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  • Se vinco a Cosenza faccio l’ospedale a Rende

    Se vinco a Cosenza faccio l’ospedale a Rende

    «Il nuovo ospedale troverebbe la giusta dislocazione nell’area dove insiste l’Università della Calabria». Lo scrive nero su bianco Franco Pichierri nel suo programma da sindaco. Pichierri è un democristiano in servizio permanente effettivo, trasversale, moderato e prudente, ma la sua idea circa il posto dove costruire il nuovo nosocomio è capace di far sgranare gli occhi. Per la verità è la sola idea che susciti attenzione, sommersa in mezzo a proposte che paiono senza vigore, ma è sufficiente per promuoverlo come sola voce fuori dal coro campanilistico.

    Sindaco di Rende o Cosenza?

    Pichierri dunque si candida ad essere non solo il primo sindaco della città, ma proprio il primo cosentino ad immaginare che l’ospedale debba sorgere a Rende. Ci vuole coraggio, ma pure una certa lungimiranza, per proporre una idea di tal genere. La lungimiranza risiede nell’immaginare un ospedale accanto all’università, dove è in arrivo la facoltà di medicina, ma soprattutto perché quell’area è più baricentrica rispetto ad un bacino territoriale parecchio vasto.

    Il coraggio, invece, è necessario per superare il campanilismo. Ma ancor di più per rinunciare alla promettente economia che si avrebbe attorno alla costruzione di un nuovo ospedale e ai sottostanti interessi, che poi sono le ragioni per le quali questo argomento si trova ancora solo nei programmi elettorali. Pichierri però è uno di quei candidati con non solidissime chance di affermarsi. E forse proprio per questo l’indossare l’abito del politico che guarda lontano può dargli un poco di lustro a poco prezzo.

    La lotteria per il centro storico

    Il resto del programma è rappresentato da una lista di buoni propositi, senza l’impegno che sarebbe necessario. Anche il candidato Dc fa riferimento alle risorse del Pnrr di Draghi per affrontare il dissesto, sulle cui responsabilità democristianamente tace. I cosentini posso stare tranquilli, perché «l’obiettivo è fare diventare l’amministrazione pubblica alleata dei cittadini» e ciò accadrà grazie alla «trasformazione digitale del Comune di Cosenza». Per quanto riguarda il lavoro il candidato vorrebbe «stimolare nuove imprenditorialità, avvicinando il talento alle aziende».

    Non manca lo sguardo rivolto alla città antica, che «deve rinascere e ritornare realmente a svolgere quel ruolo centrale e trainante che un tempo aveva nell’ambito dell’intero comprensorio, quale centro pulsante artistico, sociale e produttivo» e qui è verosimile che Pichierri faccia riferimento ai fasti del XV secolo. Il problema delle casse svuotate si può risolvere e il candidato dello Scudo crociato pensa di affrontarlo favorendo «anche il coinvolgimento dei privati promuovendo l’istituzione della “Lotteria Nazionale dei Brettii”».

    Dieci anni da cancellare

    Le idee di Cosenza in Comune, invece, sono precedute da una fotografia dolente della città, che racconta di disuguaglianze acuite dal Covid, ma causate anche da scelte politiche che hanno trascurato le persone e i bisogni reali. A guidare la lista è Valerio Formisani, medico che ha sovrapposto la sua militanza politica alla professione, impegnandosi, tra l’altro, nell’assistenza sanitaria agli ultimi con la creazione di un “Ambulatorio medico senza confini”. Nessuno stupore quindi se il suo programma parta dai temi sociali, dalla partecipazione democratica dei cittadini alle scelte.

    Formisani sa che le casse sono vuote, «a causa di sperperi, pessime gestioni finanziarie, bilanci falsi perpetrati da un decennio di cattiva amministrazione». Per questo occorre individuare le priorità di intervento, per esempio «il rafforzamento dei servizi pubblici essenziali, l’integrazione delle marginalità sociali e territoriali e il ripristino della salubrità ambientali, mortificati da un’azione amministrativa improntata ad una irragionevole e sfrenata cementificazione affaristica».

    La solitudine dei duri e puri

    Un cambio di passo che metta i cittadini al centro dell’azione politica, che prevede la creazione di un “Piano comunale del benessere”. Il “benessere” sociale di Formisani non è la striscia di cemento dove scorrazzare con le bici elettriche immaginata dal sindaco uscente, però. Consiste nel monitorare le condizione economiche della cittadinanza per «costruire interventi sociali, culturali ed economici mirati, favorire la redistribuzione del lavoro esistente, attraverso la “Contrattazione territoriale”, bloccare gli sfratti e aiutare i “morosi incolpevoli”. Quanto alle risorse del Pnrr «devono essere destinati al potenziamento dei servizi pubblici soprattutto a favore dei soggetti più disagiati».

    La città vecchia nei progetti del candidato di Cosenza in Comune vedrebbe l’apertura di cantieri per la manutenzione degli stabili, il censimento degli immobili pericolanti e il recupero delle attività commerciali. E poi la cultura, la lotta all’intolleranza e la spinta all’inclusione culturale. Temi e bandiere che rischiano di essere proposti e sventolate per pura testimonianza. Perché ancora una volta, probabilmente anche per difendere con orgoglio una idea di purezza, Cosenza in Comune corre in solitudine.

  • Toti “tiene” famiglia, tre generazioni dei Bruno in lista

    Toti “tiene” famiglia, tre generazioni dei Bruno in lista

    Come si arriva a 869 aspiranti consiglieri in una città come Cosenza, di 65mila e rotti abitanti, per un massimo di 40mila elettori?
    Essenzialmente in un modo: reclutamenti più o meno “selvaggi” per controllare i voti di amici e parenti e fare quindi massa critica per spingere solo alcuni nomi e confermare la presenza diretta di simboli o l’influenza di alcuni big, che hanno mire ben diverse dal seggio in consiglio comunale.

    Il guazzabuglio è voluto e fa comodo, tant’è che finora nessuno ha mai messo mano alla legge elettorale per rendere i criteri di candidatura più restrittivi, s’intende nel rispetto della Costituzione.
    Cosenza, proprio per le sue dimensioni ridotte, fa scuola in questo modo d’agire. Lo dimostrano due casi, entrambi nella coalizione di Francesco Caruso.
    Ci si riferisce alle liste della Lega e di Coraggio Cosenza.

    Tutto iniziò da Vincenzo Granata

    Nonostante il declino demografico ed economico, Cosenza fa ancora gola. Ne faceva e ne fa tuttora a Matteo Salvini, perché ogni postazione acquistata nelle istituzioni meridionali rafforza il suo “nuovo corso”, di destra prima “radicale” e poi “moderata”, e limita il peso dei bossiani nelle fortissime nicchie del Nord profondo.
    Non a caso, Vincenzo Granata, eletto nel 2016 con la lista Democrazia Mediterranea, passò con la Lega e ne creò il gruppo consiliare.

    Vincenzo Granata, passato dalla Lega al movimento di Toti e Brugnaro (foto Alfonso Bombini)

    Quello di Granata, tra l’altro fratello di Maximiliano Granata, presidente del Consorzio Vallecrati, è il primo tentativo di radicamento del partito di Salvini in città.
    Tutto è filato liscio fino a pochi mesi prima delle elezioni, quando col cambio dei commissari sono iniziate le frizioni interne che hanno provocato l’uscita dalla Lega di circa trecento militanti, a partire proprio da Granata.
    Ed ecco che il Carroccio si è trovato un problemone: come colmare il buco?

    Una “cura medica” per la Lega

    Il vuoto nel Carroccio è pesante e si tenta di colmarlo in tutti i modi. In una primissima battuta, ci hanno provato alcuni volti noti della politica cittadina, che in passato avevano fatto parte della maggioranza della giunta di Salvatore Perugini, finora l’ultimo sindaco cosentino espresso dal centrosinistra: Francesca Lopez, Salvatore Magnelli, Gianluca Greco e Roberto Sacco. Nessuno dei quattro è rimasto a bordo del Carroccio (Lopez e Magnelli sono candidati in Fdi e Sacco è finito a sinistra con l’altro Caruso, cioè Franz).

    Il secondo intervento salva Lega è opera di Franceschina Brufano, leghista vicina a Spirlì e congiunta dell’ex presidente dell’Ordine degli avvocati Emilio Greco. Assieme a lei si mette in moto anche il consigliere uscente Pietro Molinaro.
    Quest’ultimo chiede un aiuto eccellente: quello di Simona Loizzo, anch’essa candidata nel Carroccio, ma per le Regionali.

