Tag: politica

  • Psicodramma grillino in Calabria: aspettando Giggino o Giuseppe

    Psicodramma grillino in Calabria: aspettando Giggino o Giuseppe

    Il loro è un dramma reale, mica scenico. Non aspettano la comparsa del signor Godot, ma che il signor Giuseppe prevalga sul signor Giggino o viceversa. E che uno dei due, alla fin fine, dica loro che tipo di futuro vivranno.

    Quella del M5S è una vicenda per certi versi beckettiana, solo che nel loro caso è tutto perfettamente comprensibile. Non c’è nonsense nella loro storia: attendono impazienti il momento in cui succederà qualcosa. Ammesso che qualcosa possa davvero succedere.

    Su quella isolata strada di campagna si attardano anche gli 11 parlamentari calabresi. Dietro di loro, un albero continua a perdere le foglie, perché il tempo passa, le elezioni sono vicine e nessuno sa bene da che parte andare: stare col signor Giuseppe o con il signor Giggino? Con Conte o con Di Maio? Con il nuovo corso o con i governisti?

    Come i personaggi di Beckett, i pentastellati sono disorientati, vittime della maledetta paura di non essere rieletti. Allora cercano di posizionarsi nel miglior modo possibile. Ma chi può dire quale sia?

    m5s-psicodramma-grillino-calabria-aspettando-giggino-giuseppe-i-calabresi
    L’ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte

    M5S senza una guida politica

    Non è facile scegliere, soprattutto in questo momento di crisi, interna ed esterna. Il Tribunale di Napoli ha rinviato la decisione sul ricorso presentato da Conte per mettere fine alla sua sospensione da leader del Movimento. Per ora, dunque, i 5 stelle sono privi di una guida politica (l’ex premier ha comunque assicurato che si sottoporrà a una nuova votazione) e tutti i problemi restano sul tappeto, irrisolti: l’alleanza progressista con il Pd alle prossime Politiche si farà? Quale sarà la nuova legge elettorale? Infine, la domanda più assillante di tutte: la regola del doppio mandato sarà cancellata o no?

    La questione è dirimente, considerato che le diverse posizioni sul tema hanno contribuito a generare due fazioni distinte, anche in Calabria.

    Di Maio in gran spolvero

    Conte sarebbe contrario all’eliminazione del tetto e favorevole alla possibilità di concedere deroghe solo in casi particolari («Grillo l’ha detto in più occasioni che per lui il doppio mandato è una regola fondativa del M5S»). Dall’altra parte sta Di Maio, che ha attirato nella sua corrente la stragrande maggioranza dei parlamentari che – come lui – sono già al secondo mandato, oltre ai governisti.

    Il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio

    La lotta interna è aspra ed è esplosa in tutta la sua virulenza all’indomani del voto per il Quirinale, culminata poi con le dimissioni di Di Maio dal Comitato di garanzia del Movimento. Solo che, oggi, il ministro degli Esteri – a differenza di Conte, la cui buona stella degli esordi pare averlo abbandonato – sembra in grande spolvero, anche per via della guerra in Ucraina che gli sta regalando una straordinaria esposizione mediatica. Una posizione di forza che il capo della Farnesina, giurano i pentastellati che lo conoscono bene, sfrutterà a suo vantaggio al momento opportuno, anche facendosi trovare pronto nel caso in cui l’ex premier dovesse perdere la leadership del Movimento.

    Conte, dal canto suo, sembra aver fatto dell’attendismo e dell’indeterminatezza le sue regole auree. «Non ha una linea chiara sulle questioni, dal green pass alla guerra, passando per la riforma del catasto. Facciamo fatica a seguirlo, siamo come appesi al niente», dice una parlamentare calabrese, parecchio disorientata.

    Chi sta con chi nel M5S

    Malgrado la confusione, anche tra deputati e senatori eletti tra il Pollino e lo Stretto si sono comunque create due fazioni avversarie, i cui rispettivi perimetri sono tuttavia molto sottili e, spesso, invisibili. Quella di Di Maio è nettamente minoritaria, anche se, da qui a breve, gli ultimi eventi, anche internazionali, potrebbero cambiare i rapporti di forza.

    Dalla parte del ministro sta la sottosegretaria Dalila Nesci, la più governista tra i parlamentari calabresi. Decisamente più incerta la collocazione di Alessandro Melicchio. «È un po’ di qua e un po’ di là, anche se in questo momento pende più dalla parte di Conte», osserva un attento osservatore del Movimento.

    Il parlamntare grillino Massimo Misiti con Giuseppe Conte

    Tra i contiani di ferro figurano di certo il cosentino Massimo Misiti, il vibonese Riccardo Tucci e il catanzarese Paolo Parentela.

    Difficile incasellare con certezza l’ex sottosegretaria Anna Laura Orrico e la deputata Elisa Scutellà, entrambe considerate più vicine a Conte che a Di Maio, così come la crotonese Elisabetta Barbuto.

    Indipendenti, quindi non riconducibili a fazioni, i deputati Federica Dieni (anche per via del delicato ruolo di vicepresidente del Copasir) e Giuseppe d’Ippolito (da sempre attestato sulle posizioni di Grillo più che dei capi politici). Tra i fedelissimi di Conte ci sarebbe anche il senatore Giuseppe Fabio Auddino.

    Il grosso del pattuglione calabrese starebbe quindi con il leader tuttora sospeso. «Ma se domani dovesse essere defenestrato, tutti passerebbero subito con Di Maio», rileva un attivista molto ascoltato del Cosentino.

    Paolo Parentela, parlamentare catanzarese del Movimento 5 stelle

    Poche seggiole disponibili

    Al di là dei posizionamenti, i 5 stelle devono fare i conti con il taglio dei seggi in Parlamento – voluto proprio da loro – e con i risultati poco incoraggianti che riguardano la Calabria.

    Alle ultime Regionali – nonostante, con due eletti, sia riuscito per la prima volta a essere rappresentato in Consiglioil M5S ha preso il 6,5%, meno della metà rispetto al già non esaltante dato nazionale, che oscilla dal 13 al 15%.

    La situazione, insomma, è tutt’altro che rosea. Anche per questo i parlamentari aspettano con ansia che uno tra il signor Giuseppe e il signor Giggino prenda la situazione in mano per tempo, facendo il possibile per aumentare i consensi, decisamente in calo, del Movimento. Le Politiche del 2018, quando i 5 stelle sfondarono il muro del 40%, sembrano lontanissime, elezioni di un’altra era geologica.

    Altre avventure fuori dal M5S

    Da allora, tantissime cose sono cambiate e molti degli eletti – in tutto erano 18 – hanno preso altre strade e tentato, non sempre con successo, altre avventure. È il caso di uno dei cinquestelle un tempo più rappresentativi, Nicola Morra, che rischia di rimanere fuori dal Parlamento perché orfano di partito.

    La sua parabola è emblematica e, forse, consiglia prudenza a tutti quelli che sarebbero tentati di abbandonare il dramma stellato per calcare altre scene. Così, non resta che aspettare. Magari domani succederà qualcosa. Magari.

    Fuori dal Movimento 5 stelle. Il presidente della commissione Antimafia, Nicola Morra
  • L’armata Brancaleone della Sanità calabrese

    L’armata Brancaleone della Sanità calabrese

    Chi tocca certi fili muore. E forse non ha torto chi afferma che il problema della Sanità calabrese è “di sistema”. Cioè, è l’esito di una situazione incancrenita da decenni di cattive prassi, che si riassumono in un’espressione: inefficienza totale.
    La quale si riflette, in maniera pesante, sulla salute dei cittadini e sull’economia di tutto il territorio, considerato che le strutture sanitarie calabresi inglobano il 75% del bilancio regionale. Sono cose note. Meno note sono le statistiche globali, pubblicate la scorsa estate da Openpolis.

    A dicembre 2020, le Aziende – sanitarie e ospedaliere – commissariate in Italia erano 34. A luglio 2021 il numero si è ridotto della metà, perché sono uscite dal commissariamento la Valle d’Aosta, l’Umbria e le Aziende piemontesi, liguri e venete finite nel mirino. Circa metà delle 17 Aziende rimaste sono calabresi.
    Gli altri numeri sono evanescenti e virtuali. Ci si riferisce alla contabilità, che risulta impossibile ricostruire con precisione. Ma anche i numeri approssimativi fanno paura.

    sanita-calabrese-otto-commissari-per-restare-anno-zero-i-calabresi
    L’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria

    Dieci anni e otto commissari

    Riavvolgiamo il nastro per capire che nulla è cambiato, nonostante dieci anni di controlli (si fa per dire…) romani e otto commissari.
    A fine 2010, il disavanzo complessivo della Sanità calabrese era di 1 miliardo 46 milioni e 983mila euro. A poco, così rilevava il “famigerato” tavolo Massicci, erano serviti gli accorpamenti delle Aziende sanitarie locali nelle cinque Asp, avvenuta nel 2008.
    Alla fine dell’amministrazione Oliverio, il debito rilevato, più o meno a tentoni, dalla Corte dei Conti era di 1 miliardo e 51 milioni.
    La beffa ulteriore emerge dalla demografia: nel 2010 gli abitanti della regione erano 2 milioni e 10mila circa, ora sono 1 milione 849 e 145. I calabresi calano, i debiti aumentano e non sono proprio leggeri: circa 539 euro per abitante. Davvero, in tutto questo disastro, ha un senso la caccia al responsabile?

    sanita-calabrese-otto-commissari-per-restare-anno-zero-i-calabresi
    La sede dell’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza

