social li chiama “nonnini”, ma tra quelle 28 vittime c’era anche chi aveva poco più di 60 anni. Dopo un tira e molla tra la Regione e la proprietà della struttura i pazienti sono stati trasferiti a Catanzaro, ma lo stillicidio di morti non si è fermato fino a maggio inoltrato. Il rimpallo di responsabilità e il contenzioso legale invece prosegue tuttora, a distanza di oltre un anno da quella tragedia umanitaria.

    Tengo… Parente

    Sembra lontanissima e altrettanto dimenticata la vicenda di un’altra Rsa-focolaio, quella di Villa Torano, nel paese cosentino di Torano Castello. Lì i contagi, a cavallo di Pasqua 2020, hanno abbondantemente superato quota 100. Ha fatto discutere perché è emerso un atteggiamento diverso da parte della Regione nei confronti della struttura, con la Cittadella che ha aggirato perfino i suoi stessi provvedimenti.

    rsa-estratto-ordinanza
    Uno stralcio dell’ordinanza di Jole Santelli che stabiliva le procedure da seguire in casi cone quello di Villa Torano

    Per esempio: il titolare ha confermato di aver avuto direttamente dalla Protezione civile regionale circa 200 tamponi per gli ospiti della sua clinica privata. Ma ciò è avvenuto in una fase delicatissima in cui i test per il Covid venivano ancora distribuiti col contagocce. Erano poche centinaia quelli che in quei giorni venivano effettuati in tutta la Calabria.

    La proprietà della struttura fa riferimento al gruppo guidato da Massimo Poggi, ex socio di Claudio Parente – big del centrodestra calabrese, esponente di Forza Italia e coordinatore di una delle liste (“Casa delle libertà”) che ha contribuito alla vittoria elettorale del 2020 – le cui quote nella società che gestisce questa e altre cliniche private sono state rilevate anni fa dalla moglie.

    La magistratura indaga

    Su questi due casi, lontani e distinti non solo geograficamente, la magistratura ha aperto altrettante inchieste di cui ancora non si conosce l’esito. Per Villa Torano la Procura di Cosenza ha acceso i riflettori su alcune morti sospette e sul boom di contagi. Ipotizza i reati di epidemia colposa e omicidio colposo. Per la Rsa di Chiaravalle la Procura di Catanzaro punta ad accertare le cause del contagio di massa e se ci siano state eventuali omissioni da parte degli enti competenti nella gestione dell’emergenza e nel trasferimento di pazienti e operatori quasi tutti infettati nella struttura.

    Profitto vs Bene collettivo

    Ciò che resta, al di là dei risvolti giudiziari di una tristissima strage di anziani, è il nodo dei rapporti tra la politica, ad ogni livello e in ogni schieramento, e l’imprenditoria di settore. Non è in discussione la possibilità di fare affari perfettamente leciti in questo settore. Ma è un fatto che ci siano joint venture più o meno ostentate tra i decisori politici – che anche in regime di commissariamento non si astengono dal far sentire il loro peso – e i portatori di interessi che rispondono alle logiche del profitto e non a quelle del bene collettivo.

    Le cointeressenze, così come le guerre di burocrazia e gli intrecci politici, non riguardano solo la Calabria. Spesso, mentre sul territorio la sanità pubblica annaspa tra tagli ed emergenze, del business calabrese dei privati si discute nei palazzi romani. I due mondi non sono così distinti e quello della sanità privata è senza dubbio un partito trasversale.

    Il sindaco del settore Sanità

    Per esempio, nella Cariati in cui i cittadini occupano per lungo tempo l’ospedale per chiederne la riapertura, il sindaco si chiama Filomena Greco. La sua è una famiglia di imprenditori i cui interessi dall’olio e dal vino si sono estesi alle cliniche private. La loro area di riferimento è il Pd, con amicizie che a quanto si racconta vanno da Renzi a D’Alema.

