Per ora pensa alle imminenti elezioni comunali di Cosenza. Per ora. Però qualcosa vorrà pur dire il pieno sostegno del leader del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte, a Bianca Rende. L’ex presidente del consiglio dei ministri, accolto dalla folla cosentina, ha pronunciato il suo endorsement alcuni giorni fa: «Con lei ci metto la firma».
Del resto tra moderati ci si capisce. L’unica candidata a sindaco donna nelle amministrative di Cosenza è cresciuta a pane e Dc prima, poi un passaggio col Pd per finire con Italia Viva di Renzi. Una superenziana pentita battezzata sul palco da Conte. Sembra una commedia degli equivoci. Non lo è.
Il Movimento 5 stelle di Cosenza ha presentato una lista a sostegno di Bianca Rende soprattutto grazie all’azione della parlamentare pentastellata Anna Laura Orrico, che è una socia diWhat Women Want, l’associazione di cui la Rende è co-fondatrice. Il grillismo del 2021 assume per volontà di Conte connotati più riformisti e centristi. C’è spazio in entrata.
La Rende sa che dovrà uscire fuori da questo limbo senza patria prima o poi, scegliendo un partito o un movimento. Adesso si limita a citare e seguire esempi illustri di civismo: Sala e Pisapia. Un «civismo di sinistra», non quello di «destra alla Marcello Manna» – puntualizza quando le si chiede un raffronto tra il suo progetto politico e quello dell’avvocato al governo sull’altra sponda del Campagnano. Chissà cosa ne pensano i militanti del Laboratorio civico del sindaco di Rende?
È una storia che comincia 30 anni fa e che coinvolge i Servizi segreti, le loro fonti confidenziali e alcuni boss della ‘ndrangheta. E che testimonia come vadano certe cose in Italia. La prima parte si intreccia tra la Calabria e Roma e comincia negli anni ’90, quando le notizie e i riscontri raccolti dagli 007 cominciano a rivelare cose che farebbero impallidire il più spregiudicato degli allarmisti. Sono messe nero su bianco nelle carte custodite negli archivi del Parlamento.
La seconda parte si svolge al Nord ed è invece tutta concentrata tra il 2018 e il 2021. Riguarda un boss passato attraverso diverse inchieste che ha conservato, o forse consolidato, il suo carisma, ma che nonostante la sua esperienza criminale si fa beccare a dirigere un traffico losco e condannato a 20 anni nel giro di pochi mesi. Ogni storia di ‘ndrangheta è storia di “tragedie” e faide. In questo caso i “malandrini” non si tradiscono solo tra di loro, con le scorie tradiscono e avvelenano la terra che sta sotto i loro piedi e quelli che la abitano.
Affari di famiglie
Reggio Calabria, agosto 1994. Informatori definiti «di settore» e «non in contatto tra di loro» riferiscono «notizie confidenziali» che, alla luce delle «prime verifiche», risultano «sufficientemente attendibili» e «foriere» di «interessanti sviluppi». Un uomo dei Servizi segreti descrive in questi termini, alla Direzione del Sisde di Roma, quanto ha appreso dai suoi informatori circa un presunto traffico internazionale di scorie radioattive in mano alla ‘ndrangheta.
Si parla di un summit ad Africo tra il “Tiradritto” Giuseppe Morabito e «altri boss mafiosi del luogo»: in cambio di una partita di armi sarebbe giunta «l’autorizzazione» a scaricare in quella zona «un quantitativo di scorie tossiche e presumibilmente anche radioattive che dovrebbero arrivare dalla Germania, contenute in bidoni metallici trasportati a mezzo di autotreni». Si parla anche di un presunto traffico di «uranio rosso».
Reggio Calabria, ottobre 1994. I primi riscontri «info-operativi» sono «incoraggianti». Gli informatori «habent riferito» dell’esistenza di «parecchie» discariche di rifiuti tossici. Oltre che in zone aspromontane, si troverebbero «nella cosiddetta zona delle Serre (Serra S. Bruno, Mongiana ecc.) nonché nel Vibonese». I Servizi scrivono che «in quella zona la “famiglia” Mammoliti, la competente per territorio, avrebbe occultato rifiuti tossico-radioattivi lungo gli scavi effettuati per la realizzazione del metanodotto.
Via mare e via terra
Le scorie «proverrebbero dall’est europeo per mare e per terra con le seguenti modalità: canale via mare prenderebbe il via da porti del Mar Nero, dove le navi interessate oltre che scorie, imbarcherebbero droga, armi e clandestini provenienti dall’India e dintorni; il trasporto gommato proverrebbe da paesi del Nord Europa su tir anch’essi utilizzati per il trasporto di droga e armi». In altre informative si parla dei fratelli Cesare e Marcello Cordì che, già nel 1992, avrebbero gestito un traffico di rifiuti tossici finiti nei canali dei metanodotti nel territorio di Serrata.
