Tag: politica

  • Vecchia, piccola e impreparata burocrazia

    Vecchia, piccola e impreparata burocrazia

    La questione meridionale oggi è prima di tutto una questione burocratica, in Calabria più che altrove. Se il nocciolo dei problemi del Sud fosse qualcosa di tangibile sarebbe nascosto sotto scartoffie a prendere polvere in qualche scaffale di un remoto ufficio. Sarebbe un piccolo animaletto onnivoro che si diverte a creare scompiglio e distruggere fogli e cifre. Bisogna comprendere come agisce, come è nato e di cosa si ciba per capire tutti i conti che non tornano: pagamenti, bilanci e, soprattutto, fondi. E la questione non è più differibile dal momento che sono in arrivo centinaia di milioni dall’Unione Europea.

    La metafora è tutt’altro che esagerata. Basta rifletterci: se i fondi possono essere tolti o non rendicontati, se si creano lungaggini burocratiche e intoppi che costringono un cittadino a chiedere mille favori per ogni richiesta legittima non può essere esente da colpe una burocrazia che permette il crearsi di aree grigie, poco trasparenti e confuse. Occorre quindi fare una radiografia agli enti pubblici per conoscere meglio chi gestirà questi milioni. Per far questo i dati sulla provenienza di reddito e tipologia di occupazione e le situazioni economiche degli enti restituiscono una fotografia molto interessante.

    Più statali, meno industrie e servizi

    A Cosenza il 42% della popolazione risulta occupata. E all’interno di questa percentuale quasi 15 mila persone risultano occupate alla voce “amministrazione”, che comprende tutti i possibili apparati della pubblica amministrazione, dal Comune alle segreterie, uffici vari e via di questo passo. Il numero rappresenta il 47% degli occupati, mentre la restante metà è divisa tra industrie e servizi. Ad Imola, comune più o meno della stessa grandezza di Cosenza la percentuale nell’amministrazione è del 17% (nonostante il grado complessivo di occupazione non sia molto distante, 46%). La parte del leone ad Imola la fanno le industrie. Stesso discorso se si paragonano due città come: Reggio Calabria e Reggio Emilia. L’amministrazione di Reggio Calabria racchiude il 33% degli occupati, mentre quella di Reggio Emilia il 18%.

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    Palazzo dei Bruzi, sede del Comune di Cosenza

    Anche in quest’ultimo il grosso è nelle industrie. Il dato può essere replicato anche con comuni più piccoli. In Calabria gli enti classificati come amministrazioni occupano la maggior parte delle persone. Come è stato possibile creare questa differenza? Un’analisi dettagliata dei dati mostra che gli enti pubblici o che rientrano nella categoria di “amministrazione” al Sud sono di più (si pensi ai consorzi, le aziende autonome, le comunità territoriali o i vari istituti) e sovradimensionati.

    Tanta burocrazia, poca efficienza

    I freddi numeri di qualche anno fa raccontano di un territorio nel quale l’iniziativa privata è piccola o del tutto assente. È una contraddizione beffarda, a pensarci bene. Lo Stato, proprio in una terra dove la sua mancanza si sente più che altrove, è anche quello che fornisce più occupazione. E ancora: lo Stato da questo punto di vista è tanto presente, quanto inefficiente. Le città prese a paragone – a parità di popolazione – hanno meno funzionari, ma funzionano meglio. E soprattutto spendono meno.

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    Palazzo San Giorgio, sede dell’amministrazione comunale di Reggio Calabria

    Basti un solo esempio: il Comune di Cosenza spende 13 milioni in stipendi per il personale, contro gli gli 8,7 di Imola. Fa ridere o preoccupare leggere che sempre lo stesso comune spende 7 milioni in infrastrutture stradali, mentre Imola appena uno, con evidenti risultati differenti. Vogliamo credere che costano di più i lavori a queste latitudini? Altre voci nelle quali il Comune di Reggio Calabria spende diversi milioni sono i contenziosi, per i quali ogni cittadino calabrese sborsa mediamente 10 euro contro i 3 nazionali. Ma questa è un’altra storia…

    Il deficit di competenze

    Se è questa la fine che faranno i fondi del Pnrr sarà impietosa. In realtà, però, è possibile che questi fondi nemmeno riescano ad arrivare perché non ci sono professionisti capaci di scrivere progetti adatti. Per far fronte a questo il Governo ha emanato un decreto per favorire l’assunzione di tecnici ad hoc. Ma come è possibile? I numeri dicono che i nostri enti brulicano di persone e ne servono ancora?

    Questo perché i numeri non dicono tutto. È vero, ci sono molte persone. Ma è altrettanto vero che sono dislocate in enti molto spesso dormienti (mentre alcuni uffici restano sottodimensionati) e hanno competenze non più adatte alle nuove sfide. In tal caso bisogna chiedersi perché alcune costole vengono mantenute ancora in piedi, chi seleziona i funzionari e quanta cura si dedichi al loro aggiornamento professionale. Domande, forse, retoriche.

    Età media alta e due funzionari su tre senza laurea

    Perché, dunque, questi moderni amanuensi fanno numero più che ottenere risultati? Una prima risposta potrebbe essere l’età. L’età media della classe tecnica meridionale è alta e quindi poco duttile a cambiamenti e nuove sfide. Un’altra potrebbe essere il fatto che la Calabria ha solo il 34% di dipendenti comunali laureati, una delle ultime in classifica. Questo a dire il vero è un problema relativo perché conta anche il tipo di laurea e dalle nostre parti sovrabbondano gli avvocati ad esempio. Contano, insomma, più ragioni, tra le quali non bisogna escludere una certa volontà che le cose restino lente e macchinose e quindi poco accessibili senza aiuti esterni.

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    La sede della Regione Calabria a Germaneto

    Ad ogni modo, le avvisaglie del possibile disastro in queste settimane si sono già viste. Dei progetti finanziabili riguardanti le risorse idriche la Calabria ne ha visti accettati 20 e rifiutati 16 (la regione con più rifiuti dopo la Sicilia). E bisogna anche essere contenti perché una prima bozza presentata a marzo era a tratti copiata da quella di altre regioni. Una volta arrivati, i fondi bisogna saperli spendere senza che colino via tra spese gonfiate e ritardi vari. Anche perché altrimenti l’UE congela l’erogazione, è già successo di recente per altri fondi a causa di errori di rendicontazione. Infine, servirà saperli controllare: è la Regione stessa, nelle relazioni di valutazione dei fondi, a notare un «deficit informativo del sistema di monitoraggio».

    Kafka ne avrebbe per decine di romanzi. I suoi protagonisti imprigionati in macchine burocratiche apparentemente senza logica sono perfetti per la Calabria. La tradizione orale che un tempo serviva ai greci per tramandarsi a memoria opere immense ora è usata per tramandarsi addirittura bilanci. In queste moderne opere, però, di eroi nemmeno l’ombra.

