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  • Marrazzo: «Gay in Consiglio e Giunta? Ci sono, spero facciano coming out»

    Marrazzo: «Gay in Consiglio e Giunta? Ci sono, spero facciano coming out»

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    Fabrizio Marrazzo, ingegnere, già presidente di Arcigay Roma, portavoce del Gay Center, storico attivista LGBT* oggi è anche leader del Partito Gay. La formazione politica, nata nel 2020, ha già ottenuto le prime soddisfazioni. Nell’ultima tornata amministrativa ha eletto numerosi consiglieri comunali in giro per l’Italia e ora si appresta a concorrere anche in Calabria.

    Marrazzo, come mai la nascita del Partito Gay?

    «Il “Partito Gay per i Diritti LGBT* solidale, ambientalista e liberale” nasce per dare all’Italia un partito che si occupi seriamente dei diritti delle persone LGBT. Purtroppo, come abbiamo visto anche con la bocciatura della legge contro l’omofobia, partiti che durante la campagna elettorale hanno fatto grossi spot per dire che si stracciavano le vesti per i diritti LGBT poi, in concreto, non lo fanno. Per questo c’è bisogno di un partito. Anche nella legge contro l’omofobia che è stata affossata c’erano cose che non andavano bene. L’articolo 4, ad esempio, la svuotava perché diceva che non venivano considerati autori di discriminazioni coloro che facevano affermazioni in base al proprio riferimento sociale o culturale. Si poteva, secondo quella legge, dire che i gay sono malati, senza commettere alcun reato».

    Lei parla della legge Zan. Mi pare di capire che non è molto contento dell’operato del Partito Democratico…

    «L’operato non tanto del Pd, ma di Alessandro Zan e di Monica Cirinnà. Hanno voluto rappresentare loro le istanze della comunità LGBT*, dimostrandosi purtroppo impreparati e incapaci. La stessa legge vietava la formazione contro le discriminazioni nelle scuole, cosa che noi oggi riusciamo a fare e se fosse stata approvata la legge non sarebbe stata più possibile. Se io volessi fare un corso contro la violenza sulle donne o su tematiche simili, il problema non si porrebbe, ma, con quella legge, si sarebbe posto in caso di corsi contro la violenza nei confronti delle persone LGBT*.

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    Alessandro Zan

    Siamo riusciti, però, a fare approvare il fondo contro l’omofobia grazie alla senatrice Alessandra Maiorino del M5S, che ha fatto una lotta politica all’inizio abbastanza solitaria in cui esponenti di partiti che si dicevano favorevoli alle istanze LGBT non l’hanno aiutata».

    Oggi, però, c’è una ministra per le Pari opportunità: Elena Bonetti…

    «La ministra c’è, ma ha un ruolo esecutivo e non legislativo. Non esiste una legge che tuteli le persone LGBT ad eccezione delle unioni civili. Noi abbiamo promosso un referendum per trasformare le unioni civili in matrimonio egualitario. La ministra per le Pari opportunità, se non ha l’opportunità di legiferare con una maggioranza in Parlamento per approvare leggi di contrasto alle discriminazioni, può soltanto mettere in campo le leggi che già esistono. Cioè zero. L’eccezione del citato fondo contro l’omofobia, che è un fondo limitato, non permette di fare prevenzione.

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    Elena Bonetti, titolare del dicastero per le Pari opportunità

    È un punto di inizio, ma siamo allo zero assoluto. Se domani la Bonetti andasse in Parlamento a chiedere una legge sui pari diritti alle coppie omosessuali o per fare formazione nelle scuole, non avrebbe purtroppo la maggioranza. Si è visto con la legge contro l’omofobia, che era un compromesso, fatto pure male».

    Il Partito Gay sarà presente anche alle prossime elezioni amministrative?

    «Saremo presenti in varie città grandi e piccole. Stiamo lavorando in vari territori. In alcune Regioni abbiamo già rapporti consolidati. Abbiamo decine di consiglieri, anche un assessore, in tutta Italia. Cercheremo di esserci anche in Calabria, territorio dove ci sono vari amministratori locali LGBT che per la loro carriera preferiscono non dichiararsi».

    Lo scorso autunno avevate espresso la volontà di presentarvi anche alle elezioni regionali in Calabria, ma poi non ci siete riusciti. Come mai?

    «Ci sono stati dei problemi organizzativi e delle difficoltà sul territorio. Molte persone avevano problemi a presentarsi con una lista di questo tipo, credendo che ciò comportasse un coming out familiare e lavorativo. Purtroppo è stato un elemento che in Calabria ci ha penalizzato. Siamo certi che una volta presentate le liste, come già accaduto altrove al Sud, troverà alle urne una buona parte di consenso».

    Secondo lei in Giunta e in Consiglio regionale in Calabria ci sono omosessuali?

    «Sì, ci sono sicuramente persone LGBT sia in Giunta che in Consiglio. Però, ad oggi, non sono dichiarati. Noi ci auguriamo che facciano coming out e che sia positivo per dare l’esempio e per lavorare sui diritti. Il problema è che quando ci sono nelle amministrazioni persone non dichiarate poi c’è un problema nelle attuazioni delle azioni antidiscriminatorie. E, quindi, di questi temi non se ne occupano».

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    Roberto Occhiuto con sei dei suoi sette assessori

    In Calabria nel gennaio 2019 è stata approvata all’unanimità in commissione regionale Cultura una proposta di legge contro l’omofobia, che non è stata mai portata in aula dalla maggioranza targata Pd che, di fatto, l’ha affossata. Oggi col centrodestra al potere quali speranze ci sono di vedere riesumato quel testo?

    «Sicuramente la maggioranza di centrodestra a livello nazionale ha sempre ribadito con la Lega e con Fdi l’opposizione ai diritti delle persone LGBT*. Matteo Salvini da ministro emanò il cosiddetto decreto “Padre e madre” che vieta alle coppie omosessuali con figli adottati e riconosciuti dallo Stato di poterli riconoscere anche sulla carta di identità del minore. Ha creato dei danni al minore nella vita quotidiana, ad esempio se deve viaggiare all’estero o andare in ospedale oppure se un genitore deve andarlo a prendere a scuola.

    A Pescara a seguito del Pride un ragazzo fu aggredito e gli venne rotta la mascella con una violenza inaudita. Il sindaco di Fratelli D’Italia e Giorgia Meloni diedero piena solidarietà al ragazzo, poi quando in aula in Consiglio comunale venne portata una mozione per aiutare il ragazzo a pagare le spese legali contro chi lo aveva aggredito, la maggioranza di centrodestra votò contro. Con questa maggioranza di centrodestra non si va da nessuna parte».

    La commissaria regionale di Fdi in Calabria, l’onorevole Wanda Ferro, è stata una delle sostenitrici della nascita di Arcigay a Catanzaro. Magari c’è una maggiore sensibilità su questi temi…

    «Una rondine non fa primavera. Sono persone che, anche se hanno una certa influenza nel partito, poi non riescono a concretizzare. Penso alla ministra Mara Carfagna che, nonostante si sia schierata spesso a favore delle istanze LGBT, poi in aula non è riuscita ad avere il voto favorevole della sua componente sui provvedimenti. È certamente importante avere queste presenze, ma le azioni spot non bastano.

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    Wanda Ferro

    Occorre far capire che non sono tematiche di una sola parte, sono tematiche di civiltà che tutti devono portare avanti. In Inghilterra il matrimonio egualitario è stato sostenuto dal leader di centrodestra David Cameron. Anche la Cdu di Angela Merkel votò il matrimonio egualitario in Germania. Questo lo dico al centrodestra in Calabria per far capire che questi temi devono essere trasversali. Tra i loro eletti, i loro candidati e i loro elettori ci sono persone LGBT e per questo invito a favorire la tutela e la garanzia dei diritti di tutti».

  • Occhiuto ha un amico in più, la Caporetto dell’opposizione

    Occhiuto ha un amico in più, la Caporetto dell’opposizione

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    L’opposizione in consiglio regionale sembra sia fatta della stessa sostanza di cui sono fatti i selfie. Amalia Bruni, che continua a proporsi come leader del fronte Pd-M5S, non mostra però la dimestichezza di un Matteo Salvini con la pratica dell’autoscatto e la compattezza da lei ostentata il 13 aprile si è sbriciolata appena una settimana dopo.

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    Amalia Bruni durante la campagna elettorale per le Regionali perse del 2021

    La prima Caporetto del centrosinistra non si scorda mai

    Il voto sull’Authority acqua-rifiuti voluta da Roberto Occhiuto, differito a dopo Pasqua per quelle che lo stesso governatore ha definito «imboscate regolamentari» della minoranza, si è tradotto nella Caporetto del primo scorcio di legislatura per il centrosinistra. Bruni aveva addirittura messo insieme non solo i dem e i pentastellati, ma anche i consiglieri di De Magistris, nel fronte rivoluzionario dei combattenti anti-multiutility. Solo che proprio dal M5S, ormai ipergovernista non solo a Roma, è arrivato l’appoggio che non ti aspetti – o forse sì – al provvedimento simbolo del new deal accentratore del Duca Conte.

    C’era una volta il Movimento 5 stelle

    Il fatto è noto ed è già oggetto di stupite e articolate analisi da parte degli osservatori della politica regionale. Il capogruppo grillino, Davide Tavernise, in Aula si è astenuto, mostrando qualche pudore in più rispetto al collega-portavoce-cittadino-consigliere Francesco Afflitto, che ha addirittura votato a favore. Secondo i rilievi procedurali sollevati nella seduta pre-pasquale, alla maggioranza servivano 21 voti, che avrebbe avuto già allora non fossero stati assenti in 3. Dopo gli stravizi di Pasquetta la creatura di Occhiuto si è ritrovata con 22 sostenitori.

    Un certo clamore lo ha aggiunto la circostanza che Afflitto sia anche presidente della Commissione di Vigilanza – il collega di DeMa Antonio Lo Schiavo ha minacciato di abbandonarne la vicepresidenza – ovvero l’unico organismo che, vista la funzione (teorica) di controllo «sugli atti di programmazione economico-sociale della Regione e degli enti ed aziende dalla stessa dipendenti», per prassi viene presieduto da un componente dell’opposizione. Che attualmente – alla luce degli ultimi sviluppi, ma in verità fin dal suo esordio da provvisorio presidente del Consiglio in qualità di consigliere anziano – non sembra, diciamo, esattamente un barricadero. E nemmeno un occhiuto – chissà se “occhiutiano” – censore dell’operato del centrodestra.

