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  • Troppe inchieste su di loro, i sindaci non ci stanno più

    Troppe inchieste su di loro, i sindaci non ci stanno più

    I principali reati contestati ai sindaci sono abuso d’ufficio, peculato, voto di scambio, corruzione, falso in atto pubblico. Finire un mandato senza un processo a proprio carico sembra ormai un caso più unico che raro: a ritrovarsi indagati per l’allagamento di un sottopasso, una mancata manutenzione stradale o per un bimbo che si fa male a scuola è un attimo.

    L’Anci ha lanciato una petizione a tutela dei primi cittadini che chiede al Parlamento di rivedere il Testo unico degli enti locali.
    Più della metà dei sindaci calabresi ha aderito all’iniziativa nazionale (212 su 404).

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    «Non chiediamo immunità o impunità – è scritto nell’appello – ma domandiamo: possono i sindaci rispondere personalmente e penalmente di valutazioni non ascrivibili alle loro competenze? Possono essere condannati per aver fatto il loro lavoro?».
    Alla petizione Anci hanno aderito tutti i sindaci dei capoluoghi di provincia. E ad eccezione di Maria Limardo (Vibo Valentia) e Francesco Voce (Crotone), eletti di recente, tutti gli altri portano sulle spalle procedimenti giudiziari importanti.

    Reggio Calabria: Falcomatà

    Un anno e dieci mesi di reclusione: è la condanna chiesta dai pm della Procura di Reggio Calabria nei confronti del sindaco Giuseppe Falcomatà. Il reggino è imputato per abuso d’ufficio e falso nel processo su presunte irregolarità nelle procedure di affidamento del Grand Hotel Miramare. Al centro del processo, l’affidamento di uno dei palazzi storici della città all’imprenditore Paolo Zagarella. Il Comune aveva assegnato la gestione a Zagarella dopo che quest’ultimo, durante la campagna elettorale del 2014, aveva concesso i suoi locali per la segreteria di Falcomatà. Secondo l’accusa, sindaco e assessori avrebbero violato «i doveri di imparzialità, trasparenza e buona amministrazione».

    Falcomatà
    Il sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà

    Per i pm, i membri della Giunta hanno adottato una delibera con la quale «statuivano l’ammissibilità della proposta proveniente dall’associazione Il Sottoscala» mentre avrebbero dovuto predisporre un bando pubblico. Gli imputati hanno spiegato che la delibera era un atto di indirizzo. Ma per la Procura «non c’era nessun atto di indirizzo, ma un atto di immediata concessione: il gioiello di famiglia si era trasformato in un affare di famiglia. Non è stata mala-gestio, ma una gestio finalizzata a raggiungere un determinato obiettivo e il sindaco è stato il regista». La sentenza è prevista per il 19 novembre.

    Catanzaro: Abramo

    Doppia inchiesta per il sindaco di Catanzaro. Sergio Abramo è imputato per abuso d’ufficio nel processo Multopoli relativo ai presunti illeciti legati all’annullamento di contravvenzioni per le violazioni del Codice della strada che coinvolge anche Mimmo Tallini. Per il primo cittadino nei giorni scorsi è arrivata la richiesta di assoluzione. Per l’ex presidente del Consiglio Regionale, invece, la richiesta di condanna è di un anno e sei mesi. La sentenza è prevista il 12 novembre.

    È di corruzione, invece, l’ipotesi di reato contestata al sindaco sulla gestione dei pontili mobili nel porto di Catanzaro Lido. Abramo, giunto al suo quarto mandato, è accusato di aver intascato un’indebita somma di denaro tramite il nipote allo scopo di favorire nella realizzazione delle opere l’imprenditore Raoul Mellea, titolare della Navylos.

    Cosenza: Occhiuto

    Un processo dietro l’altro per l’ormai ex primo cittadino di Cosenza, Mario Occhiuto. È stato rinviato a giudizio per l’inchiesta “Piazza sicura” che nell’aprile del 2020 portò al provvedimento di sequestro preventivo di Piazza Bilotti per gli atti che riguardavano la procedura di collaudo dei lavori di riqualificazione e rifunzionalizzazione ricreativo- culturale dell’opera, compresa la realizzazione del parcheggio interrato. Lavori per un investimento di oltre 15,7 milioni di euro, di cui quasi 12 di finanziamento pubblico e 3,7 a carico di privati. Le accuse agli imputati vanno dal falso ideologico alla turbata libertà della scelta del contraente e rivelazione del segreto di ufficio fino al falso materiale commesso dal pubblico ufficiale in atti pubblici e mancanza del certificato di collaudo.

    Occhiuto è stato prosciolto invece da ogni accusa nell’ambito dell’inchiesta “Passepartout” condotta dalla Procura di Catanzaro su presunte irregolarità in alcuni appalti nel territorio di Cosenza, tra cui quelli relativi alla realizzazione della metropolitana leggera e del nuovo ospedale.
    Risulta iscritto nel registro degli indagati e dovrà rispondere di truffa ai danni del Comune, falso e peculato per la vicenda legata ai rimborsi per missioni mai effettuate. Al centro, le spese sostenute tra il 2013 e il 2016 per una serie di missioni istituzionali (biglietti aerei, ristoranti…) rimborsate da Palazzo dei Bruzi che però non si sarebbero mai svolte. La Corte dei Conti, inoltre, lo ha condannato in primo grado ritenendolo colpevole di un danno erariale da circa 260mila euro relativo agli emolumenti del suo staff.

    Occhiuto
    Mario Occhiuto
    L’assessorato sospetto

    Sul capo di Mario Occhiuto infine pende un procedimento per associazione a delinquere transnazionale. L’ex primo inquilino di Palazzo dei Bruzi, è stato rinviato a giudizio dal Gup del Tribunale di Roma, nell’ambito dell’inchiesta condotta dal pm Alberto Galanti, sui rapporti tra il sindaco, l’ex ministro per l’ambiente Corrado Clini e la sua compagna Martina Hauser, componente della giunta di Palazzo dei Bruzi nella prima parte della consiliatura del 2011.
    Secondo l’accusa, Mario Occhiuto avrebbe ricevuto ingenti finanziamenti per realizzare progetti esteri cofinanziati dal ministero dell’Ambiente, in qualità di architetto e in cambio Occhiuto avrebbe nominato assessore della sua prima giunta proprio la compagna di Clini, Martina Hauser.

    L’altra sponda del Campagnano: Manna

    Non è riconducibile alla sua attività di amministratore locale il procedimento a carico di Marcello Manna, sindaco di Rende. L’accusa contestata dal pm all’avvocato Manna, già presidente della Camera penale di Cosenza, è corruzione in atti giudiziari. Il magistrato inquirente ha firmato e fatto notificare l’avviso di conclusione delle indagini preliminari contestando al giudice Petrini di aver ricevuto da Manna 5000 euro al fine di decretare l’assoluzione, in secondo grado di giudizio, del boss di Rende, Francesco Patitucci, dalla imputazione di concorso nell’omicidio di Luca Bruni, reggente dell’omonimo clan di Cosenza, assassinato nel gennaio del 2012 alla periferia di Rende.

    Manna ha sempre respinto ogni accusa. Agli atti d’inchiesta è allegato un filmato girato dalla Guardia di finanza nel quale si vede il penalista cosentino dare una cartella al giudice. Sul contenuto della cartella le dichiarazioni rese dagli indagati sono discordi e inconciliabili.

    I piccoli comuni

    Non importa se l’ente amministrato è grande o piccolo, i reati non fanno distinzione. Peculato, falso ideologico e abuso d’ufficio sono i reati contestati a Vincenzo Rocchetti, primo cittadino di Guardia Piemontese, in provincia di Cosenza. Rocchetti è coinvolto in un’inchiesta sulla gestione delle procedure di assegnazione di un’abitazione di edilizia popolare.
    Il tribunale del Riesame di Catanzaro ha confermato invece l’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria nei confronti del sindaco di San Nicola Arcella, Barbara Mele, facendo decadere le accuse di collusione e turbativa d’asta.

    Lieto fine

    Il mostro in prima pagina sempre e chissenefrega se poi non lo era. Capita infatti che dopo decenni i sindaci vengano assolti e con fatica tentano di ripulire la loro immagine. Assolta dall’accusa di concorso in associazione mafiosa l’ex sindaco di Corigliano, Pasqualina Straface, nell’ambito dell’inchiesta Santa Tecla che aveva portato allo scioglimento del consiglio comunale. Per Straface da poco si sono aperte le porte del Consiglio regionale.

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    Pasqualina Straface

    La Cassazione ha riabilitato anche il sindaco di Cassano, Gianni Papasso. La suprema Corte ha chiarito che non è stato lui il responsabile dello scioglimento del precedente consiglio comunale. Decisione che gli ha permesso di candidarsi alla guida della città – con successo – per la terza volta.

    Dopo sette anni è finito anche il calvario di Carolina Girasole. L’ex sindaca di Isola Capo Rizzuto è stata assolta dalla Corte di Cassazione, che ha confermato le sentenze del Tribunale di Crotone e della Corte d’Appello di Catanzaro. Si è conclusa così una vicenda giudiziaria scaturita dall’operazione Insula, coordinata della Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo calabrese.

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    Carolina Girasole

    Eletta nel 2008 a capo di una coalizione di centrosinistra, Girasole era stata arrestata e posta ai domiciliari nel dicembre del 2013, insieme al marito, Franco Pugliese, e ad altre 11 persone. L’accusa era: voto di scambio politico-mafioso, turbativa d’asta e abuso d’ufficio. Sulla donna, l’ombra dei legami con la cosca Arena, che – secondo i magistrati della Dda di Catanzaro – l’avrebbe aiutata a diventare sindaca per ottenere favori nella gestione dei beni confiscati, con l’intento di restarne in possesso.

    Fuori dal carcere

    Dopo sette mesi esatti dall’arresto del 19 dicembre 2019 nell’ambito dell’operazione Rinascita-Scott, Gianluca Callipo, ex sindaco di Pizzo è tornato in libertà. La sesta sezione della Corte di Cassazione ha infatti annullato l’ordinanza di custodia cautelare in carcere accogliendo il ricorso presentato dai suoi avvocati. ll primo cittadino, secondo l’accusa, avrebbe tenuto «condotte amministrative illecite».

    Così facendo avrebbe favorito la ‘ndrangheta garantendo benefici ad alcuni indagati nella gestione di attività imprenditoriali. Amaro lo sfogo di Callipo, ex presidente Anci Calabria: «Ho imparato che non basta essere onesti e rispettosi della legge per essere sempre considerati tali. Ho imparato che ogni azione, anche la più rigorosa e ligia al dovere, può essere travisata e diventare una “colpa” da dover spiegare».

    Chi spera ancora: Lucano

    Un nuvola nera sul modello Riace. Condannato in primo grado a 13 anni e due mesi di reclusione nel processo “Xenia” sui presunti illeciti nella gestione dei migranti, l’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano che dovrà anche restituire 500mila euro di finanziamenti ricevuti dall’Unione europea e dal Governo. La pena inflitta a Lucano è quasi il doppio di quella chiesta dalla pubblica accusa (7 anni e 11 mesi).

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    Mimmo Lucano

    Lucano era imputato di associazione per delinquere, abuso d’ufficio, truffa, concussione, peculato, turbativa d’asta, falsità ideologica e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. «Questa è una vicenda inaudita. Sarò macchiato per sempre per colpe che non ho commesso. Mi aspettavo un’assoluzione», ha detto Lucano a commento della sentenza. «Grazie, comunque, lo stesso – ha aggiunto – ai miei avvocati per il lavoro che hanno svolto. Io, tra l’altro, non avrei avuto modo di pagare altri legali, non avendo disponibilità economica». Tra i legali di Lucano, Giuliano Pisapia, ex sindaco di Milano.