    Saverio Di Giorno

  • Massoni cosentini, fratelli e muratori dal sindaco al medico giornalista

    Massoni cosentini, fratelli e muratori dal sindaco al medico giornalista

    C’è una personalità particolare, che rivela tantissimo sul modo in cui si sono costruite le classi dirigenti di Cosenza: Arnaldo Clausi Schettini, che fu sindaco in quota Dc del capoluogo bruzio per dieci anni, dal ’52 al ’64.
    Fu eletto tre volte (nel’52, nel’56 e nel ’60) e si appoggiò a una maggioranza che oggi si definirebbe di centrodestra, costituita, alternativamente, dal Pli e dal Msi.
    Ma, secondo alcune ricostruzioni storiche credibili, alla base di tanta longevità politica, ci sarebbe stato un fattore ben preciso, di quelli che non si misurano nelle urne: la massoneria.

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    Arnaldo Clausi Schettini, tre volte sindaco di Cosenza
    La massoneria cosentina è come le Duracell

    Per quel che riguarda il sindaco Clausi Schettini, non risulta dalle carte alcuna militanza massonica, ma solo l’iscrizione al Rotary. In compenso, era massone suo fratello Oscar, che faceva l’avvocato nella natia Rogliano ed era referente della loggia “Telesio” per il Grande Oriente d’Italia. Invece Vittorio, il papà di Arnaldo e Oscar, era stato podestà a Rogliano.

    Ma, prima ancora, Vittorio aveva fatto parte della vecchia classe dirigente liberale, frequentazioni massoniche incluse: nel 1904, ad esempio, aveva appoggiato, assieme al massone (addirittura un 33) Giovanni Domanico, l’ascesa politica di Luigi Fera, un altro grembiule di rango.
    La massoneria cosentina era come le batterie Duracell: continuava, a dispetto delle leggi “fascistissime” del ’25, che non avevano scalfito di una virgola Michele Bianchi (proveniente da piazza del Gesù) né il podestà cosentino Tommaso Arnoni (il quale, invece, aveva militato nel Goi).
    E l’effetto Duracell sarebbe continuato nel dopoguerra, a dispetto degli anatemi della Chiesa.

    I notabili alla carica

    Un’interessante ricerca di Luca Irwin Fragale, autore del poderoso volume “La massoneria nel Parlamento” (Perugia, Morlacchi Editore 2021), chiarisce il legame tra le classi dirigenti calabresi, cosentine in particolare, e la “grembiulanza”.
    Un rapporto che aveva, e forse ha tuttora, due direzioni: tutti i notabili dovevano avere il benestare delle logge e, viceversa, tutte le logge dovevano essere vissute dai notabili.
    Non fu un caso, quindi, che la massoneria si sia ricostituita a Cosenza non appena gli Alleati arrivarono in Calabria.
    Al riguardo, le fonti concordano su una data: 11 dicembre 1943, quando la storica loggia del Goi “Bruzia-De Roberto” riprende la propria attività dopo diciotto anni di stop imposti dal regime fascista.

    Misasi, Loizzo e la città che contava

    Basta scorrere la lista degli iscritti per rendersi conto che la “Bruzia” conteneva una buona fetta della città che contava, consolidata tra l’altro anche da rapporti di parentela. C’era il medico Mario Misasi, nipote del grande scrittore Nicola, fondatore dell’omonima clinica e creatore del reparto di Pediatria all’Annunziata e ideatore del Rotary cosentino.

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    Il medico Mario Misasi

    C’era Sole Marte Cavalcanti, detto Soluzzo, comandante dei Vigili Urbani di Cosenza.
    C’erano, in particolare i fratelli Emilio e Giovanni Loizzo, un cognome che pesa tuttora nella storia della massoneria: Giovanni, infatti, era il papà di Ettore Loizzo, che avrebbe fatto una grande carriera nel Goi, di cui sarebbe diventato gran maestro aggiunto. Ma questa è un’altra storia.
    Per quel che riguarda la famiglia Loizzo, gli addentellati massonici non finiscono qui: fuori dalla loggia “Bruzia-De Roberto” si contano altri due Loizzo: Eugenio e Antonio, morto durante il bombardamento alleato dell’agosto 1943.

    Il radiologo giornalista

    La personalità più forte resta, tuttavia, il radiologo Oscar Fragale, ufficiale medico all’Ospedale militare di Bari col pallino della filantropia e del giornalismo: già presidente del Circolo della stampa di Cosenza, Fragale rileva assieme a Giuseppe Santoro, altro pezzo grosso della “Bruzia”, la testata “Italia Nuova” che sarebbe diventata il celebre “Corriere del Sud”. Antifascista rigoroso e militante nel Partito d’Azione, aveva proposto nel ’44 l’istituzione di un’università a Cosenza.

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    Oscar Fragale, radiologo e giornalista

    Anche nel caso di Oscar Fragale contano la tradizione di famiglia e i legami politici: suo padre Giovanni era un orafo di Malvito legato al parlamentare Nicola Serra. Serve altro?

    La conquista del Comune

    Personalità piuttosto spigolosa, Fragale era un massone vecchio stampo, liberale e anticlericale. Proprio la sua polemica giornalistica nei confronti dei “fratelli” che si apprestavano a colonizzare la Dc permette di cogliere i retroscena delle Amministrative del ’52.
    Ma andiamo con ordine. Subito dopo la ripartenza di fine ’43, la massoneria cosentina cresce a dismisura. Il Goi, in particolare, apre nuove logge (“Salfi” e “Telesio”) e ne ingloba altre provenienti dai rivali di Piazza del Gesù: tra tutte, la storica “Fratelli Bandiera”. Poi arriva lo stop con le elezioni politiche del ’48, in cui la Dc batte il fronte popolare e inaugura la sua egemonia sulla politica italiana.

    Inizia l’era De Gasperi, caratterizzata da un legame forte con la Chiesa che si declina in due direzioni: contro il comunismo e, appunto, contro la massoneria.
    Quest’ultima, per sfuggire alla morsa cattolica, escogita un piano a livello nazionale che, ovviamente, trova a Cosenza un’applicazione sin troppo zelante.

    Il piano Pirro

    La strategia “entrista” nella Dc è elaborata da un big del Goi romano, conosciuto come “Pirro” (probabilmente il gran maestro del Goi, Ugo Lenzi).
    Il motivo di questa strategia è piuttosto banale: l’anticomunismo, che in Calabria tuttavia, pesa di meno, visto che anche il Pci vantava massoni di rango come l’ex ministro Fausto Gullo, tra l’altro consuocero di Mario Misasi.