    Da Afflitto a Morrone

    Non è neanche questa una novità. La Vigilanza condivide con l’Antimafia la denominazione di commissione «speciale» e una scarsamente riconosciuta utilità, ma è nelle cose che per concedere la sua Presidenza all’opposizione la maggioranza in Consiglio debba scansarsi un attimo. Lo dimostrano le votazioni: Afflitto è stato eletto presidente con 8 voti a favore e 14 schede bianche. Dunque ha avuto il sostegno di Pd e M5S e anche un tacito ma evidente semaforo verde dal centrodestra a guida Occhiuto. A cui, dicono i soliti maligni, ieri avrebbe reso un favore politico magari mettendosi in condizione di riceverne qualche altro.

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    Ennio Morrone presiede la Commissione Vigilanza a Palazzo Campanella (2018)

    Roba da corridoio, certo, voci di sottobosco difficilmente dimostrabili. Come quelle che accompagnarono, ai tempi della presidenza di Mario Oliverio, la scalata alla Vigilanza di Ennio Morrone. Allora in Forza Italia, il suocero dell’attuale consigliera di FdI Luciana de Francesco ottenne 16 preferenze su 31 votanti. Non serviva dunque essere né strateghi né giocatori di poker per ipotizzare una qualche cointeressenza politica col centrosinistra. Tra l’altro in precedenza era stato assessore nella giunta regionale di Agazio Loiero.

    Giannetta e Forza Italia pigliatutto

    In mezzo c’è stata la (tragicamente breve) parentesi della Presidenza di Jole Santelli. La coalizione che la sosteneva aveva appetiti tali da aver dovuto creare, per tentare di saziarli, una commissione nuova di zecca. Dunque si può immaginare cosa si fece della Vigilanza: un sol boccone. Non certo lasciato all’opposizione – che disertò polemicamente le votazioni – ma dato in pasto al forzista Domenico Giannetta.

    Con lui in un anno, tra il 2020 e il 2021, si sono tenute 10 riunioni della Vigilanza. Non risulta abbiano fatto perdere il sonno a chi governava la Cittadella. Con Morrone tra il 2015 e il 2019 ce n’erano state 36. Ben altri numeri, in era Scopelliti, aveva raggiunto l’avvocato Aurelio Chizzoniti – subentrato nel 2013 in Consiglio ad Antonio Rappoccio e preceduto alla Presidenza da Giulio Serra, entrambi di maggioranza – con 51 sedute tra il 2010 e il 2014.

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    Straface, Lo Schiavo e Afflitto in Commissione Vigilanza a Palazzo Campanella

    Difeso dalla Straface

    Sotto la presidenza di Afflitto la Vigilanza si è finora riunita tre volte. La prima seduta è durata 16 minuti (inizio lavori h. 11,49, fine lavori h. 12,05). La seconda un’ora e un quarto e la terza un’ora e mezza, compresi i saluti e l’approvazione dei verbali delle sedute precedenti. Nessun provvedimento trattato. Uniche audizioni, quelle del commissario della Sorical Cataldo Calabretta e del delegato del dg del dipartimento Ambiente della Regione.

    In quest’ultima occasione – si legge nel resoconto del 22 febbraio scorso  – Pasqualina Straface (Forza Italia) ha illustrato la situazione di Sorical. E Amalia Bruni ha proposto che la questione fosse «affrontata in una apposita seduta di Consiglio regionale». Tutti d’accordo.

    In Aula è poi finita così: a difendere il pentastellato e «il proficuo lavoro» della Commissione da lui presieduta è stata proprio la consigliera forzista. Mentre Occhiuto ha portato a casa la sua legge sì con una settimana di ritardo, ma spaccando l’opposizione. Sembrano lontanissimi – ma era il 2015 – i tempi in cui l’M5S calabrese diceva che affidare la Vigilanza a uno come Morrone equivalesse ad «affidare a Dracula la gestione del centro trasfusioni». Oggi loro stessi pare abbiano trovato chi può regalare ben altre soddisfazioni. Al centrodestra.

  • Vent’anni di solitudine: l’ex Sin e la bonifica che non si fa mai

    Vent’anni di solitudine: l’ex Sin e la bonifica che non si fa mai

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    Cinquantaquattro conferenze dei servizi dopo, non è successo niente. Seguire le notizie sul Sin di Crotone può far venire un senso di nausea e ridondanza. Una serie infinita e sfiancante di proclami, promesse non mantenute, tavoli di discussioni mai conclusi, attese. E una tragica mancanza di progettualità, di visione del futuro per una zona immobile da troppo tempo.

    Il prossimo 26 novembre la città festeggerà un triste anniversario. Saranno 20 anni da quando l’ex zona industriale tra Crotone, Cerchiara e Cassano dello Ionio è finita nell’elenco dei Siti d’Interesse Nazionale. Sotto questo titolo si raggruppano le aree più inquinate del nostro Paese, contaminate ad un livello tale da essere un rischio per la salute umana.
    Pezzi d’Italia compromessi da sostanze nocive, che hanno bisogno di interventi di bonifica profondi prima di tornare alla comunità, quando è possibile farlo.

    Lo sviluppo che contamina

    A Crotone il sito più inquinato è stato il motore dello sviluppo economico per molti anni, dagli anni ’20 fino agli inizi degli anni ‘90.
    Un’illusione di crescita, in un luogo dove ora è tutto completamente fermo, improduttivo e contaminato. Una mancanza dal quale non è riuscita più a riprendersi.

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    Paolo Asteriti (WWF)

    «La città ha perso tutta la sua economia, basata sulle industrie, e ancora non si capisce cosa succederà su quel terreno di fronte al mare», ci spiega, con tono rassegnato, Paolo Asteriti, segretario provinciale del WWF, una delle tante associazioni ambientaliste presenti a Crotone che sta lottando per tenere alta l’attenzione sul tema delle bonifiche.

    Metalli pesanti

    Con il Sin di Crotone ci riferiamo, soprattutto, a 530 ettari di terreno che costeggiano lo Ionio poco al di fuori della città. Una grossa ex area industriale, legata al reparto chimico e al trattamento dei rifiuti, con una buona presenza di industrie alimentari. Gli impianti principali appartenevano all’ex Pertusola. In quegli stabilimenti si fabbricava soprattutto lo zinco: è stata la più grande fabbrica della Regione, fin quando è stata operativa. Inoltre, la zona comprende gli stabilimenti della ex Fosfotec, la ex Agricoltura, e la ex Sasol Italia/ex Kroton Gres.

    «Crotone è stata un’area particolarmente importante per tutta Europa per la produzione dello zinco dalle blende, nella zona dell’ex Pertusola. Però, è emersa la presenza di contaminazione legata alle industrie della produzione dell’acido fosforico, di ammoniaca e così via. Una sorta di contaminazione mista, legata soprattutto al tema dei metalli pesanti» ci spiega Mario Sprovieri, dirigente di ricerca del CNR e responsabile scientifico del progetto Cisas, il Centro Internazionale di Studi Avanzati su Ambiente, Ecosistema e Salute umana.

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    Mario Sprovieri

    Tra le tante cose, il centro ha portato avanti il progetto SENTIERI, lo studio epidemiologico più completo sui siti d’interesse nazionale, volto a monitorare gli impatti delle sostanze inquinanti sulle popolazioni circostanti. Stando alle rilevazioni, gli inquinanti presenti nel terreno e nel mare di Crotone sono soprattutto cadmio, zinco, piombo e arsenico: la zona del porto, inoltre, ha registrato alti livelli di mercurio, cromo e rame, così come di DDT2.

    Le bonifiche e la mappatura del Sin di Crotone

    Oltre alle aree industriali, il Sin di Crotone comprende una discarica e la fascia costiera, altri 1469 ettari di territorio da bonificare che si trovano a mare, tra la foce del fiume Passovecchio, a nord, e l’Esaro a sud. Una stima ottimistica, secondo gli esperti del Cnr. Infatti, ci spiega ancora Sprovieri, il Sin di Crotone ha una particolarità: a causa della conformazione costiera, forti eventi alluvionali possono «trasportare contaminanti presenti nell’area portuale, più contaminata rispetto alle altre, nelle aree più offshore».

    Crotone è circondata da colline di argillose che la dividono in due. © copyright Agostino Amato

    Il Sin, comunque, non si ferma a Crotone: l’area si estende anche ai comuni di Cassano allo Ionio e Cerchiara, dove si trovano tre discariche. Il quadro, però, non è completo. Secondo il report di Legambiente Liberi dai veleni del 2021, la mappatura del Sin è ancora al 50%. Di questa porzione, le bonifiche riguardano solo il 13% dei terreni, e l’11% dell’area marina. Praticamente niente.

    Una città ferita

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    Queste palazzine di edilizia popolare (Aterp) nella periferia di Crotone fanno parte dei siti “altamente contaminati”. © copyright Agostino Amato

    La contaminazione non si ferma alla sola area del Sin. Nel settembre nel 2008, con l’operazione “Black Mountains”, è venuto fuori che dagli anni ’90 gli scarti industriali dell’ex Pertusola, sono stati mescolati con materiali edili, utilizzati per le costruzioni in varie parti della città. «Il cubilot veniva regalato alle ditte, che lo prendevano, probabilmente ignare della tossicità», continua Asteriti.

    Questa miscela forma il Conglomerato Idraulico Catalizzato. Lo hanno utilizzato per costruire gli alloggi popolari “Aterp” nei quartiere Lamparo e Margherita, la scuola San Francesco ma anche per costruire vie, strade e persino il parcheggio della Questura.

    La questura di Crotone fa parte dei siti contaminati, come ricorda il cartello “Attenzione accertata la presenza nel sottosuolo di materiali che, se privi di copertura, potrebbero rivelarsi nocivi per la salute…” © copyright Agostino Amato

    Assoluzioni e prescrizioni

    Nonostante la scoperta, l’inchiesta s’è conclusa nel 2012 senza produrre alcun colpevole tra i dirigenti delle aziende coinvolte. Sia il gup di Crotone che, successivamente, la Corte di Cassazione hanno prosciolto tutti i 45 indagati, per i reati di disastro ambientale e avvelenamento delle acque. I reati legati alle discariche abusive, invece, sono caduti tutti in prescrizione.

    La questione del Sin, insomma, ha toccato tutta la città, che nel corso degli anni si è mobilitata più volte per protestare contro le condizioni ambientali e l’alta incidenza di tumori. La questione è così sentita da diventare politicamente decisiva: alle amministrative del 2020 ha trionfato l’ingegnere ambientale Vincenzo Voce, uno dei protagonisti dei movimenti ambientalisti e con una lunga storia di lotte per la bonifica del Sin. Col sostegno di una serie di liste civiche, tra cui Tesoro Calabria di Carlo Tansi, ha vinto con il 63,95% dei voti.