    L’eterno dilemma

    «Ogni volta che un sindaco firma un atto rischia di commettere abuso d’ufficio. Se non firma, rischia l’omissione di atti d’ufficio», ha commentato di recente il presidente nazionale Anci, Antonio De Caro. Fare o non fare, questo è il problema per l’amministratore pubblico. Una riforma del ruolo dei sindaci che chiarisca definitivamente le responsabilità personali, professionali, giuridiche e anche economiche probabilmente è necessaria.

  • Catanzaro, le mille ombre e la “profezia” di Ilda la rossa

    Catanzaro, le mille ombre e la “profezia” di Ilda la rossa

    Catanzaro, la città del vento, è difficile da descrivere con la retorica del mondo di mezzo. Di sicuro a quello di sotto non si dedicano mai grossi sforzi interpretativi: l’area Sud, i ghetti di viale Isonzo e dell’Aranceto, i “fortini” rom tutti droga e cavalli di ritorno. In mezzo, al massimo, ci si potrebbe collocare l’oceano umano che ogni giorno entra ed esce dai palazzi della burocrazia, dagli ospedali, dalla Prefettura, dalla Provincia e ovviamente dalla Cittadella della Regione.

    È l’esercito degli uffici e del disbrigo pratiche, il terreno su cui prospera la coltivazione intensiva di amicizie e clientele. Ciò che sta sopra, invece, sfugge alle definizioni. L’area grigia, il sistema, i salotti. Tutto già detto, tutto poco efficace per chi conosce quella parte di città che un tempo esprimeva un’oligarchia di cui, oggi, è rimasto ben poco, se non il blasone di certi licei come il “Galluppi” e il “Siciliani”.

    La lettera profetica

    La città del velluto la racconta in poche righe una lettera che oggi suona come una profezia. L’ha ricevuta, da qualcuno che ha preferito non firmarsi, la magistrata più famosa d’Italia. Di Ilda Boccassini oggi fanno discutere i giudizi più o meno edificanti sugli ex colleghi e le rivelazioni più o meno opportune sul suo passato. Ma tra le pagine della sua biografia c’è pure un capitolo dedicato alla Calabria che si intreccia con i tormenti che hanno attraversato e attraversano la giustizia italiana.

    È verso la fine del libro La stanza numero 30 – Cronache di una vita che la Rossa parla di ‘ndrangheta e di borghesia mafiosa. Ricorda la telecamera nascosta che per prima ha rivelato i riti di iniziazione in Lombardia e definisce la “zona grigia” non come entità unitaria ma realtà complessa. È il mafioso a cambiare volto e parole a seconda che abbia davanti il politico, l’imprenditore, il commercialista, l’avvocato, il medico, il poliziotto. E infiltrazione è un termine «fuorviante», spesso è il borghese a cercare il mafioso, al Nord più che in Calabria.

    Nessuno spiraglio di legalità

    Poi c’è la giustizia, con la g minuscola, e i casi finiti male di magistrati come Vincenzo Giglio e Giancarlo Giusti. Il primo fu coinvolto e condannato in una sua inchiesta milanese sul clan Lampada, il secondo si è suicidato nel marzo del 2015 mentre scontava ai domiciliari la condanna per concorso esterno divenuta da poco definitiva. Boccassini si chiede che aria si respiri oggi in Calabria e ammette quanto la risposta sia «difficile», specie provando a darla «a mille chilometri di distanza». È a questo punto che pubblica la lettera anonima ricevuta a gennaio del 2012. Un catanzarese la ringrazia per lo squarcio aperto dalla sua inchiesta – all’epoca ne fu coinvolto un consigliere regionale, Franco Morelli – ma pensa che lei «non può fare tutto». Che nella sua città «i bagliori di luce non arrivano» perché è «priva di spiragli di legalità».

    I salotti

    Si tratta di poche righe che restituiscono in maniera disarmante l’amarezza e il senso di impotenza di un cittadino non certo sprovveduto. Uno che non abita il mondo di sotto, ma anzi mostra di avere dimestichezza con l’alta borghesia. «Questa è la storia di una città che rappresenta uno spazio vuoto», scrive. Una città in cui «l’illegalità è un’istituzione», in cui «non si capisce cosa sia la mafia, semplicemente perché la mafia è tutto». Parla, l’anonimo catanzarese, di intercettazioni che un colonnello dei carabinieri rivelerebbe a un noto avvocato e che vengono usate «per ricatti o per affari».

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    Il viadotto Bisantis illuminato nell’oscurità a Catanzaro

    Non solo: menziona anche un notaio che «traffica opere d’arte false e poi a lui stesso viene chiesto di autenticarle», nel cui studio «gravitano i “cutresi”». Immancabile anche il politico che «si accompagna con galeotti» che «fanno la campagna elettorale», anzi «la impongono». I salotti di questi personaggi sono «riempiti dalla città “bene”, imprenditori e giudici compresi». E quanti non sono invitati, osserva, «aspirerebbero a esserlo».

    Ombre a tutti i livelli

    Da questo j’accuse premonitore sono trascorsi dieci anni e nel frattempo qualcosa è cambiato. Diverse cose si sono rivelate per come venivano descritte e qualche spiraglio si è aperto anche in santuari degli affari prima ritenuti impenetrabili. Nicola Gratteri può piacere o meno – Boccassini cita anche il caso di Vincenzo Luberto, suo ex procuratore aggiunto accusato di aver asservito la propria funzione a un ex parlamentare – ma dalle inchieste della sua Procura, al di là dei risvolti che ne determinano la solidità nelle aule giudiziarie, emerge uno spaccato inquietante di entrambi i mondi. In qualche modo, insomma, si sono accesi i riflettori anche sulle fenditure più ombrose degli ambienti altolocati e delle periferie degradate.

    Ghetti, Chiesa e cultura

    Una donna ha raccontato, dal di dentro, che all’Aranceto lo spaccio è h24, che si fanno anche i turni di notte e che i clienti sanno che al terzo piano si vende la cocaina mentre per il kobret bisogna citofonare al quarto. Ecco: questa è la stessa città di chi i ghetti li ha creati con una mano mentre con l’altra curava gli interessi di certe dinastie imprenditoriali.

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    Un’immagine dell’operazione Drug Family che ha condotto a 31 arresti nel quartiere Aranceto di Catanzaro

    È la stessa città in cui l’Arcidiocesi è finita al centro di un caso senza precedenti e la Chiesa non si mostra certo lontana da tentazioni e proiezioni affaristiche. Ed è la stessa città del teatro Politeama e del Comunale, delle mille rassegne culturali e del policlinico universitario. La città da cui tanti giovani e brillanti “cervelli” sono quasi costretti a scappare e in cui, però, ci sono eccezioni come la carriera lampo di Fulvio Gigliotti, lo «sconosciuto professore – il copyright è di Luca Palamara – uscito per magia» dal voto online del M5S grazie al quale è arrivato a sedere nel Csm.

    Giudici e clan

    È la città dei Gaglianesi e degli zingari, clan considerati minori, se non vere e proprie propaggini delle ‘ndrine di Cutro e Isola Capo Rizzuto, ma che votano e fanno votare. È la città in cui sono esplosi i casi dei giudici Marco Petrini e Giuseppe Valea, ben visti e stimati prima che uno fosse condannato in primo grado per il giro di «soldi, vino, champagne, prestiti, favori e corruzione, regali, gamberoni, casse di vino, assegni in bianco e ancora denaro» negli uffici della Corte d’Appello in cui era presidente di sezione.

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    Il giudice Marco Petrini

    O che l’altro subisse l’interdizione per un anno perché accusato di aver avuto «un approccio infedele alla funzione pubblica esercitata» tanto da autoassegnarsi alcuni fascicoli, da presidente del Tribunale del Riesame, e decretare l’esito di ricorsi e scarcerazioni senza neanche consultare – ha segnalato la Procura guidata da Gratteri e hanno confermato alcuni suoi stessi colleghi – gli altri membri del collegio.

    La città che cambia

    È la città dei tre colli e delle tre V (la terza, dopo vento e velluto, è appannaggio di San Vitaliano), la cui ormai mitologica funicolare veniva percorsa a piedi nel 1913 da Filippo Tommaso Marinetti. Cento anni dopo Catanzaro non sembra più tanto futurista. E non è più nemmeno quella mirabilmente raccontata nel 1967 da Gianni Amelio nel corto tv “Undici immigrati”, non a caso criticatissimo dall’élite che fu, ma ritrova oggi rari momenti comunitari forse solo nell’ironia di spettacoli come quelli di Ivan ed Enzo Colacino.

    È la città in cui il mondo di sopra è ormai riempito, più che dalle massosuggestioni di «nobili istituzioni» e «architettonici lavori», dall’ossessione dei soldi. Ed è il luogo in cui sorge la Cittadella, che potrebbe rappresentare il simbolo della Regione del futuro oppure diventare l’ennesima cattedrale del (e nel) nulla, un enorme non-luogo che assurge a simbolo di quello «spazio vuoto» e grigio che è il cuore stesso della Calabria.

  • Cosenza, tra Franz e Bianca un accordo in salita

    Cosenza, tra Franz e Bianca un accordo in salita

    Quale coalizione ha vinto le Amministrative di Cosenza? Di risposte da quella che dovrebbe essere la futura maggioranza ne arrivano due.
    La prima – rafforzata dai numeri: 20 posti in Consiglio che bastano e avanzano per governare in autonomia – è quella che arriva dal trittico lista del sindaco, Pd e Psi: i vincitori sono quelli che hanno portato il centrosinistra al ballottaggio contro “l’altro Caruso”. Poi ci sono gli alleati della seconda ora, che avranno sì i loro riconoscimenti per il supporto dato nella sfida finale, com’è giusto che sia. Però, senza esagerare. Se c’è da sacrificarsi tocca agli ultimi arrivati farlo.

    Il neo sindaco di Cosenza, Franz Caruso (foto Alfonso Bombini)

    La seconda risposta, invece, è quella dell’altra metà del centrosinistra, anche nazionale visto che di mezzo c’è quel M5S che coi democrat ormai flirta apertamente dopo gli anni del “Parlateci di Bibbiano”. A Cosenza, secondo Bianca Rende e i pentastellati, la coalizione vincitrice è quella che si è formata tra il 5 e il 15 ottobre, non quella “franzescana” doc col suo 29% del primo turno, insufficiente perfino a superare l’ex vicesindaco. La rimonta, in questa interpretazione, è arrivata grazie al supporto di chi prima era sfidante. Altrimenti sarebbe rimasta un sogno. E se a De Cicco toccano due posti che contano, il medesimo trattamento va riservato anche all’aspirante sindaca . Anche perché ha preso circa l’1% in meno della coalizione dell’ex assessore al primo turno e, al contrario di quest’ultimo, i “suoi” voti arrivano da un progetto civico ma dichiaratamente di centrosinistra. In linea, cioè, con il voto dei cosentini.

    Il nodo della presidenza

    E così a Cosenza, passata la sbornia per la vittoria, la nuova maggioranza nell’attesa di insediarsi ha iniziato già a scricchiolare. La diversità di vedute sulla distribuzione degli incarichi istituzionali è un problema di non facile soluzione. In casa Rende le idee sono chiare: spettano un assessorato e la presidenza del consiglio comunale. Quella che ritengono Caruso abbia già promesso loro quando, all’indomani dell’accordo per il ballottaggio con la ex rivale, delineò per la nuova alleata «un ruolo istituzionale di vigilanza a garanzia del raggiungimento degli obiettivi condivisi». L’identikit, da manuale, del presidente del consiglio.

    Il fatto è che oltre al manuale esiste la realtà. E in quest’ultima il presidente del consiglio comunale è molto altro. Da capo dell’assemblea è anche colui che ne stabilisce l’agenda, convocando le sedute e organizzando l’ordine del giorno. Stabilisce, in estrema sintesi, di cosa si parlerà in aula e quando si farà. O, se il momento politico non è dei migliori, quando non si farà.
    In più, il presidente guadagna un bel po’ di quattrini, che non guastano mai e al contrario dell’assessore non ci se ne libera ritirandogli la delega dall’oggi al domani. Tocca all’aula – con tutti gli accordi trasversali che possono sorgere in una crisi – trovarne uno nuovo. E il vecchio nell’aula ritorna come consigliere, una garanzia che chi approda in Giunta dal Consiglio non ha.

