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  • Pd pulp, colpi bassi e intrecci nella Calabria di mezzo

    Pd pulp, colpi bassi e intrecci nella Calabria di mezzo

    Dalle narrazioni non ufficiali della notte dei lunghi coltelli vissuta dal Pd catanzarese tra venerdì e sabato emerge uno spaccato inquietante. L’introduzione delle quote rosa ha fatto sì che tre posti, sugli 8 disponibili nel collegio Centro (Catanzaro-Crotone-Vibo), fossero blindati: Aquila Villella, Annagiulia Caiazza, Giusy Iemma.

    Posto sicuro anche per un consigliere uscente (Luigi Tassone) e per due che si erano candidati ma non ce l’avevano fatta a gennaio 2020 (Fabio Guerriero e Raffaele Mammoliti). Restavano due posti, ma se li contendevano tre maschietti: il sindaco di Soverato Ernesto Alecci (in realtà a garanzia del suo posto c’era l’appartenenza a “Base riformista”, la corrente di Luca Lotti), l’ex presidente della Provincia Enzo Bruno, l’uscente Francesco Pitaro.

    Ernesto Alecci, sindaco di Soverato

    Quest’ultimo è entrato in Consiglio regionale con Pippo Callipo, ha fatto quasi tutto lo scorcio di legislatura col Misto e qualche settimana fa si era avvicinato al Pd, forte di un accordo con i vertici provinciali. Apriti cielo. Guerriero ha minacciato di ritirare la candidatura, Alecci pure, Bruno di uscire dal partito. Alla fine sono cadute le teste di Bruno e Pitaro, il posto conteso per uscire dall’impasse lo ha occupato il segretario provinciale Gianluca Cuda e le due “vittime” hanno subito dato sfogo a reazioni al vetriolo.

     

    Lo sfogo di Bruno

    L’ex presidente della Provincia ha parlato di «logiche poco trasparenti, perverse e poco rispettose della comunità democratica». Poi con un certo sprezzo del ridicolo ha fatto anche sapere di aver accettato la candidatura a sindaco di Vallefiorita per il «cambiamento e la rinascita» del suo paese, dove era assessore già nel 1988 e vicesindaco nel 1993.

    Francesco Pitaro ha descritto un partito di belve feroci che non sarebbe diventato certo una comitiva di educande se avesse accettato la sua candidatura. Pino Pitaro, ex sindaco di Torre di Ruggiero coinvolto nell’inchiesta antimafia “Orthrus” per il quale però la richiesta d’arresto è stata più volte negata, ci ha messo il carico scrivendo sul profilo Facebook del fratello: «La cosca politica si è organizzata contro di te». Secondo i bene informati la regia della loro esclusione sarebbe, almeno in parte, ascrivibile al deputato Antonio Viscomi. Che, così, nel suo collegio di appartenenza ha provato a evitare di farsi fare le scarpe proprio dall’ultimo arrivato.

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    Francesco Pitaro, consigliere regionale del gruppo Misto

     

    Pd, il mentore e il discepolo

    La vicenda (molto pulp) del Pd catanzarese è emblematica dello stato di un partito a cui sembra interessare solo il mantenimento di postazioni da cui dividersi le macerie di ciò che resterà dopo le Regionali. In questo senso dice molto anche un’altra storia di queste ore che viene dall’entroterra, dalle Serre: quella del ricandidato Tassone. Eletto a gennaio 2020 dopo essere entrato in lista all’ultimo minuto grazie alla scure calata da Pippo Callipo sulle candidature proposte dal duo Graziano-Oddati, e del suo mentore di sempre, Bruno Censore, che invece è nella lista di Mario Oliverio.

    L’uno era l’ombra dell’altro, diciamo quasi zio e nipote, oggi invece non si parlano nemmeno e puntano al reciproco scalpo da postazioni distanti. Tassone ha dalla sua un piazzamento decisamente migliore. Censore invece è dovuto ricorrere anche a candidature di servizio per riempire le caselle, ma i voti in provincia sono sempre stati del mentore e il delfino sa in cuor suo che gli venderà (politicamente) cara la pelle.

     

    Il garantismo di FI non vale per Vito Pitaro

    Altra vicenda vibonese interessante è quella di un altro Pitaro, Vito, estromesso dalla sera alla mattina dal centrodestra senza tante spiegazioni. Consigliere regionale uscente, è parecchio chiacchierato per delle intercettazioni molto sconvenienti con un sanguinario, presunto capo di una cosca emergente e per dichiarazioni di pentiti non esattamente da curriculum, ma per quel che se ne sa non è nemmeno indagato.

    L’ex comunista Vito Pitaro

    Stupisce dunque che il garantismo storico dei berlusconiani stavolta non sia stato adoperato per un politico che è ritenuto utile al Comune di Vibo. Lì (almeno finora) il suo gruppo sostiene l’amministrazione di centrodestra guidata da Maria Limardo ed è risultato “buono” anche per vincere le elezioni regionali del 2020. Invece ora, all’improvviso e senza motivazioni ufficiali, finisce fuori dalle liste. Per di più proprio quando il coordinatore regionale del partito che esprime il candidato alla Presidenza è lo stesso Giuseppe Mangialavori con cui si era alleato per vincere le Comunali.

     

    Il notaio vibonese con De Magistris

    Nel collegio centrale ha puntato forte anche un altro aspirante governatore, Luigi de Magistris, che tra Crotone, Lamezia e Vibo ha scelto candidati ben radicati sul territorio come Filippo Sestito, Rosario Piccioni e Antonio Lo Schiavo. Quest’ultimo, notaio vibonese, ci aveva già provato con Callipo alle passate elezioni ma non ce l’ha fatta per una manciata di voti. All’epoca e anche oggi ha il sostegno dell’ex presidente della Commissione regionale antimafia Arturo Bova, ma stavolta gli mancherà proprio l’appoggio lametino dell’area di Gianni Speranza di cui Piccioni è un punto di riferimento. Fra i tre, alla fine, potrebbe trarne vantaggio solo l’ex pm, forse.

     

    Lamezia rischia di non sedere in consiglio regionale

    A Lamezia, come previsto, è partita una nuova carica di candidature – una quindicina solo dalla città, senza contare l’hinterland – che rischiano solo di frammentare i rispettivi campi riducendo le possibilità di avere rappresentanti in consiglio regionale per la quarta città della Calabria, com’è già avvenuto nelle ultime due legislature.

    È da segnalare il ritorno in campo di Pasqualino Scaramuzzino, ex sindaco ai tempi del secondo commissariamento per mafia di Lamezia ed ex presidente della Fondazione Terina; di recente si è attirato parecchie polemiche social per un video (sponsorizzato) su Facebook in cui, affiancato da da Mangialavori e Occhiuto, esaltava il “sacrificio” di quest’ultimo per aver deciso, dalla postazione di rilievo della Camera, di venire a “sporcarsi le mani” in Calabria.

    Gioca la sua personale partita anche il deputato leghista Domenico Furgiuele, spesso citato per gli imbarazzi giudiziari in cui si è trovato il suocero, che ricandida l’uscente Pietro Raso in “accoppiata” con Antonietta D’Amico, provando così dal suo “feudo” di Sambiase ad allargarsi sia nell’hinterland che nel centro di Nicastro.

    Flora e Baldo nella campagna acquisti Udc

    Sull’asse Crotone-Catanzaro sembra potenzialmente forte, dal punto di vista dei consensi, la doppia new entry nell’Udc rappresentata da Baldo Esposito, già in area Gentile, e di Flora Sculco, altra figlia d’arte che scalpita come Silvia Parente il padre Claudio ha rinsaldato l’asse con Mimmo Tallini – e Katya Gentile, forte dell’accordo bifamiliare con gli Occhiuto tra la Regione e il Comune di Cosenza. Nell’Udc ha militato anche Sabatino Falduto, ex assessore comunale vibonese che oggi è candidato nella lista di Fratelli d’Italia e che “vanta” anche un passaggio nel Pd.

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    Flora Sculco, consigliera regionale del gruppo DP, si candida con l’Udc
    Cambi di casacca

    Trasversalismi e cambi di casacca sono d’altronde pratiche diffuse e nel collegio si segnalano a questo proposito le seguenti curiosità: Giovanni Matacera, candidato di Forza Italia, è fratello di Pietro, già vicesindaco di Soverato, cittadina jonica il cui sindaco è Alecci (candidato nel Pd); Innocenza Giannuzzi, già Agricoop, Confapi e ora Confartigianato, era candidata a gennaio 2020 con “Io resto in Calabria” di Callipo mentre ora è in lista con Oliverio; Tiziana De Nardo, alle precedenti elezioni candidata con i Democratici e progressisti (centrosinistra), nel giro di un anno e mezzo è passata, via Italia del meridione, a conquistare un posto nella lista “Forza azzurri”.

  • Assalto alla Cittadella: truppe schierate in cerca di poltrone

    Assalto alla Cittadella: truppe schierate in cerca di poltrone

    Sfida per la continuità o per il cambiamento (ma quale?), le Regionali si annunciano piuttosto combattute, sebbene l’esito sia considerato scontato dalla quasi totalità degli osservatori.
    Roberto Occhiuto, che rivendica l’eredità politica di Jole Santelli, è dato per favorito, grazie anche a liste compilate per fare il pieno di voti.
    Il perno di Occhiuto, come già per Oliverio e la ex presidente prematuramente scomparsa, è Cosenza e non è un caso che il candidato azzurro abbia concentrato proprio nella circoscrizione Nord una potenza di fuoco non indifferente.

    L’armata azzurra

    Il dilemma di Forza Italia è risolto. Capolista sarà l’assessore all’Agricoltura Gianluca Gallo, fortissimo nella fascia jonica e amico-rivale storico dell’aspirante governatore.
    Fuori dalle liste Pino Gentile, che tuttavia non ha rinunciato a lasciare le sue impronte sulla coalizione. Fortissime quelle di sua figlia Katya, già vicesindaca di Cosenza nella prima metà dell’era Occhiuto.

    Meno marcate, ma altrettanto significative, quelle di Simona Loizzo, dentista cosentina con un ruolo importante nella Sanità calabrese, precedenti politici di rilievo (è stata dirigente provinciale cosentina del Pdl), vicinissima alla famiglia Gentile e con addentellati fortissimi nella Cosenza “che conta” (è la nipote di Ettore Loizzo, ex big della massoneria calabrese ed ex gran maestro aggiunto del Goi).

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    Roberto Occhiuto

    La Loizzo, come già anticipato, è candidata nella Lega, in ottima compagnia del consigliere uscente e big di Coldiretti Pietro Molinaro e dell’ex “imbrattamuri” Leo Battaglia, protagonista della bravata ferragostana che ha fatto chiacchierare tutta l’Italia: il lancio sul litorale delle mascherine chirurgiche con santino elettorale dall’elicottero.
    Forti anche nelle altre due circoscrizioni le candidature salviniane: Pietro Raso e Filippo Mancuso nel Catanzarese e Tilde Minasi nel reggino.

