Tag: politica

  • Trasversale delle Serre, l’incompiuta che ha più anni che chilometri

    Trasversale delle Serre, l’incompiuta che ha più anni che chilometri

    Per “tagliare” quattro curve e realizzare un tratto di strada di appena un km c’è voluto l’esercito. Negli anni scorsi gli abitanti delle Serre si erano abituati a vedere i ragazzi con il mitra e la mimetica mandati in questo lembo della Calabria centrale a combattere una guerra che di sicuro non era la loro. Quel tratto, oggi completato dopo enormi ritardi e con modalità assimilabili alla diga di Mosul in Iraq, è uno dei simboli della Trasversale delle Serre, una strada di cui si parla da più di mezzo secolo. E che tra le tante incompiute calabresi assume contorni ormai mitologici.

    L'esercito sul cantiere della Trasversale delle Serre
    L’esercito sul cantiere della Trasversale delle Serre (Foto Salvatore Federico, 2016)
    Oltre mezzo secolo, meno di 40 km

    Dovrebbe collegare, in circa 56 km, la costa tirrenica e quella jonica, da Tropea a Soverato, passando per l’entroterra serrese. Non è certo un’opera facile, costellata com’è di gallerie e viadotti. Ma pur essendoci stata nell’ultimo decennio una qualche accelerazione, questo termine rappresenta senza dubbio un eufemismo. Le parti completate oggi misurano circa 37 km e questi chilometri non sono nemmeno consecutivi.

    Una mappa dei tratti realizzati finora
    Una mappa dei tratti realizzati finora

    Siamo pur sempre nella periferia di due province della Calabria (Catanzaro e Vibo) dove ogni cosa sembra più difficile che altrove. Comunque qualche giorno fa il presidente della Regione Roberto Occhiuto l’ha menzionata tra i temi affrontati in un incontro con il ministro delle infrastrutture Enrico Giovannini e anche questa è una notizia. Chissà però se entrambi sanno quanto i loro omologhi in passato abbiano promesso e tagliato nastri vagheggiando uno sviluppo che, nel frattempo, deve aver sbagliato strada.

    Promesse bipartisan

    Non avrebbe potuto perdersi, per esempio, il defunto Altero Matteoli quando, nel febbraio del 2011, per inaugurare due tratti (8 km in tutto) affiancato da Peppe Scopelliti arrivò qui non in auto ma in elicottero. Nell’immaginario locale, poi, più che le parole è rimasta impressa l’improbabile camicia con cui Mario Oliverio si presentò nell’agosto del 2015 accompagnato dall’immancabile stuolo di tecnici e politici che gli illustravano le ben poco progressive sorti dell’infrastruttura.

    In ogni metro della Trasversale delle Serre c’è una quota di retorica e buone intenzioni difficilmente quantificabile. Al di là dell’ironia, ognuno dei politici menzionati e sicuramente molti altri – ci si può inserire anche l’ex parlamentare Giancarlo Pittelli – si è mosso e ha poi messo il cappello sulla “sua” quota di soldi pubblici destinati all’opera. Che in totale potrebbe avere un costo che si aggira attorno ai 600 milioni euro, ma fare una stima compiuta è difficile. Almeno quanto capire se questa, dopo l’incontro Occhiuto-Giovannini, possa essere davvero la volta buona, come l’Anas sostiene da tempo.

    Una storia iniziata nel 1966

    D’altronde si trova traccia della Trasversale delle Serre in atti ufficiali già dal 1966, quando il Comitato regionale per la programmazione economica propose di realizzare una strada «a scorrimento veloce» che collegasse la zona ai due mari. Due anni dopo l’amministrazione provinciale catanzarese inserì l’opera nell’“Asse di riequilibrio territoriale” ma per arrivare al primo appalto si dovette aspettare fino al 1983 (3 km tra Vazzano e Vallelonga). Seguì un altro lungo stop fino a quando, nel 1997, partirono i lavori tra Chiaravalle e Gagliato con grande soddisfazione dell’allora Sottosegretario di Stato ai Trasporti Giuseppe Soriero (governo Prodi), che piazzò se stesso con sfondo di piloni su un memorabile manifesto in cui dichiarava lo sviluppo del territorio ormai inesorabilmente avviato.

    Un opuscolo del 1968 sulla Trasversale
    Un opuscolo del 1968 sulla Trasversale
    Cittadini allo scontro

    Tanto avviato che, oggi, la strada realizzata, sul lato vibonese, va da Serra San Bruno a Vallelonga, pochi chilometri per poi fermarsi e ricomparire con un breve tratto tra le campagne di Vazzano e l’imbocco dell’autostrada. Sul versante jonico va invece ininterrottamente dalla cittadina della Certosa fino a Gagliato. Lì finisce: c’è un muro invisibile su cui si scontrano, giusto per non farsi mancare nulla, le rivendicazioni di due gruppi di cittadini. Quelli che abitano proprio le contrade tra Gagliato e Satriano, contrari al progetto – rimodulato da Anas rispetto a uno originario più complesso e costoso – che vedrebbe loro espropriati un bel po’ di terreni, e quelli del Comitato “50 anni di sviluppo negato” che invece spingono perché almeno si completi quest’ultimo, breve tratto che consentirebbe di arrivare dalle Serre a Soverato in circa venti minuti.

    Il malcontento dei cittadini
    Il malcontento dei cittadini
    Costi e tempo aumentano

    Si sono susseguite riunioni di sindaci, dibattiti, interventi sulla stampa e cartelli piantati sul ciglio della strada. Ma ancora è tutto fermo e chi tragga vantaggio da simili lungaggini è difficile stabilirlo. Certo fa specie ciò che la Guardia di finanza qualche tempo fa ha segnalato alla Corte dei conti: un potenziale danno erariale di oltre 56 milioni di euro emerso dopo un monitoraggio durato tre anni sull’appalto che riguarda il tratto vibonese, aggiudicato nel 2005 per un importo di circa 124 milioni di euro e concluso dopo 13 anni spendendone oltre 191. Il risultato è che i tempi contrattuali si sono dilatati del 300% con «un incremento pari al 46% circa dell’importo dei lavori».

    Fiamme e pallottole

    Quella della Trasversale delle Serre non è certo solo una storia di proteste, lungaggini burocratiche e costi lievitati. Nell’aprile del 2015 un capocantiere fu arrestato perché accusato di essere tra i responsabili delle intimidazioni subìte dalla sua stessa azienda. Ne emerse «un solido rapporto fiduciario» tra il capocantiere e alcuni «esponenti di pericolose organizzazioni criminali intenzionate ad affermare il loro potere sul territorio».

    Nella notte tra il 12 e il 13 ottobre 2014 le fiamme distrussero diversi mezzi di quel cantiere e il geometra che aveva denunciato il fatto trovò un bossolo calibro 12 sotto il tergicristallo dell’auto. Poi qualcuno gli telefonò dicendo: «Se non ve ne andate la prossima volta le cartucce saranno piene, per te e i tuoi colleghi». A fare quella telefonata, secondo quanto emerse dall’inchiesta dei carabinieri di Serra San Bruno, sarebbe stato proprio il capocantiere poi arrestato.