    Botte piena e moglie ubriaca

    La presidenza per sé e un assessorato ai Cinque Stelle sarebbe la classica soluzione da botte piena e moglie ubriaca per Bianca Rende. Ma quale sindaco affiderebbe a cuor leggero un incarico così delicato a una persona che soltanto poche settimane prima era sua avversaria alle elezioni? E poi, dettaglio non trascurabile, Caruso può rivendicare piena autonomia nel selezionare i suoi assessori, ma il Consiglio è un’altra cosa. Lì sono i partiti a votare. E per quanto il primo cittadino possa far pesare il suo ruolo nella discussione l’ultima parola sul tema non spetta a lui, chiamato a gestire col bilancino gli equilibri politici interni.

    Bianca Rende (foto Alfonso Bombini)

    Anche per questo il successore di Occhiuto continua a ribadire di non aver affatto promesso la presidenza, non di sua stretta competenza, a Rende. Un assessorato le avrebbe detto e un assessorato avrà, per sé o per la persona che vorrà indicare. E se declinerà l’offerta quel posto andrà a M5S. Le altre caselle sono già occupate a prescindere dalle deleghe, ancora tutte da stabilire.

    Il bottino degli alleati

    Stando così le cose, De Cicco avrà due assessori – lui stesso e Sconosciuto – perché a (quasi) parità di voti con Rende i suoi vengono giudicati più “pesanti” nella vittoria: arrivano da potenziali elettori di centrodestra. Un assessore andrà al Psi e altri due alla lista del sindaco, che da socialista storico in sostanza ne avrebbe tre. Pazienza se i nomi dei papabili sono quelli dei consiglieri De Marco e Battaglia, che fino a pochi giorni fa sedevano nella maggioranza di Occhiuto, e quello di Pina Incarnato, figlia di quel Luigi additato, al pari della premiata ditta Adamo&Bruno Bossio e di Carlo Guccione, come uno dei manovratori oscuri dietro il neo sindaco. Infine il Pd, primo partito della coalizione, che farà da asso pigliatutto accaparrandosi tre assessorati e presidenza della sala Catera. I nomi in questo caso sono quelli dei più votati: Covelli, Funaro e Alimena in Giunta e Mazzuca sulla poltrona che era di Pierluigi Caputo.

    Giuseppe Mazzuca e Luigi Incarnato (foto Alfonso Bombini)
    Competenze o consenso?

    Anche qui, riguardo alle note diffuse in campagna elettorale, qualche dubbio è sorto. Se Caruso e Rende dicevano di aver trovato l’intesa in vista del ballottaggio sulla necessità di un esecutivo di alto profilo (tecnico, prima ancora che politico) come mai – senza nulla togliere agli eletti appena citati – il criterio di selezione degli assessori è diventato il numero di voti racimolati? Che fine hanno fatto le competenze, conditio sine qua non degli accordi precedenti? L’impressione è che i vituperati big del Pd locale vogliano i loro uomini in prima fila. Classico spoils system, ma in tempi di antipolitica non è il massimo dal punto di vista dell’immagine agli occhi del cosentino medio, che a certi volti e nomi si dichiara sempre più spesso allergico (salvo votarli ugualmente con altrettanta frequenza).

    Il ruolo dei Cinque Stelle tra Roma e Cosenza

    La discussione tra i vincitori in questo momento resta un dialogo tra sordi. Si è andati avanti con incontri bilaterali, ma un tavolo unitario della (presunta?) nuova maggioranza ancora non c’è mai stato. Sullo sfondo restano le intese romane tra Pd e M5S. Questi ultimi si sono già accordati in autonomia con Caruso per un assessorato, ma probabilmente pensavano che il loro posto in Giunta facesse parte dei due destinati a Rende. Questa a sua volta, ha ancora il pallino in mano, sperando non diventi una patata bollente. C’è un posto soltanto per la sua coalizione? È lei che deve decidere se prenderlo personalmente o darlo a qualcuno che indicherà.

    Ognuna delle due soluzioni rischia di lasciare a bocca asciutta i pentastellati, circostanza che Rende vorrebbe evitare senza però sconfinare nell’autolesionismo. Tant’è che pare che nelle prossime ore debba arrivare proprio un nuovo incontro tra Caruso e i Cinque Stelle per venire a capo della questione. La parola data è importante, ma un sostegno più forte in Parlamento con due forze di governo in maggioranza non è ipotesi da accantonare a cuor leggero. Per uscire dall’impasse la strada parrebbe quella di dare due assessorati all’aspirante sindaca e M5S. Ma a quel punto a sacrificarsi dovrebbero essere i “famelici” democrat o i socialisti. Che avranno anche preso pochi voti rispetto agli altri contendenti, ma restano il partito a cui il neo sindaco ha giurato eterno amore.

    Si parte a metà mese

    Con un bilancio da approvare quasi a scatola chiusa pochi giorni dopo l’insediamento – si ipotizza che proclamazione e prima seduta arrivino a ridosso del 15 novembre – e le casse vuote serve unità d’intenti. Ognuno dovrà assumersi le proprie responsabilità. E a qualcuno toccherà fare un passo indietro per evitare che lo scricchiolio di oggi si trasformi in crepa vera e propria domani. Certo non è il migliore dei segnali litigare prima ancora di aver cominciato. Per quello, in fondo, ci sono cinque anni davanti.

  • Mario Occhiuto da Alarico alle Ztl: dieci anni in ventuno lettere

    Mario Occhiuto da Alarico alle Ztl: dieci anni in ventuno lettere

    Con l’insediamento di Franz Caruso dopo la vittoria al ballottaggio, Cosenza dopo poco più di dieci anni quasi ininterrotti cambia sindaco: nessuno prima di Mario Occhiuto aveva governato tanto a lungo la città. Di cose in tutto questo tempo ne sono successe parecchie, abbiamo provato a sintetizzarle sfruttando l’alfabeto per ripercorrere il decennio appena concluso.

    Alarico

    Un chiodo fisso: fare della figura del barbaro una calamita di turisti. Il risultato? Una serie di figure che con Alarico hanno poco a che fare. Del museo dedicato al saccheggiatore di Roma per adesso esistono solo macerie finite sotto inchiesta e l’impiego di mille maestranze locali per il film che ne doveva rinverdire le gesta è rimasto nelle intenzioni del regista. Neanche i droni israeliani proposti da Luttwak hanno svolazzato sulla confluenza del Crati e del Busento alla ricerca del tesoro. Quello che, ironizzava il CorSera a marzo del 2018, il sindaco sognava forse di utilizzare per rimpolpare le casse di quel comune che saldava i suoi debiti personali.

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    Un particolare della statua di Alarico a Cosenza commissionata da Mario Occhiuto
    Bilotti

    Tutto cominciò con una perizia scopiazzata e una gara d’appalto annullata. Se il buongiorno si vede dal mattino, il restyling di piazza Bilotti fece capire subito che i problemi non sarebbero mancati. Lavori più lunghi del previsto (ma spacciati per fulminei all’inaugurazione) con i negozi circostanti alla canna del gas, l’ombra della ‘ndrangheta, manovre politiche sottobanco: l’opera simbolo del decennio targato Occhiuto non si è fatta mancare nulla, compresi un senso di marcia all’inglese per le auto e i sigilli della magistratura. Sotto sequestro è ancora lo spazio che ospitava il museo sottostante. Saranno i giudici a stabilire se qualcuno abbia commesso reati nella fase di collaudo.

    Calatrava

    Bello, bellissimo. Ma utile? Se lo sono chiesti in tanti osservando il ponte disegnato dall’architetto valenciano, altra opera – come la piazza appena citata – pensata in epoca Mancini e portata a termine da Occhiuto. Sarà perché sorge tra altri due ponti, saranno le dimensioni mastodontiche in contrasto col panorama circostante, sarà perché – come dicono a Cosenza – per adesso collega il nulla al niente. O, più probabilmente, sarà perché è costato quasi 20 milioni di euro e una buona fetta di quei soldi era destinata in origine all’edilizia popolare.

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    La desolazione sulla sponda del ponte di Calatrava più vicina al centro città
    Debiti

    Pubblici o privati, non si può non parlare di conti in rosso nel raccontare i dieci anni di Occhiuto in Comune. Già nella campagna elettorale del 2011 Enzo Paolini, suo sfidante al ballottaggio, contestava al suo avversario inadempienze con numerosi creditori. Gli elettori se ne infischiarono e gli preferirono l’architetto. Che, arrivato a Palazzo dei Bruzi, trovò un ente sull’orlo del default e avviò un piano di risanamento. Buono solo sulla carta però. I debiti sono cresciuti e la promessa di rimettere in ordine i conti già nel 2018 con quattro anni di anticipo – primo punto del programma elettorale di Occhiuto nel 2016 – si è concretizzata nella dichiarazione di dissesto del 2019. La prima della storia della città.

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    Il primo capitolo del programma elettorale di Mario Occhiuto alle Amministrative 2016
    Elezioni

    A spezzare l’incantesimo tra il sindaco e i cittadini che lo avevano riconfermato a furor di popolo sono state probabilmente le ambizioni del primo. Occhiuto – che pure nel 2012 sulle pagine dei quotidiani locali si definiva un tecnico prestato alla politica pronto a lasciarla al termine del suo primo mandato – forse ci aveva preso gusto a comandare. Tanto da puntare spedito verso una poltrona molto più pesante: quella di presidente della Regione. A molti è sembrato che l’attenzione verso Cosenza sia svanita insieme alle promesse preelettorali sul recupero delle periferie, soppiantate in agenda dalla corsa alla Cittadella. Ad interromperla bruscamente, lo sgambetto degli alleati che gli preferirono Jole Santelli come candidata del centrodestra.

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    Uno degli incontri pubblici per promuovere la sua candidatura alla presidenza della Regione
    Facebook

    Se la socialdemocrazia resta un miraggio, Cosenza ha già sperimentato a pieno la social-democrazia, quella che passa dalle bacheche di Facebook. Dalla sua, Occhiuto ha mostrato progetti per la città, battibeccato con gli avversari (politici e non), aizzato i suoi sostenitori contro quelli che lui stesso ha ribattezzato “odiatori”. Memorabile la pagina istituzionale Decoro Urbano: doveva servire a raccogliere segnalazioni sui disservizi in città, a volte chi la gestiva la trasformava in una succursale della segreteria politica del sindaco beatificandone le gesta. Ancora di più i fotomontaggi circolati sul web, dai più critici a quelli al limite dell’idolatria.

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    Una delle creazioni di un sostenitore di Occhiuto circolata in rete qualche anno fa
    Gentile

    Amore e odio. Più odio che amore, però, quello tra gli Occhiuto e i Gentile, due delle famiglie col maggior peso elettorale in riva al Crati. Mario batte Paolini nel 2011 e come sua vice nomina Katya, che ha fatto incetta di voti. L’idillio dura poco, il tempo che scoppi un pasticcio intorno all’ex bocciodromo di via degli Stadi. Ridotto a pezzi, il Comune prima lo assegna all’ex marito della Gentile per realizzarci un centro di guida sicura. Poi, a stabile rimesso a nuovo, fa marcia indietro. Ne nasce un caso giudiziario – che vedrà sconfitto il municipio – e, soprattutto, politico. Katya chiama “Schettino” Mario, lui la defenestra. Seguono anni di frecciate al veleno, interrotti dalla candidatura alle regionali della Gentile a sostegno di Occhiuto. Roberto però.

    Hellas

    Le ultime parole famose: «Quest’anno avremo il terreno migliore della serie B». La realtà: migliaia di persone arrivate allo stadio per la prima di campionato tra i cadetti dopo anni in C restano fuori dai cancelli. Cosenza zero, Hellas Verona tre: partita persa a tavolino per impraticabilità del terreno di gioco. È la prima e unica sconfitta dei Lupi per ragioni simili dal 1914 ad oggi. Nessuno fa mea culpa, tra silenzi intervallati da urla al complotto. Finché il sindaco trova un sorprendente colpevole: le nottue, voraci insetti erbivori che si sarebbero accaniti sul San Vito nel prepartita per impedire il debutto casalingo dei rossoblù e far sfigurare l’amministrazione comunale.