    Sono proprietari degli “Ospedali Riuniti iGreco”, gruppo che nasce nel 2013 con l’acquisizione della Casa di Cura “Madonna della Catena” e nel 2014 si amplia con l’acquisizione delle strutture “La Madonnina” e “Sacro Cuore”. E, a proposito di trasversalismi, acquista pochi mesi fa ulteriori cliniche. Quelle dei Morrone, big del centrodestra e presenza fissa o quasi da anni in Consiglio regionale, col figlio Luca a prendere il posto che fu del padre Ennio.

    A una loro cerimonia di presentazione del gennaio del 2018 c’erano – riferiscono le cronache locali – oltre tremila persone. Tra di loro anche due deputati del Pd dell’epoca, Brunello Censore e Ferdinando Aiello. Quest’ultimo oggi è indagato assieme all’ex procuratore aggiunto antimafia di Catanzaro, Vincenzo Luberto, trasferito per ragioni disciplinari a Potenza come giudice civile. La Procura di Salerno lo accusa di aver sostanzialmente asservito la propria funzione proprio all’ex parlamentare dem.

    Ancora un’inchiesta

    Altro caso recentissimo è quello dell’inchiesta che coinvolge l’ex sindaco di Amantea Mario Pizzino e l’imprenditore Alfredo Citrigno, indagati per corruzione dalla Procura di Paola in relazione all’apertura di un centro diagnostico. I locali sarebbero stati ceduti dai familiari del politico al noto gruppo imprenditoriale cosentino.

    Fino a prova contraria non significa che i Greco, Parente, Citrigno o altri siano penalmente colpevoli di qualcosa, ci mancherebbe. Si tratta però di casi che forse qualcosa raccontano sui rapporti tra la politica calabrese (e non solo) e molti gruppi della sanità privata.

    I dubbi dei sindacati

    A chiedere chiarezza sono anche i sindacati. Angelo Sposato, segretario generale della Cgil, a margine di un’audizione con la Commissione parlamentare antimafia, ha ribadito pubblicamente la richiesta di «verificare gli accreditamenti nella sanità privata, gli appalti e le forniture». Una proposta poi rafforzata anche dall’intera assemblea del sindacato calabrese, che si è riunita alla presenza del leader nazionale Maurizio Landini.

    Spesso a rimanere schiacciati in situazioni drammatiche sono i lavoratori. È il caso del Sant’Anna Hospital di Catanzaro, una clinica privata d’eccellenza per la cura delle patologie cardiovascolari. Un contenzioso tra Asp e proprietà – con in mezzo un’inchiesta su presunti ricoveri fantasma in Terapia intensiva – ha portato per settimane al congelamento di un contratto da 24 milioni di euro relativo al 2020.

    Antonio Jiritano, dirigente dell’Usb in prima linea in questa e altre vertenze della sanità, conosce bene la situazione. «Per Catanzaro il Sant’Anna è come la Fiat per Torino. La nostra battaglia – spiega – non è certo per favorire i privati, che anzi abbiamo spinto a metterci dei soldi dopo che hanno guadagnato per vent’anni, bensì per i lavoratori. Non si possono tenere alla corda centinaia di persone».

    Sempre più soldi ai privati

    Intanto, anche per avere un’idea dei soldi pubblici che si investono annualmente nel settore, basta leggere l’ultimo decreto del commissario ad acta della sanità calabrese. Guido Longo ha fissato il tetto massimo per l’acquisto di prestazioni di assistenza territoriale sociosanitaria e sanitaria da privato accreditato. Il documento prevede, per il 2021, uno stanziamento complessivo di 186,8 milioni di euro. La somma è in aumento di oltre 12 milioni rispetto all’anno precedente e di 14 milioni rispetto al 2019.
    Il decreto suddivide così il budget: all’Asp di Cosenza 75 milioni, a Catanzaro 38,4 milioni, a Crotone 32,675 milioni, a Reggio Calabria 36,487 milioni e a Vibo Valentia 4,2 milioni.

