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  • Sciolti e poi abbandonati: ma l’antimafia dei record funziona?

    Sciolti e poi abbandonati: ma l’antimafia dei record funziona?

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    Questa storia ha inizio nel primo pomeriggio di un giovedì di maggio di 31 anni fa all’interno di un salone da barbiere a Taurianova, nel Reggino. Quel giorno un killer uccide un uomo mentre fa la barba. La vittima – la faccia ancora sporca di schiuma – si chiama Rocco Zagari ed è un boss della ‘ndrangheta. Il suo omicidio rappresenta il punto di non ritorno della faida tra gli Zagari-Viola-Avignone e gli Asciutto-Alampi che in due anni ha già fatto 32 morti. Il giorno seguente, il 3 maggio 1991, rimarrà agli annali come quello della “mattanza del venerdì nero”.

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    Il “venerdì nero” di Taurianova nel racconto giornalistico della Gazzetta del Sud

    La vendetta degli Zagari è impressionante: tre agguati e quattro omicidi. In uno di questi il sicario mozza la testa del cadavere, la lancia in aria e spara come in un macabro tiro al piattello davanti a una ventina di testimoni pietrificati. La Calabria finisce in prima pagina e il governo è costretto a intervenire: il 7 maggio presenta una serie di misure sul caso Calabria e il 31 emana il decreto legge 164 che introduce lo scioglimento per mafia degli enti locali.

    A distanza di poche ore, il prefetto reggino dispone la sospensione del consiglio comunale di Taurianova, il 2 agosto arriva lo scioglimento. È la prima volta nella storia d’Italia. O meglio, la prima volta che avviene grazie a una legge. Era già successo infatti nel 1983 quando, alle elezioni del Comune di Limbadi, il boss Ciccio Mancuso aveva ottenuto 469 preferenze su 1215 votanti. Da latitante. Per impedirne la scontata indicazione a sindaco, si era reso necessario un decreto del presidente della Repubblica Sandro Pertini.

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    Il boss Ciccio Mancuso, quasi sindaco di Limbadi

    Record su record

    Da allora questa storia di record e prime volte si ripete senza soluzione di continuità. La conferma, l’ennesima, arriva dal dossier Le mani sulla città appena pubblicato da Avviso Pubblico, l’associazione degli enti locali contro le mafie: per il quindicesimo anno consecutivo, anche nel 2021 (questa volta al pari di Sicilia e Puglia) la Calabria è prima in Italia per numero di enti sciolti per mafia (quattro su 14: Guardavalle, Nocera Terinese, Simeri Chichi e Rosarno). Ma la Calabria è in vetta anche alla classifica assoluta.

    Su 365 decreti di scioglimento, ben 127 riguardano la Calabria (la Campania segue con 113). Di questi, 71 la provincia di Reggio, 24 il Vibonese, 17 il Catanzarese, 10 la provincia di Crotone e cinque il Cosentino. Ben 28 enti – ancora un primato – hanno subìto decreti plurimi, 11 consigli comunali sono stati addirittura sciolti per tre volte (Rosarno, Lamezia Terme, Taurianova, Briatico, Nicotera, San Ferdinando, Gioia Tauro, Platì, Africo, Roccaforte del Greco e Melito Porto Salvo). Sono almeno altri due i primati: su sette aziende sanitarie coinvolte, ben cinque sono calabresi. Ed è calabrese il primo capoluogo di provincia ad avere subìto un decreto di scioglimento: Reggio Calabria.

    Comuni sciolti per mafia: il caso Reggio

    È il 9 ottobre 2012 quando il Viminale usa la scure sul Comune guidato dal sindaco di centrodestra Demetrio Arena. Per l’Amministrazione, già impantanata in un dissesto finanziario, è un’onta: il provvedimento parla di «contiguità» con ambienti criminali, indica la necessità di «rimuovere le cause del rischio di infiltrazioni mafiose» e chiama in causa la gestione delle aziende municipalizzate e il comportamento di alcuni consiglieri e dipendenti comunali.

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    Il Comune di Reggio Calabria

    A nulla serve pubblicare il documento Reggio rivendica il suo ruolo nel goffo tentativo di scongiurare in extremis il provvedimento: si tratta di un retorico e banale appello che – senza esprimersi sui fatti all’attenzione della commissione d’accesso o agevolare un confronto pubblico – richiama a una presunta «ingiusta campagna di diffamazione che criminalizza un’intera città»» e a «una strategia denigratoria di una intera comunità» che ha «bellezze naturali ma anche cultura, eccellenze lavorative, imprenditoriali, professionali, scolastiche». Un testo incredibilmente sottoscritto da oltre 500 tra «professionisti reggini, imprenditori, rappresentanti di organizzazioni di categoria» e dalle principali associazioni antimafia cittadine (Libera, Riferimenti, Ammazzateci tutti, Museo della ’ndrangheta – non lo sottoscrivono invece daSud e Reggio non tace).

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    Arena e Scopelliti abbracciati

    Lo scioglimento è un colpo fatale per il cosiddetto Modello Reggio, il sistema politico e di potere del presidente della Regione Giuseppe Scopelliti, padrino politico di Arena, già barcollante per una delle pagine più drammatiche della storia cittadina: il misterioso suicidio di Orsola Fallara, potentissima dirigente del Settore Finanza del Comune. A Reggio inizia l’era dei commissari, poi di nuove amministrazioni targate centrosinistra. Ma un vero dibattito sull’accaduto non ci sarà mai. Un’occasione sprecata.

    Il paradosso dell’antimafia

    Reggio non è tuttavia un caso isolato. L’analisi di Avviso Pubblico sui trent’anni di applicazione della legge dimostra infatti che esiste un deficit di trasparenza sul lavoro delle commissioni di accesso. E che non funziona la necessaria attivazione di una discussione pubblica sui fatti oggetto del provvedimento. Inoltre, emergono problemi a proposito di scioglimenti giudicati arbitrari perché “politici”, di commissari spesso non all’altezza e dell’impossibilità di intervenire sulla macchina amministrativa: circostanze che creano diffidenza, se non insofferenza, tra i cittadini.

    «Alla lunga – sottolinea Vittorio Mete, docente di Sociologia all’Università di Torino, alla presentazione del dossier di Avviso Pubblico – gli scioglimenti godono di un deficit di popolarità e consenso. Quello della legittimità percepita è un problema che dobbiamo porci, perché lo scioglimento non rimedia a un meccanismo di raccolta del consenso che non è sano e che non si ripara in pochi mesi».

    Le conseguenze, a volte, rischiano il paradosso: succede quando l’intervento dello Stato crea una frattura del patto tra istituzioni e cittadini, soprattutto nelle aree in cui è più pervasiva la presenza dei clan. Una questione delicata, ricca di contraddizioni che riguarda – è un’avvertenza necessaria – la possibilità di esercitare i diritti costituzionali e nulla ha a che vedere con il falso garantismo che cerca di insinuarsi nelle fragilità del sistema.

    Due casi emblematici e una legge da cambiare

    Sono emblematici, da questo punto di vista, i casi dei comuni aspromontani di Platì, rimasto per anni senza sindaco a causa di tre scioglimenti e della ripetuta assenza di candidati, e di San Luca, dove Bruno Bartolo è stato eletto nel 2019 (con il 90% delle preferenze!), a distanza di sei anni dallo scioglimento e di ben 11 dalle ultime elezioni, solo grazie alla candidatura del massmediologo Klaus Davi che ha garantito la possibilità di una competizione.

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    Il municipio a Platì

    «Coniugare diritti fondamentali – ha scritto di recente lo studioso delle mafie Isaia Sales – con l’esigenza che lo Stato faccia sul serio lo Stato è una questione aperta e non banale. Ma se la sfida si pone a questa altezza è necessario rivedere alcuni cardini della strategia. A partire dalla norma sullo scioglimento dei consigli comunali». Una discussione antica e non più rinviabile. «Quando si arriva a constatare – aggiunge – che ben 78 comuni sono stati sciolti più di una volta, e a volte per ben tre volte (e si potrebbe arrivare addirittura alla quarta!) vuol dire che la legge non è più efficace». E bisogna trovare il coraggio, e la volontà, di cambiarla. Sono tre le proposte di modifica della legge, in commissione Affari costituzionali alla Camera, ma una vera discussione non c’è.

    Un fenomeno di classi dirigenti

    La ragione va forse cercata nelle parole di Pierpaolo Romani, coordinatore di Avviso Pubblico: «Quella delle mafie, scriveva Pio La Torre, è una questione di classi dirigenti, che ha a che fare cioè con il potere e con coloro che lo detengono». La forza delle mafie sta fuori dalle mafie, spesso nei rapporti politici. «Nel corso del tempo – aggiunge – diverse inchieste giudiziarie, storiche e giornalistiche hanno dimostrato che non può esistere mafia senza rapporti con la politica, ma che può e deve esistere una politica senza rapporti con le mafie». Spezzarli spetta agli apparati repressivi, ma «anche alle forze politiche e ai cittadini elettori».

    E tuttavia il tema delle mafie, e del loro rapporto con il potere e con la politica, rimane «assente dal dibattito, anche in questo momento in cui cerchiamo di far partire il Paese col Pnrr», cioè con quella valanga di soldi in arrivo dall’Ue di cui tanto si parla ma su cui non è possibile discutere né per decidere come spenderli, né per individuare il modo migliore di impedire che finiscano nelle mani sbagliate. L’esperienza, a quanto pare, non insegna. Ma questa, seppure anch’essa antica, è un’altra storia.

     

  • Lega e Calabria: nuove strutture, vecchio colonialismo

    Lega e Calabria: nuove strutture, vecchio colonialismo

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    Prima cresce e fa un pienone. Poi cala. E ora, dopo aver messo mano all’organigramma, tenta la rimonta.
    La Lega punta le fiches calabresi su due tavoli: le imminenti Amministrative, dove mira a recuperare posizioni, soprattutto a danno dei propri alleati, e le Politiche dell’anno prossimo.
    Evidentemente, in Calabria tira ancora la trovata salviniana di aver accantonato il vecchio antimeridionalismo in favore del lepenismo all’italiana, prima, e del nuovo corso “moderato” poi.

