Tag: politica

  • Un Gallo di troppo nel pollaio di Roberto Occhiuto

    Un Gallo di troppo nel pollaio di Roberto Occhiuto

    «Vorrei che la gente pensasse che ho cuore e talento che non derivano dai miei occhi blu». Gianluca Gallo è un po’ il Paul Newman della politica calabrese: non si può dire che non abbia cuore, o che gli faccia difetto il talento, o che non abbia gli occhi blu. O che – ma questo non c’entra con il divo hollywoodiano – la sua presenza non provochi fastidio e inquietudine al presidente della Regione.
    Già, perché in una regione appena entrata nell’era Occhiuto, Gallo è, potenzialmente, l’angelo ribelle che rischia di essere scacciato proprio perché la sua presenza rappresenta una minaccia per il nuovo dominio.

    Faccia d’angelo e tanta ambizione

    Ha la faccia da serafino, il sorriso aperto e sfuggente, i colori chiari che suggeriscono fiducia. Guai a fidarsi, però: l’assessore all’Agricoltura è determinato al punto da essere spietato, ambizioso fino a diventare quasi avventato; ma è anche cauto e sa quando è il momento di tirare il freno, di aspettare.
    In questi ultimi tre mesi, ha fatto della dissimulazione la sua cifra politica: presente, sempre e comunque, là dove accadono le cose e dove le decisioni avvengono, ma senza far rumore, senza nemmeno tentare di rubare il proscenio al caudillo del momento, quell’Occhiuto che, nella lotta per la conquista della Cittadella, lo ha battuto e vinto.
    Per ora, solo per ora.

    gianluca-gallo-roberto-occhiuto-regione-calabria
    Gianluca Gallo (a destra) con Roberto Occhiuto (al centro)

    La grande nicchia di Gianluca Gallo

    Gallo si sta facendo andar bene la sua grande nicchia, al cui interno c’è tutta la filiera agricola che rappresenta la spina dorsale di una regione che si vuole turistica e industriale, ma che è legata alla terra in modo indissolubile, con i suoi braccianti, i suoi piccoli proprietari, le tante e tante imprese che alla Regione chiedono soldi e attenzione.
    Gallo è lì, al vertice di questo microcosmo produttivo che può disporre di centinaia e centinaia di milioni di euro provenienti da Psr, Pnrr e non solo.

    È sempre sul pezzo, ogni giorno, tutti i giorni: dalla tutela del tartufo a quella del vino, dalla lotta alla processionaria alla salvaguardia dei boschi e delle aziende ittiche, dall’organizzazione del Vinitaly ai preparativi per il salone dell’agroalimentare di qualità. E tanto altro ancora. Si trova tutto sulla sua pagina Facebook, diventata uno straordinario strumento di promozione personale. Gallo alterna i post dedicati alla caccia e alla pesca a quelli più privati e pop. Ecco l’assessore mentre beve un bicchiere di vino, in posa su un campo di calcio con il figlio, intento a giocare a ping pong, su una giostra a cavalli.

    gianluca-gallo-anti-roberto-occhiuto-giunta-regione-calabria

    L’assessorato stretto

    La narrazione social sembra funzionale a un progetto politico più ampio e a lunga scadenza. Il personaggio, del resto, non è di quelli che si accontentano. Fino all’ufficializzazione della candidatura alla presidenza della Regione, Gallo ha fatto le sue mosse per strappare la nomination finale del centrodestra, ma si è dovuto arrendere a un Occhiuto posizionato molto meglio nello scacchiere romano.
    Chi lo conosce bene, tuttavia, è pronto a scommettere che le ambizioni dell’assessore sono ancora vive, tutt’altro che sopite. E, anche se la realtà visibile racconta il suo low profile quotidiano, la sua subalternità accettata, è molto probabile che Gallo si senta così, che intimamente si veda e si rappresenti come l’anti-Occhiuto in attesa del suo riscatto.

    Il capo dell’agricoltura calabrese, dopo la morte della presidente Jole Santelli, aveva accarezzato l’idea di succederle, muovendosi su e giù per la Calabria quasi come un erede designato in attesa dell’incoronazione ufficiale. Certo è che, prima di accarezzare quel sogno, “faccia d’angelo” ha vissuto successi ma anche crisi che rischiavano di chiudere anzitempo la sua carriera, salvata solo da quell’ambizione sfrenata e comunque sufficiente a tenerlo a galla anche quando tutto sembrava finito.

    La carriera di Gianluca Gallo

    Sposato, padre di due figli, cattolico, avvocato, democristiano, poi Cdu, poi Udc, due volte sindaco della sua città, Cassano allo Ionio. Nel 2010, entra in Consiglio regionale con lo Scudocrociato. Quando quel mondo crolla, è tra i promotori di un avvicinamento dell’Udc al centrosinistra di Mario Oliverio. L’accordo, però, non si chiude per colpa del governatore.
    E Gallo se la lega al dito, anche perché è costretto a riabbracciare un centrodestra votato a sconfitta certa e a candidarsi nella lista Casa delle libertà. Infatti, arriva secondo, con quasi tremila voti di distacco dall’unico eletto, Giuseppe Graziano. Non dimenticherà nemmeno questo fallimento. Gallo è fuori gioco, la sua storia politica sembra arrivata all’ultima pagina. È a questo punto che ne esce fuori la tempra.

    giuseppe-graziano-i-calabresi
    Il consigliere regionale dell’Udc, Giuseppe Graziano (foto Alfonso Bombini/ICalabresi)

    Ingaggia una battaglia legale contro Graziano che arriva fino alla Corte costituzionale. A tre anni dal voto, la Corte d’appello di Catanzaro dichiara la decadenza del comandante del Corpo forestale (che aveva violato le regole sull’aspettativa). Gianluca Gallo può rientrare in Consiglio. Sa che manca poco alla fine della legislatura e non perde occasione per farsi pubblicità attaccando un Oliverio che, agli occhi dei calabresi, ha ormai esaurito ogni credito politico. Nel frattempo, l’ex sindaco diventa coordinatore provinciale di Forza Italia nel Cosentino. È un’altra svolta, perché inizia a rafforzare la sua rete.

    gianluca-gallo-anti-roberto-occhiuto-giunta-regione-calabria
    Gallo nostromo

    Alle Regionali del 2020, i 6.500 voti ottenuti cinque anni prima diventano 12mila. Santelli lo mette a capo della grande nicchia agricola. E lui – a bordo delle sue amate Alfa Romeo – inizia a girare in lungo e in largo la Calabria. Cacciatori e pescatori lo amano, i produttori pure. È difficile trovare un titolare di azienda vitivinicola, florovivaistica o avicola che non lo abbia incontrato almeno una volta o che non ne riconosca i meriti. Anche perché, dalla cabina di comando della Cittadella, Gallo fa principalmente una cosa: sblocca pagamenti, decine e decine di milioni di euro distribuiti a pioggia in una terra arida di risorse.

    L’endorsement non basta: Fi punta su Roberto Occhiuto

    L’assessore, più che i canali ufficiali, usa i social per annunciare la distribuzione dei nuovi fondi. Instillando nel suo pubblico l’idea che, quasi quasi, quei soldi provengano direttamente dalle sue tasche. Tra tour continui nelle aree produttive della regione e i rubinetti dei finanziamenti sempre aperti, la popolarità di Gianluca Gallo cresce a dismisura. La fine anticipata della legislatura lo trova pronto per la grande prova, ma serve un endorsement di peso. Si dice che il suo principale sostenitore sia stato l’allora arcivescovo di Catanzaro-Squillace, nonché presidente della Conferenza episcopale calabra, Vincenzo Bertolone.

    Vincenzo Bertolone, già arcivescovo di Catanzaro-Squillace

    L’unica certezza è che Gallo deve infine ritirarsi in buon ordine per lasciare tutti gli applausi a Roberto Occhiuto. Forse, a quel punto, all’entusiasmo della sfida subentra la paura delle possibili reazioni del vincitore, conosciuto negli ambienti della politica per il suo «carattere vendicativo». «Gallo – racconta un’autorevole fonte del centrodestra – era sicuro di essere rieletto, ma temeva di non essere confermato in Giunta per via delle sue manovre per la candidatura alla presidenza. Così si è impegnato al massimo per un risultato che non lasciasse alternativa al nuovo governatore».

