Il compenso per Azienda Zero in Calabria e l’incarico in Liguria
Il decreto con cui Occhiuto lo nomina sintetizza i suoi compiti e rivela le due fasi con cui dovrà, sostanzialmente, svuotare di parecchie funzioni le Aziende sanitarie. E supervisionare, di fatto commissariandolo, il dipartimento Salute della Cittadella. Non provate però a scervellarvi per capire con precisione quanto Profiti guadagni tra Calabria e Liguria. Si sa che qui, in ragione «della natura straordinaria dell’incarico», percepirà un compenso corrispondente al 90% di quello che prendono i dg delle Asp. A cui però si sommerà il «rimborso delle spese di missione sostenute in ragione dell’incarico» che, ad occhio, non sarà irrisorio. Le sezioni “amministrazione trasparente” delle Asp calabresi e della Regione Liguria non regalano più dettagliate soddisfazioni. A occhio, comunque, prenderà, senza contare i rimborsi, qualcosa in più di 100mila euro annui per ciascuno dei due incarichi.
Giuseppe Profiti
Come cambia la governance della sanità
Di certo Profiti ha davanti obiettivi e aspettative parecchio difficili da soddisfare, dunque non è il caso di fargli più di tanto i conti in tasca. Vale la pena, piuttosto, tentare di capire, al di fuori del burocratese, cosa accadrà ora alla catena di comando della sanità calabrese. È evidente, dalle carte, che la sostanza dell’incarico del numero uno di Azienda Zero in Calabria sia stata concordata da Occhiuto con i Ministeri (Salute ed Economia) che controllano la nostra sanità. Tutto è infatti previsto nel Programma Operativo 2022-2025 concordato con il Tavolo Adduce e in via di approvazione.
Accentramento e ripartizione
Gli step fondamentali sono due. In primo luogo Profiti dovrà governare il «riposizionamento» delle funzioni delle Asp, che passeranno «al livello regionale», e si occuperà della «riallocazione» e del «reclutamento» delle figure professionali «necessarie al funzionamento del modello organizzativo ipotizzato». Dunque Azienda zero accentra tutto a sé, come previsto dalla legge con cui è stata istituita. Intanto. Poi, con il secondo step, procederà alla «ripartizione delle competenze e delle risorse professionali» acquisite. E distinguerà «tra competenze di indirizzo e programmazione destinate necessariamente a permanere in capo al livello regionale» e competenze «di carattere operativo e gestionale» da assegnare sempre all’interno della sfera di attività di Azienda Zero in Calabria.
Il braccio di Occhiuto a Roma
Altre due cose fondamentali contenute nel decreto di nomina di Profiti. Il prof che condividiamo con la Liguria dovrà occuparsi del «supporto del Commissario ad acta per l’attuazione del Piano di rientro», cioè Occhiuto. E potrà rappresentarlo «presso sedi istituzionali regionali e nazionali sulla base di apposita delega anche permanente». Un vero e proprio braccio destro. Che dovrà aiutare il presidente della Regione nel suo delicato compito in Calabria e farne le veci ai tavoli romani sulla sanità.
Il team di Occhiuto all’ultimo incontro al Mef (Profiti è l’ultimo)
Il dipartimento “commissariato”
Seconda cosa importante. A Profiti viene attribuito «il coordinamento del Dipartimento Tutela della Salute e Servizi Sociali e Socio Sanitari avvalendosi delle sue strutture nonché di quelle facenti capo al Commissario ad acta», e «disponendo delle risorse umane, finanziarie e strumentali» anche sulla base di «apposito Dca da adottarsi allo scopo». Insomma, com’era intuibile fin dai primi passi di Azienda Zero, il dipartimento Sanità della Regione viene di fatto commissariato. E Profiti sarà una sorta di deus ex machina per tutta la struttura amministrativa sia degli uffici della Cittadella sia di quelli della struttura commissariale.
Incarico di 1 anno e verifiche ogni 3 mesi
Il suo incarico ha durata annuale ed è prorogabile per una sola volta. Fin quando non sarà nominato un direttore generale. Occhiuto verificherà «periodicamente e, comunque, ogni tre mesi» l’operato del commissario di AZ «e, in caso di valutazione negativa, ne disporrà la revoca dall’incarico, previa verifica in contraddittorio». Ora non resta che attendere che la giunta regionale, come prevede la legge, predisponga una delibera che disciplini «il funzionamento e i tempi di attuazione dell’Azienda Zero». Che poi con un suo Atto aziendale determinerà l’organizzazione degli uffici e delle funzioni.
Occhiuto durante il Tavolo Adduce affiancato da Profiti
Da dove si prendono i soldi per Azienda Zero
Per la propria attività, AZ utilizzerà finanziamenti assegnati dalla Regione, a carico del fondo sanitario regionale. La legge che l’ha istituita ha indicato oneri per 700mila euro all’anno per gli esercizi 2022-2024. Che arriveranno dalla prevista riduzione della spesa per le funzioni assorbite dalle Asp. Ovviamente resta l’interrogativo più grande. Si capirà nei prossimi mesi (o anni) come e in che misura questa “rivoluzione” accentratrice porterà ad approvare i bilanci delle Aspche non riescono a farlo da anni, ad accertare il debito e il meccanismo che lo alimenta, a ridurre l’emigrazione sanitaria e a far salire i famigerati Lea (Livelli essenziali di assistenza) che continuano a focalizzare il sistema sanitario regionale come il peggiore d’Italia. Costringendo a un calvario, ormai percepito come inesorabile, centinaia di migliaia di pazienti calabresi.
Sono due i candidati a sindaco del Comune di Cirò, paese che torna al voto il prossimo 12 giugno. Uno è l’uscente, l’avvocato Francesco Paletta. Già vice sindaco, assessore in passate consiliature e consigliere comunale dal 2003, Paletta sfiderà il medico Mario Sculco, che è stato presidente dell’assise civica e sostenitore dello stesso Paletta nel 2017.
Un territorio complicato, quello di Cirò. Proprio lì c’è stata la prima amministrazione comunale sciolta per infiltrazioni mafiose in assoluto nella provincia di Crotone nel 2001. Ma anche quella che ha “fatto giurisprudenza” salvandosi dallo scioglimento del 2013 con un ribaltamento operato dal Tar del Lazio, prima, e dal Consiglio di Stato dopo nel 2015.
Il procuratore di Catanzaro, Nicola Gratteri
L’operazione Stige
Certo, dopo la maxi operazione “Stige” del 2018 della Dda di Catanzaro, che ha portato allo scioglimento dell’amministrazione della vicina Cirò Marina (città che oggi, invece, esprime nuovamente il presidente della Provincia, ma anche un consigliere regionale), l’attenzione pubblica su ciò che avviene nel Cirotano è ancora maggiore, soprattutto in occasione delle competizioni elettorali.
«È cambiato il rapporto tra mafia e politica. Oggi i clan gestiscono direttamente la cosa pubblica» dichiarò pubblicamente il procuratore capo Nicola Gratteri a seguito della citata operazione “Stige” in cui sono rimasti coinvolti (e condannati) numerosi amministratori locali.
Farao-Marincola: le mani su Cirò
Già, perché a Cirò, come dimostrano molteplici operazioni di polizia, con risultanze che hanno trovato conferma in sentenze definitive passate in giudicato, non solo esiste, ma è anche operativo, pervasivo e radicato il clan Farao-Marincola.
La sentenza “Galassia” emessa dalla Corte di Assise di Appello di Catanzaro l’11 agosto 2001, divenuta irrevocabile, sancì l’esistenza e l’operatività a Cirò e dintorni di questa associazione per delinquere armata, di tipo mafioso. A dirigerla, a partire dal 1977, e sino alla fine degli anni ’90, Nicodemo Aloe. Dopo l’uccisione di quest’ultimo, sono stati invece Giuseppe e Silvio Farao e Cataldo Marincola. Anche le operazioni “Eclissi”, “Scacco Matto”, “Dust” e “Bellerofonte” portarono alla conferma dell’esistenza del locale di Cirò.
Le condanne di Stige
«Siamo di fronte a un locale, quello di Cirò, antico, che partecipa al Crimine e al Tribunale della ‘ndrangheta. È una struttura così radicata nel territorio che non necessita neanche più di fare intimidazioni» ha dichiarato Nicola Gratteri. La sua Procura ha ottenuto nel processo di appello di Stige, lo scorso settembre, la condanna (in abbreviato) a 20 anni per il figlio di Silvio Farao. Per quest’ultimo e suo fratello Giuseppe, invece, una condanna (in ordinario) 30 anni di carcere in primo grado.
Non di secondo rilievo è l’ultima relazione della Dia, risalente al primo settembre 2021 (e, quindi, post-Stige) dove si trova conferma dell’operatività dei Farao-Marincola a Cirò.
Silvio Farao, appartenente alla potentissima cosca di Cirò
Legalità a Cirò
Sia all’interno del programma elettorale “Attivamente Cirò” del sindaco uscente Francesco Paletta, sia in quello di “Progetto Cirò” di Mario Sculco, pubblicati entrambi sull’albo pretorio del Comune, non si fa alcun riferimento però a mafie e ‘ndrangheta.
Nel programma di Paletta si legge: «Oggi più che mai si sente il bisogno di educazione alla legalità per una promozione trasparente e pulita della crescita del territorio». In un altro passaggio dice: «Legalità, trasparenza ed efficienza continueranno ad essere i punti fermi della nostra azione amministrativa».
Continua: «Per noi la garanzia saranno i tanti progetti messi in cantiere che dovranno trovare esecuzioni nei prossimi 5 anni e continuare a mantenere un clima di serenità e legalità attraverso il rispetto delle regole uguali per tutti». Più timido in questo senso pare essere quello di Sculco, in cui si legge: «Verità, trasparenza e lealtà devono caratterizzare la macchina amministrativa ed essere alla base dello sviluppo individuale, sociale, economico e spirituale di tutti cittadini».