    Simona Loizzo tra Nino Spirlì e Matteo Salvini

    Ed ecco individuato il primo puntello: Roberto Bartolomeo, ex consigliere comunale emerso alla fine dell’era Mancini e dotato di un solido pacchetto di consensi. Con lui correrà in ticket Federica Pasqua, giovane medico dal cognome importante: è figlia di Pino Pasqua, primario all’Ospedale dell’Annunziata.

    Nella corsa a riempire è senz’altro scappato qualche svarione: il giovane Mattia Lanzino, nipote dell’ex “primula” della ’ndrangheta cosentina. Nulla da eccepire sulla persona, perché il ragazzo è incensurato. Tuttavia, il tono delle polemiche seguite alla “rivelazione” ha confermato che i cosentini sono meno garantisti e meno propensi a distinguere tra persone e cognomi di quanto si creda.

    La trasfusione

    Il problema, per il Carroccio è tirare a bordo almeno gli 800 voti utili per avere pedine in Consiglio. Se il sangue non basta, ci vuole una bella trasfusione. Così hanno senz’altro pensato gli Stati Maggiori della Lega, che hanno trovato una lista pronta da assorbire: il Pls, che sta per Partito liberal socialista, un gruppo dal nome glocal ma dalle ambizioni di quartiere, organizzato da Massimiliano Ercole, ex maresciallo dei carabinieri dalle vicende giudiziarie piuttosto turbolente (a suo carico c’è un’inchiesta per traffico di rifiuti).

    Secondo i beneinformati, Ercole ha trasfuso la sua lista del Pls, di diciotto nominativi, nella Lega. Non è dato sapere se ci siano tutti e diciotto i nominativi, ma gli addetti ai lavori ne confermano cinque: Francesca Broccolo, Antonio Citro, Sergio Moretti, Marianna Lo Polito e Michael Zappalà.

    Affari di famiglia

    Finora si è parlato delle mogli (di Luca Morrone, ad esempio), dei figli e dei parenti dei big.
    Ma ci sono anche famiglie normalissime che si sono date generosamente per completare le liste. Una, in particolare, spicca nella coalizione di Caruso: sono i Bruno (nessuna parentela con Davide Bruno, ex assessore di Mario Occhiuto), che si sono inseriti in blocco nella lista Coraggio Cosenza, organizzata da Vincenzo Granata per puntellare a Cosenza il movimento (Coraggio Italia) di Giovanni Toti e Luigi Brugnaro, il sindaco di Venezia.

    In questa lista, infatti, è possibile distinguere tra due Giuseppe Bruno solo grazie all’anno di nascita: il primo è classe ’53, il secondo è classe 2001. Il salto anagrafico non è un caso, perché sono nonno e nipote.
    Tra i due, figurano Ettore Bruno e Silvana Bruno, rispettivamente papà e zia di Giuseppe jr.
    Non finisce qui: in lista ci sono anche le consorti di Giuseppe senior e di Ettore. E c’è Federica Chiari, la fidanzata di Giuseppe jr.
    Cosa non si fa per riempire una lista…

    Il regno del casino

    A guardare bene i santini elettorali si capisce che molti, al massimo, sono abituati a fare selfie e risultano a disagio col look supercompassato e imbellettato dei politici professionisti.
    E si capisce che i dirigenti politici hanno agito in maniera “pasoliniana”, cioè hanno preso di peso le persone dai quartieri e dalle strade senza andare troppo per il sottile, ovvero senza informarsi sulla reale vocazione (o preparazione) politica dei candidati.
    Oggi vince chi fa più casino. E a Cosenza lo si è capito benissimo. Chissà che anche in questo il Sud profondo non faccia scuola.

  • Drive-in Cosenza, la fantasia dei civici se va al potere

    Drive-in Cosenza, la fantasia dei civici se va al potere

    «Con questa destra mai più. Al ballottaggio non farò accordi con loro». La mano sul cuore, lo sguardo fermo sulla telecamera, Francesco De Cicco ha annunciato che con Mario Occhiuto e Francesco Caruso non ha intenzione di dialogare. De Cicco è stato assessore proprio della Giunta guidata dall’architetto e ha affidato a un video su Facebook le sue decisioni.

    Da due anni diserta la Giunta

    Queste parole valgono più di ogni dettagliato programma elettorale e lasciano immaginare un possibile accordo col centro-sinistra. Ma mai fare l’errore di considerarle la pietra tombale su un possibile ritorno dell’amore tra Occhiuto e De Cicco. Basta guardare indietro nel tempo, quando De Cicco mobilitava le sue truppe a via Popilia contro il sindaco che voleva portare i rom a Vaglio Lise, salvo poi deporre le armi davanti alla nomina ad assessore.

    Nessuno dimentica le tante volte in cui ha minacciato di far cadere l’amministrazione, per poi rientrare prontamente nel recinto della maggioranza. Questa volta a marcare la distanza lo stesso De Cicco nel video spiega che «sono due anni che non partecipo alle riunioni di Giunta, né firmo i bilanci», tuttavia continuando, presumibilmente, ad incassare l’indennità di assessore.

    Gallo, Civitelli e De Cicco: i tre civici

    De Cicco, assieme a Francesco Civitelli e Fabio Gallo, rivendica il ruolo di portabandiera del civismo. Leggendo il programma dell’ancora assessore troviamo la negazione dell’idea di viabilità costruita in questo decennio da Occhiuto. E quindi con «la rimodulazione stradale a viale Mancini, via Roma, corso Umberto, via XXIV Maggio e relative traverse». Una proposta che potrebbe trovare l’entusiasmo degli automobilisti. Contorta e di difficile interpretazione la parte in cui si parla della «introduzione di trasporto di massa veloce, certo e sicuro che potrà avvenire solo se realizzato su linee di mobilità che devono prevedere sedi stradali libere dal traffico privato». Praticamente è una metro leggera che forse si chiamerà in un altro modo. Su tutto questo vigilerà una «assemblea cittadina aperta ai “competenti”», che però non si comprende chi possano essere.

    Francesco Civitelli, impegnato in un selfie allo specchio
    Drive in e festival medievali 

    Se quel passaggio resta vago, deciso è chiaro è l’intento di De Cicco sindaco per quanto concerne il lavoro: assumerà 240 impiegati comunali nell’arco del suo mandato. Lo sguardo sul centro storico non manca, con l’impegno a “chiamare” l’Università per aprire una facoltà nella parte antica della città. De Cicco promette pattuglie di vigili che avranno il ruolo di “educatori”, impedendo le occupazioni abusive e aiutando i giovani.
    Se la cultura in questi anni ha sofferto, l’assessore pensa di rilanciarla attraverso «la creazione di cinema drive in, per poter guardare il film in macchina». E poi con «il rilancio del teatro Rendano attraverso l’invito di artisti famosi, l’organizzazione di festival medievali nel centro storico e la creazione di un festival culinario».

     Auto a viale Parco e zero piste ciclabili

    Stringatissimo il programma prodotto da Francesco Civitelli, che rivendicando un lontano impegno politico accanto a Mancini, si limita ad un elenco di emergenze. Si parte dal Welfare per finire alla crisi idrica, passando per i rifiuti e la viabilità. Senza tralasciare la necessità di eliminare le piste ciclabili, aumentare le aree con le strisce bianche, attivare le Ztl solo nei fine settimana e riaprire viale Parco.

    L’audace similitudine con Mancini

    Assai più articolata invece la visione della città proposta da Fabio Gallo. Ha pazientemente costruito la sua candidatura, senza però mai dichiararne la volontà. Nel corso del secondo mandato di Occhiuto organizzò una kermesse nell’auditorium del Telesio. Invitò tutte le anime che rappresentavano forme di opposizione al sindaco, una assemblea ecumenica che non sortì alcun effetto.

    Da allora, tenacemente, ha dato vita al Movimento Noi, che ha la pretesa di avere carattere nazionale, ma che pare esistere solo qui. Forme di autorefenzialità che hanno partorito il topolino di una sola lista. La cosa non preoccupa il candidato, che recentemente ha affermato in una sua diretta Fb che «anche Mancini aveva solo due liste e stravinse», lanciandosi in un confronto che pare fuori misura.