Si conclude, dopo aver sentito anche alcuni magistrati, che «tra la Calabria e il Nord d’Italia vi sono decine di discariche abusive, parte già individuate» in cui ci sarebbero «circa settemila fusti di sostanze tossiche». Si cita il comune di Borghetto, nel Savonese, e poi i luoghi della Calabria, «per la maggior parte grotte», in cui ci sarebbero le discariche di veleni: «Grotteria, Limina, Gambarie, Canolo, Locri, Montebello Jonico (100 fusti), Motta San Giovanni, Serra San Bruno (CZ), Stilo, Gioiosa Jonica, Fabrizia (CZ)». Vengono menzionate le famiglie De Stefano, Piromalli e Tegano. Tutte le segnalazioni vengono girate al Ros. Risultano coinvolte ben sei Procure della Repubblica.
I dossier desecretati
Roma, maggio 2014. Il governo Renzi desecreta molti atti contenuti nei dossier della commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Ilaria Alpi e Milan Hrovatin. Al loro interno compaiono riferimenti ai casi delle «navi dei veleni» e agli uomini chiave dei presunti traffici di scorie radioattive tra l’Africa e mezza Europa. È in queste carte che sono contenuti i riferimenti alle discariche radioattive che secondo gli 007 in riva allo Stretto esisterebbero in Calabria.
I dossier vengono fuori dopo vent’anni, migliaia di cittadini si allarmano e si mobilitano pure gli amministratori locali. Partono gli incontri in Prefettura con comitati civici e sindaci che arrivano a coinvolgere i vertici dell’Arpacal, l’Azienda regionale per la protezione dell’ambiente. Che, in autunno, assieme al Nucleo operativo ecologico dei Carabinieri avvia il progetto “Miapi”.
Si tratta di un monitoraggio delle aree potenzialmente inquinate e per l’individuazione di siti contaminati con l’ausilio di dati telerilevati grazie ad un sensore “Airbone” ancorato ad un elicottero geo-radar. Le attività di ricerca vengono completate e viene trasmesso un hard disk contenente il data base, in formato shapefile, aggiornato al 28 febbraio 2015. Quei dati però ancora oggi sono un mistero, non sono mai stati resi di dominio pubblico.
Lombardia, Italia, A. D. 2021
Lecco, febbraio 2021. È l’altra parte della storia: più recente, distante geograficamente ma sempre e comunque collegata alla Calabria. Finisce in modo molto diverso. Scatta l’operazione “Cardine – Metal money”: diciotto cittadini italiani (dieci in carcere ed otto agli arresti domiciliari) sono accusati di associazione mafiosa, associazione per delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti, frode fiscale, autoriciclaggio, usura ed estorsione.
Al centro di tutto c’è un uomo che per gli inquirenti è il boss indiscusso della ‘ndrangheta nel Lecchese. Si chiama Cosimo Damiano Vallelonga e il prossimo 30 settembre compirà 73 anni. Li “festeggerà” in carcere, non è certo la prima volta che gli capita. È già stato coinvolto in diverse inchieste, da “La notte dei fiori di San Vito” di metà degli anni ’90 alla maxioperazione “Infinito” del 2010. È considerato il successore di Franco Coco Trovato, suo coetaneo che già dagli anni ’90 sconta diversi ergastoli al 41 bis.
Vallelonga è originario di Mongiana, uno dei paesi delle Serre vibonesi indicato nelle carte del Sisde come luogo di presunto deposito di scorie radioattive. Quando i capibastone della sua zona d’origine entrano in conflitto nella sanguinosa “faida dei boschi” viene chiamato in causa per tentare di fare da paciere tra le famiglie in guerra. Nella ‘ndrangheta lombarda chi ha la dote del Vangelo lo chiama «compare Cosimo» e spesso gli chiede di intervenire per dirimere questioni e affari spinosi.
Vent’anni di carcere
Milano, settembre 2021. I giudici del Tribunale meneghino, nell’aula bunker di San Vittore, condannano Vallelonga a vent’anni di carcere, più di quanto avessero chiesto nei suoi confronti i pm della Procura antimafia milanese. È l’esito con rito abbreviato dell’inchiesta “Cardine-Metal money” sull’impero del boss originario di Mongiana. Nell’inchiesta gli investigatori della Guardia di finanza di Lecco non ricostruiscono solo estorsioni, società cartiere, truffe e frodi, ma scoprono anche un traffico da 10mila tonnellate di rottami e rifiuti radioattivi.