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    Fausto Gullo. ministro e giurista

    Il caso di Gullo non era isolato, visto che è più che nota la vicenda di Ettore Loizzo, che visse la doppia identità di massone e comunista finché i vertici del Pci gli imposero di scegliere tra militanza politica e militanza massonica…

    Pure il vescovo

    Torniamo alla Cosenza del ’52. Il piano massonico di “colonizzare” le liste della Dc è rivelato dal Corriere del Sud (di proprietà di Oscar Fragale, che avversa il piano e non ama la Dc) attraverso un articolo pubblicato in prima pagina il 24 maggio ’52.
    La strategia cosentina è piuttosto semplice: spingere il Pli, partito tradizionale della massoneria, ad allearsi con la Balena Bianca e piazzare sette candidati nella lista di quest’ultima.

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    Il vescovo Aniello Calcara

    Cosa curiosa, di questo piano è al corrente anche la Chiesa, tant’è che l’articolo del “Corriere del Sud” pubblica anche una nota con cui Aniello Calcara, l’arcivescovo di Cosenza-Bisignano, invita i fedeli a scegliere la lista della Dc e, all’interno di questa, i candidati che danno più garanzie dal punto di vista religioso.

    Massoni inclusi

    Il piano Pirro diventa il classico segreto di Pulcinella. Tuttavia, funziona: Arnaldo Clausi Schettini, vicino ai notabili massoni grazie alla militanza rotariana e ai rapporti della propria famiglia, diventa sindaco e resta in sella per più di dieci anni. Il suo posto sarà rilevato da Mario Stancati nel ’63, che inaugura il centrosinistra in città. Massoni inclusi.

  • Regionalismo in salsa calabra: maggioranze diverse, identico declino

    Regionalismo in salsa calabra: maggioranze diverse, identico declino

    Dal 2000 ad oggi si sono succeduti in Calabria sei presidenti di regione, con una continua alternanza di schieramenti. L’elenco comprende Giuseppe Chiaravalloti (centrodestra, 2000-2005), Agazio Loiero (centrosinistra, 2005-2010), Giuseppe Scopelliti (centrodestra, 2010-2014), Mario Oliverio (centrosinistra, 2014-2020). Il trend prosegue con l’elezione di Jole Santelli con una coalizione di centrodestra, ma questa esperienza si interrompe drammaticamente dopo pochi mesi per la morte prematura della forzista. E, complice forse la brevità del suo mandato, un anno dopo a uscire sconfitta dalle urne è ancora la gauche, con l’elezione dell’azzurro Roberto Occhiuto.

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    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Questa quasi simmetrica alternanza dovrebbe evidenziare e segnalare, secondo gli schemi dei manuali di politica, indirizzi e scelte economiche e sociali differenti durante l’esercizio dei mandati. L’analisi dei dati sulla performance della Regione mette invece in evidenza esattamente l’opposto. Vale a dire una linea di indirizzo costante verso il declino di tutti i principali indicatori nella produzione di ricchezza, nella demografia, nella qualità della vita.

    La Calabria che si svuota

    La demografia, che costituisce la radiografia del tessuto civile, ha cominciato a declinare proprio nel ventunesimo secolo. In particolare dal 2010 è cominciata una costante caduta della popolazione residente in Calabria, interrotta soltanto per un anno, nel 2013. Si è passati da poco più di 2 milioni di abitanti nel 2001 a poco più di 1,8 milioni nel 2020, con una riduzione del 10%. Di converso, è aumentato il numero delle famiglie, passato da poco più di 730mila a più di 805mila. Intanto è tornata a crescere l’emigrazione. La Calabria conta oggi 430mila residenti all’estero, quasi un quarto della popolazione totale della regione: il 42,8% è nella fascia tra i 18 ed i 49 anni.

    Investimenti dimezzati negli anni

    La spesa pubblica regionale è rimasta sostanzialmente stabile nel corso dell’ultimo ventennio, pur nella diversità delle maggioranze politiche. Ad assorbirla sono state molto più le spese correnti che gli investimenti, diminuiti invece in valore assoluto e percentuale.
    Dal 2010 in avanti la spesa per investimenti si è sostanzialmente dimezzata come peso sul totale della spesa. Siamo passati dal 12% del 2010 al 6% del 2012, per poi risalire lentamente sino al 9% del 2020. Va osservato che la spesa pubblica in Calabria dipende per il 98,16% dal governo nazionale, per lo 0,57% dal governo regionale e per l’1,19% dalle municipalità. I margini di manovra per fare la differenza sono quindi molto ristretti.

    Cambiano le maggioranze, non le scelte

    In buona sostanza, nel primo ventennio del ventunesimo secolo si è alternata sempre la maggioranza politica alla guida della Regione, ma sono rimaste identiche le scelte. E queste hanno condotto ad un arretramento costante della Calabria nelle classifiche della competitività.
    La scarsa incidenza delle scelte di politica regionale sull’andamento del tessuto economico e sociale della Calabria si riflette nella analisi di Ernesto Galli della Loggia ed Aldo Schiavone, nel libro appena pubblicato Una profezia per l’Italia (Mondadori 2021). Da almeno quattro decenni il Mezzogiorno è uscito dal discorso pubblico, divenendo soggetto di fiction televisive più che di politiche di sviluppo.

    Ernesto Galli della Loggia
    Ernesto Galli della Loggia
    Una questione meridionale al quadrato

    Dagli Anni Settanta del Novecento ad oggi, il prodotto pro capite del Sud è passato dal 65% al 55% rispetto a quello del Nord, mentre gli investimenti si sono più che dimezzati. Le Regioni, in tutto il Mezzogiorno, sono state una palla al piede per lo sviluppo. Ne hanno frenato le prospettive, ed hanno solo appesantito il tessuto burocratico senza aggiungere alcun valore. Con le Regioni si è affermato quello che Isaia Sales ha chiamato il populismo territoriale.

    L’intero impianto del regionalismo, dati di fatti alla mano, sta franando per manifesta incapacità di sostenere lo sviluppo economico dei territori. La Calabria è diventata una nuova questione meridionale nella questione meridionale. In qualche modo ne è il cuore dolente, con il 90% del territorio costituito da montagne e colline, nonostante un apparato costiero che si estende per 800 chilometri e pesa il 10% del totale nazionale.

    Differenze tra istituzioni

    In questi vent’anni le politiche regionali, sia pur di segno apparentemente diverso per appartenenza politica, hanno solo contribuito ad accompagnare il declino della Calabria. Nella sanità la Regione ha accumulato un debito di oltre un miliardo di euro. E spende ogni anno circa 320 milioni di euro per rimborsare i costi del turismo sanitario dei calabresi che, non trovando risposta di servizio sul loro territorio, si recano in altre regioni.