    Il record di voti in Calabria

    I 12mila voti del 2020, in poco più di un anno, diventano allora 21mila, un record incredibile su cui si sono appiccicati diversi sospetti. In primis, quelli del vecchio nemico, Oliverio: «Alcuni assessorati si sono trasformati in bancomat». Pronta la risposta di Gallo, che sa di tremendissima vendetta per quel no ricevuto nel 2014: «Oliverio farebbe bene a impegnarsi per comprendere le ragioni del suo disastro elettorale».
    Il potente assessore, anche Graziano lo sa, è uno che non dimentica mai i torti e le delusioni. Occhio agli occhi blu, Occhiuto.

    gianluca-gallo-anti-roberto-occhiuto-giunta-regione-calabria
    Gianluca Gallo festeggia a Cassano la rielezione in consiglio regionale con oltre 21mila preferenze

     

  • Intanto c’erano ancora i partiti

    Intanto c’erano ancora i partiti

    “Le pagelle dei calabresi in Parlamento” è il titolo di un arguto articolo apparso di recente su queste colonne in cui l’autore passa in rassegna le attività degli eletti alla Camera e al Senato della nostra regione.
    Il tono stesso dell’articolo è leggero, i contenuti sono da divertissement in agrodolce e forniscono al lettore un quadro di cosa può comportare essere un rappresentante del popolo nelle massime assemblee elettive.

    Quando c’erano i partiti

    Mi ha riportato alla memoria vecchi ricordi, suggestioni di qualche lustro fa quando la Repubblica era un’altra Repubblica, la legge elettorale un’altra, pure l’Italia, forse, un’altra. Intanto c’erano i partiti, gli ultimi fuochi parafrasando F.S. Fitzgerald, delle centrali intermedie fra elettori e istituzioni; poi le pattuglie degli eletti (ricordiamolo, ogni tanto: da eligo) periodicamente riferivano all’opinione pubblica della loro attività, e c’era pure chi invitava stampa e tv locali a recarsi nei palazzi e monitorare la giornata tipo romana di deputati e senatori. Giornata che non era – testimonianza diretta – fatta di glamour e sfaccendatezze, tanto per sfiorare gli aspetti esteriori, ma di lavoro, lavoro nelle Commissioni e in Aula, di documentarsi, elaborare, essere presenti e non solo, e comunque, fisicamente, con un occhio al “territorio”, un altro al paese e un altro ancora ci sarebbe voluto per…

    Autopropaganda

    Quell’invito non fu raccolto ed è – possiamo dirlo anche oggi – un peccato: forse si dovrebbe riproporre, perché aiuterebbe forse a comprendere. Comprendere che le interrogazioni parlamentari sono sì una prerogativa dei membri del Parlamento ma che gli atti di sindacato ispettivo – così si chiamano, aulicamente – servono, come pure le mozioni e in genere gli atti di indirizzo, ma servono più che altro, direi servivano un tempo, come mezzo più che altro di propaganda.

    Il collegio elettorale e il Paese

    Invece uno strumento utile era, ed è ancora quello che conduce a mixare efficacemente rappresentanza con responsabilità, rendersi conto e diffondere cioè la cultura di farsi carico dei problemi dei collegi in cui si è, o meglio era, eletti con quelli del partito in cui si eletti e con quelli del Paese.

    Quali sono i momenti lungo i quali si invera, e si verifica validandolo, questo mix fino a considerarne efficacia e prima ancora praticabilità? È un processo lungo, non lineare, non definito né definibile se non dentro le coordinate che fanno capo alla cultura politica, al rispetto istituzionale, alla “comprensione” reciproca fra eletto e elettore nelle sedi in cui tale comprensione s’ha da effettuare. Quindi proposte di legge, coordinamento fra parlamentari in ambito geografico e partitico, relazioni non formali con i ministeri, mettendo da parte e non alimentando falsi miti o non praticabili suggestioni di inesistenti deus ex machina.

    Se in talune circoscrizioni e per alcune parti politiche questo si realizzava – ricordo – con ricadute positive, per altre imperava il solipsismo tipico delle nostre latitudini, con gli effetti facilmente prevedibili. Ma questo, tutto questo apparteneva a un altro mondo, a un’altra Repubblica.

    Massimo Veltri
    Professore ordinario all’Unical ed ex senatore della Repubblica

  • Piano energetico fermo a 17 anni fa: la Calabria ai tempi del caro bollette

    Piano energetico fermo a 17 anni fa: la Calabria ai tempi del caro bollette

    In un’Italia schiacciata dal caro bollette, e tempestata dallo storytelling sulla transizione ecologica fattasi persino Ministero, è normale che le fonti rinnovabili siano sulla bocca di tutti. E siccome siamo pur sempre il Paese dei Guelfi e dei Ghibellini, nel dibattito si contrappone chi pensa che per non rischiare di fare danni all’ambiente o dare soldi alle mafie non si debba toccare nulla, a chi è convinto che dare in pasto ampie porzioni di territorio alle multinazionali dell’energia serva a evitare i rincari su gas e luce.

    I numeri delle rinnovabili

    Come abbiamo già fatto raccontando cosa stia succedendo attorno all’eolico (in mare e in terra) tra il Golfo di Squillace e i boschi del Vibonese, anche stavolta proviamo a partire dai numeri, che non sono soggetti ad interpretazioni. Le normative comunitarie e nazionali dicono che si dovrà dismettere l’uso del carbone per generare energia elettrica entro tre anni. Nel 2030 il 72% dell’elettricità dovrà arrivare dalle rinnovabili, mentre nel 2050 dovremmo essere prossimi al 95-100%.

    piano-energetico-calabria-fermo-a-17-anni-fa-i-calabresi
    Impianto fotovoltaico in aperta campagna

    Come ci si deve arrivare? Soprattutto con il fotovoltaico: a fine 2020 abbiamo 21,4 GW prodotti da fonte solare, ma secondo stime forse troppo ottimistiche si potrebbe arrivare anche ai 2-300 GW. Governo e Ue lasciano comunque aperta la porta delle importazioni e dei possibili sviluppi tecnologici di fonti finora poco adoperate come, appunto, l’eolico offshore. Per raggiungere gli obiettivi fissati al 2030 si stima che si debba arrivare a circa 70-75 GW di rinnovabili, ma a fine 2019 eravamo a 55,5 GW.

    Questi sono i dati nazionali, guardando alla Calabria invece va ricordato che produciamo oggi un enorme surplus di energia elettrica (+180%), ma siamo tra quelli che consumano più gas naturale (oltre 2,2 milioni di metri cubi nel 2020) per alimentare le centrali termoelettriche tradizionali. E rispetto al gas i rincari in bolletta c’entrano eccome. In questa situazione, con i miliardi del Pnrr a disposizione, l’impulso politico e la conseguente programmazione sarebbero come il motore e lo sterzo di un’enorme automobile che però rischia di restare a secco di benzina, cioè di fondi spendibili, per carenze tecniche e progettuali.

    Il Piano energetico calabrese risale al 2005

    Il principale strumento attraverso cui le Regioni, dagli anni della liberalizzazione del mercato energetico e della riforma del Titolo V, programmano e indirizzano gli interventi in questo settore è il Piano energetico regionale (Per), che essendo ormai indissolubilmente legato a funzioni e obiettivi di carattere ambientale negli anni è diventato Pear (Piano energetico ambientale regionale). È il Pear, dunque, che deve contenere tutte le misure relative al sistema di offerta e di domanda dell’energia sul territorio. Ma in Calabria questo strumento fondamentale non è proprio aggiornatissimo: il Pear attualmente in vigore è stato approvato dal consiglio regionale il 4 marzo del 2005.

    L’Ultimo assessore all’Ambiente

    Proprio così: mentre Guelfi e Ghibellini dell’energia duellano via social, la Calabria dell’era Covid-Pnrr è orfana di un assessore all’Ambiente – la delega è rimasta in capo a un già impegnatissimo Roberto Occhiuto – e il principale strumento di programmazione energetica è fermo a 17 anni fa, cioè a quando la Regione era guidata da Giuseppe Chiaravalloti. In verità nel 2009 sono state licenziate dalla giunta regionale dell’epoca delle linee guida per l’aggiornamento, ma «alla luce dei nuovi orientamenti comunitari in materia, dell’evoluzione del quadro normativo e dei nuovi strumenti di programmazione adottati nel corso degli ultimi anni, risultano ormai superate».

    piano-energetico-calabria-fermo-a-17-anni-fa-I-Calabresi
    Il Capitano Ultimo, assessore all’Ambiente nella giunta regionale guidata da Jole Santelli

    A metterlo nero su bianco è la stessa Regione Calabria che, nell’agosto del 2020, sotto la guida di Jole Santelli e su proposta del “Capitano Ultimo”, ha dato impulso agli uffici (Dipartimento Attività produttive, Settore Politiche energetiche) per la «costituzione di un “Tavolo tecnico per l’aggiornamento del Piano energetico ambientale regionale”» che predisponga le nuove linee guida da sottoporre all’approvazione della Giunta. Quali risultati ha prodotto tutto ciò a quasi 20 mesi dalla delibera del precedente governo regionale? Nessuno.

