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  • Manna non faccia come Sandro: ora Rende sposi Cosenza

    Manna non faccia come Sandro: ora Rende sposi Cosenza

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    Una serie di articoli pubblicati da I Calabresi affronta il tema, che mi sta tanto a cuore, di uniformare la città Cosenza Rende.
    L’amico Massimo Veltri mi ha sollecitato di intervenire per contribuire a promuovere azioni politiche e amministrative dirette a rivitalizzare il centro storico di Cosenza e sostenere l’Università della Calabria, condizioni necessarie per unire Cosenza e Rende.

    Cosenza vecchia-i calabresi
    Il centro storico di Cosenza

    Da pochi giorni, grazie all’amministrazione del sindaco Marcello Manna, anch’io sono diventato cittadino di Rende, la città che ho disegnato per più di vent’anni, a partire dai primi anni 60’ fino alla metà degli anni 80’ del secolo scorso.
    Un disegno, quello originario di Rende, contenente una normativa diretta a realizzare una città parco coniugata con il capoluogo in modo omogeneo e unitario incentrata sull’interscambio gomma ferro.

    Cecchino Principe e Giacomo Mancini

    Un risultato ottenuto sul piano tecnico per merito del sindaco Francesco Principe, che dopo il disegno del piano di Rende mi autorizzò a partecipare al piano di Cosenza coordinato da Marcello Vittorini. Nasceva così l’impianto omogeneo e unitario della città Cosenza Rende facilitato nella realizzazione delle super strade e autostrade propiziate da Giacomo Mancini.

    La visione urbana di Marcello Vittorini estendeva linearmente l’impianto del primo piano di Rende e il suo autorevole parere convinse Giacomo Mancini ad accettare il sito di Rende, il luogo suggerito da me e proposto da Francesco Principe dove realizzare l’Università della Calabria.

    I due magneti e il contraccolpo

    Collocare l’Università residenziale assegnata a Cosenza nella parte terminale del territorio di Rende garantiva la continuità dell’asse attrezzato, il campo urbano tra le due strade statali 19, parallelo alla ferrovia. Ma determinava un contraccolpo negativo per il centro storico di Cosenza, indirettamente ne favoriva l’abbandono.

    Ad oggi, come è stato più volte rilevato dai precedenti interventi, la situazione nel campo urbano di Cosenza Rende è la seguente: vi sono due rilevanti magneti urbani, uno è il centro storico di Cosenza praticamente spento, l’altro è il magnete urbano ancora attivo composto dall’Università. Un disegno intelligente di pianificazione urbana dovrebbe puntare a riattivare il magnete urbano del centro storico di Cosenza e nel contempo sostenere l’attività del magnete urbano dell’Università.

    Manna deve fare l’opposto di Sandro Principe

    Ora che sono cittadino di Rende posso dare dei suggerimenti al sindaco Marcello Manna affinché promuova il restauro del centro storico di Cosenza, ponga rimedio alla decrescita di Cosenza, rilanci il disegno omogeneo e unitario della città Cosenza Rende, restituisca parte dei vantaggi derivati a Rende dalla presenza dell’Università, assegnata a Cosenza.

    Principe e Manna nel loro più celebre duello televisivo

    Riattivare il centro storico di Cosenza è essenziale per Rende e per sostenere l’attività dell’Università. È essenziale potenziare l’Accademia Cosentina, le Biblioteche, il Duomo e tutte le altre attività culturali presenti nel centro storico di Cosenza come prima azione di rigenerazione urbana di interesse nazionale.

    Per riattivare il centro storico di Cosenza occorre connetterlo con l’Università in modo da rendere accessibili i due magneti urbani più significativi della Calabria. Significa in breve adottare un comportamento urbano opposto di quello praticato dal sindaco Sandro Principe quando mirava a fare di Rende un’isola, una città universitaria “con un numero di abitanti uguale al numero degli studenti”.

    Cosenza Rende, la capitale culturale della Calabria

    Se Rende cambia strategia e si coniuga con Cosenza e Cosenza, a sua volta, promuove seriamente il restauro del centro storico e realizza il riuso della ferrovia da Cosenza Casali alla stazione di Quattromiglia, basterà attrezzare con navette l’accesso alle dette stazioni dai due magneti urbani per connettere centro storico e università con il trasporto pubblico.

    L’interno della Biblioteca civica di Cosenza

    Se il disegno omogeneo e unitario tra Cosenza e Rende si ripropone, si riattiva il magnete urbano del centro storico, si potrà garantire il riassetto dell’asse attrezzato, il sostegno del magnete urbano dell’Università, e si potrà ambire, grazie anche alla posizione geograficamente baricentrica della città Cosenza Rende all’interno del territorio regionale, a conquistare il ruolo di capitale culturale della Calabria.

    Empio Malara

  • Calabria film commission: se Grande divide, Vigna resta la vera anomalia

    Calabria film commission: se Grande divide, Vigna resta la vera anomalia

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    La regola dell’amico non sbaglia mai, dicevano gli 883 negli anni ’90. Invece, il ginepraio di polemiche sorte al seguito della nomina del “vecchio amico” di Roberto Occhiuto, il lametino Antonio Grande (detto Anton Giulio per l’haute couture) è arrivata a far porre dei dubbi persino al solitamente dormiente gruppo Pd in Consiglio regionale guidato da Nicola Irto. «Un atto incomprensibile», hanno stigmatizzato pubblicamente, senza annunciare (confidiamo nell’effetto sorpresa) alcun atto politico-istituzionale-ispettivo consequenziale.

    Furgiuele plaude e si smarca

    Il concittadino del neo commissario di Calabria Film Commission, il deputato della Lega Domenico Furgiuele, ha plaudito pubblicamente alla nomina. «Da tempo – il suo commento – l’amico Anton Giulio mostra interesse e sensibilità verso i temi della ripresa culturale e della promozione dell’immagine della Calabria». Poi ha smentito di essere il “suggeritore” della nomina, come pensato nell’immediato dai più. «La nomina l’ha fatta Occhiuto. Io l’ho condivisa in pieno», ha dichiarato a ICalabresi.

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    Domenico Furgiuele

    Tre imprese, tutte chiuse

    Invece, Antonio Grande, avvistato nell’estate 2021 agli eventi di presentazione della candidatura di Roberto Occhiuto, pare quasi sia stato ripescato a seguito della cessione formale delle sue attività aziendali.
    Difatti, da quanto risulta dalla relativa Camera di Commercio e dalle Conservatorie, la società in nome collettivo “Antongiulio Grande di Giovannino Antonio Macrì & Antonio Grande”, è cessata nel 2008. «Il 18 febbraio 2008 il conservatore ha trasmesso al Giudice del registro imprese di Catanzaro la proposta di cancellazione d’ufficio dell’impresa», si legge nella visura camerale.

    Nel contempo, la Anton Giulio Grande s.r.l. con sede a Roma, nata nel febbraio 1996, è finita in liquidazione (con Antonio Grande liquidatore) e poi definitivamente cancellata il 19 luglio del 2012.
    È rimasta in piedi l’impresa artigiana “Antonio Grande”, nata subito dopo la chiusura della s.r.l. romana, nel novembre 2012. Una impresa iscritta con la qualifica di “Piccolo imprenditore” e annotata come impresa artigiana.
    Una azienda di sartoria con un solo addetto (formalmente non dipendente), la cui attività è cessata il 31 dicembre 2020, con cancellazione dal registro delle imprese nel febbraio 2021.

    Silenzi e divagazioni

    Da allora non risulta nient’altro, né Antonio Grande risulta avere altre partecipazioni societarie. Eppure nel gennaio 2022 ha presentato alla Fashion Week di Torino la sua nuova collezione di Alta Moda con 30 abiti, per poi portarla anche al Digital fashion show in Sicilia. «Noto stilista con atelier a Roma e Firenze, amato dalle signore dell’aristocrazia internazionale e dal luccicante mondo dello showbiz», lo definisce l’intro dell’intervista da lui resa a AobMagazine. Mentre lui stesso dichiara nel marzo 2022 a VelvetMag «L’alta moda dovrebbe essere concepita e recepita come un’opera d’arte, sfiorare l’ideale e quindi approdare ad un concetto di eternità». A differenza delle sue aziende che, però, risultano, come si è detto, chiuse, nonostante le presentazioni dei nuovi abiti offerte alla stampa.

    Interpellato direttamente sulla questione, Antonio Grande non ha ritenuto di rispondere alla domanda. Lo stesso deputato Domenico Furgiuele, alla domanda da noi posta se fosse opportuno nominare con un incarico di gestione apicale come risultano essere i compiti del commissario di Calabria Film Commission, una personalità che ha chiuso le sue aziende non ha risposto. Ha solo ripetuto che «La nuova Film commission si occuperà di cinema e non solo, ma di cultura e di arte. Grande è un uomo di arte e di cultura».

    Ma la Lega si smarca

    Lo pseudo sillogismo di Furgiuele – seguendo la stessa logica, perché non affidare la Film Commission a un ballerino o un pittore, visto che sempre di uomini di arte e cultura si tratta? – pare cozzare con la linea ufficiale dei suoi compagni di partito. Nel pomeriggio, infatti, Francesco Saccomanno, commissario regionale del Carroccio, si è affrettato a inviare una nota in cui precisa che eventuali suggerimenti su incarichi a nome del partito spettano solo e soltanto a lui. Che però «non ha mai avanzato nominativi non essendo neanche a conoscenza di tale possibile incarico». Un documento stringatissimo in cui balza all’occhio l’assenza di qualsivoglia apprezzamento per la scelta di Occhiuto.

