Tag: politica

  • Parco d’Aspromonte: assunzioni illegittime e guai in vista

    Parco d’Aspromonte: assunzioni illegittime e guai in vista

    Tanto tuonò che piovve. Potrebbe riassumersi così la vicenda della stabilizzazione a tempo indeterminato degli ex Lsu e Lpu già assunti dall’Ente arco Aspromonte.
    Adesso emergono novità su almeno una delle tre criticità – governance del territorio, programmazione e risorse umane – di cui aveva ampiamente parlato a I Calabresi il direttore amministrativo Pino Putortì.

    Lsu ed Lpu l’Avvocatura dello Stato dice no

    Si tratta del parere dell’Avvocatura dello Stato su due quesiti posti proprio da Putrortì riguardo la legittimità dell’assunzione degli ex Lsu e Lpu voluta da Leo Auteliano lo scorso giugno 2023.
    Per dirla con un luogo comune, abbiamo scherzato: l’Avvocatura ha dichiarato illegittima la determina 295 del 30 giugno 2023 con cui sono stati assunti i 17 ex Lsu e Lpu. Questa determina, nello specifico, violerebbe l’articolo 3 della legge 56 del 2019 e il comma 7 dell’articolo 14 del DL 95 del 2012. Spieghiamo meglio: la procedura di stabilizzazione fuori organico dei 17 lavoratori socialmente utili è corretta. Viceversa, risulterebbe illegittimo il passaggio nella dotazione organica di 5 dei 17 stabilizzati.
    L’Avvocatura dello Stato ha sottolineato, inoltre, che le indebite assunzioni hanno «compromesso la funzionalità e il regolare svolgimento dell’attività amministrativa» dell’ente dovuta alla «perdita della capacità assunzionale in termini di spesa massima consentita».

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    Pino Putortì, il direttore del Parco dell’Aspromonte

    Lsu ed Lpu: un danno erariale da 300mila euro

    Infatti, la copertura delle 9 unità che hanno ottenuto provvedimenti di mobilità in uscita, sarebbe dovuta avvenire in regime di finanza invariata. Così non è stato. Perciò l’Avvocatura dello Stato ha profilato un danno erariale di circa 300mila euro a carico di Silvia Lottero, la direttrice che aveva preceduto Putortì.
    L’Avvocatura avrebbe anche chiesto a Putortì di portare tutte le carte in Procura. E il direttore ha dovuto informare il Consiglio direttivo del Parco.

    Lsu ed Lpu: assunzioni illegittime

    La bomba è esplosa. E il botto dà ragione a chi, nel corso del tempo, aveva accusato Autelitano di una gestione personalistica del Parco. E ci sarebbero profili di reato, va da sé da verificare: i contratti di stabilizzazione violerebbero infatti una normativa di rango superiore.
    Inoltre, le assunzioni, inserite nel Piano integrato di attività e organizzazione (Piao) 2023-2025 recentemente approvato, invaliderebbero lo stesso documento di programmazione con un effetto domino dirompente su una serie di provvedenti adottati dall’Ente Parco.
    Quello che accadrà nei prossimi giorni è da vedere. Per ora sembra si sia arrivati a un punto di non ritorno. Con un unico vantaggio indebito agli assunti e un danno all’Ente e tutta la sua comunità.

    Leo Autelitano, il presidente dell’Ente Parco dell’Aspromonte

    Silenzi, proteste e dimissioni eccellenti

    La Comunità del Parco che, come noto, riunisce i rappresentanti dei 37 Comuni del territorio dell’Ente, ha mandato deserta l’ultima seduta dedicata all’approvazione del bilancio. Un segno chiaro di sfiducia nei confronti dell’operato del presidente.
    La parola dovrebbe quindi passare alla Procura, nel rumoroso silenzio del Ministero dell’Ambiente, destinatario di numerosi dossier sul tema.
    E non è detto che non si registrino nel frattempo reazioni eclatanti. Come le già paventate dimissioni di chi, già funzionario di prefettura e con una specchiata carriera alle spalle, ha cercato di mettere ordine nella situazione.
    La politica, sempre prodiga di nomine, resta a guardare un disastro annunciato?

  • Il sindaco repubblicano: addio a Claudio Giuliani

    Il sindaco repubblicano: addio a Claudio Giuliani

    Il nostro ricordo più recente di Claudio Giuliani risale a due anni fa, quando bazzicava con grandissima frequenza la redazione de I Calabresi.
    Non era più l’ingegnere di spessore (la pensione arriva per tutti) né il politico abilissimo e ironico che Cosenza aveva imparato ad apprezzare durante la sua lunga militanza a Palazzo dei Bruzi, come consigliere, assessore e sindaco. Il tutto nelle file del Partito repubblicano.
    Era la memoria perenne, lucidissima e viva di tutto questo. Era l’esperienza che si faceva saggezza, senza prendersi troppo sul serio.

    Parole e contenuti forti di Claudio Giuliani

    Non prendersi sul serio, per uno come Claudio Giuliani – che aveva fatto e visto tanto – significava una cosa: sorridere. E, soprattutto, non cercare mai di fare il protagonista. Sebbene il suo protagonismo nella vita della città resti indiscutibile.
    Indiscutibile e prezioso per almeno due volte. La prima fu a fine metà anni ’80, quando consentì alla giunta tipartita (Dc-Psi-Pri), orfana dei Socialdemocratici e di Pino Gentile, sindaco per la prima volta nelle schiere socialiste, di arrivare al voto.
    La seconda volta fu nel 1986, quando gestì il passaggio, ancor più delicato, tra Giacomo Mancini (sindaco per l’ultima volta nella Prima Repubblica) e il big democristiano Franco Santo.

    Un santino elettorale di Claudio Giuliani

    Claudio era una miniera di ricordi, che snocciolava con precisione chirurgica nel suo linguaggio ironico e tagliente.
    Tra una facezia e l’altra, ricostruiva interi periodi della vita cittadina e tracciava ritratti – a volte al vetriolo ma sempre fedelissimi – dei tanti big con cui aveva diviso la sua strada.
    Era pignolo senza averne l’aria. Uno di noi, che gli diede un passaggio, si sentì dire: «Non barare, togli quei gancetti e metti la cintura, perché non sai cosa rischi». Da uno come lui, che conosceva e amava i motori, non era un rimproverò né un’esortazione: era un ordine.

    Gioie e motori

    Della passione di Claudio Giuliani per i motori c’è una forte traccia in Corsi e ricorsi, il libro in cui l’ex sindaco raccontò la passione, sua e familiare, per le auto da corsa.
    Una passione soprattutto praticata, visto che l’ingegnere frequentò a lungo i tracciati della prestigiosa Coppa Sila (già battuti dal nonno, dal prozio e dal papà) con ottimi risultati.
    Detto questo, Claudio Giuliani non era un pirata della strada. Anzi: pilotava le auto allo stesso modo in cui faceva politica. Cioè con passione, abilità e coraggio, mai con spregiudicatezza o spericolatamente.
    Passione e abilità, ma anche spirito di servizio.