  • De Magistris galoppa, il Pd corre… dietro a Oliverio

    De Magistris galoppa, il Pd corre… dietro a Oliverio

    Ormai, anche a destra fanno il totoscommesse su de Magistris. E in tanti si dicono convinti che il quasi ex sindaco di Napoli non solo supererà il quorum, ma rischia di salire sul secondo gradino del podio e dare una bella botta al resto del centrosinistra.
    Almeno questa è l’impressione emersa dalla recentissima riunione dei Masanielli calabresi, svoltasi all’Hotel 501 di Vibo Valentia.

    Una prova di partenza mica male per l’ex pm di Why Not?, che dopo mesi di iperattivismo sul territorio calabrese, ha quasi messo a punto la squadra con cui tenterà la conquista di Germaneto e ha aperto il dialogo elettorale anche a destra, dopo aver consolidato il rapporto a distanza con l’ex governatore Mario Oliverio.

    La corsa in solitaria

    I tempi del Tandem – il simbolo bizzarro che rappresentava l’alleanza burrascosa con l’istrionico Carlo Tansi – sembrano lontanissimi. Anzi, pare proprio che il divorzio dal ricercatore del Cnr abbia fatto bene a de Magistris, che ha subito qualche improperio dall’ex sodale ma, a giudicare dal tenore del dibattito social, ha guadagnato in credibilità. Segno che, a volte, perdere certi compagni di strada giova. E non poco.

    E giova anche correre da soli, come dimostra l’esperienza elettorale di Napoli. Mentre gli altri litigavano (a sinistra) e negoziavano (a destra), lui ha percorso in lungo e largo la Calabria. Ha esibito un livello di comunicazione e toni tutto sommato accettabili, senza sbilanciamenti eccessivi – e facili – sui versanti populista e giustizialista. Ha gestito un rapporto diretto con gli elettori (al momento potenziali) che ha iniziato a dare più frutti del previsto.
    Infatti, de Magistris non solo non si è fatto vampirizzare dall’ex sodale e dai potenziali avversari a sinistra, ma li ha vampirizzati.

    Il ruolo di Oliverio

    Stando a una succosa indiscrezione, avrebbero bussato alla sua porta un bel po’ di ex tansiani, evidentemente stressati dalla navigazione bizzarra e a vista del loro timoniere. E, al riguardo, c’è chi parla di una potenziale lista fatta di ex seguaci del visconte della tettonica a zolle, che si aggiungerebbero a Ugo Vetere.
    Dalla riunione vibonese sembra, inoltre, confermata la liaison con Oliverio. All’incontro hanno presenziato due esponenti di spicco dell’ex sinistra Pd: il vibonese Antonio Lo Schiavo e l’ex consigliere regionale cosentino Giuseppe Giudiceandrea.

    Il simbolo di questo schieramento, che potrebbe indebolire non poco i “compagni coltelli” del centrosinistra di Amalia Bruni è Liberamente progressisti.
    L’unico dubbio, in merito, è se a questo simbolo corrisponderà una lista di oliveriani o se questi si sparpaglieranno in tutto lo schieramento. Come ha spiegato Giggino, si tenta di evitare squilibri tra liste troppo forti e liste che non lo sono abbastanza. Detto altrimenti, i Masanielli mirano a massimizzare il bottino e, per farlo, spalmano le forze in maniera più uniforme possibile.

    Le liste

    Ancora non c’è nulla di certo, ma da quel che emerge, de Magistris potrebbe schierare da un minimo di sette a un massimo di nove liste.
    Iniziamo da quelle certe. Innanzitutto, ci sono le quattro liste demagistrisiane: De Magistris presidente, Dema, Uniti per de Magistris, Per la Calabria con De Magistris.
    Seguono le tre liste “politiche”, cioè la già menzionata Liberamente progressisti, Un’altra Calabria è possibile, ispirata a Mimmo Lucano, ed Equità per la Calabria, che contiene esponenti del Movimento 24 agosto-Equità territoriale, il partito “terronista” fondato due anni fa da Pino Aprile.