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    Anton Giulio Grande al Festival di Venezia

    L’incognita compensi

    Il decreto con cui Occhiuto ha nominato Grande come commissario specifica che «il presente provvedimento non comporta oneri a carico del bilancio annuale e/o pluriennale regionale».
    Lo Statuto della Fondazione, invece, dispone che «Al presidente spetta un compenso equiparato a quello dei Dirigenti generali della Regione Calabria», ossia circa 135mila euro annui. Nel nuovo Statuto (contenuto nel burc dello scorso 1 febbraio) la somma scende a 40mila euro annui, ma non è ancora in vigore.

    Non risulta, però, che il ruolo di commissario sia legislativamente equiparato a quello di Presidente (soprattutto per quanto riguarda i compensi). Difatti, l’ex presidente Giuseppe Citrigno, dopo un triennio a titolo gratuito, nel 2019 ha avuto un compenso lordo di 44.379,11 annui. Giovanni Minoli, nella sua qualità, invece, di commissario straordinario nel 2020 e nel 2021 non ha percepito nessuna retribuzione. Difficile, quindi, arrivare a fare una “forzatura interpretativa” che non trova alcun riscontro né nell’atto di incarico, né nello Statuto della Fondazione, al fine di erogare compensi non specificamente previsti.

    Il presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto

    Doppio incarico per Vigna

    Non c’è solo la questione del Commissario, ma anche quella del direttore di Calabria Film Commission. A ricoprire l’incarico è Luciano Vigna, ex assessore comunale a Cosenza, ex responsabile amministrativo (per un mese) della presidente Jole Santelli e poi suo capo di Gabinetto fino all’1 giugno 2021.
    Proprio in quella stessa data Luciano Vigna viene individuato come Direttore della Fondazione e subito nominato con decreto del Presidente della Regione (Nino Spirlì) numero 43 del 1 giugno 2021, con un compenso annuo (previsto dall’articolo 12 dello Statuto della Fondazione) pari a quello stabilito per i Dirigenti Generali dei dipartimenti della Giunta Regionale, decurtato del 20%. In soldoni sono 129.971,21 euro lordi ogni dodici mesi.

    Vigna, però, è stato nominato con Decreto n. 217 del 24 novembre 2021 a firma di Roberto Occhiuto, nuovamente Capo di Gabinetto del presidente.
    Seppur a titolo gratuito, tale incarico comporta una rilevante gestione del potere, come cristallizzato dall’articolo 9 della legge regionale 8 del 1996. Difatti, si legge che: “L’Ufficio di Gabinetto cura la trattazione degli affari connessi con le funzioni del Presidente, secondo le direttive dallo stesso impartite, ed è d’ausilio nei rapporti con gli altri organi regionali, con gli organi statali, centrali e periferici, nonché con le formazioni sociali e le comunità locali».

    L’ex presidente facente fuzioni della Regione Calabria, Nino Spirlì

    Controllore e controllato: si dimette?

    C’è da dire, però, che qualcosa deve essere sfuggito, perché nell’atto di nomina come Capo di Gabinetto, risulta che Vigna abbia dichiarato di non trovarsi in alcuna delle condizioni di incompatibilità previste dalla legge regionale 7 del 1996, né in cause di conflitto di interessi.
    Eppure nella legge regionale 16 del 2005, che modifica la citata normativa del 1996 si legge che nell’ufficio di Gabinetto non può essere utilizzato chi «sia componente di organi statutari di enti, aziende o società regionali o a rilevante partecipazione regionale».

    L’articolo 3 dello Statuto della Calabria Film Commission, invece, cristallizza che: «la Fondazione esercita la propria attività prevalente in favore del Socio fondatore Regione Calabria, nel senso che almeno l’80% delle proprie attività sono effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dal predetto Socio fondatore Regione Calabria». Inoltre, secondo l’articolo 16 «le cariche di Presidente e di Direttore sono incompatibili con attività, incarichi e interessi che siano in conflitto con i compiti istituzionali della Fondazione, fatte salve le altre cause di incompatibilità/inconferibilità previste dalla legislazione vigente».

    Siccome, secondo l’articolo 18 dello Statuto della Fondazione, la Regione Calabria esercita attività di vigilanza (e che la Giunta regionale sovrintende all’ordinamento ed alla gestione della Fondazione), risulta chiaro che con Vigna in entrambi i ruoli, il controllore ed il controllato corrispondono. Si dimetterà?

  • Regione, la multiutility può attendere: la maggioranza non ha i numeri

    Regione, la multiutility può attendere: la maggioranza non ha i numeri

    Tutto slitta a dopo Pasqua. Se ne parlerà nella seduta del 19 aprile. La discussione del consiglio regionale sulla multiutility che dovrebbe governare in futuro il ciclo di acqua e rifiuti, sostituendosi di fatto agli Ato provinciali e all’Autorità idrica della Calabria, si era di fatto chiusa. Mancava solo il voto.

    Tutto sembrava andare liscio verso l’approvazione, quando il consigliere del Pd Ernesto Alecci ha sollevato un problema procedurale: per leggi di questo genere, istitutive di un nuovo ente, probabilmente ci vuole una maggioranza qualificata, ovvero il voto favorevole di 21 consiglieri. Panico. Seduta in stand by e poi colpo di scena: il presidente Filippo Mancuso comunica la decisione, di concerto con la Giunta, di rinviare la trattazione del provvedimento alla prossima seduta.

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    Filippo Mancuso (Lega) è il presidente del Consiglio regionale della Calabria

    La seduta lampo in Commissione Bilancio

    È uno stop a sorpresa, di natura diversa da quello paventato nei giorni scorsi – ne avevamo scritto qui – fino a quando il punto, dopo una seduta della Commissione Bilancio in zona Cesarini durata solo 8 minuti, era stato inserito all’odg. Ora la questione riguarda lo stesso iter da seguire in Aula. E di certo non ne sarà contento Roberto Occhiuto che, fino all’ultimo, ha manifestato esplicitamente la volontà di non voler perdere altro tempo.

    Tre ore di dibattito e poi lo stop

    Invece dovrà ancora aspettare per assistere alla creazione della multiutility che, nei suoi propositi, dovrà governare il ciclo di acqua e rifiuti in un unico ambito territoriale regionale. La legge costitutiva dell’Authority è, al pari dell’Azienda zero per la sanità, un provvedimento che Roberto Occhiuto ha posto come pietra miliare sul suo cammino da presidente della Regione. La coalizione di centrodestra, rinfrancata da una pizza serale alla Cittadella, non aveva tradito in Aula nessuna sbavatura difendendo l’Authority dai rilievi dell’opposizione. Ma dopo una discussione di circa tre ore e una lunga sospensione si è deciso di rinviare la votazione.

    Cosa cambierebbe con la multiutility di Occhiuto

    L’Autorità Rifiuti e Risorse Idriche della Calabria, ente di governance a cui dovrebbero partecipare obbligatoriamente tutti i 404 Comuni calabresi, a dispetto delle attese non è nata oggi. La legge portata in Consiglio prevede che entro dieci giorni dall’entrata in vigore Occhiuto nomini un commissario straordinario. Quest’ultimo rimarrà in carica fino alla costituzione degli organi ordinari (il direttore generale, il consiglio direttivo d’ambito, il revisore dei conti).

    La nuova Autorità subentrerà subito nei rapporti giuridici attivi e passivi che fanno capo all’Aic (prendendosene patrimonio e personale). Stessa cosa, ma con sei mesi di interregno, per tutto ciò (impianti compresi) che fa riferimento alle Comunità d’ambito degli Ato, che dopo il semestre saranno sciolti di diritto e decadranno.

    Tutti gli uomini del presidente

    La multiutility sarà dotata di un’apposita struttura tecnico-operativa. E potrà, inoltre, avvalersi di personale della Regione, degli enti subregionali e degli enti locali. A costituire il consiglio direttivo sono 40 Comuni: ne fanno parte di diritto i cinque capoluoghi, gli altri rappresentanti li eleggeranno, con criteri proporzionali alla popolazione, tutti i sindaci calabresi. Il dg, che dura in carica 5 anni, sarà sempre il presidente della Regione a nominarlo. E nominerà anche «il Comitato consultivo degli utenti e dei portatori d’interesse» formandolo sulla base di una direttiva della giunta regionale.

    Il nodo della Sorical

    Resta il problema dell’acquisizione delle quote private di Sorical. Il settore Assistenza giuridica del consiglio regionale ha evidenziato perplessità sui costi di funzionamento dell’Autorità. Si prevede siano a carico di quota parte delle tariffe dei servizi senza però che qualcuno li abbia quantificati. Ma non mancano anche alcuni dubbi sul passaggio della legge che, in poche righe, autorizza Fincalabra ad acquisire le azioni di Sorical attualmente in mano ai privati.

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    L’acquedotto Abatemarco (dal sito Sorical)

    L’articolo in questione «non fa riferimento alcuno alla disciplina dei rapporti» tra la società in house della Regione e il soggetto misto che gestisce le risorse idriche calabresi. Sorical è in liquidazione. Ma nella relazione descrittiva che accompagna la legge non c’è traccia di informazioni sulle sue condizioni finanziarie «né appare chiaro – hanno rilevato gli uffici di Palazzo Campanella – se allo stato attuale ci siano i presupposti per il superamento della fase liquidatoria». Sull’idrico c’è una trattativa ancora tutta da chiudere. Occhiuto sta cercando di convincere a cedere le azioni i referenti di un fondo governativo tedesco a cui la Depfa Bank ha ceduto i crediti (85 milioni di euro) che vantava verso Sorical.

    Occhiuto vuole oneri e onori

    Lo stesso Occhiuto in Aula non ha fatto riferimento al caso Sorical. Ha risposto, però, all’opposizione rivendicando per sé la nomina del dg dell’Authority – nel modello emiliano, mutuato per questa legge, la rappresentanza legale spetta invece al presidente, che viene nominato dai sindaci – e dicendo in sostanza che «se il governo regionale assume degli impegni vuole scegliere chi questi impegni li deve realizzare». Il concetto è chiaro: Occhiuto sta mettendo la faccia per intervenire su problemi atavici e, dunque, con le grane si prende anche il potere.