    Ma Occhiuto pesca anche nel bacino di Palazzo dei Bruzi: al riguardo, fanno bella mostra di sé Carmelo Salerno (Fi), Pierluigi Caputo (Forza Azzurri) e l’assessora cosentina Francesca Loredana Pastore (Fratelli D’Italia).
    Non mancano i sindaci o ex tali. Ci si riferisce a Pasqualina Straface, ex prima cittadina di Corigliano (Fi) e a Gioacchino Lorelli, attuale sindaco di San Pietro in Amantea molto quotato nel basso Tirreno cosentino.

    Bianchi e neri

    A proposito di Meloniani, resta confermata l’indiscrezione su Luca Morrone, che ha candidato in sua vece la moglie Luciana De Francesco e, finalmente, si candida l’assessore al Turismo uscente Fausto Orsomarso.
    Forte, nella circoscrizione reggina, la candidatura del consigliere uscente Giuseppe Neri.
    Tra le novità assolute, l’ingresso dei seguaci del governatore ligure Giovanni Toti. È confermata, al riguardo, la candidatura di Alfredo Iorio, già uomo ombra dei leghisti Vincenzo Sofo e Pietro Molinaro. Evidentemente, Coraggio Italia è una casa per salviniani in libera uscita.

    Ritorni forti anche nell’Udc, che ricandida Giuseppe Graziano, detto “Il generale” nel Cosentino e Flora Sculco – la figlia di Enzo siede al momento a Palazzo Campanella in quota democrat nel Catanzarese.
    Confermata anche la presenza di Noi con l’Italia di Maurizio Lupi, le cui liste sono state confezionate da un altro ex Udc di peso: Pino Galati.
    L’ultima indiscrezione agostana rivelatasi fondata riguarda la candidatura di Piercarlo Chiappetta, cognato di Mario Occhiuto e consigliere comunale uscente di Cosenza, in lista in Forza Azzurrri.

    Amalia, la scienziata

    Ci voleva proprio una neurologa di fama per venire a capo dello sfacelo del centrosinistra.
    Anche Amalia Bruni ha concentrato il fuoco su Cosenza, dove la sfida è più difficile e i rischi maggiori, a causa dell’ingresso di Mario Oliverio, che potrebbe azzoppare proprio il Pd nel suo territorio.
    Pienissima la lista dem cosentina, in cui sono concentrati i big uscenti tranne Carlo Guccione, silurato in seguito al martellamento di Carlo Tansi. E cioè Mimmo Bevacqua, Giuseppe Aieta, Graziano Di Natale e il presidente della Provincia Franco Iacucci.
    Forte anche la candidatura di Nicola Irto, capolista del Pd nella circoscrizione Sud.

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    Amalia Bruni

    Nella lista della presidente, Amalia Bruni presidente (appunto…), si segnala la presenza di Giovanni Manoccio, storico ex (oggi vice) sindaco di Acquaformosa.
    Un altro ritorno nel Movimento 5 Stelle: si tratta di Domenico Miceli, ex capogruppo grillino di Rende, candidato come capolista nella circoscrizione cosentina.
    A conferma della sua voglia di giocarsi il tutto per tutto per entrare in Consiglio regionale, Carlo Tansi è candidato capolista della sua Tesoro di Calabria in tutte e tre le circoscrizioni.
    A completamento della coalizione, le liste del Psi, del Partito Animalista e di Europa Verde.
    Un merito alla Bruni lo si può riconoscere: è riuscita comunque a tenere unito il centrosinistra, che invece è spaccato a Cosenza, dove sarebbe riuscito a giocare la partita vera…

    Il giustiziere

    Luigi de Magistris schiera sei liste a geometria variabile. Smentisce le voci sulla propria candidatura anche a capolista (segno che conta di arrivare secondo) e schiera i propri fedeli a seconda delle proprie possibilità di farcela o meno.
    Ne sono esempi Anna Falcone, candidata capolista per de Magistris presidente nelle circoscrizioni Nord e Centro, e Mimmo Lucano, capolista in tutte e tre le circoscrizioni calabresi in Un’altra Calabria è possibile.

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    Luigi de Magistris con Anna Falcone durante la raccolta delle firme per presentare le liste

    Non mancano le curiosità. Tra le varie critiche mosse al quasi ex sindaco di Napoli c’è stata quella di aver soffiato candidati ai concorrenti, nello specifico a Carlo Tansi e al Movimento 24 agosto-Equità territoriale, l’ex partitino meridionalista di Pino Aprile.
    Voci confermate: l’ex tansiano Ugo Vetere si candida con Dema nella circoscrizione Nord e l’ex apriliano Amedeo Colacino nella circoscrizione centrale, sempre con Dema.

    Restano confermate la rinuncia a candidarsi dell’ex consigliere regionale Giuseppe Giudiceandrea e la candidatura di Mimmo Talarico, che coltiva un rapporto politico stretto con de Magistris sin dai tempi in cui era consigliere regionale in quota Idv.
    Le liste del “re di Napoli” oscillano tra civismo e sinistra radicale. Di sicuro azzerano le speranze di vittoria di Amalia Bruni ma non garantiscono l’agognato secondo posto al loro leader. A meno che Oliverio non riesca nel suo scopo.

    La ridotta di Mario Oliverio

    I fedelissimi dell’ex governatore tentano il tutto per tutto per ridimensionare il Pd attraverso una candidatura di testimonianza pura e disperata.
    Secondo alcuni, la scesa in campo di Mario Oliverio rievoca una specie di “resistenza”. Più realisticamente, sembra una Salò, per fortuna meno tragica e sanguinosa.
    I “repubblichini” di Oliverio vanno giù duri e promettono fuoco e fiamme contro i “compagni” coltelli dem, anche a costo di agevolare de Magistris.

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    L’ex presidente della Regione, Mario Oliverio

    Col big silano si sono schierati degli ultrà di lungo corso come i cosentini Maria Francesca Corigliano e Mario Caligiuri e Bruno Censore. Più qualche duro dell’ultima ora, come Giuseppe Belcastro, ex sindaco di San Giovanni in Fiore diventato famoso per aver azzoppato il centrosinistra nella sua città appoggiando la candidatura di Rosaria Succurro, assessora di Mario Occhiuto diventata prima cittadina nell’ex Leningrado della Calabria.
    Vendetta, tremenda vendetta, pare lo slogan di Oliverio. E c’è da essere sicuri che, in un modo o nell’altro, riuscirà a coglierla.

    Bagno di sangue

    Le liste risultano tutte più o meno cambiate: via i presunti incandidabili, anche a costo di qualche ingiustizia (come nei casi di Pino Gentile e Luca Morrone) e di qualche rischio.
    Le esigenze restano diverse: Occhiuto, più che di vincere, è preoccupato di rafforzare la propria leadership, mentre gli avversari lottano per la sopravvivenza, senza esclusione di colpi, meglio ancora se bassi.
    Dopo un agosto tropicale, inizia l’autunno caldissimo per la politica.

  • Trasformisti, parenti e borderline: le Regionali nella Circoscrizione Sud

    Trasformisti, parenti e borderline: le Regionali nella Circoscrizione Sud

    Cambi di casacca, contesti relazionali equivoci, parentele imbarazzanti con la ‘ndrangheta o con altri politici non graditi per la candidatura. Chi si aspettava un cambiamento di logiche nella scelta dei candidati al prossimo Consiglio Regionale della Calabria nella Circoscrizione Sud, sarà rimasto molto deluso. A essere maggiormente interessati dal fenomeno sono i due principali schieramenti in contesa. Il centrodestra, alla fine confluito interamente su Roberto Occhiuto. E una parte del centrosinistra, Pd e Movimento 5 Stelle, che appoggiano Amalia Bruni. In mezzo, nel tentativo di non essere stritolati, il sindaco di Napoli, Luigi De Magistris. E l’ex governatore, Mario Oliverio.

    Il centrodestra

    Tra i cavalli di battaglia del candidato governatore Occhiuto ci sono quelli delle “liste pulite”. Addirittura – dice – andando oltre gli stringenti criteri della Commissione Parlamentare Antimafia. Ma anche il concetto di “liste rigenerate”. Ma è davvero così?

    In Forza Italia, nella Circoscrizione Sud troviamo tra i candidati il presidente uscente del Consiglio Regionale, Giovanni Arruzzolo. Non indagato, viene menzionato spesso nelle carte d’indagine dell’inchiesta “Faust”. Indagine condotta dalla Dda di Reggio Calabria contro la famiglia Pisano di Rosarno. Costola del potente casato dei Pesce che, insieme ai Bellocco si divide da sempre Rosarno.

    A proposito di Bellocco e Rosarno, imbarazza non poco la candidatura di Enzo Cusato nei ranghi della Lega. È il consuocero del presunto boss Rocco Bellocco, la figlia ha sposato Domenico, figlio del presunto capoclan. La scelta stride coi proclami del commissario regionale del Carroccio, Giacomo Francesco Saccomanno. Che da settimane inonda le redazioni di comunicati stampa sulla lotta della Lega allo strapotere dei clan.

    Ma torniamo a Forza Italia. Tra i candidati spicca il nome del giovane imprenditore Giuseppe Mattiani. Già alle scorse Regionali aveva ottenuto un buon risultato, pur non risultando eletto. La famiglia Mattiani negli scorsi anni fu anche interessata da un cospicuo sequestro di beni per presunte connivenze con i clan. Ma riuscirà a dimostrare la propria estraneità, ottenendo la restituzione degli averi.

    Risulta invece indagata, con richiesta di rinvio a giudizio, Patrizia Crea, già assessore comunale a Melito Porto Salvo. La Giunta di cui era anche vicesindaco, infatti, avrebbe assegnato un immobile di proprietà comunale a una università privata, provocando quindi un ingiusto vantaggio alla stessa. Ma non solo. La Procura di Reggio Calabria in un’altra inchiesta la sospetta (insieme ad altri membri dell’allora Giunta Comunale) di falso in bilancio. In ultimo, risulta indagata perché non si sarebbe astenuta in Giunta nel voto di una delibera che, sostanzialmente, promuoveva la sorella ad un incarico superiore. Ovviamente in seno all’Amministrazione Comunale melitese.

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    Giuseppe Neri tenta il bis alla Regione ricandidandosi con Fratelli d’italia

    Situazione pesante, pur senza alcuna indagine formale a suo carico, per Giuseppe Neri. Consigliere regionale uscente e ricandidato nei ranghi di Fratelli d’Italia. L’inchiesta “Eyphemos” portò all’arresto di Domenico Creazzo. Consigliere regionale in manette ancor prima di insediarsi a Palazzo Campanella. Erano numerosi i riferimenti a Neri. E a contesti di ‘ndrangheta. Stando alle conversazioni intercettate di alcuni indagati, Neri avrebbe pescato sotto il profilo elettorale in ambienti malavitosi. Addirittura, si criticava l’ipocrisia politica di Neri che ostentava, ma solo a parole, il suo “amore” per la legalità. Mentre proprio la ‘ndrangheta sarebbe stata il suo interlocutore privilegiato durante la campagna elettorale. Tutto per il tramite di un intermediario. Che conosceva, a differenza del parente sostenuto, quei territori e le famiglie mafiose della Piana di Gioia Tauro.