Due domande
Entrambi i candidati a sindaco sono stati contattati da I Calabresi. Abbiamo rivolto loro due domande:
Prende le distanze dal clan Farao Marincola?
Dichiara di non volere i loro voti e quelli delle altre mafie presenti sul territorio?
Francesco Paletta ci ha risposto dopo un paio di giorni: «Non ho nessun rapporto né con associazioni né con cosche. Non voglio i voti di nessun tipo di mafia, di nessuna cosca, di nessuna organizzazione criminale. Ho bisogno solo dei voti dei cittadini perbene». Silenzio, invece, da Sculco.
Lo scioglimento di Cirò nel 2001
A guidare l’amministrazione di Cirò eletta nell’aprile del 1997 e sciolta nel febbraio 2021, pochi mesi prima della scadenza naturale della consiliatura, c’era Antonio Sculco, fratello dell’attuale candidato, all’epoca al secondo mandato ed eletto con l’80% dei voti.
Giova premettere che a seguito di quello scioglimento, al netto di una condanna definitiva per danno erariale di cui si dirà, non c’è stata per Antonio Sculco alcuna conseguenza penale.
In ogni caso, come ricordato da Claudio Cavaliere nel suo libro Un vaso di coccio. Dai governi locali ai governi privati: comuni sciolti per mafia e sistema politico istituzionale in Calabria (2004, Rubbettino), l’accesso antimafia disposto dal prefetto all’epoca, avvalorò la sussistenza delle ipotesi di infiltrazione, mettendo in evidenza «la stretta ed intricata rete di parentele, affinità, amicizie e frequentazioni, che vincola la maggior parte degli amministratori comunali, così come numerosi dipendenti ed esponenti delle cosche locali» e che il Tar ritenne poi che le risultanze siano state «inequivoche e rivelatrici di un inquinamento ambientale tra amministrazione e malavita organizzata».
Enzo Bianco, ex ministro dell’Interno
Condizionamenti esterni
Nel decreto di scioglimento del 2001, firmato dall’allora ministro dell’Interno, Enzo Bianco, si legge che i collegamenti tra esponenti della criminalità e gli amministratori compromettevano «la libera determinazione dell’organo elettivo ed il buon andamento dell’amministrazione di Cirò». Il documento rileva che «la permeabilità dell’ente ai condizionamenti esterni della criminalità organizzata arreca grave pregiudizio allo stato della sicurezza pubblica e determina lo svilimento delle istituzioni e la perdita di prestigio e di credibilità degli organi istituzionali». E sottolinea che «la stretta ed intricata rete di parentele, affinità, amicizie e frequentazioni, che vincola la maggior parte degli amministratori comunali così come numerosi dipendenti ad esponenti della dominante cosca locale, costituisce il principale strumento attraverso cui la criminalità organizzata si è inserita nell’ente condizionandone l’apparato gestionale».
Antonio Sculco venne condannato dalla Corte dei conti Sezione Giurisdizionale per la Calabria con sentenza depositata il 23 ottobre 2003 (confermata dalla sezione giurisdizionale centrale il 29 settembre 2010 e divenuta definitiva con la sentenza 12902 del 2011 delle Sezioni Unite della Cassazione) per un danno erariale di 28.888,72 euro per aver contratto un mutuo da 900 milioni di lire per pagare «il prezzo di acquisto dell’immobile Castello di Cirò poi utilizzato parzialmente in spese correnti». Insomma, una distrazione di fondi acquisiti con mutuo e, quindi, una violazione delle disposizioni in tema di utilizzo delle entrate a destinazione vincolata, con alle spalle una situazione di dissesto finanziario del Comune.
L’appoggio del Pd e del M5S a Sculco
Volendo “politicizzare” la competizione, a fronte di Paletta, simpatizzante di Forza Italia, Sculco si caratterizza per un chiaro appoggio Pd-M5S. Significativo è stato il post su Facebook del 20 maggio 2017 sulla sua diretta discesa in campo (come consigliere al seguito di Francesco Paletta). Mario Sculco scriveva testualmente: «Non ho mai, prima d’ora, voluto saperne di fare politica in prima persona, sebbene abbia sempre seguito e appoggiato le direttive politiche impartite in ogni tornata elettorale da chi, nella mia famiglia, al contrario di me, ha sempre fatto politica attiva».
Flora Sculco, candidata nelle file dell’Udc alle scorse regionali in Calabria
Alle ultime elezioni regionali ha sostenuto la candidata dell’Udc, Flora Sculco. Ora, invece, gode dell’appoggio del consigliere provinciale del Pd ed ex presidente facente funzioni della Provincia, Giuseppe Dell’Aquila. Lo stesso che a Cirò è stato consigliere comunale (eletto nella lista opposta a Sculco e Paletta nel 2017) prima di candidarsi a sindaco di Cirò Marina nel 2020. Per poi perdere al ballottaggio.
Oggi si vocifera con insistenza di un suo ritorno a Cirò nella qualità di vicesindaco della futura amministrazione Sculco. Ma solo se il cugino presente in lista, Andrea Grisafi, fosse il più votato tra i candidati. Certamente godrà dell’appoggio del responsabile dell’ufficio finanziario del Comune, lo zio di Dell’Aquila (fratello della madre), Natalino Figoli, recentemente finito nell’occhio del ciclone per presunte irregolarità nel concorso per gli autisti dello scuolabus e, prima ancora, per le tasse universitarie pagategli dal Comune (circostanza citata nel decreto di scioglimento).
Presente in lista anche una giovane parente del consigliere regionale del M5S, Francesco Afflitto, Martina Virardi, con sostegno (almeno virtuale, con “like” social) dell’ex maresciallo dei carabinieri di Cirò, Diego Annibale, a processo per rivelazione di segreto d’ufficio proprio a favore del citato Figoli.
Natalino Figoli con il ministro Roberto Speranza
Le parentele “scomode” degli assessori di Paletta
Tra i candidati di Sculco è presente l’attuale consigliera comunale di opposizione Maria Aloe. Si tratta della nipote del già citato boss di Cirò Nicodemo Aloe, freddato nel 1987. Accanto al cadavere, con macabro rituale, gli assassini hanno fatto trovare anche un cane impiccato. Suo cugino, Francesco Aloe, è stato condannato a 10 anni nell’ambito del processo di appello “Stige”.
Tra la compagine attualmente in carica di Francesco Paletta si trovano altre parentele degne di nota. L’assessore comunale alla viabilità urbana, Giuseppe Mazziotti, ha una figlia, Daniela, sposata con il nipote di Cataldo Marincola. Mentre l’ assessore comunale allo sport Mario Romano (lo era anche nelle due giunte precedenti e, prima ancora, semplice consigliere) è fratello di Giuseppe Romano, considerato dagli investigatori un elemento apicale della cosca e già condannato per associazione di stampo mafioso. Inoltre, è cugino di Giuseppe Sestito, la cui sorella è moglie del boss Cataldo Marincola. Sestito, inoltre, è parente di Nicodemo Guerra, condannato per associazione mafiosa.
L’assessore Romano, in una pubblica seduta del Consiglio comunale del 31 gennaio 2013, affermò di non rinnegare le proprie parentele, non capendo il motivo per cui le condanne dei suoi familiari debbano influire sulla sua persona o sull’amministrazione.
La stessa sentenza del Consiglio di Stato (numero 4792 del 2015) che confermò l’annullamento dello scioglimento specifica che le parentele rilevano ai fini dello scioglimento di una amministrazione «a condizione che siano effettivamente legami e cioè siano connotati da attivi comportamenti di solidarietà e cointeressenza».
Per questo, una pubblica presa di distanza di entrambi i candidati sindaci, provenienti dalla medesima maggioranza uscita dalle urne nel 2017, rispetto al voto mafioso e inquinato e a queste “cointeressenze”, sarebbe stata un atto dovuto rispetto a quel principio di trasparenza tanto decantato nei reciproci programmi elettorali.
Sono passate appena poche ore dalla messa in onda della puntata che Report ha dedicato ai 30 anni dalla strage di Capaci. Gli uomini della Direzione Investigativa antimafia bussano alla porta del giornalista Paolo Mondani. Inviati dalla Procura di Caltanissetta, gli uomini della DIA perquisiscono l’abitazione del giornalista e sequestrano atti riguardanti l’inchiesta nella quale si evidenziava la presenza di Stefano Delle Chiaie, leader di Avanguardia nazionale, sul luogo dell’attentato di Capaci.
L’inchiesta di Report e Delle Chiaie
Nel corso della perquisizione, gli investigatori hanno cercato atti sul cellulare e sul pc di Mondani. Una scelta forte, quella dei magistrati, che arriva all’indomani dell’inchiesta di Report. E che riaccende le polemiche sulla tutela delle fonti che dovrebbe essere sempre garantita ai giornalisti.
La procura di Caltanissetta, attraverso il capo dell’ufficio Salvatore De Luca, ha precisato che la perquisizione «non riguarda in alcun modo l’attività di informazione svolta dal giornalista(che non sarebbe indagato, ndr), benché la stessa sia presumibilmente susseguente a una macroscopica fuga di notizie, riguardante gli atti posti in essere da altro ufficio giudiziario».