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    Leghisti calabresi in azione

    Anche a prescindere dal fatto che a tanta potenza comunicativa non corrisponda, in realtà, troppa sostanza: Salvini sostiene tuttora la proposta delle autonomie differenziate, su cui il suo partito giocò una carta importante poco prima delle Politiche del 2018, con i referendum regionali di Veneto e Lombardia.
    Ancora: lo zoccolo duro della Lega resta nel Nord profondo, dove è tuttora molto forte la classe dirigente bossiana, a partire da Luca Zaia.
    Al contrario, la flessione della Lega da Napoli in giù dovrebbe suggerire che il Sud, per il Carroccio, potrebbe non essere più un buon affare. E allora, come mai tanto interesse?

    Il calo della Lega in numeri

    Per avere una fotografia fedele della situazione, basta comparare i dati del 2020 a quelli delle Regionali di ottobre.
    Il partito di Salvini, in questo caso, è passato da 95mila e rotti voti (12,28%) agli attuali 63mila e cinquecento (8,33%). Peggio che andar di notte al Comune di Cosenza, dove il Carroccio ha perso l’unico consigliere, Vincenzo Granata, che tra l’altro era stato eletto in una lista civica nel 2016, prima dell’ascesa del Capitano.

    Il tonfo, in questo caso, è stato fortissimo: con il 2,81% dei consensi, la lista della Lega non ha preso neppure il quorum.

    A cosa è dovuto il calo? In prima battuta, al disordine interno, provocato da alcuni abbandoni eccellenti: quelli dell’europarlamentare Vincenzo Sofo e del suo braccio destro, Alfredo Iorio, candidatosi a ottobre in Coraggio Italia.

    Vincenzo Sofo

    Un’altra emorragia forte ha colpito la base, che ha perso trecento militanti tra Cosenza e Catanzaro, a partire da Bernardo Spadafora, ex segretario provinciale di Cosenza.
    Il corso moderato di Salvini, a dirla in parole povere, non ha portato benissimo. Non in Calabria, almeno.

    Prove di rimonta

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    La new entry Davide Bruno

    Dopo aver salvato il salvabile, la Lega punta a risalire la china a partire dal radicamento. E il nuovo organigramma, annunciato a fine marzo, mira a rafforzare i legami col territorio.
    Così è a Cosenza, dove un volto noto della destra dura ma pensante, Arnaldo Golletti, gestirà la segreteria provinciale. Golletti è affiancato da un volto giovane dell’area moderata, l’ex assessore cosentino Davide Bruno, che invece gestirà la segreteria cittadina.

    Discorso simile per l’area centrale della regione dove lo stato maggiore del partito si è impegnato in prima persona: è il caso di Crotone, dove il coordinatore regionale Cataldo Calabretta è, al momento, segretario provinciale, e di Catanzaro, dove Giuseppe Macrì è stato confermato nello stesso ruolo.
    Reggio, dove ancora prevale Tilde Minasi, non è ancora pervenuta. Ma questo non è un problema, perché la partita vera si giocherà, in particolare, tra Catanzaro e Cosenza, che replicano nel Carroccio l’atavica rivalità di campanile.

    Catanzaro scalda i motori

    Il capoluogo regionale sarà decisivo per le Amministrative di giugno.
    Per il dopo Abramo, il Carroccio appoggerà il civico (ed ex Pd) Valerio Donato con due liste, una di partito e l’altra civica, entrambe organizzate dal big Filippo Mancuso. A differenza di Cosenza, dove il fratricidio è quasi la norma, a Catanzaro cane non mangia cane.

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    Domenico Furgiuele e Matteo Salvini

    Infatti, la Lega ha tenuto grazie all’equilibrio tra il moderato Filippo Mancuso e il “duro” Domenico Furgiuele. Difficile pensare a due personalità più diverse: quasi centrista Mancuso, formatosi alla corte di Sergio Abramo, ultradestrorso, invece, il deputato di Lamezia, cresciuto a pane ed Evola.
    Tuttavia, i due non si pestano i piedi. Tanto più che la Lega, con il recente ingresso al Senato del vibonese Fausto De Angelis, si è rafforzata nella fascia centrale della regione. E quindi, riempire una o più caselle a Catanzaro potrebbe puntellare ancor più la posizione di entrambi.

    Cosenza, la Lega punta sulla Sanità

    Più complesso il discorso a Cosenza, dove non sono in vista tornate importantissime. Dei ventiquattro Comuni che vanno al voto, solo tre hanno le dimensioni adatte a ospitare liste di partito: Paola, Acri e Trebisacce, che sommate non superano i 60mila abitanti.
    La partita vera riguarda una sola persona: la capogruppo regionale Simona Loizzo, che vanta un ruolo forte nella Sanità e nella Cosenza che conta (tra le varie, è nipote di Ettore Loizzo, ex big del Goi).

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    Simona Loizzo, la big della Sanità cosentina

    Con i suoi 5.500 e rotti voti, la dentista cosentina si è affermata a sorpresa a ottobre grazie agli ambienti della Sanità, dove ha intaccato il quasi monopolio dei Gentile. E ora forse carezza un altro colpo: la Camera dei deputati, probabilmente in concorrenza con Furgiuele.
    A proposito di Sanità: la Loizzo vanta uno sponsor di eccezione, i fratelli Greco, big delle cliniche private, che aspirano da tempo alla realizzazione del mega ospedale privato. E non è un caso che proprio a Cariati, di cui è sindaca Filomena Greco, sia nato di recente un movimento dedicato alla Loizzo.

    Loizzo, dai Gentile al Capitano

    Il movimento cariatese è il coronamento curioso della carriera di Simona Loizzo, iniziata proprio all’ombra dei fratelli Gentile quando egemonizzavano il Pdl cosentino, di cui fu coordinatrice provinciale. Questo rapporto particolare è proseguito nel 2020, quando, anche a dispetto di una tragedia familiare, la dentista è stata indicata come potenziale sindaco di Cosenza.
    La Sanità, per Simona Loizzo, non è tutte delizie, ma ha non poche croci: tra queste, il turnover minimale concesso alla Calabria, circa lo 0,4%, che impedisce le nuove assunzioni, a dispetto dei concorsi annunciati e banditi per rimpolpare ambulatori e ospedali ridotti allo stremo.

    Benedetta dal Capitano, Simona Loizzo e Salvini

    L’iperattivismo nella Sanità si spiega col fatto che il bacino elettorale della capogruppo è l’Azienda ospedaliera di Cosenza e tutta l’umanità varia, titolata e non, che vi ruota attorno. In particolare, quella che riempie le graduatorie prodotte da vari concorsi, anche recenti, e aspetta di essere assorbita. Anche per questo, la Loizzo fa quasi corpo a sé nella Lega: il suo supporter è stato l’ex presidente facente funzioni Nino Spirlì, che a dirla tutta non va proprio di pelo con gran parte del suo partito.

    Potenzialità di crescita

    Eppure queste rivalità interne potrebbero garantire una certa crescita al Carroccio, proprio perché sono rivalità tra i territori e non nei territori.
    Di questa crescita, annunciata dai vertici con toni entusiastici («triplicheremo le candidature»), il vero beneficiario sarebbe il solo Salvini, che mira a ricavare dal Sud – e quindi dalla Calabria – i consensi elettorali necessari a puntellare la sua leadership nei confronti della vecchia area bossiana, egemone nelle regioni forti del Nord.
    Ma non è detto che l’eventuale crescita della Lega si traduca in un vantaggio per i calabresi.

    Energia e rifiuti, gli interessi di Salvini

    Com’è noto, Matteo Salvini è un azionista di A2A, società bresciana specializzata nella gestione delle acque, nella produzione energetica e nel ciclo dei rifiuti.
    E, al riguardo, non è proprio un caso che l’azienda lumbard abbia annunciato di recente una serie di investimenti importanti proprio in Calabria, dove ha già le mani in pasta in alcuni settori non proprio secondari, come l’idroelettrico in Sila.
    Dove sta la fregatura per i calabresi? Che l’azienda pagherà le imposte e le tasse prevalentemente dove produce il suo reddito e dove ha la sua sede legale principale, cioè in Lombardia. In pratica, una delocalizzazione degli oneri a dispetto del fatto che gli utili siano prodotti in Calabria. Il tutto, con la benedizione dell’amministrazione regionale, di cui il Carroccio è un puntello…

  • Provincia di Cosenza: tra moglie e marito… l’incarico è servito

    Provincia di Cosenza: tra moglie e marito… l’incarico è servito

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    Chi tra i due comandi in casa non è dato sapere, ma nella Provincia di Cosenza sarà Rosaria Succurro a farlo e Marco Ambrogio dovrà rispondere ai suoi ordini. In piazza XV Marzo è in arrivo un nuovo collaboratore per la neo presidente. Dovrà supportarla nella «attuazione delle linee programmatiche di governo». È «una figura professionale esterna di adeguata esperienza e competenza in tale ambito» e lavorerà «a titolo gratuito». Il prescelto? L’avvocato Marco Ambrogio – sempre che accetti – ossia il legittimo consorte della presidente stessa. Un bell’incarico fiduciario alla faccia di chi dice che le mogli non dovrebbero fidarsi dei mariti.

    Dalla rivalità all’amore

    Galeotto fu Mario Occhiuto e chi lo elesse: è stato proprio l’architetto cosentino a fare entrare in politica l’attuale sindaca di San Giovanni in Fiore, chiamandola nella sua Giunta a partire dal 2011. Fino a pochi mesi prima, tra gli assessori dell’amministrazione di centrosinistra sconfitta da Occhiuto alle elezioni, c’era proprio Marco Ambrogio. Che così si ritrovò all’opposizione da capogruppo del Pd, con piglio battagliero. Almeno per i primi tempi. Poi l’amore prevalse sulla politica e Ambrogio sposò in seconde nozze Rosaria Succurro.

    Succurro e Ambrogio: insieme al Comune, insieme alla Provincia

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    L’ingresso del Palazzo della Provincia in piazza XXV Luglio a Cosenza

    Nel successivo mandato di Occhiuto, l’ex giovane rampante dei dem di combattere, pur sedendo sempre all’opposizione, pareva avere meno voglia. Un eventuale assessore con cui litigare, d’altra parte, a quel punto lo aveva in casa. Mise da parte anche le mai sopite velleità da aspirante numero uno di Palazzo dei Bruzi. D’altronde, quando i sangiovannesi avevano eletto la moglie alla guida del Comune anche il marito aveva lasciato le dilette colline donnicesi per seguire come un’ombra l’amata sui monti silani. I due sono inseparabili e ora, con sia Succurro che Ambrogio alla Provincia , a San Giovanni in Fiore qualche detrattore già maligna su chi farà il sindaco nei giorni in cui mancheranno, visti i nuovi impegni cosentini, entrambi gli attuali.