    Il centrosinistra

    Nella lista del Pd, da segnalare la candidatura del poliziotto Giovanni Muraca. Assessore a Reggio Calabria, viene sponsorizzato dal sindaco Giuseppe Falcomatà. Il problema è che entrambi risultano a processo per il cosiddetto “Caso Miramare”. Dibattimento agli sgoccioli sul presunto affidamento diretto di un immobile di pregio a una semisconosciuta associazione culturale riferibile a un amico di vecchia data del sindaco.

    Incredibile, invece, come l’ex assessore regionale Nino De Gaetano sia riuscito a infiltrare nuovamente il Pd. Ci riesce dopo essere stato, di fatto, messo alla porta per le sue vicissitudini relazionali e giudiziarie. L’accostamento (senza un’indagine formale a suo carico) ad ambienti di ‘ndrangheta del potente casato dei Tegano in primis. E poi il coinvolgimento (anche con gli arresti domiciliari) nell’inchiesta “Erga Omnes”, sullo scandalo dei rimborsi del Consiglio Regionale. De Gaetano penetra nuovamente il Pd. Lo fa attraverso il suo figlioccio politico, quell’Antonio Billari già subentrato a Palazzo Campanella dopo le dimissioni di Pippo Callipo. Un soggetto di rientro. Nella precedente esperienza era nei ranghi di Articolo 1.

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    Antonio Billari, uomo di fiducia di Nino De Gaetano

    Ma c’è qualcuno che cambia: il Movimento 5 Stelle. Che nella sua lista della Circoscrizione Sud (a sostegno di Amalia Bruni) candida Annunziato Nastasi. Non nuovo alle competizioni elettorali in provincia di Reggio Calabria. In un’indagine della Dda di Reggio Calabria di qualche anno fa era possibile leggere le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giuseppe Ambrogio. Un tempo organico alla ‘ndrangheta di Melito Porto Salvo, Ambrogio parlò agli inquirenti dei rapporti tra ‘ndrangheta e politica nell’Area Grecanica. «I Paviglianiti appoggiavano Nastasi», raccontò. Si riferiva all’allora vicesindaco di Melito Porto Salvo. E alla potente famiglia di San Lorenzo. Nastasi, comunque, non venne mai indagato. Ma il “vecchio” Movimento 5 Stelle, forse, non lo avrebbe comunque mai candidato.

    Gli uscenti

    Ovviamente c’è una sfilza di uscenti che intendono mantenere il proprio posto a Palazzo Campanella. A cominciare dal Pd, dove a tutto si pensa tranne che al rinnovamento. Con l’eterno Mimmetto Battaglia, buono per ogni stagione e alla ricerca dell’ennesima candidatura. Si gioca comunque per il terzo posto. Con la speranza di ottenere due scranni in Consiglio Regionale. E subentrare quando il primo degli eletti (quasi certamente il candidato in pectore Nicola Irto) dovesse eventualmente spiccare il volo verso il Parlamento. Ancora, nella lista “Amalia Bruni Presidente”, il consigliere uscente Marcello Anastasi. E l’ex consigliere comunale di Reggio Calabria, Nino Liotta.

    Anche nelle liste a sostegno di de Magistris sono tanti i nomi noti che provano a pescare il jolly. In primis, ovviamente, l’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano. Ma anche il consigliere comunale Saverio Pazzano, già candidato a sindaco di Reggio Calabria. E poi la consigliera comunale di Gioia Tauro, Adriana Vasta. Entrambi candidati in DeMa. O il sindaco di Campo Calabro, Sandro Repaci, la consigliera comunale di Taurianova, Stella Morabito. E, ancora, l’ex amministratore unico di Atam, Francesco Perrelli, e la già candidata a sindaco di Reggio Calabria, Maria Laura Tortorella. Tutti nella lista “De Magistris Presidente”.

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    L’ex sindaco di Riace, Mimmo Lucano

    Nel ritorno per eccellenza, quello di Mario Oliverio, non possono mancare i nomi noti. Come l’imprenditore Francesco D’Agostino, patron di “Stocco & Stocco”. Uscito bene da un’inchiesta della Dda di Reggio Calabria e ora nuovamente pronto a rientrare a Palazzo Campanella. Nella lista ulteriori nomi già presenti (peraltro non con risultati particolarmente lusinghieri) in altre competizioni elettorali. L’avvocatessa Giuliana Barberi, con un passato in Fincalabra proprio negli anni di Oliverio presidente. E poi quel Rosario Vladimir Condarcuri, animatore del giornale La Riviera. E assai vicino all’ex sindaco di Siderno, Pietro Fuda, sciolto per infiltrazioni della ‘ndrangheta.

    Logiche assai simili nel centrodestra. Dove nelle liste c’è un sovraffollamento di Piana di Gioia Tauro e Locride, a discapito di Reggio Calabria città. I nomi forti nella Locride sembrano essere quelli del sindaco di Locri, Giovanni Calabrese (candidato in Fratelli d’Italia) e Raffaele Sainato, uscente candidato in Forza Azzurri e reduce dall’archiviazione ottenuta nell’inchiesta “Inter Nos”.

    Resta da capire, per esempio, chi sarà il candidato sostenuto dal plenipotenziario Francesco Cannizzaro. Il deputato forzista potrebbe, abilmente, aver lasciato i piedi in numerose paia di scarpe. Nella Lega, spiccano i nomi del sindaco facente funzioni di Villa San Giovanni, Maria Grazia Richichi. Ma è in Forza Italia la vera bagarre. Oltre ai già citati Arruzzolo e Mattiani, c’è l’uscente Domenico Giannetta a rimpolpare la lotta interna alla Piana di Gioia Tauro.

    Parenti ed eterni ritorni

    Nel sovraffollamento della Piana di Gioia Tauro, da segnalare in Forza Italia la candidatura di Carmela Pedà. Sorella proprio dell’ex sindaco di Gioia Tauro, Peppe Pedà. Anch’egli ex consigliere regionale. Pasquale Imbalzano (già consigliere comunale di Forza Italia a Reggio Calabria) è figlio di Candeloro Imbalzano. Per anni uomo forte della politica reggina, con incarichi amministrativi al Comune e poi consigliere regionale.

    Curiosa la posizione di Serena Anghelone. Figlia di Paolo Anghelone, già assessore comunale nel centrodestra. Sorella di Saverio Anghelone, che invece è stato assessore comunale col centrosinistra. Ora si candida in prima persona, nuovamente col centrodestra. Sempre nel centrodestra, troviamo la candidatura di Riccardo Ritorto. Già sindaco di Siderno, arrestato e condannato in primo grado per vicinanza alla ‘ndrangheta. Lo ha assolto la Corte d’Appello. E adesso prova a ritornare in pista.

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    La leghista Tilde Minasi

    Disseminati, poi, nelle varie liste del centrodestra, una lunga serie di “Scopellitiani” di ferro. Nostalgici della stagione politica del “Modello Reggio”, finita male con l’arresto dell’ex sindaco reggino ed ex governatore. Nella Lega, la consigliera regionale uscente Tilde Minasi, che con Giuseppe Scopelliti è stata per anni assessore comunale a Reggio Calabria. E poi l’ex consigliera comunale Monica Falcomatà, anche lei per anni nella cerchia di Scopelliti. E poi vicina al consigliere regionale Alessandro Nicolò. Oggi imputato per ‘ndrangheta. Infine, l’ex consigliere comunale di Reggio Calabria, Peppe Sergi. Tra le persone più vicine a Scopelliti. Oggi, però, si candida con Noi con l’Italia, la formazione di Maurizio Lupi, che punta a essere la sorpresa delle Regionali 2021 in Calabria.
    Che, però, assomigliano maledettamente a tutte le altre.

  • Amministrative Cosenza: il meglio, il peggio e il trash

    Amministrative Cosenza: il meglio, il peggio e il trash

    Cosenza non si smentisce mai: perde residenti in maniera vistosa, ma aumenta i propri candidati. Effetto senz’altro della balcanizzazione politica del post Occhiuto, che termina il suo ciclo come sindaco (ma, suggeriscono i bene informati, si prepara a fare il sindaco “di fatto” in qualità di vice di Francesco Caruso).

    Ma la frammentazione politica è solo una parte della spiegazione, perché i cosentini sono stati sempre generosi nel mettersi in lista: è, almeno, dai tempi di Perugini che la città di Telesio fa impazzire le statistiche grazie all’alto numero di candidati. Che nemmeno stavolta è smentito: 8 aspiranti sindaci a cui si collegano 29 liste per il totale mostruoso di 869 aspiranti consiglieri. I quali, spalmati su una popolazione residente di 65.209 unità generano un record non proprio trascurabile: un candidato ogni 75,0391 abitanti.

    Se si considera che la popolazione maggiorenne (almeno a livello anagrafico) supera di poco le 40mila unità, il rapporto cresce vistosamente (circa un aspirante consigliere ogni 50 abitanti e qualcosa).
    Un risultato simile, per fare paragoni su scala, non lo si raggiunge neppure a Roma, dove gli aspiranti sindaco sono 22 per un totale di 39 liste e 1.800 aspiranti consiglieri che, spalmati su una popolazione residente di 2.778.662, risultano uno ogni 1.543,701 abitanti.

    Anche la disordinata Napoli, al nostro confronto, sembra una caserma politica, perché gli aspiranti sindaco sono 7 per un totale di 160 aspiranti consiglieri su una popolazione residente di 938.507 unità.
    Per riprendere la battuta volgarissima di un ex consigliere comunale, i cosentini, almeno a livello politico, «hanno la candida». Già, ma in questo caso non è nulla di intimo, spesso inconfessabile e comunque fastidioso da curare: è una distorsione della vita pubblica che svaluta la democrazia perché polverizza il voto e gli toglie valore.

    I superpopulisti alla carica

    Una buona fetta di aspiranti consiglieri non coltiva ambizioni politiche di nessun tipo, neppure quella di acquisire qualche merito elettorale per bussare agli uffici “che contano” di Palazzo dei Bruzi.
    Al massimo, esprimono la rabbia, il disagio per il calo della qualità della vita nelle zone popolari e la delusione nei confronti dei vecchi referenti.
    Questo discorso riguarda senz’altro la stralarga parte dei seguaci di Francesco De Cicco e Francesco Civitelli.

    De Cicco tallona Francesco Caruso

    Forte di 6 liste per un totale di 192 candidati, De Cicco tallona da vicino Francesco Caruso. Ma una cosa è il numero degli aspiranti consiglieri, un’altra la possibilità di tradurre questo numero in un risultato elettorale temibile.
    L’ex assessore di Mario Occhiuto, infatti, ha pescato soprattutto nei quartieri popolari, grazie alla continua presenza (è stato l’assessore più a contatto diretto coi cittadini) e a un programma tutto cose, senza alcuna velleità “metropolitana” ma mirato a lenire i disagi pratici del cittadino comune. Lui è populista per definizione e vocazione e non sulla base del marketing politico.

    Coi suoi numeri danneggerà non poco gli avversari che, a destra e a sinistra, hanno finora colonizzato i quartieri popolari e rischia di essere determinante per il ballottaggio.
    Discorso simile per Civitelli, che con le sue 5 liste e 158 aspiranti consiglieri, è il terzo candidato sindaco per seguito. La vocazione populista e il radicamento nei quartieri è uguale a quella di De Cicco, ma l’esperienza politica minore. Potrebbe profittare dell’effetto sorpresa, fare numeri e giocarseli al ballottaggio anche lui.