    Gianni Speranza
    Gianni Speranza

    Non tutte le istituzioni esprimono lo stesso grado di disarmante inerzia. Mentre la Regione Calabria è rimasta sospesa a mezz’aria sospesa nel nulla, Gianni Speranza, sindaco di Lametia tra il 2005 ed il 2015, ha costruito – in soli dieci anni e senza una solida maggioranza consiliare a supportarlo – 50 km di fognature, 35 di illuminazione pubblica, marciapiedi, parchi pubblici, rotatorie, impianti sportivi, un lungomare.

    Un patto da riscrivere

    Insomma, contano le istituzioni, ma anche le persone. Per altro verso, nell’intero Mezzogiorno contiamo oggi 240 comuni commissariati per collusioni degli amministratori con organizzazioni criminali. Si tratta di una popolazione complessiva di 5 milioni di cittadini italiani e meridionali che si trovano sotto scacco della peggiore arretratezza, in una situazione evidentemente intollerabile. Sono tutti segnali che ci dicono chiaramente che il patto tra cittadini, istituzioni e territori va riscritto con estrema urgenza. A cominciare dalla Calabria, dove nemmeno l’alternanza tra maggioranze politiche con matrici opposte sortisce alcun effetto.

  • Ue e Calabria, il balletto della spesa certificata

    Ue e Calabria, il balletto della spesa certificata

    Le ultime parole famose le avevano pronunciate l’allora presidente f.f Nino Spirlì e il dg del Dipartimento Programmazione comunitaria della Regione, Maurizio Nicolai. Era il 4 agosto 2021 e i due annunciarono urbi et orbi il raggiungimento di un obiettivo epocale: la Calabria aveva certificato all’Ue una spesa dei fondi comunitari da record. Il traguardo erano 861 milioni di euro entro il 31 dicembre di quest’anno e la Cittadella era arrivata addirittura a 915 già a metà estate.

    Numeri e reputazione

    Decine di milioni in più che, dichiararono i due, avrebbero fruttato un sostanzioso premio: 82 milioni extra in arrivo da Bruxelles, tutti per noi. Niccolai, stando alle cronache di quei giorni, sembrava quasi commosso. «Ci siamo messi – le sue parole in conferenza stampa – all’interno di un circuito virtuoso di credibilità istituzionale. Questo è importante. Ci tengo a ricordare quando la presidente Santelli mi disse “non mi interessano i numeri ma la reputazione”. […] Tra l’altro parliamo di spesa certificata, perché quella effettiva è anche di più».

    Quarantacinque milioni in meno

    Chi, al contrario della defunta governatrice, è interessato anche ai numeri sarà rimasto stupito da uno degli ultimi comunicati diffusi dalla stessa Regione qualche ora fa. Nell’annunciare trionfalmente pagamenti per circa 11,5 milioni destinati al mondo dell’agricoltura, gli uffici della Cittadella e l’assessore Gallo hanno spiegato che grazie ad essi «la spesa certificata sale a 870.313.520 euro». Ossia 45 milioni in meno dei 915 dati per certificati quattro mesi e mezzo prima.

    Certo, sono comunque più dei fatidici 861 previsti inizialmente dall’Ue. Ma, visto il precedente estivo, è quantomeno bizzarro vederli definire «un ulteriore, importante passo avanti sul sentiero della spesa, rapida e qualificata, dei fondi europei».
    La reputazione – buona o cattiva? – magari sarà anche salva, la credibilità istituzionale forse un po’ meno.

  • L’anima del centro storico contro l’orrore di vetro a piazza Toscano

    L’anima del centro storico contro l’orrore di vetro a piazza Toscano

    È un pregiudizio che ogni opera dell’ingegno sia intoccabile e debba godere di un rispetto aprioristico e incondizionato. A Cosenza basta imboccare l’angusta postierla che conduce da Lungo Crati Miceli a piazza Toscano  per trovarsi, una volta giunti all’aperto, al cospetto di una singolare architettura caduta dall’empireo dei concetti astratti nel corpo vivo di una città ferita. Guardando con sorpresa la macchinosa copertura in vetro, calcestruzzo eo ferrame che sormonta l’area archeologica si viene colti da una sensazione di orrore che lascia senza parole. Un effetto straniante, di stupore e disagio, costringe a interrogarsi sul senso di tanta sciatteria.

    Una rovina contemporanea su quelle antiche

    L’opera avrebbe dovuto nobilitare la piazza e valorizzare i resti di una grande domus romana tornati alla luce dopo i bombardamenti dell’ultima guerra. Sorprendentemente però, in breve tempo, il manufatto è divenuto esso stesso una rovina. Con tutta evidenza, a partire dal giorno della sua inaugurazione, l’opera è stata abbandonata a se stessa e all’incuria, nel chiasso delle polemiche fra addetti ai lavori e nel disinteresse della città intera.

    I resti romani di piazza Toscano prima di essere coperti dall'attuale struttura
    I resti romani di piazza Toscano prima di essere coperti dall’attuale struttura

    L’orrore, al di là delle pur lodevoli intenzioni del progetto, assume qui le forme di un furore compositivo che ha generato un mostro di cui nessuno in concreto si sta occupando. Se ne parla, si promettono interventi risanatori, ma poi, nei fatti, nessuno se la sente di investire risorse in una missione impossibile. Ora si attendono le risorse del CIS, 90 milioni di euro deliberati per la realizzazione di alcuni significativi interventi nel Centro storico, piazza Toscano compresa.

    Piazzetta Toscano è bella o brutta? Non importa

    Le brutture urbane sono spesso un sintomo preoccupante della decadenza delle città. Laddove il brutto si afferma, lì si annida quasi sempre il disagio, l’emarginazione., l’orrore. Alcuni si chiederanno: – chi stabilisce cosa sia il bello e cosa il brutto? Non è questo il punto. Non si tratta di ridurre il problema ad una questione estetica che aprirebbe all’istante una tediosa, quanto inconcludente, polemica fra innovatori e conservatori. E non si tratta neppure di giudicare la bontà delle congetture progettuali, né di sindacare il valore delle costruzioni che deludono rispetto alle pur nobili aspettative degli autori. Lasciamo perdere le questioni teoriche e stilistiche. Lasciamo riposare in pace i maestri futuristi e gli accademici dell’architettura.

    Le domande sono altre
    Sigilli a piazza Toscano
    Sigilli a piazza Toscano

    Chiediamoci invece: – cosa ne facciamo delle impraticabili passerelle in calcestruzzo e dei pilastri arrugginiti che sorreggono una pletora di costosissime vetrate per lo più rotte o ammalorate? Perché un’area archeologica a ridosso della Cattedrale è di fatto sequestrata e negata? Perché significativi resti d’epoca romana e medievale sono tagliati fuori da un tessuto urbano di grande interesse? Quale senso ha che le rovine siano abitate stabilmente dalle erbacce, dai ratti e dai rifiuti? Le polemiche datano ormai da quasi un ventennio e nel frattempo la situazione è totalmente degenerata. Si ha la sensazione d’essere arrivati sulla scena di un film apocalittico. I resti archeologici sono soffocati dalle rovine di una modernità enfatica e sbilenca che celebra se stessa come “rottura dei codici linguistici” e non si confronta minimamente con il contesto se non per negarlo.