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    Il terreno del San Vito a poche ore dal match, mai disputato, contro l’Hellas Verona
    Idrico

    Avere l’acqua a casa per molti cosentini resta ancora un problema quotidiano. Va dato atto, però, all’amministrazione di aver migliorato e non poco la situazione trovata al suo insediamento. La rete idrica cosentina all’inizio dello scorso decennio disperdeva oltre due terzi del suo prezioso contenuto lungo il tragitto verso i rubinetti. Stando a rivelazioni più recenti la percentuale si sarebbe invertita e l’acqua persa per strada ora ammonterebbe a circa un terzo del totale. Non abbastanza per cantare vittoria, anche se il Comune lo ha fatto lo stesso: nel 2015 dichiarò che Cosenza era terza in Italia per acqua immessa in rete. E a riprova allegò una classifica. In cui risultava sessantesima.

    Luci

    Forse non illuminato, ma di certo Mario Occhiuto è stato un “sovrano illuminante” con luci artistiche e non piazzate in giro per la città. Dai mitici cerchi alle menorah ebraiche, passando per l’immancabile Alarico le luminarie sono talmente associate al sindaco uscente che tra i nomignoli affibiatigli negli anni ci sono Lampadina e Osram. Dettaglio non trascurabile: per anni quasi tutte le ha installate la stessa ditta. Si chiama Medlabor: prima del 2011 fatturava pochi spiccioli, da quell’anno ha fatto affari con Palazzo dei Bruzi per centinaia di migliaia di euro. E sull’accaduto ora è la Procura a voler fare… luce.

    I cerchi luminosi, una delle costanti dei 10 anni di Occhiuto
    Metro

    L’ha sempre sostenuta ma in molti hanno pensato il contrario. Che ad alimentare l’equivoco, chissà, sia stata la sua presenza e quella dei suoi fedelissimi ai banchetti in cui si raccoglievano firme per un referendum per abolirla? Sulla apparente contrarietà alla metropolitana leggera Mario Occhiuto ha costruito gran parte del successo elettorale del 2016. Tanti voti trasformatisi in altrettanti (o quasi) delusi quando il progetto è partito lo stesso, seppur con le modifiche volute dal sindaco: viale Mancini sventrato, lavori bloccati per mesi e una ferita nel centro città che bisognerà decidere come ricucire.

    Nazi

    La pubblicità funziona purché se ne parli. Un concetto ormai desueto ma ancora in voga a Cosenza, nonostante una pubblicitaria esperta come l’attuale sindaco di San Giovanni in Fiore, Rosaria Succurro, tra gli assessori. Cosenza per attrarre visitatori presenta all’edizione 2015 della Bit di Milano una brochure promozionale sulla città. E sceglie tra i testimonial uno dei meno indicati: il gerarca nazista Himmler, giunto in riva al Crati e al Busento alla ricerca del tesoro del solito Alarico.

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    La brochure destinata ai turisti con la contestatissima foto di Himmler
    Ospedale

    Il tira e molla con la Regione su dove costruire quello nuovo ha portato a uno stallo che rischia di proseguire anche nei prossimi anni. Cosenza nel frattempo resta con un ospedale, l’Annunziata, vecchio, decrepito, inadeguato e privo delle necessarie forze in pianta organica. Alla carenza di medici Occhiuto ha provato a mettere mano con due ordinanze in cui imponeva assunzioni all’Azienda Ospedaliera. In entrambi i casi il prefetto ha bollato gli atti come palesemente illegittimi, rendendoli nulli.

    Provincia

    Se in Regione non è riuscito ad arrivare, Mario Occhiuto può vantare comunque nel suo cursus honorum la presidenza della Provincia. Siamo nel 2014 e, a seguito della riforma Del Rio, a votare il successore di Oliverio non sono più i semplici cittadini, ma sindaci e consiglieri comunali del Cosentino. Seguono un paio d’anni scarsi in cui il Palazzo della Provincia diventa sede unificata del Comune, una circostanza che fa ben sperare per il futuro della Biblioteca Civica, finanziata a metà dai due enti. Speranza vana: Occhiuto a inizio 2016 decade da sindaco e, dopo una battaglia legale di Graziano Di Natale, deve lasciare anche piazza XV marzo.

    Quote rosa

    La prima sindacatura per Occhiuto, da un punto di vista politico, è stata senza dubbio la più travagliata. E non solo per la sfiducia che decretò l’arrivo di un commissario a pochi mesi dalle Amministrative. In quei poco meno di cinque anni il sindaco ha modificato in più occasioni la composizione della sua Giunta. Tant’è che di rimpasto in rimpasto è saltato il rispetto della parità di genere nell’esecutivo, con conseguente condanna per Palazzo dei Bruzi. L’architetto addebitò il passo falso ai partiti della coalizione, rei di non avergli suggerito nuovi ingressi al femminile tra gli assessori.

    Rifiuti

    Prima delle Amministrative 2011 Eugenio Guarascio si sta già occupando dei rifiuti cosentini. Ma è con l’ingresso di Occhiuto in Comune che la città e l’imprenditore lametino si legano indissolubilmente. Guarascio si aggiudica in sequenza due appalti milionari e, nello stesso periodo, diventa presidente del Cosenza. Il servizio di raccolta procede tra alti e bassi, un po’ come la squadra rossoblu sul campo da gioco e i rapporti tra sindaco e presidente. Mentre l’operazione nuovo stadio, che vedeva entrambi coinvolti in prima persona, rimane ferma al palo fino al prossimo annuncio.

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    Eugenio Guarascio e Mario Occhiuto a Palazzo dei Bruzi
    Sfiducia

    A quattro mesi dal termine del mandato diciassette consiglieri comunali firmano davanti a un notaio la sfiducia nei confronti di Mario Occhiuto. Il sindaco decade, ma la congiura di palazzo si rivela un boomerang per chi l’ha ordita. Le successive elezioni si trasformano in una cavalcata trionfale per l’uscente, che straccia i rivali fin dal primo turno grazie anche al voto disgiunto che lo premia oltre ogni rosea aspettativa. Il consenso bulgaro raccolto sembra farne il candidato ideale per il dopo Oliverio alla Cittadella. Saranno i suoi stessi alleati a infrangere il suo sogno di raggiungere Germaneto.

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    Occhiuto simil Che Guevara in una maglietta realizzata dopo la sfiducia del febbraio 2016
    Traffico

    Al cosentino puoi togliere tutto, ma non l’abitudine di prendere la macchina anche solo per percorrere pochi metri. Puntare su pedonalizzazioni e piste ciclabili, insomma, non è esattamente la scelta più popolare in città. Se poi ci aggiungi chiusure che fanno da tappo alle arterie viarie principali, cambi di sensi di marcia e cantieri infiniti la frittata è fatta. E non è parlando di mobilità dolce o paragonandosi alla Svizzera che si placa il malanimo. Il nomignolo Mario “Occhiuso” la dice lunga sull’apprezzamento medio dei cosentini per certe scelte sulla viabilità. Ma, piaccia o meno, svuotare le strade dalle auto resta importante.

    Urgenza

    I lavori assegnati dal municipio con affidamenti diretti per somma urgenza sono stati a lungo sotto i riflettori, dell’opposizione quanto della magistratura. Tante le determine in cui si sfiora senza superare per pochi centesimi la soglia dei 40mila euro che obbligherebbe a una gara pubblica. Persino più numerose delle altrettanto discusse consulenze distribuite negli anni a professionisti transitati in passato dallo studio di architettura del sindaco. C’è chi le derubrica a tradizionale spoils system e chi non è altrettanto generoso nel giudizio a riguardo.

    Vice

    Non gli mancheranno i talenti in altri campi, ma quando si tratta di scegliere il proprio vice meglio non chiedere consiglio a Mario Occhiuto. In dieci anni di decisioni in tal senso non ne ha azzeccato molte, se per insipienza o fiducia mal riposta non è dato sapere. Con Katya Gentile è finita a pesci in faccia, Luciano Vigna lo ha scaricato trasferendosi armi e bagagli alla Regione. Con chi? Ma con un’altra vice Occhiuto, naturalmente, ossia quella Jole Santelli che ha soffiato la candidatura alle regionali proprio al suo “datore di lavoro” cosentino. Al posto di lei è arrivato Francesco Caruso, bocciato alle ultime elezioni dai cosentini proprio per essersi proposto in continuità col suo predecessore.

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    Mario Occhiuto con la sua allora vice sindaca, Jole Santelli
    Ztl

    La grande novità introdotta in centro e nella parte antica della città non pare aver prodotto ottimi risultati. Se ne è lamentata perfino la Curia, non proprio un comitato di rivoluzionari, quando arrivare all’Arcivescovile si è fatto problematico. Per non parlare dei commercianti delle traverse di corso Mazzini, che sostengono di aver visto crollare gli incassi a seguito delle limitazioni al traffico.
    Degno contorno dell’intera questione, centinaia e centinaia di multe arrivate ai cosentini e poi annullate per l’utilizzo fuorviante delle formule “Varco attivo” e Varco non attivo” sui tabelloni elettronici all’ingresso delle Ztl.

  • Cavalli morti, roghi e… post: quando il sindaco è nel mirino

    Cavalli morti, roghi e… post: quando il sindaco è nel mirino

    Casse vuote, dipendenti ridotti al lumicino, pochi finanziamenti e margini di manovra minimi: tra onori (pochi) e oneri (molti), fare il sindaco è diventato uno sporco lavoro che qualcuno deve pur fare. Se ne staranno accorgendo i nuovi 82 primi cittadini eletti nell’ultima tornata del 3 e 4 ottobre. Amministratori di piccoli centri, sotto i 5mila abitanti o poco più, fatta accezione per Siderno e Cosenza.

    Grandi o piccoli i comuni le rogne sono le stesse per tutti. Sia per il sindaco di Brognaturo, con le sue 670 anime da gestire, che per quello di Cosenza che ne ha 100 volte tante a cui rendere conto. Tutti possono prendere decisioni impopolari. E, specie a queste latitudini, le reazioni a quelle scelte non sono le più rassicuranti.

    Amministratori nel mirino

    Nel primo semestre del 2021, in Calabria sono stati denunciati 30 atti intimidatori nei confronti di amministratori locali. Uno in più rispetto al primo semestre del 2020 e già circa il 50% in più rispetto al 2019. Numeri importanti che, però, non sono sufficienti a insidiare il primato del 2016. All’epoca furono ben 113 amministratori a subire intimidazioni.

    I dati, regione per regione, sulle intimidazioni agli amministratori pubblici italiani negli ultimi anni

    La spiegazione del Viminale a questa costante crescita di intimidazioni alla Pubblica amministrazione, sta nell’indebolimento delle condizioni economiche di vita, soprattutto delle fasce più deboli della popolazione, causato dalla pandemia e dall’esasperazione popolare che questa avrebbe generato. E che si sarebbe riversata sulle istituzioni più prossime ai cittadini.
    Secondo dati aggiornati al 2021 a subire intimidazioni sono stati 11 sindaci, 10 consiglieri comunali, 3 assessori, un commissario straordinario e quattro amministratori di altri enti locali.

    Tempi moderni e tradizioni antiche

    Nel 2021 la Calabria si attesta al secondo posto tra le regioni per numero di intimidazioni in relazione alla popolazione residente: un caso e mezzo ogni 100mila abitanti.
    La matrice delle intimidazioni è ancora principalmente ignota. A seguire in questa particolare classifica, le ragioni collegabili a tensioni sociali o politiche, questioni di natura privata o di criminalità comune. Solo all’ultimo posto viene denunciata la matrice legata alla criminalità organizzata.