    Pentiti e Servizi segreti

    In una relazione consegnata al governo nel 2007 i Servizi segreti segnalavano che tra «le proiezioni imprenditoriali/collusive della ’ndrangheta» c’era il settore dei lavori stradali. E che, in questo ambito, c’erano «soprattutto» quelli di ammodernamento della Salerno-Reggio Calabria, della Statale 106 e della Trasversale delle Serre. Che le ‘ndrine della zona abbiano banchettato sui lavori della Trasversale lo ha rivelato l’inchiesta “Showdown 3”. Un pentito, Gianni Cretarola, che ha raccontato molti retroscena della seconda “faida dei boschi” e ha parlato del «grande business della Trasversale».

    Secondo Cretarola «tutto l’ambiente ‘ndrangheta» era coinvolto nelle decisioni sui grandi appalti: agli imprenditori veniva imposto di pagare il 3% che veniva poi diviso tra le ‘ndrine del luogo. Anche il pentito vibonese Andrea Mantella ha raccontato di presunti legami tra la ‘ndrangheta locale e un noto politico della zona per «raddrizzare questi grossi imprenditori, che venivano dal Nord» e piazzare gli escavatori e il calcestruzzo del clan sui cantieri della Trasversale delle Serre.

  • Antigone a Cosenza, dove serve il permesso per difendere il centro storico

    Antigone a Cosenza, dove serve il permesso per difendere il centro storico

    Ci sono notizie che nel frastuono mediatico colpiscono (e feriscono) per la loro insensata enormità. Udite! Udite! A Cosenza, i promotori di una passeggiata organizzata per sensibilizzare l’opinione pubblica sui crolli che minacciano palazzi antichi e interi isolati del centro storico dovranno rispondere davanti alla legge di “adunata non autorizzata”. Hanno violato le disposizioni ministeriali! Non hanno comunicato per iscritto alle autorità competenti le loro “subdole” intenzioni! Pertanto, il codice li minaccia; e arriva la salatissima sanzione pecuniaria.

    La bellezza oltraggiata di Cosenza vecchia

    Il cuore di Cosenza, il suo bellissimo centro storico, edificato nel corso di oltre 25 secoli, versa in condizioni disastrose, nel totale disinteresse dei più, e se un drappello di volenterosi si permette di passeggiare tra le macerie, senza aver chiesto il nulla osta alle autorità costituite, viene sanzionato. Stupore, sdegno, amarezza!
    Qualsiasi visitatore che, anche occasionalmente, abbia risalito Corso Telesio verso il teatro Rendano sfiorando la cattedrale; o abbia contemplato, dalla sommità del Castello svevo, il panorama della città; o ancora da Palazzo Arnone abbia ammirato le case e i palazzi che dalla riva del Crati scalano, in molteplici filari, la china del colle fino alla Rocca, ebbene, questo “forestiero” sa che Cosenza è uno straordinario deposito di storia e di cultura da salvaguardare a tutti i costi. Eppure, eppure c’è chi pensa che sarebbe meglio non parlarne. Nascondere il disastro e rimuovere le macerie nascondendole nell’inconscio e nella frenesia della cosiddetta “modernità”. Chiunque voglia parlarne può farlo “liberamente” ci mancherebbe, ma solo dopo aver chiesto il permesso in carta bollata.

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    Il centro storico di Cosenza
    L’oblio delle radici culturali di Cosenza

    Questo increscioso episodio meriterebbe di essere seppellito da una sonora risata se non fosse il sintomo di un preoccupante oblio delle radici culturali della città che si fa bella alle luci di Corso Mazzini, mentre trascura e abbandona a se stesso il suo cuore antico. La modernità ormai fa rima solo con comodità e stupidità. Tutto ciò che non è a portata di mano, che non è disponibile all’istante viene giudicato scomodo e quindi condannato a morire di stenti in nome del progresso.

    Si straparla di sostenibilità e di transizione ecologica e si lascia la città antica al chiasso e ai veleni dei tubi di scappamento, ai crolli annunciati, ai topi e al degrado. Un traffico sconclusionato e caotico cavalca il lastricato delle antiche strade del borgo mentre la collettività, anziché insorgere e chiedere a voce alta che si faccia qualcosa, si gira dall’altra parte e guarda a valle dove il Crati si perde in una periferia anonima e senza qualità; in attesa che il progresso si faccia vivo. Ma invano.

    Il ridicolo ci mette lo zampino

    C’è da chiedersi cosa direbbe Bernardino Telesio vedendo la sua città a tal punto trascurata. Anzi snaturata. O il suo coetaneo Giovanni Battista Amici il primo a mettere in discussione il sistema tolemaico e i cui studi sui moti e i corpi celesti influenzarono Copernico prima e Galileo Galilei poi. O ancora Alfonso Rendano pianista celebre in tutta Europa nell’età d’oro delle Società dei concerti. Tutto questo glorioso passato potrebbe tacitamente affondare nelle acque del Crati – divenuto ormai il fiume dell’oblio – se il ridicolo non ci avesse messo lo zampino con il clamore di una notizia strepitosa. I facinorosi passeggiano nel centro storico.

    La casa crolla ma serve il permesso per salvarla

    È proprio vero! La tragedia si ripresenta sempre come farsa, per il semplice motivo che il torto si appoggia sempre sulle stesse fissazioni formali che nascondono la solita sete di potere. Secondo questa fissazione burocratica la legge scritta e comandata viene prima della legge di natura e del comune sentire. La casa crolla, ma per salvarla bisogna chiedere il permesso.

    Questa è la legge di Creonte, l’usurpatore. Coloro che si preoccupano della propria città, che si impegnano e denunciano lo “stato delle cose”, per cercare almeno di salvare il salvabile, hanno nel loro cuore lo stesso sentimento di Antigone per il fratello morto in battaglia e condannato da un potere cieco e insensibile a restare insepolto. Tutti devono vedere il cadavere di una città che si oppone alla legge di Bengodi. L’agire di Antigone è mosso da un sentimento di pietas che non ha argomenti da offrire alla violenza del diritto. Le sue parole rimandano alla legge non scritta della cura e della pietà.

    Crolli nel centro storico di Cosenza
    Cittadini schiavi dell’insensibilità

    Perché una terra nobilissima che quotidianamente sperimenta sulla propria pelle la violenza dell’illegalità non alza la voce per chiedere che le amministrazioni si prendano cura dei beni comuni? Beni archeologici, storici, paesistici! Perché il solipsismo consumistico ha trasformato così tanti cittadini in schiavi dell’insensibilità e dell’egoismo maligno. Perché se un manipolo di anime buone e buoni cittadini cerca di interpretare il disagio urbano risalendo i vicoli da Piazza dei Valdesi verso Piazza Piccola, viene multata? Così, nel totale disordine simbolico del potere, si fa strada la voce muta della legge cieca.

    Nel regno di Creonte Antigone, la disobbediente viene condannata a morire di fame e di stenti in una caverna. È colpevole di aver provato pietà per il corpo senza vita del fratello. Creonte decide che nessuno debba vedere la sua fine. Quando però il tiranno, messo alle strette dalle parole di Tiresia e dalle proteste del coro della sua gente cerca, in extremis, di riparare al delitto contro la sua stessa casa, troverà la casa vuota e Antigone senza più vita.