    Claudio Giuliani nell’album della Prima Repubblica

    A scorrere gli organigrammi di Palazzo dei Bruzi degli anni ’70-’80 emerge il ritratto di un’élite, l’ultima che Cosenza abbia avuto.
    Di questa élite, che traghettò la città in maniera indolore alla Seconda Repubblica (dice nulla la leadership persistente di Giacomo Mancini?), Claudio Giuliani fu elemento di spicco.
    La sua ultima attività pubblica risale al 2011, quando recuperò il mitico quadrifoglio e schierò una lista col sindaco uscente Salvatore Perugini. Al riguardo, resta memorabile un siparietto con tra i due ex sindaci, durante il quale l’ingegnere sottoponeva l’avvocato a un test di “cosentineria” (ovvero, basato sul riconoscimento dei luoghi storici o caratteristici e sulla traduzione in italiano dei detti tipici). Test passato appieno.
    Dopo, il graduale ritiro dalla vita pubblica, frequentata e osservata con lo sguardo del testimone passionale, che parlava di politica con lo stesso trasporto con cui si occupava del Cosenza.
    Gli anni passano e i percorsi (inevitabilmente) finiscono. I ricordi, quando sono costruiti sui meriti, restano.
    Cosenza saluta Claudio Giuliani nella camera ardente, allestita oggi a Villa Rendano il 9 novembre, e nella chiesa di Santa Teresa, dove sono previsti i funerali alle 11 di domani.

  • Mimmo Lucano: arriva la luce alla fine del tunnel

    Mimmo Lucano: arriva la luce alla fine del tunnel

    Ieri, alle cinque e mezza del pomeriggio, la mia mente è andata al teletrasporto. Che stramberia, penserete. E a ragione.
    Ma nel tumulto che mi ha investito quando Sasà Albanese mi ha confermato che Mimmo Lucano era stato (sostanzialmente) assolto, la ragione non c’entra. Perché in quel momento l’unico gesto che avrei voluto compiere era quello di abbracciare Mimmo, dal quale però mi separavano 130 chilometri.
    Mimmo, poco tempo fa mi aveva dichiarato in un’intervista che sarebbe andato in galera senza chiedere sconti di alcun genere. Condannatemi, aveva detto. Prendetevi fino in fondo le vostre responsabilità. Dopo aver coperto la distanza tra Reggio a Riace l’ho trovato lì dove m’aspettavo che fosse: in piazza, non in galera.
    A Riace, il paese dei miracoli, dove umanità, solidarietà, amore non sono parole. Sono volti, baci, abbracci, sorrisi, mani che si stringono e si protendono per soccorrere chi zoppica, chi è stanco, chi è affamato.

    Mimmo Lucano: Riace di tutti i colori

    Mani di colore diverso, perché nella Riace di Mimmo il colore che conta è quello del sangue, uguale per tutti. Del cielo, uguale per tutti. Del grano o delle foglie degli alberi, uguale per tutti.
    Abbraccio Mimmo a occhi chiusi, ma vedo bene che in quell’istante lui è il mondo intero, con le sue brutture e le sue bellezze. Imperfetto, a volte sordo. Però in momenti come questi meraviglioso.

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    Una bella immagine di Mimmo Lucano

    Tanti amici e compagni sono lì, a condividere la luce dopo un tunnel buio e triste. Troppo, insopportabilmente lungo. Certo, nell’attraversarlo, Mimmo Lucano ha dimostrato una resistenza erculea. La tenebra nella quale ha camminato è stata penetrata da tanti raggi di sole: i suoi estimatori, sparsi in tutto il mondo. Tuttavia, credo che non ne sarebbe venuto fuori se non avesse avuto, dentro di sé, la forza delle sue idee. Incrollabili. Rocce che alcun corso d’acqua ruggente e violento avrebbe potuto trascinare via.
    I principi di una vita, saldi in lui fin da ragazzo. Quelli l’hanno guidato già prima di Riace, e quindi hanno segnato anche quell’esperienza. Non poteva cedere e non ha ceduto. E anche il suo più grande timore, quello di perdere credibilità davanti alla sua gente, per colpa delle accuse e del processo, si è squagliato ieri come neve al sole.
    Una giornata storica (in questo caso certamente sì) terminata tra sorrisi e abbracci, tra canti e brindisi. Con il grande Peppino Lavorato, dalla solita postura fiera e gentile da vecchio combattente, a dirigere il coro di Bella ciao.
    Più si va in là con gli anni, pensavo tornando a casa, più le occasioni per gioire si rarefanno. Sono gemme preziose da custodire gelosamente. Quella che abbiamo incastonato ieri nelle nostre vite è una delle più raffinate e pregiate. Il nostro Mimmo potrà continuare nella sua missione, che consiste semplicemente nell’aiutare il prossimo. Con la consapevolezza di poterlo fare perché la solidarietà, da ieri, non è più un reato.

  • Colpevole di umanità

    Colpevole di umanità

    I processi politici esistono. Quello che ha dovuto affrontare Mimmo Lucano, dal quale aveva subito una condanna di tredici anni, puniva una visione differente dell’accoglienza. Una idea migliore di essere “questa sporca razza”, come avrebbe detto Beckett. Insomma, una umanità migliore.
    La sentenza di primo grado puniva la solidarietà in un mondo costruito come sostanzialmente ostile verso “l’altro”, basato sulla disuguaglianza che accanisce i meno uguali, già discriminati, contro quelli che stanno ancora più sotto, gli ultimi.
    Puniva in modo grottesco (e con motivazioni raccapriccianti per chiunque percepisca il senso del Diritto) una persona che aveva osato dimostrare che si poteva vincere l’egoismo, dando vita a una piccola oasi di uguaglianza e opportunità, di riscatto e rinascita.
    Verso quest’oasi si era rivolto anche lo sguardo internazionale, interessato a capire come fosse stato possibile in questa remota periferia del pianeta realizzare l’utopia di un mondo almeno un poco meno ingiusto.