    A proposito dei terronisti, emerge un dettaglio troppo simpatico per non menzionarlo e non riguarda la leadership del giornalista pugliese, ridottasi a un’onorificenza platonica. Tocca, semmai, le scelte politiche globali, che risultano contraddittorie: infatti, mentre i terronisti appoggiano de Magistris, a Napoli ne avversano il candidato da lui indicato come proprio successore. Regione che vai, terrone che trovi.
    Resta il dubbio per Primavera della Calabria (il laboratorio politico di Anna Falcone) e per Calabria resistente e solidale, che potrebbero limitarsi a un fiancheggiamento esterno.
    In ogni caso, nove simboli sembrano un sintomo di ottima salute.

    Compagni coltelli

    Ancora trapela poco sul centrosinistra che si ostina a dirsi “ufficiale” ma che rischia di restare in braghe di tela. Da un lato, resta ai “bruniani” la possibilità di compilare liste forti grazie ai consiglieri uscenti, che vantano sulla carta ancora buoni numeri, come i cosentini Carlo Guccione e Mimmo Bevacqua. Ma non è detto che questi numeri possano tradursi in una somma algebrica, per almeno due fattori non proprio irrilevanti.

    Il primo: in non pochi, a sinistra, percepiscono la candidatura della scienziata come un maquillage elettorale per salvare il salvabile. Quindi una domanda è d’obbligo: è possibile votare chi ha gestito potere con la consapevolezza che difficilmente lo gestirà di nuovo? E ancora, sotto il profilo più “ideologico”: gli arrabbiati di sinistra, possono ritenere ancora valido il richiamo dei notabili di un’area politica, quella che gravita attorno al Pd, che ha perso ruoli e credibilità dal post renzismo in poi?

    Il secondo fattore riguarda Tansi, che al momento sembra aver trovato pace. Ma non troppa: infatti, ha chiesto la sottoscrizione di un codice etico tosto, a cui, ora come ora, non arriverebbero neppure i grillini. Ma chi chiederà di fare un passo indietro ai candidati che risultassero incompatibili con questo codice?
    E non finisce qui, perché i bene informati sussurrano altro, non senza una certa malignità. La liaison tra Tansi e la Bruni avrebbe una pronuba di non poco conto, la ministra dell’Università Maria Cristina Messa, medico con una gavetta accademica importante.

    Insomma, una roba tra scienziati per cercare di uscire con le ossa meno rotte possibile dallo scontro imminente con Roberto Occhiuto a destra e de Magistris a sinistra. Missione non facile, insistono i maligni. Che poi propinano altri retroscena, stavolta romani: i big del Pd si sarebbero rivolti a Letta perché provi a ricucire lo strappo con Oliverio e tutti amici come prima. O, almeno, meno nemici di prima, perché il nuovo divorzio tra l’ex governatore e il big cosentino Nicola Adamo rischia di fare più danni della vecchia lite del 2011, quando a causa dei loro dissidi Cosenza finì in mano di Mario Occhiuto.

    Per concludere

    Se son rose fioriranno. Ma a sinistra si vede soprattutto un roveto, in cui si lotta al coltello per arrivare secondi e prendere più seggi possibile.
    De Magistris, dopo un tour regionale iniziato in salita, inizia a schierare le truppe. Occhiuto lavora di fino per cucire gli strappi con i meloniani. Quel che resta dell’area Pd, invece, annaspa tra i soliti segreti brezneviani e le consuete contraddizioni.
    Non è detto che la sfiga sia di sinistra, come sosteneva Gaber. Ma di sicuro il casino lo è.

  • ‘Ndrangheta, massoneria e politica: per “Gotha” 25 anni a Romeo, 13 a Sarra

    ‘Ndrangheta, massoneria e politica: per “Gotha” 25 anni a Romeo, 13 a Sarra

    La componente riservata della ‘ndrangheta esiste e ha deciso (e decide) le sorti della vita politica, economica e sociale della popolazione. Lo ha stabilito con la sentenza di primo grado del maxiprocesso “Gotha” il Tribunale di Reggio Calabria, presieduto da Silvia Capone.