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    Roberto Occhiuto

    «Non è una riforma contro sindaci e autonomie locali – ha assicurato – ma proprio loro hanno lamentato per anni di essere stati lasciati soli in questi due ambiti su cui oggi il governo regionale ha il coraggio di intervenire». Dunque massimo rispetto «per la concertazione», anche se l’Anci è stata convocata due giorni prima del Consiglio. Ma su certe cose, specie con il Pnrr alle porte e la Calabria che su acqua e rifiuti «non ha avuto ancora un centesimo», non si può tentennare. Il 19 maggio scade il bando che potrebbe far recuperare i 104 milioni persi a causa dell’errore fatale all’Aic sul bando React Eu. Ma il Duca Conte per ora deve inchinarsi alle procedure e aspettare almeno un’altra settimana.

  • L’Unical, Rende e la decrescita infelice di Cosenza

    L’Unical, Rende e la decrescita infelice di Cosenza

    La cittadinanza onoraria di Rende all’architetto Empio Malara ha fatto andare su tutte le furie Sandro Principe. Dal canto suo l’urbanista che ha dato il volto alla città d’oltre Campagnano dell’era Cecchino Principe, ha risposto per le rime. La polemica ha avuto almeno il merito di riportare all’attenzione il dibattito sulla città unica tra Cosenza e Rende e gli altri, Unical compresa.

    Cosenza ormai caduta in basso da molti anni: perde abitanti ed è meno vivibile. Una decrescita infelice a tutto vantaggio di Rende. Lo stato delle cose della città di Telesio è raccontato in un video dall’architetto Pino Scaglione, che insegna Progettazione urbana all’Università di Trento. Un quadro senza sconti: Cosenza sempre più in basso, l’Unical che di fatto si disinteressa della questione dell’area urbana e Rende che gongola. Ma fino a quando?

     

     

     

  • Palazzo dei Bruzi, fantasmi in Giunta: record di atti annullati

    Palazzo dei Bruzi, fantasmi in Giunta: record di atti annullati

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    Nove delibere di Giunta nello stesso giorno tutte annullate, con ogni probabilità, a Cosenza non si erano mai viste finora. Ma per tutto c’è una prima volta e a intestarsi il record sono Franz Caruso e i suoi assessori. Sono loro i protagonisti di una seduta (e dei relativi atti) che, forse perché si è svolta l’1 aprile, sembra quasi uno scherzo. Se finora i cittadini conoscevano concetti come il silenzio-assenso adesso dovranno confrontarsi con uno ben più all’avanguardia: i presenti-assenti.

    La Giunta del primo aprile a Cosenza

    Ma torniamo alla Giunta dell’1 aprile, perché quel giorno a Palazzo dei Bruzi c’era parecchio di cui parlare. Tant’è che di sedute se ne sono tenute due, una la mattina e l’altra il pomeriggio. Gli argomenti all’ordine del giorno erano, appunto, nove:

    • il programma della Fiera di San Giuseppe 2022
    • il regolamento sugli oneri di urbanizzazione
    • la firma di un protocollo green
    • gli scuolabus
    • gli interventi contro il rischio frana a via Petrarca
    • la gestione del canile
    • la donazione di una statua in ricordo delle vittime dei bombardamenti del ’43
    • l’attivazione del tempo pieno in un grosso istituto scolastico cittadino
    • la necessità di un prelievo inatteso di circa 350.000 euro dalle (magre) riserve comunali.

    Presenti e assenti

    In sala c’è anche il neo segretario generale Virginia Milano, oltre a buona parte degli assessori. Nell’elenco dei partecipanti in ognuna delle nove delibere che produrrà la seduta si legge che a mancare sono solo Maria Teresa De Marco e Francesco Giordano. Gli altri otto – Franz Caruso incluso – stando alla lista rispondono tutti «presente» all’appello, anche se un paio collegandosi via internet da altrove. I due in videoconferenza sono Massimo Battaglia e il vice sindaco Maria Pia Funaro. O, meglio, sarebbero. Dieci giorni dopo dall’albo pretorio si apprende che in realtà Battaglia era assente. E che in sala – tantomeno in collegamento – non c’era neanche Veronica Buffone.

    I presunti presenti

    Gli assessori scomparsi

    Tutto sbagliato, tutto da rifare quindi. La Buffone in sala potrebbe essere stata un ologramma capace di ingannare i colleghi. O, più semplicemente, la X nella sua casella è finita per sbaglio su “presente”, può capitare. Battaglia potrebbe aver finto di partecipare da principio, per poi spegnere webcam e microfono e dedicarsi ad altro, salvo venire scoperto o confessare a distanza di giorni. Se una X al posto sbagliato, poi, può capitare, perché non due? Nel secondo caso, però, si accompagna alla scritta «Si precisa che il Vice Sindaco Maria Pia Funaro e l’Assessore Massimiliano Battaglia partecipano alla seduta in video-conferenza, ai sensi dell’art. […]» e l’ipotesi della crocetta fuori posto perde un po’ di credibilità.

    Giunta, Consiglio e regole anticovid a Cosenza

    L’assessore allora, forse, potrebbe essere assente per un’altra ragione: con la fine dello stato d’emergenza il 31 marzo dovrebbe venir meno la possibilità di partecipare alle Giunte da remoto. Per il Consiglio comunale e le commissioni consiliari è così, lo aveva comunicato il presidente dell’aula Catera, Giuseppe Mazzuca, ai colleghi il 29 marzo. Permettere la Giunta (una dozzina di partecipanti, burocrati inclusi) a distanza e obbligare al Consiglio (una quarantina abbondante di politici a cui aggiungere uscieri, funzionari, municipale, giornalisti, eventuale pubblico) in presenza nello stesso comune dà l’idea del controsenso. L’assenza di Battaglia “perché in collegamento dopo il 31 marzo” parrebbe più plausibile, quindi.

    Non c’è due senza tre?

    Fatto sta che una raffica di annullamenti si abbatte sulle delibere del primo aprile. Tutti riportano come motivazione l’utilizzo di una «dicitura errata». Per rimarcare il concetto, nel caso non si capisca, gli uffici ci inseriscono pure qualche refuso extra: «assessori M. Battaglia e V. Buffone solo (sic) assenti», «in quanro asessori (sic) M. Battaglia e V. Buffone solo assenti». Fino al capolavoro: «annullato per dicitura errata assesssori (sic) M.Battaglia e», con Buffone scomparsa di nuovo. E pazienza se gli assenti erano di più e uno di loro era dato per presente.

    Se fosse davvero stata la partecipazione a distanza a non valere per Battaglia, infatti, allora sarebbe stata assente (almeno in teoria) anche Funaro, collegata da remoto come il collega secondo i documenti. Fosse così, andrebbero annullati pure gli annullamenti. E annullare l’annullamento di un atto non farebbe tornare valido l’atto stesso? A quel punto toccherebbe anche annullare le nove delibere approvate oggi per sostituire le vecchie? Sembra roba da Le 12 fatiche di Asterix. Ma ci scapperebbe l’ingresso nel Guinness dei primati.

    La realtà è un’altra ancora. Innanzitutto, alle sedute non ha mai partecipato nessuno in video-conferenza, né la mattina né il pomeriggio. Durante la prima, in cui si è parlato di tutto tranne della Fiera, c’erano tutti fisicamente, tranne De Marco e Giordano. Alla seduta del pomeriggio, invece, mancavano in quattro: gli assenti di qualche ora prima, più Battaglia e Buffone. E Funaro era presente sul posto entrambe le volte, anche se nelle motivazioni degli annullamenti nessuno ha ritenuto di citare l’errore che la faceva figurare in videoconferenza. Questa l’ultima versione ufficiale sull’albo pretorio, stando alle delibere ripubblicate. A meno che non annullino anche quelle, s’intende.

  • Irtolandia: il nuovo Pd puzza già di vecchio, inciuci e sardine

    Irtolandia: il nuovo Pd puzza già di vecchio, inciuci e sardine

    Un anno fa Nicola Irto era il candidato in pectore del centrosinistra alla presidenza della Regione Calabria. Sul suo nome, però, arrivò il veto del Movimento 5 Stelle. E il Nazareno, in virtù della ricerca spasmodica – più nazionale che locale – di una alleanza organica con i grillini, lo sacrificò. A nulla valse il supporto offertogli da Dalila Nesci, pronta a candidarsi a primarie di coalizione (suscitando le ire dei suoi colleghi).

    Irto si ritirò con tanto di nota polemica offerta alla stampa. «La volontà di militanti ed elettori è svilita», dichiarò. Per poi annunciare di non voler «starsene zitto e buono» e denunciare i «piccoli feudi» del Pd. Poco dopo ne divenne il segretario regionale al motto di “Rigenerare il Pd”. Ma il partito pare essere solo all’ennesima situazione di stallo dove regna il tutti contro tutti.

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    Francesco Boccia, responsabile enti locali del Pd

    Irtolandia, in attesa delle politiche

    Oggi, il Pd è “Irtolandia”, un mondo dove lo scenario politico interno che viene raccontato è quasi idilliaco. L’unanimismo (spesso forzato) nelle decisioni interne e nell’elargizione di pennacchi partitici riempie le rassegne stampa quotidiane con roboanti annunci di assunzioni di responsabilità.
    Il tutto è chiaramente funzionale alle imminenti elezioni politiche che vedranno lo stesso capogruppo regionale del Pd candidato capolista (probabilmente al Senato). Irto, attualmente impegnato in un tour sui territori di presentazione del suo libro, è già proiettato verso uno scenario extracalabrese. E pazienza se ad accompagnarlo sono i mugugni di alcuni suoi colleghi eletti a Palazzo Campanella.