    Niente carcere e molta dignità: Mimmo Lucano

    Fine dell’obbrobrio per Mimmo Lucano

    Oggi l’obbrobrio è stato cancellato: il processo di secondo grado ridimensiona la pena da tredici anni a uno e mezzo per irregolarità amministrative e ne sospende l’esecuzione.
    Tutto questo avviene dopo circa cinque anni dall’arresto e dalla fine di quella esperienza di umanità solidale, di rinascita di un piccolo paese, di ritrovamento smarrito di umanità. L’Appello nega le accuse più pesanti: associazione a delinquere, peculato, frode. A chi, con stupore degli accusatori, spiegava che nelle tasche di Lucano non c’era nemmeno un euro, la sentenza di primo grado replicava che questa povertà era frutto della sua furbizia. Un modo troppo semplicistico per dire che quella esperienza doveva spegnersi subendo anche l’onta dell’infamia.
    Alla fine, più ancora della gravità della sentenza di primo grado, era questo l’oltraggio con cui seppellire Lucano: trasformarlo da realizzatore di idee coraggiose in un piccolo bandito. Non ci sono riusciti. Lucano non andrà in carcere per avere dato dignità a chi non ne aveva più e proseguirà quel che in questi anni non ha mai interrotto: costruire il suo piccolo prezioso mondo di accoglienza.
    Sia scritto sui muri, sui libri di scuola, sia scritto e gridato nelle piazze: la solidarietà non è mai stata un reato.

  • MAFIOSFERA | Gioia Tauro, chiude il porto? Ci guadagnano i narcotrafficanti

    MAFIOSFERA | Gioia Tauro, chiude il porto? Ci guadagnano i narcotrafficanti

    Non c’è dubbio che la priorità dell’Europa e di tutti noi debba essere la salvaguardia dell’ambiente. Così come che questo possa comportare dei sacrifici da parte degli Stati e dei settori pubblici e privati oltre che degli individui.
    Fatta questa premessa, l’ultima misura all’interno dell’obiettivo dell’UE di raggiungere l’azzeramento delle emissioni di gas serra entro il 2050, il pacchetto Fit for 55 – che si ripropone di ridurre le emissioni europee del 55% (rispetto al 1990) entro il 2030 – ha delle ripercussioni molto importanti su economia e società proprio qui da noi, in Calabria.
    A essere a rischio è il porto di Gioia Tauro, fiore all’occhiello (sebbene spesso vituperato) del commercio e dell’economia regionale. Il giornalista Michele Albanese ha definito questa faccenda uno «tsunami epocale» di cui pochi hanno capito la portata effettiva.

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    Palazzo Berlaymont, sede della Commissione Europea

    Si tratta di una revisione del sistema europeo di ETS – Emission Trading System – cioè del sistema di scambio delle quote di emissione. È una revisione proposta in Commissione Europea il 14 luglio 2021 per estendere il campo di applicazione del sistema ETS e includere anche le emissioni provenienti dal settore marittimo. Tale sistema era già stato applicato al traffico aereo dal 2014.
    La Direttiva e il Regolamento sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell’UE il 16 maggio 2023. Entrambi gli atti legislativi sono entrati in vigore il 5 giugno 2023. Tuttavia, sia la Direttiva che il Regolamento si applicheranno a partire dal 1° gennaio 2024. Ed ecco perché ne stiamo parlando ora.

    La legge non è uguale per tutti

    Il sistema ETS dell’UE avrà un impatto su diverse dimensioni e tipologie di navi nei prossimi anni. Ad esempio, dal 2024, su navi da carico e passeggeri di stazza lorda (GT) pari o superiore a 5.000, indipendentemente dalla loro bandiera. Dal 2027, su grandi navi di servizio offshore (oltre 5.000 GT).
    La direttiva prevede che la tassazione delle emissioni sia calcolata oltre che sulla tipologia di nave anche sulla distanza percorsa: si tasserà al 50% se lo scalo di partenza o destinazione è extra-UE e al 100% se partenza e destinazione se i porti sono in UE.
    Per capirci, da Singapore a Gioia Tauro la tassazione sarà al 50%, ma da Gioia Tauro a Livorno o Genova sarà al 100%. Questo perché i porti di trasbordo (transhipment) ad almeno 300 miglia nautiche da un porto europeo, non saranno considerati come scali, mentre i porti in UE lo saranno.

    La denuncia di Agostinelli

    Si tratta di un sistema per applicare il principio “chi inquina paga” e offrire incentivi alle parti interessate per ridurre la propria impronta inquinante. Purtroppo, però ci sono due effetti collaterali.
    Innanzitutto, sembra ovvio ritenere che le compagnie di navigazione nel settore dei container che effettuano il trasbordo da nave a nave nei porti dell’UE andranno a ridurre i loro pagamenti per l’ETS semplicemente cambiando il loro hub di trasbordo da un hub UE a uno non-UE.
    E secondo, come già fatto notare dal Porto di Gioia Tauro, affiancato da MSC, Filt Cgil e Uiltrasporti, la normativa è discriminante per alcuni porti europei più che per altri.
    Ha dichiarato Andrea Agostinelli, presidente dell’Autorità Portuale di Gioia Tauro: «Tutti gli armatori dovranno pagare una tassa per le emissioni di gas serra nel bacino del Mediterraneo. L’Europa ha deciso di tassare gli armatori perché vuole spingerli a modificare il sistema di navigazione e di trasporto, ma ha adottato un provvedimento che discrimina i porti mediterranei rispetto a quelli extraeuropei».

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    L’ammiraglio Andrea Agostinelli

    Gioia Tauro? Meglio l’Africa

    Lo svantaggio competitivo degli scali di transhipment sud-europei è tanto superiore quanto più alta è la percentuale del porto nell’attività di trasbordo. E Gioia Tauro ha percentuali di transhipment sul totale dei container movimentati pari al 95%.
    Secondo uno studio commissionato dall’Autorità Portuale dello scalo calabrese ad Alessandro Guerri, Gioia Tauro è proprio «la tipologia di porto che gli armatori saranno più incentivati a sostituire/evitare», palesando quindi una reale chiusura o abbandono del porto.
    È dunque molto probabile – anzi, dice già la ricerca scientifica, economicamente molto conveniente – che gli armatori scelgano di dirottare i container da transhipment in porti non EU per portare a zero i costi da ETS, ma de facto mantenendo le emissioni nel Mediterraneo.

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    Tanger Med trarrebbe vantaggio dalla crisi di Gioia Tauro

    Il traffico marittimo non si ferma e il mare – in questo caso il Mediterraneo – ci collega comunque tutti a prescindere dai nostri confini imposti. Ecco che, a prendere il posto di Gioia Tauro potrebbero essere i porti di Tanger Med o di Port Said, entrambi porti a vocazione di trasbordo, il primo – il più grande porto in Africa – in Marocco – di relativa nuova fattura (inaugurato nel 2007); il secondo, in Egitto, a nord del canale di Suez.
    Chi vuole arrivare in Europa, userà l’Africa per il transhipment pagando molto meno all’ingresso in Europa. E chi non vuole fermarsi in Europa (e che faceva transhipment a Gioia Tauro fino ad oggi), tenderà a evitare i porti europei del tutto, a favore di quelli africani.