    In attesa di Enea

    Come atti ufficiali siamo insomma ancora fermi al 2005, anche se, stando a quanto è stato possibile apprendere in via ufficiosa dagli uffici della Cittadella, nel 2018 è stato stilato un documento sulla situazione energetica regionale nell’ambito del programma europeo “Horizon” che, forse, potrebbe costituire una base abbastanza aggiornata da cui partire per redigere un nuovo Pear. Quasi sempre a fare da consulente alle Regioni per questi scopi è Enea, e proprio all’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile – i cui esperti avevano lavorato anche al vecchio Piano – la Cittadella si è rivolta di recente per avere una sorta di preventivo e capire quanto possa costare la consulenza scientifica per elaborare delle nuove linee guida partendo dal documento del 2018.

    Cosa hanno fatto in Emilia e Campania?

    Poi, eventualmente, si dovrà passare anche attraverso il confronto con tutti i soggetti istituzionali e sociali interessati. Giusto per avere qualche termine di paragone, la Regione Emilia-Romagna ha in vigore il Per adottato nel 2017 che fissa la strategia e gli obiettivi per clima ed energia fino al 2030 e si realizza attraverso un Piano triennale di attuazione (Pta). Questo strumento è stato aggiornato nel 2020 ed è stato già avviato il percorso partecipato che porterà al Pta 2022-2024. Scendendo più a Sud, il Piano energetico ambientale della Regione Campania è stato approvato nel luglio del 2020.

    piano-energetico-calabria-fermo-a-17-anni-fa-i-calabresi
    L’Università della Calabria

    Unical e Comuni per abbattere i costi delle bollette

    Intanto noi restiamo impantanati nei buoni propositi e nelle dispute ideologiche che finiscono per dividere anche il fronte ambientalista tra intransigenti e possibilisti. La politica ovviamente non è da meno in quanto a verbosità e divisioni, con l’aggravante che certe posizioni sono evidentemente dettate dalla ricerca di facili consensi più che dal merito di un tema di vitale importanza, oggi e nell’immediato futuro, per ognuno di noi.
    L’Università della Calabria (Dipartimento di Ingegneria Meccanica Energetica e Gestionale) in collaborazione con sedici Comuni Calabresi (Aprigliano, Belmonte, Carlopoli, Cerzeto, Cervicati, Crotone, Francica, Galatro, Morano Calabro, Mongrassano, San Marco Argentano, Parenti , Platì, Panettieri, San Fili, Tiriolo) , ha cominciato a lavorare, con un incontro avvenuto nei giorni scorsi, alla costruzione delle prime Comunità di energia rinnovabile (Cer) con lo scopo di andare «oltre l’obiettivo di soddisfare il fabbisogno energetico delle comunità locali, abbattendo drasticamente i costi per cittadini le imprese e gli enti locali».

    Eppur qualcosa si muove

    Lunedì 21 febbraio sullo stesso tema è previsto un ulteriore incontro in Regione a cui parteciperà il presidente Roberto Occhiuto, la sottosegretaria al MiTE Ilaria Fontana, il deputato Giuseppe d’Ippolito (Commissione Ambiente) e il docente Unical Daniele Menniti. Qualcosa – complice la tempistica del Pnrr – dunque si muove. La potenziale collaborazione tra governo, Regione, Comuni e università potrebbe rappresentare un’occasione irripetibile per costruire una nuova solidarietà energetica tra le comunità locali e superare l’approccio passivo dei cittadini-consumatori.

    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Quanto questa impostazione improntata alla cooperazione dal basso possa essere conciliabile con il business dei colossi dell’energia, che hanno evidentemente il profitto come obiettivo ultimo, non è difficile intuirlo. Per evitare commistioni di interessi, che sotto l’ombrello della transizione energetica magari nascondono nuovi tentativi di sfruttamento dei beni comuni, servirebbero dunque, innanzitutto, una chiara volontà politica e degli strumenti pubblici adeguati di programmazione e regolamentazione del settore. Proprio ciò che, almeno finora, in Calabria manca.

  • CoRe de ‘sta città unica: tutte le strade non portano a Cosenza-Rende

    CoRe de ‘sta città unica: tutte le strade non portano a Cosenza-Rende

    Chi ricorda quella vignetta di Altan che parlando della rivoluzione diceva: «Tutti la vogliono, ma nessuno la fa»? Ecco, la città unica Cosenza – Rende – Castrolibero è come la rivoluzione, una cosa di cui tutti parlano, ma nessuno realizza. Anzi, di più: è una creatura mitologica che ogni tanto viene evocata come una promessa, oppure una minaccia. L’ultima, in ordine di tempo, ad invocarla è stata la consigliera leghista Simona Loizzo, che ha annunciato una proposta di legge per favorire l’unione tra Cosenza a Rende.

    città-unica-cosenza-rende-sandro-principe-i-calabresi
    Sandro Principe, storico sindaco di Rende ed ex sottosegretario al Lavoro

    In realtà la Regione Calabria una legge di questa natura ce l’avrebbe già, «solo che non l’ha mai applicata», spiega Walter Nocito, docente di Diritto pubblico all’Unical.
    Quella legge per la verità è piuttosto vecchia. Risale al 2006, assai prima della Delrio e dei provvedimenti finanziari del 2014 che su base nazionale favorivano con incentivi l’unione dei comuni. Quindi, a ben guardare, forse è meglio lasciarla nella polvere dove è rimasta tutto questo tempo.

    Manna: il cosentino che tifa Rende

    A restare moderna è invece l’idea di unificare Cosenza, Rende e Castrolibero, di cui si parla sin da quando Mancini e Sandro Principe ragionavano sull’unire le due realtà urbane, che peraltro non conoscono discontinuità urbanistica.
    Ad impedire reali passaggi di unificazione furono i tempi non maturi, ma pure un marcato campanilismo che separava le due comunità. E se qualcuno immagina che quell’antica diffidenza sia stemperata si sbaglia alla grande. Il sindaco di Rende, Marcello Manna, ci tiene a precisare che «sul cammino ci sono delle difficoltà».

    città-unica-cosenza-rende-castrolibero-i-calabresi
    Il sindaco di Rende, Marcello Manna (foto Alfonso Bombini)

    «Cosenza nel processo di fusione non può pesare come capoluogo, ma deve rispettare le altre identità», spiega con fermezza Manna. Già in un recente passato, davanti alla delibera della giunta guidata da Mario Occhiuto che affermava che la nuova realtà urbana si sarebbe chiamata Cosenza, aveva annunciato barricate. Ci sarebbe da ragionare sul possibile strazio psicologico di chi come Manna è cosentino doc ma anche sindaco della città vicina e che in virtù di questo suo ruolo innalza lo stendardo del campanilismo con lo stesso vigore che fu del rendesissimo Sandro Principe, quando dovendo immaginare un nome per la nuova città, partorì l’acronimo CoRe, dalle iniziali di Cosenza e Rende, dimenticando Castrolibero. O, forse, considerando che CoReCa sarebbe stato un po’ comico e vagamente balneare.

    CoRe
    CoRe, il cocktail di città in programma già ai tempi del POR 2000-2006

    La città unica di Caruso con Presila e Savuto

    Franz Caruso da parte sua, oltre a rivendicare una parte importante di questo progetto nella campagna elettorale che lo ha portato a diventare sindaco, intende difendere con forza il ruolo e l’importanza di Cosenza come capoluogo e come realtà regionale. «Nessuna volontà egemonica – assicura il sindaco di Cosenza – ma semplicemente il riconoscimento di una storia e di un peso. La nuova città non potrebbe mai chiamarsi Cosenza–Rende, come è avvenuto per Corigliano-Rossano».

    città-unica-cosenza-rende-franz-Caruso-I-calabresi
    Il sindaco di Cosenza. Franz Caruso

    A dividere i due sindaci è pure un aspetto strategico: dove far nascere il nuovo ospedale, che Manna vorrebbe vicino all’Università, idea cui Caruso è contrario. Entrambi invece convergono sull’idea di procedere per piccoli passi. Caruso guarda ad una associazione tra comuni. Pensa a un’area piuttosto vasta, in grado di coinvolgere le Serre cosentine, Mendicino, la Presila, fino addirittura a Rogliano, con i cui sindaci sta già svolgendo incontri. «Il compito che Cosenza deve svolgere in questo processo – spiega Caruso – è quello di motore di sviluppo di un’area vasta oltre la semplice area urbana, un ruolo dominante, come è fisiologico che sia e il nome di tale associazione potrebbe essere Città Bruzia».