  • Rifiuti a peso d’oro: la Calabria spende più di 2 miliardi in 7 anni

    Rifiuti a peso d’oro: la Calabria spende più di 2 miliardi in 7 anni

    Quando si parla di spazzatura, in Calabria, i propositi sono sempre buoni, ma le certezze sono davvero poche. Per provare a capirci qualcosa conviene dunque partire dalle seconde. Innanzitutto: la Regione non ha al momento adottato nessun nuovo Piano rifiuti. In Calabria è in vigore quello approvato nel 2016 e modificato nel 2019. La giunta Santelli aveva licenziato delle Linee guida di aggiornamento su proposta del “Capitano Ultimo” ma sono rimaste solo un atto di indirizzo. «Il Piano che cambierà la Regione» vagheggiato a novembre 2020 dall’allora assessore Sergio de Caprio in realtà non è mai neanche arrivato in consiglio regionale.

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    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Probabilmente invece ci arriverà, senza grandi ostacoli, quello annunciato da Roberto Occhiuto: la sua giunta ha approvato una delibera con gli indirizzi per un Piano stralcio. Prima di andare a vedere quali siano, proviamo a ragionare su qualche altro dato certo. Il più drammatico riguarda la raccolta differenziata, l’unica via per uscire dal medioevo delle discariche che tutti da anni dicono di voler seguire – lo impone la legge – senza riuscirci.

    Differenziata ferma al 52%

    Nel 2020 (la fonte è la Regione) i calabresi hanno prodotto 715.976 tonnellate di rifiuti urbani (381,3 kg per abitante) ma la differenziata si è fermata a 373.610 tonnellate. Rispetto al 2013 i rifiuti prodotti sono diminuiti (erano 829.792 tonnellate, 422,8 kg per abitante) ed è aumentata la differenziata (erano 122.844 tonnellate). Però siamo ancora al 52,2%, molto poco se si pensa che il target del 65% si doveva raggiungere nel 2012. Esatto: siamo in enorme ritardo rispetto a un obiettivo che andava centrato già 10 anni fa. E che il Piano rifiuti del 2016, quello ancora in vigore, aveva fissato per il 2020.

    Cosenza: rifiuti in Svezia per 300 euro a tonnellata

    Proprio il 2020, scrive il dipartimento regionale Ambiente, è l’anno che ha sancito «la cronicizzazione dell’emergenza per l’esaurimento delle discariche pubbliche e private». Risultato? Sono state incenerite fuori regione 67mila tonnellate di rifiuti, a cui se ne aggiungono altre 2mila conferite in discariche extra-regionali. A costi, dice sempre la Regione, «esorbitanti». Un esempio: la provincia più grande della Calabria, quella di Cosenza, per parecchi mesi ha spedito la sua spazzatura a Mantova e addirittura in Svezia. Al modico prezzo di oltre 300 euro a tonnellata. Il canale svedese si è bloccato da qualche settimana a causa della guerra e, ora, si rischia una nuova emergenza nell’emergenza.

    Emergenza rifiuti in Calabria mai finita

    Già. E pensare che in teoria il settore calabrese sarebbe rientrato nella «gestione ordinaria» dal 2013. Lo stato di emergenza dei rifiuti in Calabria era stato proclamato nel 1997 ed è ufficialmente scaduto il 31 dicembre 2011. Ma nei fatti è sempre rimasto tale. Con un’altra certezza: una montagna di denaro pubblico è stata spesa senza mai fare passi avanti. È utile anche su questo guardare ai numeri, tenendo a mente che il servizio viene coperto con la tassa (Tari) pagata dai cittadini. Nel 2019 i rifiuti calabresi ci sono costati 168,44 euro per abitante (fonte: Catasto rifiuti Ispra su un campione del 42% dei Comuni). Il che significa 319 milioni di euro in un anno. I costi di gestione sono andati quasi sempre crescendo nel decennio: nel 2013 si spendevano 124,15 euro per abitante (245,8 milioni all’anno).

    Sommando i costi per abitante del Catasto Ispra, dopo averli moltiplicati per i residenti rilevati di anno in anno, viene fuori che tra il 2012 e il 2019 la gestione dei rifiuti calabresi è costata in totale oltre 2,2 miliardi di euro. Ancora prima, stando alle risultanze della Commissione parlamentare di inchiesta che se n’è occupata, in più di 13 anni di commissariamento le spese erano «lievitate a ben oltre il miliardo di euro, a fronte degli insufficienti risultati ottenuti».

    Il termovalorizzatore da raddoppiare

    Già in quel dossier, datato maggio 2011, si parlava del raddoppio del termovalorizzatore di Gioia Tauro. Sul quale ora Occhiuto vuole puntare per renderlo «più performante e meno inquinante».
    Al di là dell’ammissione implicita del presidente della Regione – «meno inquinante» significa che attualmente inquina e in futuro lo farà pure, ma di meno, e prima poi bisognerà farci i conti – a descrivere la situazione è il documento tecnico allegato dal dipartimento Ambiente alla manifestazione d’interesse per il project financing.

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    Il termovalorizzatore di Gioia Tauro

    Si parte dal «malfunzionamento» attuale del termovalorizzatore – termine meno inquietante dell’«inceneritore» comunque ricorrente anche in questi atti – che «incenerisce quantitativi molto inferiori rispetto alla potenzialità autorizzata di 120mila tonnellate all’anno». A Gioia Tauro viene trattato per produrre energia solo il combustibile solido secondario, l’attuale tecnologia «non consente di termovalorizzare gli scarti di lavorazione». Negli ultimi due anni, inoltre, si sono registrati «continui fermi impianto».

    Il grande problema resta sempre e comunque la mancanza di impianti pubblici sul territorio. Il Piano del 2016 ne prevedeva diversi riuniti in 8 «ecodistretti», ma risulta che «nessuna attività è stata avviata» per quello di Cosenza e le sue due discariche di servizio, così come per quelle previste a Lamezia, Crotone, Siderno e per l’impianto che dovrebbe sorgere nella Piana. «Bloccato», invece, l’iter per la discarica di Melicuccà. Ma secondo il dipartimento la configurazione degli ecodistretti va «integralmente confermata».

    Rifiuti in Calabria? Incenerire per non differenziare

    Quindi l’unica novità, al netto dell’aggiornamento dei target per la differenziata (65% nel 2023, 70% nel 2025 e 75% nel 2030), è il maggiore ricorso all’incenerimento dei rifiuti a Gioia Tauro. Dove, con l’entrata a regime delle ulteriori linee «completate ad oggi all’80%», si dovrebbe arrivare, secondo la Regione, a una «valorizzazione energetica» di circa 270mila tonnellate all’anno, garantendo così «l’autosufficienza» con il trattamento di tutti i rifiuti urbani residui e degli scarti della differenziata. Il termovalorizzatore, di proprietà della Regione, nel Piano stralcio dovrà essere individuato come «di rilevante interesse strategico regionale» e servire tutta la Calabria. Una previsione che, guardando ai propositi sulla differenziata, appare contraddittoria: se dobbiamo incenerire di più vuol dire che pensiamo che non differenzieremo di più.

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    Ecco come si presenta dall’alto e come è suddiviso l’impianto di Gioia Tauro

    Quando la giunta Spirlì voleva stoppare i privati…a parole

    Due digressioni necessarie. La prima: la Ue dice che entro il 2035 dovrà andare in discarica non più del 10% del totale dei rifiuti urbani, mentre la Calabria è oggi oltre il 44%. La seconda: il Tar ha annullato un’ordinanza – l’ennesima «contingibile e urgente» – emanata dalla giunta Spirlì a luglio 2021 dando ragione al Comune e all’Ato di Crotone. Rappresentati dall’avvocato Gaetano Liperoti, gli enti crotonesi si sono opposti alla decisione di portare in discarica fino a 600 tonnellate al giorno pagando 180 euro a tonnellata (dunque fino a oltre 100mila euro ogni 24 ore).

    Si tratta della stessa giunta che aveva garantito di voler stoppare i privati. E che nella stessa ordinanza ammetteva che avremmo pagato nei mesi successivi «prezzi esorbitanti» per portare i rifiuti fuori dalla Calabria. Secondo il Tar però non si possono «adottare ordinanze contingibili ed urgenti per fronteggiare situazioni prevedibili e permanenti». L’emergenza è dunque diventata così stabile da costituire, illegittimamente, la normalità.

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    Un’altra immagine dall’alto del complesso che ospita il termovalorizzatore di Gioia

    Addio Ato, ecco la multiutility di Occhiuto

    C’è poi un’ulteriore, grossa novità: gli Ato provinciali verranno soppressi con l’entrata in vigore della «multiutility» che gestirà l’intero ciclo di acqua e rifiuti. Si tratta di un cambio di rotta rispetto all’impostazione che stava andando nella direzione della gestione locale consorziata tra i Comuni. Alcuni territori sono effettivamente bloccati perfino nella scelta dei luoghi per gli ecodistretti, ma altri stavano facendo dei passi avanti. Adesso, mentre continuiamo a pagare bei soldoni per lo smaltimento, inseguiremo l’autosufficienza incenerendo in un solo impianto i rifiuti di tutta la regione. Ma dimenticando che la normativa europea e il Codice dell’ambiente (art. 182 bis) fissano anche il principio di prossimità: i rifiuti andrebbero smaltiti «in uno degli impianti idonei più vicini ai luoghi di produzione o raccolta».

  • Amministrative Catanzaro: Salvini teme il flop, la Lega vira a sinistra?

    Amministrative Catanzaro: Salvini teme il flop, la Lega vira a sinistra?

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    Proprio ieri Matteo Salvini si è detto particolarmente fiducioso per la crescita della Lega in Calabria. Un mantra che ama ripetere in ogni occasione possibile. Bisogna dirlo, a differenza di molti altri leader, Salvini in Calabria ci mette la faccia: incontra militanti e dirigenti, tenta di dirimere le (numerose) beghe interne, ha chiuso l’ultima campagna elettorale regionale il giorno prima del silenzio elettorale proprio in Calabria.
    Insomma, Salvini alla Regione che lo ha eletto senatore (salvo poi venire scalzato dalla forzista Fulvia Caligiuri) ci tiene e non poco. Peccato, però, che l’elettorato abbia cominciato a non contraccambiare.