    Vent’anni e non sentirli

    La fetta più grossa delle bonifiche spetta a Eni Rewind, la società controllata del colosso dell’energia che si occupa di risanamento ambientale.
    Il processo di bonifica di quella fetta del Sin è partito solo nel 2010 e si è inceppato molto spesso, tra rimodulazioni e piani molto contestati.

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    Il silos della Pertusola Sud coperto da un murales commissionato dall’Eni, che dirige la bonifica della zona industriale. © copyright Agostino Amato

    In particolare, negli ultimi due anni lo scontro si è concentrato sulla rimodulazione del Progetto operativo di bonifica (POB) Fase 2, autorizzato nel marzo del 2020. Secondo gli attivisti ambientali – tra cui lo stesso Voce, prima di diventare sindaco – il piano da 305 milioni di euro mira alla messa in sicurezza permanente e non ad una vera e propria bonifica, che permetterebbe di riqualificare le aree.

    Le ultime notizie su questo fronte parlano di tavoli, intese e collaborazioni tra le autorità pubbliche e la società. Troppo poco, dopo tutto questo tempo.
    Di recente, sembra si stia muovendo qualcosa su uno dei temi più sentiti dalla città: il recupero dell’area archeologica dell’antica Kroton, che ricopre il 15% del Sin.

    In questo caso, la bonifica è di competenza del Ministero della Cultura: il sindaco Voce ha annunciato lo scorso 7 aprile di voler riaprire in tempi brevi il castello di Carlo V. Anche qui, però, le tempistiche sono incerte.
    Nella confusione di norme, competenze e territori sparsi, un dettaglio non va trascurato: dal 2018 manca un commissario straordinario alle bonifiche. Il Governo aveva nominato nel 2019 il generale Giuseppe Vadalà, ma non si è ancora insediato, tant’è che Voce ha scritto a Draghi per avere delucidazioni in merito.

    Le buone notizie

    Se c’è una buona notizia, in tutto questo, è che i dati non mostrano al momento un livello di inquinamento tale da essere un rischio per la popolazione. Secondo le analisi del progetto SENTIERI, «si può dire che il Sin di Crotone ha un impatto sulla popolazione ridotto, rispetto ad altre situazioni in cui i fenomeni di impatto sono più significativi».

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    Lungomare. Secondo uno studio effettuato nel 2004 da Legambiente e WWF nel mare di Crotone, durante il primo e il secondo semestre del 2002, sono stati rilevati, rispettivamente, 33.360 e 29.704 microgrammi per chilo di arsenico, mentre nel secondo semestre 2003 il dato era di 39.557. Il valore limite è 12.000. © copyright Agostino Amato

    Nello studio, i professori del Cisas hanno analizzato quattro matrici: l’aria, il suolo, i sedimenti marini ed il pesce. Una serie di fattori hanno permesso di abbassare il livello di inquinamento. Secondo Sprovieri, il più importante è stato, paradossalmente, un’alluvione: quella del 14 ottobre 1996.
    La grossa bomba d’acqua che si è generata ha causato una specie di «effetto di lavamento della falda e dei suoli. Ciò ha abbassato in maniera significativa la contaminazione proprio su queste due matrici. Alcuni inquinanti sono ancora presenti, ma con livelli di gran lunga inferiori rispetto a quelli che erano stati rilevati nel periodo precedente».

    I rischi legati al cibo

    Anche i dati sulla qualità dell’aria hanno registrato parametri nella norma. La questione che preoccupava di più gli studiosi del Cisas è quella legata al cibo: «I sedimenti all’interno dell’area portuale, ed in parte nell’area esterna, mostrano valori di concentrazioni soprattutto dello zinco, ma anche degli altri metalli pesanti, che sono importanti».

    Il rischio è che i pesci bentonici, cioè quelli che vivono a contatto con il fondo del mare, possano brucare i sedimenti depositati sul fondo del mare: in questo modo, gli inquinanti verrebbero assimilati dagli animali, per poi finire sui piatti dei consumatori. Anche in questo caso, però, i dati raccolti dagli studiosi del Cnr non hanno evidenziato nessuna contaminazione significativa: «Siamo stati contenti di poter verificare che sostanzialmente questi contaminanti oggi nei pesci non sono presenti nella maggior parte dei casi».

    I tumori e l’ex Sin di Crotone

    Non bisogna però illudersi. Le indagini epidemiologiche e d’impatto ambientale hanno bisogno di un salto di qualità, per avere il quadro completo della situazione.
    Tanti dubbi rimangono sull’incidenza dei tumori. Il gruppo di ricerca aveva scelto il Sin di Crotone proprio sull’eccesso di mortalità: i dati di SENTIERI registrano un numero superiore alla media di decessi per tutte le tipologie di tumore.
    Questo è il dato statistico. Il problema, in questi casi, è stabilire il nesso causale tra l’inquinamento e l’insorgere di una malattia.

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    In questa zona sorgevano le cosiddette Black Mountains dove venivano stoccati i rifiuti della Montedison. © copyright Agostino Amato

    Una questione già difficile di per sé, lo è ancora di più se non si riceve collaborazione nella ricerca. Il team del Cisas non ha potuto fare un’indagine epidemiologica specifica sulla popolazione di Crotone, lamenta Sprovieri. L’unica cosa che hanno potuto fare, a causa dei ritardi burocratici, è stata una collaborazione con un reparto pediatrico: un’indagine sulle coppie madre-figlio che deve ancora essere portata a termine.

    Il problema delle alluvioni

    Non dimentichiamo, inoltre, il tema delle alluvioni e dello spargimento dei sedimenti inquinati su altre zone marine. Un fenomeno che potrebbe estendere ancora di più l’area contaminata e danneggiare gli ecosistemi più delicati che non sono stati ancora toccati dalle scorie industriali.
    «Qual è il senso di procrastinare questa cosa, se non proteggere l’ENI? Non si è mai voluto parlare col le realtà del territorio», si chiede Asteriti, amaro. «Non ci arrendiamo, perché chi resta qua ama il suo territorio, e continua a lottare. È difficile trovare la luce dopo anni di buio. Magari c’è, ma noi non la vediamo».

  • Rende: Malara, Manna e l’isola che non c’è

    Rende: Malara, Manna e l’isola che non c’è

    Egregio Direttore, mi riferisco a vari articoli apparsi sul suo giornale che hanno avuto ad oggetto l’urbanistica della città di Rende e, in particolare, ad un suo editoriale, dove Lei riconosce che Sandro Principe, unitamente ai suoi collaboratori, a partire dal 1980, ha «cambiato il gioco» nel governo del territorio. Pur evitando di giudicare se il nuovo gioco fosse «giusto o sbagliato», riconosce però che esso è risultato «redditizio per Rende».

    Un gioco redditizio

    Mi soffermo sul termine «redditizio», perché esso va ben oltre l’allocuzione «nell’interesse», che già mi avrebbe molto gratificato, poiché se un sindaco riesce a fare cose redditizie per la comunità che rappresenta vuol dire che ha fatto ampiamente il suo dovere. Dispiace constatare che l’architetto Empio Malara non riesca a farsi una ragione che l’attuale assetto urbano di Rende è tutt’altra cosa rispetto a quello disegnato con il suo piano regolatore redatto circa sessant’anni fa.

    Il Malara milanese aveva concepito una periferia, un dormitorio di lusso, un “non luogo”, senza punti di riferimento. Noi, come Lei acutamente ha osservato, abbiamo cambiato il gioco e abbiamo disegnato e costruito una città ricca di infrastrutture civili, sociali, religiose, scolastiche, culturali, commerciali, economiche e del tempo libero, centinaia di opere non previste dal Piano di Empio Malara. Mentre Malara si dedicava all’esercizio della sua professione a Milano, noi osservavamo e studiavamo la realtà ed i tempi che cambiavano. Ed abbiamo così realizzato una città di sosta, costitutiva dell’area urbana, che senza la “nostra” Rende” non esisterebbe.

    Malara su Rende? Un conservatore

    Malara cerca di nascondere dietro la grande figura di Cecchino Principe il suo conservatorismo, che lo ha reso incapace di comprendere che non si erano verificati i presupposti (l’industrializzazione a nord e l’esercizio del ruolo guida della città di Cosenza) su cui si basava la programmazione degli anni ’60 del ventesimo secolo. Si aggiungano, inoltre, gli effetti sul territorio della imprevista (dal Malara) presenza dell’Unical, che incominciarono a farsi sentire nei primi anni Ottanta. Mio padre, che era una persona intelligente ed un riformista, non si impiccò sul vecchio schema e seguì con interesse e soddisfazione il nostro lavoro. Mai ha pronunciato una parola di dissenso, ma sempre giudizi ricchi di apprezzamento.

    Il Malara, forse su suggerimento di qualche ex politico di passaggio, oppure perché ormai estraneo al nostro territorio cosentino che non vive da decenni, afferma con leggerezza che Sandro Principe ha fatto di Rende «un’isola di 35.000 studenti e 35.000 abitanti». Intanto, si osserva che il Malara ci fa, senza rendersene conto, un complimento, perché non è certamente poca cosa amministrare una città con 70.000 utenti da servire con i trasferimenti governativi rapportati a 35.000 abitanti.

    Il territorio circostante

    Inoltre, con il suo dire evidenza di vivere in un’altra epoca, giacché dimostra di ignorare tutte le grandi infrastrutture che integrano Rende con il territorio circostante, dal ponte De Luca, che unisce Roges a via Cosmai, dallo svincolo dell’Unical che la collega alla SS 107, dal viale Francesco e Carolina Principe alla 19 ter, con i ponti sull’ Emoli e sul Surdo, che delimitano la camera urbana, dalla strada Santa Chiara-Settimo, che ha permesso di unire le zone industriali di Rende e Montalto, al prossimo svincolo di Settimo dell’autostrada del Mediterraneo, tutte opere non previste dall’architetto meneghino; a voler tacere della metro CS/UNICAL fatta fallire dal duo Occhiuto-Manna.

    Rende, Malara e l’isola che non c’è

    Altro che «isola»! Abbiamo costruito un pezzo di città degna di questo nome al centro dell’area urbana di Cosenza, collegandola con il contesto territoriale, ponendo così le basi per la città unica Cosenza-Rende, di cui diffusamente parleremo in un prossimo scritto.
    L’Empio oggi si sofferma sulla città unica basata sulle eccellenze rappresentate dal centro storico di Cosenza e dall’Unical, copiando il piano di sviluppo del PIT n. 8 “Serre Cosentine”, titolato “CORE”, elaborato durante la presidenza di Sandro Principe, con il sostegno di Giacomo Mancini e, successivamente, di Eva Catizone.