    Giuliano Corti

  • La città unica del Crati per superare i campanili dell’area urbana

    La città unica del Crati per superare i campanili dell’area urbana

    «La città è il più importante monumento costruito dall’uomo», ha scritto Vittorio Gregotti, ma di città non si parla da anni nel dibattito su Cosenza-Rende, se non in forme e modi assolutamente generici.
    Per l’esteso sistema policentrico che si distende per chilometri nella Valle del Crati, si organizza come sistema lineare lungo il tracciato autostradale da Sud verso Nord e viceversa, interessa le colline, lambisce e raggiunge i centri della memoria storica, da anni si scrive, si dice, si parla di “Area urbana”. Ovvero un generico, indefinito agglomerato di centri, medi e piccoli, che possono, più o meno, essere assimilati ad una informe estensione di edifici e strade, che in questa definizione, riduttiva, è come se non avessero confini e identità.

    Unical, la terza città dell’area urbana

    Invece, ogni città nasce con un suo “genius Loci”, così che il rispetto di questa origine è dirimente nella continuità tra storia e modernità. Negarne le matrici, annullandole in geografie improbabili e irriconoscibili è negarne passato e futuro.

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    L’Università della Calabria

    Nel caso di Cosenza e Rende, per citare le due città più estese dentro una quantità di altre piccole città coinvolte in questi “filamenti”, ci troviamo nel territorio provinciale più ampio della regione, oggi esito di una compulsiva attività costruttiva, con conseguente dilagante urbanizzazione il cui disordine ha disegnato insediamenti a macchia di leopardo. Con una terza città, la più importante per prestigio e credito internazionale, ma che viene anche questa spesso rimossa, e che pure esiste, con una sua identità e valore architettonico, ovvero la città della ricerca, il Campus Unical, con una frequenza giornaliera di almeno 30mila utenti e relazioni nazionali e internazionali.

    Una città-territorio-policentrica

    Per questo insieme scomposto, esploso, fatto di una abbondante quantità di edilizia anonima, strade, luoghi diversi tra loro, periferie estese, assenza di qualità diffusa, mancanza di centralità originali, parlare di città – e non di area urbana – è far emergere il tema vero su cui fondare una visione di futuro. Tra conflitti e potenzialità, come la quantità di differenti forme insediative sparse lungo un raggio di almeno trenta chilometri, che di fatto delineano un nuovo modello urbanistico, che sfugge alla tradizionale pianificazione, e che è fatto di moderne e incompiute strutture urbane. Qui non siamo davanti ad una semplice “area urbana”, ma dentro una città territorio-policentrica, articolata, complessa, ramificata, socialmente diversificata, economicamente differenziata.

    La nuova idea di città post-pandemia

    Se insisto, da tempo, su questa sottile, ma fondamentale differenza, è perché la definizione di città, più che mai oggi, necessita di un aggiornamento dopo l’insieme di fenomeni significativi, che nel corso di almeno cento anni, dall’avvento dell’urbanistica moderna, ne hanno modificato senso e funzione.
    E città oggi è l’esito dei recenti, moderni processi di crescita e formazione, non sempre pianificati, anzi spesso assenti, città che nasce e si sviluppa su polarità economiche, culturali, sociali, politiche e che dopo la pandemia, ha assunto un carattere ancora più marcato e in progressiva mutazione.
    La città post-pandemia, per esempio chiede già alcune scelte precise: meno traffico, spostamenti meno inquinamenti, meno costruito e più verde, meno chiusura sociale e più apertura relazionale, più cultura, più attenzione ai valori e ai servizi.

    Cosenza-Rende? Meglio la città del Crati

    Ed ecco, per esempio, su queste basi, su tale riconoscimento di ruoli, di pesi territoriali e di gravitazioni, di vere posizioni geopolitiche tra storia e modernità, sul senso di partecipazione dei cittadini e di tutte le forze attive, che si può aprire la discussione sulla fusione tra i diversi centri che fanno corona al capoluogo Cosenza. Perché non solo di una relazione “privilegiata” tra le due big city, Cosenza e Rende, si tratta, ma dell’articolata città-territorio, più ampia e complessa citata, che se non riconosciuta nella forma urbanistica, nelle nuove e articolate morfologie odierne, e nelle dimensioni che ha assunto in circa cinquant’anni, ovvero quello della città estesa della Valle del Crati, resterà incapace di sviluppare qualsiasi forma di collaborazione, nonché di fusione tra centri, che avverrebbe in modi del tutto semplicistici e solo amministrativi.

    E a ben guardare il Crati, “espulso” da tempo dalle vite di città e cittadini, che lambisce naturalmente da sempre tutti gli insediamenti, e che nella sua rete ecologica, tra affluenti e sistemi idrici minori, riguarda quasi tutti i centri, potrebbe essere l’elemento unificante e l’unico capace di garantire una vera transizione ecologica, costruendo sul suo antico e prestigioso ruolo di più grande fiume di Calabria, la città che sarebbe soprattutto la Comunità del Crati.

    Evitare la sommatoria Corigliano-Rossano

    Ma quale ruolo la nuova, futura Città del Crati deve avere nel contesto regionale, meridionale e nazionale, una volta messe insieme le diverse entità, ora separate amministrativamente, potrà garantirlo solo una visione unitaria, proiettata nel futuro di almeno trent’anni, capace di dare respiro, slancio e iniziative urbane per superare le questioni numeriche e puntare alla qualità.

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    La città di Corigliano-Rossano

    Anche attraverso la somma, positiva, delle diverse identità storiche che comporranno lo scenario futuro, su cui si decideranno scelte determinanti che vanno dalla mobilità, agli spazi di relazione, a quelli della società e dell’economia, della cultura.
    Insomma, ciò che è successo a Corigliano-Rossano, dove è mancata persino la creatività di trovare un nome-acronimo comune che potesse rendere identificabile la nuova città, e dove la fusione è stata fatta a freddo, per meri calcoli amministrativi e conseguenti vantaggi (forse solo “per qualche dollaro in più”!), non dovrebbe accadere a Cosenza-Rende, alla Città del Crati, pena un impoverimento e non un arricchimento.

    Una mobilità non inquinante per Cosenza-Rende

    Rifondare una nuova città in Calabria, da città esistenti, in un momento storico come questo, in piena fase di transizione ecologica, vuol dire uscire dal vecchio modello quantitativo e muoversi su quello qualitativo. Vuol dire sapere tenere insieme la complessa rete di realtà che solo un progetto di mobilità di rango metropolitano, non inquinante, può garantire, vuol dire scelte coraggiose, lungimiranti, ambiziose, ma fondate, che purtroppo non si intravedono nei programmi delle attuali classi di amministratori.

  • Azienda Zero, quando Gallo le cantava ad Oliverio

    Azienda Zero, quando Gallo le cantava ad Oliverio

    Di indigestione di parole rimangiate non risulta mai morto nessun politico e siamo certi possa sopravvivere anche l’assessore regionale Gianluca Gallo. Mentre la maggioranza si appresta a votare per la nascita di Azienda Zero, non risultano in merito dichiarazioni del recordman di preferenze delle ultime elezioni. Niente di straordinario, si dirà: Gallo fa parte della maggioranza che vuole affidare tutta la sanità al presidente Occhiuto, perché opporsi? Il problema è che lo stesso Gallo, da consigliere d’opposizione, ne diceva di tutti i colori su un’idea a dir poco simile quando a proporla era stato Oliverio.