    Un sindaco leghista? Reggio ha detto no

    Nel settembre 2020, quando il vento leghista ancora spirava forte, Matteo Salvini tentò il colpaccio: piazzare un sindaco leghista a Reggio Calabria. Si scelse un tecnico d’area di origine reggina, con un forte legame con la Liguria del leghista Edoardo Rixi, fedelissimo dello stesso Salvini: Antonino Minicuci.
    Il rientro dei mugugni del deputato Francesco Cannizzaro, che bramava per gli azzurri la sindacatura del post-Falcomatà, non bastarono per vincere. La Lega ottenne il 4,69% con 4.299 voti e un solo consigliere, a fronte dei 3 di Forza Italia (11,1%) e dei due di Fdi (7,1%).

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    Antonino Minicuci

    Insomma, il traino non c’è stato. E quel «ragazzino Falcomatà» pronunciato in diretta tv da Minicuci, ne fu il requiem politico-elettorale. Tornarono nel cassetto i sogni e le ambizioni di espansione leghista nei territori calabresi. Unica (e magra) consolazione? Aver conquistato “solo” la Taurianova di Spirlì.

    Il deserto di Crotone…

    A Crotone e a Cosenza si può chiaramente parlare di flop. Nella città pitagorica alle Regionali del gennaio 2020 la Lega ottenne oltre 3.000 voti e il 14,5% dei voti. Alle Comunali di settembre dello stesso anno, invece, 1.163 voti e il 3,6%, conquistando un solo seggio con Marisa Luana Cavallo. Il suo sponsor era l’ex segretario provinciale Giancarlo Cerrelli, poi uscito, unitamente alla consigliera eletta, dalla Lega in polemica con le scelte dei vertici. A non convincerli era l’aver visto dare sempre più centralità al commissario della Sorical, Cataldo Calabretta, divenuto poi commissario anche della Lega per la provincia di Crotone.

    Le scelte politiche di Calabretta non furono elettoralmente lusinghiere, avendo puntato le sue fiches sull’avvocata Pina Scigliano, moglie dell’ex sindaco di Cirò Mario Caruso. La Scigliano ottenne poco più di 1.400 voti, ma a Cirò Marina non raggiunse le 400 preferenze. Lì la superò la forzista Valeria Fedele, che ne ottenne 561 senza aver messo piede in paese.

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    Salvini e Cataldo Calabretta

    Insomma, la Lega non cresce e perde pezzi a favore degli azzurri. Anche l’editore Salvatore Gaetano, big leghista nel 2020, si è poi candidato con FI l’anno successivo, divenendo consulente di Roberto Occhiuto per la comunicazione strategica del territorio.

    …e il voto “disgiunto” di Cosenza

    Alle Comunali di Cosenza, invece, la Lega ha ottenuto un misero 2,8% e 946 voti non eleggendo nessun consigliere comunale. Alle Regionali (tenutesi lo stesso giorno delle Amministrative) ha raccolto il 7,1% e 2.080 voti. Una differenza di voti quasi pari alle preferenze che ha racimolato in città (1.196) quella che è divenuta la capogruppo della Lega in Consiglio Regionale, Simona Loizzo. Circostanza curiosa che non ha impedito a Loizzo di prendere le redini del partito a livello provinciale, “epurando” l’area di riferimento dell’ex consigliere Pietro Molinaro (che ha fatto ricorso contro di lei per asserita ineleggibilità).

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    Il consigliere regionale della Lega, Simona Loizzo (foto Alfonso Bombini)

    Proprio domani ci sarà la conferenza stampa delle nuove leve leghiste, con il neosegretario cittadino Davide Bruno – eletto consigliere comunale con l’Udc nel 2011 (fu anche assessore) e con “Forza Cosenza” nel 2016 – e quello provinciale Arnaldo Golletti, già segretario provinciale del Msi-Destra Nazionale.
    Proprio quest’ultimo nel 2016 si lamentava della destra “inesistente”. In una nota dichiarò, infatti, che «correre senza simboli sembra essere una surrettizia forma di indipendenza, creata per avere mano libera nel futuro: tutto questo non va bene e rischia di vanificare le logiche politiche identitarie». Chissà se lo dirà a Filippo Mancuso, pronto nel capoluogo a coprire il Carroccio con qualche emblema civico.

    Catanzaro, il fortino della Lega di Salvini

    Il vento in poppa che soffiava sul simbolo della Lega due anni fa (con sacche di voto di simbolo e amministratori locali pronti a vestire le effigie di Alberto da Giussano) non c’è più. E la flessione di consensi non offre segni di inversione di rotta, tranne che nel capoluogo di Regione.
    Alle elezioni regionali del gennaio 2020 la Lega prese 95.509 voti, con il 12,28%. Nella circoscrizione centro (Catanzaro-Vibo Valentia-Crotone) ottenne il 15,09%, con il picco nella città di Catanzaro con il 17% e 6172 voti. Di questi, 3.005 li portava in dote l’ex consigliere comunale (dal 2011, poi anche assessore) e provinciale (dal 2018) Filippo Mancuso. All’epoca era appena “zompato” sul Carroccio su indicazione di Sergio Abramo.

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    Filippo Mancuso (Lega) è il presidente del Consiglio regionale della Calabria

    Nella successiva tornata regionale dell’ottobre 2021, la Lega sprofondò all’8,33% e 63.459 voti e nella circoscrizione centro scese al 9,45%. Nonostante la perdita di 7 punti percentuali, nel capoluogo di Regione il Carroccio ottenne il 10,28% con 3.257 voti. Quasi tutti (2.655) li ha portati il citato Filippo Mancuso, divenuto poi Presidente del Consiglio Regionale.
    Certo, la Lega nel complesso ha cantato vittoria perché ha mantenuto quattro Consiglieri regionali (grazie al premio di maggioranza). Ma in vista delle elezioni amministrative di Catanzaro il timore di “pesarsi” rimane alto, non potendosi permettere percentuali da prefisso telefonico nel feudo del plenipotenziario Mancuso.

    La soluzione anti-flop: a sinistra, ma senza simboli

    Più che alla Lega, però, Filippo Mancuso, anche in vista delle Amministrative, sembra più affezionato alla sua lista civica “Alleanza per Catanzaro”.
    Difatti, nel capoluogo, dopo la defezione dell’ex coordinatore cittadino Antonio Chiefalo (dimenticata la candidatura nel 2020 con la Lega è poi trasmigrato in Forza Italia, sostenendo Michele Comito alle Regionali 2021) e i risultati elettorali del commissario provinciale Giuseppe Macrì, è il presidente del Consiglio regionale ad avere carta bianca.

    A sostenerlo, però, non vi sono leghisti doc, ma suoi personali fedelissimi. Qualche esempio? I consiglieri comunali Eugenio Riccio, eletto con il centrosinistra nel 2017 con “Svolta Democratica” di cui è stato capogruppo; Rosario Mancuso, già consigliere Udc nel 2012 e poi capogruppo di “Catanzaro con Sergio Abramo”; Andrea Critelli, eletto con “Federazione popolare per Catanzaro”. All’elenco si è aggiunto Antonio Mirarchi (già esponente di “Catanzaro da Vivere”, aveva il figlio Alessio portaborse di Baldo Esposito, fino alla non rielezione di quest’ultimo e alla rottura col gruppo in vista delle elezioni provinciali). Così come Cono Cantelmigià candidato presidente di Regione con il M5S nel 2014, divenuto responsabile amministrativo di Filippo Mancuso – e l’ex consigliere comunale di “Catanzaro con Sergio Abramo”, Francesco Scarpino.

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    Valerio Donato, professore all’Università di Catanzaro e candidato a sindaco

    Insomma, una pletora di amministratori e politici locali che si troverebbe a disagio nel definirsi leghisti. Ma che troverebbe nel civismo la “scusa politica” per sostenere quel Valerio Donato che fino a ieri aveva la tessera del Pd ed era un notabile del circolo dem “Lauria” del centro di Catanzaro. Lo stesso Donato che, ancora oggi, pubblicamente nelle tv locali dichiara «ero e rimarrò un uomo di sinistra. Non ho modificato la mia ispirazione politica». Ecco perché, in attesa di sapere cosa deciderà Salvini, l’associazione “Alleanza per Catanzaro” del citato Longo ha già fatto pubblicamente un endorsement a Donato.

    Mancuso, leghista ma non troppo

    Il sostegno ad un esponente della sinistra cittadina (nel quale si riconoscono molti dem, tra cui il più votato in città alle scorse regionali: il sindacalista Fabio Guerriero) sarebbe un boccone troppo amaro per Matteo Salvini. Che si ritrova stretto tra il rischio flop al pari delle altre città (ma sarebbe troppo vicino rispetto alle imminenti elezioni politiche) e l’ipotesi Donato caldeggiata da Mancuso, mai più di tanto leghista.

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    Domenico Furgiuele

    Una terza ipotesi in campo è quella che si realizzò a fine 2019 a Lamezia Terme, città dell’unico deputato leghista calabrese, Domenico Furgiuele. Dopo gli attacchi dell’allora dirigente leghista Vincenzo Sofo al candidato sindaco del centrodestra Ruggero Pegna sulle sue idee sul tema dei migranti (con tanto di critiche a Salvini), il leader della Lega impose di non presentare alcuna lista. Decisione al quale Furgiuele si adeguò «non senza rammarico e travaglio interiore».

    Furgiuele, invece, sul capoluogo oggi tace. Difficile, però, che un uomo di sinistra come Donato, che fino a qualche anno fa riceveva in Università a Catanzaro il ministro Andrea Orlando (esponente dell’area più di sinistra del Pd) insieme all’allora consigliere regionale dem Carlo Guccione bramando un posto alle politiche del 2018 (che andò poi al rivale di sempre, Antonio Viscomi), possa essere in linea con il sovranismo salviniano. La palla tocca ora, come si è detto, ai tavoli romani.