    Cambiano i tempi e si aggiornano anche le minacce. Ormai non arrivano più solo tramite la classica lettera anonima, adesso viaggiano su web e social network veicolate da troll e profili fake. Seguono le aggressioni verbali, le scritte sui muri, l’utilizzo di armi da fuoco o l’invio di munizioni.
    E per onorare la fama della Calabria terra di solide tradizioni, tra gli espedienti utilizzati per “comunicare disappunto” trova ancora posto la testa sgozzata di qualche animale educatamente risposta in una scatolina di cartone chiusa a dovere e consegnata comodamente a domicilio. Non avrà i like di un post su Facebook, ma vuoi mettere l’effetto?

    Cosenza su tutte

    La provincia con il maggior numero di amministratori intimiditi è Cosenza con il 42% del totale dei casi censiti (Fonte Report Amministratori sotto tiro/ Avviso Pubblico 2020).
    A Scalea due persone hanno aggredito il consigliere Renato Bruno al termine di una seduta del Consiglio comunale. A Paola e San Nicola Arcella sono andate a fuoco le auto di due dipendenti comunali. Stessa sorte per le auto di un ex consigliere regionale di Amantea. A Corigliano Rossano ignoti hanno più volte squarciato le gomme all’automobile del sindaco Stasi. A Cetraro l’automobile di Cinzia Antonuccio, coordinatrice del servizio di raccolta rifiuti del Comune, è stata incendiata nel corso di una notte. La sindaca di Lattarico, Antonella Blandi ha ricevuto una lettera dal contenuto inequivocabilmente intimidatorio: «Se vuoi che i tuoi figli tornino a casa dall’asilo nido, fai lavorare chi non ha da mangiare».

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    Mario Occhiuto e altri sindaci della provincia durante una protesta all’ingresso dell’ospedale di Cosenza

    Tra i sindaci che hanno fatto spesso ricorso allo strumento della querela per minacce ricevute anche sui social, c’è l’ormai ex primo cittadino di Cosenza Mario Occhiuto. Memorabili le sue invettive contro gli “odiatori”: in pratica tutti coloro che osavano criticare la sua linea politica.
    Tra i tanti, un post di minaccia con l’invito a gettare un candelotto di dinamite contro casa sua è stato pubblicato sul profilo Facebook di Occhiuto da un profilo con il logo dei Cinquestelle.

    «Sono questi – commentava l’allora sindaco – i risultati scellerati di coloro i quali alimentano di continuo un clima di odio e di violenza nei confronti di chi ha il compito di amministrare, di scegliere e decidere. Denuncerò alle autorità competenti tali insulsi comportamenti, che sono la conseguenza di campagne mirate di delegittimazione e del populismo sfrenato e dell’ignoranza».

    Di mezzo anche i parenti morti

    Dodici i casi censiti in provincia di Reggio Calabria. Intimidazione ai danni dell’assessore all’Agricoltura ed al Turismo del Comune di Oppido Mamertina, Antonio Corrone: colpi di arma da fuoco contro la vetrata del suo studio. Incendiata a Roccella Jonica l’auto di Vincenzo Garuccio, amministratore di Jonica Multiservizi, società interamente pubblica che opera nella gestione dei servizi della città. Analogo trattamento un mese più tardi per due veicoli del Comune utilizzati per la raccolta differenziata. Emergono da un’inchiesta condotta dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia intimidazioni nei confronti del sindaco di Locri Giovanni Calabrese, in merito ad interessi dei clan sulle attività economiche al cimitero. In questo caso la minaccia fa pendant col tema: o ti pieghi o non ritroverai le spoglie dei tuoi parenti.

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    Il cimitero di Locri

    Otto casi in provincia di Vibo Valentia. A Filandari doppio atto intimidatorio ai danni dell’assessore Giuseppe Antonio Artusa. Dopo aver esploso alcuni colpi d’arma da fuoco all’indirizzo della saracinesca del garage della sua abitazione, provocando danni alla vettura che si trovava all’interno, ignoti hanno dato fuoco ad una seconda automobile parcheggiata all’esterno. A Parghelia è stato colpito l’assessore alla Cultura, Gabriele Vallone: la sua auto è stata oggetto di un atto vandalico. Ad aggravare la situazione un messaggio minatorio dattiloscritto lasciato sul mezzo. A Tropea è finito nel mirino un agente della Polizia locale: danneggiata l’auto di proprietà e inserito al suo interno un biglietto minatorio.

    Cinque cavalli morti, incendi e cartucce

    Sette casi in provincia di Crotone. Una lunga scia di minacce ha visto protagonisti gli amministratori di Roccabernarda. Apripista Francesco Coco, ex sindaco ed attualmente consigliere comunale di opposizione, già oggetto di intimidazioni nel 2018. Col favore delle tenebre, ignoti hanno incendiato la sua autovettura e hanno ucciso cinque cavalli di sua proprietà. Successivamente è finito sotto tiro il sindaco Nicola Bilotta: una bottiglia incendiaria lasciata davanti alla sua abitazione e una busta con due cartucce di fucile sul parabrezza della macchina. A Cirò Marina, l’auto di Paolo Lo Moro, segretario generale del Comune, gestito da una commissione straordinaria a causa dello scioglimento dell’Ente per infiltrazioni mafiose, è andata distrutta in seguito ad un incendio.
    Quattro intimidazioni registrate in provincia di Catanzaro. A Tiriolo è andata a fuoco l’auto dell’assessore allo Sport Domenico Paone.

    Più denunce, meno infiltrazioni

    Mentre aumentano le denunce di atti intimidatori, diminuiscono i casi di scioglimento per infiltrazioni mafiose degli Enti locali. Dal 1991 ad oggi in Calabria sono stati sciolti per mafia 127 Comuni, otto procedimenti sono stati annullati e 23 archiviati.
    Nei primi sei mesi del 2021 in Calabria si contano “appena” quattro scioglimenti, pochi rispetto al record di 11 enti affidati ad una commissione straordinaria nel 2018. Si tratta di Simeri Crichi, Guardavalle (era già stata sciolta nel 2003), Rosarno e Nocera Terinese. Altrettanti avevano subito identica sorte nel 2020: Amantea (al secondo scioglimento), Sant’Eufemia d’Aspromonte, Cutro e Pizzo.

    Appalti pubblici, urbanistica, edilizia pubblica e privata sono i settori oggetto degli appetiti delle cosche per gli alti volumi d’affari prodotti. Settori resi permeabili dalla mancata trasparenza dell’azione amministrativa e da una burocrazia spesso compiacente e asfittica. Nell’ultima relazione sul tema, il ministero degli Interni evidenzia come un terzo dei comuni sciolti per infiltrazione mafiosa versi in condizioni di deficit finanziario. Al 31 dicembre 2020, in Calabria, 193 Comuni hanno dovuto dichiarare default. Sono, invece, attualmente in dissesto o riequilibrio quasi 7 Comuni calabresi su 10 (279 su un totale di 411).

  • Quante sono le navi dei veleni affondate? Le indagini di Natale De Grazia

    Quante sono le navi dei veleni affondate? Le indagini di Natale De Grazia

    «Deve sin d’ora sottolinearsi come questo approfondimento, teoricamente agevole in quanto erano state predisposte deleghe di indagine da parte del pubblico ministero procedente, si è rivelato nei fatti difficoltoso». L’incipit messo nero su bianco dalla Commissione Ecomafie alcuni anni fa è tutto un programma. Un programma di insabbiamenti, di trame oscure, forse anche di depistaggi.

    Le indagini di Natale De Grazia

    La Commissione Parlamentare sul Ciclo dei Rifiuti presieduta in quel periodo da Gaetano Pecorella (vicepresidente Alessandro Bratti) tentò di aprire qualche squarcio di luce sul lavoro del capitano di corvetta Natale De Grazia, morto in circostanze misteriose alla fine del 1995, mentre indagava sulle cosiddette “navi dei veleni”.

    De Grazia era entrato nel pool di investigatori messo insieme dal magistrato Francesco Neri. L’ipotesi inquietante su cui indagava la Procura di Reggio Calabria era un presunto affare internazionale che avrebbe visto un giro di “carrette del mare”, cariche di scorie nucleari da inabissare nel Mediterraneo. Anche al largo delle coste calabresi. Natale De Grazia indagava proprio su questo. Era l’elemento di spicco del pool. Quello più abituato ad andare per mare. E che conosceva meglio il mare. Il suo mare.

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    Il capitano Natale De Grazia

    «La documentazione acquisita, costituita da ben sei deleghe, alcune delle quali conferite specificatamente ai militari in missione, non si è rivelata risolutiva in quanto le deleghe in questione sono state formulate in modo alquanto generico. Non è noto se per ragioni precauzionali e di riservatezza o per lasciare ampio margine di manovra agli ufficiali di polizia giudiziaria. Neppure chiarificatrici sono state le dichiarazioni rese sul punto da quegli stessi ufficiali che parteciparono alla missione in questione. Contraddittorie, infine, sono state le informazioni acquisite dagli altri investigatori impegnati nell’indagine».

    Più volte la relazione parlerà di misteri, contraddizioni e passaggi per certi versi inspiegabili sull’ultimo viaggio di Natale De Grazia. Quello verso La Spezia. Per indagare sul conto di una nave, la Latvia. Una di quelle “carrette del mare”. O, meglio “navi dei veleni”.

    Quante sono le navi dei veleni?

    La Latvia è una delle sospette “navi dei veleni”. Non la più famosa. Rigel. Rosso (ex Jolly Rosso). E, più recentemente, Cunsky. Questi alcuni dei nomi più noti. Quella relazione di qualche anno fa della Commissione Ecomafie rende un po’ più solidi alcuni dei sospetti già paventati da anni dalle associazioni ambientaliste. Legambiente, su tutte.

    Secondo un dossier di Legambiente, infatti, gli affondamenti sospetti di navi, tra il 1979 ed il 2000, sarebbero 88. E tutto nasce, nel 1994, proprio da una denuncia dell’associazione ambientalista alla magistratura reggina sull’interramento di rifiuti in Aspromonte. Si formerà così un pool di investigatori, composto, tra gli altri, dal pm Francesco Neri e dal capitano Natale De Grazia, che, ben presto, allarga i propri orizzonti.

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    Nell’inchiesta portata avanti dal pool un nome ricorrente è proprio quello dell’ingegner Giorgio Comerio. Quello che, come abbiamo visto, aveva predisposto un progetto per l’insabbiamento nei fondali soffici di “penetratori” carichi di scorie. Un uomo da romanzo, lo abbiamo definito. Il nome di Comerio si incrocerebbe con quello di una delle navi più tristemente famose: la Rosso. Il sospetto di molti è che la motonave della linea Messina fosse una delle “navi dei veleni” che dovevano affondare con il loro carico di morte. E che solo un curioso disegno del destino la fece spiaggiare sulla spiaggia di Formiciche, ad Amantea. È il 14 dicembre del 1990. Comerio, infatti, negli anni si sarebbe interessato all’acquisto della motonave. Una trattativa, quella con gli armatori Messina, che non si concretizzerà, ma che, secondo gli inquirenti, poteva, in qualche modo, ricollegarsi al presunto traffico di scorie radioattive.

    La seconda è una motonave affondata al largo delle coste calabresi, la Rigel. E sarebbe stato ancora una volta il capitano Natale De Grazia a scoprire il collegamento. Nel corso di una perquisizione all’interno dello studio dell’ingegnere, infatti, De Grazia avrebbe trovato un’agenda, con una strana scritta alla data 21 settembre 1987: «lost the ship». La frase, tradotta, significa «la nave è persa». Comerio smentirà sempre ogni possibile collegamento, ma il 21 settembre 1987, ci sarà solo una nave “persa”. La Rigel. Fatta colare a picco, dolosamente, a largo di Capo Spartivento, in provincia di Reggio Calabria. In quella stessa perquisizione all’interno dello studio di Comerio (ma anche in questo caso l’ingegnere smentirà) il capitano De Grazia ritroverebbe anche delle carte che avrebbero a che fare con la Somalia e la morte della giornalista Ilaria Alpi e dell’operatore Miran Hrovatin.