Riecco “Er Caccola”
Nel giorno del trentennale della strage di Capaci, con la puntata “La bestia nera”, Report ha provato ad aggiungere un tassello di verità. Almeno a porre domande e instillare dubbi sui mandanti esterni, su quelle connivenze tra mondi diversi e occulti che avrebbero animato la strategia stragista che, nel 1992, toccherà il culmine con le stragi di Capaci e via D’Amelio in cui perderanno la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
I giudici Falcone e Borsellino uccisi dalla mafia
E spunta fuori il nome di Stefano Delle Chiaie. Anzi, rispunta. Sì perché Delle Chiaie entra ed esce da inchieste giornalistiche e giudiziarie da decenni. Deceduto nel 2019, si tratta di uno dei soggetti più oscuri della storia d’Italia. Detto “Er Caccola”, è stato accostato a stragi di matrice terroristica, alla P2 di Licio Gelli e alla criminalità organizzata. Con la sua inchiesta, Report ipotizza e sospetta legami con Cosa Nostra e fatti siciliani. Ma da anni sono presenti agli atti elementi che collegherebbero Delle Chiaie alla ‘ndrangheta.
Il summit di Montalto
Uno dei primi a parlarne è il collaboratore di giustizia Stefano Serpa, uomo influente della ‘ndrangheta degli anni ’70 e ’80. Serpa colloca Delle Chiaie in Calabria in uno degli eventi più iconici della storia della criminalità organizzata calabrese.
Un summit di ’ndrangheta. Anzi, probabilmente il summit di ’ndrangheta per eccellenza. Cui, però, stando al racconto del collaboratore partecipano anche elementi importanti della Destra eversiva, quali Stefano Delle Chiaie, appunto. Ma anche Pierluigi Concutelli, esponente di spicco della Destra eversiva e condannato per l’omicidio del giudice Vittorio Occorsio, avvenuto il 10 luglio 1976 a Roma, col movente di impedire al magistrato di proseguire le proprie delicate indagini sul terrorismo nero.
Pierluigi Concutelli
Una riunione fondamentale nella storia della ’ndrangheta, perché si incastra proprio negli anni più caldi della storia di Reggio Calabria, quelli della rivolta del Boia chi molla. Borghese, Delle Chiaie, Concutelli e gran parte della colonna di destra eversiva del tempo a Reggio Calabria, in quegli anni, sarebbero stati di casa.
La circostanza viene raccontata anche da Carmine Dominici, ex membro di spicco di Avanguardia Nazionale, poi divenuto collaboratore di giustizia: «Vi fu, nel settembre 1969, un comizio del principe Borghese a Reggio Calabria che fu proibito dalla Polizia. In quell’occasione c’era anche Delle Chiaie e il divieto da parte della Questura provocò scontri a cui tutti partecipammo. Vi fu anche un assalto alla Questura per protesta».
Delle Chiaie e la ‘ndrangheta
Ma non si tratterebbe solo di politica. Anche perché Serpa non è l’unico collaboratore di giustizia che tira in ballo Delle Chiaie e la sua vicinanza, non solo al territorio calabrese, ma anche alla ‘ndrangheta. A parlare, infatti, è uno dei collaboratori di giustizia storici: quel Giacomo Ubaldo Lauro che, insieme a Filippo Barreca, sarà tra le principali fonti dei giudici che imbastiranno il maxiprocesso “Olimpia”.
Le dichiarazioni di Lauro, quindi, aprono squarci di luce (che, va detto, non avranno particolari sbocchi di natura giudiziaria) sul legame tra ’ndrangheta e Destra eversiva: «[…] nell’epoca dei moti di Reggio, io capitai due volte detenuto nella stessa cella, lo presi con me a Carmine Dominici. Una volta perché aveva messo una bomba, e che poi è stato assolto da questa bomba e fece un paio di mesi, un’altra volta per il sequestro Gullì assieme a Domenico Martino. Dalla bocca di Carmine Dominici […] mi disse a parte che io lo sapevo già che “Er Caccola” non mi ricordo ora come si chiama dunque Delle, Delle Chiaie era stato a Reggio nel ’70 ospite, ospite suo di lui e di Fefè Zerbi».
Zerbi, Delle Chiaie e De Stefano
Il marchese Genoese Zerbi era, a detta di tutti, il coordinatore dei gruppi di estrema destra in quel periodo assai caldo vissuto dalla città, in lotta dopo l’assegnazione del capoluogo di regione a Catanzaro. Una rivolta che, secondo taluni, avrebbe subito la strumentalizzazione della ‘ndrangheta, in un accordo tra gruppi estremisti e boss. Stando al racconto di Lauro, Delle Chiaie ebbe contatti con la ’ndrangheta e, in particolare, proprio con Paolo De Stefano, in quel periodo capo della famiglia che, più di tutte, avrebbe modernizzato la ‘ndrangheta grazie ai suoi rapporti promiscui: «Nella seconda carcerazione […] io mi ritrovai detenuto dal ’79 e c’era anche lui. […] Da Dominici seppi che […] praticamente Fefè Zerbi fece conoscere a Delle Chiaie a Paolo De Stefano e ad altri […]».
L’uomo dei misteri
Nomi che si intrecciano con la storia più oscura d’Italia, fatta di complotti, accordi e trame messi in atto tra Destra eversiva, criminalità organizzata e Servizi Segreti deviati. Delle Chiaie è uno dei personaggi più controversi della storia d’Italia. Fondatore di Avanguardia Nazionale, movimento della Destra eversiva negli anni Settanta, Delle Chiaie si segnala per la propria appartenenza a organizzazioni e movimenti di natura fascista fin dagli anni Sessanta. Particolarmente inquietanti sono i contatti con il Fronte Nazionale del principe Junio Valerio Borghese. Sì, proprio l’ex gerarca fascista promotore di un tentato colpo di Stato nella notte tra il 7 e l’8 dicembre del 1970.
Junio Valerio Borghese
Un dato molto significativo, emerge dalla sentenza della Corte d’Assise di Bologna sulla strage della Stazione, che condanna i neofascisti Giusva Fioravanti e Francesca Mambro: «Stefano Delle Chiaie si muove con grande disinvoltura nell’Argentina dominata dal regime militare. Da latitante qual è, frequenta liberamente vari ambienti e compare a cena a fianco del console italiano. Reduce dall’esperienza cilena, dopo un primo momento di difficoltà, comincia a prosperare, raggiungendo l’apice della sua fortuna nel periodo in cui le forze governative argentine – il che, tenuto conto di quella realtà, equivale a dire gli apparati militari – appoggiano, assieme a quelle cilene, il colpo di Stato militare boliviano». La sua presenza in Sud America si registra già con la vicinanza al regime di Augusto Pinochet alle riunioni della Dirección Nacional de Inteligencia (DINA) di Manuel Contreras e in seguito nell’Operazione Condor per la persecuzione dei dissidenti.
La sala d’attesa della stazione di Bologna sventrata dalla bomba
Il nome di Delle Chiaie è stato accostato alle grandi stragi degli anni Settanta, come piazza Fontana o Bologna, e a omicidi eccellenti, come quello del giudice romano Vittorio Occorsio, ma i processi lo hanno sempre visto assolto per “non aver commesso il fatto” o per “insufficienza di prove”.
I “Sistemi Criminali”
Entra ed esce da inchieste giudiziarie da decenni. E fa parlare di sé anche ora che è deceduto da circa tre anni. Spiccava la sua presenza tra gli indagati dell’inchiesta sui Sistemi Criminali, condotta alcuni anni fa dal pubblico ministero Roberto Scarpinato sulla strategia della tensione dei primi anni Novanta, ma sfociata in un’archiviazione complessiva per personaggi del calibro del gran maestro della P2, Licio Gelli, i boss mafiosi Totò Riina e i fratelli Graviano, l’avvocato mafioso Rosario Pio Cattafi, altro soggetto che lega il proprio nome ad alcune delle vicende più oscure d’Italia.
L’avvocato Paolo Romeo
Ma anche l’avvocato Paolo Romeo, avvocato reggino condannato in via definitiva per mafia nel processo Olimpia e considerato un’eminenza grigia delle dinamiche ’ndranghetiste, condannato in primo grado a 25 anni nel maxiprocesso “Gotha”. Quanto all’inchiesta “Sistemi Criminali”, invece, sarà la stessa accusa a richiedere l’archiviazione.
Le accuse respinte dalla moglie di Delle Chiaie
Un altro processo da cui Delle Chiaie uscirà pulito. L’ennesimo. Come quello per la strage di Bologna, che ha visto recentemente la condanna di Paolo Bellini. L’inchiesta di Report tira in ballo anche lui. «Tutta l’inchiesta si fonda su una dichiarazione fatta in un colloquio investigativo di 30 anni fa, che quindi non può essere utilizzata. Il mio assistito è stato implicato in quella storia nel ’92, ’93 ed esaminato da Giovanni Melillo, oggi procuratore nazionale antimafia. Lo vogliono rimettere in mezzo? E lo rimettano in mezzo. Ma, ricordiamolo, è stato archiviato» afferma l’avvocato di Bellini.
I funerali di Stefano Delle Chiaie
E anche Delle Chiaie ha sempre respinto al mittente le accuse. Così come i riferimenti effettuati da diversi collaboratori di giustizia agli intrecci con la ’ndrangheta. Ora, deceduto da quasi tre anni, secondo qualcuno ha portato con sé tanti segreti. Secondo altri, invece, non può più difendersi e quindi lo infangano. Lo afferma Carola Delle Chiaie, moglie e vedova dell’ex avanguardista: «Una formazione che si può accusare di tante cose, ma non di connessioni con gentaccia come la mafia e tanto meno con la massoneria, che mio marito detestava come poche altre cose», dice. E conclude: «Si permettono di inserirlo in uno scenario incredibile. Dopo quanti anni scoprono che Delle Chiaie era a Capaci, che addirittura ha dettato la strategia delle stragi? È una follia, non c’è altra spiegazione».
Guardare la pagliuzza e non la trave, è questo quello che apparentemente avrebbe fatto il presidente della Regione Roberto Occhiuto quando ha annunciato sui social la rimozione della dirigente del settore turismo coinvolta nell’ormai nota determina da 164mila euro per i gadget promozionali.