  • Gioia Tauro: alla ricerca del rigassificatore perduto

    Gioia Tauro: alla ricerca del rigassificatore perduto

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    Sono passati diciassette anni da quando è cominciata la storia del rigassificatore a Gioia Tauro. Lo scenario geopolitico e geostrategico intanto è cambiato completamente: abbiamo attraversato tre crisi economiche mondiali, è venuta la pandemia. La Russia, da ultimo, dopo essersi impadronita della Crimea nel 2014, ha invaso nel 2022 l’Ucraina.
    A Gioia Tauro non è successo intanto assolutamente nulla, se non una lunghissima storia italiana di ordinaria burocrazia. Eppure, sarebbe stato strategico realizzare questo investimento per una nuova infrastruttura energetica, nell’interesse della Calabria e dell’Italia.

    Un investimento da un miliardo di euro è rimasto nel congelatore delle decisioni perdute, per realizzare un impianto adeguato a gestire 12 miliardi di metri cubi di gas rispetto agli 80 miliardi che l’Italia consuma ogni anno. Intanto, ancora oggi, l’impianto di Gioia Tauro attende la dichiarazione di strategicità da parte dello Stato. Serviranno poi quattro anni per poter costruire il rigassificatore.

    Le forniture russe e il ricatto di Putin

    Persiste ancora oggi la nostra dipendenza energetica dalle fonti fossili, in buona parte dal gas russo. Dobbiamo, però, modificare comunque l’assetto energetico per far fronte alla emergenza climatica. Dopo quasi quattro lustri di perdite di tempo, ci accorgiamo di quello che non abbiamo fatto. Da quasi dieci anni la realizzazione dell’impianto di Gioia Tauro è sospesa da un decreto del governo.

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    Vladimir Putin

    Improvvisamente, la guerra in Ucraina ci ha risvegliati dal lungo sonno energetico. Disporre di impianti per fonti alternative sarebbe oggi indispensabile, soprattutto nel Mezzogiorno. Ed invece ci siamo fatti trovare impreparati nel momento del bisogno, quando oggi servirebbe non stare sotto il ricatto di Putin. Le nuove infrastrutture per l’energia sono largamente inadeguate, in particolare nel Mezzogiorno.

    Da gas a liquido e viceversa

    Una delle strade per diversificare le fonti energetiche è quella di ricorrere al gas naturale liquefatto. In assenza di gasdotti, il gas naturale liquefatto si può trasportare su apposite navi metaniere. Questa tecnica consente di occupare un volume circa 600 volte inferiore: una metaniera può trasportarne una quantità molto maggiore. Il trasporto via nave, dunque, ha bisogno di impianti per la trasformazione del gas allo stato liquido nel punto di partenza (quindi impianti che lo raffreddano e comprimono) e di rigassificatori nel punto di arrivo.

    Il GNL si trasporta nelle navi a pressione poco superiore a quella atmosferica e a una temperatura di -162 °C. Nei rigassificatori torna allo stato originario grazie a un processo di riscaldamento controllato all’interno di un vaporizzatore, che ha un volume adeguato per permettere l’espansione del gas. Il riscaldamento avviene facendo passare il GNL all’interno di tubi immersi in acqua marina, che ha chiaramente una temperatura più alta. Una volta tornato com’era prima, il gas si può immettere nei gasdotti di un territorio, per poi distribuirlo nelle case e impiegare nelle centrali elettriche per la produzione di energia.

    Un rigassificatore al Sud ancora non c’è

    I rigassificatori italiani attualmente in uso sono tre strutture diverse tra loro. Sono tutti al Nord. Il più grande è il Terminale GNL Adriatico, ed è un impianto offshore: un’isola artificiale che si trova in mare al largo di Porto Viro, in provincia di Rovigo, e ha una capacità di produzione annuale di 8 miliardi di metri cubi di gas.

    Anche nel mar Tirreno, al largo della costa tra Livorno e Pisa, c’è un rigassificatore offshore: è una nave metaniera che è stata modificata e ancorata in modo permanente al fondale e immette gas in rete dal 2013. Ha una capacità di 3,75 miliardi di metri cubi annuali.

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    L’impianto onshore di Panigaglia

    Il terzo rigassificatore in funzione è invece una struttura onshore, cioè sulla terraferma, e si trova a Panigaglia, in provincia di La Spezia. È il primo rigassificatore mai costruito in Italia (risale agli anni Settanta), ha una capacità annuale di 3,5 miliardi di metri cubi.
    La capacità complessiva dei tre rigassificatori non sarebbe da sola sufficiente a permettere l’immissione nella rete italiana di una quantità di gas pari a quella che negli ultimi anni è stata importata dalla Russia (29 miliardi di metri cubi di gas nel 2021).

    Un’alternativa alla Russia

    Nell’ottica di diminuire la dipendenza energetica dalla Russia, però, il governo vorrebbe ora sia sfruttare di più i rigassificatori sia aumentare le importazioni tramite gasdotti dai paesi da cui oggi l’Italia già si rifornisce: ad esempio dall’Algeria, attraverso il TransMed, e dall’Azerbaigian, attraverso il Trans-Adriatico, o TAP.

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    Come il gas arriva in Italia tramite il TAP

    Il governo ha incaricato – per questa ragione – Snam ed Eni, la più grande azienda petrolifera italiana, di trovare una o due metaniere da trasformare in floating storage regasification unit (nel gergo tecnico il rigassificatore si chiama così, o con la sigla FSRU), strutture simili a quella al largo di Livorno e Pisa che possano trattare 5 o 6 miliardi di metri cubi di gas all’anno. Non si sa ancora nulla di dove saranno eventualmente collocati gli impianti.

    Gioia Tauro e Porto Empedocle: impianti nel limbo

    In questo contesto si è riparlato anche di due progetti per la costruzione di nuovi rigassificatori bloccati da anni. Uno riguarda Porto Empedocle, in provincia di Agrigento, l’altro Gioia Tauro, in provincia di Reggio Calabria. Il primo progetto era stato inizialmente presentato nel 2004, ma – dopo varie vicissitudini burocratiche – il Comune di Agrigento aveva interrotto la realizzazione del gasdotto che sarebbe stato collegato all’impianto. I rischi sull’ambiente e per i possibili danni ai siti archeologici nello scavo del condotto erano stati giudicati troppo alti. A febbraio, però, il Tribunale amministrativo regionale di Palermo ha respinto il ricorso del Comune e ora, almeno teoricamente, il gasdotto si potrebbe costruire.

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    Porto Empedocle e Gioia Tauro sono i luoghi ipotizzati per realizzare un rigassificatore al Sud

    Non è detto però che il rigassificatore di Porto Empedocle si farà, e in tempi brevi. Il comune di Agrigento può fare appello al Consiglio di giustizia amministrativa della Sicilia (CGARS) contro la decisione del Tar.
    Per quanto riguarda il progetto di Gioia Tauro, avviato nel 2005, è stato sospeso dal 2013. Il ministro delle Infrastrutture e della Mobilità sostenibili Enrico Giovannini ha ora detto che si potrebbe riprendere in considerazione. E Roberto Occhiuto da Dubai soltanto pochi giorni fa ha insistito sulla necessità che il Governo acceleri le procedure per realizzarlo. Certo, stupisce che è dovuta giungere la crisi energetica derivante dalla guerra ucraina per ripescare dagli archivi un progetto industriale stagionato.

    Zes, rigassificatore ed energia

    È l’ennesima riprova che manca completamente l’adeguata considerazione verso il futuro del Mezzogiorno. Dei tre rigassificatori operativi, nessuno è collocato ai Sud. I due progetti meridionali sono rimasti nei cassetti per tentare di recuperarli in extremis, ma comunque non entro un raggio di azione capace di dare un apporto concreto nel percorso critico di costruzione della autonomia energetica dell’Italia rispetto al gas russo.

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    Container nel porto di Gioia Tauro

    Nella stessa costruzione delle zone economiche speciali si è esclusa la possibilità di includere gli investimenti nel settore dell’energia all’interno del perimetro delle attività agevolate, anche dai punti di vista delle norme di semplificazione. Eppure, la centralità dei porti nelle Zes avrebbe dovuto indurre a comprendere il settore energetico nel programma di sviluppo economico dei territori portali.

    Vedremo quello che accadrà sul rigassificatore di Gioia Tauro. Andrebbe tenuto accesso il riflettore su questo caso, per evitare che l’improvviso risveglio di un progetto possa durare solo lo spazio di un mattino, per tornare nei sonnacchiosi cassetti della burocrazia nazionale e locale. Il futuro della Calabria e del Mezzogiorno passa anche dalle infrastrutture energetiche.

  • Teatri a Cosenza disabitati: l’arte in cerca di casa

    Teatri a Cosenza disabitati: l’arte in cerca di casa

    Gli spazi culturali e, più in particolare, i teatri pubblici dell’area urbana di Cosenza e provincia sono in massima parte disabitati. Non sono vissuti e utilizzati dagli artisti e operatori culturali del territorio, se non per sporadiche rappresentazioni o periodi molto limitati. Una stranezza che bisognerebbe correggere. Nonostante negli ultimi dieci anni ci siano stati dei tentativi di modificare questa situazione – un esempio è rappresentato dalle residenze teatrali – la gran parte di questi percorsi ha avuto durata breve, perché legati a episodici bandi regionali, agli avvicendamenti di sindaci e amministratori locali, agli umori di dirigenti della cosa pubblica.

    I teatri disabitati di Cosenza

    Come dare un’abitazione agli artisti e gli operatori culturali del territorio nei teatri pubblici disabitati? Come possono questi artisti allestire gli spettacoli? Organizzare e gestire laboratori, corsi di formazione? Organizzare e gestire rassegne e festival? Programmare stagioni? Come entrano nei teatri gli artisti e gli operatori culturali per fare ciò che si solitamente si fa nei teatri? Qualcuno potrebbe rispondere: pagando! Ma chi potrebbe permettersi di sostenere le spese di gestione di un teatro come il Rendano per dar vita ad un organismo di produzione e programmazione?

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    Il teatro Rendano vuoto

    La questione dei “teatri disabitati” che devono essere “abitati” è fondamentale, il ritornello continuo di ogni possibile discorso sui luoghi della cultura, comprendendo ovviamente la musica, la danza e le arti della performance in senso ampio. Per “artisti del teatro” chiaramente ci si riferisce a quanti, professionalmente e con continuità, si occupano di prosa, lirica, musica sinfonica, danza e arti performative.