    Il garantismo è impossibile

    È impossibile raccontare la storia recente della Sanità calabrese prescindendo dai suoi risvolti giudiziari, a volte pesantissimi, che vanno dai “banali” abusi d’ufficio ai falsi in bilancio, dove rintracciabili.
    È il caso dell’Asp di Cosenza, una delle più grandi Aziende del Paese, di cui si sospetta un triennio di bilanci farlocchi (2015-2017). Su questi bilanci farà luce il processo Sistema Cosenza, che inizierà a breve, nel quale risultano indagati i due ex commissari regionali Massimo Scura e Saverio Cotticelli e l’ex direttore generale dell’Azienda cosentina Raffaele Mauro.
    I tre presunti bilanci falsi di Cosenza più i problemi contabili esplosi nel 2018 hanno fatto ipotizzare perdite di bilancio per circa 600 milioni. Peggio che andar di notte a Reggio, dove i bilanci semplicemente non esistono, e a Catanzaro, dov’è emerso lo zampino delle ’ndrine.

    sanita-calabrese-otto-commissari-per-restare-anno-zero-i-calabresi
    L’ex presidente della Regione ed ex commissario alla Sanità, Giuseppe Scopelliti

    In principio era Peppe

    Peppe Scopelliti era partito alla grande. Nel 2010 aveva stracciato Loiero alle urne e poi, a commissariamento dichiarato, si era lanciato in proclami degni più del giocatore di basket che era stato che di un politico: tagliare gli sprechi, rivedere le strutture fatiscenti, sforbiciare il personale di quel che serve.
    Il tutto per un risparmio totale di circa 200 milioni. Peccato solo che Super Peppe, più lungo che lungimirante, non si fosse accorto che il punto debole della Sanità calabrese era proprio la sua Reggio: pochi e vaghi i dati forniti alla commissione ispettiva inviata dal ministero, bilanci evanescenti o comunque non rispettati, tendenza all’indebitamento e spese iperboliche.

    I presupposti della contabilità “orale” che hanno reso famosa l’Asp reggina c’erano tutti.
    C’è voluto Roger Waters con la sua recente sortita su Cariati per ricordare ai calabresi che “Pappalone” è riuscito nel “miracolo” di tagliare gli ospedali, ben sei nel solo Cosentino, ma non le spese. E a proposito di Cosenza: la parabola di Gianfranco Scarpelli, direttore generale dell’Asp, insegna che tagliare non basta. Infatti, il pediatra cosentino, notoriamente legato ai Gentile, aveva provato a mettere mano al contenzioso legale della sua Azienda e qualcosa l’aveva sforbiciata qui e lì. Ma questo non gli ha evitato le attenzioni dell’autorità giudiziaria e qualche scandalo giornalistico, culminati in un processo da cui è uscito per il rotto della cuffia.
    Voto: 4 meno meno, perché una rockstar ci ha ricordato che ha gestito la Sanità.

    Un manager alla carica

    La Sanità calabrese ha ripetuto, nel piccolo, ciò che accadeva nel resto del Paese: l’eclissi ingloriosa della politica, dovuta al crollo del berlusconismo, e l’arrembaggio dei tecnici.
    Infatti, il prudente Mario Oliverio, che aveva stravinto nel 2014 con una campagna elettorale piuttosto dimessa, è riuscito a non farsi tritare per la Sanità per il semplice motivo che (almeno formalmente) non l’ha gestita. La mission impossible è toccata a Massimo Scura, manager ingegnere di area Pd, che aveva rilevato il posto di Super Peppe dopo il breve interregno (circa sei mesi) di Luciano Pezzi, già subcommissario di Scopelliti.

    scura-cotticelli
    Gli ex commissari alla Sanità Massimo Scura e Saverio Cotticelli

    A Scura si deve riconoscere di aver provato per davvero a fare il commissario ad acta. Al punto di attirarsi le ire di Oliverio, arrivato al punto di annunciare iniziative eclatanti. Peccato solo che durante il triennio di Scura (2015-2018) si sono verificati i presunti falsi in bilancio dell’Asp cosentina, è avvenuto il commissariamento per mafia dell’Asp di Catanzaro, è arrivata al capolinea la vicenda della Fondazione Campanella e, contemporaneamente, sono esplose le magagne dell’Azienda ospedaliera di Cosenza. In pratica, sono emerse tutte le criticità già rilevate dalla Commissione ministeriale nel 2009.
    Scura ha rimediato dalla sua esperienza calabrese un rinvio a giudizio per la vicenda della Task Force veterinaria regionale e un’inchiesta pesantissima.
    Voto: 5 meno meno, per essere riuscito a far sembrare il Pd, quando era al governo, una forza di opposizione.

    Il generale distratto

    C’è da sperare che la Sanità regionale non anticipi le tendenze della politica nazionale, perché l’esperienza di Saverio Cotticelli, generale dei carabinieri in pensione, dimostra che neppure il peggiore Pinochet potrebbe mettere un po’ d’ordine.
    Ad ogni buon conto, a Cotticelli, nominato dai cinquestelle in versione gialloverde e poi confermato nella versione giallorossa, non si possono fare troppi rilievi: a differenza di chi lo ha preceduto, non ha governato (e forse non ci ha neppure provato). Ha subito tutto ciò che gli capitava sotto e attorno. Anche la pandemia, che non si è accorto di dover gestire.
    Voto: 3, perché fa quasi tenerezza.

    L’asso pigliatutto

    È durato appena nove giorni, giusto il tempo di farsi tritare dai media per l’infelice battuta sul Covid trasmissibile solo col bacio alla francese, tra l’altro genderfluid. Tuttavia, i calabresi conoscevano già Giuseppe Zuccatelli, ex presidente dell’Agenas, che aveva gestito il “Pugliese Ciaccio”, la “Mater Domini” e l’Asp di Cosenza.
    Voto: in generale non pervenuto, ma comunque 3, per il doppio record del siluramento lampo e della dichiarazione maliziosa.

    Il record di Giuseppe Zuccatelli: nove giorni da commissario per il piano di rientro sanitario

    Il prefetto di ferro

    C’è chi è durato meno di Zuccatelli: è Eugenio Gaudio, ex rettore della Sapienza, che il 17 novembre 2020 ha rifiutato l’incarico a commissario ad acta propostogli dal governo il giorno prima.
    Si sa che i calabresi, quando qualcosa non va, diventano reazionari, invocano legge e ordine e sognano i prefetti, meglio se “di ferro”.
    Chi meglio del supersbirro siciliano Guido Longo, conosciutissimo dai calabresi per essere stato prefetto di Vibo, quindi in prima linea nella lotta alle super ’ndrine?
    Longo ha gestito la Sanità durante l’interregno di Spirlì con un piglio più burocratico che poliziesco. Infatti, ha amministrato in maniera “difensiva”: ha bocciato il bilancio dell’Asp di Crotone (2019), quelli di Vibo (2018-2019) e quello di Reggio (2019), l’unico che quell’Asp fosse riuscita a presentare. Non ha sbloccato le assunzioni e non ha applicato le norme anticovid.
    Nella Sanità calabrese conoscevamo la medicina difensiva. Longo ha dimostrato che l’amministrazione può non essere da meno.
    Voto: 5, per rispetto ai galloni.

    Il prefetto Guido Longo, ex commissario alla Sanità in Calabria

    Occhiuto ha ripoliticizzato la sanità calabrese

    Dare i voti a Roberto Occhiuto, che ha “ripoliticizzato” la funzione di commissario ad acta è prematuro. Le sue sortite principali nel settore sono quelle relative all’Ospedale di Cariati (anche lui fan dei Pink Floyd?) e sul piano di assunzioni di medici e Oss per l’Annunziata di Cosenza.
    Roberto Occhiuto non ha promesso le “montagne di pilu”. Ma qualcuno tra i suoi lo avrebbe fatto durante l’ultima campagna elettorale. Riuscirà il Nostro a resistere alle pressioni dei tanti che si aspettano il pane quotidiano dalla Sanità e premono dalle graduatorie che giacciono nelle stanze dei bottoni? Si accettano scommesse…

  • Tutti gli uomini di Valeria Fedele: il socialista, il pentito, il… Delfino

    Tutti gli uomini di Valeria Fedele: il socialista, il pentito, il… Delfino

    Valeria Fedele è una politica dal basso profilo, che ama accentuare il suo lato da tecnica giurista e burocrate. Attuale consigliera regionale di Forza Italia, in campagna elettorale in uno spot inneggiava a scegliere la competenza. Catanzarese, dei suoi quasi ottomila voti di preferenza, la metà li ha ottenuti nella provincia di Vibo Valentia.
    Nel suo background politico si rileva una candidatura al Senato nel 2018 con gli azzurri, mentre è consigliera comunale del suo paese, Maida (CZ) dal 2007.
    Se nella sua prima consiliatura comunale è stata vice sindaca e assessora, sia nel 2012 che nel 2017 Valeria Fedele puntava invece a diventare sindaca con una lista civica. Ma è arrivata sempre terza.

    Tornando ai primi anni in politica, è stata coordinatrice cittadina, componente della direzione regionale e responsabile nazionale della segreteria femminile del movimento “Italiani nel mondo” dell’ex senatore Sergio De Gregorio.
    Quest’ultimo, lo si ricorderà, è stato indagato per corruzione nell’ambito del procedimento sulla compravendita dei senatori da parte di Berlusconi che portò alla caduta del secondo Governo Prodi. Il Cavaliere se la cavò con la prescrizione, De Gregorio patteggiò una pena di 20 mesi nel 2013. «Tra il 2006 e il 2008 Berlusconi mi pagò quasi 3 milioni di euro per passare con Forza Italia» affermò.