    Gallo pensa al Pnrr 

    La concretezza dei buoni propositi del Movimento Noi viene affidata a una serie di provvedimenti finalizzati al finanziamento di progetti, partendo dal Pnrr fino ai fondi europei. Ma Gallo nel programma non scende nel dettaglio di spesa per ogni idea, né ai tempi necessari per attuarle. Si passa quindi dalla genericità di un impegno per la costruzione del nuovo ospedale, ai particolari sulla viabilità. Un tema che gli è caro  come agli altri candidati. In merito pensa di «ripristinare la circolazione di Via R. Misasi, ristabilendo i sensi di marcia precedenti, eliminare il doppio senso di marcia di Piazza Bilotti, renderla uno spazio vivibile ed accogliente».

    Fabio Gallo, cattolico militante del Movimento Noi
    Basta monopattini indisciplinati, servono regole

    Ha intenzione di «riaprire Viale Parco alla circolazione privata e pubblica, attuare un piano di reale manutenzione e riasfaltatura di tutte le strade della città, utilizzare le linee ferrate esistenti per collegare Cosenza all’Unical, acquistare una flotta di Electrobus a inquinamento “zero”». Ma per fortuna a tutto questo aggiunge «la regolamentazione dell’uso dei monopattini», questione evidentemente molto urgente.

    La cultura al centro del progetto città pensato dal Movimento Noi, con un non meglio precisato «sostegno all’artigianato locale e la restituzione dei Bocs art alla città e al mondo del lavoro». Soprattutto è prevista la nascita della Fondazione Cosenza, una realtà con lo scopo di «riunire in essa tutti i Beni di proprietà del Comune, dunque pubblici, destinati alla manifestazione dell’arte e della cultura in generale perché essi siano tutelati da eventuali derive privatistiche e resi produttivi e realmente utili ai Cittadini».

    Energia idroelettrica da Crati e Busento

    Gallo ha pensato anche a produrre energia per la città dai suoi fiumi – dove evidentemente si smetterà di cercare il tesoro di Alarico – e di riportare le Colombe di Baccelli a piazza Kennedy, in una operazione nostalgia. Sulla scuola il candidato prende uno scivolone, quando immagina «la riduzione degli alunni per classe fino a un massimo di 15». Gli sfugge il dettaglio che il numero di studenti per classe e dunque l’organico dei prof è deciso dal Ministero, non dal sindaco.

  • Piazza Bilotti, non aprite quel museo

    Piazza Bilotti, non aprite quel museo

    Ora non lo dicono più solo gli inquirenti: le travi d’acciaio nel museo multimediale di piazza Bilotti presentano dei difetti non accettabili e sono necessari interventi per renderle sicure. La conferma all’ipotesi della magistratura arriva infatti dai tecnici assunti dal Comune di Cosenza nella speranza che dimostrassero l’esatto contrario.

    Le rassicurazioni infondate di Occhiuto

    «Ribadisco che prima del collaudo anche le leggere imperfezioni presenti in alcune travi d’acciaio sono state oggetto degli opportuni interventi, sì da rendere anche tali componenti del tutto conformi alla normativa e quindi sicuri», rassicurava il sindaco Occhiuto nell’aprile del 2020 all’indomani del sequestro di quella piazza che considerava il fiore all’occhiello della sua amministrazione.

    C’era anche lui tra i 13 rinviati a giudizio per le vicende relative alle presunte irregolarità nel collaudo della maxi opera, riaperta al pubblico quasi completamente pochi mesi fa. A restare chiuso era stato proprio il museo, con Occhiuto che a gennaio scorso aveva spiegato che erano «in corso ulteriori e più approfondite indagini sulle travi metalliche».

    Le indagini commissionate dal Comune

    Quelle indagini – almeno quelle commissionate da Palazzo dei Bruzi – si sono concluse e il risultato è apparso nei giorni scorsi sull’albo pretorio del Comune, seminascosto tra decine di allegati a una determina. Il documento ha un titolo inequivocabile: “Verifica delle travi in acciaio presenti nell’area museo”. Porta la firma di cinque ingegneri della Sismlab, spin-off dell’Unical scelto dall’amministrazione comunale per effettuare i test. È lungo più di 100 pagine, fitte di calcoli ingegneristici, immagini relative alle prove effettuate sui materiali utilizzati. E si conclude con un verdetto inequivocabile: le travi sono difettose e c’è bisogno di intervenire al più presto per evitare il peggio.

    I difetti inaccettabili alle travi

    I cinque di Sismlab lo scrivono a chiare lettere nelle loro conclusioni: «Vista la presenza di difetti su due travi e in particolare sui cordoni di saldatura, considerato che i difetti sono definiti non accettabili e quindi da riparare, considerati inoltre i coefficienti di sicurezza rilevati in presenza dei carichi accidentali nelle sezioni danneggiate, a giudizio di chi scrive e nello stato attuale di consistenza non è possibile riammettere alla riapertura al pubblico l’area attualmente interdetta individuata come area museale».

    Non solo, gli ingegneri aggiungono che «la possibilità di riapertura degli spazi al pubblico dell’area museale e delle aree con esse connesse sono, a giudizio di chi scrive, condizionate all’esecuzione di improcrastinabili lavori di consolidamento da effettuare sulle travi portanti in acciaio». Se non si fanno quelli – e in fretta – niente più museo a piazza Bilotti perché mancherebbero le «condizioni di sicurezza secondo la vigente normativa».

    I bulloni serrati male

    Oltre ai difetti alle travi, ci sarebbero anche dei problemi col serraggio dei bulloni. Dalle verifiche di Sismlab emerge, infatti, «l’evidenza che alcuni elementi presentano dei valori di esercizio leggermente più bassi di quelli impostati per la verifica e intorno al 10-13 % in meno». Tant’è che «sulla base delle risultanze sperimentali appare evidente la necessità di eseguire un intervento di consolidamento sulle travi per poter riammettere all’esercizio le aree del museo. L’intervento ovviamente dovrà essere finalizzato a ripristinare i coefficienti di sicurezza delle travi in acciaio intervenendo sia sulle saldature che sulle parti di bullonatura per ripristinare su queste parti il corretto serraggio».

  • Questione calabrese, l’economia non cresce con i gattopardi

    Questione calabrese, l’economia non cresce con i gattopardi

    C’è una questione calabrese nella più ampia questione meridionale. Non appartiene più alla verità dei fatti la descrizione di un Mezzogiorno compatto nella sua arretratezza. Sia pure con un modello geografico a chiazze isolate, qualche territorio meridionale ha intercettato percorsi di nuova industrializzazione e di sviluppo coerente con le traiettorie dell’economia internazionale.

    La Calabria resta un’eccezione. È l’unica regione meridionale che non ha agganciato in nessuna area il treno della nuova industrializzazione. Le due grandi crisi del 2008 e del 2011-2013, unite al blocco pandemico, hanno determinato un complessivo arretramento del tessuto economico e sociale, con una breve tregua durante il biennio 2015-2016. A tempo alternato solo il porto di Gioia Tauro è riuscito ad entrare nel gioco della competizione internazionale, in un ruolo però solo strettamente funzionale alla rete degli scambi mondiali come scalo di transhipment, senza esercitare un ruolo diffusivo sul territorio calabrese.

    Gli effetti del Covid 

    Le misure di distanziamento fisico e la chiusura parziale delle attività durante il 2020, nonché il clima di paura e incertezza legato alla diffusione della pandemia da Covid-19, hanno avuto pesanti ripercussioni sull’economia calabrese, che si trovava già in una fase di sostanziale stagnazione.
    Sulla base dei dati Prometeia, lo scorso anno il PIL calabrese in termini reali sarebbe sceso di circa 9 punti percentuali, un dato sostanzialmente in linea con il resto del Paese. La caduta dell’attività economica è stata particolarmente ampia nel primo semestre del 2020, in connessione anche al blocco più intenso e generalizzato della mobilità.

    Dopo una ripresa nei mesi estivi, le nuove misure di contenimento introdotte per fronteggiare la seconda ondata pandemica avrebbero determinato una ulteriore contrazione, seppure più contenuta rispetto a quanto osservato in primavera.
    Gli investimenti privati in Calabria si sono contratti notevolmente durante la doppia recessione avviatasi nel 2008. In particolare, il calo è stato più intenso a seguito della crisi dei debiti sovrani iniziata nel 2011.