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    L’ex ministro Peppe Provenzano e Jasmine Cristallo

    I possibili intoppi rappresentati dal vedersi catapultati rivali interni nazionali pare averli scongiurati. Francesco Boccia è commissario regionale del Pd in Puglia e Stefano Graziano candidato segretario regionale del Pd campano. Con tali cariche avranno certamente diritto di opzione nei listini bloccati delle rispettive regioni. Ma per Irto sarà comunque complicato tenere le redini del partito con una lotta tra possibili “quote rosa” imposte da Roma e dirigenti locali, dato il risicato numero di posti per il Parlamento.

    Dema e Cristallo

    Il Nazareno, soprattutto per via dell’ex ministro Peppe Provenzano, tenta in tutti i modi di trovare spazio alla “sardina” di Catanzaro, Jasmine Cristallo. Il suo omologo bolognese, Mattia Santori, è consigliere comunale e si occupa di oche e frisbee. Lei è prima finita (con sorpresa dei più) nell’ormai noto sondaggio commissionato da Roma sui papabili candidati sindaci di Catanzaro espressi dal Pd. Poi avrebbe “suggerito” (tramite Boccia) al candidato sindaco Nicola Fiorita di offrirle un qualche ruolo nella campagna elettorale. Da qui al listino, però, ce ne passa. Certo è che se Fiorita dovesse diventare sindaco potrebbe essere suo grande sponsor. Sarà questo uno dei motivi del “boicottaggio” dei dem al “loro” candidato sindaco? Si vedrà.

    Altra questione è Luigi de Magistris, radicato praticamente “solo” in Campania ed in Calabria. Il centrosinistra a trazione Pd potrà concordare qualche patto di non belligeranza, inglobando qualche candidato dell’ex pm (la cosentina Anna Falcone?) in virtù del decantato campo largo? Sulla carta un accordo simile è già in atto nel capoluogo di regione, dove Dema e il Pd andranno a braccetto. Difficile, però, che l’uscente-effervescente Enza Bruno Bossio non usi (politicamente) il bazooka per farsi spazio, unitamente alle altre donne interne al Partito con l’ambizione di un giro di giostra in Parlamento.

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    Stefano Graziano, ex commissario del Pd in Calabria

    Ciao ciao Graziano

    Unica nota accolta con sollievo unanime all’interno del Pd è il bye bye a Stefano Graziano. Dell’ormai ex commissario regionale del Pd per ben tre anni, con in mezzo due elezioni regionali stra-perse, non rimarrà certo un buon ricordo tra i militanti, eccezion fatta per le portaborse di Amalia Bruni, da lui stesso indicate. Oltre alle elezioni calabresi, Graziano perse pure la sua in Campania nell’autunno del 2020. E dire che a sostenerlo c’erano vari big locali del suo partito: il sindaco di Caserta e presidente dell’Anci Campania, Carlo Marino; il vicesindaco Franco De Michele, presidente dell’Ente Idrico; il consigliere comunale e membro del C.d.a. del Consorzio Asi, Gianni Comunale.

    Graziano, però, è stato subito “recuperato” da Vincenzo De Luca quale suo consulente. Farà l’“Esperto del Presidente in materia di Analisi e programmazione economica degli interventi inerenti alle Reti ed Infrastrutture di interesse strategico regionale”. Oggi, proprio lo stesso De Luca lo sta fortemente sponsorizzando come segretario regionale a seguito delle dimissioni di Leo Annunziata. Andasse in porto, si archivierebbe nei fatti la sua candidatura in Calabria come “risarcimento” per il lavoro svolto nel triennio da commissario regionale.

    I feudi ci sono ancora: il caso Vibo

    Nonostante la mediatica narrazione del Pd come “IrtoLandia” e i congressi celebrati con la curatela del Nazareno che ha imposto l’unanimità nell’assunzione delle varie cariche, sui territori continuano ad esserci quei feudi che Irto aveva denunciato giusto un anno fa. E la situazione non si accinge certo a migliorare.

    Emblematico è il caso del Pd di Vibo Valentia, rimasto orfano del capogruppo in consiglio comunale, Stefano Luciano. «Sono grato a Nicola Irto per avermi scelto in direzione regionale del Pd, ma quanto verificatosi recentemente nel partito cittadino e provinciale non mi ha lasciato sereno, perché ogni spinta verso un radicale cambiamento è stata impedita in ogni modo e con ogni forza», ha dichiarato Luciano prima di abbracciare Azione di Carlo Calenda qualche giorno fa.

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    Giovanni Di Bartolo, segretario provinciale del Pd a Vibo Valentia

    Rigenerazione sì, ma dei parenti

    Già, perché in città è prevalsa la linea di Francesco Colelli e Fernando Marasco (provenienti da Sinistra, ecologia e libertà) e Carmelo Apa, proveniente da Rifondazione Comunista.
    Non certo una “Rigenerazione”, per dirla con Irto, ma il riproporsi delle stesse facce o dei loro parenti. È il caso del consigliere comunale del Pd Stefano Soriano, figlio di Michele, già candidato a sindaco in quota dem nel 2010. Ma anche del consigliere provinciale Marco Miceli che, seppur iscritto al gruppo “Vibo Democratica” (strizzando l’occhio al M5S), ha come padre un dirigente cittadino di lungo corso del Pd (ha guidato la commissione di garanzia dell’ultimo congresso).

    A livello provinciale il “pennacchio” di segretario è andato, invece, a Giovanni Di Bartolo, studente universitario, classe ’96, già “social media manager” dell’ex deputato Brunello Censore. La presidenza del Partito, invece, è toccata all’ex consigliere regionale Michele Mirabello, anche lui ex pupillo di Censore e già segretario provinciale del Partito nel 2013. Per l’uscente segretario provinciale Enzo Insardà, infine, è arrivato il posto di tesoriere regionale del Partito.

    L’ambiguo rapporto con Solano

    A “rigenerarsi” con questo nuovo Pd è certamente il presidente della Provincia di Vibo Valentia, Salvatore Solano, imputato per corruzione, concorso nel minacciare gli elettori e turbata libertà degli incanti con l’aggravante mafiosa nell’ambito del processo della Dda di Catanzaro “Petrolmafie”.
    Già, perché la consigliera provinciale del Pd Maria Teresa Centro ha accettato di buon grado la delega offertale da Solano (che, ricordiamo, è stato eletto con Forza Italia), unitamente al citato Miceli, supportata dal collega di gruppo comunale Giuseppe Policaro, anch’esso grande supporter di Solano. Insomma, qui il nuovo Pd inciucia quanto e come il vecchio.

    A Catanzaro ritorno al passato

    Una versione amarcord del Pd arriva pure dal Catanzarese. Sui tre colli hanno “incoronato” segretario l’ex consigliere comunale Fabio Celia, che è stato il primo coordinatore del Pd cittadino nel 2010. Dodici anni fa scriveva: «Basta con chi ha generato la morte della politica di centrosinistra in città; basta con chi ha costruito lobby di potere per gestire la politica dell’interesse e dell’affermazione di sé e dei propri amici». Un ottimo intento, che pare cozzare, però, con l’aver piazzato suo cognato Giuseppe Correale prima come portaborse di Francesco Pitaro e ora di Ernesto Alecci.

    Come primo atto, Celia ha nominato un direttivo dal quale nell’immediato si è dimesso più d’uno in dissenso con la linea del Partito. Non proprio un buon inizio. La nomina di Celia è arrivata dopo il passo indietro di Salvatore Passafaro, figlio di ex consigliere comunale, già coordinatore cittadino del Pd  – e futuro capolista, qualora i dem abbiano la forza di stilare una lista alle prossime amministrative nonché protagonista delle primarie farsa (con tesseramento fasullo) del 2019.

    Come segretario provinciale, archiviata la tragicomica era Cuda, è stato collocato Domenico Giampà. Il sindaco di San Pietro a Maida, protagonista della faida per la segreteria provinciale con Enzo Bruno a suon di ricorsi del 2013, è un ex portaborse dell’assessore all’Ambiente Roberto Musmanno, fedelissimo di Enza Bruno Bossio e Nicola Adamo. Il Pd a guida Giampà ha confermato come presidente l’ex primo cittadino di Satriano, Michele Drosi, già portaborse dell’assessore regionale Francesco Russo nell’era Oliverio.

    Ernesto Alecci, consigliere regionale del Pd

    Il nuovo Pd che guarda a destra

    Piccolo particolare: come membro della direzione regionale il Pd catanzarese ha nominato Eugenia Paraboschi, figlia dell’ex presidente della commissione di garanzia del partito catanzarese, storico comunista di Marcellinara. È proprio in questo paese che Eugenia è stata candidata ed eletta con “Marcellinara da Vivere”, lista di centrodestra con candidato a sindaco l’allora vicepresidente della provincia in quota Forza Italia, oggi consigliere regionale di Fdi, Antonio Montuoro. La Paraboschi correva contro il segretario cittadino del Pd di Marcellinara, Giovanni Torcasio, ed è ancor oggi nel gruppo consiliare con l’esponente dei meloniani. Insomma, c’è molta confusione in questo “nuovo Pd”. Tanto che, in vista delle comunali del capoluogo, molti suoi esponenti hanno già virato a destra con Valerio Donato, chi ufficialmente, chi in maniera felpata.

    A Cosenza tutto rimandato

    A non cedere fino ad oggi all’unanimismo forzato che è stato imposto nelle varie province è stata la federazione del Pd cosentino, che esprime la deputata Enza Bruno Bossio.
    La Commissione nazionale di garanzia ha annullato le fasi propedeutiche alla celebrazione dei congressi alla luce dei vari ricorsi presentati. Tutto rimandato a maggio, in attesa che Bruno Bossio, Bevacqua, Zagarese, Locanto e Iacucci, con la tutela nazionale imposta per il tramite del funzionario Riccardo Tramontana, trovino la quadra.