    Gioia Tauro e il narcotraffico

    Ma c’è un altro aspetto di tutto ciò che è stato per ora ignorato – forse giustamente, vista l’urgenza e i timori diffusi – ma che pure rappresenta un fattore di rischio – controintuitivo – in questa débâcle sul depotenziamento di Gioia Tauro o addirittura sul suo progressivo abbandono.
    Tra tutti i primati che ha il porto di Gioia Tauro c’è infatti anche quello del traffico di stupefacenti; secondo le ultime stime, lo scalo calabrese riceve circa l’80% della cocaina che arriva in Italia.

    I sequestri di droga regione per regione nell’ultimo report del Viminale

    La cocaina – ma anche la cannabis che ancora arriva in porto – viaggia su container da porti dell’America latina – Santos in Brasile o Guayaquil in Ecuador – diretta allo scalo calabrese o ad altri scali europei come Anversa o Rotterdam.
    Non si tratta di scelte arbitrarie dei trafficanti – tra cui vari gruppi ‘ndranghetisti – quanto di scelte economiche, obbligate quasi, perché legate al mercato marittimo. Se si chiude una rotta legale, si chiuderà anche quella illegale e viceversa. Per ogni rotta che si apre, si apre la possibilità di un suo sfruttamento a fini illeciti.
    Quando il porto di Gioia Tauro attraversava gli anni della bancarotta meno di un decennio fa, le rotte preferirono altri porti Italiani e non. La mano invisibile del mercato a economia capitalista muove le pedine anche, soprattutto, sul mare.

    Coca e ‘ndrangheta

    La previsione criminologica – sicuramente per ora ipotetica – è molto semplice. Se il porto di Gioia Tauro perde clientela e traffico fino all’abbandono a favore di porti nordafricani, anche la cocaina dovrà spostarsi. I porti nord-europei, per quanto intaccati dalla direttiva europea anch’essi, non hanno molti sostituti ergo il traffico (lecito e illecito) verso i porti olandesi e belgi rimarrà costante.
    Il traffico che dai porti sudeuropei si dirotterà sul Nordafrica invece porterà con sé anche il narcotraffico che da Gioia Tauro o dal Pireo (altro porto ad alto tasso di confische di narcotici) si sposterà in Africa. E qui la geopolitica del crimine organizzato ha sicuramente un peso.

    Più problemi per la polizia che per i narcos

    Come confermato in una recente ricerca di Global Initiative Against Transnational Organized Crime, esistono legami molto solidi tra trafficanti di cocaina, finanziatori e distributori tra America latina – principalmente dal Brasile – e Africa, soprattutto occidentale. Non solo arriva la cocaina in Africa occidentale, ma in parte arriva già anche grazie alla ‘ndrangheta. Se la presenza di gruppi di trafficanti appartenenti a diverse organizzazioni criminali in alcuni paesi dell’Africa è cosa nota, lo è anche l’utilizzo di corridoi tra Mauritania, Mali, Algeria e Marocco per il trasporto della cocaina via terra. Da lì, l’Europa è vicina con navi che non devono essere sempre transatlantici muovi-container.

    La cocaina continuerebbe ad arrivare, ma il mercato sarebbe ancora più frammentato, rendendo molta complessa l’azione di contrasto. Uno spostamento delle rotte sull’Africa – e, dunque, delle rotte illegali sull’Africa del Nord – non turberebbe molto i gruppi criminali, ammesso che riescano a organizzarsi con emissari e broker locali e in Sudamerica (e molti ‘ndranghetisti riuscirebbero). Ma tale spostamento turberebbe moltissimo le forze dell’ordine, italiane ed europee che perderebbero quel poco vantaggio acquisito negli anni nel conoscere e contrastare il modus operandi dei gruppi criminali che si muovono nei nostri porti.

    Gioia Tauro: il porto della cocaina (e dei sequestri)

    Il porto di Gioia Tauro non è solo il porto della cocaina; è anche il porto in cui si confisca più cocaina che altrove. Le ultime stime danno quasi il 40% della cocaina “ipotizzata” in rotta per Gioia Tauro, confiscata dalla Guardia di Finanza. Il rischio di trafficare cocaina a Gioia Tauro ora è condiviso, dai trafficanti e dalle autorità. Se Gioia Tauro non fosse più la destinazione, la cocaina vivrebbe un periodo di rotte imprevedibili e largamente intoccabili da un punto di vista della confisca e della sicurezza portuale.

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    Cocaina nascosta tra le banane rinvenuta a Gioia Tauro: il carico era di circa 3 tonnellate

    C’è di più: i passi avanti, notevoli, in termini di lotta al narcotraffico, in Europa, subirebbero un’enorme frenata se aumentassero i traffici portuali extra-europei, richiedendo alle autorità europee di rafforzare i rapporti con i porti e i paesi africani, già complessi in materia di narcotraffico. Ad aumentare, come detto, potrebbero essere anche i traffici nordeuropei, andando a insistere su situazioni già molto complesse in porti come Rotterdam, dove la violenza del narcotraffico è già cosa nota.

    Grande è la confusione sotto il cielo…

    Il mercato del narcotraffico è di certo tendenzialmente molto disordinato. Ma ad aggiungere disordine – ad esempio con shock geopolitici di questa portata (da ultimo uno shock simile in Europa lo ha portato Brexit) – si rischia solo di aumentare la violenza che a tale mercato si lega (si pensi agli ultimi anni di Rotterdam) e ad aumentare il peso specifico di alcuni gruppi criminali rispetto ad altri (si pensi ai gruppi irlandesi post Brexit).
    Chiunque porterà un po’ di “ordine” nel caos, chiunque saprà gestire al meglio l’emergenza, ne uscirà più ricco e meglio posizionato sul mercato. E quanto a posizione stabile sul mercato la ‘ndrangheta, nonostante i suoi alti e bassi, rimane reputazionalmente ancora molto forte.

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    Il porto di Rotterdam

    Ma forti sono anche altri gruppi, più attenti ai traffici nel Nord Europa o, appunto, in Africa. Paradossalmente, dunque, si abbandona il porto della cocaina, ma la ‘ndrangheta – che quel porto oggi certo lo usa assai – non abbandonerebbe il mercato della cocaina, che però sarebbe più confuso e frammentato da capire per le autorità. A perderci, insomma, non sarebbero le organizzazioni criminali.

    Gioia Tauro, politica e guerra ai narcotici

    Ma mentre si ipotizzano tali scenari, si assiste a flashmob dei lavoratori e al solito balletto della politica, tra colpevoli e più colpevoli. Perché ovviamente questa storia lascerebbe ancora più disoccupazione in una terra già difficile per i lavoratori. Laura Ferrara, eurodeputata col M5S, calabrese, ha risposto agli attacchi che le si sono avanzati su questa vicenda anche con un’interrogazione al Parlamento Europeo che si spera abbia preso risposta. Sicuramente la vicenda non può finire qui.