    La via d’uscita

    Il celebre slogan «Fuck the contest» coniato dalla archistar Rem Kolhaas (che potremmo garbatamente tradurre con «chi se ne frega del contesto») raggiunge qui la sua apoteosi. Siamo al cospetto di un gesto virtuosistico di composizione architettonica voluto, teorizzato e rivendicato dal suo autore, ma evidentemente non amato dalla città, rifiutato e degradato fino all’inverosimile. L’unica via d’uscita dall’orrore della situazione di fatto sarebbe la presa d’atto che è stata commessa una serie di errori. Senza cercare capri espiatori si dovrebbe avere il coraggio di mettere mano all’opera e decidere se restaurarla, adattarla, rigenerarla oppure smantellarla.

    Un nuovo inizio

    Non si tratta di sostituire un pregiudizio modernista con una fissazione vernacolare. Non si tratta di allestire un presepe di antichi ruderi, si tratta di prendere coscienza del fatto che i resti archeologici sono “sacri” perché parlano della città e della nostra storia. Prendersi cura del loro decoro è quindi un dovere civico per il bene di tutta la collettività. In quel luogo pulsava il cuore antico di Cosenza e dimenticarlo sarebbe un vulnus fatale alla sua identità. In definitiva il recupero di piazza Toscano potrebbe essere la prima pietra di un nuovo inizio. Un gesto simbolico e lungimirante.

    Giuliano Corti

  • Leo Battaglia alla Regione: è successo davvero

    Leo Battaglia alla Regione: è successo davvero

    Migliaia di litri di vernice dopo, in barba agli scettici o a chi nutre ancora fiducia nella politica, è successo: Leo Battaglia è alla Regione. In fondo mancava solo lui al variopinto campionario di portaborse, autisti e assistenti più o meno capaci transitati negli anni dalle strutture dei consiglieri a Palazzo Campanella.

    Dai muri al gemello

     

    Il percorso per il leghista con la passione per la vernice è stato lungo. Ha iniziato come imbrattatore seriale di muri, disseminando i suoi “Leo Battaglia alla Regione” nelle strade e gallerie di metà provincia di Cosenza. Ma la poltrona in Consiglio è rimasta un miraggio. Ci ha riprovato poi sdoppiandosi, ispirandosi forse al grande successo nelle sale cinematografiche di The Prestige. Come il protagonista della pellicola, il buon Leo può contare su un gemello e lo ha sfruttato in campagna elettorale: lui andava da una parte, magari accompagnando l’amato Salvini; il fratello andava da un’altra a far campagna elettorale spacciandosi per quello candidato.

    I santini anti covid

    Neanche quello è bastato. Così come finire sui giornali di tutta Italia quest’estate, quando ha pensato bene di lanciare dal cielo sulle spiagge (e in mare) buste di plastica con dentro l’invito a votarlo e una mascherina chirurgica. I cittadini, privi di fantasia, invece di ringraziarlo ed eleggerlo lo hanno preso per uno scemo che inquinava e provava a farsi pubblicità perfino col covid. Salvo imprevisti, ci toccherà attendere cinque anni per ammirare la sua nuova trovata.

    La "mascherina elettorale" protagonista dell'ultima campagna elettorale di Battaglia
    La “mascherina elettorale” protagonista dell’ultima campagna elettorale di Battaglia
    Leo Battaglia alla Regione

    Ma cotanto genio non farà mancare il suo contributo fattivo alla nuova maggioranza approdata alla Regione. Nel giorno della vigilia di Natale, infatti, il Burc ha fatto dono ai calabresi di questa rassicurante notizia: fino al 4 ottobre del 2026 Leo sarà a carico loro.
    La consigliera leghista Simona Loizzo lo ha scelto infatti come responsabile amministrativo al 50% della sua struttura. Significa che dividerà con un pari ruolo lo stipendio che gli competerebbe se rivestisse da solo l’incarico.

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    La leghista Simona Loizzo
    Quasi 100mila euro per lui

    E a quanto ammonta il salario in questione? Poco meno di 20.400 euro all’anno, che calcolati dal suo ingresso nello staff della Loizzo fino alle prossime elezioni fanno circa 98.000 euro. I primi 500 li prenderà per questo scorcio di dicembre, 20.400 per i successivi tre anni, e 15mila e rotti dal primo gennaio 2026 al termine della consiliatura.

  • Il bestiario della politica calabrese

    Il bestiario della politica calabrese

    Come un teatro popolare, la politica calabrese ha indossato le maschere di una sua personale commedia dell’arte. Dall’ex presidente facente funzioni, Nino Spirlì, fino al camaleontico Carlo Tansi (detto Tanzi), passando per il curriculum da “pensatore” dell’ex consigliere regionale Mimmo Talarico. Un anno di passaggio. Con un Occhiuto (Roberto) che diventa governatore e un altro (Mario) che lascia macerie e debiti dopo 10 anni da sindaco a Cosenza. Il gran balletto delle elezioni e il bestiario della politica raccontati nei primi cinque mesi de I Calabresi. Un giornale che ha preso una posizione netta sulla politica come cittadinanza attiva e difesa dei beni comuni.

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  • Regione Calabria: la guerra dei mandarini per la poltrona da 240mila euro

    Regione Calabria: la guerra dei mandarini per la poltrona da 240mila euro

    Nell’imbarazzante classifica dei privilegi di politici e papaveri di Stato, la Regione Calabria non fa certo distinzione. Quella dei burocrati che guadagnano quanto un Presidente della Repubblica sembra essere una caratteristica trasversale dal Nord al Sud del Paese. E il personale che occupa gli scranni più alti della Cittadella regionale si pone in piena continuità con i pari grado del resto d’Italia nell’usufruire a man bassa della generosità del settore pubblico.

    Va da sé che tutti questi soldi e privilegi solletichino gli appetiti di molti. E, spesso, dal momento che sedie per tutti non ce ne stanno, chi resta col cerino in mano le prova tutte per accasarsi sulle comode e ben retribuite poltrone regionali. Dunque non stupisce il fermento che si registra ai piani alti della Cittadella in vista della nuova infornata di nomine dirigenziali che andranno a comporre il nuovo spoils system regionale dopo la schiacciante vittoria del centrodestra di Roberto Occhiuto.