    Nel mezzo, però, ci son state le elezioni provinciali di Cosenza, che hanno visto vincere il centrodestra di Rosaria Succurro. Il sindaco di Corigliano-Rossano, Flavio Stasi, ha punzecchiato: «Bisognerebbe riflettere su quanti e sulle ragioni di chi, seppur del centrosinistra o del PD, hanno votato centrodestra, visto che è aritmeticamente accertato». Per questa resa dei conti c’è da attendere.
    Intanto il tour di Irto continua, di feudo in feudo.

    La parlamentare del Pd, Enza Bruno Bossio
  • Principe contro Principe: una città per due urbanistiche

    Principe contro Principe: una città per due urbanistiche

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    Empio Malara è cittadino onorario di Rende. E questo è l’unico dato certo nella polemica esplosa tra Malara e Sandro Principe, che ha tenuto banco nei media regionali.
    Ma questa stessa polemica impone una riflessione sulla storia recente di Rende, che è essenzialmente una storia urbanistica.
    Malara ha accusato Principe di «velleità strapaesane» e di «ingratitudine» nei confronti di suo padre, il mitico Cecchino.
    Principe ha tenuto botta: coi soliti toni pesanti, ma anche con molti dati alla mano, ha provato a dimostrare che la “sua” Rende è una città diversa da quella pensata da Cecchino e disegnata da Malara.

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    Cecchino Principe in un comizio d’epoca

    L’archistar, dal canto suo, ha cercato di far capire che la “sua” Rende (quindi, anche quella di Cecchino) era migliore di quella realizzata da Sandro.
    Non è il caso di entrare in questioni estetiche, su cui forse neppure gli addetti ai lavori concordano. Resta vero, tuttavia, che la Rende ideata tra i ’60 e i ’70 era decisamente diversa da quella che conosciamo e vediamo oggi.

    Rende e Cosenza: dalla continuità alla rivalità

    La Rende di Cecchino Principe, in effetti, non dava nell’occhio: continuava Cosenza e l’aiutava a smaltire la popolazione in eccesso, accumulata dal dopoguerra fino agli anni ’70.
    Il leader socialista, al riguardo, si era limitato a riprendere la vecchia intuizione urbanistica del ventennio fascista: Cosenza non poteva sviluppare a sud-ovest, per via della sua struttura collinare e quindi l’unico sbocco urbanistico era a nord-est, in direzione della Valle del Crati e della Sibaritide.

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    Rende, Panoramica di via Rossini

    La città verde disegnata da Malara, che si agganciava a Cosenza tramite Roges, era lo sfogo ideale. Certo, qualcosa scappò, visto che il primo disegno urbanistico non comprendeva l’Unical – che negli anni ’60 era nella mente di Dio e neppure – e non ipotizzava la crescita di Quattromiglia, che era solo la sede di una Stazione ferroviaria che continua a non richiamare Rende in alcun modo (infatti, è tuttora la Stazione di Castiglione).
    Rende aveva iniziato il suo sviluppo come città servente e forse non poteva essere altrimenti. Ma la realizzazione dell’Università della Calabria, in origine non prevista da Cecchino né da Malara, cambiò non poco il quadro.

    Il Campus della discordia

    La variante del piano regolatore che includeva il Campus di Arcavacata fu firmata (e quindi progettata o quantomeno approvata) da Malara negli anni ’70.

    Beniamino Andreatta

    L’idea di creare un ateneo all’americana, cioè staccato dal tessuto urbano, aveva un motivo nobile, pensato da Beniamino Andreatta in persona: staccare i laureandi dai contesti socio-familiari per creare una classe dirigente progressista.

    Rende vinse la sfida sia grazie al dinamismo di Cecchino, che elaborò un mega esproprio “lampo”, ma soprattutto grazie alla maggiore disponibilità di territorio, sottopopolato e in larghissima parte agricolo.
    Ottenere il Campus fu il primo passo. Il secondo, davvero decisivo, fu l’inclusione dell’Unical nel Piano regolatore generale. Da quel momento in avanti, Rende iniziò a mordere al collo Cosenza.

    Parlano i numeri

    La classe dirigente cosentina, costituita da professionisti formatisi fuori regione, aveva sottovalutato ciò che accadeva, anche perché il capoluogo era in ascesa demografica.

    La demografia di Cosenza fino al 2011

    Ma, contemporaneamente, cresceva pure Rende, che accoglieva non pochi cosentini “bene”: si pensi solo che alcuni amministratori di Cosenza risiedevano (e risiedono tuttora) oltre il Campagnano.
    L’evoluzione successiva, caratterizzata dalla decrescita di Cosenza e dall’ascesa demografica di Rende, cambiò il quadro della situazione a partire dagli anni ’80.
    Infatti, la città del Campagnano passò dai 13mila e rotti residenti del ’71 ai circa 25mila e rotti nell’81 e agli oltre 30mila del decennio successivo. Cosenza, che aveva superato i 100mila abitanti nell’81, invertì la curva demografica, fino a scendere agli attuali 64mila e rotti abitanti. Questi numeri spiegano le generose colate di cemento al di là del Campagnano.

    La demografia di Rende fino al 2011

     

    Politiche diverse

    È difficile dire se Sandro Principe abbia inaugurato un trend o, più semplicemente, lo abbia interpretato.

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    Sandro Principe

    Detto altrimenti: se abbia deciso di far concorrenza al capoluogo oppure abbia approfittato della crescita spontanea di Rende per ideare una città alternativa.
    Di sicuro, la creazione di via Rossini a partire dalla chiesa di San Carlo Borromeo (che a suo tempo fu contestata da Malara), la struttura di Commenda e la definitiva urbanizzazione di Quattromiglia, agganciata all’Unical a partire dagli anni ’90, sono il prodotto di variazioni, anche particolarmente invasive, del disegno originario.

    Rende e Cosenza: la guerra tra Principe e Mancini

    Quasi ignorata dal vecchio sistema dei partiti, la concorrenza tra Rende e Cosenza esplose feroce negli anni ’90, quando Sandro Principe iniziò il braccio di ferro col vecchio Giacomo Mancini.
    Il volano della crescita di Rende fu l’Unical, che aveva stimolato una forte espansione edilizia nella città perché aveva superato la sua funzione originaria di ateneo per studenti a basso reddito e attirava molti iscritti, per i quali le strutture residenziali “istituzionali” non bastavano più.
    La guerra tra le due città fu condotta senza esclusione di colpi a partire dai servizi (si pensi allo scontro sui bus dell’Amaco, bloccati dai vigili di Rende),

    La situazione attuale

    Il declino di tutta l’area urbana cosentina non ha colpevoli specifici. Lo spopolamento – che tocca anche Rende e a cui corrisponde un calo di iscritti dell’Unical, scesa nel 2021 sotto le 30mila immatricolazioni – è, purtroppo, l’esito di un calo che ha colpito tutto il Mezzogiorno.

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    Panoramica dell’Unical

    Atene piange e Sparta non ride e, nel Cosentino, è difficile dire chi sia Sparta e chi Atene. Ma un dato è certo: l’enorme quantità di appartamenti, invenduti o sfitti, di Rende non giustifica ulteriori incrementi edilizi. E lo stesso discorso vale per il capoluogo. Eppure, in entrambe le città si continua a far colare il cemento e si programmano altre colate, come se non ci fosse un domani.

    Il cemento è per sempre

    Il litigio a mezzo stampa tra Malara e Principe rivela troppi non detti, a cui l’ex sindaco ha alluso pesantemente.
    Il primo riguarda i rapporti tra la famiglia Malara e Rende: si pensi che Andrea Malara, il nipote di Empio, cura tuttora l’illuminazione pubblica di Rende. Questo dato banale non deve meravigliare nessuno, visto che i Malara sono una firma nell’urbanistica.

    Empio Malara

    Il secondo sottinteso riguarda la cementificazione: l’area di viale Principe, secondo il Piano strutturale comunale caldeggiato dall’attuale amministrazione Manna, dovrebbe essere destinato non più solo ai servizi (centri commerciali e rifornitori di carburanti) ma anche all’edilizia residenziale. Cioè altri palazzi, per un totale di mille appartamenti in più.
    Una quantità di vani che non si giustifica neppure con l’incremento demografico, di 1.200 residenti, annunciato con orgoglio dal sindaco alcuni giorni fa, considerata l’enorme quantità di abitazioni vuote, non ancora censita.

    Tra Rende e Cosenza Montalto gode

    Contrapporre la Rende di Malara a quella di Sandro Principe significa contrapporre due epoche diverse.
    Tutto lascia pensare che la rievocazione di un Cecchino “buono” e lungimirante contro un Sandro “cattivo” e “strapaesano” sia l’ennesima tossina di una lotta senza quartiere, che rischia di avvelenarsi ancor di più perché c’è un terzo incluso: la magistratura.
    Forse nell’attuale maggioranza c’è chi spera che l’ex uomo forte di Rende finisca fuori combattimento e, con lui, l’opposizione.

    La demografia di Montalto fino al 2011

    Il problema non è l’urbanistica né la cementificazione. Soprattutto, non sono un problema il “rendecentrismo” o la “cosentineria”: Rende è cresciuta a scapito di Cosenza e ora Montalto cresce a scapito di Rende, come dimostra la curva demografica in costante ascesa. Questo processo ha spostato di molto a nordest l’asse dell’area urbana e tolto più centralità al capoluogo.
    Di fronte a questa evidenza tutte le polemiche sono inutili.

  • Stop alla Multiutility di Occhiuto: la legge non arriva in consiglio regionale

    Stop alla Multiutility di Occhiuto: la legge non arriva in consiglio regionale

    Qualcosa dev’essere andato storto. A cosa sia dovuto il cortocircuito tra il vertice della Giunta e quello del Consiglio regionale nessuno, almeno ufficialmente, lo dice. Ma che in questi giorni si sia verificato lo raccontano i fatti. È importante metterli in fila, perché sono fatti che riguardano uno dei provvedimenti più importanti annunciati da quando Roberto Occhiuto è presidente della Calabria, quello sulla creazione di un’unica Autorità di gestione per acqua e rifiuti.