    Berlusconi-De-Gregorio
    Berlusconi e De Gregorio

    La società dei D’Addosio

    Il braccio destro storico del senatore in questione, nonché coordinatore organizzativo nazionale e componente dell’ufficio di presidenza del movimento “Italiani nel mondo”, era Gennaro D’Addosio. È un ex politico locale socialista in quel di Napoli e, soprattutto, il compagno di Valeria Fedele. D’Addosio è il proprietario della Energy Max Plus srl, società di famiglia nata nel 2007. L’azienda ha sede in Campania e in Calabria (dove ha molte commesse pubbliche), si occupa di impianti tecnologici e di produzione di energia alternativa.

    Tra i proprietari di quote societarie figura il figlio di Gennaro, Gianluca D’Addosio. Quest’ultimo, già giornalista dell’Avanti!, nel 2008 finì in arresto nell’ambito dell’inchiesta “Sim ‘e Napule’” coordinata dal pm della Dda di Napoli Catello Maresca.
    Il magistrato, alle amministrative partenopee dell’anno scorso, fu il candidato del centrodestra alla carica di sindaco, sostenuto dalla ministra per il Sud Mara Carfagna.

    mara-carfagna
    La ministra Mara Carfagna

    Un’altra proprietaria delle quote della Energy Max Plus è Concetta D’Addosio, detta Conny. Nella tornata elettorale appena citata si candidò contro Maresca nella lista civica “BassolinoXNapoli” ottenendo 90 preferenze. Alle Amministrative 2016 ci aveva già provato, invece, con Forza Italia a sostegno di Gianni Lettieri (con capolista Mara Carfagna) ottenendo 962 voti personali. La D’Addosio era andata a lezione di cambi di casacca da un’autorità indiscussa della materia: nel 2011 era candidata come riempilista alle Comunali di Crotone a sostegno della trasformista per antonomasia Dorina Bianchi.

    Valeria Fedele, Tallini e i subappalti

    In questo asset societario (che comprende anche un altro parente, Leandro D’Addosio) si è inserita anche Valeria Fedele. Nel suo curriculum dichiara, infatti, di aver svolto il ruolo di direttore generale di Energy Max Plus s.r.l. dal dicembre 2015 al gennaio 2019. L’organigramma aziendale pubblicato nel blog personale di Gennaro D’Addosio, tuttavia, non prevede quella figura professionale, ma solo quella di direttore allo sviluppo e direttore tecnico.
    Dal febbraio 2019, comunque, la Fedele è divenuta direttore generale della Provincia di Catanzaro. La società della famiglia del compagno, intanto, ha continuato a vincere gare d’appalto nello stesso territorio, come quella sul servizio di manutenzione del verde dell’Asp di Catanzaro nel 2020 (per 80mila euro).

    tallini
    Domenico Tallini (Forza Italia)

    In una interrogazione del 19 novembre 2019 (la numero 521), l’allora consigliere regionale Domenico Tallini (legato politicamente alla Fedele) chiese conto alla Giunta regionale in merito al mancato pagamento di talune ditte subappaltatrici di Manitalidea spa, destinataria di una commessa dalla Regione Calabria. Manco a dirlo, una delle ditte subappaltatrici era la Energy Max Plus del compagno di Valeria Fedele.
    Conflitto di interesse? Se davvero tale, permarrebbe ancora oggi: la società risulta nell’elenco delle ditte registrate presso la Regione Calabria per manutenzione e installazione di impianti termici.

    Le dichiarazioni shock del killer Pulice

    Non solo questioni aziendali. A turbare la Fedele c’è anche un verbale di interrogatorio datato 7 ottobre 2017, acquisito su consenso delle parti, incluso il Pm De Bernardo, all’udienza dibattimentale del processo “Imponimento” dello scorso 17 dicembre. Un documento che potrebbe far non poco scalpore.
    A rendere dichiarazioni davanti ai pm Vincenzo Luberto ed Elio Romano in quel verbale c’è il killer ‘ndranghetista (considerato esponente apicale delle cosche confederate “Iannazzo e Cannizzaro-Daponte”), oggi pentito e collaboratore di giustizia, Gennaro Pulice di Lamezia Terme.

    gennaro-pulice-valeria-fedele
    Il pentito Gennaro Pulice

    «Conosco Fedele Filadelfio anche perché sono stato fidanzato con la di lui figlia che si chiama Valeria dal ’92 al 2000. È un imprenditore originario di San Pietro Lametino, a Lamezia si occupa di uno scasso e gestisce il porticciolo turistico di Gizzeria. È vicino a tutte le famiglie lametine in quanto è stato sempre dedito alle truffe alle assicurazioni e non ha mai fatto mancare il proprio apporto agli ‘ndranghetisti. Praticava le truffe per il tramite dei suoi legami con periti e con i medici» dichiara a verbale Pulice.

    L’amore uccide

    Una storia adolescenziale, quella (secondo le dichiarazioni rese) con l’attuale consigliera regionale di Forza Italia, di poco conto se non fosse che già in tenera età Pulice divenne un assassino. Proprio negli anni da lui indicati come quelli del fidanzamento con la futura politica azzurra, uccise da minorenne in sequenza Salvatore Belfiore nel 1995 (nel giorno in cui ricorreva la data di omicidio del padre, su sollecitazione del nonno), Antonio Dattilo e Gennaro Ventura nel 1996.

    Un amore sgradito in famiglia secondo il pentito. Che a verbale dichiara: «Dopo aver interrotto il fidanzamento, Nino Torcasio mi disse che Fedele aveva, addirittura, cercato di assoldare un killer tra i Torcasio in quanto non sopportava che io fossi fidanzato con la figlia. Fedele aveva chiesto il killer proprio a Nino Torcasio. So che Fedele era legato anche agli Anello per come riferitomi dai fratelli Fruci e dallo stesso Fedele Filadelfio».
    Circostanze e rivelazioni tutte da riscontrare, ma che sono messe nero su bianco e acquisite nel processo in corso.

    L’incontro tra Fedele e Anello

    Il padre della consigliera regionale, Filadelfio Fedele, detto “Delfino”, in passato è stato assolto in vari procedimenti a suo carico. Assolto nel 2015 nel processo Fedilbarc per la vicenda inerente il porticciolo di Gizzeria Lido; assolto nel processo “Medusa” in abbreviato, con le accuse di aver favorito la cosca Giampà dal 2005 al 2012 respinte con formula piena.

    Seppur non indagato, il suo nome compare in altre carte di “Imponimento” in riferimento alle elezioni comunali a Maida del giugno del 2017. Nei documenti si legge che Filadelfio Fedele, detto “Delfino”, padre di Valeria, era pronto ad intercedere per la figlia, allora candidata sindaca, chiedendo aiuto a Rocco Anello, considerato dagli inquirenti (e dal Tribunale di Vibo Valentia) il boss della cosca Anello-Fruci. Il tutto, compreso l’incontro col presunto boss condannato a 20 anni lo scorso gennaio con rito abbreviato, ha a corredo intercettazioni telefoniche ed ambientali della Dda di Catanzaro, in particolare un dialogo tra Anello e Fedele del 24 marzo 2017.

    comune-maida
    Il municipio di Maida

    In quella tornata elettorale Valeria Fedele arrivò ultima tra i candidati sindaci, divenendo consigliera comunale. Lo si ripete, né Fedele padre né la figlia risultano indagati. Ma il faro della Procura sull’intermediazione “politica” del presunto boss Anello in quella tornata amministrativa si evince dalle carte prodotte nel processo Imponimento.
    Difatti, nel capo di imputazione di Giovanni Anello, ex assessore comunale di Polia ritenuto factotum del presunto boss, si legge: “Contribuiva a formare la strategia del sodalizio in ambito politico, come quando promuoveva il sostegno della cosca alle elezioni comunali di Maida del 2017 dei candidati al Consiglio comunale Francesco Giardino cl. 87 (al Consiglio comunale) e Valeria Fedele (candidata alla carica di sindaco)”.
    La vita da politica regionale di Valeria Fedele pare ancora dover decollare. Ma – tra situazioni scomode, conflitti di interesse e atti di processi di mafia – inizia con dei macigni di cui farebbe volentieri a meno.

  • Amalia Bruni e il giudice, le affinità “elettive”

    Amalia Bruni e il giudice, le affinità “elettive”

    «Questo popolo di santi, di poeti, di navigatori, di nipoti e di cognati…» scriveva Ennio Flaiano degli italiani e la frase sembra ancora calzare a pennello, decenni dopo, per una vicenda che riguarda Amalia Bruni. La giudice Francesca Garofalo, presidente di sezione civile al Tribunale di Catanzaro, è stata anche la presidente del collegio giudicante del ricorso di Annunziato Nastasi (M5S) sulla presunta ineleggibilità della Bruni, rigettato con una ordinanza dello scorso 14 febbraio, depositata dieci giorni dopo. Amalia Bruni è rimasta in Consiglio regionale, il pentastellato ha dovuto pagare circa 3.250 euro di spese legali.

    ordinanza-amalia-bruni

    Commensali abituali

    Le motivazioni dietro quest’esito sono materia per giuristi. Qualche perplessità sulla composizione del collegio potrebbe non essere peregrina, però. Perché, anche di fronte a decisioni pienamente legittime, esistono questioni di opportunità. I magistrati, infatti, devono astenersi dai processi in determinati casi, tra cui quello in cui il giudice o il coniuge sia “commensale abituale” di una delle parti di causa. Ossia quando il magistrato abbia con la parte una frequenza di contatti e di rapporti tale da far dubitare della sua serenità di giudizio.