    E, a scanso di equivoci, è utile ricordare che l’immenso patrimonio di verde di cui gode Rende, città parco, è stato impiantato quasi per intero dal Comune a partire dagli anni ‘80, quando il Malara si era allontanato dalla nostra città, avendo egli privilegiato il giardinetto di condominio, peraltro ostativo delle attività commerciali, con le recinzioni nemiche della socialità.

    Cosenza e il ruolo di Manna

    Debbo per ultimo, stigmatizzare i curiosi consigli dati dal Malara al sindaco di Rende. Passi per il suggerimento di spostare nel centro storico di Cosenza pezzi di Unical, operazione non fattibile funzionalmente e statutariamente, perché un Ateneo residenziale con organizzazione dipartimentale non è smontabile per far piacere ad interessate visioni; ma arrivare a suggerire all’avvocato Manna cosa egli dovrebbe fare per recuperare Cosenza storica mi sembra istituzionalmente irrispettoso per gli attuali reggitori del Comune di Cosenza.

    Non una parola di critica, invece, al piano Manna-Francini, che se approvato ed attuato sconvolgerà l’assetto urbano della nostra città; anzi, durante la discussione in consiglio comunale per il conferimento al Malara della cittadinanza onoraria, abbiamo ascoltato, con grande meraviglia, parole di incoraggiamento.

    Sandro Principe

  • Alfonsino Grillo, da portaborse pignorato a commissario da 6.000 euro al mese

    Alfonsino Grillo, da portaborse pignorato a commissario da 6.000 euro al mese

    Roberto Occhiuto ha un (Alfonsino) Grillo per la testa. Ormai pare abbastanza chiaro: il presidente della Regione brilla per stravaganza quando si tratta di nomine pubbliche di sua competenza. Quella di Antonio Grande (detto Anton Giulio per la haute couture) a commissario della Film Commission ha fatto storcere il naso a tanti; quella del suo capo di Gabinetto Luciano Vigna, che si cumula a quella di direttore della stessa Film Commission, ha resuscitato persino l’opposizione targata Pd. Sarà il clima pasquale.

    A queste tocca aggiungere la recente nomina del commissario del Parco delle Serre, Alfonsino Grillo. A dettarla, probabilmente, la fede politico-partitica (in particolare, il sostegno elettorale alle ultime regionali al ticket forzista Michele Comito-Valeria Fedele) e non particolari competenze tecniche. Grillo, difatti, ha svolto la professione di geometra (oggi non risulta iscritto all’albo) ed è laureato in Scienze politiche. Certo, nel 2002 la Giunta Chiaravalloti lo nominò nel cda del Parco delle Serre e da consigliere regionale fu componente della commissione Ambiente. Un background forse un po’ scarno a fronte delle tante eccellenze calabresi, anche giovani, costrette ad emigrare.

    Il Grillo cangiante: da Esposito a Mangialavori

    Ma il golden buzz (per dirla alla Italian’s Got Talent) per Alfonsino Grillo è scattato di recente, grazie all’abbraccio con Giuseppe Mangialavori e Forza Italia, dopo anni passati al seguito del catanzarese Baldo Esposito.
    Dopo l’esperienza da sindaco di Gerocarne nel 2007, Grillo è stato eletto consigliere regionale nella lista “Scopelliti Presidente” nel 2010 con 3.400 voti. Esperienza che non riuscì a replicare nelle due successive tornate, limitandosi a “reggere” le liste che porteranno nel 2014 e nel 2020 all’elezione del catanzarese Baldo Esposito, che ottenne il seggio anche grazie al suo apporto.

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    Mangialavori e Occhiuto durante l’ultima campagna elettorale

    Nel 2014 sotto la bandiera del Nuovo Centro Destra di Angelino Alfano (compagine che vide Grillo assumere ruoli partitici di rilievo, in primis il coordinamento provinciale di Vibo Valentia) raccolse 3.610 voti (a fronte dei 6.400 di Baldo Esposito). Nel 2020 con la lista “Casa delle libertà” ne ottenne 2.654, mentre furono oltre diecimila quelli per l’ormai ex presidente della commissione Sanità. In quell’anno Grillo si “candidò” anche per ricoprire incarichi di sottogoverno regionale, senza successo.

    La condanna della Corte dei Conti

    Nel marzo del 2020, però, arrivò per Grillo la condanna della Corte dei Conti per il filone erariale di Rimborsopoli.
    Ben 62.570,98 euro di danno erariale per spese non ammissibili per gli anni da consigliere regionale 2011 e 2012. Per quelle del 2010 è arrivata, invece, la prescrizione.

    «Sotto il profilo formale, quasi tutta la documentazione non è riferita al Gruppo, ma all’on. Grillo, nella qualità di consigliere regionale», si legge nel testo della decisione. «Sul piano sostanziale è lapalissiano come l’erogazione di contributi alle varie associazioni presenti sul territorio non sia affatto riconducibile alle finalità istituzionali del Gruppo consiliare, ma agli scopi di promozione politica del consigliere Grillo», precisarono i magistrati contabili.

    Tra le spese, pagate con soldi pubblici per fini giudicati privati, figurano elargizioni per i festeggiamenti in onore di San Michele Arcangelo a favore del Priore della relativa confraternita di Arena, altre a favore dell’Associazione “Lira Battente” per una manifestazione, contributi a favore della Pro Loco di Zambrone e per la festa patronale di San Basilio a Cessaniti.

    Alla fine la condanna è stata pari all’80% del danno (il restante 20% rimane in capo al presidente del Gruppo consiliare per omesso controllo), ossia 50.056,78 euro. Permane, inoltre, ad oggi, il rinvio a giudizio per peculato disposto dal Gip di Reggio Calabria nel 2017 per quanto concerne gli aspetti penali.

    Portaborse e vitalizio: i “cuscinetti” alla condanna

    Con determina del 4 agosto 2020 a firma di Antonio Cortellaro e Romina Cavaggion – tra l’altro ex componente della struttura di Grillo quando era consigliere regionale – è arrivata la nomina da parte di Baldo Esposito proprio di Alfonsino Grillo quale “responsabile amministrativo al 50% del Presidente della III Commissione”. Un portaborse, insomma, nonostante il diretto interessato non ami sentirsi definire tale.

    Grazie a quella nomina ha ricevuto 7.984,64 euro lordi nel 2020 e circa 17mila nel 2021. L’erario, però, ha pignorato un quinto della somma per far fronte alla condanna della Corte dei Conti. Tutto legittimo e pazienza se pagare con un incarico fiduciario pubblico (intervenuto dopo la condanna) alla Regione un danno erariale alla Regione stessa può suscitare critiche da parte dei soliti maliziosi.

    Ma non è finita. Lo scorso 28 marzo Alfonsino Grillo ha chiesto il vitalizio per il mandato di consigliere regionale svolto dal dal 28 marzo 2010 al 22 novembre 2014. Vitalizio che si vedrà accreditare proprio dal 1 aprile per una cifra pari a 2.434,83 mensili lordi. Piccolo particolare: la somma del vitalizio è ridotta del 25%, ma solo perché Grillo ne ha chiesto la liquidazione anticipata. Ossigeno, quindi, per le tasche dell’ex geometra.

    Alfonsino Grillo, da commissario a presidente?

    Ma Alfonsino Grillo è tornato in grande spolvero a seguito del cambio di sponsor politico. Decisivo l’apporto elettorale a Michele Comito e Valeria Fedele, eletti nella lista di Forza Italia (anche se sub iudice, soprattutto la seconda, ineleggibile secondo il giudizio di primo grado del Tribunale di Catanzaro).
    Ad attendere Grillo, il Parco delle Serre e un discreto stipendio, nonostante i precedenti commissari svolgessero l’incarico a titolo gratuito. Il dirigente regionale Giovanni Aramini, voluto da Jole Santelli nel 2020, il funzionario Domenico Sodaro nel 2016 e il dottor Giuseppe Pellegrino nel 2018, voluti da Mario Oliverio, non percepivano il becco di un quattrino.

    Parco delle Serre: 30 anni di fallimenti, tagli selvaggi e scaricabarile
    La luce trafigge il bosco del Parco delle Serre (dal sito ufficiale dell’Ente: foto Salvatore Federico)

    Diversa sorte toccherà a Grillo. Lui arriverà a ricevere oltre 6mila euro lordi mensili (36.308 euro lordi per i sei mesi di durata dell’incarico da commissario). Intanto, solo due giorni fa, l’Assemblea della Comunità del Parco (guidata dalla assessora leghista di Simbario, Melania Carvelli) ha inserito lo stesso Grillo nella rosa dei 5 nominativi in lizza per la presidenza dell’ente. Ma la strada non è proprio in discesa.

    La possibile sospensione e l’orientamento dell’Anac

    Come si è detto, permane a carico di Alfonsino Grillo l’accusa di peculato dinanzi al Tribunale di Reggio Calabria, nel filone penale dell’inchiesta “Rimborsopoli”. In caso di condanna, anche se non definitiva, per peculato il soggetto esterno all’amministrazione che abbia un incarico pubblico (come è quello di commissario/presidente del Parco delle Serre) va sospeso senza retribuzione (come sospesa è l’efficacia del contratto di diritto privato stipulato con l’amministrazione).

    Non solo, l’Autorità nazionale anticorruzione suggerisce al legislatore di estendere la disciplina delle inconferibilità anche in caso di condanna della Corte dei Conti per danno erariale.
    Tali condanne, si legge nella delibera, «portano dietro un giudizio di disvalore, dal punto di vista della lesione dell’immagine della pubblica amministrazione… analogo a quello delle sentenze di condanna emesse all’esito di giudizio penale». Ma se a Roberto Occhiuto va bene così, non sarà certo l’opposizione a farglielo notare.

    Uno slogan elettorale di Alfonsino Grillo particolarmente azzeccato
  • Catanzaro abbaia, Reggio morde: il consiglio regionale resta sullo Stretto

    Catanzaro abbaia, Reggio morde: il consiglio regionale resta sullo Stretto

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    La vicenda, certamente poco seria e non si sa quanto grave, richiama subito il celebre aforisma di Ennio Flaiano. E viene in mente anche una battuta – già cult – dell’ultimo film di Paolo Sorrentino. Ma prima, per ricondurre tutto alla sua reale misura, forse è meglio soppesare le dichiarazioni che stanno rinfocolando la polemica tra Catanzaro e Reggio. Che ricaccia la Calabria indietro di 50 anni, se non ai tempi delle Calabrie degli Aragonesi (Citeriore e Ulteriore) e poi dei Borboni (Ulteriore I e II).