    Durante la successiva fase di ripresa la dinamica degli investimenti è rimasta debole, a fronte di un parziale recupero registrato a livello nazionale. Nel 2018 gli investimenti privati in Calabria erano inferiori di circa la metà rispetto ai livelli pre-crisi: l’incidenza sul PIL si è notevolmente ridotta, passando da oltre il 20% del 2007 a meno del 13%.
    In base alle stime Istat, nel 2020 il valore aggiunto a prezzi costanti del settore primario è diminuito del 9,1 per cento, in misura più pronunciata rispetto al resto del Paese, risentendo in particolare del forte calo del valore della produzione nell’olivicoltura (-21,6 per cento), che presenta un marcato andamento ciclico.

    La crisi per i privati

    L’emergenza Covid-19 ha avuto rilevanti ripercussioni sull’attività delle imprese. Le indagini di Bankitalia segnalano una diminuzione del fatturato molto diffusa per le aziende operanti in regione, riflettendo essenzialmente il forte calo dei consumi, oltre che i provvedimenti di chiusura e le altre restrizioni adottate per arginare la pandemia.
    Nel contempo, le imprese hanno ulteriormente ridotto i propri livelli di investimento, che già negli anni precedenti erano risultati contenuti, soprattutto con riguardo agli investimenti più avanzati in risorse immateriali e tecnologie digitali.

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    Il settore più colpito dalla crisi pandemica è stato quello dei servizi privati non finanziari, in particolare i trasporti, il commercio al dettaglio non alimentare e il comparto alberghiero e della ristorazione, su cui ha inciso la caduta delle presenze turistiche.
    L’attività produttiva si è ridotta in misura più contenuta nelle costruzioni, che hanno in parte beneficiato di una lieve ripartenza del comparto delle opere pubbliche, ancora tuttavia frenata dai tempi lunghi di realizzazione degli interventi.

    Il brusco calo delle vendite ha accresciuto il fabbisogno di liquidità del sistema produttivo, colmato essenzialmente dai prestiti garantiti dallo Stato e dalle misure di moratoria, che in Calabria sono stati più diffusi della media nazionale.
    Il sostegno pubblico ha contenuto fortemente l’uscita di imprese dal mercato, anche tra quelle maggiormente indebitate e fragili, la cui condizione rimane più esposta alla velocità di uscita dalla crisi.

    Ancora meno lavoro di prima

    Le ricadute della crisi pandemica sul mercato del lavoro sono state rilevanti, annullando il modesto recupero dei livelli occupazionali che si era registrato a partire dal 2016.
    Dopo la sostanziale stasi del 2019, l’occupazione in regione nel 2020 è tornata a diminuire a causa delle ricadute della pandemia di Covid-19. Secondo i dati della Rilevazione sulle forze di lavoro dell’Istat, la riduzione su base annua del numero degli occupati calabresi è stata del 4,3 per cento, pari ad oltre il doppio di quella rilevata sia a livello nazionale che nel Mezzogiorno (per entrambe, -2,0 per cento).

    Guardando alle dinamiche dell’ultimo decennio, l’unica variazione peggiore risale al 2013 (-6,2 per cento), a seguito della crisi del debito sovrano. Il tasso di occupazione è sceso al 41,1% (era al 42 nel 2019), con una differenza di 17 punti percentuali dal dato medio nazionale.

    Il calo delle posizioni lavorative si è concentrato soprattutto tra gli autonomi e i dipendenti a termine, mentre il calo del lavoro dipendente a tempo indeterminato è stato contrastato da un eccezionale aumento dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali e dal blocco dei licenziamenti. Gli effetti negativi sono risultati più intensi per le categorie caratterizzate già in precedenza da condizioni sfavorevoli sul mercato del lavoro: i giovani, le donne e gli individui meno istruiti.

    Il calo dei redditi da lavoro è stato sensibilmente mitigato dall’introduzione di nuove misure di sostegno economico ai lavoratori e alle famiglie, che si sono aggiunte alla Cassa integrazione guadagni e al Reddito di cittadinanza. Ciononostante, la contrazione dei consumi è risultata accentuata, in connessione sia alle difficoltà nella mobilità sia a motivi precauzionali, che si sono riflessi in un netto incremento della liquidità delle famiglie.

    Servizi e consumi

    Nel settore dei servizi, maggiormente interessato dalle misure di contenimento, il calo dell’attività è stato ancora più pronunciato. Oltre alle restrizioni alla mobilità, ha pesato anche la contrazione dei consumi connessa all’incertezza circa l’evoluzione della crisi, che ha inciso negativamente sulle decisioni di spesa delle famiglie.

    L’indagine della Banca d’Italia, che si concentra sulle imprese dei servizi privati non finanziari con almeno 20 addetti, conferma il diffuso calo dei ricavi; circa due terzi delle imprese partecipanti ha segnalato una riduzione del fatturato rispetto al 2019. Inoltre il 60% delle imprese ha segnalato una riduzione degli investimenti nell’anno e circa metà un calo dei livelli occupazionali.

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    Secondo le stime di Confcommercio, la spesa in termini reali per beni e servizi si sarebbe ridotta di circa il 12%, in linea con il dato nazionale. Sull’andamento ha inciso anche la dinamica dei consumi per beni durevoli: in base ad elaborazioni sui dati dell’Osservatorio Findomestic, sarebbero diminuiti dell’11 per cento rispetto all’anno precedente.
    In particolare, sono diminuite in misura intensa le vendite di autovetture: le immatricolazioni sono fortemente calate tra marzo e luglio dell’anno scorso, come nel resto del Paese, per poi tornare sui livelli precedenti alla caduta nei mesi successivi. In media d’anno il calo è stato del 21 %, a fronte del 28%in Italia.

    La ripresa dei consumi dipende in modo cruciale da una progressiva attenuazione dell’epidemia nei prossimi mesi. È però probabile che il rafforzamento dei consumi sarà lento risentendo della gradualità con cui sarà riassorbita l’incertezza che ha sospinto l’aumento della propensione al risparmio.

    Turismo ed export

    Dopo anni di crescita, i flussi turistici presso gli esercizi ricettivi regionali hanno subito una brusca caduta. In base ai dati dell’Osservatorio turistico della Regione Calabria, le presenze nel 2020 sono diminuite di oltre il 50%. Dopo l’azzeramento quasi totale nei mesi del lockdown, con il miglioramento della situazione sanitaria e la rimozione delle restrizioni agli spostamenti si è assistito da luglio 2020 a un graduale recupero delle presenze di turisti italiani, mentre la forte caduta delle presenze straniere si è protratta.

    In particolare, nei tre mesi da luglio a settembre si sono concentrati quasi il 90% dei pernottamenti dell’anno (70% nel 2019). Tale parziale recupero ha temporaneamente attenuato l’impatto negativo della crisi sull’ampio indotto di operatori economici delle zone balneari (dove si concentrano i flussi turistici regionali), spesso caratterizzati da un elevato ricorso al lavoro stagionale.

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    Nel 2020 le esportazioni di merci hanno subito un deciso calo (-16,2% a prezzi correnti). In virtù dell’andamento negativo dello scorso biennio l’export calabrese è tornato sui valori del 2016. Le vendite, condizionate dagli effetti della pandemia sugli scambi internazionali, sono diminuite in tutti i principali settori di specializzazione regionale, anche nell’agroalimentare che era cresciuto ininterrottamente dal 2015. Pur interessando tutti i principali mercati di sbocco, il calo delle esportazioni risulta particolarmente accentuato nei paesi UE.

    Digital divide, eterno problema

    Molto significativo resta ancora il divario di digitalizzazione che caratterizza la società calabrese. Secondo gli ultimi dati resi disponibili dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) riferiti al 2019, l’incidenza delle linee fisse ultraveloci (oltre 100 Megabit/secondo) era in Calabria meno della metà di quella italiana. Il divario con la media nazionale si allarga considerando la domanda di accesso ad internet: secondo i dati Istat, solo due terzi delle famiglie calabresi disponevano di un abbonamento a internet a banda larga, di cui il 41 per cento a rete fissa (in Italia erano rispettivamente 75 e 54%).

    La Calabria risulta inoltre tra le ultime regioni per competenze digitali degli utilizzatori effettivi di internet e nell’uso dei servizi internet; ad esempio, risultano ancora scarsamente impiegati i servizi bancari online. Anche l’adozione delle tecnologie digitali da parte delle imprese calabresi è al di sotto della media nazionale: vi influisce principalmente la bassa quota di aziende che utilizzano tecnologie digitali di livello avanzato.