    La giudice Garofalo è di Lamezia Terme. Suo marito Fabrizio Muraca era nella lista “Oliverio Presidente” alle elezioni regionali del 2014 e ottenne 2.313 voti. Un anno dopo ci riprovò alle Comunali di Lamezia Terme nella lista del Pd, racimolando 363 preferenze personali. Il “suo” candidato sindaco era il dottor Tommaso Sonni, marito di Amalia Bruni.

    muraca-amalia-bruni
    Il santino di Fabrizio Muraca, marito della giudice Garofalo, candidato a sostegno del marito di Amalia Bruni

    Una lunga sfilza di cognati

    Fratello di Fabrizio Muraca e, quindi, cognato della Garofalo è Pierpaolo Muraca. Nel 2010 nella lista del Pd a sostegno di Gianni Speranza ha raccolto un bottino di 390 preferenze personali. Nella medesima lista era diventata consigliera comunale con 315 voti Aquila Villella, cognata di Amalia Bruni (ha sposato il fratello, Mimmo Bruni) e candidata alle ultime Regionali in suo sostegno sempre nella lista del Pd. Pierpaolo Muraca in quella stessa consiliatura divenne assessore comunale all’Ambiente.

    Fabrizio e Pierpaolo hanno una sorella, Maria Gabriella. Genealogista, rientra nel personale dell’associazione per la ricerca neurogenetica che ha Sonni come tesoriere e sua moglie Amalia Bruni nel comitato scientifico. Il marito di Maria Gabriella Muraca, quindi cognato anch’egli della giudice Francesca Garofalo, è il dottor Raffaele Maletta. Quest’ultimo fa parte dell’equipe di medici del Centro regionale di Neurogenetica diretto da Amalia Bruni.

    Meglio astenersi su Amalia Bruni?

    Con tutti questi incroci (e cognati) di mezzo, insomma, e in una città che per popolazione non compete certo con New York è difficile non pensare che l’ex sfidante di Roberto Occhiuto e Francesca Garofalo possano corrispondere all’identikit di commensali abituali o che ragioni di convenienza avrebbero potuto spingere il magistrato ad astenersi dal giudizio in questione. Ma anche i potenziali conflitti d’interessi in Calabria sono abituali e nessuno ha dato loro peso.

  • Asp di Cosenza, risparmio vietato: lo scandalo mense prosegue ancora

    Asp di Cosenza, risparmio vietato: lo scandalo mense prosegue ancora

    Il buco milionario nelle casse dell’Asp di Cosenza non è nemmeno quantificabile. L’ultimo bilancio approvato, sotto inchiesta della Procura che ipotizza numerosi falsi nella stesura del documento contabile, risale ormai a cinque anni (e otto commissari) fa. Una certezza però c’è: anche quest’anno si sborserà molto più di quanto accade nel resto della Calabria per i pasti dei degenti. La conferma arriva dall’albo pretorio dell’Azienda sanitaria provinciale, con due determine (la 140 e la 143) pubblicate nei giorni scorsi. Che confermano come la necessaria guerra agli sprechi per risanare i conti sia ben lontana dall’essere vinta. O, forse, combattuta.

    Due gare vecchie di quindici e più anni

    I due atti in questione riguardano, infatti, quella che, più che una gara, sembra una “maratona d’appalto” dal traguardo lontanissimo. Per comprendere meglio, però, bisogna fare un passo indietro e tornare al biennio 2006-2007. In Calabria la sanità territoriale è ancora materia per le Asl, destinate di lì a poco all’inglobamento nelle attuali macro aziende provinciali. In quegli anni si concludono due gare per la fornitura dei pasti ai degenti. La prima (2006) riguarda l’ospedale di Acri e se l’aggiudica la Orma, la durata del servizio prevista dal bando è di 36 mesi più altri 24 eventuali. Di mesi da allora ad oggi ne sono passati quasi 200, ma Orma – o, meglio, Eurorist, che ne ha rilevato il ramo d’azienda interessato – è ancora lì, proroga dopo proroga, in attesa di una nuova procedura d’appalto.

    L’ospedale di Acri

    Da Rossano a tutta la provincia

    La seconda, seppur successiva, ha implicazioni ancora maggiori sulle disastrate finanze dell’Asp. Stavolta siamo nell’ex Asl di Rossano, l’anno è il 2007. Ad aggiudicarsi la gara è una big del settore, la Siarc dell’ex presidente del Catanzaro Pino Albano. Anche qui la durata prevista da principio nel contratto è al massimo di cinque anni e, come nel caso precedente, il rapporto è ancora in essere dieci anni dopo la sua scadenza naturale. Con una differenza però: grazie a quell’aggiudicazione relativa alla sola area jonica, la Siarc si è vista assegnare anno dopo anno – senza, dunque, ulteriori procedure concorrenziali ad evidenza pubblica – i pasti per tutti gli altri ospedali (tranne Acri) di competenza dell’Asp di Cosenza.

    Non ci sono più addetti interni per le mense di Castrovillari e Lungro? Si allarga il contratto alla Siarc. Il problema si ripropone a Paola e Cetraro? Riecco la Siarc, e pazienza se i pasti vengono preparati a Castrolibero, cittadina confinante con Cosenza e a decine di km di distanza dai due ospedali. All’elenco si aggiungono progressivamente la Casa albergo di Oriolo, l’Hospice di Cassano allo Jonio, il Centro Dialisi di Cosenza e il Centro Salute mentale di Montalto Uffugo, i presidi ospedalieri di San Giovanni in Fiore, Trebisacce e Praia a Mare. Tutto senza mai una gara e a prezzi che nulla hanno di concorrenziale, anzi.

    Reggio e Catanzaro risparmiano, l’Asp di Cosenza no

    Mentre via Alimena va avanti a colpi di proroga, infatti, la Regione prova a mettere a bando la fornitura dei pasti per tutti gli ospedali calabresi. Siamo già nel 2015 quando arrivano le prime aggiudicazioni: al Pugliese-Ciaccio di Catanzaro il cibo per ciascun paziente costerà da quel momento 10,99 euro netti, al Bianco-Morelli di Reggio si scende fino a 9,22. Siarc, che si era aggiudicata la vecchia gara del 2006 con un’offerta da 11,80 euro (Iva esclusa) a degente, nel frattempo è arrivata a chiederne 13,397 oltre Iva a Paola e Cetraro. Dove doveva restare per soli sei mesi del 2015 e dove è ancora oggi a tariffe immutate. Quei pochi euro di differenza, moltiplicati per i 365 giorni di ogni anno extra trascorso e tutti i pazienti transitati dalle strutture sanitarie del Cosentino, diventano milioni di euro che si potevano risparmiare.

    Poco importa che, anche di recente, la Corte dei Conti abbia bacchettato via Alimena spiegando che la proroga è «un istituto di carattere eccezionale e ad utilizzo estremamente circoscritto, non potendo rappresentare il rimedio ordinario per sopperire a ritardi e disfunzioni organizzative». O che abusarne si traduca, sempre secondo i magistrati, in potenziali «illegittimità» o, peggio, un «danno erariale».

    Il pasticcio del bando

    In realtà la vecchia gara della Regione, tra i vari lotti, prevedeva anche le forniture per Cosenza. Solo che quella parte del bando si è conclusa con un annullamento in autotutela da parte della Cittadella. Il Consiglio di Stato, infatti, aveva stangato la procedura valutandola «se non contraddittoria, quanto meno ambigua ed equivoca e, di conseguenza, tale da indurre in errore il concorrente nella formulazione dell’offerta». «Il bando – precisavano i giudici – non fa alcun cenno alla possibilità di proroga, il disciplinare la prevede in via eventuale e la fissa in un anno, il capitolato speciale la prevede come mera facoltà per la stazione appaltante per un periodo non tassativamente determinato, che può arrivare fino ad un anno». Insomma, un pastrocchio, curiosamente relativo al solo lotto cosentino, da risolvere con una nuova gara e un bando scritto a modo.

    L’Asp di Cosenza e i commissari in fuga

    Prima che si capisca chi, tra la Regione e l’Asp di Cosenza, debba organizzare il nuovo tentativo però passano, complici alcune modifiche normative a livello statale, altri cinque anni. Anni in cui a Cosenza si spendono circa 4 milioni di euro ogni dodici mesi per sfamare i pazienti. La nuova gara parte finalmente il 5 maggio 2020, la base d’asta soggetta a ribasso è di 2,7 milioni. C’è tempo fino al 30 ottobre per presentare le offerte, lo fanno in sei. Poi, il 22 dicembre dello stesso anno, l’Asp nomina la commissione giudicatrice. Tutto sembra andare finalmente per il meglio, ma dura meno di una settimana.

    sanita-calabrese-otto-commissari-per-restare-anno-zero-i-calabresi
    La sede dell’Azienda sanitaria provinciale di Cosenza

    Tre giorni prima di Capodanno, sei dopo la nomina, arrivano le dimissioni del presidente della commissione, Guglielmo Cordasco, «per impedimenti personali». A breve distanza lo segue la componente Maria Marano «per impedimenti oggettivi». Così, a inizio marzo 2021, arrivano a sostituirli rispettivamente Antonio Figlino e Rosa Greco. Figlino, però, resiste poco più del suo predecessore e dà l’addio il 14 aprile, sempre «per impedimenti personali». Al suo posto arriverà, il 12 maggio, Maria Teresa Pagliuso. Nel frattempo l’Asp chiude il 2021 sborsando per i pasti tre milioni di euro, 300mila in più di quelli che pagherebbe all’eventuale aggiudicataria se anche questa incredibilmente non offrisse un centesimo in meno della base d’asta.