    La sinistra di (non) governo

    Franz Caruso era partito con la quarta innestata, grazie all’appoggio esplicito di Nicola Adamo (che pesa più del cinquanta per cento del Pd cittadino) e di Luigi Incarnato, che comunque rappresenta i socialisti non di destra cosentini.
    Ai due, dopo qualche tentennamento iniziale, si è aggiunto Carlo Guccione, silurato alle Regionali ma ancora forte in città.

    Come tutti i motori lanciati con troppi giri, quello di Caruso ha picchiato in testa. Con il principe del Foro cosentino ci sono “solo” tre liste, sebbene ben curate.
    Curatissima quella del Pd, in cui figurano due sempreverdi della politica cosentina, cioè Damiano Covelli, protagonista di primo piano della vita amministrativa cittadina e legatissimo a Nicola Adamo, e Giuseppe Mazzuca, guccioniano di ferro e oppositore storico di Occhiuto.

    La Funaro capolista del Pd

    Anche la tradizione familiare ha il suo peso. Perciò non è un caso la presenza in lista di Maria Pia Funaro, già candidata dem alle scorse politiche e figlia di Ernesto Funaro, storico assessore regionale della vecchia Dc.
    La lista del sindaco presenta alcuni volti noti, tra cui quello di Chiara Penna, avvocata e criminologa molto presente sui media. Oltre ai volti, ci sono anche i nomi noti, in questo caso Giuseppe Ciacco, figlio di Antonio Ciacco, ex consigliere comunale di Cosenza e avvocato battagliero. Inoltre, c’è la consigliera uscente Maria Teresa De Marco.

    E ci sono altri due protagonisti della vita politica di Cosenza: Mimmo Frammartino, fresco di divorzio con Orlandino Greco, e Roberto Sacco, che ha trovato alla fine collocazione a sinistra. La sua candidatura mette la parola fine a un piccolo giallo: dato per candidato nella Lega (al riguardo, i bene informati riferiscono di un suo colloquio non troppo riservato con Spirlì alla Cittadella), il corpulento ex consigliere non sarebbe stato troppo gradito ad Occhiuto che avrebbe espresso il veto nei suoi confronti.
    Molto al femminile, invece, la lista del Psi, in cui Incarnato gioca il suo nome candidando sua figlia Giuseppina Rachele.

    Grillina e tansiana? Semplicemente Bianca

    Bianca Rende si è ribellata alle dinamiche del Pd e tenta la corsa da sola in nome del civismo. Tre liste al suo seguito, di cui la principale, Bianca Rende sindaca, piena di donne.
    Non sappiamo se la Rende riuscirà a correre, ma nel frattempo, balla, visto che con lei militano due maestri di danza: Paolo Gagliardi e il tansiano Patrizio Zicarelli.
    Inoltre, la presenza di Anna Fiertler è garanzia di un legame con una certa alta borghesia cittadina. Quella di Sandro Scalercio indica, invece, l’appoggio di alcuni movimenti civici, che sostengono contemporaneamente la candidatura dell’imprenditore Pietro Tarasi alla Regione.

    Ora, è vero che Tarasi corre con de Magistris. Ma è altrettanto vero che Tansi, il quale corre contro il sindaco di Napoli, appoggia la Rende. Lo fa come capolista della sua Tesoro di Calabria, con cui corre al fianco di Amalia Bruni alle Regionali in qualità di capolista in tutte e tre le circoscrizioni.
    Dedizione alla causa? Senz’altro. Ma non si andrebbe troppo lontani dal vero nel pensare che Tansi miri a entrare anche a Palazzo dei Bruzi.
    Altra conferma a fianco della pasionaria ex renziana, i Cinquestelle cosentini, che corrono con la Bruni in Regione.

    La corazzata di Caruso

    L’armata è temibile e, almeno in apparenza, vincente. Il centrodestra non ha lesinato mezzi per spingere Francesco Caruso alla vittoria.
    Col giovane ingegnere, fedelissimo di Mario Occhiuto, si sono schierati molti centometristi del voto, tra consiglieri uscenti in cerca di conferma, ex consiglieri che tentano di rientrare ed esponenti di primo piano della vita cittadina. Più il solito stuolo di amici e parenti.
    I suoi 252 aspiranti consiglieri, spalmati su otto liste promettono bei numeri e l’arrivo al ballottaggio in posizioni vantaggiose.

    La Lega da Bartolomeo a Karim Kaba

    La vera sorpresa, in questa coalizione, è la Lega, che è riuscita a compilare una propria lista dopo l’abbandono di Vincenzo Granata, fratello di Maximiliano Granata, il presidente del Consorzio Vallecrati.
    Nel partito di Salvini hanno trovato ospitalità alcuni volti noti (Francesco Del Giudice) e protagonisti dei dibattiti consiliari (Roberto Bartolomeo) che fanno buona compagnia ad altrettanti migranti, più o meno nazionalizzati, come Karim Kaba e Sodevi Bokkori.
    Fortissima la lista berlusconiana (Forza Cosenza), in cui hanno trovato posto altri protagonisti, come Giovanni Cipparrone, che completa con la militanza azzurra il suo percorso particolare, iniziato in Sel. O come Michelangelo Spataro e Luca Gervasi, fedelissimi di Occhiuto.

    L’immancabile Totonno ‘a Mmasciata e gli altri

    Non può proprio passare sotto silenzio la candidatura di Antonio Ruffolo, alias ’a Mmasciata, tanto silenzioso quanto votato. Un’altra fedelissima che milita in Fi è Alessandra De Rosa, ora nella Giunta dell’archistar.
    Molto forte anche la lista di Fratelli d’Italia, dove si è collocato il votatissimo Francesco Spadafora. Con lui, militano sotto le insegne di Meloni la ex assessora di Perugini, Francesca Lopez, il gentiliano Massimo Lo Gullo, Giuseppe D’Ippolito (fedelissimo di Orsomarso), la consigliera uscente Annalisa Apicella e, last but not least, Michele Arnoni, anche lui ex sodale di Orlandino Greco, che torna alla vecchia fiamma.

    Non è il solo Arnoni in corsa con Caruso. Infatti, l’altro Michele Arnoni (cugino e omonimo) è candidato in Coraggio Cosenza, la lista compilata da Vincenzo Granata per conto del governatore ligure Giovanni Toti. La Lega ha perso un rappresentante, ma Caruso ha guadagnato una lista.
    Consistente anche la lista dell’Udc, in cui corrono Enrico Morcavallo (eletto nel 2016 col Pd) e Salvatore Dionesalvi, anche lui ex assessore di Perugini.
    Confermato l’impegno dell’assessore regionale Gianluca Gallo, attraverso la lista La Cosenza che vuoi, in cui è sceso in campo il suo segretario Giovanni Iaquinta.

    Gli outsider

    Molto concreta la scesa in campo dell’ex big Udc Franco Pichierri, che schiera due liste, la nostalgica Democrazia cristiana (sì, si chiama proprio così) e Noi con l’Italia, con cui impegna a Cosenza il logo di Maurizio Lupi. Al suo seguito si candida Antonio Belmonte, altro protagonista dell’era Perugini eclissatosi negli ultimi dieci anni.
    L’allineamento di Pichierri al centrodestra durante il ballottaggio è quasi scontato.

    Candidature di pura testimonianza per l’ex ballerino Fabio Gallo e per il medico Valerio Formisani.
    Con Formisani, figura carismatica della sinistra radicale, si sono schierati, tra gli altri, il sindacalista Delio Di Blasi e l’ex militante di sinistra sinistra Graziella Secreti.
    Quasi a sorpresa l’ingresso di Gallo, ex ballerino ed esponente di primo piano dell’attivismo cattolico.

    Che il caos abbia inizio

    Ci aspetta circa un mese di comunicati, polemiche social, dibattiti e pareti tappezzate, il tutto in un prevedibile clima di caos. Non ci si può attendere altro dalla città con più candidati d’Italia.

  • Gentile e Occhiuto: c’eravamo tanto odiati

    Gentile e Occhiuto: c’eravamo tanto odiati

    “Le cose cambiano” è il titolo di un bel film di Mamet, perfettamente applicabile ai mutamenti della politica a queste latitudini. Nemici feroci, opportunisticamente alleati, sempre con i pugnali pronti. E’ la storia, per esempio dei fratelli Gentile ed Occhiuto, tra i quali è scorso molto sangue, ma oggi sono uniti dalla presenza di Katya Gentile, figlia di Pino, nella lista che sostiene Roberto Occhiuto, fratello del sindaco uscente di Cosenza.

    Gegè Caligiuri sceglie i Gentile per Forza Italia

    Ma la storia, i conflitti e le alleanze tra loro cominciano molto tempo fa, quando Berlusconi scende in campo e a Cosenza nasce il primo Club di Forza Italia. La sede è in un bell’appartamento del centro, con i soffitti affrescati, scelto da Gegè Caligiuri, uomo di Publitalia, mandato a guidare il partito in Calabria. Caligiuri non sceglie solo la location del partito, sceglie pure gli uomini e tra Roberto Occhiuto, allora giovane di belle speranze e i fratelli Gentile, sceglie questi ultimi. I fratelli sono già ex molte cose: ex socialisti, ex Psdi, ex repubblicani. Cercano casa e portano un considerevole pacchetto di consensi costruito pazientemente, si dice senza mai tradire una promessa fatta. Tra i Gentile e gli Occhiuto non c’è partita, i primi sono troppo forti e Roberto fa le valigie trovando ospitalità nello sguarnito Udc.

    Lo scontro alle provinciali del 2009

    Le due famiglie per anni si ignorano, pascolando in recinti elettorali contigui, ma diversi, ad un certo punto però giunge il momento dello scontro diretto: è il 2009, tempo di elezioni provinciali. I candidati sono tre: Mario Oliverio per il centrosinistra, Pino Gentile per Forza Italia e Roberto Occhiuto con l’Udc. Si capisce subito che il vero avversario di Roberto è Pino, quasi a cercare un modo per misurarsi nell’ambito della stessa alleanza di centrodestra. Curiosamente in quella occasione, al fianco di Occhiuto c’è una lista civica che si chiama “No al Federalismo leghista”, ma speriamo che Spirlì non faccia al riguardo ricerche su Google.

    Le due famiglie tornano ad incrociarsi alle elezioni comunali di Cosenza del 2011. La destra vuole conquistare la città fortino della sinistra e ci riesce candidando Mario Occhiuto che vince di un soffio. È sostenuto da uno schieramento parallelo a quello ufficiale ma trasversale, fatto di grumi del centrosinistra e dai Gentile. Questi ultimi otterranno il posto di vicesindaco affidato a Katya. Occhiuto, come un novello Frankenstein, si ribella presto ai suoi creatori – sostenitori e si libererà di loro. Anche di Katya, marginalizzata e poi defenestrata dopo una serie di atti chiaramente ostili.

    La guerra social di Katya Gentile

    Da allora è guerra. La figlia di Pino da quel momento diventa una pasdaran anti Occhiuto: non c’è giorno che sulla sua bacheca di Facebook non spari bordate contro il sindaco, svelando inciuci, affari, nefandezze.