    Condanne e assoluzioni per i politici

    In particolare, in riva allo Stretto sono stati inflitti 25 anni di reclusione per Paolo Romeo, 13 anni per Alberto Sarra. Ma è clamorosa l’assoluzione di Antonio Caridi. Il Tribunale ha quindi accolto l’impianto accusatorio portato avanti dalla Dda di Reggio Calabria, seppur con alcune assoluzioni inaspettate. Un teorema accusatorio ambizioso quello portato avanti dalla Procura in quel periodo retta da Federico Cafiero De Raho, oggi procuratore nazionale antimafia.

    Sarebbe stato l’avvocato ed ex parlamentare Paolo Romeo, con un passato nell’estrema destra, al vertice della masso-‘ndrangheta. Romeo avrebbe infiltrato le Istituzioni a ogni livello. Da quelle più strettamente locali, fino ai livelli più alti. Si inquadra in tal senso la condanna inflitta in primo grado all’ex sottosegretario regionale, Alberto Sarra. Mentre è assolutamente una sorpresa quella per l’ex senatore Totò Caridi.

    Nell’impostazione accusatoria, peraltro, non solo Sarra e Caridi, ma anche l’ex sindaco reggino ed ex governatore, Giuseppe Scopelliti sarebbe stato diretto dalla volontà di Paolo Romeo. Scopelliti, pur evocato numerose volte, non risultava comunque tra gli imputati del maxiprocesso alla componente riservata della ‘ndrangheta.

    Il prete e gli avvocati

    Pur trattandosi, per il momento, di una sentenza soltanto di primo grado, quella del processo “Gotha” potrebbe segnare una svolta nella lotta giudiziaria ai livelli più alti e alle connivenze più oscure della criminalità organizzata calabrese. Nello stralcio celebrato con il rito abbreviato (e, quindi, già arrivato alla sentenza d’appello) è infatti già stato condannato l’altro soggetto ritenuto come l’eminenza grigia della ‘ndrangheta: l’avvocato Giorgio De Stefano, legato da vincoli parentali con lo storico casato reggino, ma considerato (al pari di Romeo) una mente raffinatissima capace di fare da collante tra l’ala militare dei clan e i livelli riservati.

    Tra le altre persone condannate, l’avvocato Antonio Marra (17 anni), considerato il braccio destro di Romeo, ma anche l’ex, onnipotente, dirigente del Settore Urbanistica del Comune di Reggio Calabria, Marcello Camera, anche se punito solo con 2 anni di reclusione a fronte della richiesta di 13 anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Assolto l’ex presidente della Provincia di Reggio Calabria, Giuseppe Raffa. Condannato invece l’ex rettore del Santuario della Madonna di Polsi, a San Luca, don Pino Strangio. Il prete avrebbe fatto parte della rete relazionale occulta di Romeo.

    In particolare, l’avvocato Marra avrebbe svolto il “lavoro sporco” di confidente con le forze dell’ordine. In tal senso, si inquadrerebbe il ruolo di Marra nella presunta “trattativa Stato-‘ndrangheta” per arrivare ad alcuni arresti dopo la strage di Duisburg del Ferragosto 2007, che si inquadrava nella sanguinosa faida di San Luca. Trame non completamente chiarite, in cui emergerà il ruolo di alcuni appartenenti del Ros dei Carabinieri, ma anche dello stesso prete don Strangio. Rapporti con i Servizi Segreti di cui era esperto il commercialista-spione, Giovanni Zumbo, condannato a 3 anni e 6 mesi di reclusione.

    Il procedimento è durato diversi anni, con centinaia di udienze all’interno dell’aula bunker di Reggio Calabria. La Dda di Reggio Calabria si è avvalsa anche delle dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, che hanno tratteggiato il legame oscuro e indicibile tra ‘ndrangheta, massoneria e servizi segreti deviati.