    Sabato scorso, durante la convention nazionale di Forza Italia che ha segnato il ritorno sulla scena di Silvio Berlusconi, poco prima dell’ora di pranzo è stato il turno di alcuni presidenti di Regione. Occhiuto, introdotto da un gongolante Maurizio Gasparri, ha guadagnato il pulpito azzurro tra gli applausi e ha cominciato a distribuire elogi ai ministri del suo partito.

    I tre grazie

    Uno: «Grazie a Brunetta in Calabria non si assume più con commissioni regionali ma tramite il Formez». Due: «Grazie a Mara Carfagna per il costante supporto relativo alle risorse del Fondo di sviluppo e coesione». Tre: «Grazie a Mariastella Gelmini che è il “censore” delle leggi delle Regioni: molte delle cose che stiamo facendo in Calabria le stiamo facendo attraverso leggi di riforma importanti, che, se non avessimo un rapporto così collaborativo con il governo, spesso passerebbero attraverso la scure dell’incostituzionalità, invece lo risolviamo prima».

    Proprio sulla scia del terzo ringraziamento Occhiuto ha portato ad esempio la legge che punta ad accentrare in una sola Authority – di cui lui nominerà il capo – la gestione del servizio idrico e del ciclo dei rifiuti. Sono settori che in Calabria rappresentano «un problema da 20 anni», mentre «noi – ha aggiunto il presidente della Regione – in pochi mesi stiamo facendo questa riforma e mercoledì la approveremo in Consiglio regionale» (lo dice qui, da 1:59:00 in poi).

    La multiutility in Consiglio? Scomparsa

    Insomma, se uno che ha il vento in poppa come Occhiuto annuncia da un palco così importante che mercoledì si approva la legge, vuol dire che mercoledì si approva la legge. Invece no: nell’ordine del giorno della seduta di consiglio regionale del 13 aprile il punto su acqua e rifiuti scompare dai radar. Ci sono provvedimenti importanti, come quelli riguardanti il nuovo Por 2021-2027 che implica una spesa superiore ai 3 miliardi di euro. Ma tra i 10 punti all’odg di acqua e rifiuti non si fa menzione.

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    Una seduta del Consiglio regionale

    Eppure il disegno di legge approvato dalla giunta su proposta di Occhiuto a Reggio ci è arrivato già da un po’. Per la precisione è stato depositato alla Segreteria dell’Assemblea il 25 marzo, il 6 aprile è passato in Commissione Ambiente e l’8 sarebbe dovuto passare per il parere della Commissione Bilancio, ma questo step era stato dato per saltato per andare subito in Aula. Invece niente.

    I dubbi del Settore Assistenza giuridica

    Anzi: nel frattempo il settore Assistenza giuridica del consiglio regionale ha prodotto un parere che non è esattamente un pollice alzato per il ddl di Occhiuto. Il dirigente di Palazzo Campanella Antonio Cortellaro inanella nella sua scheda di analisi tecnico-normativa diversi dubbi. Segnala alcuni errori sui riferimenti normativi. Esprime varie perplessità.

    Lo fa, per esempio, sul comma che prevede che i costi di funzionamento dell’Autorità siano a carico di quota parte delle tariffe del servizio idrico e dei rifiuti «nella misura definita dallo Statuto». Questi costi, rileva l’ufficio del Consiglio regionale, non sono neanche «quantificati». Dunque, della questione sarebbe bene che si occupasse la competente Commissione Bilancio. La cui seduta è però saltata.

    La questione Sorical in poche righe

    I dubbi più corposi riguardano il passaggio in cui il ddl che in poche righe autorizza Fincalabra ad acquisire le azioni di Sorical attualmente in mano ai privati. L’articolo in questione «non fa riferimento alcuno alla disciplina dei rapporti» tra la società in house della Regione e il soggetto misto (53,5% della Regione, 46,5% del socio privato) che gestisce le risorse idriche calabresi.

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    Cataldo Calabretta, commissario della Sorical

    La stessa Sorical è in liquidazione ma neanche nella relazione descrittiva che accompagna la proposta di legge c’è traccia di informazioni sulle sue condizioni finanziarie. «Né appare chiaro – rilevano gli uffici di Palazzo Campanella – se allo stato attuale ci siano i presupposti per il superamento della fase liquidatoria».

    La trattativa da chiudere

    La matassa dell’idrico ha a che fare con le condizioni poste sulle quote da una banca con sede in Irlanda che ha ceduto i crediti nei confronti di Sorical a un Fondo governativo tedesco. Con loro Occhiuto sta cercando di trattare per rendere pubbliche tutte le quote di Sorical. E solo dopo che ci sarà riuscito potrà prendere davvero forma la multiutility di cui parla fin dalla campagna elettorale.

    Se ci riuscisse avrebbe in mano le chiavi di un’enorme macchina amministrativa che accentrerebbe due settori da sempre ingovernabili. Si aggiungerebbero alla gestione della sanità su cui Occhiuto, proprio dalla convention forzista, ha chiesto al governo di avere poteri ancora maggiori. Mentre su acqua e rifiuti, almeno per ora, di ritorno da Roma dovrà capire cosa sia successo sulla strada che dalla Cittadella porta a Palazzo Campanella.

  • Un altro Mondo nuovo non è più possibile: 5 anni senza Lombardi

    Un altro Mondo nuovo non è più possibile: 5 anni senza Lombardi

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    Antonio Lombardi se n’è andato l’11 aprile 2017, pochi mesi prima di compiere ottant’anni. Con lui è venuto meno un pezzo di storia di Cosenza, le inquietudini, l’acume critico, il desiderio di cambiamento di tanti giovani della sua generazione.
    L’avevo conosciuto in una giornata di primavera del 2002 quando mi sono affacciato per la prima volta nel suo negozio di tappezziere, nel centro di Cosenza, in via Trento al numero 59.

    Via Trento è una parallela di corso Mazzini, risale all’impianto urbano di epoca fascista, ospita un negozio di dolciumi caro ai cosentini, Monaco e Scervino. Pochi metri lo separano dalla vetrina della tappezzeria Lombardi.

    Due luoghi agli antipodi, con mio grande dispiacere, dato che visitando l’uno mi sembrava doveroso astenermi dall’altro. Moralismo piccolo borghese, avrebbe detto Lombardi.

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    Antonio Lombardi, il tappezziere agit prop e letterato di Cosenza

    A sessantacinque anni Antonio era ancora un uomo vigoroso, diretto, quasi brusco nei modi. L’avevo cercato incuriosito da un articolo apparso su Teatro Rendano, anno VI (numero 50), marzo 2002, pp. 12-18: Michele Cozza: “Mondo nuovo reprise. Ricostruiamo una vicenda singolare degli anni Sessanta a Cosenza”.

    Nella minuscola stanza semibuia e ingombra di materiale, rotoli di carta da parati, corde, soprattutto piena di libri, ritagli di giornali e stampe alle pareti ho avuto subito l’impressione di entrare in un altro mondo, la sensazione che si prova quando ci si inoltra in un edificio antico, oppure incontriamo una persona capace di restituirci un’epoca, un modo di sentire le cose, un approccio alla realtà fatto di nomi, di pensiero, di idee.

    Il Mondo nuovo di Antonio Lombardi

    Mi ha indicato una sedia piuttosto precaria e mi ha squadrato; aveva un piglio quasi da maestro di altri tempi, mentre parlava si accertava che fossi in grado di seguirlo sul racconto che stava articolando, anche per valutare se fosse il caso di sprecare il fiato.

    Ho capito con il tempo che quell’atteggiamento nasceva proprio dalla sua storia personale, dal ruolo e dalla missione che si era assunto, sia personalmente sia come animatore del circolo Mondo nuovo.

    Lui che era un appassionato lettore dei saggi di Lukács amava richiamarne un concetto in particolare. Quello secondo cui un testo saggistico deve risultare comprensibile per un operaio, per una persona dotata di una cultura di base.

    Dopo i fatti di Ungheria

    I testi sacri per Lombardi andavano studiati pagina per pagina, e questo impegno l’aveva attuato negli incontri serali, nel circolo, leggendo insieme agli amici e spiegandosi uno con l’altro innumerevoli libri su ogni genere di argomento. Tra il 1960 e il 1980, insieme a rassegne di cinema, dibattiti, interventi sull’attualità politica e artistica.
    Così ho iniziato ad ascoltarlo e ad addentrarmi nella storia del circolo Mondo nuovo, prendendo in mano libri, volantini, foto e ritagli di giornali, ma soprattutto rivivendo quegli anni grazie al suo vivo racconto. La svolta nella sua vita avviene nel 1956, con i fatti di Ungheria e la decisione di aderire al socialismo libertario; lui e i suoi amici sono studenti all’istituto per geometri, hanno un rapporto privilegiato con il professore di italiano, Umile Peluso, sindaco di Luzzi e senatore del P.C.I.

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    Dagli anni ’60 agli anni ’80 giovani e meno giovani hanno frequentato Antonio Lombardi e il circolo Mondo nuovo a Cosenza

    Diversi dalle solite conventicole culturali

    Non mi era mai capitato, fino a quel momento, di percepire un approccio così diretto, immediato, ai libri e al lavoro culturale. Nella città dell’Accademia cosentina, delle tante conventicole e consorterie, un atteggiamento simile era del tutto inusuale e dirompente, infatti aveva dato vita a un gruppo di giovani, quasi tutti provenienti dalle scuole tecniche, estranei ai riti e alle cerimonie, alle liturgie della politica e della vita culturale di una città di provincia. Dopo quel primo incontro ne sono seguiti molti altri, durante i quali ho avuto in consegna una serie di documenti, un piccolo ma significativo archivio relativo all’attività di Mondo nuovo, che ho inventariato e studiato.