    Mentre si aspettano risposte dalla Regione e dal governo oltre che dall’Europa, dal porto di Gioia Tauro la proposta arriva chiarissima: il regime applicato a Port Said e Tanger Med si estenda anche a Gioia Tauro e ad altri porti europei simili (Malta, Sines, Pireo), altrimenti lo scalo calabrese andrà perso.
    E se si perde Gioia Tauro, si perde anche quel poco di controllo che si ha sulla cocaina a Gioia Tauro, in Italia e dunque in Europa, a vantaggio solo di chi la traffica.

    Se davvero si arrivasse a quel punto sarebbe auspicabile come minimo un serio discorso sulla decriminalizzazione di alcune sostanze stupefacenti, dal momento che la war on drugs, la guerra contro i narcotici, subirebbe ancora un’ennesima, mortale batosta.

  • Nik, Franz e quel vice sindaco di troppo

    Nik, Franz e quel vice sindaco di troppo

    «Il Pd? È un partito dalle molte anime, direi fluido, qui è rappresentato sempre dalle stesse persone». Fluido ma alla fine pure granitico. Maria Pia Funaro, ormai ex vicesindaco di Cosenza, defenestrata in modo cinicamente burocratico, tramite una Pec, dà voce a quello che i molti presenti alla sua conferenza stampa già sanno.
    La presunta e per adesso solo desiderata rivoluzione della Schlein qui non è mai arrivata, nemmeno come ipotesi, «perché il partito è gattopardesco, cambiare per restare uguale». E il rapporto politico con il plenipotenziario del Pd, Francesco Boccia, si era affievolito da troppo tempo. Altrimenti nessuno l’avrebbe rimossa.
    Questa è molto più della storia di un vice sindaco cui sono state ritirate le deleghe. Questa è la storia di un grumo di potere che è così concrezionato da essere parte integrante della storia del Pd, fin da quando aveva un altro nome e forse persino nelle sue radici più antiche.

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    Maria Pia Funaro spiega le ragioni della sua defenestrazione da vice sindaco

    Il Pd è un partito che tace davanti alla fucilazione alla schiena di un suo significativo rappresentante, cui i vertici nazionali avevano chiesto di mettersi in gioco assumendo la carica di vice sindaco, un partito che adesso si sfila dai commenti, che cerca abbastanza goffamente di far finta che non sia accaduto nulla. Alla conferenza stampa ovviamente del Pd non c’era nessuno, salvo un sorridente Salvatore Giorno, venuto forse per farsi domandare cosa ci facessi lì. Mancavano i vertici regionali e provinciali, mentre per contrappasso c’era chi, come l’anziano Gino Pagliuso, ha passato tutta la vita dentro il ventre della Balena bianca.

    L’ex vice sindaco di Cosenza, Maria Pia Funaro

    Rimossa con una Pec

    Il mondo che sta attorno alla Funaro è variegato e c’era tutto: cattolicesimo di sinistra, volontariato, società civile. Del resto, da candidata alla prima esperienza raccoglie oltre 500 voti, tanti da proiettarla verso il ruolo che fino all’altro ieri ha ricoperto, prima che dalla segreteria del sindaco non giungesse la telefonata che diceva «viene a ritirare il provvedimento qui, oppure glielo mandiamo per email?».

    Il provvedimento era l’addio per sempre di Caruso alla sua vice. Non è nemmeno solo una questione di stile, forse anche di coraggio. Ma la questione è propriamente politica, mica di eleganza. E qui la politica si fa con il coltello tra i denti, non ci sono amici, solo alleati e se non durano per sempre i primi, figuriamoci gli altri. Per come la racconta Maria Pia Funaro, che stemperata la tensione affronta l’assemblea con efficacia, la defenestrazione si consuma perché «è mancata la coesione», come recita la mail di licenziamento.

    In realtà le cose sono più complesse, mal celando bramosie di spazi, lotte di potere, posizionamenti di pedine nel gioco dell’amministrazione di un territorio. Dunque ben oltre le pur significative distanze tra la Funaro e Caruso su alcuni punti, per ultimo la posizione da assumere verso l’ipotesi avanzata dalla Cgil riguardo il luogo dove far sorgere il nuovo ospedale.

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    Nicola Adamo ed Enza Bruno Bossio

    E se il partito nazionale, oltre che i vertici regionali, perdono un vice sindaco senza emettere nemmeno un gemito, vuol dire che o questo luogo è destinato a restare inutile periferia, oppure è un feudo intoccabile. La Funaro non esclude la prima ipotesi, ma tende ad avvalorare maggiormente la seconda, in entrambi i casi c’è poco da stare allegri, visto che «non si vuole entrare in conflitto con chi da sempre conta sul territorio».
    Come indicibili fantasmi, i nomi di Nicola Adamo ed Enza Bruno Bossio non si fanno mai, salvo quando con consueta irriverenza Claudio Dionesalvi domanda ridendo se il nuovo vicesindaco sarà una donna. Il riferimento è chiaro, la Funaro non elude la domanda né la persona evocata, ridendo di rimando dice che non crede possa essere lei, «più probabile qualcuno di quella scuderia». Chissà dove li addestrano a correre questi politici.

  • Moltitudine, ecco la città che (in)sorge dal centro storico

    Moltitudine, ecco la città che (in)sorge dal centro storico

    La Moltitudine esiste e nei giorni scorsi ha scelto come luogo di raduno il Centro storico di Cosenza. Giovani e vecchi, studenti e professori, bambini e famiglie, ultras e volontari, hanno dato vita alla terza edizione della Summer school dell’Unical che si è svolta tra le antiche pietre della città. La scelta è ovviamente assai più che simbolica, esprime per intero una idea differente di abitare gli spazi urbani, un progetto che “insorge” direttamente dal basso, essendo la politica istituzionale rimasta a guardare e forse nemmeno a fare quello. Ne è uscita una foto senza ritocchi, in cui la bellezza che resta fa i conti con la minaccia sempre più reale del degrado.

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    Alunni del quartiere storico Spirito Santo

    Il centro storico dunque è stato scelto come luogo d’incontro tra la città e l’Università, che come avvisa Mariafrancesca D’Agostino, sociologa dell’Unical «rischia un atteggiamento autoreferenziale, mentre deve riscoprire il suo ruolo di promozione di saperi critici, diffusi e condivisi». Abitare il centro storico, riempirlo di contenuti, parole, dibattiti e progetti «rappresenta uno sforzo per battere una visione rassegnata, che non sembra immaginare salvezza per la città vecchia», spiega cui guardare la sociologa. In realtà la prospettiva da cui guardare deve essere assai più ampia, perché il destino della parte antica della città, non può essere separata da quella della città intera e perfino dell’area urbana, «perché pensare all’uso degli spazi urbani, alla loro fruizione, alla loro valorizzazione attraverso la presenza reale delle persone, vuol dire immaginare uno sviluppo sostenibile in grado di dare futuro alla città».