    Con riferimento all’indice che valuta l’e-government, calcolato considerando i dati riguardanti gli enti locali, la Calabria si attesta molto al di sotto della media italiana nell’offerta di servizi pubblici digitali. Secondo i dati della Corte dei Conti, nel 2019 solo i due terzi dei comuni calabresi offriva almeno un servizio online ai cittadini, mentre l’offerta media italiana di servizi digitali alle imprese attraverso lo Sportello unico per le attività produttive e lo Sportello unico per l’edilizia si attestava al 35% (rispettivamente 77% e 53 % nella media nazionale).
    Un’evidenza analoga emerge con riferimento ai servizi sanitari, in particolare alla scarsa diffusione del fascicolo sanitario elettronico e della telemedicine.

    Le ICT non decollano

    Nel 2018 (ultimo anno per cui i dati sono disponibili) in Calabria i settori delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) contribuivano per il 4,2% al valore aggiunto del settore privato non finanziario, una quota inferiore alla media nazionale e in calo nell’ultimo decennio. Anche l’utilizzo dei beni e servizi ICT come input produttivi da parte delle imprese calabresi è inferiore alla media nazionale: in base agli ultimi dati disponibili dell’Irpet, nel 2016 il loro valore in rapporto al PIL era pari in regione al 2,5%, a fronte del 4,4 della media italiana.

    ICT-Infrastructure-Services

    Secondo i dati del primo Censimento permanente delle imprese condotto dall’Istat nel 2019, nel triennio 2016-18 le imprese calabresi, pur in presenza di investimenti in connettività (connessione a internet e soluzioni in tecnologie basate su internet) superiori al dato nazionale, mostravano tassi di adozione inferiori alla media per tutte le tecnologie digitali più avanzate. Il divario appariva marcato anche nell’uso di servizi cloud e di software gestionali.

    Che fare?

    Intanto prosegue la desertificazione demografica della Calabria, che ha registrato tra il 2002 ed il 2018 altri 700.000 emigranti. Di questo passo, nel 2065 la popolazione regionale sarà poco più di un milione di abitanti.
    Che fare, di fronte ad un panorama calabrese caratterizzato da stagnazione, regressione, mancanza di innovazione? Sono due i fronti aperti su cui fare leva per innescare un sentiero di cambiamento: da un lato la costruzione della zona economica speciale di Gioia Tauro e dall’altro l’implementazione degli investimenti per il Piano Nazionale di Rilancio e Resilienza.
    Questi due strumenti di politica economica vanno saldati in un meccanismo unitario di azione: attrarre investimenti produttivi, industriali e logistici, diventa possibile se si rende il territorio calabrese più competitivo attraverso investimenti adeguati in moderne infrastrutture fisiche e digitali.

    porto-gioia

    La variabile temporale assume una rilevanza decisiva: rinviare l’attuazione dei programmi di modernizzazione alle calende greche sarebbe esiziale. Solo un disegno sinergico fatto di visione e di prospettive può consentire all’economia calabrese di intercettare i meccanismi di generazione delle catene del valore che caratterizzano l’economia internazionale. Guardare alle esperienze del passato fondate solo sulla industrializzazione statale non serve: è anzi controproducente.

    Le liste elettorali per le prossime votazioni regionali non inducono ad alcun ottimismo: prosegue la lunga stagione del gattopardismo e della mediocrità. Sotto questa cenere si nascondono i consueti interessi che hanno affossato la Calabria. Niente di nuovo, per ora, sul fronte meridionale. Il mondo, intanto, va verso tutt’altra direzione. I territori competono per essere compresi dentro le catene globali del valore. Chi ne resta fuori, sarà guidato da altri attori e da altre logiche, che pensano all’interesse di pochi contro l’interesse di tanti.

  • Caruso e Rende: divisi nelle liste, meno nelle idee

    Caruso e Rende: divisi nelle liste, meno nelle idee

    Il centrosinistra arriva diviso alla linea di partenza, ma con programmi non troppo diversi. Segno che a separare non sono le idee quanto una certa predisposizione ai personalismi. Franz Caruso e Bianca Rende dunque l’uno contro l’altra, suscitando l’ottimismo dell’altro Caruso, quello di Occhiuto.

    Quel che i due candidati vorrebbero fare della città è raccontato nelle loro proposte: stringate e sintetiche quelle di Rende, più dettagliate quelle dell’avvocato sostenuto dal Pd. Comprensibilmente non mancano punti coincidenti, come la preoccupazione per le condizioni della casse comunali, prosciugate dal dissesto firmato Occhiuto.

    Verità sul bilancio

    Per far fronte alla voragine che erediterà chiunque vada a sedersi sulla poltrona di sindaco, Bianca Rende propone di utilizzare «con correttezza e trasparenza» le risorse del Pnrr, mentre Caruso pensa anche a costruire un «percorso di verità sul dissesto», che spieghi ai cittadini come si sia arrivati al fallimento della città, «segnalando situazioni anomale agli organi competenti». Per entrambi i candidati la preoccupazione sembra essere quella di dire: se vinciamo e troviamo le casse saccheggiate, sappiate che non siamo stati noi.
    Un assillo del tutto comprensibile, perché le cose da fare per risanare la città sono parecchie, ma «gli effetti di questo dissesto sono e saranno sulle spalle dei cosentini per diversi anni».

    Più acqua nelle case

    Da dove partire? Per esempio da uno dei temi più urgentemente avvertiti dai cosentini: l’acqua. Per Rende e Caruso serve un nuovo servizio idrico. La candidata pensa a coinvolgere «i competenti dipartimenti dell’Unical per risolvere definitivamente la questione idrica cittadina». Caruso è più cauto e immagina tappe di avvicinamento alla soluzione, anche con un’App attraverso la quale i cittadini saranno avvisati «sulle variazioni della fornitura idrica». Sarà grande motivo di soddisfazione per i cosentini leggere sul proprio telefonino quando non potranno lavarsi. Ma, a parte ciò, l’idea forte è quella di dare vita a un “Servizio idrico integrato in Calabria”, mentre per adesso si tratterà di razionalizzare le risorse idriche, facendo in mondo che «nessun quartiere resti sfavorito rispetto ad altri».

    Welfare e rifiuti

    Grandi novità pure per i rifiuti. Per Bianca Rende infatti deve essere «ripensato il sistema di raccolta e riorganizzato attraverso sistemi innovativi e alternativi», visto che per la candidata la raccolta “porta a porta” ha fallito. Di opinione diversa è invece il candidato del Pd, per il quale quel metodo va proseguito, ma implementandolo con «isole ecologiche a scomparsa».

    Per due candidati che rivendicano radici riformiste, il welfare è terreno strategico. Il diritto alla casa e a una vita dignitosa, per esempio, questioni che la Rende vuole affrontare «partendo dal censimento del bisogno abitativo, di servizi socio sanitari… per corrispondere con progetti mirati», mentre per Caruso la risposta potrebbe giungere dal Recovery Found, per «incrementare la squadra e la struttura» dei servizi sociali.

    Dimenticare Occhiuto

    Per entrambi i candidati è necessario dimenticarsi della favola di Alarico e puntare su identità culturali autentiche, come «gli 800 anni della cattedrale di Cosenza», come suggerisce Bianca Rende. O sulla nascita di un «Ufficio dell’Immaginazione pubblica, per i giovani o le associazioni che hanno idee per Cosenza vecchia», promette Caruso, avanzando una proposta che però già nel nome, pare una cosa piuttosto effimera.

    Per il centrosinistra disunito sui nomi, ma coerente sulle idee, si tratta di far rivivere la città dopo dieci anni di governo Occhiuto. E di farlo partendo proprio dalle cose più care all’architetto sindaco uscente. Rende infatti pensa al «ripristino della viabilità su Viale Mancini e via Roma e al ridisegno – attraverso concorso di idee- di piazza Bilotti, dell’area ex Jolly e piazza Riforma». Caruso vorrebbe dare vita ad un “Ufficio per la vivibilità dei luoghi”, «con delega a ricevere tutte le segnalazioni che riguardano situazioni di degrado», mentre per rendere più alberata la città, saranno assunti «lavoratori verdi».

    Stesse parole, voci differenti

    Il tema rovente della sanità pubblica non manca. Il centrosinistra a guida Franz Caruso pensa ai fondi del Piano di risanamento di Draghi, grazie al quale annuncia potrebbero essere realizzate strutture sanitarie di prossimità, ben tre in città, mentre il nuovo ospedale verrebbe costruito a Vaglio Lise, capovolgendo le intenzioni dell’amministrazione uscente. E poi integrazione, solidarietà, digitalizzazione e commercio. Il centro sinistra dice le stesse parole, ma con due voci differenti.