    Scontro in tribunale

    Non è un caso che lo scorso 15 dicembre ci sia stata la prima udienza della causa avviata dal “superdirigente” Maurizio Priolo (ex segretario/direttore generale del Consiglio regionale) contro colei a cui è stata affidata la reggenza del doppio incarico a capo della burocrazia regionale: la dirigente di ruolo Maria Stefania Lauria. Priolo si è rivolto ai giudici ritenendo «del tutto illegittima» la nomina di Lauria, «avvenuta senza alcuna valutazione comparativa dei dirigenti interni al ruolo del consiglio regionale e senza fornire alcuna motivazione della scelta compiuta». Questa procedura non gli avrebbe consentito di concorrere per la poltrona «nonostante vantasse requisiti e competenze maggiori rispetto a quelle dell’assegnataria dell’incarico».

    Maurizio Priolo
    Maurizio Priolo
    Centinaia di migliaia di euro in ballo

    Punti di vista argomentati in un ricorso di una trentina di pagine dai legali dell’ex capo della burocrazia. Ora toccherà al giudice Valentina Olisterno della sezione Lavoro del Tribunale di Reggio Calabria valutare la fondatezza dei rilievi di Priolo e decidere se la nomina di Stefania Lauria sia stata legittima o meno. Di mezzo c’è anche un discreto gruzzoletto: l’ex segretario sostiene di aver perso quasi 10mila euro al mese di guadagni dopo la “retrocessione”. E, oltre alla carica, vuole indietro pure quelli. Erano praticamente 120mila euro a settembre, quando Priolo ha presentato il ricorso. Ma – precisano i suoi legali – bisognerà calcolare la cifra finale al momento in cui Lauria sarà eventualmente destituita. Quindi, come minimo, la somma potrebbe raddoppiare.

    Il dirigente che non dovrebbe esserlo

    L’udienza, dopo la costituzione delle parti, è stata infatti rinviata al prossimo 22 settembre 2022. Qualcosa, però, è già filtrata. L’avvocato della Regione, Angela Marafioti, ha chiesto tutta la documentazione inerente l’inquadramento di Priolo nei ruoli del personale del Consiglio regionale per sollevare una eccezione di nullità del rapporto di lavoro. Quello che l’ex segretario/direttore generale non ha forse messo adeguatamente in conto, infatti, è che lui stesso, non avendo mai partecipato ad un concorso pubblico per occupare poltrone in Regione, nel tempo è stato fatto oggetto di una serie di interpellanze e mozioni arrivate fin dentro l’aula di Montecitorio.

    Un caso arrivato in Parlamento

    La Uil – Fpl ha dedicato alla sua vicenda una intera conferenza stampa per chiedere al consiglio regionale su quali basi giuridiche si fonda il suo mantenimento in servizio. Un dubbio sorto in Regione già nel 2013, quando l’allora segretario generale Nicola Lopez evidenziò «anomalie che sostanziano delle palesi illegittimità» nell’arrivo di Priolo in Cittadella. Non gli risposero che la situazione era legittima, ma che esistevano «altre situazioni soggettive analoghe».

    Qualche dubbio sulla vicenda, da consigliere d’opposizione, lo aveva anche Mimmo Tallini, che chiese lumi a riguardo. Poi, divenuto presidente del Consiglio regionale, era stato proprio lui a scegliere Lauria come capo della burocrazia. Nel 2017, invece, è stata la deputata grillina Federica Dieni a rivolgere una interrogazione a risposta scritta all’allora ministro Madia sul “caso Priolo”.

    Tallini e Lauria
    Mimmo Tallini e Stefania Lauria

    Dieni citava una delibera della Corte dei conti – la 143/2014 del 17 febbraio 2015 – che censura la prassi della mobilità dalle società controllate dalla Pubblica amministrazione nei ranghi della PA. Anche la Consulta ha più volte censurato le leggi regionali «che consentono i meccanismi di reinternalizzazione attraverso il passaggio da impiego privato (società partecipata) a quello pubblico (Ente territoriale) aggirando l’articolo 97 della Costituzione».

    La scalata della Regione

    Quest’ultima occorrenza sembrerebbe calzare a pennello al caso del grand commis calabrese. Maurizio Priolo, figlio dell’ex consigliere regionale (e attuale presidente dell’associazione degli ex consiglieri) Stefano, inizia infatti la sua folgorante carriera nel Consorzio per l’area di sviluppo industriale della provincia di Reggio Calabria il 14 settembre 1998. Il 1 aprile 2010 viene inquadrato nella dotazione organica del Consiglio regionale della Calabria. E da quel momento non si ferma più.

    Malgrado la fragilità giuridica della sua posizione, diventa segretario e direttore generale del Consiglio regionale nel 2015. Un ruolo a cui si sovrappongono nel tempo anche quelli di dirigente ad interim del Settore Tecnico e delle aree funzionali “Assistenza Commissioni”, “Relazioni Esterne, Comunicazione e Legislativa”, “Gestione” e quelli di responsabile anti corruzione e responsabile della trasparenza. Un potere in Regione degno di un oligarca che adesso dovrà passare al vaglio di un Tribunale per capire se l’interregno di Maurizio Priolo sia giunto o meno al capolinea.

    (ha collaborato Michele Urso)

  • Benvenuti nella regione del Sud dove la monnezza costa di più

    Benvenuti nella regione del Sud dove la monnezza costa di più

    Raccogliere, differenziare e riciclare. Sono questi i tre principi cardine dell’economia del rifiuto e i loro numeri fotografano lo stato di salute dei nostri paesi e della nostra Regione.
    Il rapporto 2021 diffuso dall’Ispra, elaborato su un campione di 177 comuni calabresi su 404, ci illustra dati alla mano tutte le luci e le ombre del sistema.

    In controtendenza con i dati europei, tra i pochi effetti collaterali positivi della pandemia c’è senza dubbio la riduzione della produzione dei rifiuti in tutta Italia. È dal 2016 che i rifiuti dichiarati dai Comuni della Calabria sono in calo anno dopo anno. Nel 2020 ogni calabrese ha prodotto in media 381,36 kg di rifiuti a differenza dei 405 kg dell’anno precedente. Un dato che ci posiziona al terzultimo posto della classifica nazionale dietro solo a Molise e Basilicata.

    Sarà che prodigi dell’era Covid altro non sono che l’effetto del lockdown sulle abitudini culinarie dei calabresi che ai cibi confezionati hanno preferito produzioni casalinghe. E la ressa per accaparrarsi il lievito di birra è ancora un vivido ricordo.
    Le province più virtuose nella produzione dei rifiuti sono state Cosenza, Vibo Valentia e Reggio Calabria.

    Calabria lumaca della differenziata

    La Calabria nel 2020 è riuscita a differenziare ben il 52,2% dei rifiuti prodotti.
    Un dato prodigioso se si pensa che nel 2016 la percentuale di raccolta differenziata era appena il 33,2%.