    Quanto ce ne fosse bisogno, in un momento storico come quello attuale, è superfluo rilevarlo. Ma si sa: quando ci sono elezioni in ballo la frizione che regola l’emissione di comunicati stampa scappa sempre un po’ troppo. Dunque eccoci qua, catapultati all’indietro in un surreale dibattito che contrappone il centro e la punta della periferia d’Italia.

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    Valerio Donato, prof all’Università di Catanzaro e candidato a sindaco

    Catanzaro vuole pure il consiglio regionale

    L’apriti cielo si materializza con un’uscita del “Comitato elettorale Valerio Donato Sindaco”. I sostenitori del prof catanzarese, fuoriuscito dal Pd e ora appoggiato dal centrodestra, la buttano lì: «Giunta e Consiglio regionale devono essere riuniti presso la stessa sede, quella naturale, ossia Catanzaro». Presentata come una «battaglia concreta per la riduzione reale dei costi della politica», risponderebbe a «un fatto di correttezza istituzionale giacché il capoluogo della regione deve essere messo nelle condizioni di esercitare pienamente il proprio ruolo».

    La sortita prende le mosse da un antefatto, anzi da due collegati tra loro. Il primo: l’11 aprile si tiene alla Cittadella regionale di Catanzaro una riunione del «Coordinamento dei presidenti delle Commissioni per le Politiche europee delle Assemblee legislative delle Regioni». Prima e dopo non mancano i comunicati di giubilo perché la riunione si svolge «per la prima volta in Calabria».

    Lo strappo istituzionale

    Il secondo: due giorni dopo si riunisce il consiglio regionale e in apertura il capogruppo (reggino) del Pd Nicola Irto parla (nel video in basso dal minuto 16) di «strappo istituzionale»  perché «la sede naturale» di quella riunione era l’Astronave di Reggio. Raccoglie «il monito» il presidente (catanzarese) del Consiglio Filippo Mancuso che dice di aver già chiarito il «malinteso» con il presidente (catanzarese) della commissione competente, Antonio Montuoro.

    Si tratta di una questione definita con sarcasmo «assai urgente» dal Comitato di Donato, che con un certo sprezzo del dileggio appena usato parla di «polemica forse non molto qualificante» e lancia l’ormai famigerata proposta di cui proprio tutti, da Praia a Mare a Melito Porto Salvo, non potevano fare a meno.

    Segue, immancabile come un buffet dopo un meeting aziendale, una delle pratiche in cui eccelliamo da tempo immemore: la levata di scudi. Dalla sponda calabrese dello Stretto si alza un coro unanime di «giù le mani dal consiglio regionale». Gli stessi partiti che sostengono o sono dati come vicini a Donato insorgono.

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    Ciccio Franco, uno dei protagonisti del Moti di Reggio

    «Non stuzzicate la città di Reggio»

    Peppe Neri (capogruppo di FdI a Palazzo Campanella) quasi rievoca i moti del 1970 contro Catanzaro capoluogo: la sede del Consiglio a Reggio «assicura quell’equilibrio istituzionale che la storia ha decretato non senza tensioni». Il deputato di Forza Italia Francesco Cannizzaro definisce «grottesche» le dichiarazioni di Donato e ipotizza che le abbia rilasciate «dopo un’allegra serata con gli amici».

    Mancuso ha provato a stoppare le polemiche bollandole come «surreali e divisive», ma un assessore comunale a lui vicino, Francesco Longo, ha rincarato la dose: «Ha fatto non bene, ma benissimo il comitato elettorale di Valerio Donato a ribadire che per evitare ulteriori “sgarbi istituzionali” basterebbe riportare il Consiglio Regionale a Catanzaro». Probabilmente però vince tutto il sindaco facente funzioni di Reggio Calabria, Paolo Brunetti: «Si è deciso 50 anni fa di portare il capoluogo a Catanzaro. Ormai avevamo metabolizzato la cosa, però non stuzzicate la città di Reggio. Non fateci rispolverare l’idea d’avere qui la Giunta…»

    Vabbè: forse non ci si poteva aspettare molto altro dal Paese dei campanili e da una regione in cui si litiga pure per un lampione tra rioni e rughe di piccoli paesi. Ma far girare ancora, dopo mezzo secolo di fallimentare regionalismo, il disco rotto del «popu-campanilismo» (la definizione è del giornalista Giuseppe Smorto) è esattamente il contrario di ciò che davvero ci servirebbe: un po’ di sincera solidarietà e di sana ironia. Allora proviamo, per una volta, a non disunirci. E soprattutto a non prenderci sempre così tanto sul serio.

  • Città dei ragazzi, alla ricerca delle funzioni perdute

    Città dei ragazzi, alla ricerca delle funzioni perdute

    Parafrasando un bel film dei fratelli Coen, potremmo che dire che questa “Non è una città per ragazzi”. Eppure quello spazio colorato su via Panebianco era nato esattamente per loro. Era una idea di Mancini, di cui recente si è ricordata la morte e del quale si rivendica vanamente l’eredità. Di quella stagione la Città dei ragazzi è forse la sola cosa che resta. Piazza Bilotti e il ponte di Calatrava, così come viale Parco, nel tempo sono diventati una cosa diversa da quanto immaginato dal vecchio sindaco.
    Oggi, dopo l’immobilismo causato dalla pandemia, alcune pastoie burocratiche e forse anche una attenzione non esattamente vigile, minacciano di impedire il rilancio di quello spazio dedicato alla cultura e alla creatività.

    La concessione

    Accade infatti che nel 2020 le associazioni Teca, la Cooperativa delle donne e Don Bosco vincano un bando promosso dalla fondazione “Con i bambini” per fronteggiare la povertà educativa. Al loro fianco ci sono l’Istituto comprensivo Gullo e l’Unical. I fondi sono cospicui: 850mila euro. Ma per portare a compimento l’iter e realizzare il progetto alle tre associazioni serve avere uno spazio adeguato per un tempo congruo. Il Comune, allora guidato da Mario Occhiuto, concede loro la Città dei Ragazzi, sgravandosi di ogni costo. Poi la pandemia cambia ogni cosa. Palazzo dei Bruzi dopo una sola settimana revoca la concessione e dà due dei tre cubi alle aule della scuola De Matera.

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    Attività in uno dei cubi della Città dei ragazzi

    La stessa clausola che levava gli spazi alle associazioni, però, prevede la “provvisorietà” della revoca degli spazi. E questo alimenta l’aspettativa delle associazioni circa la restituzione, essendo stata dichiarata conclusa l’emergenza Covid.
    «Non vogliamo mandare via i bambini dai cubi – dice Antonio Curcio, dell’associazione Teca – ma immaginiamo di poter riprendere il progetto finanziato non appena l’anno scolastico si concluderà».

    Per questo le associazioni hanno scritto una Pec al Gabinetto del sindaco, per chiedere un confronto. Quella Pec per vie misteriose finisce sulla stampa prima che sul tavolo di Franz Caruso. Ma finisce inaspettatamente anche nel dibattito interno alla commissione consiliare per l’Istruzione. E lì il delegato del sindaco, Aldo Trecroci, annuncia candidamente che quegli spazi resteranno alla De Matera, «perché le scuole hanno la priorità». Scatenando un putiferio.

    Le opposizioni

    «Si sarebbe dovuto parlare di altro, ma incidentalmente Trecroci ha detto di aver ricevuto la chiamata della preside della De Matera, preoccupata per il rischio di perdere gli spazi per le aule della sua scuola», racconta Bianca Rende, posizionatasi dopo la comune vittoria elettorale, tra i banchi dell’opposizione. «Quello che la preside paventa come un rischio è esattamente quanto deve accadere», dice con veemenza la consigliera Rende. Per lei la Città dei ragazzi deve tornare rapidamente alla sua vocazione originaria.

    Non diversa la posizione di Giuseppe D’Ippolito, di Fratelli d’Italia. Quel luogo deve «essere restituito alla sua funzione sociale; chi governa deve valutare in che modo, ma non può essere destinato alle scuole», sostiene. E accusa l’amministrazione di «aver del tutto stravolto la visione manciniana».

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    Franz Caruso sul palco del suo comizio finale insieme ad altri tre sfidanti del primo turno passati dalla sua parte per il ballottaggio: Fabio Gallo, Bianca Rende e Francesco De Cicco (foto A. Bombini) – I Calabresi

    A rievocare l’emergenza che portò gli scolari della De Matera nei cubi della Città dei ragazzi è Francesco Caruso, all’epoca vicesindaco di Occhiuto. Il consigliere per il futuro immagina prioritariamente il ritorno delle associazioni in quello spazio, magari la condivisione del luogo «se necessario» anche con una scuola, domandandosi però «perché mai proprio la De Matera?».

    Troppe deleghe sovrapposte

    Tutti e tre gli esponenti dell’opposizione sparano ad alzo zero sulla frammentazione delle deleghe assegnate dal sindaco a troppi consiglieri. La cosa pare stia creando situazioni complicate, visto che spesso gli ambiti di intervento si sovrappongono. Per esempio questa vicenda vede coinvolte tre deleghe: l’istruzione, il welfare e l’educazione e non si capisce chi comanda. Sul punto specifico la Rende ha le idee chiare. E con disincanto dice ridendo che «a comandare su tutto è Incarnato». Padre e non figlia, si direbbe, visto che quest’ultima in Giunta ha le deleghe ad Urbanistica ed Edilizia.

    Il sindaco e il delegato

    Trecroci è un preside e ha la delega all’Istruzione. A scatenare la tempesta sono state le sue parole. Lui, però, le rivendica con fermezza: «È la posizione della maggioranza, ne ho parlato anche con il sindaco. Per noi le scuole hanno l’assoluta priorità».
    Forse però il sindaco era distratto. «Qui tutti parlano con tutti, salvo con chi decide, cioè il sindaco. Sull’argomento non ho delegato nessuno» dice Caruso, ammettendo che del futuro della Città dei Ragazzi «ancora non ne abbiamo parlato, anche perché fino a quando ci sono le scuole è difficile affrontare la questione». Di sicuro per il sindaco «è necessario rivitalizzare quello spazio, la cui destinazione deve essere partecipata e condivisa».