L’aula bunker di San Vittore a Milano
L’indagine non riguarda solo la Lombardia ma si estende anche a Liguria ed Emilia Romagna. Vallelonga, una volta scontate le condanne precedenti, avrebbe «ripreso i contatti e rivitalizzato il sodalizio mafioso, non solo attraverso autonome condotte criminali ma anche ricevendo presso il suo ufficio all’interno di un negozio sito nella Brianza lecchese altri esponenti della ‘ndrangheta ed imprenditori locali, sia per l’erogazione di prestiti a tassi usurari sia per organizzare il reinvestimento dei proventi delle attività illecite nell’economia legale».
Vallelonga avrebbe diretto «un’imponente attività di traffico illecito di rifiuti posta in essere attraverso imprese operanti nel settore del commercio di metalli ferrosi e non ferrosi». Ci sarebbe dietro anche un giro di fatture false per circa 7 milioni di euro. E un carico di rifiuti radioattivi: 16 tonnellate di rame trinciato proveniente dalla provincia di Bergamo e sequestrato dalla Polizia Stradale di Brescia nel maggio 2018.
Fidati ma controlla. Recita così un vecchio proverbio russo citato nella serie tv Chernobyl. E Franz Caruso, candidato a sindaco del centrosinistra, nelle elezioni comunali di Cosenza, conosce bene le insidie di un partito per ora pacificato ma sempre pieno di guerre intestine nella città dei bruzi. Due commissari democratici per sbrogliare la matassa degli accordi in vista delle elezioni. Dopo Marco Miccoli è arrivato Francesco Boccia. Polemiche e mancata unità delle forze di centrosinistra hanno fatto da cornice al gioco delle alleanze mancate.
Nessuno dimentica la prima elezione a sindaco di Mario Occhiuto. La profonda divisione tra Nicola Adamo e l’asse Guccione-Oliverio (allora andavano d’amore e d’accordo) favorì enormemente la vittoria dell’architetto che poi avrebbe bissato con il secondo mandato. Oggi sembra tornata la quiete tra Adamo e Guccione. Entrambi sosterranno pure Franco Iacucci alle Regionali.
E Mario Oliverio? Non pervenuto alle amministrative di Cosenza. Lo stesso Franz Caruso sottolinea come l’ex presidente della Regione Calabrianon sia presente in nessun modo nella competizione.
Il 3 e il 4 ottobre si vota per rinnovare il consiglio regionale della Calabria, decaduto all’indomani della scomparsa della presidente Jole Santelli.
Gli ultimi dodici mesi di amministrazione regionale, sono trascorsi in regime di prorogatio – e a stipendio pieno – sotto la guida del presidente ff, Nino Spirlì. In questo contesto, gli unici atti che la legge consente di emanare, sono quelli indifferibili caratterizzati da somma urgenza.
E difatti, la maggior parte dei 113 provvedimenti licenziati da questa assemblea legislativa, sono riconducibili all’ordinaria amministrazione: approvazioni di rendiconti finanziari, presa d’atto di indirizzi della Unione Europea, approvazione dei bilanci di previsione degli enti strumentali o delle società partecipate dalla Regione più una infinità di proroghe a scadenze prodotte dall’emergenza Covid. Non fanno eccezione neppure atti datati nel tempo e dal forte valore simbolico come la liquidazione di Calabria Etica e dell’Afor, slittati a data da destinarsi.
Per il resto, lo spartito seguito durante questa consiliatura è rimasto sempre lo stesso sin dai primi atti. E di rado è andato oltre le formalità: proclamazione degli eletti, nomine e surroghe nelle commissioni.
Un passo avanti e uno indietro
L’undicesima legislatura sarà ricordata per l’approvazione all’unanimità della legge sulla doppia preferenza di genere e sulla parità di accesso alle candidature tra uomini e donne.
La legge, attesa da almeno cinque anni, è arrivata dopo una diffida del Governo che “sollecitava” la Calabria ad adeguarsi alla legislazione nazionale. Con la nuova normativa, nessun genere potrà essere rappresentato nelle liste elettorali per oltre il 60%. E si possono esprimere due voti di preferenza per candidati di sesso diverso.
La proposta di legge era stata presentata dai consiglieri Tallini, Minasi, Vito Pitaro, Aieta, Pietropaolo, Arruzzolo, Francesco Pitaro, Crinò, Graziano, Anastasi.