    Venti punti percentuali che però non possono essere un vanto se si considera che siamo partiti 20 punti in meno rispetto ai migliori che oggi segnano una percentuale di raccolta differenziata che arriva al 76% come in Veneto.
    E quei pochi rifiuti che produciamo non siamo in grado neanche di differenziarli bene.
    La Calabria, infatti, è tra le regioni con il valore di raccolta differenziata pro-capite più basso (199 kg).

    Le due province che vincono la maglia nera 

    Le province meno riciclone sono Crotone e Reggio Calabria. Per la provincia di Pitagora la magra consolazione di essersi migliorata di appena due punti percentuali: dal 30,8% del 2019 al 32,7%.
    Stesso discorso per la provincia dello Stretto che è passata dal 36,3% del 2019 al 39,6%. Solo 50 punti percentuali di distacco da Treviso, la migliore provincia d’Italia con l’88% dei rifiuti differenziati.
    E se si pensa che l’obiettivo da agguantare nel 2020 era il 65%, il gap in questo caso più che impallidire dovrebbe farci arrossire di vergogna. A mettere una toppa i dati della differenziata delle province di Cosenza e Catanzaro che superano anche se di poco il 60%. Un pessimo risultato che affonda le radici in una gestione fallimentare del settore rifiuti che in Calabria non per niente è commissariato da ben 17 anni. A nulla pare siano serviti i milioni di euro sversati per il potenziamento del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti nella nostra regione.

    Meglio l’organico che la plastica

    Ma se proprio dobbiamo differenziare in Calabria siamo bravissimi a differenziare, nell’ordine: organico, carta, vetro e plastica.
    Ogni calabrese nel 2020 ha differenziato 88 kg di umido, 48 kg di carta, 27 kg di vetro e appena 9 kg di plastica e pensare che – secondo il WWF – in media un uomo all’anno ne produce 73 kg.

    Un solo inceneritore in Calabria

    «In linea generale – secondo l’Ispra – laddove esiste un ciclo integrato dei rifiuti grazie ad un parco impiantistico sviluppato, viene ridotto significativamente l’utilizzo della discarica. Vi sono regioni in cui il quadro impiantistico è carente e poco diversificato». In Calabria, ad esempio, esiste un solo impianto di biogas e si trova a Rende in provincia di Cosenza. E’ nel 2018 sul sito di Calabra Maceri, azienda specializzata nel recupero e smaltimento dei rifiuti urbani, il primo impianto di biometano del Centro-Sud connesso alla rete nazionale del gas naturale di Snam. L’impianto è in grado di trasformare 40mila tonnellate annue di rifiuti provenienti dalla raccolta differenziata in 4,5 milioni di metri cubi di biometano, oltre a produrre 10mila tonnellate di un fertilizzante per l’agricoltura biologica.

    Gli impianti di compostaggio, invece, in Calabria sono 11 con una quantità di rifiuti urbani smaltibili di 114.700 tonnellate l’anno. Anche il Trentino ha 11 impianti di compostaggio solo che smaltiscono appena 67.760 tonnellate.

    A Gioia Tauro sorge l’unico e tanto vituperato inceneritore della Regione usato per trattare appena 1,2% dei rifiuti prodotti anche se negli ultimi anni ha registrato un incremento del +17% con 19mila tonnellate incenerite.
    Giusto un po’ di storia, l’impianto di Gioia è stato avviato nel 2005, autorizzato nel 2015 e da qui a breve dovrà essere revisionato, la scadenza dell’autorizzazione segna la data 2025.

    Quanto smaltiamo in discarica

    Nel 2020 sei sono le discariche ufficiali in Calabria. L’analisi dei dati a livello regionale evidenzia un calo tra il 2019 ed il 2020, riferibile soprattutto al Mezzogiorno dove si registra un calo di oltre 259mila tonnellate di rifiuti collocati in discarica. Al Sud la riduzione maggiore si ha in Calabria (-36,6%), dove circa 23 mila tonnellate di rifiuti derivanti dal trattamento dei rifiuti urbani vengono smaltite fuori regione.
    In Calabria nel 2020 sono stati prodotti 715.976 tonnellate di rifiuti e smaltiti in discarica 196.169 di cui solo 596 tonnellate provenienti da fuori regione mentre 22.955 tonnellate li abbiamo smaltiti fuori dalla nostra regione.
    In media un calabrese smaltisce in discarica 104 kg di rifiuti. Ma c’è chi sta peggio come il Molise con 262 kg per abitante.
    Il pro capite nazionale di frazione biodegradabile in discarica risulta, nel 2020, pari a 59 kg per abitante, al di sotto dell’obiettivo stabilito dalla normativa italiana per il 2018 (81 kg/anno per abitante). La Calabria è fra le 12 Regioni che hanno invece conseguito l’obiettivo prefissato nel 2018.

    Tuttavia, i nuovi obiettivi di riciclaggio fissati dal d.lgs.152/2006 e successive modificazioni che prevedono entro il 2030 il raggiungimento di almeno il 65% di riduzione dello smaltimento in discarica ed entro il 2035 a non più del 10% dei rifiuti prodotti, renderanno necessario realizzare un sistema industriale di gestione che sia in grado di garantire il necessario miglioramento. La Calabria riuscirà a raggiungere l’obiettivo? Difficile dirlo, ma le premesse, soprattutto se guardiamo quanto accaduto nel settore negli ultimi vent’anni, non sono per nulla rosee.

    Mio caro rifiuto

    La Calabria è la regione del Sud dove i rifiuti costano di più: 50,35 centesimi al kg. Importo che purtroppo non può tenere conto del dato della città di Catanzaro perché non pervenuto per la stesura del rapporto.
    Per definire il costo del rifiuto e renderlo uniforme sul piano nazionale l’Autorità di Regolazione per l’Energia e le Reti e Ambiente (Arera) definisce il perimetro gestionale assoggettato al nuovo metodo tariffario, al fine di renderlo uniforme su tutto il territorio nazionale. Il perimetro gestionale comprende: spazzamento e lavaggio delle strade; raccolta e trasporto dei rifiuti urbani; gestione tariffe e rapporti con gli utenti; trattamento e recupero dei rifiuti urbani; trattamento e smaltimento dei rifiuti urbani.
    La voce che maggiormente incide sul costo totale è quella relativa alla raccolta e trasporto delle frazioni differenziate (CRD). Il costo complessivo medio pro-capite nella nostra regione è di 190 euro mentre in Liguria ne sborsano la bellezza 263,3. Il raffronto numerico senza una spiegazione non dà l’idea: perché in Liguria è vero che si spendono più di 70 euro a testa ma è innegabile che la qualità dei servizi legati al rifiuto è colossale.