    Nuovi addii e proroghe

    E così si arriva alle delibere 140 e 143 dei giorni scorsi. Con la prima si riconferma uno stanziamento di tre milioni di euro per i pasti dei degenti anche per il 2022 nelle more della conclusione della gara in corso. Soldi che si divideranno le solite Siarc ed Eurorist, «cui si aggiungono per le dialisi del CAPT di San Marco Argentano e il Poliambulatorio di Amantea procedure negoziate con ditte a livello locale».

    La 143, invece, registra l’ennesimo addio alla commissione giudicatrice. Stavolta, sempre per «impedimenti personali», a lasciare la terna è la presidente Pagliuso. Dopo aver resistito 10 mesi in sella, cede il suo posto a Eugenio D’Amico. Tocca ricominciare, la strada verso l’aggiudicazione (e il risparmio) torna ad allungarsi, il buco nelle casse dell’Asp di Cosenza ad allargarsi. Coi soldi risparmiabili magari si potrebbero offrire più servizi ai cittadini. Ma poco importa, tanto paga Pantalone.

  • Tirreno cosentino, fiumi di denaro e un mare di opere incompiute

    Tirreno cosentino, fiumi di denaro e un mare di opere incompiute

    Da quando – dagli anni ’80 in poi – il Tirreno cosentino è diventato meta turistica con leggi ad hoc per la costruzione di alberghi e villaggi, magari abusivi e usati come lavanderia dalle cosche locali, anche le opere pubbliche hanno accompagnato questa crescita disordinata e devastante.

    Molto denaro per nulla

    Una pioggia di denaro si è riversata su tutti i paesi costieri, per la gioia di politicanti di centro, destra e sinistra che così hanno accresciuto il proprio peso politico ed elettorale. Sono gli anni in cui i big si chiamano Misasi, Pirillo, Gentile, Adamo, Covello, Antoniozzi. Anni in cui si dissemina la costa di marciapiedi e si rifanno centri storici con marmi di Trani e pietre di porfido del Trentino. Sorgono mattatoi, centri sportivi, porti turistici, strade di penetrazione finite nel nulla. Opere quasi tutte abbandonate o inutilizzate.

    opere-pubbliche-saga-sprechi-tirreno-cosentino-i-calabresi
    Massi per arginare le mareggiate a Belvedere

    Come può un masso arginare il mare?

    La follia degli anni ’80 inizia con i massi a difesa della ferrovia. Una serie di pietre provenienti da cave, gestite spesso dalle potentissime cosche del Tirreno, gettate alla rinfusa a protezione della linea ferroviaria colpita da forti mareggiate. A trasportare i massi una serie di ditte, a studiare il fenomeno tecnici di dubbia esperienza che hanno costruito quell’inutile barriera di massi favorendo indirettamente o direttamente l’erosione verso il paese vicino. Così i massi a Belvedere hanno rovinato le spiagge di Sangineto e, via verso sud, fino al disastro di San Lucido.

    Fronte del porto

    Dopo i massi, ecco i finanziamenti sulle condotte sottomarine legate alla depurazione. Miliardi di vecchie lire hanno fatto sì che ogni depuratore avesse la sua condotta che sarebbe dovuta arrivare a trenta metri di profondità. Diverse però, finiti i finanziamenti, si sono fermate a poche decine di metri dalla riva espandendo liquami secondo le correnti.

    Poi l’esplosione della portualità negli anni ’90. Ogni paese voleva un porto, ogni paese presentò progetti in massima parte finanziati dalla Regione o dal Comune. Anche stavolta a regnare sembra essere l’improvvisazione. Progetti fantasiosi e soprattutto miliardari, che vanno dal Porto canale mobile e retraibile di Tortora alla foce del fiume Noce a quello attorno alla Torre Talao a Scalea. C’è poi quello nel fiume Corvino a Diamante con annesso lago, e poi ecco quello di Belvedere fra i massi della ferrovia, quello di Fuscaldo, di Paola, di Cittadella, di Campora San Giovanni.

    opere-pubbliche-saga-sprechi-tirreno-cosentino-i-calabresi
    Diamante vuole un porto turistico

    Al momento, passata la buriana dei fallimenti finanziari, sono operativi solo quelli di Cetraro e Campora san Giovanni. Ma entrambi convivono annualmente con l’insabbiamento degli ingressi e i relativi esborsi di centinaia di migliaia di euro per liberarli e permettere così alle imbarcazioni di entrare ed uscire.

    Il porto di Damante è emblematico del disastro compiuto da quattro sindaci, iniziato nel 1990 con il sindaco De Luna, e proseguito con Caselli, Magorno, Sollazzo, e tre governatori (Oliviero, Santelli, Spirlì) che non sono riusciti a gestire cospicui finanziamenti finiti in mano di un concessionario, riducendo solo la scogliera ad un ammasso di cemento.

    Aviosuperficie e ospedale: Scalea abbandonata

    La madre di tutte le opere pubbliche abbandonate è probabilmente  l’aviosuperficie di Scalea. Circa 23 miliardi di vecchie lire sperperate lungo il fiume Lao in un corridoio verde, un’area Sic e un’area demaniale. Per costruirlo sono state estirpate ben 2.000 piante di cedro che decine di contadini coltivavano da decenni. Un disastro passato inosservato e che ha fatto posto ad una lingua di bitume lunga circa 2.000 metri e larga 30 e ritornato alla luce grazie all’inchiesta “Lande desolate” nella quale venne coinvolto anche il governatore Oliverio, poi assolto.

    Sempre a Scalea un’altra delle opere pubbliche abbandonate e solo in parte restituita alla collettività negli anni recenti, è l’ospedale. Una struttura imponente di tre piani che troneggia su una collina costata alla collettività ben 10 miliardi di vecchie lire. Non è mai entrato in funzione come ospedale né lo diventerà dopo la chiusura di altri 19 presìdi in tutta la regione. Rimasto senza alcun controllo dopo essere stato attrezzato, per anni è stato vandalizzato, fino a farne sparire le cucine e tutti gli arredi delle stanze.

    opere-pubbliche-saga-sprechi-tirreno-cosentino-i-calabresi
    Doveva essere l’ospedale di Scalea, ma è solo abbandonato e vandalizzato

    Tre viadotti e due gallerie

    Poi ci sono le strade di penetrazione dal Tirreno verso l’autostrada, quelle che avrebbero dovuto favorire il turismo. La strada di collegamento di Lagonegro è obsoleta e se ne cerca un’altra. La prima negli anni ’90 fu il congiungimento di Guardia Piemontese attraverso San Marco. Una variante che era partita bene ma che si è fermata a metà con una sola bretella ben fatta: riporta, però, alla vecchia strada provinciale senza raggiungere l’autostrada a pochissimi km.

    Ed ecco in alternativa un’altra grande pensata, una nuova strada che da Scalea possa raggiungere Mormanno. I soldi pubblici ci sono, ben 100 milioni di euro. Si parte alla grande dal fiume Lao, ma, completata una bellissima rotonda, la strada si ferma ad un piccolo ponte della ferrovia. Soldi impegnati, dieci milioni di euro. Contro l’opera interviene anche il Parco del Pollino che non dà nessuna autorizzazione.  La strada per raggiungere Mormanno dovrebbe attraversare il territorio di Papasidero con tre viadotti e due gallerie. Uno sfondamento e una cementificazione selvaggia nel pieno del parco.

    La protesta dei lavoratori Sateca all’interno delle terme di Guardia Piemontese

    Non solo opere pubbliche: il disastro delle Terme

    Storia a sé fanno le Terme Luigiane e il contenzioso fra i due comuni che la dovrebbero gestire (Guardia Piemontese e Acquappesa) e la società che la aveva in concessione. Struttura chiusa, dipendenti in cassa integrazione, indotto volatilizzato, pazienti privati del servizio: a perdere è stato come sempre il territorio, ennesima conferma della disastrosa gestione delle cose pubbliche nell’alto Tirreno cosentino.

    Sempre a Guardia Piemontese, vicino alle terme è stata costruita una grossa struttura. È il Centro Congressi, costato centinaia di milioni in vecchie lire, abbandonato per decenni. Ripreso e ristrutturato recentemente, per poi essere destinato ad altro. Anche stavolta un’opera pubblica costretta a lungo a fare i conti con degrado e abbandono, quale sarà la prossima?

    Il centro congressi di Guardia Piemontese

     

  • Il buco nell’acqua, la Calabria mette a rischio i fondi per tutta l’Italia

    Il buco nell’acqua, la Calabria mette a rischio i fondi per tutta l’Italia

    Il rischio che si faccia un enorme buco nell’acqua è direttamente proporzionale alla banalità della battuta. La questione è però molto seria: se le risorse idriche calabresi entro il prossimo 30 giugno non verranno affidate a un soggetto gestore c’è la contreta possibilità che non solo la Regione Calabria, ma anche tutte le altre Regioni italiane, perdano l’opportunità di utilizzare i finanziamenti europei destinati al settore: dal Pnrr ai fondi Ue 2021/2027 fino alla riprogrammazione del React Eu. Un potenziale disastro.