«Non condivido importo e procedure» ha dichiarato Occhiuto, suscitando le ire del sindacato dei dirigenti degli enti locali (Direl) che, riservandosi di tutelare «la dignità della categoria dei dirigenti e dei dipendenti pubblici» nelle sedi opportune, specifica che «ove l’organo politico avesse avuto delle riserve da manifestare nei confronti della legittimità del provvedimento avrebbe potuto formulare i dovuti rilievi alla dirigenza in forma rituale ed ai sensi di legge e non mediante l’uso dei social».
Il presidente della Regione Roberto Occhiuto
Approfondendo la questione, però, si intravedono responsabilità politiche che si tentano di (mal)celare, mettendo alla gogna dirigenti e burocrati che, come risulta dagli atti, hanno seguito indicazioni arrivate proprio dalla Giunta presieduta da Occhiuto.
Gadget gate, la determina “incriminata”
La determina da cui nasce il “Gadget gate” è la numero 5443 del 18 maggio, firmata dalla dirigente del settore “Promozione della Calabria e dei suoi asset strategici, spettacolo e grandi eventi, marketing territoriale” del Dipartimento Turismo, l’avvocata cosentina Gina Aquino, spostata in quel settore pochi giorni prima, il 3 maggio.
È finita lei sul banco degli “imputati” (o meglio dire, dei “revocati”) a seguito della sfuriata social di Roberto Occhiuto.
In quella determina, come è noto, si procedeva all’affidamento diretto per 164.122,94 euro, alla società Pubbliturco di Rende, di Vittorio e Valentina Turco, per la fornitura di gadget promozionali personalizzati per “Calabria Straordinaria”. Ossia il claim promozionale per il turismo promosso dall’assessore al ramo in quota Fratelli D’Italia, Fausto Orsomarso. Era anche l’hashtag della sua ultima campagna elettorale.
Responsabile del procedimento in quella determina è il dipendente con posizione organizzativa in quel settore (nominato dalla Dg Antonella Cauteuriccio e dal dirigente di settore scopellitiano Cosimo Caridi con determina 1142 del 8 febbraio 2022), Luca Gennaro Fregola, già componente dell’ufficio di Gabinetto dei Presidenti di Regione Jole Santelli e Nino Spirlì.
La proposta è di Orsomarso
Allegato alla deliberazione della Giunta regionale n. 59 del 18 febbraio scorso, troviamo il “Piano Esecutivo annuale 2022”. E, benché la firma in calce alla deliberazione sia di Roberto Occhiuto, come assessore proponente viene indicato Fausto Orsomarso.
Nell’allegato, al punto 3.3.8., rubricato “Marketing off-line: Promozione e Comunicazione” c’è scritto che: ”Le azioni riguardano lo sviluppo di campagne di comunicazione, (legate anche a CALABRIA STRAORDINARIA, il progetto-quadro di comunicazione strategica e di riposizionamento nazionale e internazionale dell’immagine complessiva della regione) su carta stampata, web e radio, tv, stazioni ferroviarie, grandi superfici di vendita, grandi eventi mediatici e sportivi”.
L’estratto del piano regionale allegato alla delibera 59
Tra ciò che rientrava espressamente a titolo esemplificativo in quella categoria viene, nero su bianco, riportato lo “Sviluppo linea merchandising e gadget” e come fonte finanziaria i Por e i Pac.
Nella successiva deliberazione della Giunta, la 189 del 3 maggio, avente ad oggetto “Piano di Azione e Coesione (PAC) Calabria 2007-2013. Approvazione rimodulazione scheda intervento III.7 “Interventi per la promozione e la produzione culturale”, tra le declinazioni delle azioni di promozione e marketing, viene, nuovamente, menzionato il “Marketing Off-line” quale azione di sviluppo anche di Calabria Straordinaria, che include espressamente lo “Sviluppo linea merchandising e gadget”.
Gadget gate, lo scaricabarile sulla dirigente
In quell’atto, la Giunta prende atto “delle esigenze manifestate dai Dirigenti Generali dei Dipartimenti interessati” e approva “la rimodulazione della Scheda III.7 Interventi per la promozione e la produzione culturale, restando immutata la relativa dotazione finanziaria, pari a Euro 28.750.000,00”.
Ecco che la responsabilità è politica. E difficilmente può ricadere su una dirigente regionale nominata in quel settore dieci giorni prima di una determina che è conseguenza di un piano approvato nel mese di febbraio. Pertanto, in attesa dell’annunciato provvedimento di revoca della dirigente (in merito al quale i sindacati hanno già promesso battaglia), si tenta di mettere sotto al tappeto le responsabilità dell’assessore al ramo, già “assolto” pubblicamente dallo stesso Occhiuto.
La Pubbliturco e la Regione
I due soci della Pubbliturco s.r.l., beneficiaria dell’affidamento diretto nel “Gadget gate”, sono i fratelli Vittorio e Valentina Turco. Quest’ultima è stata legata sentimentalmente ad Alessandro Martire, collaboratore della sindaca di San Giovanni in Fiore Rosaria Succurro (e prima ancora fedelissimo dell’assessore De Cicco a Cosenza) ed è vicina professionalmente a Luigi Vircillo, già responsabile della comunicazione della Presidente Jole Santelli.
L’azienda non è nuova ai finanziamenti regionali. Risulta sul Burc, difatti, un finanziamento dal Fondo per l’occupazione e la crescita di 78 mila euro nel 2016, un’aggiudicazione di servizio per 39mila euro oltre iva nel 2018 per informazioni e pubblicità del PSR Calabria 2014-2020, di 38mila euro nel 2019 per servizi e forniture per la partecipazione della Regione alla “Notte dei ricercatori”. E poi altre decine di migliaia di euro nel 2021 per magliette e cappellini destinati agli operatori volontari del servizio civile universale.
La foto postata su Fb da Roberto Occhiuto
Nonostante le simpatie politiche, però, il nome della Pubbliturco è finita sul post social con tanto di X rossa del Presidente della Regione, facendo il giro d’Italia. Ora che la “determina a contrarre” nei loro confronti, firmata dalla dirigente Aquino, verrà revocata, qualora all’annuncio di Occhiuto seguano i fatti, è lecito chiedersi se alle già eventuali conseguenze legali, vi saranno anche conseguenze politiche. Che non riusciranno a stare sotto quel tappeto dove si son già tentate di nascondere le responsabilità di Fausto Orsomarso.
La spesa per il personale (gli ormai arcinoti contratti Co.co.co.) dei gruppi politici in Consiglio alla Regione Calabria nella dodicesima legislatura è pari a 1.388.574,01 euro, in aumento rispetto alla precedente. Sono 44.792,71 gli euro annuali a consigliere regionale per stipulare i contratti previsti dalla legge regionale 13 del 2002.
Una normativa molto chiara che rimarca nel suo articolo 5 il divieto di finanziamento, anche indiretto, ai partiti e, quindi, a finalità estranee a quelle dei Gruppi.
Regione Calabria, più Co.co.co. per tutti
Peccato che tra i vari beneficiari di questi compensi pubblici vi siano parecchi con un curriculum quantomeno inconsueto per qualsiasi ipotetica attività di supporto ai gruppi consiliari (fisioterapisti, babysitter, modelle, commessi, braccianti agricoli, ecc.). Oppure che figurino persone che con “il contrattino” vengono fidelizzate, come amministratori locali ed esponenti vecchi e nuovi dei partiti politici. O, ancora, grandi elettori che vengono così “ringraziati” per l’apporto offerto in campagna elettorale. Una distorsione se si pensa che non sono chiare le mansioni che questi “collaboratori” svolgano effettivamente. Né gli orari di lavoro. Né, addirittura, se mai abbiano messo o metteranno piede nelle istituzioni regionali che li stanno retribuendo.
La sede del Consiglio regionale
Se fino a due anni fa quello dei Co.co.co. si poteva definire un circo, ora possiamo affermare che l’erogazione quasi selvaggia di questi compensi pubblici arrivi a “beneficare”, come si suol dire, cani e porci. E nessuna forza politica è esente, inclusi gli “ex anti-sistema” di Dema e il M5S. Come vedremo, tra i 155 contratti di collaborazione c’è anche la loro firma.
Udc: Unione dei Co.co.co.
L’Udc di Giuseppe Graziano è divenuta negli anni scorsi un caso paradigmatico noto a livello nazionale in merito a questi contratti di collaborazione, soprattutto per l’assunzione di una proprietaria di un hotel di Rossano che nel curriculum pubblicato sul sito del Consiglio regionale vantava di aver vinto un abbonamento a Topolino per un anno per aver vinto un concorso di disegno all’età di sei anni. In quello scandalo, finito a Le Iene, c’era anche un parrucchiere di Belvedere Marittimo, Giuliano Stumbo, oggi riconfermato nel suo contratto di collaborazione. Riceverà 2.204 euro lordi totali fino a fine luglio.
Giuseppe Graziano (foto Alfonso Bombini/ICalabresi)
Presente anche il consulente immobiliare di Corigliano-Rossano, Gianfranco Gallo, che per lo stesso lasso temporale guadagnerà 2.432 euro lordi; stessa somma per Giovanni De Simone, ex consigliere e assessore comunale di Rossano, oggi vicecoordinatore Udc cittadino e per il consigliere comunale di Corigliano-Rossano, Alfonso Pietro Caravetta. Saranno 2.420 euro, invece, per lo studente di economia (a Perugia) Gianni Beschin.
Lega sprecona
Lo scorso ottobre il commissario regionale della Lega, Giacomo Saccomanno, rivendicava pubblicamente il «modello virtuoso di gestione del gruppo consiliare che ha lasciato il segno nella politica di palazzo Campanella» operato dal suo partito che ha risparmiato 110mila euro di spese dei gruppi consiliari. Ora la rotta pare essersi invertita, dato che, oltre all’incetta di portaborse, sono presenti pure i “contrattini” leghisti.