    Basta andare a ritroso sulla sua bacheca Facebook per trovarne ancora le prove. Siamo a dicembre del 2017 e il Nostro pubblica un post inequivocabile. «Vogliono che la politica controlli la sanità. Vogliono che il loro governo orienti scelte, decisioni e probabilmente nomine. Invece di occuparsi dei problemi della gente, che non ha più ospedali in cui curarsi né servizi efficienti sui quali poter contare, con un emendamento infilato nella Legge di Stabilità la giunta Oliverio punta a sopprimere le aziende sanitarie provinciali ed a creare un’unica azienda sanitaria regionale, con sede a Catanzaro. Alla faccia del decentramento e delle esigenze dei cittadini, e di negative esperienze passate, con un blitz vogliono accentrare tutto per poter avere maggior potere decisionale. Una vergogna. Ci opporremo con tutte le forze».
    L’azienda unica rimase sulla carta, magari per merito anche dell’opposizione dell’attuale assessore all’Agricoltura. Che si deve essere tanto sforzato all’epoca da non avere nemmeno più un briciolo d’energia per rilanciare la vecchia, sentitissima battaglia quattro anni dopo.

  • Azienda Zero, così Occhiuto governa tutta la Sanità calabrese

    Azienda Zero, così Occhiuto governa tutta la Sanità calabrese

    La Sanità calabrese sono io. Roberto Occhiuto potrebbe parafrasare il motto di Luigi XIV (in quel caso era “Lo Stato sono io”), incoronandosi sovrano assoluto di un settore così nevralgico. Dopo la nomina a commissario straordinario alla Sanità, martedì 14 dicembre arriverà a Palazzo Campanella la proposta di legge di istituzione dell’Azienda Zero a firma del fedelissimo consigliere regionale, Pierluigi Caputo.
    Operazione da 700mila euro iniziali che poi pescherà nelle risorse stanziate per la garanzia dei Lea (Livelli essenziali di assistenza) previste dal bilancio di previsione 2022-2024.

    Parola d’ordine “centralizzare”

    L’azienda Zero nasce dalla necessità di “razionalizzare, integrare ed efficientare i servizi sanitari, socio-sanitari e tecnico amministrativi del Sistema sanitario regionale” dopo 12 anni gestione commissariale ritenuta fallimentare dall’organo controllo ministeriale sui conti della nostra sanità.
    Per raggiungere tali obiettivi, è previsto l’accentramento di poteri e funzioni attraverso la gestione dei flussi di cassa relativi al finanziamento del fabbisogno sanitario regionale.
    All’Azienda Zero faranno capo tutti gli acquisti, le procedure di selezione del personale delle aziende sanitarie, le autorizzazioni e gli accreditamenti delle strutture private, la gestione del contenzioso, le eventuali transazioni, coordinerà la medicina territoriale e darà gli indirizzi in materia contabile alle Asp e Ao della Regione: il cuore malato della sanità calabrese dove si annidano clientele, sperperi, inefficienze, commistioni e interessi che hanno generato quel debito monstre che gli stessi organi contabili continuano a definire incalcolabile.

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    La sede dell’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza
    Un potere immenso nelle mani di Occhiuto

    L’Azienda zero avrà un potere immenso che fino a questo momento non aveva avuto nemmeno l’ufficio del Commissario che, pur avendo avocato in una sola figura praticamente la gestione dell’intero comparto, doveva sempre e comunque rispondere anche al dipartimento regionale Tutela della Salute che oggi viene derubricato a un mero organo di coordinamento. Si bypasseranno così – o almeno questo è l’obiettivo – anche le difficoltà di interlocuzione con dirigenti territoriali.

    Ma chi controlla chi?

    Il direttore generale dell’Azienda Zero sarà nominato dal presidente della Regione Calabria previa autorizzazione della Giunta o dal commissario ad acta. Non farebbe una piega se non fosse che il presidente della giunta si chiama Roberto Occhiuto che poi è anche il commissario delegato alla sanità. Facile immaginarsi Occhiuto mentre s’interroga sul professionista da nominare guardandosi allo specchio.
    Che la sanità fosse il regno incontrastato di baroni e baronetti era cosa nota ma adesso siamo alla restaurazione della monarchia. Occhiuto è presidente, commissario ad acta, nomina il dg del Dipartimento Salute e sceglie il capo dell’Azienda Zero. Roberto come Luigi XIV: il re Sole della Regione Calabria.

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    La Cittadella regionale a Germaneto
    Occhiuto: meno poteri alle Asp

    L’Azienda unica della sanità non è una novità calabrese. Lo dice lo stesso Roberto Occhiuto parlando con i giornalisti a Catanzaro del progetto Calabria Zero. «Esiste già in altre Regioni – è il commento del presidente della Giunta -, ho voluto farla anche in Calabria perché nelle aziende sanitarie c’è una capacità amministrativa non sempre adeguata. Ho ritenuto che fosse più utile costruire un unico cervello – continua Occhiuto – che accentrasse tutta la capacità amministrativa e che potesse svolgere, per conto di tutte le Aziende sanitarie, le funzioni che altrimenti non riescono a svolgere. Anche questo va nella direzione di riorganizzare e rendere più efficiente il sistema sanitario».

    Occhiuto ha infine precisato: «Non c’è una riduzione del numero delle aziende, c’è la costituzione di quella che di fatto sarà una sorta di agenzia. Certo, le Aziende sanitarie faranno meno di quello che hanno fatto finora dal punto di vista amministrativo, ma non mi sembra che abbiano brillato».

    I presupposti per dare una sterzata convinta alla governance della sanità, ci sarebbero pure. Ma c’è da capire – e non è una questione di secondo piano – a chi sarà affidata la gestione dell’Azienda unica regionale dal momento che al timone della nostra disastrata sanità si sono succeduti marescialli, comandanti e generali ma mai nessuno con una concentrazione di potere così grande.

  • Centro storico, anche Caruso si unisce alla protesta: «La Questura ci ripensi»

    Centro storico, anche Caruso si unisce alla protesta: «La Questura ci ripensi»

    La stangata inflitta a Stefano Catanzariti, Roberto Panza e Roberto Martino, colpevoli secondo la Questura di Cosenza di aver organizzato una passeggiata pacifica tra le macerie del centro storico fa sempre più rumore. In difesa dei tre, che hanno ricevuto una multa da quasi 1.200 euro ciascuno, si schiera anche il neo eletto sindaco Franz Caruso.

    Anche il sindaco prende posizione

    «La libertà di manifestazione del pensiero, costituzionalmente garantita, reca in sé, come diretta conseguenza, che anche la libertà di esprimere il proprio dissenso goda della medesima tutela«. Caruso, da buon politico, ribadisce «il pieno rispetto delle decisioni assunte dalle autorità preposte e nella convinzione che la giustizia debba fare il suo corso». Poi però viene fuori l’avvocato penalista che è in lui e non gira troppo intorno alla questione: «Non posso fare a meno di esprimere una posizione di garanzia a favore della libertà di manifestazione del pensiero e quindi anche di quella tesa ad esprimere il proprio dissenso».

    «In una società democratica come la nostra – prosegue il sindaco – sarebbe impensabile censurare aprioristicamente i contributi alla discussione ed alla riflessione, soprattutto quando, come nel caso specifico, siano finalizzati a richiamare pacificamente l’attenzione dell’opinione pubblica e delle istituzioni su questioni e problematiche che riguardano aree degradate e bisognevoli di interventi». Infine, l’invito a ragionare meglio sulla decisione augurando ci sia un passo indietro. «Per come rappresentati, non mi pare che i fatti del luglio scorso possano in qualche modo integrare ipotesi di reato. Auspico, pertanto, che vi sia la volontà degli organi preposti a riconsiderare i comportamenti degli attivisti e a rivedere i provvedimenti adottati nei loro confronti».