    Tutti vogliono la città unica senza i debiti degli altri

    Parole che forse non piaceranno a Manna, che però condivide l’idea dell’associazione tra comuni come sorta di prova generale prima di un’unificazione formale. Senza dimenticare, però, le differenti condizioni di bilancio, perché «dobbiamo capire come si grava con i propri debiti sulla nuova realtà urbana».

    castrolibero-giovanni-greco-i-calabresi
    Il sindaco di Castrolibero, Giovanni Greco

    Il riferimento è al catastrofico dissesto ereditato da Caruso, ma non si deve sottacere che le finanze di Rende appaiono pure esse non solidissime. Sul piano finanziario meglio di tutti sta Castrolibero, il cui sindaco Giovanni Greco appoggia l’idea di una associazione tra comuni, spiegando che la conurbazione è già nei fatti. «Era il 2016 quando il nostro comune dichiarò di essere pronto ad avviare quanto necessario per realizzare la città unica», spiega il sindaco. Aggiunge, però, che esistono dei passaggi propedeutici per favorire il processo ed evitare gli errori emersi dall’unificazione tra Rossano e Corigliano, «che hanno ancora due piani regolatori e due sistemi di tributi».

    L’esempio non proprio virtuoso di Corigliano-Rossano

    Si potrebbe pensare che le condizioni delle casse comunali e quindi dei tributi pagati dai cittadini potrebbero essere un problema. Invece no, almeno nell’immediato. Come spiega Maria Nardo, docente Unical di Economia delle aziende e delle amministrazioni pubbliche, «i comuni che si fondono possono, per la durata di cinque anni, mantenere gli stessi tributi precedenti alla fusione». Dunque all’inizio non cambierebbe nulla per i cittadini, immaginando che cinque anni siano sufficienti per riparare i danni di bilancio portati in dote nello sposalizio.

    Tuttavia è chiaro che, come avviene nelle aziende, gli attivi e passivi una volta uniti finiscono per spalmarsi su tutta la comunità. I vantaggi però sono notevoli, visto che «i trasferimenti aumentano di oltre il 60%».  La professoressa Nardo tuttavia avvisa che non è un cammino agevole. Per questo «è necessario realizzare un accurato piano di fattibilità che proietti avanti nel tempo le conseguenze di una eventuale unificazione», cosa che per esempio, non risulta che sia stata fatta per Corigliano–Rossano.

    corigliano-rossano-flavio-stasi-i-calabresi
    Il sindaco di Corigliano-Rossano, Flavio Stasi

    Sulla stessa linea torna Walter Nocito, che ricorda come «oltre al piano di fattibilità serve uno Statuto provvisorio che preceda il referendum cui saranno chiamati i cittadini». E questo è l’ultimo vero ostacolo, visto che è la Giunta regionale a decidere quale sia la maggioranza di cui tenere conto, cioè la somma totale dei cittadini chiamati al voto o le singole realtà comunali consultate. Che vuol dire decidere se ci si unisce o no.

  • Poteri contro: Gullo, Pilotti e il caso che mise fine all’indipendenza della giustizia

    Poteri contro: Gullo, Pilotti e il caso che mise fine all’indipendenza della giustizia

    Fausto Gullo, a buon diritto annoverato tra i compianti “politici-di-una-volta”, nel 1944 era tra i sostenitori della svolta di Salerno. Aveva aderito alla linea del suo leader, Palmiro Togliatti, ed era poi entrato nel secondo governo Badoglio come ministro dell’Agricoltura, carica mantenuta anche nei successivi. Con il De Gasperi II, cioè il primo governo repubblicano, il comunista Gullo è invece passato al Ministero di Grazia e Giustizia. La Dc aveva spinto affinché lasciasse il posto ad Antonio Segni, futuro capo dello Stato su cui, in quel frangente, i conservatori puntavano per frenare l’approccio che il cosentino (ma nato a Catanzaro) passato alla storia come “il ministro dei contadini” aveva impresso al settore agrario.

    Sergio Rizzo e lo scontro tra Gullo e Pilotti

    Tra l’esordio di Gullo nel governo di unità nazionale e la sua nomina a Guardasigilli sono passati appena due anni. Ma, si sa, a precedere l’alba della Repubblica era stata una notte lunga e tempestosa. Che aveva reso quei tempi forieri di straordinarie mutazioni istituzionali e politiche. È in questa fase che un interessante libro appena uscito colloca una vicenda cruciale nella storia della magistratura italiana: il caso Pilotti, assurto a simbolo dell’eterno dibattito sull’indipendenza del potere giudiziario da quello politico.

    sergio-rizzo-gullo-pilotti
    Il giornalista Sergio Rizzo

    Il libro si chiama Potere assoluto – I cento magistrati che comandano in Italia (Solferino) ed è l’ultima fatica di Sergio Rizzo, già firma del Corriere della Sera, oggi vicedirettore di Repubblica e autore di bestseller come La casta, scritto con Gian Antonio Stella nel 2007. Il caso in questione, illuminante rispetto alle odierne questioni che (referendum e anniversari di Tangentopoli compresi) investono il sistema Giustizia, riguarda la carriera di Massimo Pilotti, uno che era già magistrato a 22 anni (nel 1901) e che nel 1933 ottiene la nomina a segretario generale aggiunto della Società delle Nazioni.

    Pilotti l’epuratore

    Un giurista di fama internazionale, insomma, che dopo l’invasione della Jugoslavia fu anche presidente della Corte suprema di Lubiana. E una volta rientrato in Italia diventa procuratore generale della Cassazione (1944). Il governo Bonomi lo mise pure a presiedere le commissioni di epurazione del ministero degli Esteri, del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dell’Avvocatura dello Stato. Incarico, quest’ultimo, da cui si dimise dopo che la stampa lo accusò di aver tramato con i funzionari sottoposti a epurazione per ridimensionare le accuse a loro carico. Il governo Parri lo confermò, nonostante la contrarietà di Togliatti (all’epoca ministro della Giustizia), negli altri ruoli.

    massimo-pilotti
    Ritratto di Massimo Pilotti (dal sito della Procura generale di Cassazione)

    Schiaffo alla Repubblica

    Il vero scandalo però viene fuori quando il Guardasigilli è Gullo. È in corso l’inaugurazione dell’anno giudiziario del 1947, sono trascorsi appena 6 mesi dal referendum del 2 giugno. In platea per l’occasione siede il primo presidente della neonata Repubblica, Enrico De Nicola. «Il procuratore generale della Cassazione – ricostruisce Rizzo – prende la parola, e nel discorso che apre l’anno giudiziario non gli rivolge il saluto istituzionale. Fatto che già sarebbe grave. Ma Pilotti ignora perfino la nascita della Repubblica». Gravissimo. Si dice che Pilotti sia monarchico, una sorta di Quinta colonna dei fedeli al re nella magistratura, che avrebbe anche spinto sul riconteggio dei voti – in quei giorni non mancano gli scontri di piazza – per mettersi di traverso rispetto alla proclamazione della Repubblica.

    Un Gullo diverso

    Il nuovo ministro ha bene in mente il giudizio sprezzante del suo predecessore nei confronti di Pilotti, che Togliatti definì l’uomo «di fiducia del Governo fascista al momento della conquista dell’Etiopia». Così lo sgarbo a De Nicola diventa un’occasione per fare le scarpe all’alto magistrato. Gullo è certamente un uomo diverso rispetto agli anni della clandestinità, quando da giovane politico-avvocato, nonché fondatore di giornali come Calabria proletaria e L’Operaio, veniva schedato, sorvegliato, arrestato e mandato al confino in Sardegna. Non è nemmeno più lo stesso a cui nel novembre del 1943, dopo la rivolta cosentina contro la permanenza in cariche istituzionali di persone coinvolte con il Fascismo, veniva preferito Pietro Mancini come prefetto.