In quota Simona Loizzo, troviamo il neodiplomato perito informatico Francesco Bartolomeo, che nel curriculum pubblicato precisa di essere “iscritto alle liste di collocamento della Provincia di Cosenza”. Una mera opera di bene? Non proprio, perché è figlio dello storico consigliere comunale e provinciale di Cosenza (Udeur, poi Pdl) Roberto Bartolomeo. Il figlio prenderà un compenso pari a 13.230 euro lordi per una collaborazione fino a fine dicembre.
Il consigliere regionale della Lega, Simona Loizzo (foto Alfonso Bombini)
Della stessa durata, ma con un compenso pari a 6.737 euro lordi ciascuno, tornano in quota Lega gli ex autisti dell’ex presidente f.f. della Regione Nino Spirlì, Luca Bongiovanni e Vincenzo D’Agostino.
In quota Pietro Raso è presente il leghista lametino Giuseppe Antonio Folino, che avrà un compenso di 4.788 euro lordi per una collaborazione fino a fine agosto.
Alla militante Angela Isabella andranno invece 6.070 euro lordi per una collaborazione fino a fine dicembre.
Presenti anche gli “amici” del presidente del Consiglio regionale, Filippo Mancuso. Riceverà 2.869 euro lordi per una collaborazione fino a fine luglio, Maria Madia, moglie di Rosario Marziale, portaborse in carica dello stesso Mancuso, mentre per una collaborazione fino alla fine di dicembre, il giovane presidente del consiglio comunale di Cropani, Dario Mercurio, riceverà 8.395 euro lordi.
Regione Calabria e Co.co.co: l’ipocrisia a 5 stelle
L’attuale capogruppo regionale del M5S, Davide Tavernise nel maggio del 2018 (all’epoca era consigliere comunale di Crosia), presentò la proposta di legge “taglia privilegi” unitamente ai parlamentari Alessandro Melicchio, Riccardo Tucci e Federica Dieni cui seguì una raccolta di migliaia di firme. Veniva proposto proprio il taglio delle spese per i gruppi consiliari. Oggi, da capogruppo in Regione, oltre ad essere colui che ha completato per primo la “maxi struttura” con ben 8 portaborse, autisti inclusi, è anche il primo grillino ad aprire la stagione dello spreco con i Co.co.co., nel silenzio imbarazzato del partito.
Tra i “selezionati” ci sono gli ex candidati alle elezioni regionali del 2020, Guglielmo Minervino, che avrà un compenso di 1.800 euro lordi fino a fine maggio, e Valentina Pastena (attualmente candidata consigliera a Lungro con la lista “Rinascita” a sostegno di Carmine Ferraro), con un compenso di 3.600 euro lordi per una collaborazione fino a fine agosto. Oltre a loro, è presente l’ex collega bagnino di Tavernise al Futura Club Itaca Nausicaa di Corigliano Rossano, Emilio Capristo di Mirto Crosia, che avrà anch’esso un compenso di 3.600 euro lordi per una collaborazione fino alla fine di agosto. Non è la prima volta che Tavernise assume ex colleghi. Tra i portaborse, difatti, c’è Patrizia Pace, anch’essa di Mirto Crosia ed ex collega nel medesimo villaggio vacanze.
Davide Tavernise (M5S)
Stessa somma, sempre per collaborare fino alla fine di agosto, andrà a Marco Lucio Pace, “aiuto casaro” al caseificio Fazio di Crosia. Nel suo curriculum, tra le competenze, ci sono il “taglio, porzionatura e confezionamento dei prodotti” e la “gestione delle operazioni di detersione e sanificazione di superfici”. Chissà se quest’ultima skill sarà utile a pulire anche la coscienza politica di Tavernise e del M5S, rispetto alle plateali promesse pre-palazzo sul taglio dei costi della politica.
Il solito Pd
Fiumi di collaborazioni anche in casa dem. Giovanni Brindisi, ex portaborse di Giuseppe Aieta, otterrà un compenso di 4.063 euro lordi per una collaborazione fino alla fine di settembre, mentre Antonio Vincenzo Leotta, già portaborse del consigliere regionale Mimmetto Battaglia del Pd, riceverà 3.028 euro lordi per una collaborazione fino a fine luglio.
Presente anche Gianmaria Molinari, figlio di Antonio, per anni direttore generale della Provincia di Cosenza con Mario Oliverio e poi capo di gabinetto di Mario Occhiuto a Palazzo dei Bruzi. È stato portaborse del capogruppo del Pd Mimmo Bevacqua l’anno scorso e ora prenderà 7.590 euro lordi per una collaborazione fino alla fine di settembre.
A Giuseppe Ciancio, componente dell’assemblea provinciale del Pd di Vibo e figlio dell’ex sindaco di Sant’Onofrio, Franco, andranno 5.332 euro lordi per una collaborazione fino a fine dicembre. Poi c’è l’ex sindacalista della Cgil, Giovambattista Paola di Gizzeria. Avrà, in quota Raffaele Mammoliti, 6.389 euro lordi per una collaborazione fino alla fine di dicembre.
Per lo stesso periodo e sempre in quota Mammoliti entra il fisioterapista di Strongoli, Ercole Caligiuri, con un compenso di 5.314 euro lordi. Spicca anche Piero Corigliano, figlio di Pepè Corigliano, storico esponente del Pd di Rocca Di Neto ed esponente della Fondazione Enrico Berlinguer di Crotone. Per il rampollo 4.542 euro lordi di compensi pubblici per una collaborazione fino alla fine di settembre.
Un santino elettorale di Raffaele Mammoliti
Presente anche Giuseppe Dell’Aquila, ex portaborse dell’assessora regionale al lavoro dell’era Oliverio, Federica Roccisano, nonché ex Presidente f.f. della Provincia di Crotone e oggi consigliere provinciale del Pd e consigliere comunale a Cirò Marina, in lizza per diventare a breve vicesindaco di Cirò (sul punto ci ritorneremo). Per lui 6.813 euro lordi, fino alla fine di dicembre.
Riceverà 2.482 euro lordi, invece, Rosario Frosina, già portaborse del portavoce dell’allora presidente del Consiglio regionale Nicola Irto, per una collaborazione fino alla fine di luglio.
Non manca più nessuno…
Nell’elenco dei “contrattini” sono presenti anche esponenti di Coraggio Italia. Toccheranno 3.402 euro lordi per una collaborazione fino alla fine di agosto al presidente del Consiglio comunale di Sant’Onofrio e studente Unical, Giuseppe Alibranti. Stessa cifra per lo stesso periodo a Sara Lucia Borello, già titolare del Winner Bar di Serra San Bruno e moglie dell’ex assessore comunale Cosimo Polito. Idem per il campione di Judo vibonese, Bruno Giovanni Carè, espressione dei giovani del Partito.
Presente anche Francesco Maria Meduri, responsabile regionale organizzazione di Coraggio Italia. Percepirà un compenso di 3.251 euro lordi per una collaborazione fino alla fine di settembre.
Antonio Lo Schiavo
Con il consigliere regionale di De Magistris Presidente, Antonio Lo Schiavo, vengono contrattualizzati in due. La prima è Valentina Carmen Ferraro, con un compenso di 3.000 euro lordi fino a fine luglio, figlia dell’ex sindaco di Rombiolo, Mario Ferraro e cugina dell’ex consigliere regionale Antonio Billari. Il secondo è Cosimo Silipo, figlio della consigliera comunale di Vibo Valentia, Loredana Pilegi e del professore ordinario dell’Unical, Damiano Silipo. Per lui 3.250 euro lordi fino a fine luglio.
Regione Calabria, il centrodestra e i Co.co.co.
Non sono esenti nemmeno Fdi, Forza Italia, Forza Azzurri. Insomma, ci sono tutti. In quota Fratelli D’Italia, 5.528 euro lordi per una collaborazione fino a fine luglio andranno a Nicola Caruso, esponente cosentino di Gioventù nazionale, 2.648 euro lordi al consigliere comunale di Lamezia Terme, Antonio Lorena, 2.456 euro lordi alla vicesindaca di Casali del Manco, Federica Paura e 3.857 euro per l’assessora comunale di Simeri Crichi, Caterina Zangari.
In quota Fi, con un compenso di 4.232 euro lordi fino alla fine di luglio, è stata contrattualizzata Regina Chinigò. È la moglie dell’ex consigliere comunale e provinciale di Forza Italia, Giuseppe Eraclini, indagato nell’ambito dell’inchiesta recente sui brogli elettorali a Reggio Calabria. La figlia Stefania, anch’essa già consigliera comunale, è attualmente portaborse della vicepresidente della Giunta, Giusy Princi.
Al consigliere comunale di Lamezia Terme, Matteo Folino, invece, andranno 1.837 euro lordi. Per lui una collaborazione fino a fine luglio.
Qualcuno sembrerebbe averlo piazzato anche il presidente Roberto Occhiuto. Massimo Bozzo, ad esempio, amico di vecchia data ed ex consigliere ed assessore a Cosenza quando era sindaco il fratello del governatore. Oppure il sempreverde Mario Campanella, ex gentiliano Docg, votatosi alla causa dei fratelli forzisti e della compianta Santelli negli ultimi anni (con relativi incarichi al Comune e in Regione). Il primo prenderà 5.104 euro fino a luglio. Molto più ricco il piatto per il secondo: 14.089 euro fino al 31 dicembre.