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    Il sindaco di Cosenza, Franz Caruso (foto A. Bombini) – I Calabresi

    Si apre il confronto

    «Quello spazio sociale ha avuto anche 120 mila presenze – spiega accorata Lucia Ambrosino, presidente della Cooperativa delle donne – perché non è una realtà solo legata all’area urbana, ma al territorio regionale. La lotta alla povertà educativa si fa assieme alla scuole, ma dobbiamo intenderci su come deve funzionare una idea di comunità».
    Le associazioni sono ottimiste, l’interlocuzione è appena cominciata. Sanno che quel luogo è una opportunità importante che nessuno vuole perdere. «È stata una sorta di aula decentrata, in accordo con le scuole. E lì devono tornare a svolgersi delle azioni come un museo della Scienza e progetti di reinserimento sociale».

    Ma in ballo ci sono 850 mila euro, di cui 84 mila investiti direttamente dalle associazioni. Inevitabile domandare ai rappresentanti se siano disposti a una guerra legale contro il Comune, nel caso la mediazione appena iniziata andasse male. Ambrosini e Curcio sono cauti, nessuno va al tavolo delle trattative con una pistola in mano. Dichiarano di non aver nemmeno preso in considerazione questo aspetto e quindi eludono la questione, esibendo ottimismo e fiducia, di cui presto conosceremo la fondatezza.

    Quale futuro per la Città dei ragazzi?

    Le associazioni sono pronte al confronto «per verificare quanto previsto dalla concessione, cercando di trovare una soluzione alle esigenze reali delle scuole», spiega Antonio Curcio.
    Ma in gioco ci sono parecchi quattrini, il lavoro di un bel po’ di persone e una idea precisa dell’uso di uno spazio sociale. E pure su questo si misura la qualità di una amministrazione.

  • Così fan tutti: una Calabria malata di parentopoli

    Così fan tutti: una Calabria malata di parentopoli

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    La recente polemica sulla mini parentopoli alla Provincia di Cosenza fa quasi tenerezza.
    Rispetto a decenni di nepotismi e comparaggi vari, praticati a tutti i livelli (e sempre intensivamente) non dà quasi nell’occhio che la presidente Rosaria Succurro abbia scelto come consulente suo marito Marco Ambrogio.

    Al riguardo, è arrivato puntuale il richiamo “storico” a Egidio Masella, ex assessore regionale di Rifondazione comunista, che  fu costretto a dimettersi all’inizio dell’era Loiero per aver tentato di assumere sua moglie, Lucia Apreda, nella propria struttura.

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    Marco Ambrogio e Rosaria Succurro

    Un caso da manuale

    Masella – che per quella vicenda ha subito un processo da cui fu prosciolto nel 2012 – ha avuto una menzione d’onore nientemeno che dalla Treccani, che cita la sua vicenda per chiarire il termine Parentopoli.
    Ma anche la storia dell’ex assessore rifondarolo risulta soft, se paragonata alla prassi (non solo) calabrese.

    Maledette telecamere

    Gli italiani si accorsero della Calabria grazie ad Anno Zero, la trasmissione di Michele Santoro, che immortalò il Consiglio regionale quando il cadavere di Francesco Fortugno era ancora caldo.
    «’u cumpari dù cumpari è tu cumpari», il compare del compare è tuo compare, disse Franco Morelli, ex capo di gabinetto di Giuseppe Chiaravalloti e allora consigliere in quota An, ripreso cheek to cheek con Domenico Crea, appena subentrato in Consiglio al posto di Fortugno. Oggi i due valgono assieme circa quindici anni. Di galera: a tanto ammontano le condanne ricevute per concorso esterno in associazione mafiosa.
    Ciò non toglie che allora avessero ragione: la Calabria funziona proprio come diceva Morelli.

    Il quinquennio di Chiaravalloti fu il regno di Bengodi, grazie al fatto che erano consentiti i cosiddetti “monogruppi”, cioè gruppi costituiti da un solo consigliere. Ciascun monogruppo poteva avere la sua struttura, composta di sette collaboratori al massimo, per un totale di 180 portaborse, con stipendi che andavano da un minimo di circa 1.700 euro netti a un massimo di 5mila e rotti lordi al mese.
    Di questi 180, raccontano alcuni ex funzionari, almeno 32 erano parenti diretti dei consiglieri.

    La “legge Masella”

    Questo andazzo, moralmente riprovevole, era tuttavia a norma di legge. L’affaire “Masella” costrinse la Regione a prendere provvedimenti seri.
    Il principale fu la legge regionale 16 del 22 novembre 2005, che introduceva una serie di incompatibilità per l’assunzione nelle strutture consiliari, tra cui il rapporto di parentela e affinità fino al terzo grado tra l’aspirante portaborse e il suo “patrono”.
    Con questa legge, la Calabria è stata la prima Regione a dotarsi di norme “antiparenti”. Un record doveroso, conferma oggi Peppe Bova, all’epoca presidente del Consiglio in quota Ds: «Eravamo giunti al limite e dovevamo dare un segnale forte».

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    Mario Pirillo è stato assessore regionale ed europarlamentare

    Album di famiglia

    Ma chi erano i consiglieri nepotisti? Dati i numeri, quasi tutti e forse menzionarne solo qualcuno significherebbe far torto agli altri.
    L’amministrazione Chiaravalloti si segnala anche per il famigerato Concorsone del 2001, destinato ai funzionari di partito. Tra gli illustri assunti, c’è (oltre al plurimenzionato Carlo Guccione), Salvatore Pirillo, ingegnere e figlio di Mario, big amanteano della Dc, transitato nella Margherita e poi nel Pd, assessore all’Agricoltura dell’era Loiero e poi europarlamentare.

    Mario & Giulio: cuori di padre

    Salvatore Pirillo emerse agli onori della cronaca nel 2010, quando Giulio Serra, consigliere di centrodestra dell’era Scopelliti, lo volle come suo collaboratore. In cambio, Pirillo senior assunse come propria collaboratrice, Roberta Pia Serra, manco a dirlo la figlia di Giulio.
    Ma Salvatore Pirillo non è solo un ingegnere. Infatti, ha ereditato da papà Mario la passione per la politica: è stato segretario del circolo Pd della “sua” Amantea nel 2014.

    Fedele… alla sua linea

    Nel caso di Luigi Fedele – assessore regionale durante l’amministrazione Caligiuri, poi presidente del Consiglio nell’era Chiaravalloti, infine assessore in quella Scopelliti – e finito nei guai per Rimborsopoli – più che di nepotismo si dovrebbe parlare di “compresenza”.

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    Luigi Fedele

    Infatti, suo fratello Giovanni, avvocato ed ex sindaco di Sant’Eufemia di Aspromonte, è entrato in Regione nel 2000 come collaboratore esperto della presidenza del Consiglio. Poi è diventato capo della medesima struttura fino al 2005. Ed è rimasto a Palazzo Campanella dove, da circa un decennio, è dirigente di settore.

    Gianni Nucera: l’asso pigliatutto

    Il recordman potrebbe essere Gianni Nucera, ex big dell’Udc. Nella sua struttura, all’inizio dell’era Loiero, c’erano sua moglie Felicia Pensabene e i figli Carmela e Francesco.
    Per evitare lo tsunami che allora travolgeva Masella, Nucera azzerò la struttura. Ma la famiglia può essere anche allargata: Nucera è cognato di Giuseppe Suraci, padre di Grazia Suraci, anche lei collaboratrice del consiglio regionale e moglie dell’ex assessore regionale Antonino De Gaetano, poi finito nei guai per l’inchiesta Erga Omnes.
    Grazia ha una sorella, Giuseppina Suraci, che ha collaborato con Antonio Billari, allievo di De Gaetano e consigliere regionale nell’era Santelli.

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    Maurizio Priolo, superburocrate della Regione Calabria

    Maurizio & Stefano Priolo: Regione di famiglia

    Non si può, a questo punto, passare sotto silenzio la vicenda della famiglia Priolo. Stefano Priolo, il padre, è stato consigliere nella Prima Repubblica. Attualmente presidente dell’Associazione ex consiglieri regionali, Priolo sr. passerà alla storia per la sua battaglia contro la riduzione dei vitalizi.

    Suo figlio Maurizio è un superburocrate della Regione, in cui è entrato senza concorso. Al momento, è impegnato in un braccio di ferro giudiziario contro Maria Stefania Lauria, che ha preso il suo ruolo, incluso il lucrosissimo stipendio a Palazzo Campanella…

    Sviluppo Italia: il parentificio

    Chiediamo scusa ai consiglieri regionali non menzionati (rimedieremo quanto prima) e passiamo all’over the top: l’agenzia Sviluppo Italia, che in Calabria pullulava di nomi eccellenti.
    Ne citiamo solo qualcuno: Paola Santelli, sorella minore della compianta Jole, Cecilia Rhodio, la figlia di Guido, presidente di Regione negli anni ruggenti della Dc.
    Sempre a proposito di notabili Dc: come non ricordare Luigi Camo, figlio dell’ex senatore scudocrociato Geppino? Ma faremmo un torto maggiore se non citassimo Cristiana Miceli, moglie di Geppino.

    https://icalabresi.it/fatti/regione-calabria-la-guerra-dei-mandarini-per-la-poltrona-da-240mila-euro/
    Roberto Occhiuto

    La fine della Balena Bianca non comportò la fine delle relative pratiche: infatti, in Sviluppo Italia figuravano Giada Fedele, ex moglie di Roberto Occhiuto, e Giovanna Campanaro, nipote della compianta Annamaria Nucci, ex deputata ed ex assessora al Bilancio di Cosenza nell’era Perugini.
    Non potevano mancare i Gentile: al riguardo, figurano nella lista Sandro Mazzuca, nipote di Pino Gentile, e sua moglie Fausta D’Ambrosio.
    Sviluppo Italia andò in liquidazione nell’era Loiero. Che fine hanno fatto i dipendenti (in totale 180)? Assorbiti a vario titolo dalla Regione e da altri enti.

    Così fan tutti

    Sul familismo calabrese la classe politica nazionale ha puntato poco il dito, anche perché ciascuno ha i suoi peccati. Certo è che non può fare la morale a nessuno la presidente del Senato Elisabetta Casellati, che quando era sottosegretaria della Presidenza del Consiglio nominò sua consulente la figlia Ludovica.
    Tantomeno può farla Salvini, che si trovò agli onori delle cronache a metà dello scorso decennio perché la sua compagna fu assunta dalla Regione Lombardia, allora egemonizzata dalla Lega.

    Per tornare in Calabria

    «Allora, uno non può lavorare se è figlio di qualcuno?», si chiese attonito davanti alla stampa Umberto De Rose, lo stampatore coinvolto nell’Ora Gate, a proposito di Andrea Gentile, figlio del senatore Tonino Gentile.