    La solidarietà di decine di associazioni

    Quello di Caruso non è il solo attestato di solidarietà arrivato a Catanzariti, Panza e Martino. Già ieri oltre 40 tra associazioni, movimenti e partiti locali avevano diramato una nota per esprimere la loro vicinanza dopo la sanzione draconiana voluta dalla Digos bruzia.
    «È una solidarietà totale perché il provvedimento mira a punire l’attivismo civico e sociale che in questo frangente specifico si concretizza con una pratica molto diffusa. La passeggiata di quartiere, infatti, è una delle tecniche – pacifiche – di facilitazione della partecipazione, un modo per sensibilizzare ed educare alla cittadinanza attiva, per coltivare i valori della Costituzione italiana.

    Il provvedimento merita una riflessione attenta da parte di tutta la società civile cosentina perché crea un precedente preoccupante. Si punisce l’attivismo e si criminalizza la solidarietà. Il centro storico di Cosenza oggi versa in una situazione devastante dal punto di vista urbanistico e sociale. Denunciarne lo stato di abbandono e degrado in cui versa non può essere punito!
    Punire chi oggi pratica con metodi pacifici la partecipazione e la riflessione oltre che le buone prassi solidaristiche non può meritare questo trattamento».

    Questi i firmatari del comunicato:
    • Radio Ciroma«
    • ANPI Provincia di Cosenza ” Paolo Cappello “
    • La Terra di Piero
    • Arci APS Cosenza
    • Ass. di volontariato San Pancrazio
    • Ass. di volontariato Santa Lucia
    • Associazione “Dossetti”
    • Associazione di volontariato “MorEqual”
    • Galleria d’arte indipendente autogestita (GAIA)
    • Arci Red
    • Coessenza
    • Summer school ‘Abitare l’inabitabile’
    • R-accogliere Soc. Coop. Soc.
    • Cosenza in Comune
    • Strade di casa Soc. Coop. Soc.
    • Associazione Bernardina Barca Onlus
    • Prendocasa
    • Centro Sociale Rialzo
    • Auditorium Popolare
    • Fem.in cosentine in lotta
    • Comitato Piazza Piccola
    • Federazione Provinciale Rifondazione Comunista
    • Forum Ambientalista Calabria
    • Oncomed
    • CSV 89
    • Progetto Azadì
    • Aula studio liberata
    • Consulta pari opportunità e diritti umani comune di Rende
    • USB Cosenza
    • Cobas telecomunicazioni Cosenza
    • S.P.Arrow
    • Friday for Future Cosenza
    • Comitato Rivocati Riforma
    • Associazione Niki Aprile Gatti Onlus
    • Skalea solidale
    • Progetto Meridiano
    • Comitato di quartiere Villaggio Europa
    • ASD Ceep Villaggio Europa
    • Lav Romanò
    • Fronte Gioventù Comunista Cosenza
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  • Cosenza frana e i soldi per salvarla restano un mistero

    Cosenza frana e i soldi per salvarla restano un mistero

    «Le frane sono un evento imprevedibile, ma le aree a rischio si conoscono bene, per questo la minaccia per la popolazione può essere mitigata», spiega Fabio Ietto, geologo e docente all’Unical. Il centro storico di Cosenza è interamente cresciuto su un’area a rischio e di frane ce ne sono state parecchie, per fortuna senza che nessuna abbia causato morti.

    Incidente mortale

    La sola vittima, indiretta, di una frana è stata Giampiero Tarasi, che l’otto marzo si è andato a schiantare con la moto contro i blocchi di cemento che chiudevano via Vittorio Emanuele II. Ad uccidere Giampiero non è stato un masso venuto giù dalla collina, ma l’inerzia di chi, pur avendo chiuso la strada da mesi, non solo non aveva provveduto a mettere in sicurezza la parete franosa, ma non aveva nemmeno adeguatamente segnalato l’interruzione.

    Striscione di protesta sui muri del Comune di Cosenza dopo la morte del giovane Tarasi
    Striscione di protesta sui muri del Comune di Cosenza dopo la morte del giovane Tarasi

    Eppure quella frana era caduta mesi prima e ancora oggi, a dispetto di tutto, la via principale di accesso a Porta Piana resta chiusa. Eppure «alcuni provvedimenti – continua Ietto – sono possibili. Sono diverse le soluzioni che il geologo può proporre alle amministrazioni di realizzare, come il posizionamento di reti, o semplicemente individuare i massi pericolanti e rimuoverli in sicurezza. Spesso però non ci sono risposte dalle autorità a tali sollecitazioni».

    Rischi diffusi

    «La decisione di chiudere via Vittorio Emanuele II è emersa da un tavolo di concertazione», afferma Antonella Rino, ingegnere e dirigente del settore Protezione civile del Comune di Cosenza. La Rino ricorda la presenza di tutte le autorità di riferimento in quelle circostanze, quindi i rappresentati della Prefettura, i Vigili del Fuoco, la Protezione civile regionale. La dirigente esprime tutta la sua preoccupazione, ma anche l’impotenza, davanti alla diffusione di situazioni a rischio, come la zona di contrada Jassa, «dove esiste una minaccia relativa a uno scenario idrogeologico, con un certo numero di famiglie a rischio di evacuazione in caso di allerta meteo». Rischio che si è puntualmente presentato nel corso dalle recenti forti piogge.

    Quanti soldi ci sono?

    Si dovrebbero mettere in campo interventi di prevenzione, ma è difficile senza risorse adeguate. Con tono sconsolato la dirigente dichiara che il suo ufficio «è ridotto al lumicino, senza nemmeno un dipendente». Ad occuparsi degli interventi dovrebbe essere il settore Infrastrutture, il cui dirigente è assente per motivi di salute. Senza di lui nessuno sa di preciso se e quanti soldi ci sono per il dissesto idrogeologico. Nemmeno il neo assessore Damiano Covelli è certo dell’esistenza di risorse per provvedere alla messa in sicurezza delle frane, avendo a che fare la nuova giunta con un dissesto di ben altra natura.

    Cosenza frana- Il neo assessore comunale cosentino Damiano Covelli
    Il neo assessore comunale cosentino Damiano Covelli
    Prevenire è meglio che curare

    Il dissesto, quello idrogeologico, intanto non aspetta. Ed è ancora Ietto a spiegarci che nel frattempo altre situazioni a rischio sono emerse, «come quella del 2019 a via Corsonello, strada di accesso alla città vecchia e a contrada Macchia». Si estende dunque l’area a rischio e «l’ente competente dovrebbe fare prevenzione, non limitarsi a chiudere le strade dopo una frana», dice ancora il geologo. Letto, però, è consapevole che spesso «il singolo comune non ha soldi per affrontare per intero l’emergenza e perciò servirebbero risorse a livello ministeriale»

    Occasioni sprecate

    Per la verità di soldi dallo Stato ce ne sarebbero pure stati. Quelli, ad esempio, del Dipartimento per gli affari territoriali, Direzione centrale della Finanza Locale del Ministero dell’Interno, che aveva emanato un bando per l’accesso a cospicue risorse destinate a «opere pubbliche di messa in sicurezza degli edifici e del territorio». Per i comuni con popolazione oltre i 25mila abitanti, c’erano disponibili cinque milioni di euro, ma incredibilmente il Comune di Cosenza fece spallucce e non aderì al bando.