    Quattro regioni mancano all’appello

    Per la fine di giugno è infatti fissata la deadline per l’affidamento a regime del Servizio idrico integrato e, a livello nazionale, l’Italia deve garantire alcune «condizioni abilitanti». Che mancano, o sono solo parzialmente soddisfatte, per 4 Regioni: Molise, Campania, Sicilia e, appunto, Calabria. Le condizioni abilitanti sono i pre-requisiti che gli Stati membri devono soddisfare per poter fruire dei fondi europei. Il dipartimento per le Politiche di coesione della Presidenza del Consiglio dei ministri specifica che «affinché la singola condizione possa ritenersi soddisfatta, è necessario che l’adempimento copra la totalità dei criteri previsti e, per alcune condizioni abilitanti, la copertura dell’intero territorio».

    Conseguenze per tutti

    È proprio il caso del Servizio idrico. «Eventuali carenze, anche parziali in ordine a specifici criteri o ambiti regionali, non permetterebbero di asseverare la condizione come soddisfatta, con conseguenze penalizzanti per l’intero Stato membro». Dunque le spese collegate all’obiettivo specifico, benché certificabili, non potrebbero essere rimborsate allo Stato membro «per quanto riguarda la quota Ue, finché l’adempimento non sia certificato dalla Commissione». La Calabria sconta un pesante ritardo verso l’individuazione del soggetto gestore unico previsto dalla normativa nazionale (D.lgs. 152/2006) e regionale (l. r. 18 del 18 maggio 2017).

    In attesa del servizio idrico integrato

    L’affidamento della gestione del servizio idrico integrato, che è una condizione abilitante per usufruire dei finanziamenti europei, spetta per legge all’ente di governo d’ambito, ovvero l’Autorità idrica calabrese in cui sono rappresentati i Comuni. L’Aic nei mesi scorsi ha indicato una strada: l’affidamento a una società, creata sulle ceneri della “Cosenza Acque”, che si dovrebbe chiamare “Acque Pubbliche della Calabria”, un’Azienda speciale consortile in cui dovrebbero entrare, come soci, tutti i 404 Comuni calabresi ed eventualmente altri enti pubblici.

    servizio-idrico-calabria-mette-rischio-fondi-pnrr-tutta-italia-i-calabresi
    Assemblea dell’Autorità idrica calabrese con i sindaci

    Sorical fino al 2034?

    Sorical ha la concessione della grande adduzione dell’acqua fino al 2034. È una partecipata al 53,5% dalla stessa Regione e per la restante quota è in mano privata. Nel tentativo – in corso da quasi un anno e a un decennio dalla messa in liquidazione – di essere ripubblicizzata, si ritrova alle prese con le condizioni poste dal suo principale creditore. Si tratta di una banca irlandese di cui abbiamo scritto che ha ceduto i suoi circa 85 milioni di euro di crediti a un Fondo governativo tedesco.

    Che, stando a quanto riportato dalla Gazzetta del Sud domenica scorsa, pare si stia mettendo di traverso. Dunque, da un lato, se non si supera questa impasse non si può affidare l’intero servizio a Sorical. Ma anche la soluzione, pur indicata come provvisoria, di affidare solo la fornitura al dettaglio alla nuova “Acque Pubbliche della Calabria”, lasciando l’ingrosso alla società mista le cui quote private sono pignorate dai tedeschi, sembra essere altrettanto irta di ostacoli.

    La diga del Menta, gestita dalla Sorical, società partecipata della Regione Calabria

    Chi metterà i soldi?

    L’Aic sta sottoponendo ai Comuni, illustrandole negli incontri delle Conferenze territoriali di zona, le delibere da approvare in consiglio comunale per entrare nella nuova società. Ben pochi però finora lo hanno fatto. Si sta tentando pure la strada dei Contratti di rete, ma i comprensibili dubbi dei sindaci, soprattutto relativi al «chi ci metterà i soldi», si moltiplicano. Così il cronoprogramma iniziale, che prevedeva di arrivare ad avere un Piano industriale entro metà febbraio, e all’affidamento definitivo del servizio il 18 marzo, è già ampiamente non rispettato.

    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    La multiutility di Occhiuto

    In mezzo c’è la Regione che, secondo quanto va ripetendo da tempo il presidente Roberto Occhiuto, punta a creare un’unica «multiutility» per gestire tutto: la fornitura dell’acqua dalla captazione fino ai rubinetti delle case, ma anche la depurazione e la riscossione delle bollette. Il tempo però stringe e in pochi mesi è difficile creare un simile soggetto. Le alternative sono due: rendere Sorical pubblica, ma bisogna pagare almeno 85 milioni di euro di debiti e potrebbe anche non bastare. La seconda possibilità è rendere operativa la “Acque pubbliche della Calabria”. Ma servirebbero risorse e personale che al momento non esistono.

    Tra Manna e Calabretta spunta Occhiuto

    Entrandoci, infatti, i Comuni dovrebbero versare 1 euro per ogni abitante nell’arco di tre anni. Poca cosa. I vertici dell’Aic stanno dunque cercando di interloquire con Utilitalia (Federazione che riunisce le Aziende operanti nei servizi pubblici rappresentandole presso le Istituzioni nazionali ed europee) per la redazione del Piano industriale. C’è poi il tentativo di trovare un sostegno economico da parte del Ministero, ma senza l’appoggio politico-istituzionale della Regione è dura.

    Sì, perché dalla Cittadella – che potrebbe anche entrare in “Acque pubbliche” come socio – non pare sia arrivato al momento alcun segnale di accompagnamento a questo percorso, che pure lo stesso Occhiuto aveva detto di voler intraprendere in via provvisoria per non perdere i fondi del Pnrr. È chiaro, allora, che tutto è subordinato a una partita politica: da un lato c’è l’Aic guidata dal sindaco di Rende e presidente di Anci Calabria Marcello Manna, dall’altro Sorical guidata dal leghista Cataldo Calabretta, in mezzo Occhiuto. Che vorrà certamente avere un ruolo di primo piano anche in un settore decisivo come questo.

    Il sindaco di Rende, Marcello Manna (foto Alfonso Bombini)

    I Comuni nella Sorical

    Intanto va detto che la via che porterebbe all’affidamento del servizio a una Sorical interamente pubblica non potrebbe essere percorsa se non mettendo dentro anche i Comuni, perché senza di loro non si può esercitare il controllo analogo previsto dalla gestione in house. Gli stessi Comuni, rispetto alla società “Acque pubbliche della Calabria”, sono d’altronde alle prese con una scelta che appare forzata, perché la legge 233/21 prevede, sostanzialmente, la possibilità dell’ente d’ambito di commissariare le gestioni in economia. Che in Calabria sono attualmente la quasi totalità, con i risultati che conosciamo.

    Chiare, fresche e dolci Acque pubbliche

    Se diventasse operativa la “Acque pubbliche”, che avrebbe sede legale a Cosenza, si instaurerebbe un rapporto di tipo negoziale con Sorical che, come avviene anche oggi, avrebbe competenza fino ai serbatoi comunali. Gli organi della nuova società sarebbero l’Assemblea composta da tutti i Comuni e gli enti pubblici coinvolti, il Consiglio di Amministrazione (composto da quindici membri, compreso il presidente, in rappresentanza delle cinque Province e delle diverse fasce di popolazione), il direttore (che, come il Cda, verrebbe nominato dall’Assemblea) e il collegio dei revisori dei conti.

    I crediti della Sorical

    I problemi storici però resterebbero immutati nella loro gravità. Sorical, nel bilancio 2020, ha inserito alla voce «crediti verso clienti» una somma di 96,5 milioni di euro (31 sarebbero dovuti dalla fallita Soakro, 14 dalla Lamezia Multiservizi, 13,9 dal Comune di Cosenza, 3,3 da Congesi). Nel bilancio di previsione approvato a fine anno dalla Regione, per rischi connessi alla riscossione delle somme relative al servizio idropotabile, vantati nei confronti dei Comuni in dissesto e predissesto e degli enti che non hanno sottoscritto piani di rateizzazione o accordi con la Regione, sono stati previsti 69,7 milioni di euro. I debiti maturati dai Comuni verso la Regione fino al 2004, anno in cui è stata creata Sorical, restano tra le «criticità rilevanti ancora irrisolte».

    Cataldo Calabretta, commissario della Sorical

    L’evasione dei comuni

    Secondo quanto dichiarato negli anni scorsi dagli stessi vertici Sorical, il servizio idrico calabrese registrerebbe un’evasione del 50%, con punte del 70%. A novembre del 2020 l’attuale commissario Calabretta dichiarava che i Comuni dovevano versare ancora 160 milioni di euro «con i quali si potrebbero coprire i debiti della società», che oggi ammontano in totale a 188 milioni. D’altro canto negli anni molti Comuni hanno contestato la determinazione delle tariffe, questione rispolverata in questi giorni anche dal Codacons calabrese.

    Perdite idriche pari al 52,3 %

    Qualche altro dato può essere utile a comprendere la complessità del problema. Le regioni del Mezzogiorno fanno registrare il 52,3% di perdite idriche: più di metà dell’acqua immessa nei sistemi di acquedotto viene cioè sprecata, a fronte di una media nazionale del 43,7% (Relazione annuale Arera 2020). Circa 1 milione e 450mila famiglie meridionali subiscono interruzioni della fornitura idrica (Istat, 2020). Il 20% del territorio italiano è a rischio desertificazione (Anbi, 2021).

    La Calabria senza servizio idrico integrato

    Secondo il governo nazionale la soluzione sta nelle gestioni industriali, che al Sud scarseggiano. Nel Pnrr sono individuate quattro linee di investimento e due riforme che hanno lo scopo di «garantire la sicurezza dell’approvvigionamento e la gestione sostenibile delle risorse idriche lungo l’intero ciclo».