    Mario non incassa senza replicare e in una occasione chiama mafiosi i Gentile. Sarà querelato, naturalmente, ma incredibilmente assolto. A parte questo, il padre e lo zio di Katya tacciono, sono troppo navigati per farsi prendere dall’emotività, sanno che le cose cambiano, come avverte Mamet e che presto arriverà il tempo della vendetta, oppure di una nuova alleanza e non si sbagliano.

    Dietrofront: un posto per Katya e Andrea Gentile

    Infatti il tempo arriva: Roberto Occhiuto si candida a guidare la Regione e in caso di vittoria cederebbe il posto in parlamento al figlio di Tonino Gentile, rimasto fuori alle passate elezioni, ma soprattutto ecco Katya nelle liste al fianco del fratello del lungamente detestato Mario. Gli improperi social saranno certamente perdonati in cambio di un consistente consenso legato alla storia della famiglia Gentile, che passa lo scettro da Pino alla figlia. In politica si fanno le capriole come al circo, perché le cose cambiano, ma le persone no.

  • Terme Luigiane: «Per riaprire serviranno anni, altro che 2022»

    Terme Luigiane: «Per riaprire serviranno anni, altro che 2022»

    Il pasticciaccio che ha portato alla chiusura delle Terme Luigiane continua a tenere banco. Nei giorni scorsi avevamo intervistato il sindaco di Acquappesa, Francesco Tripicchio, che per replicare alle accuse subite in questi mesi era andato all’attacco di Sateca. La sua versione, però, è diametralmente opposta a quella dell’azienda che ha gestito il compendio termale dal 1936 all’anno scorso. I vertici di Sateca parlano di «opera di disinformazione» da parte dell’amministratore comunale. E smentiscono categoricamente che le proteste di questi mesi siano «una montatura costruita ad arte dai gestori storici» come reputa Tripicchio. Così, per offrire ai lettori un’informazione più ampia possibile, dopo i lavoratori, gli utenti e il sindaco abbiamo sentito anche gli imprenditori affinché potessero dire la loro su quello che sta accadendo.

    I Comuni vi hanno fatto un’offerta affinché le attività nel 2021 proseguissero, perché l’avete rifiutata?

    «La società è stata costretta a rifiutare perché l’accettazione era condizionata dalla seguente formula vessatoria e quindi inaccettabile: “resta inteso che tale proposta è subordinata al ritiro di tutti i contenziosi in atto, nessuno escluso”. E il canone che ci chiedevano era assolutamente fuori mercato in termini economici».

    Eppure secondo Tripicchio le cifre non si discostano da quelle che si pagano altrove. Se in posti come Fiuggi o Chianciano l’acqua costa di più, perché Sateca dovrebbe spendere meno per l’acqua delle Terme Luigiane?

    «Non sappiamo se il sindaco Tripicchio dica certe cose per manifesta incompetenza o malafede. Ma a smentire le sue affermazioni c’è il rapporto del Dipartimento del Tesoro secondo il quale la totalità delle terme del Lazio (compreso Fiuggi) pagano annualmente canoni per 179.000 Euro e quelle della Toscana (compreso Chianciano) 106.000 Euro».

    Quelle però sono le concessioni, la vostra è una subconcessione. Tripicchio spiega che il calcolo del vostro eventuale canone futuro è figlio di un accordo del 2006 tra Stato e Regioni. Perché dovreste continuare a pagare molto meno?

    «In realtà il sindaco fa riferimento ad un documento di indirizzo delle Regioni in materia di acque minerali, cosa molto diversa. È per questo che Fiuggi, distribuendo bottiglie in tutto il mondo, paga un milione di canone. I conti tornano. Forse il sindaco pensa di rimediare al dissesto del suo Comune rifacendosi sulla Sateca? Una pubblica amministrazione non può sparare cifre a vanvera, dovrebbe fare riferimento al mercato. Non a quello delle acque da imbottigliamento, però».

    Per il sindaco sono solo 44 i vostri dipendenti, altri parlano di 250 lavoratori: quanti sono in realtà?

    «Tripicchio purtroppo non sa leggere i bilanci e neanche i certificati camerali. Nella nota integrativa allegata al nostro bilancio del 2019 (ultimo anno pre-covid) si indica un numero medio annuo (quindi riferito a 365 giorni) di 100 lavoratori, per i quali la Sateca spa ha speso 2.122.000 Euro. Se fossero stati solo 44 dipendenti, avremmo pagato uno stipendio medio a dipendente di 48.227 euro. Purtroppo non possiamo permettercelo».

    Voi contestate ai Comuni di non aver pubblicato un bando, loro replicano che la procedura adottata sia equivalente secondo il Codice degli appalti. Come se ne esce?

    «Riteniamo la manifestazione d’interesse non valida e abbiamo presentato ricorso. Purtroppo il Tar ha rimandato a ottobre la sentenza, prevista all’inizio di luglio, su richiesta dei due Comuni e della Regione, che sembra non abbiano fretta di chiarire le cose. Tripicchio fa, inoltre, riferimento all’art.79 del Codice degli Appalti, che però non riguarda minimamente l’argomento in questione. Dopo mesi che chiediamo qualche riferimento normativo alle assurde azioni dei due sindaci, Tripicchio ci fornisce un articolo di legge che non c’entra nulla».

    La subconcessione a vostro favore, comunque, è scaduta da 5 anni. Per quale motivo avrebbero dovuto farvi continuare come se niente fosse?

    «Non esiste al mondo che si sbatta fuori in maniera illegale, come siamo certi verrà dimostrato dalla magistratura, e con la forza il subconcessionario di un servizio pubblico prima dell’insediamento di chi prenderà il suo posto. Vale per tutti i servizi di pubblica utilità, soprattutto per quelli sanitari. Il tutto gridando al rispetto della legge senza mai dire a quale legge si faccia riferimento».

    Su una cosa con Tripicchio potreste essere d’accordo, però: il sindaco trova strano che, oltre a voi, a rispondere all’invito dei Comuni siano state solo ditte campane. Che idea vi siete fatti a riguardo?

    Il fatto che alla manifestazione d’interesse abbiano partecipato solo aziende di Castel Volturno, Casalnuovo di Napoli, Casoria etc. , tutte operanti nel settore edile, con capitali sociali modestissimi e senza alcuna esperienza termale e che, secondo il sindaco, questa sia una “strategia”, perché poi con l’avvalimento potranno subentrare altri soggetti, secondo noi è molto preoccupante. E anche delle amministrazioni comunali responsabili dovrebbero preoccuparsi. Perché un’azienda seria e fatta da persone perbene non partecipa direttamente ad una manifestazione d’interesse ma manda avanti delle “teste di ponte”? Questo atteggiamento di Tripicchio non fa altro che alimentare le preoccupazioni e le voci su imprenditori chiacchierati e interessati.

    Il parrocco di Guardia ci ha raccontato di aver ricevuto minacce per essersi schierato dalla parte dei vostri dipendenti. Cosa avete da dire a riguardo?

    «L’affermazione del sindaco “Al parroco porterò sostegno se davvero è stato minacciato” lascia molte perplessità sulle qualità umane di Tripicchio, non pensiamo che tale affermazione meriti alcun commento».

    Tripicchio però è certo che le Terme riapriranno già nel 2022, con o senza Sateca. Quante probabilità ci sono che vada davvero così secondo voi?

    «Noi della Sateca siamo cresciuti a “pane e zolfo”. Sappiamo benissimo cosa vuol dire avviare uno stabilimento da zero, visto che i sindaci prima di appropriarsene coattivamente ci avevano espressamente richiesto che fosse totalmente sgombro. Ad essere ottimisti, la ristrutturazione – siamo in zona soggetta a vincoli ambientali – e tutta la parte burocratica (autorizzazione sanitaria, accreditamento, budget, autorizzazioni di VVF, certificazioni varie…) necessitano di anni. Anche con lo scandaloso, perché passa il principio che chi distrugge viene premiato, contributo economico promesso ai due sindaci da Orsomarso l’apertura l’anno prossimo è assolutamente impossibile».

    A che pro allora un annuncio di quel genere?

    «Ci auguriamo che il proclama di Tripicchio non vada ad inserirsi nella campagna elettorale di Rocchetti (il sindaco di Guardia Piemontese, il comune che insieme ad Acquappesa gestirà le acque termali fino al 2036, nda) e Orsomarso e che non inizi una campagna di promesse ed impegni sulle terme che nessuno potrà certamente mantenere. Chiediamoci se una Giunta regionale che dovrebbe svolgere solo l’attività ordinaria in attesa delle elezioni possa, invece, promettere finanziamenti, posti di lavoro e contributi a destra e a manca».

    Possibile che gli errori siano tutti della pubblica amministrazione?

    «Il ritardo accumulato dal 2016 ad oggi nel fare il bando è esclusivamente da attribuire ai due Comuni. Non sono stati in grado per anni di presentare la documentazione richiesta dalla Regione, nonostante questa si fosse dichiarata disponibile ad aiutarli. Tripicchio e Rocchetti, anche grazie all’immobilismo della proprietaria delle acque, la Regione, hanno distrutto una realtà imprenditoriale, assolutamente non perfetta, ma che con il suo lavoro teneva in piedi l’economia della zona e consentiva a centinaia e centinaia di lavoratori una vita dignitosa e a migliaia di curandi il benessere. Parliamo di una realtà imprenditoriale mai sfiorata da alcuna collusione con la criminalità, incentrata sul totale rispetto della normativa e dei contratti di lavoro. Di questa distruzione dovranno rispondere sia in sede civile che penale».

    Ma perché dovrebbero accanirsi contro di voi come sembrate pensare?

    «Siamo amareggiati, in Calabria le cose vanno sempre al rovescio: chi distrugge in maniera gratuita aziende e posti di lavoro ha il coraggio di ricandidarsi e chi fa chiudere le Terme Luigiane facendo perdere centinaia di posti di lavoro viene addirittura premiato, proprio dall’assessore al lavoro Orsomarso, con un milione di euro di finanziamento. È iniziata la campagna elettorale, non c’è altro da dire».

  • Guerra dell’acqua: l’accordo a perdere della Regione con A2A

    Guerra dell’acqua: l’accordo a perdere della Regione con A2A

    L’estate della grande sete si chiude con un accordo «storico». L’aggettivo campeggia sul sito istituzionale del Comune di Isola Capo Rizzuto e, in effetti, è innegabile che, se si modifica una Convenzione che risale al 1968 e stabilisce quanta acqua debba essere presa dai bacini silani per irrigare i campi del Crotonese, il passaggio sia rilevante. Il problema è che paga sempre Pantalone, ovvero la Regione, anche per avere a valle ciò che a monte gli apparterrebbe.

    Il vecchio accordo

    Ma andiamo con ordine. La sigla dell’accordo risale al 25 agosto: da una parte la Regione Calabria, dall’altra A2A (la più grande multiutility italiana dell’energia, 13.500 dipendenti). Sono il corrispondente odierno di ciò che nel ’68 rappresentavano Cassa del Mezzogiorno ed Enel. I bacini da cui viene l’acqua di cui si parla sono l’Arvo, l’Ampollino e il Passante. I destinatari sono i versanti jonici catanzarese e crotonese. Gli utilizzi previsti sono potabile, irriguo, industriale e idroelettrico.