    Frana a Portapiana
    Frana a Portapiana

    Ma se credete che quelle siano state le sole risorse destinate alla sicurezza del territorio perse dalla passata amministrazione vi sbagliate. Infatti nel 2016 nel Repertorio Nazionale degli interventi per la difesa del suolo erano previsti ben sette milioni di euro per interventi mirati alla mitigazione del rischio di qualche nuova frana nel Centro storico. Quei soldi però non sono mai arrivati, bloccati da questioni burocratiche che hanno fatto scadere il contratto con la ditta che avrebbe dovuto gestire i servizi.

    L’ultima speranza
    Fabio Ietto
    Il geologo Fabio Ietto (foto A. Bombini) – I Calabresi

    Ancora una volta l’ultima speranza viene dai famosi 90 milioni, alcuni dei quali sarebbero destinati proprio a «interventi strategici per la qualificazione del quartiere dove è ubicato il Conservatorio e l’adeguamento del muro di sostegno Portapiana»
    Il fatto è che, come insiste Fabio Ietto, «il centro storico di Cosenza vive una condizione e di degrado notevolissima». Ma oggi dire una cosa del genere potrebbe diventare rischiosa: anche Giustino Fortunato, che descrisse la Calabria come «uno sfasciume pendulo» potrebbe essere denunciato.

    La locuzione originaria – “sfasciume pendulo sul mare”– è ascritta a Giustino Fortunato (“La questione meridionale e la riforma tributaria”, 1904)

  • Cemento à gogo, la Corte costituzionale boccia il Piano Casa della Regione

    Cemento à gogo, la Corte costituzionale boccia il Piano Casa della Regione

    Tutelare il paesaggio e l’ambiente non pare interessare granché alla Regione, meglio il cemento. La prova? L’ultimo Piano Casa approntato dalla Cittadella, impugnato dal Governo e bocciato dalla Corte costituzionale poche settimane fa. Le ragioni dello stop sono appena uscite sul Burc. E dimostrano ancora una volta l’impegno dei nostri legislatori a tenere alto il nomignolo della Calabria. Che, già sommersa dall’edificazione selvaggia, rischiava di essere seppellita sotto un ulteriore strato di cemento grazie all’introduzione di norme edilizie all’insegna del “liberi tutti”.

    Dialogo interrotto

    La legge regionale oggetto del contendere era la numero 10 del luglio 2020, ma la questione affonda le sue radici nel tempo. La Calabria, infatti, non è in grado da anni di dotarsi di un Piano paesaggistico regionale, come previsto invece dal Codice dei Beni culturali e, appunto, del Paesaggio. L’unico passo in avanti in tal senso risale al 2016. All’epoca il Consiglio approvò il Quadro territoriale regionale a valenza paesaggistica (QTRVP) a seguito di un’interlocuzione col Mibact avviata quattro anni prima.
    Il dialogo col ministero, obbligatorio in base agli accordi tra le parti, si è interrotto però. E, quattro anni dopo, la neoeletta maggioranza di centrodestra ha deciso di mettere mano alla materia in autonomia infichiandosene dei patti con Roma. E del fatto che l’ultima parola su paesaggio e ambiente spetti al Governo e non agli enti locali.

    Nuove deroghe ai vecchi vincoli

    Cosa hanno deciso, invece, in Calabria? Di legiferare in (ulteriore) deroga agli strumenti urbanistici vigenti, modificando (al rialzo) i limiti relativi agli ampliamenti volumetrici e quelli legati alle variazioni di destinazione d’uso e del numero di unità immobiliari. E gli impegni circa una pianificazione condivisa, il corretto inserimento degli interventi edilizi nel contesto paesaggistico, la tutela del paesaggio prevista anche dalla Costituzione, la necessità di una programmazione unitaria sul territorio nazionale? Chissenefrega.

    La Cittadella aveva dato il via libera ad ampliamenti volumetrici fino al 30% per gli immobili esistenti, introdotto deroghe all’altezza massima dei nuovi edifici, la possibilità di riposizionare diversamente quelli demoliti e da ricostruire. Tutto al di fuori di ogni criterio di pianificazione paesaggistica «da concordare necessariamente e inderogabilmente con lo Stato».

    Via al cemento, il paesaggio non conta

    Così quest’ultimo ha impugnato la norma, ritenendo «palese l’intento del legislatore regionale di stabilizzare nel lungo periodo la previsione di interventi edilizi in deroga agli strumenti urbanistici, che erano, invece, stati introdotti come straordinari». La conseguenza? «Accrescerne enormemente il numero e renderne “costante l’estraneità […] rispetto all’alveo naturale costituito dal piano paesaggistico”».

    Come si è difesa la Regione? Sostenendo che il ricorso del Governo peccasse di eccessiva genericità e indeterminatezza. E affermando che la concertazione con i ministeri competenti fosse obbligatoria soltanto in caso di beni e aree tutelate. I giudici, però, hanno smontato punto per punto questa linea. E sottolineato al contrario che, avendo siglato la Cittadella un protocollo nell’ormai lontano 2009 che stabiliva l’obbligo di dialogare con lo Stato in tema di paesaggio per arrivare alla stesura del Piano regionale, cambiare le carte in tavola come se gli accordi non esistessero è illegittimo.

    A quando il Piano?

    Pacta sunt servanda, i patti si rispettano: la massima latina vale ancora oggi. E il Consiglio regionale della Calabria non poteva non tenerne conto, svalutando peraltro principi costituzionalmente garantiti, per autorizzare colate di cemento extra. Le modifiche introdotte, infatti, avrebbero finito per «danneggiare il territorio in tutte le sue connesse componenti e, primariamente, nel suo aspetto paesaggistico e ambientale». Una lesione, a detta dei magistrati, ancora più fuori luogo alla luce della «circostanza che, in questo lungo lasso di tempo non si è ancora proceduto all’approvazione del piano paesaggistico regionale». Tutto sbagliato, tutto da rifare.

  • Libri gratis alle elementari? A Cosenza e Reggio pagano le famiglie

    Libri gratis alle elementari? A Cosenza e Reggio pagano le famiglie

    Anche quest’anno niente soldi per i libri degli alunni delle scuole elementari di Cosenza. Il Comune in dissesto non paga le librerie scolastiche che, a loro volta, dopo avere fornito i libri nel 2019 senza essere stati pagati in tempo e integralmente, hanno deciso di fare anticipare – come già successo nel 2020 – il costo dei libri alle famiglie dei bambini anche per quest’anno. Somme che saranno restituite non appena il Comune liquiderà le fatture alle librerie. «Non è mancanza di volontà», ribadiscono in coro i librai della città, «purtroppo siamo arrivati al limite delle nostre forze. Non riusciamo più ad anticipare somme che poi non ci restituiscono».

    Oltre metà incasso volatilizzato

    I titolari delle librerie scolastiche di Cosenza portano ad esempio quanto accaduto nel 2019. «Abbiamo fornito a tutti coloro che presentavano le cedole di acquisto i testi richiesti. Sapete come è andata a finire? Che siamo stati “costretti” ad accettare una transazione con cui il Comune ci ha liquidato il 40% del totale fatturato». E dal momento che sui testi scolastici l’utile è di appena il 15%, il conto è presto fatto: su circa 90mila euro che il Comune avrebbe dovuto rimborsare, i librai ne hanno intascati appena 36mila.