  • Espropri à gogo, Caruso finge di non essere Occhiuto

    Espropri à gogo, Caruso finge di non essere Occhiuto

    Scrivere un programma elettorale può essere una fatica immane: deve essere breve, convincente e deve fare sognare. Il programma di Francesco Caruso potrebbe riuscirci: otto pagine di buoni propositi, il lessico è lo stesso che ha fatto il successo del sindaco uscente, parole come “rigenerazione urbana”, “città smart e green”, “decoro”. Quella che sembra mancare è la parola “continuità”, ma si percepisce sin da subito, per esempio nella promessa di realizzare «nuove piazze che nasceranno a Sud della città».

    Finalmente le periferie

    La prima preoccupazione che emerge dal programma di Caruso/Occhiuto è quella di smentire la convinzione diffusa di essersi in questi anni impegnati solo per il salotto buono della città. Ed ecco quindi sin da subito l’idea di dare vita a «veri e propri comitati di quartiere» nelle periferie. A questi comitati sarà delegato il compito di individuare gli obbiettivi che l’amministrazione dovrà raggiungere, come la definizione di un progetto denominato “Quartiere 2030”, «capace di offrire una nuova prospettiva di sviluppo alle periferie». L’obiettivo, non proprio inedito, è quello di fare una città policentrica, senza tuttavia spiegare dove trovare il denaro.

    Espropri ai privati

    Molto più lunga è la parte dedicata all’Agenda urbana, che vede la riqualificazione energetica di molti palazzi e la promessa di un impegno contro il disagio abitativo attraverso la riqualificazione di appartamenti nella città vecchia. Qui vale la pena di sottolineare il cambio di rotta annunciato da Caruso, che smentendo quanto sostenuto lungamente da Occhiuto, intende espropriare gli edifici privati e ristrutturarli.

    Dissesto, anche quello idrogeologico

    Tre sono le righe destinate al dissesto idrogeologico, con l’impegno di «mitigazione del rischio frane» in alcune aree della città, come per esempio nel centro storico, quindi c’è speranza che la strada che conduce a Porta piana, bloccata da una frana da parecchio, sia restituita ai cittadini. Tra le promesse non manca «l’adeguamento sismico, l’efficientamento e la rifunzionalizzazione della Biblioteca civica», patrimonio della città dimenticato e condannato a morte proprio dall’amministrazione uscente. I cittadini che si lamentano della spazzatura nelle strade possono stare tranquilli, visto che Caruso immagina di risolvere la questione anche grazie «all’incremento di uomini e mezzi per velocizzare la raccolta».

    I soldi sono finiti da un pezzo

    La nota dolente sono i soldi: quelli sono finiti da un pezzo. La causa è il dissesto, le cui responsabilità, secondo alcune sentenze, sono di Occhiuto. Caruso questo non può dirlo e quindi ci dice che in Calabria «l’80% degli enti locali è soggetto a procedure di dissesto», ma l’essere in questa compagnia non rallegra per nulla. Anche perché «con il Piano di riequilibrio – approvato dalla Corte dei conti – le aliquote dei tributi sono elevate al massimo». La sola soluzione possibile per uscire dall’abisso in cui la città è stata trascinata dall’amministrazione uscente «è quella di mettere in campo tutti gli strumenti per incassare i tributi» e solo dopo, forse, «pensare a una diminuzione della pressione tributaria».

    Vuole essere sindaco, dimenticando che è stato vice

    A pagare il prezzo di tutto ciò è il Welfare, verso il cui il candidato della destra dedica poche righe, senza spiegare coperture finanziare. Intanto Caruso è certo che Cosenza abbia «sperimentato una crescita economica esponenziale» grazie al «maniero di Federico II…al Planetario…e alle piazze monumentali come Piazza Bilotti».
    Restando all’economia, che in città è molto rappresentata dal commercio, coloro che sono impegnati in questo settore possono stare tranquilli, perché «il Comune stimolerà gli operatori verso l’individuazione di un proprio rappresentante di quartiere». A ben guardare il programma di Francesco Caruso sembra quello di uno che vuole fare il sindaco, dimenticando di aver già fatto il vice.

  • Compagni coltelli, per i big del Pd pronto il pacco… Di Natale

    Compagni coltelli, per i big del Pd pronto il pacco… Di Natale

    Un documento credibilissimo rivela lo stato d’animo con cui il Pd affronta le imminenti Regionali.
    Questa carta “canta” sin troppo: è una lettera inviata da Graziano Di Natale, consigliere regionale uscente, ai circoli del Pd della provincia di Cosenza.
    Per la precisione, intona un’aria tragica, da resa dei conti interna, che rende piuttosto bene un dato: gli equilibri interni dei dem sono saltati. E, al momento, la situazione risulta di difficile ricucitura.
    Tutto lascia pensare che gli stati maggiori calabresi del partito di Letta vogliano usare le Regionali (e, in subordine, le Amministrative di Cosenza) come se fossero le primarie che non si celebrano più da un pezzo. In parole povere, per ristabilire gli assetti di potere e i nuovi equilibri.

    Non saranno elezioni, ma un referendum

    Veniamo ai passi salienti della recente missiva con cui Di Natale chiede il voto per sé non a danno degli avversari, come sarebbe logico, ma dei colleghi di lista.
    Scrive, infatti, l’esponente paolano: «Quante volte ci siamo dovuti “giustificare” con amici e conoscenti o chiedere il voto per un candidato che puntualmente poi disattendeva ciò che aveva promesso durante la campagna elettorale??!! Quante volte ci siamo vergognati per questo? Quante volte hanno preso i nostri voti e sono spariti?».
    Sono due domande retoriche, chiarite da un terzo quesito: «È questo il Partito Democratico che vogliamo?»

    Ed ecco che Di Natale spiega i motivi della sua candidatura, con termini simili a quelli con cui Carlo Tansi ha giustificato l’alleanza con Amalia Bruni: «Ho scelto di candidarmi nel PD per “lottare dall’interno”, restando coerente con il mio percorso ricco di battaglie, denunce, legalità, dignità, ascolto e presenza sui territori. Per “lottare dall’interno” intendo cambiare il modo di gestire il partito nella nostra regione».

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    La lettera inviata da Graziano Di Natale

    Un paradosso curioso: quando, nel 2020, si candidò in Io resto in Calabria, la lista presidenziale di Pippo Callipo, l’esponente paolano dem non proferì parola sul suo partito, né i maggiorenti dem la proferirono su di lui.
    Ma tant’è: nella compilazione delle liste le appartenenze possono diventare optional.
    Stavolta le cose sono andate diversamente: Di Natale si è “dovuto” candidare nel Pd, dove i suoi quasi cinquemila voti potrebbero non pesare abbastanza in una lista piena di big.

    Quattro galli in un pollaio

    Non occorre essere analisti dei flussi elettorali per capire che nella coalizione della Bruni c’è uno squilibrio piuttosto marcato, tra la lista del Pd, concepita come macchina macinavoti, e le altre.
    Secondo i beneinformati, sarebbe stata determinante, in questa scelta. la volontà del commissario Francesco Boccia, ansioso di ottenere comunque un risultato “di bandiera” in linea col trend nazionale, che oscilla attorno al 17%, anche in Calabria e soprattutto nel caotico partito cosentino.

    Così la lista dem è diventata un pollaio in cui quattro pezzi da 90 si contendono uno spazio piuttosto ridotto: oltre Di Natale, sono in lizza Giuseppe Aieta – che si è deciso per il suo partito dopo aver traccheggiato un bel po’ con Mario Oliverio – Mimmo Bevacqua, il campione più forte dell’area popolare dem, e Franco Iacucci, che gode in questa corsa di due forti postazioni di tiro (la provincia di Cosenza e il Comune di Aiello, di cui è tuttora sindaco) e dell’appoggio di Nicola Adamo e Carlo Guccione.

    Ne resterà solo uno

    Di Natale avrebbe provato a sottrarsi a questa logica, che rischia di trasformare l’attuale competizione in un bagno di sangue anche per i consiglieri uscenti, di cui potrebbe passarne uno solo.
    Infatti, stando ai bene informati, il big paolano avrebbe provato a compilare la lista del presidente, ma con scarsi risultati, perché pochi sarebbero stati disposti a fare i portatori d’acqua per un consigliere uscente. Con un rischio ancora maggiore: trovarsi alla guida di una lista debole.