    La grande crisi

    Ma veniamo agli spazi teatrali pubblici cosentini: l’ultracentenario Rendano, per lungo tempo unico “teatro di tradizione” in Calabria, ha avuto negli ultimi 20 anni una dotazione economica via via sempre più piccola, fino a diventare di fatto inesistente. Nonostante il conclamato stato di crisi delle casse comunali è questa una condizione che la nuova amministrazione dovrebbe affrontare con risolutezza, con un impegno forte. Dove reperire i fondi per il suo corretto funzionamento? Come intercettare i finanziamenti del Ministero della Cultura e della Regione Calabria?*

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    L’ingresso del Cinema-Teatro Tieri è da tempo rifugio per chi non ha un tetto

    Poi c’è il Teatro Italia-Tieri, edificio che nel tempo è stato utilizzato nei modi più disparati. Non c’è mai stato su questo luogo un progetto preciso per l’utilizzo. Da qualche parte ho letto che la passata giunta comunale avrebbe emanato un bando per affidare il Tieri ad una gestione esterna. Non sono a conoscenza dell’eventuale esito di questa iniziativa. Di sicuro c’è che sulle sue scale esterne hanno trovato alloggio due clochards. Almeno è casa per qualcuno.

    Area urbana e spazi culturali

    Il teatro Morelli, già sede del defunto Consorzio Teatrale Calabrese la cui dipartita per fallimento risale ormai a oltre 30 anni fa, giace anch’esso chiuso, tornato di proprietà privata. Ci sono poi altri spazi, ma forse è meglio non allargare troppo il discorso. Giusto come promemoria cito il piccolo teatro all’interno del Cubo Giallo della Città dei Ragazzi, le sale della Casa delle Culture, i BocsArt
    È accettabile questa situazione? Che senso hanno queste porte chiuse? Come restituire questo patrimonio alla vita della comunità?

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    Saracinesche abbassate al Morelli: il Comune ha disdetto il contratto per risparmiare dopo la dichiarazione di dissesto

    Non è più eludibile la progettazione di nuove forme di gestione per i teatri ed eventualmente per gli altri spazi culturali. E girando lo sguardo verso nord ci sarebbe pure da affrontare la condizione nella quale giacciono i due teatri dell’Università della Calabria. Il discorso, però, si farebbe davvero troppo complesso. Eppure sempre di area urbana Cosenza-Rende si parlerebbe.

    Una fondazione per il Rendano

    Ma restando a Cosenza e focalizzando l’attenzione sul meraviglioso Teatro Rendano, cosa si potrebbe fare? Da tempo ormai, varie voci si sono levate parlando dell’opportunità di dar vita ad una fondazione pubblico-privata per la sua gestione. È vero, potrebbe essere opportuna una configurazione giuridica autonoma dal Comune. Intendiamoci: il Rendano deve restare “pubblico”.

    Ma una Fondazione di emanazione comunale adeguatamente sostenuta dalla Regione Calabria e da soggetti privati (con percentuali tutte da studiare), potrebbe essere una strada percorribile per dar vita ad un’ente con un Consiglio d’Amministrazione snello, capace di dotarsi di una direzione artistica che possa operare con il supporto di un adeguato staff organizzativo e gestionale. Un organismo siffatto avrebbe la necessaria autonomia per procedere all’istituzione di una orchestra e/o di una compagnia di prosa stabile.

    Una scatola vuota da rilanciare

    La stabilità teatrale, quando è ben amministrata, è un modo per calcolare i costi di gestione con oculatezza e per garantire la qualità artistica media. È del tutto evidente la necessità di far camminare insieme progettazione culturale, gestione organizzativa e visione artistica. Un teatro altrimenti resta una scatola vuota, più o meno bella e ben tenuta, da aprire saltuariamente per ospitare eventi che il più delle volte non lasciano niente al territorio, episodi effimeri di mero intrattenimento che non incidono sulla trasformazione culturale.

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    Il Teatro Rendano di Cosenza

    La creazione di una Fondazione per la gestione e la nascita di un organismo artistico stabile all’interno non deve apparire come un’utopia, ma una concreta possibilità di rilancio, è un’idea di futuro. D’altra parte cos’altro si potrebbe fare? Quali le altre strade percorribili per uscire da questa condizione di eterno stallo?
    Questa sarebbe la vera rivoluzione di cui il teatro calabrese ha bisogno per diventare finalmente adulto, proprio ora, proprio adesso, quando ancora la pandemia non è finita e nel cuore dell’Europa arde una guerra, proprio adesso c’è bisogno di agorà, di centri culturali che abbiano la giusta dimensione per farsi carico della complessità del presente.

    Dai teatri a Cosenza hub creativo

    Bisognerebbe lavorare quindi per la costruzione di un’ente, inizialmente sperimentale, che possa ambire nel giro di qualche anno (3/4?) ad accedere ai finanziamenti ministeriali. Non dico di puntare a far diventare il Rendano un Teatro Nazionale**, perché servirebbero economie da far tremare i polsi, ma con un giusto investimento da parte degli enti territoriali sarebbe plausibile, nel medio periodo, puntare ad ottenere il riconoscimento come TRIC** (Teatro di Rilevante Interesse Culturale).

    L’obiettivo di lungo termine di un organismo istituzionale del genere sarebbe di perseguire un equilibrio tra la valorizzazione delle risorse culturali del luogo (sì, il genius loci è importante!) e il continuo confronto con la produzione artistica nazionale e internazionale. E accanto a questo si dovrebbe delineare un sistema integrato che sia di luoghi, ma soprattutto di progetti socio-culturali innovativi per incidere sullo sviluppo di un’area vasta: la città di Cosenza come naturale baricentro culturale di tutta la provincia. Un “hub creativo” che possa sperimentare in più direzioni nuove modalità produttive, di programmazione, di relazione, di promozione, di formazione del pubblico e degli operatori del settore.

    Istituzioni e operatori allo stesso tavolo

    Come perseguire questo obiettivo? Non ci sono ricette preconfezionate, bisogna essere pieni di dubbi e domande, consapevoli della complessità che un progetto del genere prevede. Ma l’apertura di un tavolo di lavoro, con la partecipazione degli amministratori comunali e degli operatori culturali del territorio, potrebbe essere il viatico per l’inizio di una stagione nuova.

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    Palazzo dei Bruzi, sede del Comune di Cosenza

    Attraverso un confronto certamente lungo e difficile, si potrebbero individuare i passi da compiere per dotare il nostro territorio di uno strumento che manca da troppo tempo.
    Diversamente ci si limiterà a continuare con la pratica degli eventi saltuari e si andrà avanti vivacchiando, tirando a campare, lasciando i nostri teatri e luoghi culturali pubblici vuoti e disabitati per la maggior parte del tempo.

    Ernesto Orrico


    * La nuova amministrazione ha annunciato, nelle scorse settimane, una collaborazione con il Conservatorio di Cosenza per partecipare ad un bando ministeriale che prevede la costituzione di un’orchestra.

    ** Teatro Nazionale e TRIC sono categorie ministeriali, così come i Centri di Produzione e i Circuiti Teatrali. In Calabria, allo stato attuale, nessun organismo o ente è riconosciuto, attraverso queste categorie, dal Ministero della Cultura.

     

  • Il Duca Conte Occhiuto e la Megacittadella

    Il Duca Conte Occhiuto e la Megacittadella

    A dirla tutta non incute il timore del Duca Conte Maria Rita Vittorio Balabam, né il suo ufficio in cima alla Cittadella è avvolto dal bagliore alienante in cui Fantozzi si ritrova nel finale del suo primo film. Però, a leggere bene le carte senza badare troppo alla narrazione social, Roberto Occhiuto sembra muoversi proprio come il Galattico padrone assoluto della Megaditta che il ragioniere più famoso del cinema italiano appellava «maestà» o «santità».

    È pur vero che, al netto dei calcoli su astensionisti e residenti all’estero, lo ha scelto un popolo che da 50 anni chiede invano di essere ben governato. E va anche detto che in tutte le principali emergenze che schiacciano la Calabria è la Regione l’unico ente che può metterci i soldi. Dunque è anche comprensibile, alla luce dei fallimenti del passato, che chi la guida tenda a prendersi, oltre che le grane, anche il potere. Ma nel caso di Roberto Occhiuto il tasso di accentramento ha già raggiunto in pochi mesi livelli che i suoi predecessori nemmeno si sognavano.

    Roberto Occhiuto mega presidente galattico

    Oltre ai superpoteri nella sanità in Calabria quale commissario e creatore dell’Azienda zero, è pronto un nuovo disegno che darà a Occhiuto il bastone del comando anche in materia di acqua e rifiuti. Non li gestirà lui direttamente. Ma certamente chi lo farà sarà una sua diretta emanazione, una protesi burocratica che assorbirà le competenze che ora sono di altri e rispondono ad altri.

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    La sede della Regione Calabria a Germaneto

    Il disegno di legge approvato in Giunta (potete immaginare su proposta di chi), è arrivato fresco fresco al Consiglio regionale. Si intitola “Organizzazione dei servizi pubblici locali dell’ambiente”. Passerà dall’esame di merito della quarta Commissione (Ambiente) e dovrà avere il parere della seconda (Bilancio). Dopodiché approderà nell’Aula di Palazzo Campanella. Dove, al di là di qualche emendamento che dovrà avere sempre l’ok del Megadirettore, si può star certi che scivolerà liscio verso l’approvazione.

    Rifiuti e acqua in Calabria: Occhiuto e la multiutility

    La proposta prevede la creazione dell’Autorità Rifiuti e Risorse Idriche della Calabria, con la partecipazione obbligatoria di tutti i Comuni della regione. Si tratta della «multiutility» di cui Occhiuto parla fin dalla campagna elettorale. Accorperà in un unico ente sia l’Autorità idrica della Calabria (Aic) che i cinque Ambiti territoriali ottimali (Ato) che, molto in teoria, dovrebbero gestire il ciclo dei rifiuti in Calabria. L’Aic è oggi l’ente di governo d’ambito dell’acqua. È entrata in funzione dopo enormi ritardi e, mentre progettava di affidare il servizio idrico a un’azienda speciale consortile, è incappata nella figuraccia del bando per l’ammodernamento delle reti idriche, risultandone esclusa per la mancanza di un allegato.