    Il ruolo dei Servizi

    Un uomo da romanzo. Noir, evidentemente. Giorgio Comerio, infatti, secondo alcune fonti, avrebbe anche ospitato in un appartamento, forse non di sua proprietà, a Montecarlo l’evaso Licio Gelli. Altro nome che, con la sua P2, si lega ad alcune delle storie più inquietanti e drammatiche della storia d’Italia.

    Vicende oscure. In cui, in un modo o nell’altro, sarebbero entrati i Servizi Segreti. Con il Sismi il pm Neri, titolare del fascicolo, avrebbe avuto una interlocuzione costante. Sia per la richiesta di informazioni e documenti su Comerio sia, più in generale, su tutti i temi oggetto di inchiesta. Dal traffico di rifiuti radioattivi a quello di armi e agli affondamenti di navi, solo per fare qualche esempio.

    Nelle 308 pagine scritte da Pecorella e Bratti emerge inoltre come il Sismi, nel solo 1994, avesse speso ben 500 milioni di lire per i servizi d’intelligence connessi al problema del traffico illecito di rifiuti radioattivi e di armi. Ma, secondo diverse fonti e testimonianze, la presenza dei Servizi non sarebbe stata solo corretta e leale. Nel corso delle tante audizioni ascoltate dalla Commissione, infatti, sarà prospettato un ulteriore ipotetico interessamento dei Servizi all’indagine svolta dal dottor Neri attraverso il controllo delle attività poste in essere dalla Procura e dagli ufficiali di polizia giudiziaria.

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    Il centro Enea di Rotondella in Basilicata

    Una di queste audizioni è quella del colonnello Rino Martini, del Corpo Forestale dello Stato. Elemento prezioso nelle indagini, soprattutto con riferimento alle presunte attività illecite che ruotavano attorno alla centrale ENEA di Rotondella, in Basilicata: «In quel periodo, si verificarono due episodi. Per una settimana siamo stati filmati da un camper parcheggiato di fronte alla caserma in cui operavo. Una sera in cui erano stati invitati anche altri magistrati, avevamo deciso di recarci in una bettola sul Maddalena, che non è frequentata da nessuno durante la cena perché è aperta solo di giorno, e dieci minuti dopo il nostro arrivo attraverso una strada nel bosco è arrivata un’altra autovettura e si sono presentati a cena due ragazzi di trent’anni, che hanno lasciato la macchina nel parcheggio».

    Poi, la scoperta: «Siamo usciti per primi e, attraverso due sottufficiali dei Carabinieri di Reggio Calabria presenti, dalla targa dell’autovettura siamo risaliti al proprietario: il Sisde di Milano. Non ho altri episodi da raccontare. Certamente, c’era un controllo».  

    La fonte anonima

    Gli inquirenti, quindi, si sarebbero scontrati contro un muro di gomma. Con la costante idea di essere spiati. Un’idea che emerge dalle testimonianze raccolte dalla Commissione Ecomafie. Un’idea che, dicono le persone a lui vicine, aveva anche Natale De Grazia. Che muore in circostanze sospette. Proprio mentre sembrava vicino alla verità. O, almeno, a una parte di essa.

    Agli atti della Commissione Parlamentare sul Ciclo dei Rifiuti che qualche anno fa si occupò della vicenda vi è anche una fonte anonima. Che parla proprio di quell’ultimo viaggio di De Grazia: «[…] il capitano De Grazia doveva venire a La Spezia a conferire con me e con [OMISSIS] con riferimento ad un’altra nave, la Latvia, ex nave del KGB sovietico che era ormeggiata a fianco di una struttura della marina militare nell’area del San Bartolomeo. Poi, questa nave è stata monitorata. […] Questa nave era stata poi acquistata da una società fatta a La Spezia, non ricordo il nome ma non è difficile recuperarlo, […] È stata ormeggiata alcuni mesi sulla diga foranea a La Spezia. […] questa nave […] era stata acquistata da una società costituita da alcuni industriali e altri di La Spezia […]».

    Quel viaggio di Natale De Grazia, dunque, aveva un’importanza strategica nell’indagine. Perché la Latvia non era meno importante, nel presunto sistema criminale, rispetto a Rosso o Rigel. E sembrava nascondere molti più segreti di quanto si potesse immaginare. Infine, dal racconto della fonte anonima:«Non poteva prendere il mare, era smantellata e priva di equipaggio. Poi, improvvisamente, questa nave dopo la costituzione di questa società che aveva recuperato questa nave come rottame, ha preso il largo trainata da un rimorchiatore che credo fosse turco ed è arrivata in Turchia. Voci dicevano che fosse stata riempita, non riempita, ma che fosse stato immesso del materiale particolare sulla nave prima della sua fuoriuscita dalla rada di La Spezia».

  • “Miramare”, chiesto un anno e 10 mesi di reclusione per il sindaco Falcomatà

    “Miramare”, chiesto un anno e 10 mesi di reclusione per il sindaco Falcomatà

    Un anno e dieci mesi di reclusione. Questa la richiesta formulata dai pm Walter Ignazitto e Nicola De Caria nei confronti del sindaco di Reggio Calabria, Giuseppe Falcomatà. Il processo è quello sul cosiddetto “Caso Miramare”, con cui la Procura reggina persegue il presunto affidamento diretto dell’ex albergo di lusso effettuato dalla Giunta Comunale alla semisconosciuta associazione “Il Sottoscala”.

    Gli imputati e le richieste dell’accusa

    Secondo l’accusa, tale «regalo» sarebbe stato effettuato in virtù del rapporto di amicizia tra Falcomatà e il noto imprenditore reggino Paolo Zagarella. Questi è ritenuto il dominus della compagine associativa. Nel corso del suo esame in aula, Falcomatà ha definito Zagarella solo «un buon conoscente». Ma sarebbe notorio, a Reggio Calabria, il rapporto datato tra i due. E consolidato attraverso diverse serate danzanti nelle discoteche più “in” della città.

    Ma il pm Ignazitto è stato netto: «Il ‘Miramare’ doveva andare a un amico del sindaco: Paolo Zagarella. Non solo non si è astenuto, ma è stato il vero registra dell’operazione». Tuttavia, mano “leggera” nella richiesta: un anno e dieci mesi, considerando lo stato di incensuratezza.

    Per tutti gli altri, la Procura ha chiesto un anno e otto mesi di reclusione. Oltre a Falcomatà e a Zagarella sono imputati anche l’ex segretario generale del Comune, Giovanna Acquaviva, l’ex dirigente Maria Luisa Spanò, l’assessore in carica ai Lavori Pubblici e candidato al Consiglio regionale, Giovanni Muraca, e gli ex assessori Saverio Anghelone, Armando Neri, Patrizia Nardi, Giuseppe Marino, Antonino Zimbalatti e Agata Quattrone.
    Per tutti, quindi, la Procura di Reggio Calabria ha richiesto la condanna.

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    Un momento dell’udienza di oggi a Reggio Calabria
    I fatti contestati

    Al centro dell’inchiesta, la delibera della Giunta comunale con cui l’Amministrazione affidava all’imprenditore Paolo Zagarella, titolare dell’associazione “Il Sottoscala”, la gestione temporanea del noto albergo Miramare. Da tempo chiuso.

    L’affidamento della gestione della struttura di pregio, notissima in città, sarebbe avvenuto in maniera diretta a Zagarella. Questi, infatti, è uno storico amico del sindaco Falcomatà e gli avrebbe anche concesso, in forma gratuita, i locali che avevano ospitato la segreteria politica nella campagna elettorale che porterà l’attuale primo cittadino alla schiacciante vittoria sul centrodestra nella corsa verso Palazzo San Giorgio.

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    L’ex Hotel Miramare a (Reggio Calabria

    Una delibera, quella del 16 luglio 2015, che sarebbe stata approvata a maggioranza con l’assenza dell’allora assessore, Mattia Neto. Che infatti non verrà coinvolto nell’inchiesta del pm Walter Ignazitto. Ma secondo alcune testimonianze raccolte nel corso del dibattimento, l’associazione “Il Sottoscala” avrebbe avuto la disponibilità dell’immobile di pregio anche prima della votazione della delibera.

    «Con Zagarella, Falcomatà aveva un debito di riconoscenza» hanno detto i pm Ignazitto e De Caria. Per questo, quindi, il “Miramare” sarebbe stato affidato all’associazione “Il Sottoscala” dietro cui si celava (seppur senza cariche formali) Zagarella. Questi, esperto di feste e serate danzanti, avrebbe dovuto realizzare eventi e, quindi, intascare soldi, nell’immobile di pregio comunale.

    Tra le persone escusse, che sosterranno tale versione, anche l’allora sovrintendente per i Beni archeologici della Regione Calabria, Margherita Eichberg. Impegnata con una sua collaboratrice nel sopralluogo di un immobile limitrofo al “Miramare” avrebbe sorpreso Zagarella e alcuni operai intenti a fare dei lavori all’interno della struttura. «Si tratta di un processo sul modo in cui deve intendersi la funzione pubblica, con imparzialità e trasparenza» hanno detto i pm Ignazitto e De Caria.

    La grande accusatrice

    Unica a scegliere il rito abbreviato, l’allora assessore comunale ai Lavori Pubblici, Angela Marcianò. È già stata condannata, in primo grado, a un anno di reclusione.  Già collaboratrice del procuratore Nicola Gratteri, Marcianò, dopo l’esplosione del caso (politico e giudiziario) diventerà la grande accusatrice di Falcomatà.

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    Angela Marcianò durante l’ultima campagna elettorale

    Marcianò ha sempre dichiarato di essersi schierata contro l’assegnazione del “Miramare” a Zagarella. Ma dagli atti dell’indagine (tra cui diverse chat WhatsApp), emergerebbe in realtà solo un tardivo tentativo di intervenire per la modifica dell’atto. Accusa ancor più grave, quella mossa dalla Marcianò, è quella di risultare presente (e, quindi, con voto favorevole alla delibera) nel verbale della riunione di Giunta. Quando, invece, a suo dire, l’avrebbe abbandonata in aperta polemica con il provvedimento che si voleva adottare.

    Alle elezioni del settembre 2020, si candiderà anche a sindaco, in piena contrapposizione con il giovane sindaco del Partito Democratico. Otterrà un buon risultato, classificandosi terza tra i candidati alla carica di primo cittadino. Ma al momento dell’insediamento in Consiglio Comunale subirà il provvedimento di sospensione spiccato dal prefetto, proprio a causa della condanna nel “caso Miramare”.

    Verso la sentenza

    Giuseppe Falcomatà è considerato uno degli esponenti più emergenti del Pd calabrese. Ora, però, rischia un pericoloso passo falso, poco più di un anno dopo la riconferma come sindaco di Reggio Calabria. I fatti contestati, però, si riferiscono al suo primo mandato. Quelli dopo gli anni del “Modello Reggio” di Giuseppe Scopelliti e lo scioglimento per contiguità con la ‘ndrangheta del Consiglio comunale.

    Un avvio difficile, accidentato, in cui il primo obiettivo è capire se e come evitare il dissesto economico-finanziario. Ma uno dei primi atti dell’Amministrazione Falcomatà è quello di eliminare il Miramare dai beni di proprietà del Comune in vendita. Così come voluto dalle Amministrazioni di centrodestra prima e dalla terna commissariale poi.

    La tesi della difesa

    La difesa di tutti gli imputati è stata quella di voler rilanciare quello che, unanimemente, viene considerato uno dei “gioielli di famiglia” della città. E che tale affidamento (poi saltato, per via del putiferio politico e giudiziario) non avrebbe comportato alcun esborso per l’Ente. Ma, anzi, una possibilità di rilanciare la struttura a “costo zero” con eventi di vario genere.

    Tesi che, evidentemente, non sembrano aver convinto i pm Ignazitto e De Caria, che hanno formulato le richieste di condanna: “Il ‘gioiello di famiglia’ trasformato in un affare di famiglia’ con palesi violazioni di legge” hanno detto infine i pm.