    Questo spiega la logica da guerra civile interna con cui è redatta la lettera inviata ai circoli. «Ascoltate il mio appello: ogni singola preferenza per me, sarà un avviso di sfratto per chi ha distrutto questo partito», scrive il consigliere regionale, che rincara la dose senza accorgersi di aver copiato uno slogan usato dai seguaci di de Magistris, tra l’altro proprio a Paola: «Il 3 e 4 Ottobre non sarà una semplice elezione. Il 3 e 4 ottobre sarà un referendum tra NOI e loro».

    Dalle parti di Masaniello

    Il riferimento ai Masanielli del quasi ex sindaco di Napoli non è casuale: nelle loro file milita la vera spina nel fianco degli aspiranti consiglieri regionali del Tirreno cosentino, cioè Ugo Vetere, sindaco di Santa Maria del Cedro dotato di un forte seguito.
    Infatti, pur essendo legato al Pd, Vetere avrebbe scelto di schierarsi prima con Carlo Tansi e poi avrebbe ceduto alle lusinghe di de Magistris proprio per non finire schiacciato da Di Natale, che a differenza sua vanta comunque un legame di primo piano con il Pd “che conta”, essendo genero del notabile amanteano Mario Pirillo, ex assessore all’Agricoltura dell’era Loiero ed ex europarlamentare.

    Secondo gli addetti ai lavori, Vetere, che è candidato in Dema, ha una grossa carta a proprio favore: l’appoggio elettorale di Giuseppe Giudiceandrea, che si è chiamato fuori all’ultimo dalla competizione elettorale anche per non correre lo stesso rischio di Di Natale. Cioè competere all’interno della lista ammiraglia di de Magistris con Vetere e Mimmo Talarico (col quale condivide, almeno in parte, il bacino elettorale).

    La chiamata alle armi

    Alla candidatura praticamente obbligata nel Pd, Di Natale risponde con una chiamata alle armi, rivolta non tanto contro l’attuale commissario ma per «mandare a casa chi ha praticamente azzerato il partito, facendolo addirittura commissariare per l’ennesima volta».
    Di Natale farà senz’altro il portatore d’acqua, ma la porterà avvelenata. E guai a berla.

  • Regionali, de Magistris moralista a convenienza

    Regionali, de Magistris moralista a convenienza

    Il quadro ormai è delineato: Occhiuto fila più o meno liscio, con la sola eccezione di alcune “sviste” (del suo staff o della Commissione parlamentare antimafia?) nel collegio Sud, mentre i suoi avversari a sinistra si contendono la palma del “nuovo” e della “purezza”.
    Ma Amalia Bruni e Luigi de Magistris possono aspirare, al massimo, alla certificazione dell’usato sicuro, tipica dei venditori d’auto degli ultimi anni dello scorso secolo.

    Uno sguardo più approfondito rivela che, in realtà, tra le due coalizioni c’è una certa permeabilità, costituita da personaggi di primo piano, spesso con storie e provenienze simili, che si sono collocati più a seconda della convenienze (cioè per massimizzare i propri voti) che in base a istanze reali di rinnovamento. Questa transumanza è visibile nel collegio di Cosenza, che è il più determinante sia per le dimensioni sia perché gli equilibri del capoluogo, in cui si svolgeranno le Amministrative, risulteranno centrali negli assetti futuri della politica regionale.

    Le contraddizioni di de Magistris

    La voglia del nuovo deve fare sempre i conti con la realtà, che in Calabria genera contraddizioni vistose.
    La prima contraddizione riguarda lo schieramento di De Magistris, che nel collegio Nord ha due nomi: Giuseppe Giudiceandrea e Felice D’Alessandro.

    L’ex consigliere regionale Giuseppe Giudiceandrea

    Iniziamo da Giudiceandrea, ex consigliere regionale e figura forte della sinistra cosentina, passato dalla sinistra radicale al Pd.
    La sua candidatura era data per certa fino a meno di una settimana dalla presentazione delle liste del re di Napoli. Poi, quasi a sorpresa, il ritiro, annunciato dallo stesso Giudiceandrea dalla propria bacheca Facebook con una motivazione a dir poco ambigua: lui avrebbe troppi voti, che impedirebbero la quadra tra i candidati in più liste.

    Giudiceandrea fuori per fare spazio ad altri

    In altre parole, l’ex consigliere sarebbe stato candidato in Dema, dove già ci sono due candidati piuttosto forti: Mimmo Talarico, sodale del quasi ex sindaco di Napoli sin dal 2010, e Ugo Vetere, sindco di Santa Maria del Cedro, già in quota Pd e poi vicino a Carlo Tansi. L’alternativa, per lui, sarebbe stata la candidatura in de Magistris presidente, con il rischio di far ombra ad Anna Falcone, costituzionalista, ex accademica dal passato socialista e dall’attuale impostazione vicina alla sinistra radicale.
    Che sia così lo ribadisce la doppia candidatura della stessa Falcone a capolista nel collegio Nord e in quello Centro. È evidente che lo staff dei Masanielli miri a farla passare comunque.

    Il dietro le quinte che riguarda Giudiceandrea, autoesclusosi con grande intelligenza politica, sarebbe anche un altro: il suo passato legame con Mario Oliverio e il Pd. Nulla di male in questo, riferiscono i bene informati, tanto più che l’ex consigliere dell’amministrazione Oliverio ha bene operato e non ha strascichi giudiziari.
    Anzi, è stato protagonista di strappi anche coraggiosi: chi non ricorda, al riguardo, la lite sui vitalizi con Nicola Adamo?
    La sua esclusione sarebbe stata quindi dettata dalla voglia di proporre novità all’elettorato.

    Felice D’Alessandro, candidato alla Regione nelle file di Luigi De Magistris

    Lo stesso principio, tuttavia, non vale per altri. È il caso di Felice D’Alessandro, sindaco uscente di Rovito, candidato in Dema, che può essere definito nuovo solo perché non ha mai fatto parte del Consiglio regionale. Sebbene, c’è da dire, ci avesse provato: si era candidato nel 2020 in Io resto in Calabria, la lista “presidenziale” di Pippo Callipo, in cui aveva ottenuto 3.600 preferenze, di cui più di 700 nel capoluogo.

    D’Alessandro per tutte le stagioni

    Per il resto, D’Alessandro ha una storia fatta di legami col Pd e i suoi big più forte di quella di Giudiceandrea.
    Di lui si ricorda una serie di vicinanze: dapprima a Carlo Guccione, poi a Mario Oliverio, poi a Ferdinando Aiello (il quale, per un certo periodo, è stato vicino a Giudiceandrea, che avrebbe addirittura convinto a entrare nel Pd), quindi a Nicola Adamo, ancora a Franco Iacucci e, infine, a Sandro Principe, che non è più formalmente nei dem ma ne resta un ispiratore carismatico.

    Sempre a proposito di Principe, può destare qualche interesse un altro retroscena: D’Alessandro, che non ha mai nascosto il desiderio di diventare sindaco di Cosenza, sarebbe stato indicato dal big rendese per la corsa a Palazzo dei Bruzi.
    In pratica, l’aspirante sindaco è stato per un breve periodo il quarto incomodo nel delicatissimo gioco a tre del centrosinistra cosentino, in cui si sono disputati la candidatura a primo cittadino Franz Caruso, Bianca Rende e Giacomo Mancini.

    Sappiamo com’è andata a finire: la quadra è stata ricomposta male, perché sono rimasti in corsa Caruso e Rende e Mancini ha dichiarato l’appoggio all’avvocato di fede socialista.
    In questo contesto, a D’Alessandro non sarebbe rimasto che schierarsi con Caruso come aspirante consigliere, col rischio non infondato di finire tra i banchi dell’opposizione. A questo punto, la scelta della Regione, per non stare fermo un giro, è stata quasi obbligata. Ma non nel Pd, dove coi suoi voti avrebbe potuto fare il portatore d’acqua, ma con la coalizione di de Magistris, dove potrebbe invece pesare di più.