    Ora l’Aic verrà soppressa, proprio come gli Ato che nelle cinque province stavano tentando, a vario titolo con scarsi risultati, di dare un’accelerata a quei nuovi impianti che da anni non si riescono a realizzare per tirare fuori la gestione della spazzatura dal medioevo delle discariche. Il passaggio è ovviamente anche politico. L’idrico è stretto tra le velleità dell’Aic guidata da Marcello Manna e le difficoltà societarie della Sorical – il ddl autorizza Fincalabra ad acquisire le quote dei privatiaffidata al leghista Cataldo Calabretta. Allo stesso modo gli Ato sono bloccati dalle tante vertenze territoriali e dalle rivendicazioni dei vari sindaci.

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    Salvini e Cataldo Calabretta

    Via tutti, comando io

    La soluzione? Semplice: via tutti, in Calabria su acqua e rifiuti comanda Occhiuto. Che, se la legge verrà approvata così com’è, entro dieci giorni dall’entrata in vigore nominerà un commissario straordinario alla guida della Megauthority. Il commissario rimarrà in carica fino alla costituzione degli organi ordinari – tra poco vedremo quali sono – e comunque per non più di 6 mesi, eventualmente rinnovabili.

    La nuova Autorità subentrerà subito nei rapporti giuridici attivi e passivi che fanno capo all’Aic (prendendosene patrimonio e personale). Stessa cosa, ma con sei mesi di interregno, per tutto ciò (impianti compresi) che fa riferimento alle Comunità d’ambito degli Ato, che dopo il semestre saranno sciolte di diritto e decadranno.

    La multiutility c’est moi

    Sarà dotata, la multiutility, di un’apposita struttura tecnico-operativa. E potrà, inoltre, avvalersi di personale della Regione, degli enti subregionali e degli enti locali. Über alles, insomma. Gli organi, dicevamo, sono: direttore generale (indovinate da chi sarà nominato…), consiglio direttivo d’ambito, revisore dei conti.

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    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Il consiglio direttivo è costituito da 40 Comuni: ne fanno parte di diritto i cinque capoluoghi e gli altri rappresentanti verranno eletti, con criteri proporzionali alla popolazione, da tutti i sindaci calabresi. Il giorno delle elezioni lo stabilirà con decreto il presidente della Giunta regionale. Lo stesso Occhiuto, come detto, una volta «sentito il consiglio direttivo», nominerà anche il dg, che dura in carica 5 anni. La Regione avrà il potere di vigilanza sugli atti dell’Autorità, il Consiglio regionale eserciterà il controllo sull’attuazione della legge istitutiva e valuterà i risultati che ne scaturiranno.

    Il popolo e il Duca Conte 

    Ma attenzione: nel disegno di legge c’è spazio anche per un articolo intitolato «Tutela degli utenti e partecipazione». Che non si dica che ci si dimentica del popolo. Testuale: «In rappresentanza degli interessi degli utenti dei servizi, ai fini del controllo della qualità del servizio idrico integrato e del servizio di gestione dei rifiuti urbani, presso il Consiglio direttivo d’ambito dell’Autorità è istituito il Comitato consultivo degli utenti e dei portatori d’interesse».

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    Fantozzi nell’ufficio del mega direttore galattico

    Ok. Ma chi decide la composizione del Comitato? «È nominato con decreto del presidente della Regione ed è formato sulla base di una direttiva della giunta regionale». Le istanze dei cittadini-contribuenti sono insomma nella proverbiale botte di ferro, anche stavolta ci pensa il Duca Conte Roberto Occhiuto. Intanto, per noialtri inferiori, resta il sogno di trovare nel prossimo Burc un decreto che dispone, per l’ultimo piano della Cittadella, l’acquisto di un acquario in cui far nuotare i dipendenti e di una poltrona in pelle umana.

  • Cosenza, Rende, area urbana: basta con la solita farsa!

    Cosenza, Rende, area urbana: basta con la solita farsa!

    C’è una vicenda che riguarda l’effimera idea di città unica (sempre più impropriamente definita “area urbana”) intorno a Cosenza, che ad oggi trova coerenza solo nella realtà che sancisce una lunga teoria di edificazione senza soluzione di continuità lungo tutta la valle del Crati passando da Rende, fin, oltre Montalto. Una vicenda che rischia di assumere i contorni della barzelletta che fa il giro degli amici e ogni volta cambia versione!

    Cosenza, Rende e la presunta area urbana

    Ancora una volta parliamo della cosiddetta, (solo) presunta “area urbana”, tra Cosenza e gli altri centri conurbati, che sta assumendo il carattere solito delle cose meridionali: ciascuno dice la sua, approfittando, in questi mesi, di un effimero, temporaneo ritorno di attenzione per l’elezione del nuovo sindaco di Cosenza. Ma, diciamoci la verità, e senza ascoltare le voci dissonanti della politica locale: in questa vicenda si gioca da sempre all’improvvisazione, su tavoli nei quali non si sono mai visti uno straccio di strategia, in cui non sono mai comparsi nemmeno possibili confronti tra i piani urbanistici di questi diversi centri urbani, piani che non hanno mai dialogato tra loro e che in alcuni comuni sono fermi a 15 anni fa.

    Ospedale e agenda: ognuno per sé

    Non si è mai parlato di scelte localizzative di attrezzature di rango urbano, vedasi, ad esempio, la vicenda dell’Ospedale, una coperta corta che ognuno tira verso di sé. E che nemmeno in questo caso fa venire in mente ai governi locali e regionali che gli ospedali, come accade nei luoghi emancipati ed avanzati, si scelgono secondo una logica di coerenze molto complesse, che richiedono una serie considerevole di verifiche preliminari, piuttosto che – anche in questo caso – generiche rivendicazioni di “opportunità” in questo o quel luogo. Tantomeno si intravede uno straccio di agenda collettiva dei comuni di potenziale interesse alla fusione, con tanto di scadenze e appuntamenti per un possibile percorso comune.

    Fusione a freddo

    Non esiste, a memoria di chi si occupa di tale questione, anche solo una perimetrazione ad opera di uno dei comuni dell’area. Esistono invece seri studi nel Piano Urbanistico Territoriale Regionale, nel Piano Territoriale Provinciale, in alcune ricerche universitarie. Anche se datati, sono strumenti di pianificazione che hanno alle spalle quadri conoscitivi sufficienti anche solo a capire il numero di abitanti, i flussi automobilistici, la dimensione urbanistica-edilizia della “possibile” città della valle del Crati, ovvero una prima carta d’identità necessaria a non partire sempre da zero. Ma mai nessun sindaco, sono certo, si è preso la briga di consultare anche solo uno di questi documenti. Pertanto, la deludente sensazione è che, ammesso si proceda nel tentativo di dialogo, la fusione Cosenza-Rende e dintorni, si profilerebbe come ancora più fredda di quella avvenuta a Corigliano-Rossano.

    Cosenza, Rende e l’area urbana da ri-costruire

    Ciò che stupisce è il fatto che a nessuno dei presunti protagonisti del confronto (si fa per dire!) viene in mente che le città, i centri urbani, e i diversi elementi che le compongono, sono parte di complessi organismi dinamici. Richiedono una intelligente organizzazione di reti, servizi, infrastrutture. Necessitano di una coerenza di sistema. La sfida di una nuova città, seppure frutto di fusioni diverse, come in questo caso, è un progetto per ri-costruire, far meglio funzionare i servizi, i trasporti, gli spazi collettivi, i musei, l’offerta di intrattenimento, del commercio, dell’abitare.
    Insomma, uno sforzo significativo per far vivere meglio i cittadini soprattutto, piuttosto che seguire nella lenta crisi ed emorragia di risorse, persone, economie, sperando, fatalisticamente, che la fusione possa cambiare il trend negativo.

    Il nodo degli uffici

    Qualcuno dei nostri politici locali, per esempio, si è chiesto e ha pensato al fatto che senza decentrare le diverse funzioni degli uffici provinciali e statali (oggi tutti ancora a Cosenza centro), le automobili in entrata, già con un numero preoccupante, potrebbero ulteriormente crescere? O al contrario, a Cosenza sarebbero disposti a perdere questa centralità, forse l’ultimo scampolo di capoluogo che rimane, mentre tutto il resto si è dissolto a favore di altri centri vicini? Penso, per esempio, alla consolidata routine degli impiegati dei vari uffici pubblici cosentini, difficilmente disposti a spostarsi di sede, abituati come sono al binomio sedile auto-poltrona ufficio senza alcuno sforzo, nemmeno in tempi di smart working.

    La città dei 15 minuti

    E per dire quanto, tristemente siamo indietro rispetto al dibattito in Europa e in Italia, questa vicenda della presunta fusione è fuori da quel sano e necessario confronto e dibattito che si è aperto sulle città post-pandemia. Tagliati fuori dal flusso delle migliori, necessarie esperienze urbanistiche che dovranno cambiare, per necessità, le nostre città e i modelli di vita: altrove si parla di ripensare i centri urbani e attuare “la città dei 15 minuti”, qui al massimo si parla di consorziare i rifiuti, e già sarebbe un grande risultato!

    “La città dei 15 minuti”, è un modello, che arriva dall’esperienza di Parigi, un modello di città sostenibile, proposto dall’urbanista franco-colombiano della Sorbona, Carlos Moreno, che prevede di riorganizzare gli spazi urbani in modo che il cittadino possa trovare entro 15 minuti a piedi da casa tutto quello di cui ha bisogno: lavoro (anche in co-working), negozi, strutture sanitarie, scuole, impianti sportivi, spazi culturali, bar e ristoranti, luoghi di aggregazione e via dicendo.

    Il ritardo aumenta

    Un modello assolutamente a portata di mano in questa nostra realtà, che però non è affatto centro di interesse e confronto, laddove le agende urbanistiche comunali sono chiuse, infilate in qualche polveroso cassetto e li restano languendo inutilmente, così che il ritardo, rispetto al resto d’Italia e d’Europa, aumenta a dismisura.

    Non è troppo, dunque, chiedere serietà, maturità, umiltà, alla politica, proporre di affidarsi a chi conosce i problemi e può aiutare a risolverli. Soprattutto in situazioni quali il ripensare totalmente un diverso modello urbano, a misura d’uomo e non di automobile, in cui è in ballo un possibile, diverso futuro. Sarebbe serio smetterla con la propaganda e dire che vorremmo più serietà e credibilità. Perché il futuro dell’area urbana, di Cosenza e Rende, non si può giocare sulla pelle dei cittadini!