    A questo sono riservate complessivamente risorse per 4,38 miliardi di euro, di cui una quota intorno al 51% secondo il governo sarà indirizzata al Mezzogiorno (circa 2,2 miliardi di euro). Ma la Calabria non ha ancora il servizio idrico integrato né un soggetto gestore che possa intercettare e, come si usa dire molto in questo periodo, mettere a terra questi potenziali finanziamenti. Nonostante si tratti probabilmente dell’unica occasione per mettere mano a reti colabrodo risalenti a mezzo secolo fa.

  • Cono Cantelmi, l’ex leader anticasta M5S portaborse da 150mila euro

    Cono Cantelmi, l’ex leader anticasta M5S portaborse da 150mila euro

    Se la Regione Calabria avesse un suo dizionario politico-antropologico lo si dovrebbe aggiornare, alla voce staff, con continui, sorprendenti innesti: l’ultimo è quello di Cono Cantelmi. Ovviamente non c’è da scandalizzarsi né da farne una questione morale, tanto più che tra i vituperati portaborse spesso – non sempre – ci sono bravi professionisti che non difettano di curriculum e competenze. Probabilmente sarà così anche in questo caso. Ma come si fa a non registrare che la traiettoria di certi percorsi appare, per così dire, quantomeno poco lineare? Cambiare idea è sinonimo di intelligenza, ma forse Cono Cantelmi ha in questo senso un po’ esagerato. Da candidato alla Presidenza della Regione del Movimento 5 Stelle, oggi si ritrova a fare da braccio destro a un esponente di primo piano della Lega.

    Cono Cantelmi, da aspirante governatore a portaborse

    Va detto che tra una circostanza e l’altra sono passati 8 anni. E lui, qualche tempo dopo l’esperienza fallimentare delle Regionali del 2014, si è allontanato dal mondo calabro-grillino. Però va detto pure che il suo era ancora il Movimento dei duri e puri, che mai avrebbero pensato che il loro leader calabrese potesse un giorno diventare il collaboratore esperto al 100% del presidente leghista del Consiglio regionale Filippo Mancuso. Invece nei giorni scorsi il salviniano più influente di Calabria ha indicato proprio Cantelmi per l’incarico di fiducia, che prevede un compenso di oltre 30mila euro all’anno.

    Filippo-Mancuso
    Filippo Mancuso

    Parola d’ordine: lotta agli sprechi

    Avvocato di Catanzaro, Cantelmi nel novembre 2014 spiegava sul Blog delle Stelle che il primo punto del suo programma per la Calabria era ciò che sarebbe poi diventato una realtà su scala nazionale: il Reddito di cittadinanza. «I soldi – gli chiedeva un anonimo intervistatore – dove li prendete?». Risposta facile: «Attingeremo dal fondo di riserva per i debiti fuori bilancio, ma soprattutto faremo una guerra senza quartiere contro gli sprechi della casta in Regione: e lì i soldi ci sono eccome!».

    cono-cantelmi-morra
    Cantelmi sul palco e Nicola Morra al suo fianco

    Parole scolpite sulla roccia del sacro Blog. Altra domanda: «Da dove comincerà la lotta agli sprechi?». Ancora più facile: «Dai vitalizi dei consiglieri regionali. Ho chiesto agli altri candidati presidenti di sottoscrivere un impegno etico per ridursi lo stipendio a 2.500 euro e restituire i rimborsi elettorali, ma fanno finta di non sentire».

    Meno voti che click

    Con gli anni la furia anticasta si deve essere un po’ placata, ma Cantelmi non sembra aver dimenticato del tutto le sue posizioni di allora. Sul suo profilo Facebook compare infatti qualche post che richiama il grillismo delle origini. Come quello del 20 settembre 2021 con cui – cinque stelline gialle ad aprire e chiudere la frase – ha ricordato che «l’ambiente e la sua cura» sono sempre stati una sua «passione» ed un «impegno» anche durante le sue «precedenti militanze politiche».

    Un manifesto elettorale di Cono Cantelmi per le Comunali 2021 a Borgia

    In quei giorni stava di nuovo prendendo parte a una campagna elettorale, quella per le Comunali di Borgia. Candidato a consigliere a sostegno della riconfermata Elisabeth Sacco, Cantelmi ha preso 135 voti – per essere candidato alla Presidenza della Regione gli erano bastati 183 clic – e non è riuscito a entrare in consiglio comunale. Nel Comune del Catanzarese si è votato proprio il 3-4 ottobre scorso, stessi giorni in cui Mancuso prendeva sotto il vessillo della Lega i quasi 7mila voti che lo avrebbero proiettato sulla poltrona più alta del consiglio regionale. Mentre lui trionfava, il suo futuro collaboratore, già aspirante governatore 5 stelle, era candidato in una lista guidata da un’esponente del Pd: Elisabeth Sacco è componente dell’Assemblea regionale dem.

  • Lega Calabria «in gravidanza», ansia nel Carroccio per il parto di Salvini

    Lega Calabria «in gravidanza», ansia nel Carroccio per il parto di Salvini

    Più che leghisti, sono legati, praticamente immobili. Il capitano Salvini è, o è stato, alle prese con più di una guerra – quella per il Quirinale, quella interna al centrodestra, quella, personale, vinta contro il Covid, quella propagandistica sull’Ucraina – e così ha giocoforza dovuto abbandonare la compagnia calabrese nelle retrovie, a cimentarsi in piccole ma non trascurabili scaramucce interne e ad aspettare una chiamata alle armi che, assicurano i vertici locali, arriverà molto presto. Solo che nessuno sa dire quando.

    Salvini e l’attesa

    salvini-pc

    Ciò che tutti i leghisti ripetono, da Reggio a Cosenza, è che Salvini vuol mettere mano al partito calabrese e riorganizzarlo in vista delle Politiche 2023, appuntamento che la Lega non può fallire. Il punto è che bisogna fare presto, pena una trasformazione pericolosa: da Carroccio lombardo a tipico cartoccio calabrese dentro cui rischiano di finire stracotte le ambizioni di un leader che continua a sognare una Lega nazionale, perfettamente radicata anche in Calabria, e il controsorpasso ai danni di Giorgia Meloni e di Fratelli d’Italia.

    La «gravidanza» della Lega

    La disattenzione degli ultimi mesi dell’ex ministro dell’Interno ha infatti creato un clima insieme di nervosismo e di attesa per quello che avverrà. Nino Spirlì, leghista doc e fedelissimo di Salvini, non ama le metafore belliche e, per descrivere il momento, ne usa una pediatrica: «La Lega è in gravidanza e, come succede per tutte le gravidanze, anche questa deve essere rispettata fino al giorno del parto».

    spirli-salvini
    Matteo Salvini e Nino Spirlì

    Di più l‘ex presidente facente funzioni della Regione Calabria non dice, ma è fin troppo chiaro il suo richiamo al travaglio di un partito che aspetta una maieutica e, in definitiva, una verità da cui ripartire. Anche perché il partito è ancora commissariato. E chi bazzica un po’ gli ambienti della Lega calabrese sa bene quanto sia diffuso il malcontento, dei vertici come dei militanti, verso l’operato del capo regionale, Giacomo Francesco Saccomanno, nominato da Salvini giusto un anno fa.

    «Con lui al 4%, senza al 15%»

    L’avvocato che ha preso il posto del deputato bergamasco Cristian Invernizzi – questa l’accusa più diffusa – avrebbe fatto poco o niente per radicare la Lega nei territori e si muoverebbe sulla scena regionale e nazionale in perfetta autonomia, dunque senza un preventivo confronto con i dirigenti locali. «La sua leadership è barcollante, l’80% degli iscritti calabresi la contesta», conferma un dirigente di primo piano. Opinione non verificabile, ma che viene declinata in forme diverse da altri ufficiali del partito.

    Saccomanno
    Giacomo Francesco Saccomanno, contestatissimo commissario della Lega in Calabria

    Uno di loro spiega tutto così: «Non abbiamo riscontri nei territori, ampie aree della regione, come quella di Cosenza, sono senza coordinamento. Saccomanno è al timone da un anno, ma ancora la riorganizzazione interna non è partita. Salvini sa tutto e riceve lamentele continue, ma per ora non si pronuncia». Un giovane quadro del partito è perfino più caustico: «Alle prossime Politiche con Saccomanno prendiamo il 4%, senza di lui arriviamo al 15%». «Tanti militanti – conferma un altro big – aspettano le prossime mosse di Salvini. Nel frattempo, tutto rimane apparentemente fermo». E in questo tempo sospeso ognuno tesse la sua tela.

    Chi vuol essere parlamentare?

    È aumentata, in particolare, l’influenza politica di Filippo Mancuso. Quasi anonimo nella scorsa legislatura, il politico catanzarese, con la benedizione di Salvini, è prima diventato presidente del Consiglio regionale, per poi essere indicato da tutto il centrodestra locale come candidato sindaco di Catanzaro.

    Filippo-Mancuso
    Filippo Mancuso (Lega) è il presidente del Consiglio regionale della Calabria

    Il rifiuto colmo di gratitudine, accompagnato da un monito da leader fatto e finito («sono lusingato, ma il centrodestra cittadino ha bisogno di essere opportunamente ripensato»), ha contribuito a far luccicare ancor di più l’aura del già assessore del capoluogo. Che, a parere di molti, tra un anno potrebbe mettere a frutto questo recente successo tentando il grande salto in Parlamento.