Domenico Tallini (Forza Italia)
Sempre Tallini, il plenipotenziario forzista nel capoluogo di regione, è tra i protagonisti di un pasticcio legislativo difficile da dimenticare. È il 26 maggio del 2020 e Palazzo Campanella approva all’unanimità la legge sull’estensione del beneficio del vitalizio ai consiglieri regionali decaduti. Un provvedimento che «si illustra da sé», come lo definì presentandolo all’aula Fortugno il consigliere Graziano (Udc), approvato in meno di due minuti senza ulteriori discussioni o chiarimenti.
Siamo in piena pandemia e la notizia deflagra a rete unificate. La pressione mediatica provocata da una ondata di indignazione popolare è tale che i consiglieri sono costretti a fare rapidamente dietrofront. E dopo appena una settimana la legge viene abrogata.
Così come viene cassata, ma questa volta in silenzio e senza troppo clamore, anche la legge regionale 25/2009 che regolamentava le “Elezioni primarie per la selezione dei candidati alla presidenza della Regione”. La motivazione sempre nelle parole di Tallini: «L’abrogazione comporterà un notevole risparmio alle casse della Regione».
Il Consiglio fa marcia indietro
Alla chetichella vengono anche emendate una serie di leggi promulgate nel corso della legislatura con un fine lavoro di taglio e cucito semantico.
Legge regionale sulle Pro Loco:
Alla legge per la “Promozione dell’istituzione delle Comunità energetiche da fonti rinnovabili” si aggiunge la parola “anche” all’art. 2 così da non limitare il potere delle Comunità energetiche alla sola iniziativa dei soggetti pubblici. Via la frase “zone archeologiche” dalla legge che istituisce il “Consorzio Costa degli Dei”: la materia è di competenza dei Beni Culturali, meglio evitare sovrapposizioni.
Ritocchi per il Governo
Taglia di qua, aggiusta di là. Il lavoro di adeguamento delle norme regionali alla legislazione nazionale è continuo. Su impulso della Giunta regionale, il Consiglio approva la modifica dell’art. 14 della Legge 21/12/2009 per le “Attività di sviluppo nel settore della Forestazione”. Una rettifica dovuta all’illegittimità della norma così come intesa in Calabria per l’esercizio della delega delle funzioni amministrative sull’area del demanio marittimo.
Per evitare una impugnativa del Governo – il Consiglio aveva “dimenticato” di fare riferimento al codice degli Appalti – viene modificata anche la legge regionale 23/4/2021 (“Disciplina delle modalità e delle procedure di assegnazioni delle concessione di grandi derivazioni idroelettriche della Regione Calabria”).
Via di bianchetto anche per la legge 20/12/2012 “Istituzione dell’Arsac e disposizioni in materia dello sviluppo dell’agricoltura”. Onde evitare richiami del Governo per la mancata composizione del Comitato tecnico di indirizzo previsto dalla legge, il Consiglio abroga la figura del comitato stesso: problema risolto.
Una sola legge di sinistra
Porta la firma di Graziano Di Natalel’unica legge presentata da un esponente di minoranza e approvata all’unanimità dal consiglio regionale. La norma “Disposizioni per garantire condizioni controllate e/o sicure in ambito ospedaliero tra degenti e familiari” punta a istituire un protocollo operativo che garantisca accessi regolamentati ai reparti Covid e al contempo consenta di alleviare le sofferenze dei degenti.
Se il farmacista è meglio di un caposala
Nonostante non rivesta il carattere della necessità e dell’urgenza, trova l’approvazione dell’aula la “norma per l’utilizzo dei farmaci nelle strutture pubbliche e private” promossa da Giannetta, Anastasi e Arruzzolo.
La norma introduce la figura di un farmacista abilitato nelle strutture sanitarie per l’approvvigionamento, allestimento e somministrazione dei farmaci all’interno delle strutture sanitarie pubbliche e private.
«Allo stato attuale, infatti, nelle strutture sanitarie i caposala infermieri – si legge nella relazione descrittiva – , al di fuori delle loro competenze, detengono un armadio farmaceutico e dispensano i farmaci. Questa anomala situazione comporta un costo elevato per il sistema sanitario perché i frequenti errori nella gestione, somministrazione e controllo della terapia farmaceutica possono provocare danni ai pazienti, aumentare i giorni di ricovero, non garantire prestazioni sanitarie ottimali e aumentare gli oneri a carico del sistema sanitario calabrese».
Una legge, a detta dei firmatari, che non comporta alcun aggravio per le casse regionali ma che forse peserà sui bilanci delle strutture sanitarie con i conti già in rosso.