    Il lago Arvo

    L’accordo di mezzo secolo fa prevede che ogni anno, tra maggio e settembre, vengano resi disponibili nel torrente Migliarite e quindi nel fiume Tacina 24,3 milioni di mc di acqua, che con i fluenti arrivano a 33,13 milioni. C’è anche la possibilità di una deroga, ma in «situazioni di ridotta idraulicità» i quantitativi estivi non devono mai essere inferiori al’80% di quanto pattuito.

    I tempi cambiano

    Negli anni la Regione subentra a Casmez e A2A diventa titolare delle concessioni. Il Consorzio di bonifica crotonese, che distribuisce agli agricoltori l’acqua rilasciata nel torrente Migliarite, chiede quantità «maggiori – concordano la Regione e la multiutility – rispetto ai quantitativi spettanti». Ci sono delle ragioni: le «mutate pratiche agricole», la rete consortile colabrodo che ha perdite «anche oltre il 50%», i prelievi abusivi localizzati dalle due parti nell’Altopiano silano. E poi i cambiamenti climatici, non proprio un dettaglio. La Regione concorda con A2A rilasci ulteriori «prevedendo le necessarie forme di indennizzo del danno»: se serve più acqua per irrigare la risorsa mancherà alle centrali di Timpagrande e Calusia e quindi ci sarà un mancato guadagno.

    Agricoltori in ginocchio

    Con queste premesse si arriva alla crisi di queste settimane, con un centinaio di agricoltori di Isola Capo Rizzuto e Cutro costretti a protestare a bordo dei trattori perché, dicono, A2A avrebbe ridotto i rilasci nonostante gli impegni presi con la Regione. «Rivendichiamo il diritto – è la dichiarazione di un loro portavoce, Tonio Tambaro, riportata dall’Ansa – di portare a conclusione le colture in atto. Una società come A2A, che si occupa di sociale anche a livello nazionale, si è completamente disinteressata ai bisogni della comunità, chiudendo in maniera repentina l’acqua il 18 agosto. Abbiamo perso tutte le colture».

    Gli agricoltori sanno bene quanto costi anche un solo giorno in più senz’acqua con le temperature di agosto 2021, dunque ribadiscono la necessità di rimodulare la vecchia Convenzione. «L’acqua appartiene alla Regione Calabria – aggiungono – che avrebbe potuto trovare un accordo con A2A non mettendo in ginocchio gli agricoltori. Noi stiamo continuando ad elemosinare pochi metri cubi di acqua per le colture quando sul versante Neto l’acqua va a finire in mare come ha dimostrato il Consorzio di bonifica».

    Vengono accontentati, l’accordo arriva. Con grande soddisfazione dell’assessore all’Ambiente, il “Capitano Ultimo” Sergio de Caprio, che esalta «il dialogo leale» che «ha prodotto un risultato importante a garanzia delle famiglie che vivono di agricoltura, delle comunità che contribuiscono al miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini e dello sviluppo del turismo».

    Il nuovo atto disciplina la possibilità del rilascio, a favore del fondovalle del Tacina, di volumi idrici annui aggiuntivi. «Eravamo certi – rilancia il Comune di Isola – che con l’impegno del capitano Ultimo, e con la nostra determinazione giornaliera, avremmo raggiunto risultati importanti». Viene messa in risalto anche la «sensibilità» della multiutility che nelle premesse dell’accordo si dice orientata a «soddisfare al meglio le esigenze del territorio».

    Bene pubblico ma non troppo

    Come? Innanzitutto portando al tavolo con la Regione uno studio agronomico «redatto da professionisti del settore» e «contenente una valutazione dei reali fabbisogni irrigui del territorio». Proprio così: quanta acqua serva agli agricoltori crotonesi non lo dice la Regione Calabria, che dovrebbe essere l’istituzione deputata a rappresentare i bisogni dei suoi cittadini, specie in relazione all’utilizzo di un bene (in teoria) collettivo come l’acqua per scopi che hanno a che vedere con il sostentamento primario come l’agricoltura. No: la trattativa parte con uno studio commissionato dall’altra parte, cioè il privato, che come tale deve pensare prima al profitto e poi al resto.

    Ecco cosa prevede la nuova Convenzione. Se ci sono «comprovate esigenze irrigue» i rilasci di acqua possono essere «eccezionalmente» anticipati ad aprile e proseguire fino al 15 ottobre, su richiesta del Consorzio «avallata per iscritto dalla Regione» con almeno 30 giorni di anticipo. L’acqua rilasciata potrà arrivare a ulteriori 10 milioni di mc. Potrà, appunto. Perché normalmente si arriverà ai 33,13 milioni originariamente previsti e gli altri 10 arriveranno «solo a seguito di motivata richiesta scritta in tal senso della Regione».

    Solo «eccezionalmente» saranno rilasciati quantitativi ulteriori oltre ai 10 milioni e «in nessun caso» supereranno i 13 milioni annui. Ovviamente, però, ogni goccia d’acqua oltre i 33,13 milioni di mc originari sarà «oggetto di indennizzo in favore di A2A in ragione del danno per mancata produzione subìto». Un indennizzo che verrà calcolato «considerando la mancata produzione delle centrali di Timpagrande e Calusia, ed il fatto che gli impianti coinvolti sono a serbatoio e, come tali, in grado di produrre energia rinnovabile nelle ore più remunerative».

    Gli indennizzi ad A2A

    Viste le condizioni delle reti consortili, la Regione da parte sua «si impegna ad approvare un programma di investimenti pluriennali sulle reti irrigue». Solo quando sarà pubblicata la delibera regionale con gli investimenti (e la loro copertura finanziaria), che devono necessariamente prevedere anche l’installazione di contatori «sui punti di consegna agli utenti finali», A2A «eccezionalmente» metterà a disposizione acqua fino a 4,5 milioni di mc annui senza applicare il primo scaglione di indennizzo «unicamente per spirito di cooperazione con le comunità territoriali e le istituzioni».

    Ma come «ristoro di tutti i costi sostenuti» la Regione dovrà comunque corrispondere un indennizzo forfettario di 180mila euro all’anno, rispetto a questi 4,5 milioni di mc, fino al 31 dicembre 2024. In via del tutto «eccezionale e irripetibile», per il 2021, A2A si dice disponibile a rilasciare fino 10 milioni di mc in più a fronte di un indennizzo equivalente alla sola somma di ogni importo, tributo, canone demaniale e sovraccanone richiesto alla multiutility per la derivazione dell’acqua eccedente.

    Tutto «senza che ciò possa costituire né un precedente né il presupposto per ulteriori rinunce o concessioni rispetto ai propri diritti acquisiti». Ovviamente non c’è pericolo che la Regione non paghi: tutti gli indennizzi previsti nell’accordo avverranno mediante compensazione sugli importi dovuti da A2A per i canoni relativi alla concessione dell’acqua a uso idroelettrico.

  • Amianto, Calabria all’anno zero

    Amianto, Calabria all’anno zero

    È cancerogeno e la Legge 257 del 1992 lo ha messo al bando, ma in Calabria l’amianto è ancora molto diffuso. La nostra regione è in ritardo nello smaltimento rispetto al resto del Paese e questo ha causato numerosi decessi per tumore polmonare secondo le stime dell’Airc.
    A spiegarci meglio la situazione locale riguardo al censimento, la rimozione e la bonifica del territorio è Giuseppe Infusini, ingegnere chimico, vicepresidente dell’ONA, Osservatorio Nazionale Amianto.

    Cos’è cambiato in Calabria in merito alla presenza di amianto rispetto al passato?

    «Quando nel 2011 ci siamo insediati come sezione provinciale, ho constatato scarsa considerazione e mancanza di conoscenza sull’argomento. Abbiamo cercato di fare informazione, sensibilizzando la nostra comunità, anche con progetti didattici rivolti ai giovani. Il più grosso ostacolo è la lentezza delle istituzioni locali nel dare seguito alle norme nazionali, che risalgono alla prima metà degli anni ’90. La legge regionale del 2011 è arrivata molto in ritardo rispetto a quella delle altre Regioni. E il PRAC (Piano Regionale Amianto, ndr), pubblicato l’8 maggio del 2017, è assolutamente inefficace riguardo agli adempimenti di quella legge».

    Ci può fornire qualche numero?

    «Dal rilevamento regionale è emerso quanto avevamo riferito in Commissione Ambiente nel 2013 e nel 2016: 12 milioni mq di amianto, riguardanti solo il compatto, ossia un impasto cementizio a cui si aggiunge l’amianto per dare più consistenza. Come ONA vogliamo lavorare a fianco delle istituzioni, solo così si può risolvere una situazione tanto grave».

    Quanto è esteso e pericoloso il problema?

    «L’amianto è presente a macchia di leopardo in Calabria, soprattutto negli opifici e nelle centrali termoelettriche. È un materiale cancerogeno primario che causa tumori come il mesotelioma e il cancro ai polmoni. Dove c’è una copertura in degrado si sono verificate morti sospette. Anche se non c’è un nesso di causalità tra questi decessi e l’amianto, questo concorre comunque con altri fattori cancerogeni all’abbassamento delle difese immunitarie, dando origine a forme tumorali letali».

    Esiste un elenco delle morti correlabili ad esposizione all’amianto in Calabria?

    «In Calabria dal 1994 ad oggi ci sono stati 120 decessi per cancro, parlo dei casi censiti. Sicuramente è una sottostima del dato reale, denunciato da molti familiari. Non c’è una soglia al di sotto della quale la malattia non possa generarsi, per questo occorre eliminare il problema alla radice. Per usufruire dei finanziamenti statali, la Calabria avrebbe dovuto fare una mappatura dei siti da bonificare, ma non ha fatto il censimento delle zone su cui intervenire. La nostra Regione è stata l’unica a non avere inviato i dati al Ministero dell’Ambiente, non ricevendo pertanto alcun contributo».

    Applichiamo le disposizioni sulla valutazione del rischio, la manutenzione, il controllo e la bonifica dell’amianto?

    «Mai trovato un solo detentore di manufatto che abbia attuato il programma di controllo e di manutenzione previsto dal decreto del ‘94. Ricevuta una segnalazione di pericolo da un privato, in virtù del PRAC, il sindaco deve prima verificare se siano state eseguite le giuste misure, poi individuare le azioni da adottare. A differenza di altre Regioni che rilevano lo stato di degrado e di copertura periodicamente, qui siamo all’anno zero. Sono pochi i comuni in regola. Ma la lotta all’amianto è come una catena di montaggio dove tutti gli attori – Regione, Provincia, Comune e cittadini – devono fare la propria parte».

    E le norme e le procedure per lo smaltimento?

    «Nella nostra regione non ci sono siti di smaltimento dell’amianto. Ve ne sono in Puglia e in Basilicata e ho saputo di una discarica in Germania dove questi materiali, mediante degli impianti di inertizzazione, si riescono a denaturare. Dopo la nostra osservazione, il PRAC ha inserito un contributo del 60% per la rimozione dell’amianto, impegno a tutt’oggi disatteso. Questo favorisce lo smaltimento abusivo operato da balordi che interrano illecitamente tali rifiuti, mettendo in pericolo la salute di tutti i cittadini e l’ambiente.