    Quanto costa differenziare

    Differenziare costa meno che smaltire. E’ un dato di fatto. Sebbene i dati di riferimento per la Calabria siano statisticamente poco rilevanti perché il campione analizzato non supera in alcuni casi i cinque Comuni , l’Ispra stima un costo di 27,56 centesimi al kg per la carta, 12,49 centesimi/kg per il vetro, 15,87 centesimi/kg per plastica, 15,05 centesimi/kg per metalli e 39,79 centesimi per l’organico.

    Economia circolare

    Nel futuro la gestione del rifiuto passerà soprattutto dal riutilizzo e dal riciclo. Dopotutto la road map della direttiva Ue 2018/851 prevede un riciclaggio e un riuso al 55% nel 2025, al 60% nel 2030 per raggiungere il 65% nel 2035.

    Il decreto legislativo 116/2020 ha introdotto, con il nuovo articolo 198 bis del d.lgs. 152/2006, la previsione del Programma Nazionale per la gestione dei rifiuti, accanto ai piani regionali e ne disciplina i contenuti e le procedure per l’approvazione e l’aggiornamento. Il Programma è aggiornato almeno ogni 6 anni, tenendo conto, tra l’altro, delle modifiche normative, organizzative e tecnologiche intervenute nello scenario nazionale e sovranazionale.
    In considerazione dell’attuale e rinnovato sistema normativo e regolatorio, le Regioni dovranno provvedere all’aggiornamento dei Piani regionali di gestione dei rifiuti e dovranno inserirsi nel percorso delineato dall’Unione Europea con il “Nuovo Piano d’Azione per l’economia circolare” (COM/2020/98), che mira ad accelerare il cambiamento richiesto dal Green Deal europeo.

    L’aggiornamento rientra all’interno delle condizioni abilitanti, a livello regionale, per l’accesso a finanziamenti del Fesr (Fondo europeo di sviluppo regionale) e al Fondo di coesione.
    In Calabria siamo fermi al D.G.R. n. 340 del 02/11/2020 Linee di indirizzo per l’adeguamento del “Piano Regionale di Gestione dei Rifiuti (PRGR) approvato con Deliberazione del Consiglio Regionale n. 156 del 19 dicembre 2016.
    Alla nuova Giunta il compito di aggiornare il piano per restare agganciati al treno-Paese e dare finalmente concretezza e significato agli slogan green delle campagne elettorali.

     

  • «La Questura faccia un passo indietro», Cosenza pronta a mobilitarsi

    «La Questura faccia un passo indietro», Cosenza pronta a mobilitarsi

    Cosenza sarà più sicura se due ragazzi non violenti e impegnati per la tutela di diritti costituzionali saranno costretti a rientrare a casa prima delle 21? A firmare ogni giorno in questura o chiedere – come criminali matricolati ma senza un reato preciso contestato a loro carico, solo un carattere «ribelle» – il permesso a un magistrato per spostarsi? Il fatiscente centro storico della città uscirà dal suo stato di abbandono se chi prova a riportare attenzione sul degrado si vede infliggere multe salate per una passeggiata? In fondo sta tutto in queste tre domande il senso dell’assemblea pubblica che ha animato il Palazzo della Provincia. Anche perché di senso, altrimenti, in quello che sta accadendo sembra essercene veramente poco.

    Un passo indietro

    Tanta gente nel Salone degli Specchi, altrettanta all’esterno dell’edificio, collegata via radio o sui social per esprimere solidarietà agli attivisti locali che nei giorni scorsi sono finiti nel mirino della Questura cittadina. Un inno al libero pensiero e al dissenso, contrapposto a una repressione apparsa eccessiva ai più e che ha suscitato non poco scalpore. Altrettanto abbondanti sono state le parole spese durante l’incontro di ieri sera, un fiume di interventi e messaggi di solidarietà. Ma, soprattutto, di inviti alla Questura a fare un passo indietro.

    Quello che sta accadendo d’altra parte, come ricordato da Vittoria Morrone di Fem.in in apertura, «non è normale». Sembra piuttosto «un attacco politico» a chiunque abbia o voglia avere «una coscienza critica». Gli attivisti per cui è stata richiesta la sorveglianza speciale o quelli multati per la passeggiata – parola del docente Andrea Bevacqua – sono invece persone che lottano per concetti come «partecipazione, democrazia, comunità».

    La meglio gioventù

    Ragazzi che, come hanno ricordato la docente Unical Maria Francesca D’Agostino e il ricercatore Giancarlo Costabile, hanno pronunciato «parole in cui tutti ci siamo riconosciuti» denunciando lo stato della sanità calabrese. E che hanno fatto «con la schiena dritta in una terra di disgraziati e di complici, proteste in maniera pacifica e democratica ridestando coscienze sopite e battendosi per diritti costituzionali come lavoro, sanità, abitazione».

    Quello che è successo «è molto grave», ha sottolineato Antonella Veltri, del Centro anti violenza Roberta Lanzino. Anche perché riguarda «giovani che debbono rappresentare il presente, non il futuro», ha sostenuto il segretario provinciale della Cgil, Pino Assalone. La Questura farà il fatidico passo indietro? Difficile prevederlo.

    Una mobilitazione a gennaio

    Lo hanno comunque chiesto a gran voce l’assessore rendese Elisa Sorrentinodi Palazzo dei Bruzi invece non si è visto nessuno nonostante la solidarietà espressa da Franz Caruso nei giorni scorsi, ai “passeggiatori” quantomeno – e la parlamentare pentastellata Anna Laura Orrico. La prima ha parlato di un «errore marchiano» delle forze di polizia invitandole a tornare sui propri passi. La seconda ha definito «la meglio gioventù, una boccata d’ossigeno per la nostra città e la Calabria» i destinatari dei provvedimenti repressivi auspicando un lieto fine.

    Vittoria Morrone (a sinistra), insieme a Simone Guglielmelli e Jessica Cosenza, i due giovani per cui la Questura ha chiesto misure di sorveglianza speciale
    Vittoria Morrone (a sinistra), insieme a Simone Guglielmelli e Jessica Cosenza, i due giovani per cui la Questura ha chiesto misure di sorveglianza speciale

    Fatto sta che ai cosentini – e non solo, durante l’assemblea è arrivato un messaggio anche da Medici senza Frontiere Italia – quanto accaduto non va proprio giù. E presto potrebbe arrivare il bis della più celebre manifestazione in favore di chi dissente che Cosenza abbia mai ospitato, quella post G8 del 2001. A preannunciarla, in chiusura, proprio uno degli attivisti nel mirino della Questura: «Siamo in una terra che non garantisce  alcun diritto se non sotto ricatto e la Questura decide di perseguire chi prova a far politica dal basso. Va difesa l’agibilità democratica di questa città, crediamo serva una grande mobilitazione a gennaio».