Liquidazioni lunghe per enti strumentali e comunità montane
Il consiglio regionale è intervenuto con una legge ad hoc per impedire che la liquidazione delle comunità montane finisse in un indistinto pignoramento di massa. L’iter legislativo è partito dopo che i creditori di una comunità montane del reggino avevano bloccato i conti di una comunità montana cosentina per il solo fatto che facevano riferimento allo stesso soggetto.
In questo caso, il Consiglio è intervenuto per ribadire che «sebbene il commissario liquidatore fosse unico, l’entità giuridica delle comunità montane è da considerarsi separata e nessuno poteva avanzare pignoramenti presso terzi».
Molinaro e la passione per l’agricoltura
Si concentra sui Consorzi di bonifica e sul patrimonio forestale, l’attività legislativa del leghista Pietro Molinaro. Forte del suo passato al timone della Coldiretti, il consigliere propone una modifica nella procedura di trascrizione – pubblicazione dei parametri dei contribuenti dei consorzi che ottiene il via libera dall’assemblea. Si passa così da una trascrizione e da una pubblicazione dei computi per ogni singolo consorzio a una sola pubblicazione per conto della Regione Calabria.
Pietro Molinaro (Lega)
Disco verde anche per la modifica apportata alla gestione, tutela e valorizzazione del patrimonio forestale regionale (art. 2 legge regionale 12/10/2021) che introduce la modifica dei piani di coltura per la sostituzione delle piante esotiche con specie autoctone. Via libera all’eradicazione delle piante non gradite, senza troppi problemi.
Più dettagliata la modifica e l’integrazione legislativa introdotta da Pitaro, Arruzzolo, Neri, Pietropaolo, Minasi, Graziano e Crinò alla legge regionale 30/4/2009 sull’esercizio delle attività formative previste per le aziende agricole.
Il consiglio regionale approva la sostituzione di “dieci ore obbligatorie di stage” con “l’impegno a presentare attestazione di formazione entro sei mesi dalla data della domanda di iscrizione”.
Questione di euro
Per dare una scossa al sistema produttivo regionale in piena emergenza Covid, su impulso del consigliere Pietropaolo viene approvato un provvedimento per lo “Sviluppo dell’industrializzazione e dell’insediamento dell’attività produttive”: tre milioni di euro da FinCalabra al Corap.
Commissioni
A rilento anche il lavoro delle commissioni consiliari. La più produttiva risulta la Commissione sanità. Che tenta più volte di introdurre un sussidio per i malati oncologici affetti da alopecia, senza riuscire però a fare approdare la discussione in Consiglio.
Ferma al palo la Commissione riforme, riunitasi solo nel luglio 2020. Nessuna proposta di rilievo dalle altre commissioni, neanche dalla commissione speciale contro la ‘ndrangheta. Eppure di stimoli ne avrebbe parecchi.
Il consigliere regionale uscente Graziano Di Natale
L’attivismo in Consiglio è prerogativa della maggioranza, in questa legislatura l’opposizione è apparsa particolarmente sonnacchiosa e priva di mordente. Poche interrogazioni, interpellanze e mozioni. La palma del più sveglio alla new-entry Graziano Di Natale che ha presentato 69 interrogazioni e 22 mozioni. Eterea la presenza di Aieta: due provvedimenti in due anni.
Al Consiglio che uscirà dalle urne il prossimo 3 e 4 ottobre, l’incarico di vincere la sfida lanciata dai loro predecessori. A conti fatti, non dovrebbe essere un compito impossibile.
Non sarò commissariato da Mario Occhiuto. Cerca di far passare questo messaggio Francesco Caruso, candidato per il centrodestra alle prossime elezioni di Cosenza. Eppure la campagna elettorale dell’attuale vicesindaco sembra proprio monopolizzata dall’architetto che ha polarizzato su stesso il percorso amministrativo degli ultimi dieci anni.
Mario Occhiuto porta con sé il fido vicesindaco in ogni occasione pubblica dove dimostrare il principio della continuità politica e amministrativa. Sa che l’ingegnere, moderato per natura pur essendo figlio di un parlamentare del Movimento sociale italiano, ha bisogno di una carica aggiuntiva. Perché non tira abbastanza. Sostanzialmente è in pole anche per le divisioni del centrosinistra.
Caruso ha probabilità altissime di vincere questa sfida elettorale ma poi corre il rischio di essere un sindaco dimezzato come Salvatore Perugini, stretto nella morsa di due vice ingombranti come Franco Ambrogio e Franco Santo. Ma Caruso rivendica autonomia decisionale e visione personale senza rinnegare continuità ed eredità che affondano nei dieci anni di Mario Occhiuto.