  • Superburocrate nomina se stessa nel silenzio della politica

    Superburocrate nomina se stessa nel silenzio della politica

    Nel Consiglio regionale delle leggi che «s’illustrano da sé» può veramente succedere qualsiasi cosa. La politica si dimostra supina rispetto all’incancrenirsi di certe sacche di potere, indifferente ad ogni moto di cambiamento, con conversione lampo anche dei sedicenti rivoluzionari. E la burocrazia fa da contraltare, anche se non mancano commistioni e connivenze.

    Un esempio emblematico è la nomina (prima ad interim, poi effettiva) della segretaria e direttrice generale del Consiglio regionale, Maria Stefania Lauria. Sulla regolarità delle procedure adottate permangono dubbi che la “manina” della politica si sia messa di mezzo.

    Guadagna più di Mattarella e Occhiuto

    È una poltrona che fa gola quella che include segreteria e direzione generale del Consiglio regionale. Due cariche di vertice per una sola persona, che fanno del destinatario della nomina uno dei più potenti nei palazzi della politica calabrese. E anche quello che guadagna più di chiunque altro. Il compenso totale arriva a toccare i 240mila euro annui. Una somma superiore a quella per il presidente della Regione Roberto Occhiuto, che, invece, si ferma a 212mila euro.

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    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Non solo, è addirittura più alta di quella del Presidente della Repubblica, a cui spetterebbero 239.182 euro lordi annuali. Sergio Mattarella, a seguito della sua riconferma, ha chiesto al Mef una riduzione di circa 60mila euro, portando l’importo lordo annuo a 179.835,84 euro come segnale per il Paese. Il presidente del Consiglio dei ministri ha un compenso relativo alla carica di 114mila euro lordi annui.
    Mario Draghi ha rinunciato
    , Giuseppe Conte si decurtò lo stipendio del 20%, arrivando a percepire 91.800 euro lordi.

    Dopo Lauria arriva… Lauria

    La nomina di Lauria come segretaria e direttrice generale ad interim è uscita dal cilindro dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale il 26 giugno del 2020. A guidarlo era Domenico Tallini, segretario questore Filippo Mancuso.
    Dalla deliberazione e gli altri atti della procedura è emersa da subito l’assenza della pubblicazione nella sezione “avvisi” del sito istituzionale del Consiglio regionale della Calabria di una apposita manifestazione di interesse per ricoprire l’incarico conferito ad interim.

    Tuttavia nell’atto deliberativo si giustifica la scelta «nell’ambito della disponibilità delle risorse interne». Il rischio è di aver violato l’articolo 19, comma 1-bis, del decreto legislativo n. 165 del 2001, che per le selezioni impone di acquisire la disponibilità dei dirigenti interessati e di valutarle.
    Inoltre, non è mai stato previsto un termine per la conclusione dell’interim; solo il conferimento del potere di predisporre gli avvisi per la selezione del successore di Lauria (che poi si rivelò essere lei stessa).

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    Alessandro Melicchio, parlamentare del Movimento 5 stelle

    L’interrogazione parlamentare del M5S

    In merito, nell’ottobre 2020 il deputato del M5S Alessandro Melicchio e l’attuale sottosegretaria alla Coesione territoriale Dalila Nesci avevano firmato una interrogazione parlamentare all’allora ministra per la Pubblica Amministrazione Fabiana Dadone. Quest’ultima ritenne di attivare l’Ispettorato per la Funzione pubblica, che inviò le richieste istruttorie per conoscenza alla Procura di Reggio Calabria.

    I magistrati reggini nel dicembre 2020, per il tramite della polizia giudiziaria, acquisirono tutti gli atti relativi alla nomina di Maria Stefania Lauria. La risposta della ministra replicò o quasi la relazione fornitale all’epoca dal presidente del Consiglio regionale Domenico Tallini, farcita di intenzioni future probabilmente atte solamente, come vedremo, a giustificare nel presente la nomina dell’interim.

    La risposta “attendista” della ministra Dadone

    Scrive Dadone: «Secondo quanto riportato nella relazione (di Tallini, ndr), detta nomina fa parte della rivisitazione della struttura burocratica consiliare, considerata dall’ufficio di presidenza obiettivo fondamentale per la realizzazione del programma politico della nuova legislatura. L’esigenza di riordinare l’organizzazione del consiglio regionale e di varare bandi aperti e partecipati sarebbe supportata, d’altra parte, anche dalla deliberazione n. 20 del 26 giugno 2020 {Modifiche al regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi del Consiglio regionale della Calabria…} con la quale è prevista la partecipazione di professionalità esterne ai bandi in oggetto.

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    Fabiana Dadone

    Per le descritte attività, stante pure la succitata situazione contingente (insediamento nuovo consiglio regionale e l’emergenza epidemiologica), viene fatto presente che «non era, al momento della nomina, astrattamente individuabile un termine finale certo, pur essendo sempre stato intendimento di questa presidenza procedere alle nuove nomine dei dirigenti generali, ai sensi delle vigenti disposizioni di legge, con decorrenza dal primo gennaio 2021».

    Interim e ritardi

    Sulla mancata attivazione delle procedure per il conferimento degli incarichi di segretario/direttore generale si afferma «come l’arco temporale di due mesi non possa, in alcun modo, essere qualificato come ritardo».
    Certo è che, invece, la Regione ha emanato gli avvisi per la selezione “effettiva” il primo febbraio 2021. Sono oltre 7 mesi dall’inizio dell’interim. La procedura si è conclusa in altri undici mesi, alla fine dello scorso dicembre. Un totale di 18 mesi.

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    L’ex presidente del consiglio regionale, Mimmo Tallini e il segretario generale di Palazzo Campanella, Stefania Lauria

    Consiglio regionale, norme violate?

    La deliberazione dell’Ufficio di Presidenza del 26 giugno 2020, n. 20 (la 21, dello stesso giorno, ha conferito l’interim alla Lauria) ha modificato il Regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi del Consiglio regionale della Calabria. Ora c’è un articolo 11bis: “Procedura conferimento incarichi dirigenziali di livello generale”. Impone per la nomina del segretario e del direttore generale di Palazzo Campanella l’emanazione di due distinti avvisi. Il primo serve a verificare prioritariamente professionalità interne, il secondo a valutare le candidature esterne. Solo laddove siano presenti esigenze di celerità si prevede la possibilità di predisporre e rendere pubblico sul sito istituzionale un unico avviso rivolto sia a dirigenti interni che a soggetti esterni.

    Gli avvisi di selezione predisposti dalla stessa segretaria generale Maria Stefania Lauria, approvati dall’Ufficio di presidenza a guida Giovanni Arruzzolo a febbraio 2021, non contemplano la possibilità a soggetti esterni al Consiglio regionale di partecipare, nonostante il regolamento cambiato “ad hoc” prima di conferire l’interim nel 2020. E nonostante la relazione alla ministra Dadone dell’allora presidente del Consiglio Domenico Tallini che esaltava proprio l’introduzione di una nuova procedura di selezione, aperta e partecipata.

    L’interim “chiacchierato” vale punteggio

    La deliberazione dell’Ufficio di Presidenza numero 17 del 29 dicembre 2021, questa volta a guida Filippo Mancuso, conferisce l’incarico triennale di segretaria e direttrice generale del Consiglio regionale a Maria Stefania Lauria.
    Nell’atto si legge che «dall’esame comparativo delle candidature ammesse (non vengono indicate quali, ndr), il profilo curriculare dell’Avv. Maria Stefania Lauria, dirigente di ruolo del Consiglio regionale della Calabria, appare quello più adatto e maggiormente coerente rispetto agli incarichi da conferire». Tra le motivazioni alla base della scelta vi è proprio l’esperienza maturata durante il periodo (un anno e mezzo) dell’interim “chiacchierato”. Quello del quale la Procura ha chiesto le carte e su cui i parlamentari grillini hanno interpellato la Funzione pubblica.

    In questo iter si sono alternati tre presidenti del Consiglio regionale: Tallini, Arruzzolo e Mancuso, due di Forza Italia e uno della Lega. Tutti hanno sempre difeso la bontà delle scelte fatte. Sarà, allora, una pura casualità che, subito dopo l’ambita nomina, la Lauria abbia nominato nella sua struttura – rispettivamente il 21 gennaio e 4 febbraio di quest’anno – proprio la sorella del deputato di Forza Italia Francesco Cannizzaro, Sabina (poi trasferita in altra struttura), ed il fedelissimo e già portaborse di Filippo Mancuso, Francesco Noto. Scherzi del destino a parte, è una situazione che cristallizza nelle determine la strana commistione tra politica e alta burocrazia.

    Priolo spina nel fianco

    È ancora pendente presso il Tribunale di Reggio Calabria (giudice Valentina Olisterno) il ricorso dell’ex segretario e direttore generale del Consiglio regionale Maurizio Priolo contro la nomina ad interim di Maria Stefania Lauria. Per Priolo è «del tutto illegittima», in quanto «si tratta di un vero e proprio affidamento diretto dell’incarico in aperta violazione di legge». L’ex capo della burocrazia sottolinea che «la durata dell’incarico di reggenza è subordinata alla redazione dell’avviso (di selezione, ndr) da parte della stessa dott.ssa Lauria, con evidente conflitto di interesse». La prossima udienza si terrà a settembre, ma il tema, alla luce della conferma triennale ricevuta, è di stretta attualità.

    Maurizio Priolo
    Maurizio Priolo

    In effetti, nella selezione che portò Priolo ai vertici della burocrazia regionale nel 2015 si affidò la valutazione delle candidature ad un nucleo di valutazione. A comporlo erano il presidente dell’Ordine degli avvocati di Reggio Calabria e due docenti universitari di diritto amministrativo. Provvedeva anche ad esprimere un giudizio sintetico sui partecipanti alla selezione stessa.

    A “giudicare” la Lauria, invece, è stata solo la politica. Prima con l’Ufficio di Presidenza a guida Domenico Tallini, che le ha affidato il “chiacchierato” interim. Poi con quello a guida Filippo Mancuso, che ha messo il placet ad una procedura aperta solo ai dirigenti interni e senza la pubblicazione delle valutazioni comparative del curriculum dei partecipanti. Si attendono sviluppi.