I più bizzarri
Sfogliando i vari curriculum rileviamo, infine, che andranno:
3.795 euro lordi ad Anna Maria Pia Ardito, insegnante di Yoga reggina e aspirante osteopata;
2.574 euro lordi alla docente di musica di Rende, Rosa Audia;
3028 euro lordi al bracciante agricolo (che tra le esperienze lavorative inserisce la “raccolta di mele”) Giuseppe Carbone;
3.600 euro lordi alla baby sitter di Corigliano-Rossano, Bina Cariati;
2.432 euro lordi al tabaccaio di Spezzano Albanese, Damiano Carnevale;
5.411 euro lordi alla O.s.s. lametina Teresa De Fazio;
3.000 euro lordi al cameriere di Tropea, Gaetano Navarra;
2.730 euro lordi all’estetista di Locri, Caterina Palamara;
5.965 euro lordi alla logopedista crotonese Roberta Pignolo;
2.730 euro lordi alla wedding planner catanzarese Valentina Maiolo;
stessa cifra per la lametina Cinzia Fabiano, già responsabile gastronimica di “Crudo e Cotto” e cassiera della Conad.
2.947 euro lordi andranno a Gaetana Miduri, collaboratrice della ditta Pilò s.r.l., che ha l’appalto delle pulizie del Consiglio regionale.
Dulcis in fundo, 2.279 euro lordi al giovane catanzarese, classe 2000, Dino Fera. Nel suo profilo Facebook scrive: “lavora presso…nel letto”. Insomma, lo spreco è servito.
Lui è quello con la valigia in mano. A marcare stretto Roberto Occhiuto mentre entra negli uffici del Mef è invece la dg del dipartimento Salute Iole Fantozzi. La seconda linea è del subcommissario Roberto Esposito. E in coda proprio Giuseppe Profiti, l’ultimo superconsulente chiamato dal governatore a sbrogliare l’intricatissima matassa della sanità calabrese.
La narrazione sulla sanità in Calabria
Se gli indizi visivi contenuti nelle foto diffuse dallo staff di Occhiuto vogliano dire qualcosa, o se sia tutto affidato al caso, non è certo imprescindibile indagarlo. Quello che conta sono i fatti. È mettendoli in fila, depurati dallo storytelling dei social, che si può trarre qualche dato sullo stato di fatto del settore su cui il governatore ha dichiarato esplicitamente di «giocarsi tutto».
Occhiuto durante il Tavolo Adduce affiancato da Fantozzi e Profiti
160 milioni per risollevare la sanità
Innanzitutto c’è l’esito, fresco fresco, dell’ultimo confronto al Tavolo Adduce, la sede in cui i tecnici dei Ministeri dell’Economia e della Salute valutano l’attuazione del Piano di rientro sanitario della Calabria. Il comunicato diffuso dalla Cittadella nel pomeriggio di ieri annuncia due risultati. Primo: i conti della sanità calabrese nel 2021 si sono chiusi in positivo «di oltre 145 milioni di euro». Si tratta di un avanzo che consente di sbloccare 97 milioni di euro, di ripianare i disavanzi del 2018 e del 2019 (che ammontano a 77 milioni di euro) e di utilizzare i restanti 68 milioni per il Programma operativo 2022-2025.
L’accordo romano
Ecco, proprio il Programma operativo sarebbe, secondo quando reso noto da Occhiuto, il secondo risultato. Al tavolo ministeriale ci sarebbe l’accordo per approvarlo «in tempi brevi». Dando così il via agli interventi strutturali per risollevare la sanità calabrese e sbloccare altri 60 milioni di euro previsti dal decreto Calabria.
Per salvare gli ospedali servono le assunzioni
Fin qui gli annunci. Che, è bene chiarirlo, sono potenzialmente di notevole portata. Perché dal Programma operativo passa la possibilità concreta di fare quello che più di ogni altra cosa è necessario fare: assumere medici, operatori sanitari e amministrativi. Altrimenti i pronto soccorso calabresi continueranno ad essere assediati, i reparti degli ospedali resteranno in grave affanno e le Asp inseguiranno ancora le emergenze. Altrimenti anche i nuovi organismi di prossimità previsti dal Pnrr (Case e Ospedali di comunità) si tradurranno solo in un restyling edilizio di qualche struttura territoriale.
Chi accerta il debito?
È vero: i conti (banalmente, la differenza tra entrate e uscite nell’arco dell’anno) non sono più in rosso, ma va detto che erano già migliorati nel 2020. E che Occhiuto è diventato commissario a novembre. Di mezzo c’è stato anche il Covid, che ha certamente causato una contrazione delle prestazioni sanitarie “non covid” erogate in Calabria e dell’emigrazione per curarsi in altre Regioni. Altra cosa è invece il debito monstre. Che, ancora, non è stato neanche quantificato.
Nell’immediato il vero nodo da sciogliere per Occhiuto è quello delle assunzioni
L’allarme della Corte dei conti e le colpe del governo
Giusto per farsi un’idea: secondo la Corte dei contisolo l’Asp di Reggio potrebbe toccare i 500 milioni di euro. Occhiuto comunque garantisce che l’entità esatta del debito la sapremo entro la fine dell’anno e c’è da sperare che ciò avvenga davvero. Perché se non si accerta il debito, e non si fa chiarezza sul meccanismo che lo ha prodottocon evidenti responsabilità del governo nazionale, non se ne esce.
Dream team mancato
A questo proposito è interessante osservare la dinamica che ha portato il governatore/commissario a costituire la squadra con cui aggredire il problema-dei-problemi. È quella restituita plasticamente dalla foto di cui abbiamo scritto in apertura. Non è esattamente il dream team che Occhiuto sperava di mettere insieme perché manca proprio l’uomo che avrebbe dovuto ripetere con i conti della sanità calabrese i miracoli fatti in Campania.
Il colonnello Maurizio Bortoletti
Chi ha paura del “fantasma”?
Il colonnello Maurizio Bortoletti è stato annunciato come subcommissario per la sanitò in Calabria a novembre. Sono passati 6 mesi ed è ancora un “fantasma”: non si è potuto insediare perché non ha trovato l’accordo con l’Arma dei carabinieri per il suo distacco (o aspettativa). Sembra incredibile ma è successo davvero. E nessuno ha risposto a quanti paventano che oscure forze del male lo tengano lontano dalla Calabria.
Il supertecnico dalla Liguria
Così nei giorni scorsi si è materializzato Giuseppe Profiti. Docente universitario, già numero uno del Bambino Gesù di Roma, chiamato un anno fa dal presidente della Liguria Giovanni Toti – che è anche assessore regionale alla Sanità – a coordinare la Struttura di missione con lo scopo di riportare la sanità ligure «a funzionare dopo l’emergenza Covid».
Giuseppe Profiti (foto da Primocanale.it)
Le polemiche contro Toti
Quando, una decina di giorni fa, si è cominciato a parlare della sua nomina per la sanità in Calabria, le cronache ligurilo davano in allontanamento dalla Regione guidata da Toti. Poi lo stesso leader di “Coraggio Italia” ha chiarito che Profiti avrebbe mantenuto l’incarico nonostante il nuovo impegno calabrese. E c’è stata una mezza sollevazione dell’opposizione.
Giovanni Toti a Cosenza presenta la lista di Coraggio Italia nelle ultime elezioni regionali (foto Alfonso Bombini)
Il silenzio in Calabria
In Liguria la figura a mezzo servizio non è dunque passata sotto silenzio. In Calabria invece nessuno ha sollevato dubbi su questa situazione e ci si limita, ancora una volta, all’accoglienza entusiastica del nuovo supertecnico che arriva da fuori. Che avrebbe anche buone entrature nei Ministeri decisivi per il Piano di rientro.
I manager confermati
È evidentemente un fatto che i profili scelti da Occhiuto trovino meno ostilità romane rispetto a commissari e governatori del recente passato. Intanto sul territorio vengono confermati manager come Vincenzo La Regina – spostato dall’Asp di Cosenza alla Mater Domini di Catanzaro – e Gianluigi Scaffidi, che passa dall’Asp al Gom di Reggio, dopo essere stato dirigente del dipartimento Sanità ai tempi di Peppe Scopelliti e poi uomo ombra della sottosegretaria M5S Dalila Nesci.
L’attesa
Entro martedì sarà svelato anche il nome del commissario di Azienda zero. Ma ciò che serve e che ci si attende davvero per la sanità in Calabria, oltre ai miracoli sul debito, sono le assunzioni e la riorganizzazione della rete ospedaliera.
La confusione sotto il cielo di Catanzaro era già notevole. Ora ad aggiungere altro clamore alla campagna elettorale per le Comunali del 12 giugno c’è anche il caso del candidato ex Forza Nuova. Che Valerio Donato, professore universitario fuoriuscito dal Pd e sostenuto da buona parte del centrodestra, ha evidentemente messo in lista a sua insaputa. Gioacchino Di Maio (detto Jack) è stato coordinatore regionale del movimento neofascista guidato da Roberto Fiore. E di fare passi indietro, come gli ha chiesto – a liste depositate – il “suo” candidato a sindaco, non ne vuol sapere. La sua replica è tutta da leggere.
Il prof se ne accorge solo ora?
Il “santino” elettorale dell’ex Forza nuova per le Amministrative di Catanzaro del 12 giugno
Si rivolge «a chi, nonostante i valori di democrazia e libertà di cui si fa portavoce, nega il pluralismo costituzionale delle idee». E rispetto alle dichiarazioni postume di Donato, che «suscitano perplessità e ilarità», rileva: «Il Prof si è accorto solo ieri sera che tra le sue liste si nascondeva colui che ha orgogliosamente ricoperto il ruolo di coordinatore regionale di Forza Nuova, un movimento politico legalmente riconosciuto che partecipa da venti anni alle elezioni amministrative, politiche ed europee».
Contro il «sistema» ma con Fi e Lega
Il presente di Di Maio «è La casa dei Patrioti» e la sua battaglia, anche «a fianco di persone di estrazione ideologica opposta», è contro «i partiti di sistema, fomentatori professionali di odio e divisione». Evidentemente per lui non sono tali Forza Italia e la Lega, main sponsor della coalizione di cui fa parte. Tanto più che proprio l’ultima mutazione salviniana, “Prima l’Italia”, dà nome e simbolo alla lista in cui è inserito.