Avevano promesso fuoco e fiamme. Volevano portare la rivoluzione nel Sud e da qui, estenderla a tutto il Paese. Gianfranco Viesti era il loro mito, Pino Aprile la loro musa. Adesso, dopo circa due anni di vita, il Movimento 24 agosto-Equità territoriale, annunciato nell’estate 2019 al Parco nazionale della Grancia, in Basilicata, fondato a Scampia con regolare atto notarile e presentato a Cosenza, è evaporato.
Di tanti entusiasmi, esplosi soprattutto nei social, è rimasto poco: sei candidati spalmati nelle liste di Luigi de Magistris, l’unico interlocutore con cui il partitino meridionalista guidato da Aprile era riuscito a quagliare. Nessuno dei sei ha il simbolo e, se non fosse per le polemiche esplose su Facebook, sembra quasi che il M24a-Et non sia davvero esistito.
La versione di de Magistris
Sull’evaporazione del partito di Aprile de Magistris ha detto la sua in maniera poco equivocabile: non sono io che ho “divorziato” da Pino, ma viceversa.
Poi, il quasi ex sindaco di Napoli ha rivelato un dettaglio: il no dello stato maggiore del Movimento 24 agosto sarebbe arrivato alla fine dello scorso mese, proprio mentre era in corso una manifestazione di de Magistris nel Lametino.
Il no alla coalizione col primo cittadino di Napoli si è risolto in un boomerang: gli aderenti a M24a-Et sono passati armi e bagagli col candidato Masaniello e il partito si è svuotato.
Questo travaso è il terminal di mesi di frizioni, polemiche e dubbi.
I terroni in trincea
Prima di raccontare la storia è il caso di capire chi siano i sei candidati, alcuni dei quali non proprio sconosciuti.
Nella circoscrizione nord ci sono Mario Bria, noto per i suoi trascorsi di sindaco a Rose e di consigliere provinciale durante la prima giunta Oliverio, e Marianna Avolio, che corrono in ticket in de Magistris presidente.
Nella circoscrizione centrale c’è Amedeo Colacino, ex sindaco di Motta Santa Lucia, candidato in Dema. Con lui è in ticket Francesca Gallello. Poi c’è Bruno Aversa, candidato in Per la Calabria con de Magistris.
Nella circoscrizione sud c’è, invece, Maria Stella Morabito, che corre in de Magistris presidente.
Una postilla è doverosa: Amedeo Colacino, già vicino a Orlandino Greco e legato da anni agli ambienti neoborbonici, fu protagonista, all’inizio dello scorso decennio, di una lunga battaglia giudiziaria contro il Museo Lombroso di Torino, accusato nientemeno che di razzismo antimeridionale.
Insomma, un avanguardista del terronismo, che legò con Aprile sin dai tempi d’oro del bestseller “Terroni” (2010).
La campagna elettorale
In politica i pesci piccoli partono per primi. Così è stato per M24a-Et.
I primi colloqui sono iniziati a novembre e si sono svolti con Carlo Tansi, che subito dopo ha litigato di brutto con Aprile sulla questione delle candidature.
Solo l’ingresso di de Magistris ha placato gli animi, ma per poco.
Le cose sono precipitate con la fine del Tandem, l’effimera liaison tra Tansi e de Magistris e con l’ingresso di una buona fetta di sinistra scontenta del Pd.
Sono cose note: Aprile è diventato direttore di testata proprio in Calabria e il Movimento ha iniziato a perdere colpi.
I capi terroni
I movimenti non sono solo i loro leader. Con loro operano sempre dei dirigenti che si danno da fare nei territori. Ciò vale anche per M24, che qui in Calabria contava su quattro “colonnelli”.
Due non sono volti nuovi: Paolo Spadafora e Paolo Mandoliti, per citare i cosentini, erano vicini ai fratelli Occhiuto.
Per quel che riguarda gli altri, uno solo è un neofita del terronismo: Mario Cosenza, un medico fisiatra cosentino. L’altro, il reggino Pasquale Zavaglio, ha un’estrazione neoborbonica simile a quella di Colacino.
Tolto Spadafora, uscito dal Movimento circa un anno fa, gli altri tre sono rimasti alla guida.
La ribellione
I “terronisti” si sono divisi in due blocchi: da una parte chi non ha gradito il nuovo impegno professionale del leader, dall’altra chi lo ha giustificato.
Le cose si sono aggravate in seguito alle difficoltà incontrate nella compilazione delle liste, perché i candidati disponibili erano solo undici.
Il tentativo è naufragato di fronte alla decisione dei vertici di non appoggiare de Magistris e di correre da soli.