    Il nocciolo della questione sta qui. A Cosenza, complice il dissesto finanziario, il Comune non eroga somme che dovrebbero già essere in bilancio su uno specifico capitolo di spesa. Così le librerie devono sospendere le forniture e ai genitori tocca aprire il portafogli.
    Laura G. è la mamma di una bambina in prima elementare. «Nel mio caso – dice – non sono i 50 euro per i sussidiari di Aurora a fare la differenza, ma cerco di mettermi nei panni anche di chi sta passando un periodo difficile. Magari non è in condizione di anticipare neanche una somma relativamente modesta come questa».

    Le difficoltà del Comune ricadono sugli altri

    Dal canto loro, le librerie scolastiche della città non ci stanno a fare da parafulmine alle inadempienze della pubblica amministrazione. E, dopo avere chiuso con una transazione estremamente onerosa (per loro) la vicenda dei vecchi crediti, hanno (ri)proposto di fare anticipare alle famiglie il costo dei libri.

    cedola libri primarie
    Una ricevuta consegnata a un genitore di un alunno delle primarie a Cosenza

    A pagare i testi delle scuole primarie, per legge erogati gratuitamente dallo Stato, sono state le famiglie. Che poi, quando e se il Comune sarà nelle condizioni di liquidare le fatture, riavranno i loro soldi direttamente dalle librerie. Basterà presentare le cedole di acquisto, «ed entro 60 giorni effettueremo il rimborso», spiega il titolare di una delle attività che hanno proposto questa soluzione.

    Cantanzaro, Crotone e Vibo? Tutto gratis

    Nelle altre province la situazione è molto diversa, fortunatamente. Ad agosto il settore Pubblica istruzione del Municipio di Catanzaro ha divulgato un avviso per lo stanziamento di 140mila euro per l’acquisto gratuito dei libri di testo delle scuole primarie. Le librerie accreditate sono state 11; gli aventi diritto 3.958.
    Luana P., mamma di Andrea: «Noi abbiamo pagato solo un euro per le copertine “obbligatorie”, per il resto più nulla». Manuela C.: «A gennaio abbiamo scelto la scuola per la piccola Ginevra, in primavera sono arrivate le cedole on-line e a settembre, non appena abbiamo avuto indicazioni delle classi, siamo andati in libreria a ritirare i testi».

    il comune di Catanzaro
    La sede del Comune di Catanzaro

    Anche a Catanzaro qualcuno aveva provato a chiedere di anticipare i soldi dei libri. «Ma il Comune ha bocciato subito l’attività dichiarandola illecita», spiega Liana N., mamma di Giuseppe e Gaia. L’iter previsto dalla Legge 448/98 dovrebbe essere uguale per tutti: i genitori acquistano i libri tramite le cedole ricevute a scuola e i librai fatturano al Comune. Funziona così un po’ dappertutto, anche a Crotone e Vibo Valentia.

    Anche a Reggio tocca anticipare

    Il meccanismo si è inceppato a Cosenza ed a Reggio Calabria. Anche qui i genitori devono anticipare i soldi per l’acquisto dei libri per le scuole primarie. Il motivo è sempre lo stesso: pure in riva allo Stretto i librai non riescono ad incassare in tempo le fatture dal Comune. Che, in questo caso, non può neanche sfruttare l’alibi del dissesto finanziario per difendersi.
    Amaro lo sfogo di una mamma sui social: «Abbiamo tre figli. Se consideriamo una spesa media per i libri di 65 euro a testa, viene fuori che la somma da anticipare per una famiglia non benestante non è per nulla indifferente».

    Le rassicurazioni della vecchia amministrazione

    Lo scorso anno ci ha provato l’assessore Spadafora Lanzino a gettare acqua sul fuoco delle polemiche giustificando i librai e rassicurando le famiglie: «Purtroppo, la consueta anticipazione degli importi da parte delle librerie su ricezione delle apposite cedole, non è resa possibile, oggi, dalla circostanza che le librerie stesse sono, al momento, in attesa della liquidazione delle spettanze relative all’anno scolastico 2019/2020, oggetto della procedura di liquidazione dinanzi alla Commissione straordinaria operante presso l’Amministrazione Comunale. Ciò giustifica la soluzione dell’anticipazione, ossia del temporaneo e provvisorio pagamento dei libri di testo da parte delle famiglie degli alunni, che tempestivamente riceveranno la restituzione di quanto versato non appena, con sicura tempestività, il Comune procederà a liquidare, su presentazione delle fatture da parte delle librerie, le somme in credito».

    L'ex assessore Matilde Lanzino
    L’ex assessore Matilde Lanzino
    I dubbi di quella nuova

    A piazza dei Bruzi solo in questa ultima settimana è arrivata la nomina dei presidenti delle commissioni consiliari e la nuova giunta del sindaco Caruso sta iniziando ad avviare la macchina amministrativa.
    Dai banchi della maggioranza fanno sapere che «stiamo iniziando ora ad esaminare il bilancio. Solo dopo saremo in grado di capire dove sono finite e come sono state usate dalla precedente Amministrazione le somme per l’acquisto dei libri e come fare a recuperarle».

    Una cosa però è certa: il capitolo Istruzione è tra i più complessi nel bilancio del Comune di Cosenza. Stessi fondi ministeriali, destini diversi per le risorse della scuole primarie e secondarie a Cosenza. Le fatture dei librai delle primarie sono finite nella massa passiva. Per recuperare i soldi integralmente – salvo stralci dal 30 al 60% – ci vorranno dai sei ai dieci anni. I fondi destinati alla scuole secondarie di 1 e 2° grado, invece, sono finiti su un capitolo di spesa ad hoc. Questo ha garantito già dallo scorso anno l’erogazione di 450mila euro.

    Sempre più sconcertati i librai : «Non riusciamo a capire come essendo anche i nostri fondi ministeriali siano finiti nella massa passiva. Certo è che se anziché destinare le risorse ad altro le avessero impiegate per pagare le cedole oggi non ci troveremmo in questa situazione».

  • Parco delle Serre: 30 anni di fallimenti, tagli selvaggi e scaricabarile

    Parco delle Serre: 30 anni di fallimenti, tagli selvaggi e scaricabarile

    Chissà se l’ostentato approccio “rock” di Roberto Occhiuto sarà applicato anche a un lentissimo ente subregionale: il Parco delle Serre. Istituito nel 1990, c’è voluto un decennio prima che qualcuno stendesse la cartografia su un tavolo e ne tracciasse almeno i confini. Poi, pur esistendo poco più che sulla carta, è finito al centro di una girandola di conflitti politici e contenziosi giudiziari. Ne è scaturito un commissariamento che dura ancora oggi. Commissariamento non per infiltrazioni mafiose, ma per manifesta incapacità della politica.

    La neve ricopre la riserva naturale regionale
    Tante parole, nessun fatto

    Il Parco delle Serre è l’unica riserva naturale a carattere regionale che sorge in continuità geografica, ma non amministrativa, con i Parchi nazionali di Pollino, Sila e Aspromonte.Toccando tre province (Catanzaro, Vibo, Reggio) e 26 Comuni, estende la sua superficie di competenza su un territorio di 17.687 ettari, con al centro una montagna che sale fino a 1500 metri e dista poche decine di km dai due mari. Un paradiso di biodiversità diventato però un simbolo di immobilismo istituzionale, tanto vorticoso negli avvicendamenti e nelle grane giudiziarie quanto improduttivo. Le aspirazioni di salvaguardia del territorio e di sviluppo “sostenibile”, alla fine, si sono concretizzate solo nella retorica delle brochure convegnistiche ed elettorali.