    Nessuno ha ancora attuato è Piano Comunale Amianto, nonostante andasse fatto entro tre mesi dall’8 maggio 2017. Per usufruire dei finanziamenti regionali e statali è necessario che il Comune abbia effettuato censimento, mappatura e PCA, anche per stabilire un ordine di priorità di intervento».

    Ha notato maggiore attenzione nell’affrontare il problema a seconda di chi governava la Regione?

    «Rispetto alle altre Regioni siamo molto indietro. Nel 2020 ho inviato a tutti i governatori un programma con delle proposte operative per eliminare il rischio amianto dal nostro territorio. Proponevo attività che un Dipartimento regionale moderno dovrebbe avviare. Nessuno mi ha mai ricontattato».

    Crede sia un problema di risorse?

    No, i costi di bonifica sono facilmente ammortizzabili con i fondi europei e nazionali. È inammissibile come, pur essendoci un bando da 42 milioni di euro – il 100% di finanziamento – per la bonifica negli edifici pubblici, solo 28 comuni su 404 vi abbiano aderito. Anche dopo la rimodulazione del medesimo bando scaduto il 3 giugno scorso, ancora una volta, queste risorse non potranno essere utilizzate».

    Ci sono comuni calabresi che si sono distinti nella lotta all’amianto?

    «Posso parlare dei Comuni che hanno aderito all’Ona: Acri, Cerisano, Cerzeto, Mandatoriccio, molto attivo su questo fronte, Mormanno, Cassano, Saracena e Cosenza. Stanno tutti emanando le ordinanze necessarie per verificare la presenza di amianto degradato sul proprio territorio. Non è necessario attendere il sopralluogo dell’Asp, dell’Arpacal o del Prac, spesso in conflitto di competenza, per emettere provvedimenti sul punto. Gli altri Comuni sono ancora sprovvisti di un PCA: ne deduco che non abbiano neanche legiferato sul tema».

    Mirella Madeo

  • Calabresi d’Australia, dal sogno di un lavoro all’internamento nei campi

    Calabresi d’Australia, dal sogno di un lavoro all’internamento nei campi

    I mesi che precedettero l’ingresso dell’Italia nella seconda guerra mondiale furono estremamente difficili per gli italiani d’Australia. Ore di fila davanti alle caserme di polizia, tesserini identificativi, divieti di possedere apparecchi radiofonici o macchine fotografiche, restrizioni su alcuni tipi di lavoro: la loro normalità finì sconvolta.

    Da una parte c’erano i dettami della white policy sostenuta dal governo del quinto continente, che mirava a un paese abitato quasi unicamente da persone bianche (e gli italiani, così come i greci e gli jugoslavi, non erano considerati propriamente bianchi). Dall’altra, la paura che la comunità italiana presente sull’isola (in quegli anni stimata intorno alle 30mila unità che ne faceva il gruppo etnico non anglosassone più numeroso), potesse agire da quinta colonna in favore delle forze dell’Asse.

    In mezzo loro, migliaia di contadini, maestri, pescatori, muratori che avevano deciso di trasferirsi down under nel tentativo di accedere a una vita migliore. Una situazione da separati in casa che precipitò il 10 giugno del ’40 quando Mussolini, tra gli applausi osannanti della folla di piazza Venezia, rese pubblica la dichiarazione di guerra contro la Francia e contro il Commonwealth britannico, di cui l’Australia era parte integrante. Il rovinoso ingresso in guerra del Bel Paese segnò infatti l’inizio di un periodo tremendo per gli italiani d’Australia, Da quel giorno e fino alla fine del conflitto divennero, loro malgrado, enemy aliens, nemici stranieri.

    In internamento

    Fascisti, antifascisti, anarchici ma anche semplici cittadini che avevano avuto il “torto” di avere fatto il servizio militare in patria o che finirono al centro delle delazioni dei vicini di casa. Furono tantissime le segnalazioni degli australiani che guardavano con sempre maggiore sospetto a quella comunità così eterogenea che stava mettendo radici nel loro paese. Bastava pochissimo per finire nella lista.

    Migliaia di uomini e donne – molti dei quali avevano già ottenuto la cittadinanza australiana o erano stati naturalizzati – da un giorno all’altro finirono in un incubo nascosto dietro nomi rassicuranti come Loveday, Orange e Hay. Nei tre maggiori campi costruiti nelle zone più remote del continente dall’esercito australiano per contenere quella massa indistinta di umanità, furono rinchiusi in quasi 5000, poco meno del 20% dell’intera comunità italiana. Una percentuale enorme se confrontata ai medesimi provvedimenti adottati per gli enemy aliens nelle altre nazioni con cui eravamo in guerra.

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    Il campo d’internamento di Loveday in Australia

    I primi arresti seguono di pochi giorni la dichiarazione di piazza Venezia. Nel mirino del ministero della Guerra finiscono tutti quelli che potrebbero, anche lontanamente, costituire una minaccia per il Commonwealth, donne e anziani compresi. Una rete dalle maglie fittissime in cui finiscono impigliati migliaia di innocui lavoratori, in una sorta di criminalizzazione etnica che lasciò strascichi pesantissimi sulla comunità italiana. Famiglie divise, attività economiche perdute, sequestri di beni: una pagina nerissima della storia australiana del ventesimo secolo costruita più su un pregiudizio razziale che su un reale pericolo.

    Arrestateli tutti

    I primi a finire in arresto, oltre ai pochi fascisti che agivano alla luce del sole, furono i pescatori di Bagnara Calabra che agli antipodi avevano messo in opera le loro conoscenza del mare diventando, assieme ai colleghi di Molfetta in Puglia, i maggiori protagonisti del settore ittico in New South Whales e in South Australia. La loro colpa, muoversi su pescherecci d’altura che avrebbero potuto favorire l’ingresso nel Paese di spie e armi per la conquista del continente.

    Ma a finire nei campi d’internamento – vere e proprie carceri con torrette, filo spinato e guardie armate, costruite a migliaia di chilometri dai centri abitati spesso nelle zone desertiche del continente – furono tantissimi semplici lavoratori che nulla avevano a che fare col fascismo e nulla avevano a che fare con la guerra.

    Processi sommari

    «È italiano, è giovane, ha svolto il servizio militare. Queste sono le uniche cose che bisogna prendere in considerazione. La domanda deve pertanto essere respinta»: si erano infrante su queste poche parole, pronunciate a margine dell’udienza per la sua scarcerazione, le speranze di Giuseppe Panetta di ritrovare la libertà. La polizia militare lo aveva arrestato a Cabramatta, una trentina di chilometri a sud est di Sydney, tre mesi prima, nell’ottobre del 1940.

    Ma già nelle settimane e nei mesi precedenti, gli uomini in divisa si erano presentati alla sua porta tante volte per interrogarlo. Due anni prima, nell’agosto nel 1938, si era imbarcato in terza classe sul transatlantico Oronsay assieme al fratello Michele: partivano da Martone, piccolo borgo arroccato sulle colline dello Jonio reggino, destinazione Sydney.

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    Giuseppe Panetta fu una delle vittime della giustizia australiana

    «Sono venuti ad arrestarmi, ma nessuno di loro mi ha detto perché. Mi hanno chiesto dove lavoravo, dove vivevo e con chi, ma nessuno mi ha mai letto le accuse per cui venivo arrestato». Sono passati tre mesi dalla sera in cui i militari lo hanno trasferito nel campo di detenzione di Hay, nelle desolate zone desertiche del NSW e Panetta è riuscito, grazie all’aiuto di un altro detenuto calabrese che farfuglia qualche parola d’inglese, a presentare domanda di rilascio al tribunale che si occupa degli enemy aliens.

    «Io sono venuto in Australia per lavorare – racconta ai giudici – perché in Italia non guadagnavo abbastanza per mantenere la mia famiglia. Sono arrivato qui grazie alla chiamata di mio zio e appena avrò denaro sufficiente farò arrivare anche mia moglie e i miei quattro figli». La sua storia è simile a quella di tanti che come lui sono finiti senza prove nei campi disseminati nel bush australiano.

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    La lettera con cui Panetta prova a spiegare di non aver avuto mai legami col fascismo prima del suo arrivo in Australia

    Ma ai giudici che lo interrogano, paradossalmente, non interessa troppo la sua vita in Australia: loro vogliono sapere di quando si trovava in Italia. «Sì, ho fatto il militare quando avevo 21 anni – risponde Panetta, che di anni ormai ne ha 33 – tre mesi di addestramento in artiglieria e poi il resto della leva a riparare dormitori e caserme. Facevo il muratore. Non sono mai stato iscritto al partito fascista, non mi interessava». In effetti Panetta non ha mai preso la tessera del partito e quella scelta aveva finito anche per pagarla molto cara, ma i giudici non gli credono e su quel tasto insistono parecchio.

    «Nessuno mi ha mai chiesto di iscrivermi al partito fascista, e io non sono mai andato a cercarli – racconta ancora ai giudici – non avevo niente da spartire con i fascisti. Prima di venire in Australia avevo anche chiesto al potestà del mio paese di poter partire per l’Etiopia, ma la mia richiesta fu respinta perché non avevo la tessera del partito. Mi disse che se volevo partire, avrei potuto farlo come soldato, ma che senza la tessera non mi avrebbero mandato come semplice colono».

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    La scheda delle forze armate australiane su Panetta

    Non era un fascista Giuseppe Panetta (così come non erano fascisti migliaia degli internati nei campi), né una minaccia: era un lavoratore, un migrante economico ante litteram. E in testa aveva solo il pensiero di fare un po’ di soldi per farsi raggiungere dalla famiglia. Esattamente come i disperati che ogni giorno arrivano sulle nostre coste a bordo di scassati barchini. La sua colpa era di essere giovane, in salute e di provenire da un paese lontanissimo ma in guerra con il paese dove si era rifugiato per scappare dalla miseria.

    «Pur non essendoci alcuna prova di attività fasciste del soggetto – annota a verbale J.D. Holmes, rappresentante della pubblica accusa in nome del ministero della Guerra britannico – egli ha vissuto nei sei mesi precedenti all’ingresso in guerra dell’Italia a casa di un iscritto al partito fascista (un conterraneo per cui Giuseppe Panetta lavorava e che gli aveva concesso, compreso nel salario, l’uso di una brandina dove dormire, ndr). E se è vero che il padrone non è tenuto a dare spiegazioni ai propri operai sulle proprie attività politiche – dice il pm – lui non poteva non sapere. Abbiamo davvero poco materiale per attaccare lui o il suo comportamento in Australia, tuttavia il soggetto ha quella nazionalità (italiana, ndr), è giovane e ha prestato servizio militare. Questi, signori, sono gli unici argomenti che occorre sottolineare».

    Una giustizia tremendamente ingiusta a cui il governo australiano tenterà di porre rimedio, con scuse ufficiali per quella ingiustificabile sospensione dei diritti civili, solo nel 1991. In quel campo, Panetta, ci trascorrerà altri tre anni prima di essere trasferito, assieme a tanti altri detenuti italiani, nei Civil Aliens Corps, le unità che raggruppavano lavoratori da destinare ai settori economici interni che più pagavano l’assenza di manodopera australiana impegnata al fronte.