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    La sociologa dell’Unical, Mariafrancesca D’Agostino (a sinistra)

    Il Comune grande assente

    Alla costruzione di questa esperienza fatta di confronto politico e allegria c’è stato un grande assente: il Comune di Cosenza. «Prima della vittoria del centro sinistra – dice la D’Agostino – al comune avevamo una giunta che pensava in termini di grandi opere, una visione che era incompatibile con la nostra idea di sviluppo», L’arrivo di Franz Caruso a Palazzo dei Bruzi poteva cambiare le cose e invece no. Uno dei motivi della mancata interlocuzione è lo scontro che mesi fa si è consumato tra Massimo Ciglio, preside dell’Istituto comprensivo dello Spirito Santo, che dell’esperienza della Summer school è stato protagonista e lo stesso sindaco. Lo scontro riguardò l’uso dello slargo su via Roma, chiuso da Occhiuto al traffico e poi riaperto alle macchine da Caruso. In quella occasione il preside manifestò contro la decisione dell’attuale sindaco e da questi fu denunciato. «Date queste premesse – racconta la sociologa dell’Unical – era difficile immaginare una interlocuzione con l’amministrazione che aveva criminalizzato uno dei protagonisti dell’esperienza della Summer school».

    Un altro momento della Summer school

    Contro la marginalizzazione

    In realtà il mancato confronto potrebbe avere ragioni più profonde, visto che è Stefano Catanzariti a spiegare come sembri che a «Palazzo dei Bruzi manchi qualunque forma di visione riguardo il centro storico e la città intera»
    Il centro storico, da questo punto di vista appare come lo specchio del resto della città, «perché il suo abbandono è il segno più evidente di una assenza di idee da parte di governa Cosenza».

    Un vuoto di idee che pesa, per esempio, ancora sui famosi 90 milioni, per i quali, ricorda ancora Catanzariti, all’inizio era partita una forma di interlocuzione con le realtà del territorio riguardo al loro uso mentre adesso manca ogni forma di progetto partecipato e condiviso. Separare il destino delle antiche pietre, dei palazzi storici, da quello delle persone, crea processi di gentrificazione, ma prima ancora di spopolamento, marginalizzazione, degrado sociale e urbano, «mentre dovremmo avviare percorsi politici per creare le condizioni per restare, dare motivi alle nuove generazioni per non andare via dal centro storico e più in generale dalla città, arginare con buone pratiche lo spopolamento». Oggi per la politica istituzionale il progetto più urgente e attuale sembra quello di dare vita all’idea della grande città dell’area urbana senza tenere conto del rischio che questa super città nasca vuota.

  • «Andrò in galera a testa alta»

    «Andrò in galera a testa alta»

    Bisognerà attendere l’11 ottobre per conoscere la sentenza della Corte d’Appello di Reggio Calabria su Mimmo Lucano. L’ho cercato per avere le sue impressioni di prima mano. Ho con lui un rapporto d’amicizia cementato nel corso degli anni dalla condivisione di idee e principi. Tuttavia, ciò che penso della sua vicenda umana, politica e, ahimè, giudiziaria, non ha niente a che vedere con questo.

    «Non mi sono occupato del problema migranti per avere visibilità, è stata una conseguenza di quello che già facevo prima. Da vent’anni e più questo è un argomento al centro del dibattito politico, tanto che i confini, il loro rafforzamento, sono diventati i confini delle nostre coscienze, barriere alzate per proteggere i propri egoismi. Egoismi contro i quali ho sempre lottato. Già da ragazzo ho partecipato ai collettivi, alle lotte sociali: ero affascinato. C’è chi preferisce fare sport o altro, a me è sempre piaciuto occuparmi degli altri. Quando ero studente ho vissuto il 68 della Locride. Eravamo legati al mugnaio Rocco Gatto, al Movimento Cristiani per il Socialismo, al prof. Natale Bianchi. Dopo a monsignor Bregantini. Lui non ha mai dichiarato di aderire alla teologia della liberazione, ma era stato un prete operaio. Ci siamo incontrati in occasione del primo sbarco dei Curdi».

    Mimmo Lucano e la nascita del modello Riace

    Un momento di svolta per Mimmo Lucano. «Sono diventato un attivista del movimento del popolo curdo soprattutto per la loro lotta al capitalismo. L’accoglienza è nata da subito con forti motivazioni politiche, questa è la differenza con altre esperienze in altri luoghi. È nato il cosiddetto modello Riace, che a mio avviso non è un modello perché è nato spontaneamente. È stato, questo sì, coerente con il mio impegno precedente contro la speculazione edilizia e la devastazione della costa. Abbiamo recuperato i luoghi vuoti, dove in passato c’era la vita della comunità contadina, con i bambini che giocavano per strada. Sono diventati luoghi d’accoglienza, risvegliando anche la nostra tradizione umanitaria, di rispetto per lo straniero. Non abbiamo costruito lager, ma piccole comunità globali. La solidarietà e l’accoglienza parlano di per sé di rispetto per la dignità umana, quindi sono una naturale opposizione alla cultura mafiosa, alla violenza. Come ha detto Wim Wenders, era un messaggio di valore universale».

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    Mimmo Lucano e Wim Wenders a Riace

    Il pericolo Mimmo Lucano

    Mimmo Lucano ci tiene a dare una forte connotazione politica al suo impegno per i migranti, come abbiamo visto. Una tragedia che affonda le sue radici nell’azione del capitalismo e del neo liberismo «che hanno sconvolto le terre abitate dai più poveri costringendoli a intraprendere i viaggi della speranza». L’esperienza di Riace, continua Mimmo Lucano, è stata messa all’indice perché pericolosa. Essa ha sbugiardato la predicazione sull’invasione in corso e quindi sulla necessità di rafforzare i confini e adottare politiche repressive. «Riace rappresenta un pericolo per la vendita delle armi, per il neoliberismo, per le guerre: se passa il messaggio dell’Umanità, l’unica arma che abbiamo utilizzato, tutta questa scenografia cade come un castello di carta. Anche la fiction con Beppe Fiorello non è stata mandata in onda perché, in prima serata su Raiuno, avrebbe raggiunto un pubblico vastissimo».

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    Beppe Fiorello nella fiction mai trasmessa dalla Rai

    Né soldi né candidature

    Gli chiedo del processo. «Il colonnello della GDF che ha testimoniato ha detto: “Attenzione, questo sindaco non ha intascato un euro”. Io non ho case, non ho barche, non ho nulla. Il giudice ha scritto una cosa, che si poteva risparmiare, utilizzando un’accusa e non una prova: io preferirei vivere in modo (diciamo) semplice perché devo simulare».