Il «partito di Bibbiano e del Dio vaccino»
Comunque, oltre a lanciare invettive contro il Pd – «il partito che ha reso l’Italia il laboratorio del globalismo mondiale», quello «del metodo Bibbiano», che propaganda «il Dio vaccino» – Di Maio dimostra comunque di giocare a carte scoperte.
Catanzaro, Forza nuova e la «stima» di Mancuso
«Se ho accettato – spiega senza giri di parole – è perché il mio riferimento, il Presidente Filippo Mancuso (presidente del consiglio regionale,ndr), immune da visioni ideologiche che impediscono la corretta visione della realtà, ha sempre manifestato fiducia e stima nei miei confronti e ha valutato la mia persona degna di partecipare alla competizione elettorale, perché l’unica finalità è e deve essere il bene comune».
Filippo Mancuso
Un ideale è per sempre
Dunque nessun dietrofront ma «solo passi in avanti». A confermarlo, ribadendo che Di Maio non si ritira, è anche il segretario provinciale della Lega, Giuseppe Macrì: «I suoi rapporti con Forza Nuova sono ormai totalmente inesistenti – ha detto Macrì – essendosi egli dimesso da ogni incarico ricoperto in passato». Benché lo stesso Di Maio abbia specificato: «Non sarà di certo una candidatura a farmi rinnegare gli ideali di una vita».
Forse il dato politico meno sviscerato, ma probabilmente il più rilevante, è quello per cui Roberto Occhiuto sta, molto semplicemente, guardando da un’altra parte. Forse gli conviene, così potrà sempre dire di non essersene occupato direttamente. Ma è anche una distrazione obbligata. Se in pochi mesi ti sei caricato sulle spalle il potere e la responsabilità di occuparti, direttamente o quasi, di sanità, rifiuti, acqua e depurazione, in Calabria, difficilmente potrai dedicare tempo a liste e tatticismi in vista delle amministrative.
Amministrative, lo stress test di giugno per il centrodestra in Calabria
In mezzo c’è pure il malcelato tentativo di non restare impelagato in beghe di partito come accaduto a qualche suo predecessore. Però il decantato «primato della politica» non lo si può rivendicare solo quando serve a farsi eleggere presidente della Regione e dimenticarsene subito dopo. Dunque le Amministrative del prossimo 12 giugno, che riguardano 75 Comuni della Calabria e oltre 360mila elettori, saranno comunque un test importante per i partiti. A partire proprio dalla coalizione del governatore. Che, dopo la sconfitta di ottobre a Cosenza, non sembra già più una corazzata.
Aria pesante nel capoluogo
Occhiuto sarà anche rinfrancato dal recente sondaggio di Swg che lo piazza, per gradimento, al sesto posto in Italia e al secondo nel Sud. Ma è aria fresca, ben più lieve e passeggera di quella che si respira, per esempio, a Catanzaro. Non è un dettaglio che nel capoluogo di regione non ci sia, ai nastri di partenza, il simbolo del partito di Occhiuto, Forza Italia, che alle Regionali ha costituito l’unica trincea elettorale azzurra in Italia. Ci sarà la lista “Catanzaro Azzurra” prodotta in casa forzista dall’asse Mangialavori-Polimeni. Ma a sostegno di un candidato a sindaco, Valerio Donato, che viene dal Pd. E ora ha dalla sua anche la Lega (col simbolo “Prima l’Italia) e altri pezzi di centrodestra.
Valerio Donato, prof all’Università di Catanzaro e candidato a sindaco
Lo sgambetto di Tallini e il pasticcio di FdI
Il redivivo Mimmo Tallini sta da un’altra parte: proverà a vendicarsi del suo ex partito spingendo la lista di “Noi con l’Italia” a sostegno di Antonello Talerico, come lui fuoriuscito da Forza Italia dopo le Regionali. Sta altrove anche Fratelli d’Italia. Le intransigenze romane contrapposte al possibilismo locale in questo caso hanno prodotto un pasticcio da cui i meloniani sono usciti facendo mettere la faccia a Wanda Ferro. Una candidatura solitario-identitaria, la sua. Ma forse è passato un po’ in cavalleria un passaggio politicamente rilevante. Si tratta di quello consumato, nel giro di mezza giornata, tra Occhiuto e l’assessore regionale di FdI Filippo Pietropaolo. Appena è filtrata l’ipotesi di una sua candidatura a sindaco di Catanzaro, il governatore ha paventato per lui il ritiro delle deleghe. A quel punto tutto è sfumato in un attimo. Palesando una certa scompostezza politico-istituzionale.
Domenico Tallini
Amministrative in Calabria, la prova dei Nicola nel centrosinistra
Quello catanzarese è il test più importante ma va considerato che nel capoluogo, è storia recente, quando si arriva al ballottaggio le carte si rimescolano parecchio. La partita è dunque più che aperta. Lo sanno bene i due Nicola, Fiorita e Irto, che si apprestano a saggiare la consistenza elettorale dell’agognato «campo largo». Il segretario regionale del Pd, chiamato alla prima vera prova da leader del partito, è conscio che molti dem, esplicitamente o meno, si siano già accasati con Donato. E il prof che (ri)prova a diventare sindaco, riuscito nell’obiettivo di tenere insieme Pd-M5S senza appartenere a nessuno dei due partiti – il precedente di Amalia Bruni non è entusiasmante, diciamo – dovrà contenere le emorragie non solo al centro ma anche a sinistra, visto che l’area radicale sostiene non lui ma Francesco Di Lieto.
Nicola Fiorita (primo da sinistra) in conferenza stampa con Francesco Boccia e Nicola Irto (secondo e quarto da sinistra). Foto Ansa
Strabismo a 5 stelle
Il campo largo, in chiave Amministrative, non ha avuto grande successo fuori dal capoluogo. I 5stelle, piuttosto evanescenti nelle candidature alle Amministrative di tutta Italia, sembrano più disuniti che mai: in consiglio regionale strizzano un occhio e mezzo al governatore, sui territori sembrano più attratti dai candidati dell’area De Magistris che da quelli del Pd. L’unica altra eccezione è rappresentata da Pizzo, dove un candidato (Emilio de Pasquale) ha raccolto attorno a sé i dem, l’area De Magistris, i 5stelle e pure qualcuno di Coraggio Italia.
Tutti divisi ad Acri e Paola
Niente unità, né per il centrosinistra né per il centrodestra, ad Acri e Paola, i due centri del Cosentino sopra i 15mila abitanti che andranno al voto per le Amministrative. Nella cittadina di San Francesco il centrodestra ha schierato Emira Ciodaro, ma Fratelli d’Italia, senza simbolo, ha virato su Giovanni Politano. Il quale, per inciso, ha stretto un accordo – anche in questo caso coperto dalla mancanza di simboli – pure con il Pd.
Centrodestra unito a Palmi, debacle Pd a Villa
Si è concretizzata a Palmi (oltre 18mila abitanti nel Reggino) una delle poche candidature unitarie del centrodestra (quella di Giovanni Barone). Tutt’altra situazione a Villa San Giovanni dove il centrodestra sta con Marco Santoro, vicino al deputato Francesco Cannizzaro, ma l’Udc si è schierato con Giusy Caminiti. In riva allo Stretto a fare più rumore è la debacle del Pd: l’aspirante sindaco dem ha ritirato all’ultimo la candidatura scagliandosi contro una parte del suo stesso partito.
L’opposizione in consiglio regionale: a sinistra Alecci, al centro Amalia Bruni e a destra Francesco Afflitto, consigliere M5S che ha votato a favore della multiutility voluta da Occhiuto
Coerenza trasversale a Soverato
A chiudere il giro dei trasversalismi verso le Amministrative è Soverato, dove c’è da eleggere il successore di Ernesto Alecci. L’attuale consigliere regionale del Pd da sindaco ha governato anche con Forza Italia. Gli azzurri jonici ora si sono sfaldati. Mentre in lizza c’è il vice di Alecci, il facente funzioni uscente Daniele Vacca. Che, coerentemente, tiene insieme pezzi di Pd e di centrodestra.
«Il sindaco è sospeso, il presidente della Reggina è stato arrestato, il rettore si è dimesso, la nomina del Procuratore Capo della Repubblica è stata annullata. E a questo punto, anche il vescovo si guarda intorno preoccupato». Solo alla fine di questo piccolo viaggio sentimentale nelle pene di Reggio Calabria scoprirete dove ho ascoltato questa battuta.
Tempi duri per Reggio Calabria
Appartengo a quella categoria di reggini orgogliosi di esserlo, legato ai luoghi del cuore che sono di tutti: l’anfiteatro che una volta era il Cippo, il cinema Siracusa che non c’è più e ci hanno messo un fast food, le immense magnolie della via Marina. Ho quindi una certa resistenza a parlarne male, anche se i tempi sono disastrosi, e dal resto della Calabria un po’ sottovoce si guarda a Reggio con l’aria di chi dice: sempre loro.
Reggio Calabria, il cinema teatro Siracusa
Sempre quelli che hanno ancora in testa la Rivolta oltre cinquant’anni dopo – fieramente divisi fra storici della rivolta popolare e nostalgici dell’eversione nera – quelli che piangono/rimpiangono Italo Falcomatà che appena eletto disse: «Noi siamo scalzi», una indimenticabile serie A con la Reggina durata dieci anni, la gloriosa “Viola” dei canestri, il primo comune capoluogo di Provincia commissariato per infiltrazioni mafiose, alti e bassi che nemmeno le montagne russe, il deficit che non c’è più, i cumuli di rifiuti che ormai fanno parte del panorama. Ma in piazza – come è successo domenica – vanno i tifosi, vogliono salvare la serie B.