    Le decisioni del Tribunale di Reggio Calabria:

    Vincenzo Amodeo assolto

    Domenico Aricò assolto

    Vincenzo Carmine Barbieri 3 anni e 4 mesi

    Marcello Cammera 2

    Amedeo Canale assolto

    Demetrio Cara assolto

    Antonio Caridi assolto

    Carmelo Cartisano 20 anni

    Francesco Chirico 16 anni

    Giuseppe Chirico 20 anni

    Saverio Genoese Zerbi – deceduto

    Salvatore Primo Gioè 16 anni e 6 mesi

    Paolo Giustra 2 anni

    Giuseppe Iero assolto

    Antonio Marra 17 anni

    Maria Angela Marra Cutrupi assolta

    Angela Minniti 2 anni e 8 mesi

    Teresa Munari assolta

    Domenico Nucera assolto

    Domenico Pietropaolo assolto

    Giovanni Pontari assolto

    Giuseppe Raffa assolto

    Rosario Giuseppe Rechichi 3 anni e 6 mesi

    Giovanni Carlo Remo assolto

    Paolo Romeo 25 anni

    Alberto Sarra 13 anni

    Andrea Scordo assolto

    Giuseppe Strangio 9 anni e 4 mesi

    Rocco Antonio Zoccali assolto

    Giovanni Zumbo 3 anni e 6 mesi

    Alessandro Delfino 5 anni

  • Palazzo dei Bruzi, pronto il ticket Caruso-Rende

    Palazzo dei Bruzi, pronto il ticket Caruso-Rende

    Franz Caruso sindaco e Bianca Rende vice. Ecco il ticket trovato dal centrosinistra in vista delle prossime elezioni per il rinnovo del consiglio comunale di Cosenza. Sono ore decisive per definire il contesto di questa sintesi politica in procinto di essere battezzata da Francesco Boccia, responsabile enti locali della segreteria nazionale del Pd. I due nomi sono in pole per la conferma che dovrebbe manifestarsi tra non molto. Forse anche prima della presentazione ufficiale di “Cosenza 2050”, nome un po’ grillino per la premiére di Caruso nella sala degli specchi della Provincia prevista per il 3 agosto prossimo.

    L’avvocato socialista e l’ala adamica

    Franz Caruso finora ha sempre tentato, senza riuscirci, di arrivare fino in fondo alla candidatura a sindaco. Questa volta il finale sembra essere diverso dal solito. Complice il dialogo ritrovato anche tra l’ala dei Democratici che fa capo ad Enza Bruno Bossio – e suo marito Nicola – con la nuova segreteria nazionale guidata da Enrico Letta. Seguono a ruota i socialisti di Incarnato da sempre sostenitori della candidatura a Palazzo dei Bruzi del noto penalista. Intanto a via Popilia si moltiplicano i candidati.

    Bianca Rende e il patto del caciocovello
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    Bianca Rende (a sinistra) e Stefania Covello (a destra) con l’ex ministro Teresa Bellanova

    Sembra quasi un’operazione democristiana. Di quelle costruite con sapienza e pazienza. Forse gestita da Stefania Covello, riferimento politico della stessa Bianca Rende. La Covello, figlia di Franco (noto come caciocovello negli ambienti della Balena bianca) dopo avere abbandonato Italia Viva, sarebbe tornata nell’alveo del Pd discutendo direttamente con Enrico Letta. Anche Bianca Rende aveva lasciato il partito di Renzi. È tra i fondatori del movimento WWW, What Women Want, oggi è spesso ospite di incontri organizzati dalla Cgil, segno di un suo riposizionamento più a sinistra. Sperava nella candidatura a sindaco. Essere vice non è poi così male.

    Bocciofili di Cosenza unitevi

    Cosa c’è di meglio che una riunione alla presenza di Francesco Boccia negli ambienti condizionati dell’Hotel Royal per decidere come risolvere la complicata matassa del centrosinistra a Cosenza? Non era difficile capire che, dopo l’uscita del commissario Miccoli, l’aria sarebbe cambiata. Non fino a questo punto.
    Ecco pronto un altro ticket. Quello tra il presidente della Provincia di Cosenza Franco Iacucci e la parlamentare Enza Bruno Bossio. Entrambi dovrebbero correre nelle file del Partito Democratico alle regionali di ottobre. Boccia pare avere un ruolo anche su questo schema. Del resto si accompagna sempre a Franco Iacucci in molte uscite pubbliche.