    Adesso la girandola delle arringhe difensive. Con la sentenza per Falcomatà&co che dovrebbe arrivare il 19 novembre. E, in caso di condanna, potrebbe far scattare la sospensione dovuta alla “Legge Severino”. Facendo piombare la città in una fase politica tutta da decifrare.

  • Il balletto del San Vito: il nuovo stadio a Cosenza tra propaganda e strani numeri

    Il balletto del San Vito: il nuovo stadio a Cosenza tra propaganda e strani numeri

    «Il nuovo stadio Marulla si farà». È stato questo l’ultimo futuristico colpo ad affetto della campagna elettorale del candidato sindaco di Cosenza del centrodestra Francesco Caruso, già vice del vero ideatore del progetto Mario Occhiuto. Di nuovo stadio in città si parla infatti dalla campagna elettorale del 2016, era uno dei cavalli di battaglia dell’architetto che riconquistò a furor di popolo Palazzo dei Bruzi dopo il successo alle urne del 2011. Un progetto lungo già più di cinque anni, quindi, che nel corso del tempo ha conosciuto numerose metamorfosi, impennate propagandistiche e frenate silenziose.

    La presentazione a Roma

    Chi tra gli appassionati di calcio cosentino non ricorda la presentazione romana, nel febbraio 2017, del piano di realizzazione della nuova struttura sportiva cittadina? Oltre al sindaco Mario Occhiuto, nella sede dell’Istituto per il Credito Sportivo erano presenti il Commissario del Credito Sportivo Paolo D’Alessio, l’allora presidente della Lega Nazionale Professionisti B Andrea Abodi, l’assessore allo Sport Carmine Vizza e il presidente del Cosenza calcio Eugenio Guarascio, partner del progetto (almeno così all’epoca veniva riferito).

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    Una delle slide presentate a Roma mostrava ricavi e costi previsti per il club col nuovo stadio

    Nello studio di pre-fattibilità, si ipotizzava per ragioni di sostenibilità economica dell’operazione, una capacità di 11.000 posti espandibili di ulteriori 5.000 per un costo complessivo di 37 milioni di euro. Ciononostante, analizzando i dati relativi ai costi dello stadio, viene da chiedersi come sarebbe stato possibile mantenere certi standard di gestione. L’aspetto forse più assurdo riguardava il denaro per l’affitto dell’impianto che la società guidata da Eugenio Guarascio avrebbe dovuto sborsare: oltre 400mila euro annui. Una cifra spropositata se si pensa alle incrollabili politiche al risparmio dell’imprenditore lametino. Oggi, giusto per intenderci, il Cosenza Calcio paga un affitto al Comune di circa 5.500 euro al mese. Certo, si ipotizzavano grandi incassi: tra questi, anche i soldi dei biglietti (8 euro l’uno) di ben 11mila visitatori annui previsti nel nascituro museo dedicato alla squadra.

    Tre anni dopo…

    Da allora, di acqua sotto i ponti ne è passata molta e, giusto per non allontanarci troppo dalle fantasie occhiutane, quasi mai è stata navigabile.
    «Nei prossimi tre anni – aveva dichiarato in quella circostanza Occhiuto dopo aver valutato il percorso finanziario del piano di lavoro – realizzeremo il nuovo stadio, noi le promesse le manteniamo».

    Tre anni dopo, esattamente nel gennaio 2020, e con un dissesto finanziario del Comune con cui fare i conti, lo stesso primo cittadino si rammaricava dal suo profilo Facebook. Purtroppo non era ancora stato possibile far partire i lavori «nonostante l’immutata disponibilità dell’Istituto del Credito Sportivo, perché il fondo immobiliare Invimit ha rallentato le approvazioni del finanziamento a causa del rinnovo del management. Noi proveremo ad andare avanti, ma non so ormai se riusciremo ad avviare e completare le opere prima della fine del mio mandato. Spero che chi verrà dopo di noi abbia la volontà e la capacità di continuare su questa strada».

    L’autogol

    Tornando all’attualità delle recenti elezioni comunali di Cosenza, c’è da sottolineare il clamoroso autogol di Francesco Caruso in vista del ballottaggio. Credeva, grazie al dio pallone, di recuperare il terreno che un altro Francesco (De Cicco) gli aveva fatto perdere con la sua sorprendente “affiliazione” al centrosinistra. Invece ha finito per peggiorare la situazione.

    Il popolo di fede rossoblù, infatti, tranne i soliti puri e duri a morire di speranze e illusioni, stanco di ascoltare promesse mai mantenute, aveva accolto con freddezza l’uscita del candidato a perdere. Caruso, dal canto suo, era andato avanti come un treno aggrappandosi alle rassicurazioni (e non poteva essere altrimenti) di Roberto Occhiuto, fratello di Mario nonché fresco di elezione a governatore calabro.

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    Lo scambio su FB sull’affidamento del progetto che ha fatto scalpore tra i cosentini prima del voto

    Sulla sua pagina Facebook Francesco Caruso sindaco (da qualche giorno misteriosamente scomparsa), il 15 ottobre scorso si era espresso in questi termini: «#NuovoStadioMarulla, progetto già affidato e inglobato nella Città dello Sport».
    Un’uscita sensazionalistica che, oltre a collezionare una marea di sfottò da parte della tifoseria delusa, aveva fatto emergere un aspetto inquietante: l’aggiudicazione di quel progetto da parte di un raggruppamento di specialisti tra cui figurano gli architetti Alfonso Femia e Rudy Ricciotti, non è mai stata verbalizzata dalla commissione esaminatrice.

    La Regione che non c’era

    Per dirla con parole ancora più semplici, i vincitori del concorso internazionale indetto dal Comune di Cosenza per il progetto della “Città dello Sport” che comprende, appunto, la riqualificazione dello stadio comunale San Vito-Marulla e la valorizzazione e riqualificazione delle aree limitrofe, non hanno mai ricevuto alcuna comunicazione in merito. Ecco perché è apparso alquanto bizzarro leggere le parole di Caruso, a cui sono seguite poi, sempre su Facebook, quelle del presidente della commissione consiliare Sport di Palazzo dei Bruzi Gaetano Cairo in risposta all’ingegnere Claudia Grandinetti che aveva fatto notare che nulla ancora è stato affidato.

    «La soluzione progettuale rappresentata nel rendering – aveva scritto Cairo – è quella proposta dall’architetto Rudy Ricciotti e dall’architetto Alfonso Femia con cui probabilmente l’arch. Grandinetti ha collaborato nell’ambito del gruppo di lavoro. La soluzione risulta vincitrice dell’espletato concorso di idee per lo sviluppo del progetto di fattibilità tecnica ed economica della Città dello Sport, un concorso già aggiudicato ma non formalizzato ovviamente a causa della non disponibilità del finanziamento. Il finanziamento verrà garantito dal governatore della Regione Calabria Roberto Occhiuto».

    Ma è proprio su quest’ultima affermazione di Cairo che vengono fuori le perplessità maggiori: cosa c’entra la Regione Calabria con la vicenda stadio? E, soprattutto, in che termini un finanziamento che dovrebbe essere di competenza del Credito Sportivo verrà garantito dal governatore? Difficile se non impossibile pensare che esista un canale di finanziamento dedicato unicamente allo stadio cosentino. Più plausibile, invece, che lo stesso governatore nei giorni roventi del pre-ballottaggio abbia avallato una promessa elettorale dalle basi non troppo solide.

    Capienza (parecchio) variabile e ritocchi

    Il progetto vincitore del concorso prevede(va) l’estensione di circa 60.000 mq solo per lo stadio, con una capienza flessibile, a differenza degli 11.000 del 2017, di ben 40.000 posti (il capitolato speciale d’appalto ne richiedeva, a sua volta, tra i 16.000 e i 20.000), con aree VIP, sky boxes e business lounges e un museo con negozi. E poi ancora la realizzazione di cinema, un hotel, attività commerciali, una biblioteca e un centro medico-sportivo. Di milioni, tra l’altro, ne dovrebbe costare 47, dieci in più di quelli che Invimit non era più disposta a cofinanziare.

    scheda_Stadio

    Ma dalle nostre ricerche è emersa una particolarità di non poco conto: il rendering (o meglio, per dirlo alla buona, i cosiddetti fotomontaggi) che da tre anni l’ex sindaco Mario Occhiuto e più di recente il suo quasi erede Francesco Caruso stanno facendo circolare sui social network, non corrisponderebbe a quello che è il progetto originale vincitore del concorso, ideato – è sempre bene ricordarlo – da Rudy Ricciotti, uno dei più grandi architetti francesi contemporanei, Alfonso Femia che può vantare tre studi in Italia e in Francia e poi ancora Pino Scaglione, Antonio Trimboli e molti altri illustri professionisti cosentini.
    Insomma, qualcuno avrebbe modificato ad arte le immagini, chissà se per renderle più accattivanti agli occhi della gente. Se la situazione non fosse già abbastanza tragicomica di suo, si potrebbe parlare tranquillamente di violazione del diritto d’autore.

    L’appello dei tifosi al neo sindaco Franz Caruso

    Il punto di tutta questa avventura paradossale è che, nonostante la sconfitta del centrodestra e l’elezione a sindaco della città di Franz Caruso del centrosinistra, c’è ancora in città chi spera nel miracolo della realizzazione del nuovo stadio. Pur avendo un intenso sapore elettorale, le esternazioni di Francesco Caruso e quelle di Gaetano Cairo sulla disponibilità del presidente della Regione Calabria a interessarsi finanziariamente alla vicenda, sembrano aver riacceso ugualmente una fiammella di speranza in una parte della tifoseria, evidentemente timorosa che tra le due parti (Regione e Comune) non si riesca a stringere un dialogo costruttivo.

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    L’attuale San Vito-Marulla visto dall’alto

    Nelle ultime ore il direttivo dell’associazione “Cosenza nel Cuore” ha chiesto un incontro al neo eletto sindaco Franz Caruso anche per discutere di una auspicabile implementazione e rigenerazione dello stadio cittadino. Lo fa fatto con una nota in cui ricorda «l’informazione, fornita dal neo Presidente della Giunta Regionale, On. Roberto Occhiuto, secondo la quale tale progetto sembrerebbe suscettibile di immediato finanziamento sui fondi PNRR o simili. È opinione dell’Associazione – prosegue il documento – che un’occasione del genere non debba essere persa e che una tale opera non possa avere un colore politico, ma rappresentare unicamente un elemento di crescita territoriale, sociale ed anche economica».

    Insomma, una storia tanto infinita quanto ingannevole che, probabilmente conoscerà nuovi capitoli. Ovviamente a discapito di chi tifa Cosenza Calcio e crede da sempre nei sogni che lo circondano.

  • Spirlì e il vangelo secondo Matteo…Salvini

    Spirlì e il vangelo secondo Matteo…Salvini

    Dalla cucina di Jole Santelli, dove per sua stessa ammissione preparava ottimi manicaretti, all’assessorato regionale alla Cultura. E dopo la prematura scomparsa della presidente della Regione, il salto che lo catapulta al piano più alto della Cittadella. Nino Spirlì è un uomo che non pone limiti alla Provvidenza.

    Spirlì promuove la Calabria dei prodotti tipici
    Sacro e profano

    Ernesto De Martino sarebbe impazzito davanti ad un personaggio come lui, capace di mischiare mistico e profano, senso del sacro e (presunta) trasgressione. «Frocio a tempo perso» ma «cattolico praticante», calabrese ma leghista in prima linea, amante dei selfie col Capitano. Solo recentemente, forse dietro utile suggerimento, ha cominciato a vestire abiti più congrui al ruolo che ha ricoperto. Sono tornati negli armadi i capispalla modello saio e le reliquie con santini appesi al collo. Al loro posto maglioni con stemmi tricolore.

    Spirlì
    La prima foto istituzionale da assessore per Nino Spirlì

    L’ormai ex presidente facente funzioni si autoproclama «intellettuale», evidentemente organico alla destra cristiano–sovranista, non disdegnando la pratica apparentemente disubbidiente del disprezzo verso il lessico politicamente corretto, percepito come un complotto contro la sua libertà di parola. Ecco quindi la rivendicazione del diritto di essere omofobi e razzisti, usando le parole chiave «frocio» e «negro». Però in senso buono, si intende.