Questo proposito è collassato perché la lite interna, era deiventata pesantissima. Tant’è che è mersa il venticinque agosto sulla pagina Fb del Movimento, grazie a un post firmato dai suoi fondatori, tra cui lo stesso Colacino: sono volate accuse di scarsa democraticità e insulti. Tanto più rumorosi quanto più è piccolo l’ambiente che li ha prodotti. E la rivoluzione? Un’altra volta.
Puntuale come un orologio svizzero, Cosenza vecchia riappare nel dibattito politico ogni volta che le elezioni comunali si avvicinano. Anche le Amministrative 2021 non fanno eccezione, complici i crolli sempre più frequenti nella città antica e la pioggia di euro in arrivo da Roma. Ma prima di vedere i risultati dei milioni del Cis o di Agenda urbana bisognerà aspettare ancora.
Gli abitanti del centro storico, però, hanno la fretta di chi teme che il tetto di casa o il palazzo accanto possano cadergli in testa. Oltre alla pazienza dei cittadini, insomma, servono anche azioni concrete e rapide da parte della prossima amministrazione comunale. I finanziamenti statali ed europei, infatti, serviranno a migliorare alcuni spazi pubblici. Ma il problema degli edifici privati – il principale del quartiere – resta e va risolto al più presto per tutelare l’incolumità dei residenti. Cosa vogliono fare i candidati a sindaco per recuperare Cosenza vecchia?
La storia di Cosenza è ricca di personaggi illustri o rimasti nel cuore dei cittadini. Dalla filosofia alla politica, dalla cultura allo sport l’elenco dei beniamini bruzi è lungo. E indicarne qualcuno in particolare rispetto ad altri è anche un modo per dare un’idea della propria cosentinità. Abbiamo selezionato una cinquina di personalità molto diverse tra loro. Dentro ci sono cosentini doc e non solo: il filosofo Bernardino Telesio, l’invasore Alarico, il politico Giacomo Mancini, l’artista Totonno Chiappetta e il calciatore Gigi Marulla. Tra chi rivendica di aver giocato con Marulla e chi considera Telesio il più grande filosofo europeo di sempre, qual è il personaggio che secondo i candidati a sindaco di Cosenza simboleggia di più la città?
Si sente dire sempre più spesso che le ideologie sono morte, che destra, sinistra e centro sono ormai la stessa cosa. Di certo la politica è cambiata parecchio negli ultimi decenni. e certe distinzioni di un tempo sono molto più sfumate che in passato. Ma non per questo svanite. Chi si propone tra i candidati a sindaco lo sa meglio di chiunque altro. E per quanto alle elezioni ci si possa ritrovare in lista con persone dalle sensibilità differenti dalle proprie e si debba sperare di conquistare la fetta di elettori più ampia possibile una posizione politica bisogna pure averla. Si tratti di ideologie o di post ideologie. Qual è quella degli aspiranti primi cittadini di Cosenza?
Una campagna elettorale popolata di tanti candidati a sindaco è ormai consuetudine, al Sud, più che al Nord, malgrado si dica che fare questo lavoro è diventato molto rischioso!
Il mio sguardo di viaggiatore frequente tra terre meridiane e alpine, mi costringe a salti di geografie sociali e politiche che stimolano vedute aperte, scevri da localismi, così che guardo, da studioso, a Cosenza “città interrotta” come altre al meridione. Ovvero quelle città in cui la bellezza, il decoro, la manutenzione, la cura urbana sono ormai progressivamente scomparse.
Passato, presente e futuro
È nostalgia pura la stagione di Falcomatà padre, Giacomo Mancini, Enzo Bianco, Vincenzo De Luca, che hanno impresso una spinta radicale e significativa al cambiamento delle città negli anni cruciali di governi attivi, propositivi, dinamici. Nostalgia, soprattutto perché sono stati sindaci capaci tanto di avere una visione che fosse in grado, con intelligenza, di tenere insieme lo sguardo sul futuro, che la risoluzione di problemi quotidiani per andare incontro alle esigenze dei cittadini.
Ho sfogliato i programmi dei candidati di Cosenza, sindaci di domani, ovvero dei prossimi cinque anni, analizzando alcune delle proposte roboanti, ambiziose, lungimiranti (anche troppo!), ma al contempo di una imbarazzante genericità. Ne ho dedotto che rischiano di essere, a seconda della vittoria, altri cinque anni di sogni vanagloriosi, di inutili fughe verso una impossibile smart city, perché non ci sono gli smart citizens, ma non solo, di ambizioni per progetti irraggiungibili e costosissimi per la collettività, dunque irrealizzabili e fallimentari, di finte, ipocrite posizioni ecologiste, ché la vera ecologia è occuparsi della “casa dell’uomo” e del suo benessere reale, nonché della rincorsa ad un turismo impossibile perché Cosenza, la Calabria, non sono né la Sicilia, né la Puglia, tantomeno la Basilicata con Matera città d’arte.