    Umberto De Rose

    Andrea era finito nel mirino degli inquirenti per alcune consulenze ricevute dall’Asp di Cosenza. A dirla tutta, nella parentopoli gentiliana era coinvolta anche Lory Gentile, la sorella di Andrea, che aveva lavorato per Fincalabra, diretta all’epoca dallo stesso De Rose, condannato per questo motivo dalla Corte dei Conti.

    A questo punto è doverosa una precisazione: non abbiamo menzionato i figli dei politici che fanno politica perché i rampolli illustri hanno almeno l’onere formale di procacciarsi i voti. Vale per Katya Gentile, la figlia di Pino, e per il citato Andrea.

    Parentopoli sanitaria

    Anche fuori dalla politica c’è chi ha fatto qualcosa.
    Ad esempio, l’ex commissaria straordinaria dell’Asp di Cosenza Daniela Saitta, finita nella bufera per aver dato una consulenza a sua figlia, Cristina Di Lazzaro.

    Incarnato family: un apostrofo rosa

    Si è parlato, a proposito dell’attuale amministrazione cosentina di Franz Caruso, di un curioso nepotismo alla rovescia, grazie al quale Luigi Incarnato è diventato capo di Gabinetto di Caruso dopo che sua figlia Pina è stata eletta consigliera (e poi nominata assessora) nell’attuale maggioranza.

    https://icalabresi.it/fatti/regione-calabria-la-guerra-dei-mandarini-per-la-poltrona-da-240mila-euro/
    Pina Incarnato

    Il caso è borderline, sia perché Incarnato fa il capo di Gabinetto gratis sia perché è stato uno degli organizzatori della coalizione di centrosinistra.
    Eppure la parentela non è più stretta per un soffio: Incarnato e Caruso, da sempre assieme nel Psi, sono stati a lungo consuoceri, perché Pina è la ex fidanzata del figlio del sindaco…
    Chi trova un amico trova un tesoro. Ma chi ha un parente trova di più.

  • Province, cronaca di una morte (solo) annunciata

    Province, cronaca di una morte (solo) annunciata

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    Appena l’argomento, per qualche insondabile motivo, viene fuori in una discussione, la domanda scatta automatica: «Ma le Province non le avevano abolite?». A quel punto i più informati rispondono con il tono di chi la sa lunga: «Macché… hanno abolito solo le elezioni». Alla fine è così. Eppure delle Province si parla ancora. E se ne parla, con qualche ragione, molto male.

    Non è questione rimandabile all’antropologia dei campanili e nemmeno all’ormai discendente parabola anticasta. È che, evidentemente, anche nei suoi anfratti meno appetibili e più discussi, il potere attira sempre e comunque l’attenzione. Per comprendere le ragioni della lunga agonia di questi enti, intermedi e dunque transitori quasi per definizione, bisogna però andare oltre le gaffe e le liti spicciole a cui ci ha abituati la politica nostrana.

    Le Province dall’Italia preunitaria a oggi

    Senza addentrarsi in discussioni per feticisti dell’ingegneria istituzionale, è utile ricordare che le Province trovano fondamento nell’art. 114 della Costituzione, ma in realtà sono più vecchie della stessa Italia unita: le creò, quando ancora c’era il Regno di Sardegna (1859), Urbano Rattazzi, ministro dell’Interno del governo La Marmora, mutuando il sistema francese dopo l’annessione di alcune parti della Lombardia.

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    Un ritratto di Urbano Rattazzi: fu lui a istituire le Province in Italia

    Da 95 sono poi arrivate a essere 110. Oggi nelle regioni ordinarie sono 76, più 14 città metropolitane. A cui si devono aggiungere 6 liberi consorzi (le ex province della Sicilia non trasformate in Città metropolitane), 4 province sarde, le 2 province autonome di Trento e Bolzano, 4 del Friuli Venezia Giulia che servono però solo alla geografia e alla statistica non essendo enti politici autonomi.

    In Calabria erano 3 fino al 1992. Poi in quell’infornata – che comprendeva Biella, Lecco, Lodi, Rimini, Prato e Verbano-Cusio-Ossola – rientrarono anche Crotone e Vibo Valentia. Poco prima dello scorso Natale è arrivato il rinnovo dei loro consigli provinciali, come pure di quelli di Catanzaro e Cosenza. In quest’ultima, come a dicembre anche a Crotone, ora è cambiato anche il presidente. A breve ce ne sarà uno nuovo pure a Catanzaro.

    Il consiglio ogni due anni, il presidente ogni quattro

    A proposito di elezioni, dal 2014 in poi (riforma Delrio) sono arrivate un po’ di novità. Tra queste il fatto che i consigli provinciali si rinnovano ogni due anni mentre il presidente ogni quattro. La giunta provinciale non esiste più. E a eleggere sia i consiglieri che il presidente sono sindaci e consiglieri comunali del territorio, il cui voto “pesa” in base alla popolazione del Comune di appartenenza. È un aspetto che sembra bizzarro, ma non è certo quello più paradossale delle “nuove” Province, enti in cui spesso il fattore politico va oltre la classica dialettica maggioranza/opposizione.

    Centrodestra alla riscossa

    I risultati di queste ultime votazioni, in Calabria, pendono molto verso il centrodestra. A Cosenza c’era stato un sostanziale pareggio tra i consiglieri. Poi la Presidenza è andata alla sindaca di San Giovanni in Fiore (area Forza Italia) Rosaria Succurro. Divisioni e disastri targati centrosinistra hanno chiuso la partita già prima del voto anche a Crotone, dove ha vinto il sindaco di centrodestra di Cirò Marina, Sergio Ferrari. A Catanzaro, nonostante le divisioni già striscianti e ora esplose in vista delle Comunali, i consiglieri restano in maggioranza di destra. Nei prossimi mesi si dovrà scegliere il successore di Sergio Abramo. A Vibo ha trovato conferma  il peso forzista, ma ne ha acquistato parecchio anche Coraggio Italia.

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    Rosaria Succurro, fresca di elezione a presidente della Provincia di Cosenza

     

    Reggio in attesa di funzioni

    Poi c’è Reggio, dove la Provincia ha ceduto il posto alla Città metropolitana. Da novembre, cioè dalla condanna di Giuseppe Falcomatà per il “caso Miramare”, la regge il facente funzione Carmelo Versace, che è un dirigente di Azione di Carlo Calenda. In teoria le Città metropolitane avrebbero anche più funzioni delle Province. Quella di Reggio è però l’unica in Italia a cui la Regione non le ha ancora attribuite, nonostante debba farlo per legge.

    Vibo e i conti che non tornano

    La Provincia di Vibo è famigerata per il disastro finanziario in cui è stata cacciata. Sta ancora cercando di uscire dal dissesto dichiarato nel 2013. Uno spiraglio di luce si era visto a novembre, quando la Commissione liquidatrice ha approvato il Piano di estinzione dei debiti: default chiuso con una massa passiva quantificata in 14,8 milioni di euro distribuiti a circa 1.200 creditori. A fine marzo però è venuto fuori che serve un nuovo Piano. Ci si è accorti che i prospetti contabili andavano aggiornati e che la massa passiva totale era in realtà di 25 milioni di euro. Dunque ne ce sono ancora altri 11 da liquidare.

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    Salvatore Solano stringe la mano a Papa Francesco

    La necessità di un aggiornamento l’ha segnalata alla Commissione lo stesso presidente della Provincia di Vibo, Salvatore Solano, finito nel processo “Petrolmafie”. Lui ha sempre dichiarato fiducia nella giustizi,a ma anche la sua totale estraneità alle accuse che gli vengono contestate. Forza Italia però, che pure lo aveva scelto nell’ottobre del 2018, lo ha scaricato politicamente.

    Catanzaro, da ente modello al rischio dissesto

    Problemi di natura diversa li ha invece Abramo, che si accinge a chiudere tra ben poche glorie il suo ciclo da sindaco e da presidente della Provincia di Catanzaro. L’ente che visse un’epoca descritta come d’oro con Michele Traversa e poi con Wanda Ferro era considerato infatti un modello di buona amministrazione. Fin quando, proprio con Abramo, è scoppiata la bolla dei derivati, operazioni di swap contratte nel 2007 (con Traversa) per oltre 216 milioni di euro e ora annullate in autotutela da Abramo. Che si ritrova con la grana dei ricorsi presentati al Tar dalle banche, e con il rischio del dissesto e di non riuscire a pagare nemmeno gli stipendi dei dipendenti.

    Sede_Provincia_di_CatanzaroSulle disgrazie politiche del centrosinistra un po’ ovunque e da ultimo a Cosenza, così come sull’esordio non felicissimo della presidente Succurro che ha subito assegnato un incarico (gratuito) al marito, non serve indugiare oltre. Può invece essere utile ragionare sui contorni del limbo politico-amministrativo in cui sono stati costretti questi enti, schiacciati tra Regioni e Comuni e menomati da interventi legislativi molto discutibili.

    Cinque miliardi in meno per le Province

    Partiamo dai tagli, iniziati già dal 2010 e dunque ancora prima della Delrio. Secondo uno studio della fondazione Openpolis ammontano a ben 5 miliardi di euro i trasferimenti statali decurtati negli anni. Con una conseguenza prevedibile: «Ciò ha portato ad una riduzione dei servizi e soprattutto negli investimenti (ad esempio infrastrutture di trasporto -65%)».

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    La sede dell’ex Provincia, oggi Città metropolitana, di Reggio Calabria

    La Calabria si contraddistingue per un forte accentramento verso la Regione delle funzioni che erano prima delle “vecchie” Province. Unica eccezione la Città metropolitana, che ne ha invece mantenute molte. Per farsi un’idea dell’importanza che invece hanno le poche funzioni rimaste oggi in capo alle “nuove” Province è sufficiente menzionare due settori chiave.

    Due settori chiave

    Innanzitutto la manutenzione dell’edilizia scolastica: si parla a livello nazionale di 5.179 edifici (che ospitano di 2,6 milioni di studenti), il 41,2% dei quali si trova in zona a rischio sismico. Nella nostra regione il 10,4% risulta vetusto, il 3,8% è in zona sottoposta a vincolo idrogeologico. E poi le strade provinciali, una di quelle cose che attirano su questi enti maledizioni e improperi perfino dai cittadini più morigerati. In Calabria le Province gestiscono 7.713 km di strade, molte delle quali in zone di montagna e disagiate: il 44,75% dei 2.578 km di strade della Provincia di Cosenza è sopra i 600 metri sul livello del mare, così come il 47,34% (su 1.690 km totali) di quella di Catanzaro, il 30,5% (su 818 km) di quella di Crotone, il 25% (su 875 km) di quella di Vibo e il 16,95% (su 1752 km) di quella di Reggio.