    Soprattutto, Gullo non è più quello della svolta di Salerno, in nome della quale i partiti antifascisti avevano accantonato la questione monarchica per favorire l’unità nazionale. Ora i conti si possono regolare. Così il Guardasigilli scrive al Consiglio superiore della magistratura, all’epoca dipendente dal suo Ministero, annunciando l’intenzione di rimuovere Pilotti. L’epuratore, dunque, sta per essere epurato. Prova a difendersi, ma Gullo è irremovibile: Pilotti perde il posto da pg. Ma uno così non non finisce certo in rovina. Lo piazzano alla Presidenza del Tribunale delle Acque e per l’occasione elevano la carica a pari grado di procuratore generale.

    Giustizia e politica: due scuole di pensiero

    Anche la pensione non gli va malaccio: da collocato a riposo, nel 1949 Pilotti diventa arbitro italiano alla Corte permanente di arbitrato dell’Aja e, nel 1952, presidente della Corte di giustizia della Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Nel togliere a Pilotti la poltrona di pg, secondo Rizzo, Gullo avrebbe incontrato ben altre resistenze se la vicenda non si fosse incrociata con quella dell’Assemblea costituente. Che proprio nei giorni dello sgarbo a De Nicola discute degli articoli sul rapporto tra giustizia e politica.
    Si scontrano due scuole di pensiero. Da una parte quella che rappresenta anche il futuro presidente della Repubblica Giovanni Leone: propone che i pm dipendano dal governo e che a guidare il Csm sia il capo dello Stato. Dall’altra chi sostiene l’indipendenza assoluta dei magistrati dal potere politico.

    ceca-pilotti
    La Corte di giustizia della Ceca. Al centro, Massimo Pilotti (1952, dal sito della Corte di giustizia europea)

    Le parole di Calamandrei sullo scontro tra Gullo e Pilotti

    Tra questi c’è Piero Calamandrei. Ma, dopo il caso Pilotti, la sua linea perde consistenza e nell’Assemblea si finisce per mediare tra le due posizioni. «In realtà chi ha impedito all’autogoverno della magistratura di affermarsi in pieno nel nostro progetto – attacca Calamandrei alla Costituente – non sono stati tanto gli argomenti dei colleghi sostenitori della opinione contraria, quanto è stato Sua Eccellenza il procuratore generale Pilotti».

    piero_calamandrei
    Piero Calamandrei

    Lo sgarbo, secondo Calamandrei, l’alto magistrato lo ha fatto «non al presidente della Repubblica, ma proprio alla magistratura: e la magistratura deve ringraziar proprio lui, il procuratore generale Pilotti, della ostilità con cui è stata accolta nel progetto della Costituzione l’idea dell’autogoverno: proprio lui, col suo gesto, è riuscito a impedire che la magistratura possa aver fin da ora quella assoluta indipendenza di cui la grandissima maggioranza dei magistrati, esclusi alcuni pochi Pilotti, sono degni». Qualche giorno dopo il discorso di Calamandrei, Gullo rimuove Pilotti. E, secondo Rizzo, l’idea «dell’indipendenza cristallina della magistratura tramonta con la sua defenestrazione».

  • Quattro anni e non sentirli: le pagelle dei calabresi in Parlamento

    Quattro anni e non sentirli: le pagelle dei calabresi in Parlamento

    Hanno superato il momento più difficile: l’elezione del Presidente della Repubblica. Ce l’avesse fatta un altro al posto di Sergio Mattarella, tipo un signore di nome Mario, sarebbero stati dolori, causati dallo spettro del voto anticipato.
    Invece, i parlamentari l’hanno sfangata anche stavolta, dopo aver superato un rischio analogo in occasione della crisi scatenata da Salvini al Papeete, da cui è nato il Conte II, e dalla mossa del cavallo di Renzi, che ha poi dato i natali al Governo Draghi.

    Il passato è passato, ora bisogna pensare al presente e all’anno che manca alla fine della legislatura. Sarà una lunga campagna elettorale durante la quale deputati e senatori faranno di tutto per accaparrarsi i posti sopravvissuti al taglio determinato dalla legge costituzionale del 2020: restano “solo” 400 scranni a Montecitorio e 200 a Palazzo Madama. La Calabria sarà rappresentata da 13 deputati (oggi sono 20) e sei senatori (10). Come nel gioco delle sedie musicali, qualcuno – più di qualcuno – resterà in piedi.

    Chiosa demagogica: se le cose stanno così, bisogna votare bene, al prossimo giro. Ecco quindi il pagellone semiserio dei 31 parlamentari e mezzo (c’è Tilde Minasi che non ha ancora deciso) della Calabria. I giudizi, oltre che sintetici, sono insindacabili come quelli di Alessandro Borghese in 4 Ristoranti, anche se non possiedono la capacità di confermare o ribaltare alcunché.

    Abate, Rosa Silvana (senatrice, Misto):

    È un effetto della valanga grillina che, nel 2018, spazzò via parte della vecchia classe dirigente. La sua invece rimane una faccia nuova, al punto che quasi nessun calabrese la riconoscerebbe per strada. Sulla sua pagina Fb si descrive così: «Mi occupo di agricoltura, pesca, trasporti e sanità». Ineffabile. Voto 6 di incoraggiamento.

    abate-calabria-parlamento
    Rosa Silvana Abate

    Auddino, Giuseppe (senatore, M5S):

    Nel 2010, da candidato in una lista civica legata al Pci, non era stato eletto nel Consiglio di Polistena. Ha presentato un disegno di legge per il divieto di fumare fuori dai locali pubblici e in spiaggia. È il Sergio Cammariere del Parlamento. Sosia. Voto 6 per l’intonazione.

    auddino-calabria-m5s
    Giuseppe Auddino

    Barbuto, Elisabetta (deputata, M5S):

    Chiede da tempo le bonifiche post-industriali nel Crotonese. Su Fb non arriva a 4mila amici: troppi post impegnati e nemmeno un meme. I suoi comunicati chilometrici provocano smoccolamenti nelle redazioni calabresi. Professorale. Voto 6,5 per l’austerità.

    barbuto-parlamento
    Elisabetta Barbuto

    Bruno Bossio, Enza (deputata, Pd):

    Sembra che stia in Parlamento da una vita, e ci starà ancora a lungo se, con il marito Nicola Adamo, continuerà a dettare legge nel Pd cosentino. In questa legislatura ha rafforzato le sue posizioni garantiste. Del procuratore Gratteri ha detto: «Arresta metà Calabria. È giustizia? No è solo uno show». Scontri anche con De Magistris. Barricadera. Voto 6 per la tenacia.

    bruno-bossio-calabria-parlamento
    Enza Bruno Bossio

    Caligiuri, Fulvia (senatrice, Fi):

    Ha strappato il seggio calabrese a Matteo Salvini. Era l’agosto 2019 e da quel momento il leader della Lega non ne ha più imbroccata una. Effetto Papeete. Voto 7 per la reazione a catena.

    Fulvia-Caligiuri
    Fulvia Caligiuri

    Cannizzaro, Francesco (deputato, Fi):

    Ogni settimana annuncia l’arrivo di vagonate di milioni per la provincia di Reggio. Dove c’è l’azione, c’è lui. Voleva fare il governatore al posto di Occhiuto e poi anche il coordinatore regionale del suo partito. È giovane e si farà. Furia aspromontana. Voto 6 per l’ambizione.

    cannizzaro-aereo
    Francesco Cannizzaro

    Corrado, Margherita (senatrice, Misto):

    Dopo l’addio al M5S, si è candidata a sindaco di Roma. Ha preso 618 voti, lo 0,06%. Incommentabile. Voto 4 per l’imbarazzo.

    corrado-margherita-calabria
    Margherita Corrado

    D’Ippolito, Giuseppe (deputato, M5S):

    Si batte per inasprire le norme di controllo nella filiera di rifiuti. Suo il disegno di legge costituzionale per abolire il pareggio di bilancio sulle spese sanitarie. Sembra il gemello dell’ex ministro Giovanni Maria Flick. Arcigno. Voto 6 per la somiglianza.

    giuseppe_d_ippolito-parlamento
    Giuseppe D’Ippolito

    Dieni, Federica (deputata, M5S):

    È vicepresidente del Copasir, l’organo che controlla l’operato dei servizi segreti. Ha la responsabilità di dossier delicati per la sicurezza nazionale e dunque, a differenza di molti suoi colleghi a 5 stelle, non crede nelle scie chimiche e nemmeno nei chip sottocutanei. Istituzionale. Voto 7 per la serietà.

    federica-dieni
    Federica Dieni

    Ferro, Wanda (deputata, Fdi):

    È la commissaria regionale del partito di Giorgia Meloni ma delle liste elettorali si occupa sempre qualcun altro. È la kingmaker di Catanzaro ma non vuole fare il nome del candidato sindaco. In compenso, pubblica un sacco di foto sfocate su Fb. Mossa. Voto 4 per la confusione.

    ferro-sfuocata
    Wanda Ferro (sfuocata)

    Forciniti, Francesco (deputato, Misto):

    Avvocato, è il Di Battista calabrese. Infatti non perde occasione per perculare il M5S, nelle cui file è stato eletto. Nemico giurato della Bce, dei poteri forti e delle lobby. Grillino ante litteram. Voto 6 per la convinzione.