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    Mimmo Lucano ascolta i giudici mentre lo condannano a 13 anni e 2 mesi di pena

    È un passo della sentenza di primo grado sul quale si è soffermato qualche giorno fa, sul Manifesto, il professore Luigi Ferrajoli: «C’è una frase rivelatrice nella motivazione della condanna, che si aggiunge alla massa di insulti in essa contenuti contro l’imputato: la mancanza di prove dell’indebito arricchimento di Lucano seguito alla sua politica di accoglienza, scrivono i giudici, dipende dalla “sua furbizia, travestita da falsa innocenza” e attestata dalla sua casa, “volutamente lasciata in umili condizioni per mascherare in modo più convincente l’attività illecita posta in essere”. Qui non siamo in presenza soltanto di una petizione di principio, che è il tratto caratteristico di ogni processo inquisitorio: assunto come postulato l’ipotesi accusatoria, è credibile tutto e solo ciò che la conferma, mentre è frutto di inganni preordinati o di simulazioni tutto ciò che la smentisce. Non ci troviamo soltanto di fronte a un tipico caso di quello che Cesare Beccaria stigmatizzò come “processo offensivo” nel quale, egli scrisse, “il giudice diviene nemico del reo” e “non cerca la verità del fatto, ma cerca nel prigioniero il delitto”. Qui s’intende screditare come impensabili e non credibili le virtù civili e morali dell’ospitalità, del disinteresse e della generosità».

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    I giudici del Tribunale di Locri pronunciano la sentenza di condanna nei confronti di Mimmo Lucano

    Luigi Saraceni, calabrese, già magistrato e parlamentare, ha detto che non sa se definire la sentenza drammatica o ridicola. «Il colonnello della GDF – prosegue Mimmo Lucano – ha dichiarato che non avevo motivazioni economiche, caso mai politiche». Ciò è smentito dai fatti, in quanto l’ex sindaco di Riace non ha mai accettato le proposte di candidatura che gli sono piovute addosso da più parti e in più occasioni: elezioni politiche, europee, regionali. «Per quanto riguarda i soldi, poi, io non sono proprio interessato al denaro, alla proprietà, ai beni materiali. La storia delle carte d’identità, per la quale sono stato condannato per danno erariale, è emblematica: le compravo coi miei soldi, e andavo a Reggio a mie spese».

    Mimmo Lucano e il processo di ottobre

    Gli parlo del progetto della Regione Sicilia (governo di centrodestra) di ripopolamento di venti paesi delle Madonie dando accoglienza ai migranti. «In Calabria abbiamo la legge 18/09, ma Loiero e Oliverio non hanno fatto nulla per applicarla. Ho ringraziato Oliverio per l’appoggio che mi ha sempre dato, ma questo gliel’ho voluto dire. Con i fondi FER o POR avrebbero potuto realizzare uno SPRAR regionale, inserendo nel progetto anche l’utilizzo dei terreni incolti. Purtroppo si è persa, almeno finora, questa possibilità».

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    L’ex presidente della Regione, Mario Oliverio, e Mimmo Lucano

    Alla fine non posso fare a meno di chiedergli cosa si aspetta dall’11 ottobre.Risponde senza esitazioni: «Mi aspetto l’assoluzione per un processo che non avrebbe dovuto neanche iniziare, orchestrato da un potere senza volto e senza nome per distruggere un’esperienza che metteva in discussione tutto quello che andavano dicendo sul fenomeno migratorio. Ma se ciò non dovesse avvenire, voglio che si assumano fino in fondo le loro responsabilità, non voglio sconti di pena. Andrò in galera a testa alta». Usa proprio questo termine, in tutta la sua crudezza: galera. Senza girarci intorno, edulcorando nulla.

    Ci salutiamo col solito calore. Rimango seduto, col telefono in mano. Sono stordito. Ci sono uomini che fanno la Storia, e Mimmo è uno di questi. Con la sua macchina trascurata, il suo conto corrente alla posta quasi a zero, la sua semplicità spesso disarmante.
    Nel 2016 Forbes l’ha classificato al 40° posto degli uomini più influenti al mondo. A distanza di 7 anni rischia la prigione per avere speso la sua vita aiutando il prossimo.

  • «Ora dateci un lavoro»: a San Giovanni soffia vento di protesta

    «Ora dateci un lavoro»: a San Giovanni soffia vento di protesta

    Sono centinaia le persone che da qualche giorno a San Giovanni in Fiore sono riunite chiedendo un lavoro. Sono donne e uomini di età diversa, che affrontano la fatica di una crisi che morde, particolarmente i più deboli, quelli cui è stato sottratto il sostegno del reddito di cittadinanza e si trovano ad affrontare l’impossibilità di soddisfare i bisogni più elementari.
    A dispetto della narrazione dominante, che vorrebbe i disoccupati inclini al non far nulla su improbabili comodi divano, ecco che questa moltitudine si raccoglie a San Giovanni reclamando un lavoro.

    CLICCA SULL’IMMAGINE IN APERTURA PER GUARDARE IL VIDEO

    La crisi è generalizzata, ma alcune aree del territorio, come appunto quelle di montagna, la sentono più feroce. Per questo un gruppo spontaneo, denominatosi “Gruppo disoccupati San Giovanni in Fiore”, ha dato vita a una mobilitazione, rivolgendosi alle autorità loro più prossime, esattamente come i disoccupati raccontati da Franco Costabile che nelle sue poesie descriveva le notti passate in attesa di un incontro con i politici.

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    Il raduno spontaneo di San Giovanni in Fiore

    Ieri come oggi, quelle autorità hanno fin qui taciuto. Non una attenzione da parte della Succurro, sindaco del paese silano e presidente della Provincia. Così come ancora nessun segnale è giunto da parte di Roberto Occhiuto.
    L’impegno del gruppo sangiovannese va oltre la richiesta di un lavoro che dia dignità all’esistenza. Si proietta verso la speranza di bloccare l’emorragia della migrazione dei giovani, dello spopolamento dei paesi, dell’impoverimento della Calabria.

  • Migranti, Occhiuto ha cambiato idea?

    Migranti, Occhiuto ha cambiato idea?

    Scrivere di immigrazione mettendo da parte la mia coscienza, nella quale sono scolpiti principi che impongono di soccorrere chiunque sia in difficoltà in qualsiasi situazione e zona del “globo terracqueo”, è impresa ardua. Tuttavia ci voglio provare, e lo faccio componendo un mosaico composto dalle seguenti tessere.

    Migranti? Un’opportunità, parola di Occhiuto

    «I flussi di migranti sono difficilmente arginabili… Penso che in un Paese di 60 milioni di abitanti, 100 mila migranti non dovrebbero essere molti da integrare; diventano, invece, troppi quando non c’è integrazione, quando si costruiscono dei ghetti magari a ridosso delle stazioni. Ma un Paese moderno che si affaccia sul Mediterraneo il problema dell’integrazione dei migranti avrebbe dovuto affrontarlo e risolverlo già da tempo. Io ho proposto, per esempio, di organizzare un’accoglienza diffusa… Troppe volte in Italia si è discusso del problema dell’immigrazione senza capire come potesse essere arginato facendolo diventare un’opportunità… Quelli che oggi vengono in Europa scappano dalla fame, dalle guerre, dalla morte. Un Paese civile è un Paese fatto di donne e uomini che non hanno una concezione proprietaria del territorio nel quale hanno avuto la fortuna di nascere e di vivere».