    Il paradosso delle nuove Province

    Dare risposte alle giuste rivendicazioni degli utenti, in queste condizioni e con pochi fondi a disposizione – le tasse principali che vanno alle Province sono quelle per Rc e trasferimento dei veicoli – diventa dunque complicato. E il problema del passaggio delle funzioni – e dei beni ad esse collegati – resta completamente irrisolto. La Delrio nasceva come norma transitoria verso il (poi fallito) referendum renziano del 2016 che avrebbe dovuto eliminare le Province dalla Costituzione. Invece quella legge, che doveva essere provvisoria, disciplina ancora oggi il funzionamento di questi enti.

    Nel frattempo la retorica dei tagli ha prodotto un altro paradosso: sono nati moltissimi nuovi enti (circa un migliaio tra unioni di Comuni, autorità di bacino, consorzi e quant’altro) proprio per aiutare i Comuni nella cogestione dei servizi. Un decennio di propaganda e di sperimentazioni normative sulle Province ha dunque generato un evitabile caos istituzionale. E un vuoto riempito solo dall’inettitudine delle classi dirigenti nazionali e locali.

  • Delrio: «La durata della guerra dipende da noi. E basta con l’ideologia del mercato»

    Delrio: «La durata della guerra dipende da noi. E basta con l’ideologia del mercato»

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    Graziano Delrio rappresenta bene quel misto di concretezza e di valori che esprime la terra e la cultura emiliana. Nato a Reggio Emilia sessantadue anni fa, è deputato per il Pd dal 2018. Dei dem è stato anche capogruppo alla Camera dei deputati per i primi tre anni della legislatura corrente.
    Nella sua esperienza politica, il territorio ha sempre rappresentato una dimensione di primario rilievo, che ha però sempre unito ad una visione di carattere generale.

    È stato sindaco di Reggio Emilia dal 2004 al 2013, ricoprendo anche l’incarico di presidente dell’ANCI da ottobre 2011 ad aprile 2013. Ministro per gli Affari regionali e le Autonomie nel governo Letta, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti dal 2015 al 2018, prima nel governo Renzi e poi riconfermato in carica nel governo Gentiloni. Nel governo Renzi ha rivestito anche la carica di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, prima della sua nomina a ministro.
    Lo incontriamo a Napoli, nel corso della presentazione del libro L’illusione liberista (Laterza) di Andrea Boitani.

    Quali riflessioni induce il volume di Andrea Boitani?

    «L’ideologia del mercato offusca i dati di realtà. Nuotiamo, ormai da decenni, inconsapevolmente in questo schema di pensiero, e non ci accorgiamo nemmeno più che si tratta di una costruzione ideologica. Abbiamo perduto la capacità di guardare criticamente ai guasti che questo approccio, non solo economico, ha causato, e sta causando, alla vita delle nostre comunità.

    Viviamo tempi di guerra: quali implicazioni e quali lezioni possiamo trarre dalle terribile tragedia ucraina?

    «Dobbiamo innanzitutto tornare a prendere su noi stessi il carico delle responsabilità. La durata della guerra dipende da noi, da nostri comportamenti, dalle idee che siamo in grado di mettere in campo, dal rifiuto della rassegnazione. Sentiamo dire in questi giorni che sarà un conflitto destinato a durare anni. Non possiamo accettarlo passivamente. Esistono forze certamente interessate alla lunga durata della guerra: i mercanti di armi, i nemici delle democrazie, i suscitatori di odio».

    Come possiamo riprendere il mano il nostro destino? Da quali temi occorre ripartire per restituire protagonismo alla politica?

    esercito-ue«L’aumento delle spese militari di ogni Paese è un obiettivo totalmente improduttivo, non risponde affatto alle logiche di difesa dei territori o di sostegno ai resistenti ucraini. Non ho votato per il 2% del Pil destinato alle spese militari. L’ho fatto perché responsabilità della politica è costruire coerenza tra strumenti e fini. Oggi il fine primario per noi è costruire gli Stati Uniti d’Europa, e quindi mettere in campo anche un esercito comunitario».

    Cosa cambia se si adotta questo angolo visuale sulle priorità?

    «Se si persegue questo obiettivo, lo strumento non può essere un aumento generalizzato delle spese militari, perché ci sarà da effettuare un enorme lavoro di razionalizzazione della spesa, che consentirà di disporre di un esercito maggiormente efficiente e tecnologico, con un minor dispendio di risorse economiche. Lo strumento militare deve essere orientato rispetto ai fini. Se non abbiamo chiarezza sui fini, tutto diventa confuso».

    Possiamo cercare di diradare almeno alcune delle ombre?

    «Lo scenario geopolitico è completamente cambiato, e non ce ne siamo accorti. Stiamo ancora subendo passivamente decisioni di altri, piuttosto che diventare padroni del nostro destino. Da diversi anni gli Stati Uniti stanno disimpegnandosi dallo scacchiere europeo, e chiedono continuamente un consistente aumento di spese militari da parte della Unione Europea».

    Quali sono le implicazioni di questo orientamento?

    «Dietro questa decisione c’è la volontà americana di smobilitare in questo quadrante per dedicare tutte le energie al contesto del Pacifico, al confronto con la Cina che è considerata la potenza emergente più pericolosa per l’egemonia statunitense. È questa la ragione che ha indotto gli USA a considerare la Russia come una potenza di media grandezza, suscitando un ritorno di fiamma del nazionalismo russo».

    Joe Biden e Xi Jinping

    Dove stanno le matrici ideologiche che inducono la Russia alla invasione della Ucraina?

    «Dietro a Putin c’è una ideologia non solo economica, ma anche religiosa. Trent’anni fa, un sacerdote ortodosso ucraino mi spiegò che la Russia ha sempre assorbito i mali del mondo: prima con Napoleone, poi con Hitler ed infine con l’ideologia tecno-economica. Dobbiamo stare attenti: la Russia è parte dell’Europa come l’Ucraina, l’immagine riflessa del nostro specchio. La sua anima resta collegata agli sviluppi della società occidentale».

    C’entra qualcosa il neoliberismo in tutto quello che sta accadendo?

    «Il mercato, da mezzo, è diventato fine. I prezzi non sostituiscono i valori morali. Se tutto diventa prezzo, o prestazione, i valori crollano, e si afferma il relativismo basato sul perseguimento della utilità privata. Nella storia delle idee il primato della sfera collettiva era chiaramente definito.
    Per Aristotele, l’obiettivo era la ricerca della felicità per la città, oggi la felicità è diventata la ricerca della massima utilità individuale. Abbiamo messo al centro della nostra vita sociale l’homo oeconomicus, non più l’homo sapiens. La differenza è abissale: mentre per il primo funziona solo il meccanismo della competizione sfrenata guidata dall’interesse proprio, per il secondo la comunità funziona con il meccanismo della cooperazione».

    Come possiamo riequilibrare le distorsioni che l’ideologia neoliberista ha determinato nel tessuto delle nostre società?

    «Il mercato ed il capitalismo non vivono senza regole e senza istituzioni. Ce ne siamo accorti che le crisi finanziarie ed economiche che si sono susseguite dal 2007 in avanti, sino ad arrivare poi alla pandemia ed alla guerra. Ora siamo ad un bivio nel quale la politica deve riprendere la sua responsabilità. Sono i valori civili, morali e costituzionali quelli che determinano la qualità della vita collettiva».

    Come la politica può lanciare la sfida al mercato senza regole che distrugge valore e valori?

    «Dobbiamo tornare a creare legami di comunità e di fiducia, che in realtà servono al mercato ed anche alla società. Gli studi antropologici, da Lévi-Strauss a Marcel Mauss, dimostrano che i gesti di gratuità hanno formato la nostra comunità. Il mercato deve tornare entro il perimetro in cui funziona, accettando le regole di funzionamento che le istituzioni devono sempre presidiare con grande attenzione».

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    Claude Lévi-Strauss

    Quale ruolo deve svolgere lo Stato in questo ridisegno della responsabilità nella politica?

    «Lo Stato deve essere non solo l’arbitro del mercato, per evitare che gli individualismi esasperati costruiscano diseguaglianze intollerabili e monopoli prepotenti. Le istituzioni debbono porre anche le premesse dello sviluppo attraverso la programmazione e la definizione delle rotte lungo le quali debbono dispiegarsi gli strumenti della cooperazione e della fiducia».

    Quanto ha giocato, nella storia recente del nostro Paese, un regionalismo sghembo, che ha reclamato poteri senza assumersi responsabilità, oltretutto dispiegando sui territori una offerta di servizi sociali ad alto tasso di variabilità?

    «Il valore dell’autonomia non è in discussione. Autonomia però significa responsabilità maggiori e vicinanza in un quadro di diritti esigibili comuni a tutti i territori. Non anarchia e inefficienza».

    Perché non ha funzionato l’istituzione della città metropolitana, che pure coglieva l’esigenza di offrire maggiori strumenti di governance alle aree vaste che si erano sviluppate attorno alle principali città del nostro Paese? Alla legge Delrio serviva anche un sistema di elezione diretta del sindaco metropolitano, oppure serviva anche altro ?

    «Dopo 40 anni di discussione la legge istitutiva delle città metropolitane è arrivata. Prevedeva già la possibilità delle elezione diretta. Perché le leggi abbiano effetto bisogna crederci, e continuare a lavorarci in spirito cooperativo e non competitivo fra i comuni».

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    Le città metropolitane d’Italia

    Quando il Mezzogiorno è cresciuto più del resto del Paese, c’è stato – tra metà degli anni Cinquanta ed inizio degli anni Settanta del secolo passato – il miracolo economico italiano. Poi, con la riapertura della forbice delle diseguaglianze territoriali, il calabrone italiano ha smesso di volare, è il declino è diventata la nuova parabola italiana. Come possiamo far tornare il Mezzogiorno un protagonista della ripresa civile ed economica del nostro Paese?

    «Sono convinto che il Mezzogiorno sia il vero motore per uno sviluppo duraturo del nostro Paese. La scommessa si vince nel rafforzamento delle istituzioni pubbliche a partire da scuola ed università. Un sistema sanitario efficace e vicino, è prerequisito allo sviluppo dell’impresa sostenibile che anche al Sud può giocare con i nuovi fondi del Next Generation un ruolo propulsivo al benessere dei territori.
    Va fermato subito l’esodo del capitale umano. I tanti giovani che emigrano devono poter trovare un sistema, anche pubblico, forte, che offra loro opportunità per una vita dignitosa».