    In missione per conto di Dio

    Il “Signor Nino Spirlì”, come da profilo personale sull’amato Facebook, è un personaggio multiforme, ma la cifra caratteriale più rappresentativa è la sua religiosità primitiva, fatta di forme devozionali arcaiche ed elementari, segnata da una marcata permalosità. Il Nostro ha spesso reagito con inusitata veemenza contro quanti ne sottolineavano l’assoluta mancanza di laicità.

    Il punto più alto è stato probabilmente quando ha invocato l’aiuto vendicativo della Madonna contro i non meglio precisati «Figli di satana» che lo perseguitavano per la sua fede cristiana. «O Immacolata Concezione, Maria Madre di Dio, quanto dà fastidio la mia fede mentre lavoro, schiumano odio e rabbia», scriveva sui social.
    Il mondo dell’ex ff ha una sua semplicità: da una parte lui e Dio, dall’altra quelli che non gli piacciono (e dunque non piacciono a Dio).

    satana_spirlì

    La verità è che Spirlì ha inteso il suo ruolo istituzionale, ereditato a seguito di una disgrazia, come una sorta di crociata contro quanti non apprezzano l’idea di una Calabria feudo salviniano e teocratico. Nel giorno della sua investitura disse «Invoco la Benedizione del Signore e mi affido alle amorevoli cure della Santa Vergine Immacolata. E mi impegno a svolgere il mio compito nell’unico interesse della mia gente. Accompagnatemi solo con le Vostre preghiere. Grazie. Dio Vi voglia bene». Parole più da sacerdote che da guida di una Regione.

    Matteo Salvini con Nino Spirlì e Jole Santelli, ex presidente della Regione scomparsa prematuramente
    Gaffe e sconfitte

    All’uomo di Dio casualmente alla guida della Calabria parrebbe piacer accompagnare i suoi passi con l’odore dell’incenso delle messe e col puzzo di bruciato dei roghi dei suoi detrattori. Ma a seguirlo come una implacabile ombra sono state invece le brutte figure. Come quando diffuse, con tanto di foto, una falsa notizia che annunciava il trasvolo della statua della Madonna a bordo di elicotteri dell’Aeronautica sui cieli d’Italia per liberare il Paese dal Covid. Era una bufala, ma molto suggestiva.

    Quando Spirlì giocava a fare Salvini con le grafiche del Carroccio

    Di lì in poi una serie gustosa di gaffe e battaglie perdute, scene da avanspettacolo e strepiti. Come quando, in fase di diffusa epidemia, ingaggiò uno scontro con il Governo che aveva dichiarato la Calabria zona arancione, trascinandoci a suo parere in una dittatura: «Lunedì la Calabria sarà in zona arancione, quindi saranno chiusi tutti i negozi. La Calabria sarà chiusa». Ovviamente nulla di ciò era vero, visto che la sola limitazione riguardava il poter uscire dai confini del comune di residenza.

    Pipi e patate

    Ma la verità per Spirlì è qualcosa che si acconcia a una narrazione utile per far salire i like social. Nella scorsa primavera si accanì a voler chiudere le scuole «perché non vogliamo vedere i nostri bambini nelle bare», Poi le riaprì di corsa dopo aver perso i ricorsi presentati al Tar da genitori furenti. La pandemia non gli è stata mai alleata, infatti sul tema ha preso diversi scivoloni. Per esempio insistendo nel confondere il numero di dosi di vaccino somministrate con quello delle persone realmente vaccinate. Oppure pronunciando parole ingrate e faziose all’indirizzo di Gino Strada.

    Tuttavia il meglio di Spirlì venne durante una delle amate dirette social, quando fece emergere la sua vera natura: quella gastronomica, con l’elogio dei “pipi e patate”. Oggi la sua poltrona è assai vacillante, ma alla fine di tutto questo ci sarà qualcuno che di lui dirà che ha fatto anche cose buone: probabilmente ai fornelli di casa Santelli.

  • Lamezia: Gratteri, Minoli e sceicchi tra discariche e diossina

    Lamezia: Gratteri, Minoli e sceicchi tra discariche e diossina

    Al “sogno” industriale degli anni ’70, prospettato dopo i fatti di Reggio in concomitanza con la Liquichimica di Saline Joniche e il Centro siderurgico di Gioia Tauro, oggi si è sostituita la Hollywood calabrese, gli “studios” della Film Commission guidata da Giovanni Minoli. Ma non solo. Nell’area industriale di Lamezia Terme sulle ceneri di un call center hanno realizzato la mega aula bunker di “Rinascita-Scott”. E sempre lì, grazie a ingenti capitali privati, dovrebbe sorgere, ma per ora è tutto solo sulla carta, un waterfront da 2.300 posti barca e da oltre 500 milioni di euro, da intitolare a uno sceicco della famiglia reale del Bahrain, Mohamed Bin Abdulla Bin Hamad Al-Khalifa.

    Disastri a terra e in mare

    Il vero simbolo di quest’area, però, resta il pontile, lungo 600 metri e in parte crollato in mezzo al mare. Doveva servire da attracco per le navi (mai arrivate) dell’impianto chimico della Società italiana resine, nel 2012 si è sbriciolato facendo finire nelle acque del Tirreno miscele di Pcb (policlorobifenili) e diossine. L’area è tuttora interdetta alla balneazione e rappresenta lo sbocco a mare di questi 1000 ettari di pianura al centro della Calabria. Potevano essere votati all’agricoltura e al turismo sostenibile e, invece, da anni sono famigerati solo per veleni e disastri ambientali che puntualmente emergono dalle inchieste della magistratura.

    Quasi 10mila tonnellate di rifiuti

    Ci lavora, in coordinamento col procuratore Salvatore Curcio, una giovane pm, Marica Brucci, che viene dalla “Terra dei fuochi”. Una battuta sulle sue origini campane ha generato mesi fa un equivoco durante un Forum sui rifiuti: in realtà non ha mai detto che la Calabria e Lamezia sono la «nuova Terra dei fuochi». Ma ha comunque tratteggiato alcune dinamiche inquietanti emerse dalle sue indagini calabresi che le hanno fatto tornare alla mente le cronache della sua regione.

    “Waste Water” è una di queste: secondo il perito Giovanni Balestri – anche lui si è occupato di casi come le ecoballe di Giugliano e la discarica dell’ex Cava Monti di Maddaloni – nell’area industriale lametina, in uno stabilimento finito sotto sequestro, sarebbe avvenuto l’abbandono incontrollato di 9700 tonnellate di rifiuti e da lì sarebbe partito uno sversamento di reflui industriali sui terreni e nei canaloni che sfociano a mare.

    Anni e anni di sequestri

    La Procura lametina, che ha difficoltà anche a trovare in Comune la mappatura del sistema fognario di quell’area, sta passando al setaccio tutte le attività produttive e ne sta venendo fuori, operazione dopo operazione, uno stillicidio di accuse per crimini ambientali a cui la comunità locale è pressoché assuefatta. Giusto per restare agli ultimi mesi, a giugno c’è stato un sequestro da 24 milioni di euro e a maggio un altro da 2. Entrambi riguardano aziende che secondo gli inquirenti sversano e scaricano illecitamente rifiuti industriali.

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    Una delle immagini diffuse dagli inquirenti in occasione dell’operazione Waste Water

    A Ferragosto sequestro anche per il depuratore a cui si collegano diversi Comuni, compreso quello di Lamezia. Nello stesso stabilimento di “Waste Water”, nel settembre del 2013, si è verificata l’esplosione di un silos costata la vita a tre operai. Ancora prima, a novembre del 2010, sono state sequestrate cinque aziende per una discarica non autorizzata di 15mila mq di fanghi di depurazione e cumuli di lana di vetro.

    Tonnellate di rifiuti tra gli ulivi

    La stessa Brucci ha condotto “Quarta copia”. L’inchiesta ha rivelato un traffico di rifiuti che passava per Campania e Lombardia e aveva il suo terminale proprio tra la città delle terme e Gizzeria. Partita da Lamezia e poi passata per competenza alla Procura distrettuale di Catanzaro, questa indagine ha già portato alla condanna in primo grado (pene da uno a quattro anni) di cinque persone.

    Sono considerate responsabili di un traffico di rifiuti sfociato nell’interramento di tonnellate di materiale inquinante anche in terreni vicini a coltivazioni di ulivo. Uno dei siti lametini utilizzati per questo scopo è stato letteralmente “tombato” di rifiuti ad appena 500 metri da un’altra ex discarica realizzata vicino all’alveo di un fiume e tuttora non bonificata. Su alcune delle persone ritenute al centro del traffico sono emersi collegamenti con potenti clan della Locride.

    Scatole vuote

    La pratica sempre in voga di mettere la polvere sotto il tappeto si intreccia con scatole societarie vuote – ma inserite all’Albo dei gestori ambientali – utilizzate per traffici loschi, misteriosi incendi negli impianti, falle nei controlli, aziende che fatturano milioni di euro con attività di grande impatto e che risparmiano proprio sulla prevenzione ambientale. Anche questo hanno rivelato le indagini partite dai roghi di rifiuti avvenuti nel Nord Italia. È emerso come alcune società regolari venissero utilizzate come schermo per nascondere traffici di rifiuti stoccati abusivamente e abbandonati in capannoni ufficialmente dismessi.

    Il giro bolla

    I metodi più usati sono quelli dei trasbordi da camion a camion e del “giro bolla”, un passaggio fittizio di documenti. Le società in regola acquisiscono formalmente i rifiuti senza però mai scaricarli dai camion. Il contenuto dei cassoni viene poi classificato come «non rifiuto». E con un nuovo documento di trasporto arriva nei luoghi di abbanco abusivo. Sul business incombe l’interesse della ‘ndrangheta e spesso nelle pieghe degli strumenti normativi si inseriscono imprenditori organici ai (o teste di legno dei) clan con ditte che, magari anche spostando la loro sede legale, riescono a ottenere un appalto dopo l’altro.

    Un «collaudato sistema»

    La relazione semestrale della Dia cita “Quarta copia” e parla di un «collaudato sistema che si occupava di riempire di rifiuti provenienti anche dalla Campania in capannoni abbandonati nel Nord Italia, interrandone altri in una cava dismessa nell’area di Lamezia Terme su terreni di proprietà di soggetti risultati contigui alla cosca Iannazzo». La stessa cosca a cui una donna lametina «ricorre per l’apertura di un conto corrente presso un istituto bancario locale».

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    Capitava, infatti, che ci fossero da superare delle resistenze che il rappresentante di una delle aziende coinvolte aveva trovato in una banca di Lamezia. Ma dopo alcuni contatti telefonici con la figlia di un esponente di rilievo del clan il conto corrente che non si riusciva ad aprire viene subito aperto. La stessa intestataria ne è quasi sorpresa e dice al compagno: «Hanno fatto una forzatura».

    Candido come la candeggina

    Proprio grazie alla connivenza dell’area grigia dei professionisti i trafficanti di rifiuti legati alla ‘ndrangheta entrano nelle aziende del Nord e finiscono per appropriarsene. «L’azienda è nostra – è una frase rivolta a un imprenditore brianzolo e intercettata – metteremo a capo un nome candido come la candeggina». Quando serve vengono evocati «i cristiani di Platì e San Luca», ma poi si è capaci di guardare ben oltre il Pollino.

    «Abbiamo sequestrato – ha spiegato la pm milanese Silvia Bonardi, che ha condotto un’indagine sugli stessi trafficanti denominata “Feudo” – alcuni documenti che attestano come uno degli arrestati per suo conto stesse esportando senza autorizzazioni materiale plastico in Turchia». Un altro dei trafficanti coinvolti, originario della Locride, «detiene quote di un cementificio in Tunisia, ha grossi interessi in Germania e in alcune intercettazioni ammette di avere un canale pressoché illimitato per conferire spazzatura nell’inceneritore di Düsseldorf».