    2021_francesco-forciniti
    Francesco Forciniti

    Furgiuele, Domenico (deputato, Lega):

    È il protoleghista calabrese, il primo, a queste latitudini, a credere nella svolta nazionale di Salvini. Poi le inchieste che hanno riguardato lui e alcuni membri della sua famiglia ne hanno appannato l’appeal agli occhi del Capitano (e non solo ai suoi). Lui continua a sgomitare a Montecitorio e a indossare abiti che non passano inosservati. Dandy lametino. Voto 6 per l’intraprendenza.

    domenico-furgiuele-calabria-parlamento
    Domenico Furgiuele

    Gentile, Andrea (deputato, Fi):

    Rampollo di uno dei casati politici più potenti della storia calabrese, è arrivato in Parlamento dopo l’elezione a presidente di Regione di Roberto Occhiuto, per cui stravede. Proprio come il governatore, anche lui, in un’intervista al Quotidiano del Sud, ha fatto un bilancio dei suoi primi 100 giorni alla Camera. Ha più o meno ammesso di aver combinato poco, ma sono dettagli. Gentile never die. Voto 5 per la dynasty.

    andrea-gentile
    Andrea Gentile

    Granato, Bianca Laura (senatrice, Misto):

    Può contare su un esercito di 67mila follower. È un’icona dei no vax. Sostiene che ci siano troppe morti sospette tra i guru negazionisti e che il super Green pass sia un colpo di Stato. Dice che esistono i nazisanitari e che i «vaccini sono la malattia». Ha pubblicato sulla sua pagina Fb il video choc del docente che si è dato fuoco a Rende. Ha sorriso solo quando Berlusconi l’ha chiamata, presentandosi come il «signore del bunga bunga». È Vulvia di Rieducational channel. Voto 3 per il complottismo.

    Bianca-Laura-Granato
    Bianca Laura Granato

    Magorno, Ernesto (senatore, Iv):

    È più renziano di Renzi, perfino più spericolato di lui. Si è autocandidato per il centrodestra alla presidenza della Provincia di Cosenza. Ha sostenuto Occhiuto alle Regionali. Nel giglio magico lo chiamano «Ernestone». Mutante. Voto 7 per la disinvoltura.

    ernesto-magorno
    Ernesto Magorno

    Mangialavori, Giuseppe (senatore, Fi):

    Ha la faccia da bravo ragazzo, ma chi lo conosce giura che l’estetica non dice nulla del suo carattere. Il ricorso di Wanda Ferro lo aveva estromesso dal Consiglio, ma da allora ha scalato il partito di Berlusconi (oggi ne è il coordinatore regionale) e ha vinto tutte le elezioni in cui si è impegnato. Revenant. Voto 7 per la cazzimma.

    Giuseppe-Mangialavori-parlamento
    Giuseppe Mangialavori

    Melicchio, Alessandro (deputato, M5S):

    Faccia acqua e sapone, ha proposto il commissariamento del liceo di Castrolibero dopo i casi di molestie. Giuseppe Conte lo ha cazziato pubblicamente per aver votato con le opposizioni sulle pregiudiziali di costituzionalità della riforma della giustizia: «Ha esercitato libertà di incoscienza». Duro e puro. Voto 6 per gli occhi azzurri.

    Alessandro-Melicchio
    Alessandro Melicchio

    Misiti, Carmelo Massimo (deputato, M5S):

    È il coordinatore calabrese del Movimento. Parlamentare tra i più attivi, ha presentato una proposta per la riorganizzazione di tutti i servizi di emergenza. Insomma, è un politico preparato. Anomalo. Voto 6,5 per la professionalità.

    Carmelo-Massimo-Misiti
    Carmelo Massimo Misiti

    Morra, Nicola (senatore, Misto):

    Ha lasciato il Movimento ma non la commissione Antimafia. Filosofo citazionista e manicheo, giustizialista, è un acerrimo nemico della massoneria deviata, per cui il cappuccio che ha messo nel corso del suo blitz negli uffici dell’Asp di Cosenza è tutta un’altra cosa. Sarà ricordato per le parole irripetibili su Jole Santelli ma anche per la battaglia sulla qualità del mangime nel canile di Donnici. Savonarola. Voto 2 per il fondamentalismo.

    nicola-morra
    Nicola Morra

    Nesci, Dalila (deputata, M5S):

    Sottosegretaria per il Sud, da mesi è in pellegrinaggio per far conoscere a tutta l’Italia i Contratti istituzionali di sviluppo. Da neo-governista, ha quasi dimenticato le sue battaglie a favore della sanità calabrese. Smemorata. Voto 5 per la metamorfosi.

    Dalila-Nesci
    Dalila Nesci

    Orrico, Anna Laura (Deputata, M5S):

    Già sottosegretaria ai Beni culturali, ha alzato la voce per la tutela del centro storico di Cosenza, prima di dedicarsi a un silenzio quasi religioso. Mistica. Voto 5 per l’afasia.

    Orrico-M5S-i-calabresi
    Anna Laura Orrico – I Calabresi

    Parentela, Paolo (deputato, M5S):

    Fervido sostenitore dell’apicoltura, è tra i principali artefici della legge sul biologico. A Catanzaro sostiene la candidatura di Nicola Fiorita, che potrebbe non averla presa benissimo. È al secondo mandato e aspetta la deroga di Grillo. Speranzoso. Voto 6 per l’acconciatura.

    paolo-parentela
    Paolo Parentela

    Sapia, Francesco (deputato, Alternativa):

    È il picconatore calabrese: ha ingaggiato lotte senza esclusione di colpi per la sanità e la trasparenza amministrativa. Ha definito Draghi «quel gesuita». Cossiga. Voto 8 per l’irriducibilità.

    francesco-sapia
    Francesco Sapia

    Scutellà, Elisa (deputata, M5S):

    Tiene moltissimo alla piccola stazione ferroviaria di Rossano. Gli addetti ai lavori faticano a riconoscerla. Eterea. Voto 5 per il camuffamento.

    ELISA-SCUTELLA-NEW
    Elisa Scutellà

    Siclari, Marco (senatore, Fi):

    Amico e sostenitore di lunga data del coordinatore azzurro Tajani, si occupa prevalentemente di sanità. L’inchiesta Eyphemos e la condanna per il presunto appoggio elettorale ricevuto dalla cosca Alvaro di Sinopoli ne hanno stoppato ogni iniziativa. Inespresso. Voto 5 per le circostanze.

    Marco-Siclari-625x350-1582718835
    Marco Siclari

    Stumpo, Nico (deputato, Leu):

    È talmente “romano” che in pochi ricordano la sua elezione in Calabria. In occasione del voto per il Quirinale è stato incluso tra i «pallottolieri», gli uomini macchina che conoscono tutti i segreti dell’urna. È un grande sostenitore del ministro Speranza. Sinistroide. Voto 5 per il disinteresse.

    nico-stumpo-parlamento
    Nico Stumpo

    Torromino, Sergio (deputato, Fi):

    A Montecitorio per volontà altrui. Domenico Giannetta doveva scegliere tra il seggio alla Camera e quello al Consiglio regionale. Ha optato per quest’ultimo, in una legislatura durata poco più di un anno, e ora è fuori dalle istituzioni. Torromino, invece, è ancora in gioco e cerca una riconferma. Casuale. Voto 6 per la buona stella.

    crotone-sergio-torromino
    Sergio Torromino

    Tripodi, Maria (deputata, Fi):

    Open Parlamento ricorda che si occupa di personale militare, marina, esercito, terrorismo e potere legislativo. La provincia reggina che l’ha eletta, invece, non sembra entusiasmarla più di tanto. I maligni ritengono che ecceda con l’uso dei filtri nelle sue foto. Ringiovanita. Voto 4 per l’assenza.

    tripodi-maria
    Maria Tripodi

    Tucci, Riccardo (deputato, M5S):

    Su di lui pende una richiesta di rinvio a giudizio per frode fiscale che ne ha limitato lo slancio. Viene descritto come un contiano di ferro. In passato è stato “facilitatore regionale alle relazioni interne” del Movimento. Incomprensibile. Voto 5 per la difficoltà.