    Consigli di lettura

    Alla fine di ogni visita mi assegnava qualche libro da leggere. Alcuni me li vendeva, dato che era rimasta qualche copia della libreria del circolo, a un prezzo stabilito da lui senza possibilità di trattativa. Altri me li prestava, quando si trattava di copie uniche, come “Il lungo viaggio attraverso il fascismo” di Ruggero Zangrandi. Mi dava i compiti perché, diceva, avevo dei vuoti da colmare sulla storia dei movimenti e del socialismo.
    Così pur essendo all’epoca già un quarantenne con laurea ho accettato, in amicizia e per la forza dei suoi racconti, questo ruolo di discepolo che non è proprio in linea con il mio carattere. Penso che entrambi fossimo consapevoli che la mia estraneità al suo mondo facilitasse molto la comunicazione, non c’erano diffidenze ideologiche tra noi.

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    Anche Giampiero Mughini ha scritto per i Quaderni di cinema (a cura del circolo Mondo nuovo di Cosenza)

    Mondo nuovo e la vecchia Olivetti di Antonio Lombardi

    Non mi proponeva solo letture impegnate. Mi aveva dato da leggere anche i romanzi di Stefano Terra, storie romantiche ambientate tra l’Italia e la penisola balcanica, le Porte di Ferro, Rodi e Atene. Insieme ai libri di Terra mi aveva consegnato un carteggio con amici e conoscenti di questo giornalista torinese, a cui avrebbe voluto dedicare un convegno. Così ho capito come si muoveva quando decideva di approfondire una questione. Non so come riuscisse, dal suo negozio, a rintracciare inviati all’estero, editori francesi, direttori di istituti culturali oltrecortina. Senza internet e con una vecchia Olivetti. Era meticoloso e ostinato, in queste ricerche.

    Il Foglio volante e Umberto Eco

    Abbiamo discusso per ore, con Antonio, della storia del circolo, delle rassegne di cinema, dei dibattiti, dei verbali dattiloscritti delle assemblee dei soci, in cui tutto veniva registrato e messo agli atti. Come è noto alle centinaia di persone che hanno partecipato alla vita del circolo, Mondo nuovo ha costituito un luogo di formazione culturale e politica il cui peso non è stato, ancora, adeguatamente riconosciuto.
    Antonio non era divorato dalla nostalgia, anzi, dopo un lungo silenzio successivo alla chiusura del circolo, nel 1980, aveva ripreso a intervenire a modo suo, nella vita cittadina, con il suo Foglio volante, confezionato artigianalmente, fotocopiato e diffuso come un samizdat clandestino, per vie misteriose che solo lui conosceva. Lo riceveva pure Umberto Eco.

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    Umberto Eco tra i suoi amati libri

    Poeti a Santa Chiara

    Sul Foglio volante riprendeva articoli significativi del dibattito in corso, ma da un certo momento in poi aveva iniziato a pubblicare anche testi suoi, brevi componimenti in versi, in dialetto, i muttetti di Santachiara, perché così aveva deciso di firmarli, dal nome della zona del centro storico, Santa Chiara, a cui si sentiva più legato per storia familiare.
    Spesso incollava sui Fogli le foto delle attrici della sua giovinezza, specie quelle dove le forme dei fianchi e del seno erano più evidenziate. Alle dive più procaci dedicava versi allegri e scurrili, che amava leggere agli amici di passaggio e alle signore, purché fossero anche loro ben dotate, giunoniche. Sulle misure femminili era intransigente come nell’avversione allo stalinismo.

    Oltre i confini cittadini

    Radicato nella sua città, di cui conosceva aneddoti e personaggi, Antonio aveva però sempre guardato oltre i ristretti confini cittadini, dialogando con i protagonisti della cultura italiana e non solo. Scherzava raccontando di come fosse abituato a presentarsi, senza preavviso, a casa di Franco Fortini, per fare lunghe chiacchierate sulle novità in libreria e sulle vicende politiche.
    Molti progetti di Mondo nuovo e Antonio Lombardi sono rimasti incompiuti, e sono testimoniati dalle carte d’archivio, corrispondenze per organizzare pubblicazioni, per sollecitare attenzione verso un autore ingiustamente dimenticato.
    Durante gli anni della nostra frequentazione avevo pubblicato qualche articolo e alcuni documenti inediti del suo archivio, strappandogli qualche bonario e ironico apprezzamento: «Bravo, ti sei impegnato». Aggiungeva poi che, senza rendersene conto, stava scivolando verso posizioni socialdemocratiche, dato che si intratteneva in conversazioni con una persona come me, estranea ai gruppi eternamente litigiosi della sua area politica.

    Il carteggio con Lelio Basso

    L’archivio è parziale, perché alcune parti sono forse andate disperse, o si trovano in mano a persone che non sono riuscito a rintracciare, o che non intendono metterle a disposizione. Materiale vario credo sia ancora nel negozio. Dietro sue indicazioni ho cercato le tracce delle centinaia di lettere scambiate, in venti anni, con registi, pittori, artisti e intellettuali italiani e stranieri. A Mondo nuovo avevano progettato di pubblicarle, per documentare l’attività del circolo. Forse in parte si potrebbero ancora recuperare, tra i fondi documentari privati disponibili negli archivi. Servirebbe un progetto di ricerca.

    Anche nella sua parzialità la documentazione è impressionante rispetto agli striminziti resoconti e annuari di altre associazioni coeve. Di recente, dando seguito a una sua volontà e dopo aver considerato la situazione degli istituti culturali cittadini, ho deciso di consegnare tutte le carte in mio possesso alla Fondazione Basso a Roma, dove già custodivano le lettere scambiate con Lelio Basso, verso cui Lombardi nutriva un affetto filiale.

    Un articolo dedicato a Mondo Nuovo e Antonio Lombardi

    Il dovere di ricordare

    Sapevo e so bene, ora che non c’è più, che ben altro andrebbe ricostruito e portato all’attenzione in un dibattito dominato, come sempre, da logiche di mercato e diviso in riserve indiane, in cui non ci si può azzardare a mettere piede. Antonio Lombardi non si rammaricava dell’isolamento e delle ristrettezze economiche dei suoi ultimi anni. L’aveva messo in conto molti anni fa, quando il suo attivismo e la sua irruenza avevano scavato il vuoto intorno a lui.
    Ora però la sua città e i suoi amici e anche i suoi avversari dovrebbero rendergli omaggio e saldare il debito nei suoi confronti.

  • Mancini, 20 anni dopo: anatomia di un socialista senza eredi

    Mancini, 20 anni dopo: anatomia di un socialista senza eredi

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    Due chilometri di corteo funebre, decorato da mazzi di garofani rigorosamente rossi, e venti anni di nostalgia.
    Il corteo, che si svolse il 12 aprile 2002, lo raccontò Fabrizio Roncone sul Corriere della Sera. La nostalgia, invece, è roba di queste ore e di questi giorni.
    Giacomo Mancini se ne andò l’8 aprile del 2002 a ottantasei anni, cinquantotto dei quali vissuti da protagonista politico di primo piano. E da allora è diventato il mito incapacitante di Cosenza, che usa l’ultimo decennio da sindaco dell’illustre vegliardo come un parametro per valutare i successori.

    Ma anche questi ultimi hanno provato a rivendicare, ciascuno a modo suo, l’eredità mancinana. La rivendicazione fu scontata per Eva Catizone, erede diretta a Palazzo dei Bruzi. Un po’ meno per gli altri.

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    Un manifesto elettorale di Mancini presente anche oggi in un garage del centro storico di Cosenza (foto Camillo Giuliani)

    Tutti i sindaci… manciniani a parole

    «Io mi candido a guidare la città che fu di Mancini», esclamò da un palco nei pressi della Villa Comunale Mario Occhiuto. «Fui presidente del Consiglio comunale quando era sindaco Mancini», gli rispose Salvatore Perugini, sindaco uscente e avversario di Occhiuto su problematica designazione del Pd. E che dire del terzo incomodo, cioè Enzo Paolini, altro presidente del Consiglio di quel decennio, che si portò sul palco Gaetano Mancini, ex senatore socialista e cugino di Giacomo? Anche lui aveva bisogno di un pezzo di mancinismo…

    Era la campagna elettorale del 2011, a cui sarebbe seguita l’esperienza di Occhiuto, che ha trascorso buona parte della sua sindacatura a realizzare o terminare opere progettate dal vecchio Giacomo: il rifacimento di piazza Bilotti e il ponte di Calatrava su tutte. Infine, la metro leggera, finita in nulla dopo una vicenda a dir poco travagliata.
    In compenso, i debiti maturati nel decennio, sono esplosi e il dissesto, di cui si parlava dai primi Duemila, è diventato realtà. L’era Occhiuto, che inaugurava la stagione del centrodestra, doveva essere il superamento del mancinismo, già tentato da Perugini. In realtà ne è stato il remake fatto male.

    Di padre in figlio… in nipote

    Per i malevoli, non pochi anche tra i calabresi, Mancini fu una specie di satrapo. Del «califfo della Calabria Saudita», come lo ha definito di recente (ma in maniera benevola) Filippo Ceccarelli, si ricorda la prepotenza, la personalizzazione del potere, iniziata ben prima di Craxi, e la propensione dinastica.
    Figlio di Pietro, storico leader socialista, Giacomo Mancini fu padre di Pietro, che fu sindaco di Cosenza al crepuscolo della Prima Repubblica, e nonno di Giacomo, che è stato consigliere comunale, deputato e assessore regionale. E continua a rivendicare l’aggettivo jr, appiccicatogli quando il nonno era vivo, con un misto di orgoglio e devozione.
    Ma tant’è: il tradizionalismo, ribadito dal passaggio generazionale dei nomi e del potere, è una curvatura inevitabile della politica del Meridione profondo, anche di quella progressista.