    Queste dichiarazioni sono tratte da un’intervista. Non le ha rilasciate Gino Strada buonanima. No. È il presidente della Regione Calabria a parlare, Roberto Occhiuto.

    La legge Loiero

    La legge regionale 18/2009 (c.d. “legge Loiero”, anche per dare a Cesare quel che è di Cesare) prevede che la Regione Calabria «nell’ambito delle proprie competenze, ed in attuazione dell’articolo 2 del proprio Statuto, concorre alla tutela del diritto d’asilo sancito dall’articolo 10, terzo comma, della Costituzione della Repubblica promuovendo interventi specifici per l’accoglienza, la protezione legale e sociale e l’integrazione dei richiedenti asilo, dei rifugiati e dei titolari di misure di protezione sussidiaria o umanitaria presenti sul territorio regionale con particolare attenzione alle situazioni maggiormente vulnerabili tra le quali i minori, le donne sole, le vittime di tortura o di gravi violenze» e «promuove il sistema regionale integrato di accoglienza e sostiene azioni indirizzate all’inserimento socio-lavorativo di rifugiati, richiedenti asilo e titolari di misure di protezione sussidiaria o umanitaria».frontex

    Gli accordi di “esternalizzazione” (anche i termini hanno una loro importanza, e questo è orribile se l’argomento è l’immigrazione) con Tunisia e Libia, regalando motovedette e supportando le intercettazioni in mare insieme a Frontex, non hanno fermato la fiumana di disperati che fanno rotta verso l’Italia.
    È invece cresciuta e cresce giorno dopo giorno: “come può uno scoglio arginare il mare?”.

    Scuola, demografia, famiglie

    È di questi giorni l’accendersi del dibattito sul dimensionamento scolastico, il cui frutto avvelenato è la scomparsa di un buon numero di istituzioni scolastiche dotate di autonomia dovuta essenzialmente al calo della popolazione. Ne abbiamo già scritto circa sette mesi fa, quindi rinviamo a quell’articolo.
    Il “ricongiungimento familiare”, oltre ad essere un istituto giuridico per richiamare i congiunti nel Paese dove il migrante ha trovato nuove opportunità di vita, è diventato una pratica che coinvolge la nostra terra. Personalmente, conosco almeno una ventina di famiglie che hanno deciso di trasferirsi in altre zone dell’Italia, soprattutto al Nord, per raggiungere i figli che hanno stabilito in quei luoghi il centro dei loro interessi di studio/formazione/lavoro. La spiegazione è semplice e rassegnata: «E perché dovremmo rimanere qui?». Oltre all’affetto, incide la necessità di aiutare i membri della famiglia nella gestione quotidiana dei figli, o anche esigenze economiche se la remunerazione non è adeguata ai costi da affrontare per condurre un’esistenza “libera e dignitosa” (viva la nostra Carta!).

    In un video, girato a Lampedusa nella notte del 14 settembre, si vedono abitanti dell’isola, turisti, immigrati, ballare per le strade tutti insieme, sorridenti. Quella che per molti seguaci del ministro della paura uscito dalla fantasia di Antonino Albanese è un’emergenza, un disastro, una calamità simile a terremoti e inondazioni, si può trasformare in qualcosa di gioioso, in vita ed arricchimento reciproco. D’altra parte, Riace sta in Calabria, non in Veneto.
    In definitiva, invece di andare appresso alla propaganda e alle scelte securitarie dei vari Minniti, Salvini, Meloni, i cui risultati sono sotto l’occhio di tutti quelli che non se li bendano, facciamo una scelta diversa.

    Migranti e Occhiuto, le ultime parole famose

    Presidente Occhiuto, utilizzi gli strumenti a sua disposizione, le funzioni in capo alle Regioni, e quindi anche alla Calabria, per realizzare per i migranti ciò che lei stesso ha proposto: «organizzare un’accoglienza diffusa», in quanto «in Italia si è discusso del problema dell’immigrazione senza capire come potesse essere arginato facendolo diventare un’opportunità».
    L’Italia è o no “un Paese civile fatto di donne e uomini che non hanno una concezione proprietaria del territorio nel quale hanno avuto la fortuna di nascere e di vivere”?
    Questa, a mio avviso, l’affermazione più significativa del presidente Occhiuto, piacevolmente sorprendente, in quanto cancella in un colpo solo la teoria della sostituzione etnica, quella della non italianità dei cittadini italiani di pelle nera (Paola Egonu, copyright il generale che non voglio neanche nominare), quella (addirittura!!!) della stirpe, riportata alla luce dal Medioevo dal cognato–fratello d’Italia.

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    La pallavolista italiana Paola Egonu

    Se pensiamo ai Calabresi, tralasciando il resto dello Stivale e delle isole, essi sono il frutto di un miscuglio di etnie, colori di pelle, culture, idiomi, religioni: un vero melting pot in salsa calabrese. Basti pensare che lo Statuto regionale, e la Costituzione italiana, riconoscono sul nostro territorio tre minoranze linguistiche con radici che affondano in centinaia e, in un caso, migliaia di anni.

    Occhiuto e le opportunità dei migranti

    E allora, presidente Occhiuto, contribuisca a fare rinascere la Calabria partendo dai migranti, da quella che definisce un’opportunità. Siamo d’accordo con lei. Crei le condizioni per portare nella nostra regione nuova linfa. Gente che, come i nostri avi e i nostri coevi, ha una spinta in più, dettata da motivazioni forti, tanto forti da spingerla a rischiare la vita su barchini in balia delle onde o di rimanere internati per settimane a Ellis Island prima di entrare negli USA, o di tornare indietro con lo stesso bastimento dell’andata.

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    Italiani in arrivo ad Ellis Island nl secolo scorso

    Con la terra abbandonata, a rischio incendi per mancanza di cura e di occhi vigili, tanto da dover ricorrere a droni e telecamere. Con i paesi e le città che si svuotano, e hai voglia a protestare per il ridimensionamento dei servizi (le scuole, in primis, ma non solo) in una fase storica in cui per ognuno di essi le entrare devono coprire in larga parte i costi.
    Risolviamo il problema. Anzi: cogliamo l’opportunità. Cosa potrà succedere? Che avremo qualche bambino un po’ meno bianco? E allora dovremmo vietare anche la tintarella e le abbronzature nei centri estetici.
    D’altra parte, i medici cubani di bianco hanno solo il camice.

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    Roberto Occhiuto con alcuni dei medici cubani giunti in soccorso della sanità calabrese