    Gli sfidanti interni non mancano di certo. Il primo è lo stesso Saccomanno, a cui non difetta la convinzione di restare al vertice della Lega almeno fino al momento decisivo della compilazione delle liste per Camera e Senato.
    Della partita è, ovviamente, anche l’unico uscente, il lametino Domenico Furgiuele, uno dei primi, in Calabria, a credere nella svolta sovranista di Salvini. Tra i favoriti c’è anche e soprattutto Spirlì, che avrebbe dovuto far parte dell’ormai famigerato ticket con il governatore Occhiuto.

    Domenico-Furgiuele_1200-690x362
    Domenico Furgiuele

    Il naufragio di questo accordo, secondo diversi osservatori, lo avrebbe messo in una situazione di credito verso il partito. Del resto, era stato lo stesso Salvini a promettergli pubblicamente «un ruolo determinante sia a livello calabrese che nazionale». Spirlì, dal canto suo, a chi ha avuto modo di parlargli assicura che adesso le sue priorità sono altre dalla politica, e cioè l’arte e la Fondazione Musaba di Mammola, di cui è da poco diventato vicepresidente.

    Chi resterebbe in Calabria

    Chi non sembra interessato al trasferimento nella capitale è il sub commissario regionale Cataldo Calabretta. I bene informati assicurano che il numero uno di Sorical – nonostante i rapporti privilegiati con Salvini – non abbia alcuna intenzione di lasciare la società delle risorse idriche calabresi prima della sua definitiva trasformazione in ente a totale controllo pubblico. Impresa tutt’altro che facile.

    2021_salvini_calabretta_1200
    Salvini e Cataldo Calabretta

    Discorso a parte merita Tilde Minasi, che nelle ultime settimane ha messo in mostra qualità tattiche per certi versi inedite. La sua storia è nota: l’assessore regionale, dopo la morte del veneto Paolo Saviane, ha ottenuto un seggio in Senato. Pare che, in accordo con Salvini, abbia infine deciso di restare in Calabria, lasciando così campo libero al vibonese Fausto De Angelis, il quale avrebbe già concordato con i vertici leghisti il suo addio a Fratelli d’Italia e la contestuale adesione al Carroccio.
    Quello di Minasi potrebbe non essere un addio: qualcuno ritiene che, al momento giusto, tornerà in gioco per un posto in Parlamento. I motivi sono almeno due: ha la stima incondizionata di Salvini e, considerato l’obbligo delle quote rosa, è una delle poche leghiste calabresi con una lunga esperienza istituzionale alle spalle.

    Tilde-Minasi-e-Matteo-Salvini-1080x643
    Salvini e Tilde Minasi a spasso

    Salvini prende tempo, gli ufficiali fremono

    Gli ufficiali verdi rimasti nelle retrovie, insomma, fremono come foglie al vento e contano di ricevere ordini nel breve periodo. Salvini, di recente, avrebbe preso tempo e comunicato l’intenzione di convocare un vertice sulla Calabria, al massimo tra un paio di settimane. Probabilissimo ordine del giorno: riorganizzazione interna e candidature. Accontentare tutta la truppa non sarà per niente facile.

  • Guccione, il Parlamento può attendere? Tanto c’è il vitalizio

    Guccione, il Parlamento può attendere? Tanto c’è il vitalizio

    C’è marasma nel Pd cosentino, unica federazione provinciale a non aver ancora celebrato i congressi e unica dove il forzato e imposto “unanimismo” generale non ha attecchito. Già in precedenza lo scorso novembre si sfiorò la rissa tra l’assessore comunale della città bruzia Damiano Covelli e il presidente della commissione per il tesseramento Italo Reale. Nei confronti di quest’ultimo l’ex vicepresidente della Regione Nicola Adamo ha sbraitato «sei a Cosenza, non a Sambiase!», causando svariate polemiche social in quel di Lamezia Terme, città dove l’avvocato Reale (vicino ad Amalia Bruni, che si ostina ad autoincensarsi come leader dell’opposizione) è riuscito a “piazzare” come segretario cittadino Gennarino Masi, con buona pace dei Giovani Democratici guidati da Dario Rocca che han presentato più di un ricorso sul punto.

    Guccione, il Parlamento e l’incubo quote rosa

    Tornando in quel di Cosenza, è chiaro che la posta in gioco è quella da capolista alle prossime elezioni politiche, dove al taglio dei parlamentari corrisponde parallelamente il taglio delle aspirazioni di più d’un notabile locale. E se al Senato si vocifera che la partita sia chiusa con il segretario regionale Nicola Irto in testa pronto a dire “bye bye” a Palazzo Campanella, è chiaro che per la Camera dei deputati sarà Cosenza a battere i pugni.
    Ragionando con la legge elettorale vigente, però, se al Senato il capolista è uomo, alla Camera toccherà a una donna.

    locanto-lorenzin
    Il santino elettorale di Maria Locanto alle Politiche del 2018

    Forse proprio a quella Maria Locanto (già candidata alle politiche del 2013 con Scelta Civica di Mario Monti e nel 2018 con Civica Popolare di Beatrice Lorenzin) che Francesco Boccia vorrebbe a tutti i costi segretaria provinciale (difficilmente l’uscente Enza Bruno Bossio starà a guardare).
    Nel caos generale, l’ex consigliere regionale e anti-oliveriano di ferro Carlo Guccione col sogno di fare il parlamentare dopo una vita passata in politica, dallo scorso primo novembre incassa un lauto vitalizio, somma che si aggiungerà al suo stipendio mensile da dipendente regionale.

    Oltre 3.000 euro a vita per una legislatura

    La determina 713 del 4 novembre 2021, a firma del dirigente regionale delle risorse umane Antonio Cortellaro, liquida a favore di Guccione un vitalizio di 3.161,30 mensili lordi per il mandato di Consigliere regionale svolto nella IX legislatura, ossia dal 2010 al 2014. Il mandato da consigliere nella legislatura dell’era Oliverio, dal 2014 al 2020 in aggiunta all’anno di legislatura dell’era Santelli 2020-2021, gli “frutterà” invece una pensione differita con metodo contributivo tra qualche anno.

    Nelle more percepirà cifre molto lontane dai 145.642 euro degli eletti a Palazzo Campanella. Parliamo di 22.903 euro l’anno come dipendente regionale di categoria C (istruttore amministrativo), con indennità di struttura (da 10.730 euro annui) a seguito della nomina come componente interno nella struttura di Franco Iacucci, del quale Guccione è stato grande sponsor elettorale.

    nicola-adamo-carlo-guccione
    Carlo Guccione e Nicola Adamo nella segreteria di Franco Iacucci durante le ultime elezioni regionali (foto A. Bombini) – I Calabresi

    La carriera da portaborse

    Guccione è diventato dipendente regionale grazie al concorso indetto con la legge regionale 25 del 2002, chiamata nella vulgata “legge parenti”. Una selezione che portò ad essere assunti in pianta stabile parenti e storici portaborse (ben 86!) in Regione.
    Dall’8 giugno del 2005 Carlo Guccione è stato assegnato alla struttura speciale dell’allora capogruppo dei Democratici di Sinistra Franco Pacenza, nello stesso periodo in cui il futuro antioliveriano era segretario regionale degli stessi Ds e componente della direzione nazionale.
    Dal gennaio 2008, invece, è diventato responsabile amministrativo del nuovo capogruppo regionale dei Ds, Nicola Adamo, poco prima di diventare, con la mozione di Pierluigi Bersani, segretario regionale del Pd Calabria e poi iniziare la carriera decennale da Consigliere regionale per poi retrocedere a portaborse (probabilmente in “servizio esterno”, dato che non si vede né a Catanzaro né a Reggio Calabria) dell’ex presidente della Provincia di Cosenza, Franco Iacucci.

    Il sacrificio sull’altare di Tansi e il sogno del Parlamento

    Alle ultime elezioni regionali Carlo Guccione non si è ricandidato. Da molti il passo indietro è stato visto come un “sacrificio” in virtù del codice etico di coalizione «fortissimamente voluto» (così amava ripetere) da Carlo Tansi che imponeva lo stop per chi avesse già svolto tre legislature.
    «Guccione continuerà a portare avanti con un ruolo politico nazionale nel Pd. Il suo impegno di rinnovamento del partito è stato un punto fermo sin dalla sua prima candidatura» dichiarò subito Francesco Boccia. Gli fece seguito l’ormai ex commissario regionale Stefano Graziano «Guccione con il suo impegno sul programma per la Calabria sarà un punto di riferimento nel suo nuovo ruolo politico nazionale che il segretario Letta gli assegnerà».

    scalea-discarica-verdi-colline-attesa-bonifica-i-calabresi
    Il geologo Carlo Tansi, leader del movimento “Tesoro di Calabria”

    L’Orlando disamorato

    Lo stesso Enrico Letta, però, che Guccione in segreteria nazionale non lo ha più voluto. Durante la segreteria di Nicola Zingaretti il cosentino aveva incassato, sotto l’auge di Andrea Orlando, l’incarico di responsabile nazionale del dipartimento “crisi industriali” del Pd. Quella casella poi, però, se l’è accaparrata il toscano Valerio Fabiani, probabilmente più orlandiano di lui.
    L’incarico arrivato a gennaio come “responsabile Pd sanità nel mezzogiorno” sa di contentino. Ricorda quello dato a Francesco Cannizzaro dopo la mancata nomina a coordinatore regionale di Forza Italia. E oggi, con Nicola Irto già proiettato su Roma e l’eterno incubo quote rosa, per Carlo Guccione pare che il sogno del Parlamento sia letteralmente sfumato.