Le città del dopo Covid
Ma la cosa che più preoccupa – escludendo una qualche intuizione dovuta ad una sensibilità femminile – è che nessuno, purtroppo, ha colto due questioni fondamentali: la prima è che le città del dopo Covid prevedono un crollo – già in atto – delle presenzenelle grandi aree urbane e nelle metropoli, con un ritorno di molti “transfughi” nei luoghi d’origine, al Sud in particolare, e dunque un ruolo determinante delle città medie, come Cosenza (con Rende) è a tutti gli effetti.
Ma questo ritorno non è senza impegno alcuno e non è automatico. Chi decide di rientrare sceglierà la qualità sotto molto punti di vista, così che la seconda questione è che sarebbe stato, per i candidati di Cosenza, mettere da parte i sogni, le ambizioni, i proclami, le inutili sparate elettorali e per esempio adottare nelle proprie proposte, anche solo una parte della griglia di parametri che usa, ogni anno, il Sole24ore quando stila la classifica della qualità delle città, in cui svettano (non a caso), Trento, Bolzano, Belluno e via di seguito verso il nord.
Come sfruttare il potenziale
Cosenza (e Rende, non si dimentichi) ha già un potenziale di qualità della vita molto alto, che però è vanificato da alcuni drammatici parametri che non intravedo in nessun progetto di futuro proposto in questa tornata, eppure semplici, elementari, quali, un Piano Urbanistico del Traffico e della Mobilità Ecologica (non un banale piano della viabilità i cui risultati sono evidenti), possibilmente redatto con intelligenza progettuale, per liberare la città dalle migliaia di ingressi automobilistici quotidiani.
Purtroppo, non basta fregiarsi di pochi circuiti ciclabili come alternative al caos delle auto in doppia, tripla fila. Le auto vanno tolte dalla città con coraggio e vigore amministrativo e scelte anche impopolari, ma fondamentali, e con trasporti pubblici puntuali, puliti, in sedi dedicate non invase dalle auto, mezzi nuovi, non inquinanti né traballanti, unica alternativa valida al disordine odierno.
Stop al degrado
Occorre anche la creativa fattibilità di un piano virtuoso per lo stoccaggio e rapida trasformazione delle tonnellate di rifiuti in eccesso, con un consorzio di comuni e cooperative di giovani, che le lacunose attività regionali non riescono e riusciranno a sostenere. La “monnezza” è oro, altrove, qui diventa nausea e degrado, l’ambiente e i servizi ad esso collegati sono la priorità dei governi nazionali e non possono essere disattesi in sede locale, dove si gioca la partita quotidiana. Ancora un importante impegno progettuale per la cultura e il tempo libero: un cittadino colto e rilassato è un cittadino felice e attivo.
Tutto ciò è però vano senza una pubblica amministrazione efficace, incisiva, attiva, al servizio dei cittadini, e nel rigenerare tutte le aree e gli spazi urbani ad alto degrado – dalla parte storica fino alla periferia – per sottrarli alla delinquenza che ormai è padrona incontrastata e che prospera nel brutto, nel marginale, nell’indecoroso!
Europei nei fatti, non negli slogan
Non ho letto nemmeno l’ambizione sana, necessaria a diventare una città europea, nei fatti, non con slogan, soprattutto con la quantità di denari che il PNRR controllerà passo dopo passo e che si giocherà su pochi, determinanti parametri, basati sui programmi della UE. Così, non si scorge un cenno al New Green Deal, al New European Bauhaus, al Green Wawe, ovvero ad un concreto impegno pubblico e collettivo per la riduzione dell’inquinamento dell’80% entro il 2050, all’essere cittadini europei di serie A, non destinati dunque alla perenne periferia dell’Impero!
Infine, mi manca l’elemento essenziale in tutto questo: sarà vano ogni sforzo senza educare i cittadini alle scelte di cambiamento della città, ad una cultura urbana condivisa per ogni necessario passaggio, a nuove forme di necessaria civiltà. Tanto è vero che persino la qualità della grafica e della comunicazione dei candidati sindaco, appare purtroppo scontata, uguale, stucchevole, vecchia e per cittadini vecchi d’altri tempi. Figuriamoci nel tentare di avvicinare alla politica i tanti, nauseati giovani!
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