    Riccardo-Tucci
    Riccardo Tucci

    Viscomi, Antonio (deputato, Pd):

    Ha sfruttato il lockdown per partecipare a webinar di ogni tipo. È un cattedratico che ha saputo costruire buoni legami nella capitale. Tra i pochi politici calabresi a usare Twitter, è uno dei più autorevoli rappresentanti del Pd. Infatti si dice che i big del partito calabrese vorrebbero farlo fuori (politicamente). Resistente. Voto 6,5 per la compostezza.

    antonio-viscomi-parlamento-calabria
    Antonio Viscomi

    Vono, Silvia Gelsomina (senatrice, Fi):

    Ha studiato e messo in pratica il camaleontismo mastelliano. È stata in Italia dei valori, in una lista vicina al Pd, nel M5S, in Italia viva e, da poche settimane, è in Fi. Non classificabile. Voto 10 per il trasformismo.

    Silvia-Gelsomina-Vono
    Silvia Gelsomina Vono

    Minasi, Tilde: (senatrice, Lega):

    La mattina del 5 ottobre era fuori da tutto. Poi Occhiuto l’ha ripescata per la sua Giunta, prima di essere proclamata anche in Senato. Aspetta indicazioni da Salvini, ma nel frattempo è passata dal votare le delibere del governatore al voto per il Presidente della Repubblica. Double face. Voto 8 per la tenuta mentale.

    tilde-minasi
    Tilde Minasi
  • Cannabis e referendum, no della Corte Costituzionale

    Cannabis e referendum, no della Corte Costituzionale

    Dopo il no a quello sull’eutanasia, arriva un’ulteriore bocciatura della Corte Costituzionale, questa volta per il referendum sulla depenalizzazione della cannabis per uso personale. Proprio come per l’omicidio del consenziente, la Consulta ha ritenuto il quesito inammissibile, privando pertanto gli elettori della possibilità di esprimersi sulla materia nei prossimi mesi. Nonostante il poco tempo a disposizione per raccogliere le firme necessarie a proporre il referendum, i comitati erano riusciti nell’impresa a ritmi da record, soprattutto attraverso la raccolta online.

    Cannabis, lo stop al referendum della Corte costituzionale 

    La legittimità di quella raccolta era stata in discussione fino a pochi giorni fa, quando infine la Consulta l’aveva certificata. Nelle ore successive allo stop a quello sull’omicidio del consenziente, erano arrivati pareri positivi per quattro dei sei referendum sulla Giustizia. i giudici avevano ritenuto, infatti, ammissibili i seguenti quesiti:

    1. Abrogazione delle disposizioni in materia di incandidabilità
    2. Limitazione delle misure cautelari
    3. Separazione delle funzioni dei magistrati
    4. Eliminazione delle liste di presentatori per l’elezione dei togati del CSM

     

    La Corte Costituzionale, chiusa tra non poche polemiche la pratica sull’omicidio del consenziente, aveva  proseguito in Camera di consiglio l’esame sull’ammissibilità dei rimanenti quesiti referendari. E nel pomeriggio del 16 febbraio ha dato il suo via libera ai quattro referendum elencati poche righe più su. L’Ufficio Comunicazione della Consulta ha divulgato una nota specificando che i quesiti in questione «sono stati ritenuti ammissibili perché le rispettive richieste non rientrano in alcuna delle ipotesi per le quali l’ordinamento costituzionale esclude il ricorso all’istituto referendario»

    Le dichiarazioni di Giuliano Amato

    Per conoscere integralmente le ragioni dietro le decisioni della Consulta toccherà attendere ancora qualche tempo. Un primo assaggio di quelle relative alla cannabis, però, si può avere dalle dichiarazioni del presidente Giuliano Amato alla stampa: «Abbiamo dichiarato inammissibile il referendum sulle sostanze stupefacenti, non sulla cannabis. Il quesito è articolato in tre sotto quesiti ed il primo prevede che scompare tra le attività penalmente punite la coltivazione delle sostanze stupefacenti di cui alle tabelle 1 e 3, che non includono neppure la cannabis ma includono il papavero, la coca, le cosiddette droghe pesanti. Già questo sarebbe sufficiente a farci violare obblighi internazionali». La Corte Costituzionale fa sapere, infine, che, così come per gli altri quesiti al vaglio, la sentenza sarà depositata nei prossimi giorni.

     

     

     

     

  • Giustizia, arriva il sì per quattro referendum: quesiti ammissibili

    Giustizia, arriva il sì per quattro referendum: quesiti ammissibili

    Dopo la bocciatura arrivata ieri per quello sull’eutanasia legale, arrivano i primi sì della Corte costituzionale a quattro dei sei referendum sulla Giustizia. La Consulta ha proseguito oggi, infatti, in Camera di consiglio l’esame sull’ammissibilità dei quesiti referendari. E ha dato il suo via libera per i quattro analizzati dopo quello sull’omicidio del consenziente. Gli italiani saranno chiamati a votare tra aprile e maggio sui seguenti temi:

    1. Abrogazione delle disposizioni in materia di incandidabilità
    2. Limitazione delle misure cautelari
    3. Separazione delle funzioni dei magistrati
    4. Eliminazione delle liste di presentatori per l’elezione dei togati del CSM

    Altri due referendum sulla giustizia

    L’Ufficio comunicazione della Consulta ha divulgato una nota in cui si spiega che «i quesiti sono stati ritenuti ammissibili perché le rispettive richieste non rientrano in alcuna delle ipotesi per le quali l’ordinamento costituzionale esclude il ricorso all’istituto referendario». Restano, dunque, ancora al vaglio della Corte altri due referendum che riguardano da vicino il mondo della Giustizia, in particolare quello sulla responsabilità civile dei magistrati. Da valutare, inoltre, l’ammissibilità del quesito che introdurrebbe la depenalizzazione della cannabis per uso personale.

     

     

     

  • Eutanasia legale: referendum inammissibile per la Consulta

    Eutanasia legale: referendum inammissibile per la Consulta

    La Corte Costituzionale ha respinto il referendum sull’eutanasia legale: giudizio della Consulta il quesito referendario è inammissibile. Prevedeva la parziale abrogazione della norma dell’articolo 579 del codice penale, omicidio del consenziente, introducendo così l’eutanasia legale in Italia. E secondo la Corte con l’eventuale abrogazione non sarebbe preservata la tutela minima costituzionalmente necessaria della vita umana, in generale, e con particolare riferimento alle persone deboli e vulnerabili.

    Referendum: eutanasia legale inammissibile, ora gli altri quesiti

    L’eutanasia legale non sarà dunque un tema su cui gli italiani si pronunceranno in un referendum. A chiedere questa possibilità era stata l’Associazione Luca Coscioni, raccogliendo oltre 1 milione e 200 mila firme, tra fisiche ed elettroniche. Ora si attende la pronuncia sull’ammissibilità degli altri sette quesiti referendari: uno sulla legalizzazione della cannabis per uso personale e sei sulla giustizia. Riguardano legge Severino, custodia cautelare, separazione delle carriere, consigli giudiziari, responsabilità civile dei magistrati, elezione dei componenti del Csm.

  • Quattro ospedali in una montagna di guai

    Quattro ospedali in una montagna di guai

    Forse non tutti conoscono Nardodipace e, probabilmente, molti ne hanno sentito parlare per una banalizzazione mediatico-statistica che alla fine degli anni ’80 ne fece il «paese più povero d’Italia». Al di là delle etichette, è in realtà un paese simbolo delle aree interne. È l’ultimo Comune della provincia di Vibo e i suoi 1400 abitanti si dividono tra l’abitato principale, a 1000 metri di altezza, e 4 frazioni. Alcune contrade distano più di 30 km dal centro. Che a sua volta è lontano altri 20 km da Serra San Bruno, dove c’è l’ospedale più vicino. C’è gente, dunque, che per arrivarci deve fare almeno un’ora di auto, su strade dissestate che in inverno sono ricoperte di ghiaccio e neve.