    Le meraviglie del Parco delle Serre

    La legge che disciplina le aree protette in Calabria risale al 2003 e si pone l’obiettivo di «promuovere nel territorio in esse ricompreso l’applicazione di metodi di gestione e valorizzazione naturalistico-ambientali tesi a realizzare l’integrazione tra uomo e ambiente naturale». Nelle Serre ci sono distese di abete bianco e pino laricio, faggete, castagneti, pioppeti e querceti. C’è l’oasi del lago Angitola, una zona umida di valore internazionale. E c’è il bosco Archiforo, un Sito di interesse comunitario che rientra nella cosiddetta zona di riserva integrale. Proprio in questo bosco nei mesi scorsi il Wwf di Vibo ha denunciato, con tanto di documentazione fotografica, uno «scempio» di alberi tagliati in un luogo in cui «non si potrebbe toccare neppure un filo d’erba».

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    Il lago Angitola
    Secoli di rispetto cancellati dalla mafia dei boschi

    Non è certo la prima volta che accade. Pare che ora se ne stia interessando anche la Procura vibonese. Negli anni scorsi altri tagli di imponenti abeti bianchi sono stati talvolta bloccati dalle proteste degli ambientalisti. Va detto che da queste parti i boschi hanno rappresentato per secoli una fonte di sostentamento economico e sono stati gestiti con sapienza. La gente delle Serre ci viveva, nel bosco, tanto da muovercisi dentro attraverso una particolarissima toponomastica che ancora sopravvive nella memoria di boscaioli, bovari, mannesi e carbonai e di cui c’è ancora qualche traccia nell’archivio comunale di Serra San Bruno.

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    La certosa di Serra San Bruno (foto Raffaele Timpano)

    Ma di questa cultura del bosco l’ente Parco non si è mai fatto carico. E , oggi, anche chi non è un “estremista” verde e non è pregiudizialmente contrario a ogni tipo di taglio può accorgersi, andando in quei boschi, della differenza tra un intervento ragionato, una previdente selvicoltura, e quello che si pratica in certi casi nelle foreste comunali che rientrano nel Parco, dove da decenni imperversa la mafia dei boschi.

    Gli interessi dei clan

    Dalla recente inchiesta “Imponimento”, ma anche da altre del passato, sono emersi gli interessi dei clan sulle Serre vibonesi e catanzaresi con la complicità di tecnici e amministratori comunali. Per la Dda di Catanzaro ci sarebbe un collaudato meccanismo di rotazione nell’aggiudicazione degli appalti boschivi «attraverso turbative d’asta e illecita concorrenza sleale». Per i boschi, per esempio, litigarono due mammasantissima che un tempo erano stati fratelli come il boss di Filadelfia Rocco Anello e quello di Serra San Bruno Damiano Vallelunga, che prima di essere ucciso in un agguato a Riace aveva guadagnato potere e carisma tali da tenere testa ai Mancuso.

    E nei boschi – emerge sempre da “Imponimento” – nell’estate del 2017 un paio di imprenditori ritenuti sodali dei clan avrebbero sversato un bel po’ di rifiuti, anche pericolosi, persino eternit, eseguendo senza tanti scrupoli un ordine arrivato proprio dallo stesso Anello. Che, intercettato, parlava di «quaranta camionate di calcinacci, più due con eternit» provenienti dal cantiere di un resort a Pizzo e finiti in alcuni terreni in parte rientranti nel Parco delle Serre.

    Da Murmura al controllato controllore

    L’ente è ancora retto da un commissario: dall’estate del 2020 (epoca Santelli) è Giovanni Aramini, dirigente del Settore Aree protette del dipartimento regionale Ambiente. In teoria, quale vertice del Parco sarebbe il controllato e quale dirigente di quel Settore sarebbe anche il controllore. Ma probabilmente questo è il male minore, perché Aramini è comunque un tecnico competente e sensibile alle tematiche ambientali. Il problema è che ha in mano poco o niente di concreto da programmare come tutti quelli che lo hanno preceduto.

    la sede del consiglio regionale della Calabria
    La sede del Consiglio regionale

    In tanti, tra commissari e presidenti, si sono avvicendati negli anni. Il primo fu il senatore Antonino Murmura e con lui sono partite anche le contese di fronte alla giustizia amministrativa che hanno coinvolto i suoi successori in una serie di ordinanze, sospensive e sentenze che hanno aggiunto solo confusione a confusione. Dal 2010 chi ha governato la Regione ha preferito optare per i commissari perché questi vengono nominati dal presidente della Giunta mentre, per legge, i presidenti sono indicati dal presidente del consiglio regionale. L’ultimo bando di Palazzo Campanella per individuare un presidente è stato chiuso a ottobre del 2020 ma non è stato ancora nominato nessuno. Meglio non assumersi la responsabilità politica di un fallimento annunciato.

    Il concorso e i favoritismi

    Oltre ai contenziosi amministrativi non è mancata qualche digressione nel penale. Nel 2015 era scattata un’inchiesta su alcuni concorsi del Parco che secondo l’accusa erano stati pilotati. Ma il reato di abuso d’ufficio contestato a 6 imputati è stato dichiarato prescritto a settembre dal Tribunale di Vibo. Già in precedenza era scattata la prescrizione per alcune contestazioni di falso ideologico, mentre gli imputati sono stati assolti da altre per falso anche se nelle motivazioni della sentenza si parla comunque di procedura «viziata da evidenti favoritismi».

    La pianta organica approvata nel 2005 prevede 57 unità di personale, 41 tecnici e 16 amministrativi, di cui 6 dirigenti. Oggi quelli che ci lavorano si contano sulle dita di una mano. C’è un solo dirigente e qualche funzionario, più un centinaio di tirocinanti scelti tra disoccupati/inoccupati inseriti in un percorso di riqualificazione professionale di politiche attive. Al Parco sono state assegnate negli anni scorsi anche alcune decine di operai ex Afor che lavorano sul territorio. In generale, qualche iniziativa per cercare di rendere fruibili i percorsi naturalistici si intraprende. I risultati, però, sono inevitabilmente proporzionati ai finanziamenti che l’ente ha a disposizione.

    indicazioni-sentieri-parco serre-i calabresi

    Il consuntivo 2020 individua «trasferimenti correnti», ovvero le somme assicurate dalla Regione, per circa 1 milione di euro, circa mezzo milione in meno rispetto all’anno prima. Le spese per il personale ammontano a 937mila euro. È chiaro che resta ben poco. Tutto ciò però non è abbastanza per svegliare i sindaci del territorio e far loro rivendicare il ruolo assegnatogli dal popolo. Si vedrà ora se il presidente del consiglio regionale Filippo Mancuso e l’Occhiuto del «cambio di passo» vogliano mettere «cuore e coraggio» anche per riempire questa scatola vuota. Che, ormai da 30 anni, incarna il fallimento della politica su un territorio in cui bellezza e marginalità si vanno sempre più impastando. In un amalgama che restituisce nient’altro che decadenza.