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    Giacomo Mancini, Giulio Andreotti e altri big della politica italiana

    Mancini dinasty

    Ma le tradizioni familiari (e familistiche) di quella generazione erano anche scuole, in cui l’apprendistato poteva essere severo. È ciò che fa la differenza tra un figlio d’arte e un figlio di papà.
    Per il vecchio Giacomo, essere figlio di Pietro ha significato la possibilità di misurarsi coi gigantissimi come Pietro Nenni, di esordire nel movimento clandestino della Roma ancora occupata dai tedeschi e di farsi le ossa nella difficile accademia del riformismo, allora quasi azzerata dalla presenza ingombrante del Pci.
    Ha significato, soprattutto, avere la possibilità di dialogare col potere democristiano per spostare a sinistra l’asse della politica italiana.

    Non si diventa ministri per caso, specialmente non allora. Il vecchio Giacomo approdò ai governi di centrosinistra di Moro e Rumor, in cui fu ministro del Lavori pubblici e della Sanità, dopo un rodaggio di dodici anni come deputato.

    A 20 anni dalla morte sul Web ancora si ironizza sulla SA-RC che Mancini volle far passare da Cosenza (meme A. Muraca)

    Il vaccino contro la polio e l’autostrada Salerno-Reggio

    L’ascesa alla segreteria del Psi fu per lui un coronamento quasi naturale. Se la sua carriera si fosse fermata lì, ai primi anni ’70, Mancini sarebbe passato comunque alla storia come il politico calabrese di maggior successo e potere, con la sola eccezione di Riccardo Misasi (che, tuttavia, fu ministro quasi a vita ma mai segretario).

    L’ambivalenza tra il radicamento nella sua città e la frequentazione romana, fu alla base di una visione politica (oggi merce rara) particolare, per cui il disagio sociale del Sud diventava il simbolo del disagio del Paese, perché i poveri si somigliano tutti, e la questione meridionale era una questione nazionale. Con questa logica, Mancini impose in tutt’Italia la vaccinazione contro la poliomielite. E poi vagheggiò la modernizzazione del Sud, a partire dalla Calabria.
    Con tutti i loro difetti, la Salerno-Reggio e i tanti tentativi di industrializzazione della regione sono frutto di questa visione, secondo cui il lavoro e il benessere erano le basi della democrazia. E le “tute blu” l’antidoto alle coppole.

    Cosenza rinasce grazie a Mancini

    Giacomo Mancini fu sindaco di Cosenza per la prima volta a metà anni ’80. Ma solo nel decennio successivo divenne “il” per davvero.
    Contestato dagli oppositori e dai rivali per i metodi autoritari e per la propensione alla spesa facile, il vecchio Giacomo terminò la carriera politica (e la vita) dando una sonora sveglia alla sua città, fresca reduce da una feroce guerra di mafia.
    In quei nove anni e rotti Cosenza esibì un dinamismo inedito e tentò di imitare le città del Centronord in cui parecchi cosentini “bene” facevano l’università. Vogliamo dire che il Festival delle Invasioni costava un po’ troppo? Diciamolo. Ma aggiungiamo che fu l’unico tentativo di creare, a Sud, un rivale credibile ai Festival che contavano (Umbria Jazz in testa).

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    Giacomo Mancini con Carlo Azeglio Ciampi

    Vogliamo dire che il ricorso massiccio alle cooperative sociali sarebbe diventato un’eredità impossibile da gestire? Certo. Ma all’epoca fu un calmiere sociale che riportò la pace e la sicurezza.
    Vogliamo constatare che il recupero del centro storico alla lunga si rivelò effimero? Senz’altro. Ma il tentativo mantiene un suo innegabile successo: una zona negletta e borderline, fino ad allora sinonimo di povertà estrema, divenne un attrattore.
    Anche il duello con la vicina Rende, sostenuto con fermezza, si sarebbe rivelato perdente sulla lunga distanza. Tuttavia, quello di Mancini resta il tentativo più forte di dare al capoluogo una centralità che non ha più.
    Il limite più vistoso di questo modo di amministrare fu il ricorso quasi esclusivo alle casse pubbliche, che ne uscirono stremate. Certo, Mancini indebitò il Comune quando il “deficit spending” vecchia maniera era ancora praticabile, perché il Trattato di Maastricht, in quel lontano ’93, era appena firmato e i suoi vincoli non mordevano ancora. Ma quel debito non lo colmò nessuno…

    Craxi driver?

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    Giacomo Mancini e Bettino Craxi

    Mancini fu l’ultimo grande politico della Prima Repubblica a gestire potere in Calabria e a Cosenza. Ma fu anche il primo sindaco della Seconda, cioè eletto col voto diretto, che fu la seconda mazzata al sistema dei partiti.
    La prima era stata la preferenza unica, con cui si svolsero le Politiche del ’92 e proprio Mancini, candidato da capolista ne fece le spese: non rientrò in quel Parlamento che frequentava dal ’48.

    Tra la mancata rielezione a l’ascesa a Palazzo dei Bruzi, ci fu la controversa deposizione resa al pool di “Mani Pulite” a carico di Craxi il 18 novembre del ’92. Per i malevoli, quelle dichiarazioni spontanee sarebbero state il ticket pagato da Mancini per avere cittadinanza nella Seconda repubblica. Per altri, ancora più cattivi, il vecchio Leone si sarebbe vendicato del suo ex segretario, che lui stesso aveva aiutato a trionfare al Midas nel ’76. Per altri, invece, Mancini avrebbe detto solo la verità sui finanziamenti illeciti del Psi. Comunque sia, quel «non poteva non sapere» che inchiodava Craxi e sminuiva un po’ le responsabilità del tesoriere Vincenzo Balzamo, confermava il teorema di Tangentopoli

    Stampa e procure

    La micidiale battuta di Cuore, il settimanale satirico de l’Unità, («Scatta l’ora legale, panico tra i socialisti») potrebbe non riferirsi al solo Craxi.
    Nei primissimi anni ’70 Mancini fu bersaglio di una terrificante campagna stampa condotta dal giornalista di destra Giorgio Pisanò sul Candido, con linguaggio e metodo che anticipavano non poco le celebri inchieste di Mino Pecorelli su Op.
    «Mancini, ladro e cretino», oppure: «Si scrive leader si legge lader». O infine: «Quelli che rubano con la sinistra si chiamano Mancini», erano gli slogan del battagliero settimanale di satira, trasformatosi per circa due anni in una testata d’inchiesta.

    La mitica prima di Cuore con la battuta sull’ora legale (archivio Camillo Giuliani)

    Per quelle espressioni pesanti (che riportiamo per mero dovere di cronaca) e per alcuni errori giornalistici, Pisanò passò i guai e si fece pure un po’ di galera, da cui lo tirò fuori il celebre avvocato Francesco Carnelutti. Mancini, oltre al fango, non ebbe conseguenze. L’unico che ebbe problemi seri fu il produttore cinematografico Dino De Laurentis, finito nel tritacarne di Pisanò assieme al segretario del Psi, che lasciò l’Italia.
    Il secondo round di guai fu l’inchiesta per mafia, intentatagli dalla Procura di Palmi, dalla quale  derivò un processo lungo e pesantissimo. Ne sarebbe comunque uscito assolto, se non fosse morto prima.

     

    L’eresia a Cosenza

    Tutto si può dire di Mancini, tranne che fu un riciclato. Al contrario, divenne sindaco di Cosenza alla guida di una coalizione di liste civiche, in cui gli eretici della destra (Arnaldo Golletti e Benito Adimari) coesistevano coi reduci dei Movimenti (ad esempio, la Lista Ciroma, guidata da Paride Leporace) e i duri e puri del Psi convivevano con le vecchie glorie dell’autonomia (ad esempio, Franco Piperno, che visse la sua seconda giovinezza come assessore del Vecchio Leone).
    Mancini non entrò in alcun partito, ma fece il sindaco a dispetto dei partiti, spesso colonizzati da ex socialisti cresciuti sulle sue gambe (è il caso di Pino Gentile…).
    A prescindere da ogni valutazione, Cosenza fu un laboratorio interessante. Che ebbe un limite: l’incapacità di sopravvivere al suo stregone.

    Ironie del web: la 106 secondo Mancini (meme di Alessandro Muraca)

    Un gigante senza eredi politici

    Della Mancini dinasty resta pochissimo: il nipote Giacomo, dopo una prima fiammata come deputato della Rosa nel pugno, riuscì a farsi battere da Salvatore Perugini. Poi, dopo il salto nel centrodestra, effettuato fuori tempo massimo, e l’esperienza di assessore per Scopelliti, ha perso consensi elettorali e si limita a sortite in nome della nostalgia.
    Stesso discorso per suo padre Pietro, che esibisce ora simpatie salviniane. Quasi sparita, invece, Giosi, la figlia di Giacomo (che ha tentato solo una candidatura come consigliera nelle ultime Amministrative a Roma). Sparita del tutto Ermanna Carci Greco, la figlia di prime nozze di donna Vittoria, più manciniana, forse, dello stesso Patriarca.

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    Giacomo Mancini, jr e sr

    Eva Catizone, dopo la sindacatura, ha tentato più volte la carta elettorale in ciò che restava del Psi. Poi è passata con Mario Occhiuto. E Cosenza? Langue. Fuori da quel contesto politico, le nuove opere del vecchio Mancini, piazza Bilotti e il Ponte, sembrano fuor d’opera. E molte di quelle vecchie, i ponti sul Crati e il Palasport ad esempio, sono fatiscenti.
    Polvere e rughe: tutto ciò che resta di un’esperienza politica forte, che ha bruciato in dieci anni uomini e risorse per cinquanta. È lo specchio di una città dal declino irrimediabile che si rifugia nella nostalgia: «Le rughe han troppi secoli, oramai, e truccarle non si può più». Cantava Lucio Battisti.
    Oggi, a truccarle, non basterebbero dieci Mancini redivivi.

    L’ultimo, grottesco, capitolo sull’eredità politica di Giacomo Mancini