    Lavori forzati

    All’alba dell’armistizio quindi, siamo nel 1943, la situazione per gli enemy aliens all’interno dei campi comincia un po’ ad alleggerirsi. Ma le autorità militari australiane non sono ancora disposte a rilasciare gli internati per farli tornare alle loro case e alle loro professioni. Vengono così istituite delle unità lavorative in cui incanalare gli uomini che venivano rilasciati dai campi d’internamento: minatori nelle cave di sale, taglialegna nelle foreste pluviali, operai impegnati nella costruzione della ferrovia panaustraliana che deve collegare, attraverso migliaia di chilometri di deserto, il Northern Territory con il South Australia. Nei Civil Alien Corps poi finiscono anche quegli enemy aliens che erano riusciti a scampare agli arresti del ’40: «In pratica – scrive Isabella Cosmini Rose dell’università di Adelaideogni uomo compreso tra i 18 e i 60 anni poteva essere costretto a prestare servizio nei Cac».

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    Il DIpartimento della Difesa australiano imponeva alla popolazione non britannica di registrarsi in un apposito elenco

    Ma i campi di lavoro sono diversi da quelli d’internamento. Le regole sono dure ma meno stringenti, le baracche non hanno le sbarre e i lavoratori, se il loro comportamento viene giudicato consono, possono anche tornare dalle loro famiglie per un paio di giorni ogni mese. E poi nei Cac, gli enemy aliens vengono pagati, anche se con stipendi decisamente inferiori a quelli dei colleghi australiani. Ma i lavori a cui gli enemy aliens vengono destinati sono duri, in alcuni casi durissimi. E sono tanti che, sfruttando l’assenza di guardie armate, ne approfittano per scappare e tornare qualche giorno a casa. Multe salatissime e il concreto rischio di arresto non furono sufficienti a trattenere i lavoratori nel campo.

    Domenico Cirillo era partito da Caulonia nel 1935, destinazione Adelaide. Quando fu “arruolato” nei Civil aliens corps fu mandato a Port Price nella penisola di York a lavorare nelle cave di sale. «A Port Price estraevamo il sale con le pale e i picconi. C’erano altri 6 italiani con me e dormivamo sul pavimento senza un materasso, solo con un cuscino e un lenzuolo. A terra era così freddo che si rischiava il congelamento e così un giorno chiesi al mio capo il permesso di tornare a Adelaide a prendere qualche coperta ma si rifiutò. Determinato a prendere le coperte, un venerdì notte, presi segretamente il furgone della posta fino a Port Wakesfield e da lì il treno fino a Adelaide. Il mattino dopo sono andato al commissariato e sono stato multato di 50 sterline».

    Tra il 1942 e il 1945 furono 1058 i procedimenti avviati e 947 furono le condanne emesse. In 305 casi le sentenze furono di internamento e i rimanenti procedimenti finirono con delle multe. Uno degli stranieri fu punito con 21 giorni di carcere con l’accusa di avere lasciato il campo viaggiando da Port Augusta a Findon senza permesso.

    L’uomo, Luigi Fazzolari anche lui partito da Caulonia, ha raccontato: «All’Allied Works Council mi avevano detto che mi avrebbero dato un lavoro leggero ma quando sono arrivato là, il capo mi ha detto che avrei lavorato con il piccone e la pala. Gli ho detto che non avrei potuto farlo a causa delle mie condizioni di salute e gli ho chiesto un lavoro più leggero o di essere messo nelle cucine. Mi ha risposto che non c’erano lavori leggeri e che non mi avrebbe messo in cucina. Così ho deciso di tornare a Findon dalla mia famiglia. Volevo tornare là per vedere un medico e per andare all’Allied Works Council a chiedere ancora che mi dessero un lavoro leggero».

    Una pagina nerissima e colpevolmente poco conosciuta dell’emigrazione in Australia che vide coinvolti centinaia di calabresi che dall’altra parte del mondo ci erano finiti per inseguire una vita migliore e a cui furono sospesi diritti civili e di cittadinanza.

  • Terme Luigiane, è l’ora del confronto: Molinaro dice sì, gli altri?

    Terme Luigiane, è l’ora del confronto: Molinaro dice sì, gli altri?

    Lo stop alle attività delle Terme Luigiane nel 2021 rappresenta, a prescindere da chi ne sia responsabile, una sconfitta per l’intero territorio e la sua economia. In questi giorni abbiamo provato ad approfondire per i nostri lettori i dettagli della vicenda, dando voce ai protagonisti. Abbiamo fatto parlare prima i lavoratori, gli utenti, la società che aveva in gestione il compendio, per poi ascoltare l’altra campana, quella della politica locale.

    Una scelta precisa, all’insegna dell’imparzialità e dell’approfondimento per il bene della comunità, che il nostro direttore intende portare avanti fino in fondo. Per trovare una soluzione, ha scritto nel suo ultimo editoriale, c’è bisogno che gli attori protagonisti del dramma delle Terme Luigiane si incontrino. E che parlino apertamente con i cittadini di ciò che è stato fatto e di ciò che bisognerà fare per arrivare a una soluzione come tutti auspicano.

    Il primo a dare la sua disponibilità per un confronto pubblico a più voci è stato il consigliere regionale Pietro Molinaro (Lega), inviandoci la lettera che potete leggere poche righe più sotto. La risposta del direttore, riportata subito dopo, conferma le nostre intenzioni di non lasciare che tutto si limiti a un rimpallo di responsabilità o al chiacchiericcio pre-elettorale.

    Ma, soprattutto, è un invito a tutti gli altri protagonisti – politici, imprenditori, lavoratori – della diatriba ad aderire a questa proposta.
    Confidiamo che contattino, così come ha fatto il consigliere Molinaro, la nostra redazione per partecipare a un dibattito aperto. Il dialogo e il confronto sono l’unico modo per restituire ai cittadini la fiducia nella politica e nell’imprenditoria locale.

    La lettera a I Calabresi del consigliere regionale Pietro Molinaro 

    Egregio direttore,

    mi riferisco al suo articolo Le Terme Luigiane muoiono, annegate dalle chiacchiere, ed in particolare alla parte in cui sollecita i politici a parlarne pubblicamente, “vis-à-vis con i lavoratori che hanno perso il lavoro, con gli operatori commerciali – albergatori in primo luogo – già messi K.O. dal Covid, con quei calabresi che alle terme ci debbono andare, nella propria terra, specie se qui possiamo vantare una volta tanto «un fiore all’occhiello»”.

    Condivido la sua opinione che i politici parlino in pubblico della vicenda delle Terme Luigiane, confrontandosi con le principali vittime dello scempio costituito dalla chiusura degli stabilimenti. Per questo, le esprimo la mia disponibilità ad accogliere il suo eventuale invito a parlare pubblicamente della vicenda delle Terme Luigiane ed a confrontarmi con chi riterrà opportuno. Se con il suo giornale vorrà organizzare un incontro pubblico a più voci sulla vicenda, non mancherò. Con l’auspicio che non serva ad alimentare polemiche ma a trovare soluzioni.

    I miei atti pubblici documentano il mio impegno, non a chiacchiere ma con atti politici ed amministrativi, per l’apertura delle Terme Luigiane. Ho preso posizione pubblicamente sulla vicenda fin dal dicembre 2020. Ho sollecitato, con comunicazioni scritte ufficiali, Orsomarso e Spirlì a far svolgere alla Regione un ruolo attivo per garantire le prestazioni sanitarie e l’occupazione. E l’ho fatto sia pubblicamente che in incontri personali.

    Ho scritto al Direttore generale del Dipartimento Attività produttive che il 1° luglio mi ha risposto ma successivamente ha interrotto la comunicazione, nonostante sia stato sollecitato più volte, sempre in forma scritta. Ho incontrato i lavoratori nel corso dell’occupazione pacifica dello stabilimento termale. Ho partecipato alla manifestazione pubblica dei lavoratori. Ho presentato una interrogazione alla Giunta regionale alla quale non ho ricevuto risposta. Ho presentato una mozione in Consiglio regionale che non è stata discussa. Mi sono mosso anche in altre direzioni istituzionali che per ora ritengo opportuno mantenere riservate. Non è bastato e ne sono dispiaciuto, ma onestamente, da consigliere regionale credo che non avrei potuto fare di più.

    Per svolgere il mio compito ho assunto una posizione di cui sono fermamente convinto anche se è molto distante da quella dell’Assessore Orsomarso e del Presidente ff. Spirlì. Facciamo parte della stessa maggioranza ma questo, per me, non vuol dire accettare tutto quello che fa la Giunta regionale. Su singoli atti, nel merito, considero doveroso e legittimo dissentire ed io l’ho fatto senza farmi frenare da vincoli di maggioranza. Da eletto, rispondo innanzitutto alla mia coscienza ed ai miei elettori e poi alla maggioranza di cui faccio parte. Ognuno legittimamente sostiene le proprie posizioni, ed io sarei disposto a cambiare posizione se Orsomarso e Spirlì mi fornissero motivazioni valide che finora non mi hanno fornito.

    Dunque, ben venga anche un’iniziativa pubblica organizzata dal suo giornale, per un confronto schietto tra le diverse posizioni che ci sono in merito alle Terme Luigiane. In ultimo, mi permetto di formularle i miei auguri per la nuova iniziativa editoriale de I Calabresi. Fin dalle prime settimane di vita il suo giornale si sta caratterizzando per essere realmente il “giornale d’inchiesta” che ha dichiarato di voler essere. Per questo mi complimento con lei e con i suoi collaboratori. La Calabria potrà trarre grande utilità da un’informazione sempre più ricca di inchieste che aiutino i cittadini ad andare oltre le apparenze ed il qualunquismo. Un cordiale saluto.

    Pietro Molinaro

     

    La risposta del direttore de I Calabresi, Francesco Pellegrini

    Egregio consigliere,

    Apprezzo molto la sua disponibilità ad un confronto pubblico con gli altri soggetti politici e istituzionali, ma anche con altri attori coinvolti nella crisi delle Terme Luigiane, di cui tutti, i lavoratori in primo luogo, auspicano e richiedono una pronta soluzione.
    Vi sono altri, molti altri problemi in Calabria a forte impatto economico e sociale che impongono alla classe politica, a tutela della sua credibilità ed onorabilità, che non pare godere di buona salute, un reale e trasparente confronto con i cittadini. Si preferisce invece – anche con la compiacenza di alcuni professionisti della “disinformazione” – il gioco stucchevole e penoso delle promesse avveniristiche, meglio se collocate in un tempo lontano – decenni, non mesi – che assicurano l’immunità ai falsi profeti.

    Noi, come Lei cortesemente ricorda, siamo nati per introdurre o rendere più ampia la pratica del confronto e della comunicazione pubblica, la sola idonea a determinare scelte politiche e convincimenti consapevoli della comunità dei cittadini.
    Quindi accogliendo la sua disponibilità chiediamo ai sindaci di Acquappesa e Guardia Piemontese, all’assessore Orsomarso, al presidente Spirlì, alla Sateca e, soprattutto, ai lavoratori delle Terme Luigiane di comunicare la loro condivisione della proposta del consigliere Molinaro. Noi, con le necessarie intese, provvederemo all’organizzazione dell’incontro presso le Terme – o, in alternativa, presso la nostra sede a Cosenza – e alla sua diffusione in streaming.

    Cordiali saluti
    Francesco Pellegrini