    Un terrone è per sempre

    La seconda contraddizione, verificatasi nel collegio Centro, è più piccola, roba di puro folclore cultura- politico. Riguarda Amedeo Colacino, avvocato molto noto nel comprensorio lametino ed ex sindaco di Motta Santa Lucia.
    Il nuovismo di Colacino risale all’inizio del decennio e si risolve nella sua infatuazione per il neborbonismo, sfociato in una battaglia giudiziaria bizzarra contro il Museo Lombroso di Torino. Inutile, per quel che serve qui, ricostruirla nel dettaglio: basti solo dire che il Comune di Motta, fiancheggiato da tutte le associazioni neoborboniche e dallo stesso Aprile, ha perso in Corte d’Apello e in Cassazione e che l’attuale sindaco del paese lametino, ha accantonato ogni velleità combattiva.

    Interessa molto, invece, la vicinanza di Colacino a Orlandino Greco, all’epoca consigliere regionale, che per un certo periodo aveva guardato con molta curiosità e altrettanta benevolenza alle battaglie identitarie dei “terronisti”, al punto di far approvare una mozione al consiglio regionale e di interessare il Comune di Cosenza attraverso Mimmo Frammartino, allora suo sodale nei banchi dell’opposizione.
    Piccole cose, ci mancherebbe, ma che danno la misura di una certa vicinanza politica. Nel percorso a dir poco originale di Colacino figura anche la successiva adesione al Movimento 24 agosto-Equità territoriale di Pino Aprile, che di recente ha ritirato il proprio appoggio a de Magistris e si è spaccato al suo interno.

    Se i presupposti sono questi, tutto lascia pensare che la candidatura di Colacino in Dema sia un modo per sterilizzare la presenza, a dirla tutta non fortissima, degli apriliani.
    Stesso discorso, nel collegio Nord, per Mario Bria, medico cosentino che i più ricordano come battagliero consigliere provinciale dei Verdi alla provincia di Cosenza durante la prima amministrazione Oliverio.
    Vicinissimo all’epoca all’ex governatore, Bria si è eclissato dagli spalti provinciali per riemergere proprio col Movimento di Aprile, per il quale scaldava già i motori.
    Il rifugio in Dema è per lui una scelta quasi obbligata, visto che il suo pacchetto di voti non avrebbe avuto valore in un partitino prossimo alla polverizzazione, almeno qui in Calabria.

    Tiriamo le somme

    Il concetto chiave su cui sembrano muoversi i due schieramenti a sinistra è quello dei vasi comunicanti: chi è abbastanza forte o ha obblighi politici a cui non si può dire di no va con la Bruni, chi appena può giocarsi la partita è con de Magistris.
    Di sicuro, la lista cosentina del Pd è impraticabile per chiunque, perché blindata attorno a tre big: Mimmo Bevacqua, Giuseppe Aieta e Graziano Di Natale.
    I tre sono forti, ma dei tre il più forte resta Bevacqua. Aieta, su cui pesa un’inchiesta non proprio irrilevante per corruzione elettorale e voto di scambio, ha perso l’appoggio di Oliverio e il fortino della “sua” Cetraro, di cui è stato a lungo sindaco.

    Di Natale, di cui sono più che noti i rapporti parentali con l’ex europarlamentare Mario Pirillo, dovrà misurarsi nella lista principe della coalizione di Bruni, a differenza del 2020, quando aveva potuto valorizzare al massimo i propri voti in una lista fiancheggiatrice.
    Tutto questo senza fare i conti con l’oste: il presidente uscente della Provincia di Cosenza Franco Iacucci, che tenta, secondo molti, la corsa di fine carriera con la candidatura alla Regione. Ma, secondo gli addetti ai lavori, saprebbe comunque il fatto suo, potendo contare comunque sull’aiuto di Adamo e Guccione.
    Il centrosinistra cosentino è diventato un blob, che condiziona non poco il collegio più grande e popolato della Calabria.

    E sortirà un terribile effetto boomerang: la candidatura di Nicola Irto, già consigliere più votato nel 2020, andrà alle stelle grazie a due fattori. Cioè il suicidio dei big cosentini, che rischiano di essere gambizzati dagli ultrà di Oliverio, e il mancato chiacchiericcio antimafia, che di questi tempi non è davvero poco.
    C’è sempre uno più puro che ti epura, diceva il compianto Pietro Nenni ai socialisti più intransigenti. Sbagliava: la purezza è scomparsa da un pezzo. Anche in politica.

  • Calabria, la Regione più povera ha i politici più ricchi

    Calabria, la Regione più povera ha i politici più ricchi

    «Tre gruppi spendono i soldi degli altri: i bambini, i ladri, i politici. Tutti e tre hanno bisogno di essere controllati», diceva l’ex parlamentare texano Dick Armey. Tralasciamo le facili battute sugli ancor più facili accostamenti tra alcuni dei gruppi in questione, tutti i candidati ci spiegano che a spingerli a entrare nei palazzi del potere sono sempre e solo i più nobili degli ideali. Ma proviamo a ragionare sull’assurda ipotesi che, sotto sotto, a qualcuno di loro possa interessare pure il vile denaro. Una domanda a quel punto bisognerebbe farsela: quanti soldi passano dalle tasche dei politici regionali ogni mese una volta eletti?

    Differenze tra Consiglio e Giunta

    La risposta non è sempre uguale. Sono molte le variabili da considerare quando si parla di emolumenti alla Regione Calabria, tutte relative al ruolo ricoperto dai singoli. Un assessore guadagnerà più di un consigliere, i presidenti delle commissioni o i capigruppo più dei loro colleghi meno “altolocati”, quelli di Giunta e Consiglio più di qualsiasi componente dei medesimi organi. Certo è che tutti loro a fine serata un pasto caldo possono permetterselo senza preoccuparsi di tirare la cinghia per non arrivare al verde a fine mese.

    Il primato della politica

    In una terra in cui il reddito pro capite medio supera di poco i 15mila euro annui, ai rappresentanti istituzionali dei calabresi spettano infatti ogni mese come minimo circa 12.150 euro. E i Nostri possono arrivare, nel caso dei presidenti di Giunta e Consiglio, anche a quasi 18mila. È il massimo consentito per le Regioni a statuto ordinario. In altri territori italiani dall’economia più florida c’è chi ha scelto di percepire meno, ma qui i politici – visti i brillanti risultati ottenuti in mezzo secolo di regionalismo in salsa calabra – hanno optato per fare bottino pieno. Un omaggio alla meritocrazia che sfugge solo agli osservatori troppo maliziosi, senza dubbio.

    Indennità di carica e di funzione

    Ma come si arriva a certe cifre? Presto detto: ogni politico regionale ha diritto a una indennità di carica – lo stipendio vero e proprio, per così dire – pari a 5.100 euro. A questi vanno aggiunti i quattrini della indennità di funzione. In questo caso si parte dai 1.500 euro per i capigruppo per arrivare ai 2.000 destinati ai presidenti di commissione, gli assessori, i vicepresidenti del Consiglio o quello della Giunta. Se poi si guidano la Giunta o il Consiglio l’indennità di funzione, noblesse oblige, aumenta ancora, toccando i 2.700 euro mensili.

    Vettura e autisti

    Se pensaste che il conto sia finito qui pecchereste d’ingenuità. Non vanno dimenticate, infatti, le spese «per il noleggio e l’esercizio delle autovetture utilizzate per l’esercizio delle funzioni». Da non confondere con il salario per gli autisti inseriti nelle strutture degli eletti: i circa 29.000 euro lordi che vanno ogni anno a uno chaffeur al 100% – se ne possono prendere due volendo, purché si dividano a metà lo stipendio – sono un’altra cosa. Per la loro vettura i politici incassano ancora una volta in base al ruolo ricoperto: segretari questori e vicepresidenti del Consiglio si vedono accreditare ogni 30 giorni 2.355 euro, agli assessori ne toccano 3.115. Quando poi si presiedono la Giunta o il Consiglio la somma sale fino a sfiorare i 3.900 euro.

    Massimo cinque missioni, ma soldi ogni mese

    Il timore che l’iperattivismo dei nostri rappresentanti possa portarli alla fame fa sì che alle somme appena elencate se ne aggiungano altre. Tant’è che per ogni componente di Giunta e Consiglio ci sono 6.000 euro mensili destinati alle spese per l’esercizio del mandato. Ogni consigliere ha pure diritto a un’ulteriore somma, pari a poco più di 1.035 euro, «a titolo di contributo forfettario mensile per le missioni». E poco importa che le missioni rimborsabili ogni anno siano al massimo cinque, meno della metà dei mesi del calendario.