    Da Nardodipace a Serra San Bruno, ore per un’ambulanza: l’esposto del sindaco

    Sempre che ce l’abbia, un’auto, che sia in grado di guidarla e che non stia tanto male da non poter raggiungere l’ospedale con mezzi propri. In quel caso la sorte dovrà essere clemente: l’unica ambulanza a disposizione per decine di migliaia di utenti potrebbe essere impegnata in un’altra emergenza e dunque metterci un bel po’ ad arrivare. È successo a una docente che proprio in una classe di Nardodipace si è accasciata a terra per una crisi ipertensiva ed è stata soccorsa dopo ore: non era presente in paese nemmeno il medico di base, così dopo l’episodio, approdato sulla stampa nazionale, il sindaco Antonio Demasi ha addirittura presentato un esposto ai carabinieri. Si è sempre parlato della necessità di una seconda ambulanza e in teoria ci sarebbe ma, in pratica, la si può utilizzare solo per trasporto sangue, dimissioni di pazienti Covid o consulenze specialistiche.

    ospedali-montagna-serra
    L’ospedale di Serra San Bruno

    Da qualche mese è arrivato un medico in più, così al Pronto soccorso tutti i turni sono coperti. Per assicurare la presenza h24 si è fatto ricorso alle prestazioni aggiuntive – che costano all’Asp 1 euro al minuto – ed è capitato anche che qualcuno avesse un malore dopo un turno di 20 ore. Per il resto, in un ospedale in cui c’erano molti reparti attivi e addirittura si partoriva, oggi ci sono una ventina di posti letto di Medicina e altrettanti di Lungodegenza. La Chirurgia quasi non esiste: c’è un solo medico che fa Day Surgery ed è vicino alla pensione. Poi un solo anestesista per le urgenze e un solo medico anche per la Dialisi. Nessuno per la Radiologia, da dove i referti vengono trasmessi a Vibo con annessi disagi e ritardi.

    Gli altri ospedali di montagna

    Una situazione analoga a quella di Serra la si riscontra anche negli altri tre ospedali montagna, classificati come tali nei decreti dei vari commissari ad acta e su cui da oltre vent’anni aleggia lo spettro della chiusura. Quello che al momento sembra più attrezzato è il presidio di San Giovanni in Fiore, che ha comunque subìto un forte ridimensionamento e non è certo privo di criticità. Tanto che di recente è stata lanciata una petizione online  che è già oltre le 1500 sottoscrizioni.

    ospedali-montagna-san-giovanni
    L’ospedale di San Giovanni in Fiore

    San Giovanni in Fiore sta oltre i 1000 metri e gli ospedali più vicini sono a Crotone e Cosenza, tra i 50 e i 60 km. I suoi 17mila abitanti – ma contando i limitrofi l’utenza arriva a 30mila persone – hanno a disposizione un Pronto soccorso con 5 medici e una decina di anestesisti che ruotano in convenzione con l’ospedale di Crotone. Ci sono tre ambulanze ma non sempre hanno un medico a bordo. Poi 20 posti letto di Medicina e un reparto di Lungodegenza nuovo ma mai aperto. Soprattutto – e qui sta la differenza rispetto agli altri ospedali di montagna – c’è un reparto di Chirurgia che, a breve, dovrebbe tornare operativo con l’arrivo di un medico da Crotone e gli avvisi di mobilità per garantire il personale necessario.

    Acri e Soveria Mannelli

    ospedali.montagna-acri
    L’ospedale di Acri

    Ad Acri, che è un po’ più in giù come altitudine ma che è tra i 4 il Comune più popoloso, c’è il Pronto soccorso con la turnazione di 4 medici e, anche qui, un solo anestesista-rianimatore per le urgenze. Ci sono poi 16 posti letto Covid, destinati per lo più a pazienti non gravi che arrivano già da altri ospedali, ma è chiaro che la gestione dei percorsi dedicati impegna non poco il settore dell’emergenza. Sono attivi i 20 posti letto di Medicina e altri 10 in Dialisi, ma la Chirurgia è sostanzialmente ferma.

    A Soveria Mannelli c’è la guardia attiva di 4 anestesisti e un medico per ogni turno di Pronto soccorso, ma c’è una sola ambulanza. La Medicina ha 22 posti, altri 4 sono in Lungodegenza. Mentre in Chirurgia, anche qui, si fa solo Day Surgery. L’ospedale del Reventino è al centro di un caso perché, nel dossier inviato ad Agenas dalla Cittadella con gli interventi da finanziare con il Pnrr, è stato previsto nei locali dell’attuale presidio un Ospedale di comunità. La nuova impostazione, votata più all’assistenza territoriale, difficilmente si concilierebbe con l’esistente, ma al Comitato Pro Ospedale di Soveria sono arrivate rassicurazioni sulle possibilità di modifica, anche perché solo un nuovo Dca potrebbe modificare la configurazione di ospedale di montagna.

    Il Pronto soccorso dell’ospedale di Soveria Mannelli

    Scopelliti, Loiero e gli ospedali di montagna

    La politica non ha comunque mai mancato di utilizzare questi territori come bacini elettorali, non risparmiando promesse puntualmente smentite dai fatti. Ciò ha generato negli anni diversi movimenti civici di protesta iniziati con Peppe Scopelliti, destinatario di dure contestazioni ai tempi della famigerata chiusura di 18 ospedali e del ridimensionamento di quelli di montagna, che però secondo una previsione iniziale partorita già all’epoca di Agazio Loiero erano destinati alla chiusura.

    Gli epigoni di Scopelliti sui territori si producevano in annunci che davano addirittura come imminente l’attivazione non solo di reparti di Chirurgia h24 ma anche di qualche posto letto di Terapia sub intensiva. Tutte cose mai avvenute. Ma il commissario ad acta nominato dal governo Renzi, allora targato Pd, è riuscito a fare anche peggio. La rete ospedaliera disegnata da Massimo Scura per la montagna prevedeva una dotazione identica a quella precedente, andando però oltre in relazione alla costruzione dei “nuovi” ospedali. L’attivazione di quello di Vibo, per esempio, secondo Scura dovrebbe assorbire completamente tutti i posti letto presenti in provincia.

    Oliverio sconfessato

    Le manifestazioni partite dalla montagna hanno mobilitato migliaia di persone. E c’è sempre stato chi, come l’allora segretario regionale del Pd Ernesto Magorno e l’ex presidente della Regione Mario Oliverio, andava rassicurando i territori su cose che non poteva in realtà garantire. Nel 2015 il “decreto Scura” sulla riorganizzazione ospedaliera è arrivato anche sul tavolo del Presidente della Repubblica con un ricorso dei comitati montani finanziato da raccolte fondi tra i cittadini. Il ricorso è poi arrivato al Tar, che lo ha rigettato, facendo emergere che la giunta Oliverio, a parole critica verso Scura, nei fatti si era costituita in giudizio contro i comitati e in appoggio al commissario.

    scura-e-oliverio
    Massimo Scura e Mario Oiverio visitano un ospedale calabrese

    Basta farsi un giro tra Nardodipace e Serra San Bruno, o salire fin nel cuore della Sila e del Reventino, per rendersi conto di quanto le rivendicazioni di queste popolazioni non siano neanche avvicinabili a quelle di chi pretende l’ospedale sotto casa. Non si invocano nemmeno più i punti nascita, per altro chiusi da tempo anche in ospedali più grandi come quello di Soverato. Si pretenderebbe quel poco che è previsto in provvedimenti mai attuati, come gli anestesisti e gli altri medici necessari per una gestione adeguata delle emergenze. E poi dei reparti di Chirurgia che non siano solo ambulatori in cui si rimuove qualche verruca.

    Un caso che riguarda il 58% dei calabresi

    Questi ospedali di frontiera sono l’unico avamposto sanitario, e dunque di garanzia di diritti primari nonché di minima civiltà, per migliaia di persone delle aree interne. E quando parliamo di aree interne ci riferiamo al 78% dei Comuni calabresi e al 58% degli abitanti della regione. Che si vedono spogliati di ogni servizio e devono pure sorbirsi, ciclicamente, la retorica della lotta allo spopolamento e dell’attrattività dei borghi. Meriterebbero una pur minima, ma reale, rappresentanza politica. Magari capace di fare meno passerelle e di pretendere risposte da Catanzaro e da Roma. Dall’assunzione del personale necessario alla modifica del decreto ministeriale che fissa gli standard ospedalieri in massimo 3,7 posti letto ogni 1000 abitanti. Altrimenti saremo costretti ancora a lungo a sopravvivere tra le tragedie delle «decine di Mesoraca» – tanto per citare non un passante, ma Roberto Occhiuto – che ci sono in tutta la Calabria.