Quelle due foto guardano avanti
Meno di una settimana fa i giornali locali hanno pubblicato una foto che mi ha colpito: c’era un teatro strapieno, era stata convocata la Consulta della cultura. Fra le tante decisioni annunciate, quella di circondare il Museo archeologico se si avvieranno i lavori per la sistemazione di Piazza De Nava, voluti dalla Sovrintendenza (progetto peraltro interessante).
Una città che discute del suo futuro non è una città finita, anche se sindaco, rettore etc. Poi, un’altra foto: le file dei ragazzi in gita fuori dallo stesso Marc. Il 2022 è l’anno del Cinquantenario per i Bronzi, e non si può sbagliare. Chiedo solo, da cittadino, che le auto non passino davanti al Museo.
Il Museo archeologico di Reggio Calabria
Falcomatà e il suo Pd
Che succede a Reggio? Beh, tutta la città ne parla, come nel migliore dei programmi di Radio 3. Del sindaco Giuseppe Falcomatà, che si è chiuso nella Fondazione intitolata al padre, cerca di mettere su una biblioteca di testi sul Meridione, sperando che la legge Severino venga superata, o aspettando solo che il periodo di stop si concluda, dopo la condanna per la concessione del Miramare.
Intanto è andato alla Villa, insieme al suo Pd, a ricordare il 25 aprile. L’ex vicesindaco, Tonino Perna, sta per pubblicare un diario sulla sua esperienza in Comune, e sicuramente non sarà lieve sul funzionamento della macchina comunale. Il centrosinistra, tranquillo come una palestra di kick-boxing, cerca un rimbalzo di popolarità e di passione. Ma le sezioni sono chiuse.
Giuseppe Falcomatà, sospeso dopo la condanna per il caso “Miramare” – I Calabresi
Castronovo e Princi: due personaggi che non stanno a guardare
La cronaca cittadina gira spesso intorno a due personaggi che potrebbero avere un ruolo forte in futuro. Uno è Eduardo Lamberti Castronovo, già candidato con la sinistra strapazzato da Scopelliti. Imprenditore della sanità in una Regione che dà alla Sanità il 70 per cento del suo bilancio, editore in video e ora anche direttore di Rtv, membro del Cda del Conservatorio musicale, proprio lui ha organizzato la Consulta della Cultura ed è fortemente critico con il Comune.
Cannizzaro e Princi
L’altra è Giusy Princi, vicepresidente del consiglio regionale ma per la città soprattutto ex preside di un Liceo Scientifico con sezioni sperimentali, una eccellenza assoluta del territorio. La sua discesa in politica ha ricevuto critiche solo per una parentela: la dottoressa Princi è prima cugina del deputato di Forza Italia Francesco Cannizzaro, celebre per le sue promesse sull’aeroporto (a proposito, aggiungiamo lo scalo alla lista con sindaco, rettore etc) e per la sua idea di costruire un autodromo in zona. Anche la sinistra avrebbe candidato volentieri Princi.
Che giustizia è mai questa (dalla Procura al povero Palazzo)
L’ingresso Sud della città costeggia il torrente Calopinace: il visitatore si trova sulla destra il palazzo del Cedir, dove hanno sede uffici comunali e, all’ultimo piano, la procura della Repubblica. In questi giorni si consuma in quelle stanze una vicenda grottesca: dopo quattro anni, il Consiglio di Stato ha annullato la nomina a Procuratore Capo di Giovanni Bombardieri, che nel frattempo si è distinto per le inchieste sulla ‘ndrangheta e per una costante presenza nelle iniziative sociali e di solidarietà, senza mai eccedere nel protagonismo. Si spera adesso nella saggezza del Csm. Ma è di fronte al Palazzo del Cedir che prende ruggine il monumento alla burocrazia del subappalto, alle mafie dei lavori pubblici, ai ritardi dello Stato.
Il Palazzo di Giustizia incompiuto di Reggio Calabria – I Calabresi
La ministra Cartabia si è impegnata recentemente con il presidente della Corte d’Appello Luciano Gerardis, le cronache locali registrano ogni mese un “primo passo” (simile a tante “prime pietre”), un avviamento dell’iter, lo sblocco del contratto. Intanto è un immenso cantiere chiuso. La chiesa vicina si ritrova chiusa per le infiltrazioni dell’acqua che arriva da un parcheggio mai aperto, la “Mazzini” aspetta di tornare una scuola, ma nel frattempo va in rovina. Servirebbe anche qui un girotondo di protesta, solo che ci vorrebbero migliaia di persone.
Il Mausoleo ritrovato a Reggio Calabria
E quanto sia estenuante il capitolo dei lavori pubblici (magari Perna ne parlerà nel suo libro) lo dimostra la storia degli scavi davanti alla stazione Centrale. Nel 2016 scoprirono la base di un Mausoleo, databile alla prima metà del primo secolo, una costruzione di altissima qualità, senza eguali nella Reggio romana. Il professor Lorenzo Braccesi ritiene che possa essere il luogo della sepoltura di Giulia, figlia in esilio dell’imperatore Augusto, la segnalazione è dell’archeologo Daniele Castrizio. E sei anni dopo, evviva, il cantiere riapre.
Reggio Calabria, i guai dell’Università e il relitto della Casa
L’Università “Mediterranea” sta cercando di ripartire dopo un’inchiesta fotocopia di quelle che hanno colpito altri atenei. Con particolari grotteschi e un certo profumo di impunità, come se tutti sapessero già quello che stava per succedere. Noi a Rc non possiamo essere da meno, se il grande capo di Forza Italia in Sicilia chiama il rettore invocando protezione per il genero «bravo ragazzo, ma già bocciato sei volte allo stesso esame», come ha scritto il Domani nei giorni scorsi.
La facoltà di Architettura nell’Università Mediterranea di Reggio Calabria
Lo scandalo di Reggio provoca qualche guaio supplementare, visto che era in discussione la creazione del campus a Saline, nei pressi di due cattedrali nel deserto come laLiquichimica e le officine meccaniche. En passant, ricordo che ci sarebbe da demolire anche l’orrendo scheletro della Casa dello Studente, costruita nel greto di un torrente.
Detto questo, la “Mediterranea”, come Unical e Magna Graecia, si stacca – come ha testimoniato anche Svimez – dall’ultimità che la Calabria conserva (non orgogliosamente) in molti altri settori. Ha un buon Job placement e ricerche di livello internazionale. Difendiamola.
La ragnatela dei luoghi utili
Reggio può contare per fortuna su una grande rete di associazioni, che spesso suppliscono al welfare che non c’è. I centri di medicina solidale di Pellaro e Arghillà, il lavoro di ActionAid nelle scuole. Di Ecolandia non posso parlare perché sono miei amici, ma il riuso di un immenso fortino ottocentesco in una zona così difficile è un atto di eroismo.
Invece conosco solo una o due persone del gruppo che ha trasformato la scalinata di via Giudecca da luogo sporco e malfamato allo spazio aperto dell’incontro, senza un euro ricevuto dal Comune. Poi scendi verso il mare e trovi le porte aperte di Open, dove vendono e pubblicano libri e la sera fanno anche sedute di “yoga della risata”. Altri luoghi, il teatro rimesso a nuovo del Dopolavoro Ferroviario, e l’associazione che gestisce invece la stazione di Santa Caterina.
Si parla poco delle realtà e associazioni legati ad Agape, le case-famiglia, i centri anti-violenza, dove operano persone che hanno avuto una vita romanzesca che non possono raccontare. La palazzina confiscata e ora ristrutturata in via Possidonea dove a pianterreno c’è un laboratorio di sartoria, la bottega del commercio equo e solidale di via Torrione. Il Consorzio Makramé e associazioni come Reggio non tace, la Fondazione Civitas.
La scalinata della Giudecca
E quando in questi giorni è stata annunciata la creazione di un nuovo comitato antiracket, il mio pensiero è andato a quella signora che aveva aperto intorno al 2017 in via Torrione un laboratorio-forno di grani antichi, di prodotti senza glutine. Glielo bruciarono, il Comune offrì un altro negozio. Andò avanti qualche mese, ora ci passo sempre e lo vedo chiuso. Però mi piace prendere l’aperitivo in quel locale in via San Francesco da Paola, poco oltre il Duomo, il cui proprietario ha denunciato un tentativo di estorsione.
Reggio è così, è fatta a macchie. Ci sono tanti circoli culturali di valore nazionale, il Touring club che adotta i paesi. C’è un Planetario a due passi dalla Regione, dove una prof di nome Angela Misiano forma studenti che poi vanno a vincere le Olimpiadi di Astronomia. Visitare, prego. C’è il Castello, solo che spesso è chiuso: l’edicolante/libraio fa da ufficio informazioni e ogni tanto ne parla su Fb, ma al Comune nessuno lo ascolta.
Ci sono piccoli e accoglienti locali dove si cerca di fare cultura come Cartoline Club, proprio lì ho sentito quella battuta sul vescovo e mi è sembrata molto indovinata, perché questa Reggio deve imparare a ridere dei suoi lamenti. E ritrovare la sana rabbia dell’impegno, buoni esempi non mancano.
Lo scorso 10 maggio, il presidente della Regione Roberto Occhiuto e i rappresentanti della città metropolitana di Reggio Calabria si sono riuniti alla Cittadella per parlare del raddoppio e l’ammodernamento dell’unico termovalorizzatore di Gioia Tauro. Due ore d’incontro, per accordarsi sull’essere in disaccordo.
Un intervento che la Regione ha voluto inserire nel nuovo piano rifiuti, per liberarsi dalla dipendenza dalle discariche ed evitare accumuli di rifiuti prima della stagione estiva, oltre che per migliorare l’impatto ambientale della struttura.
Gli amministratori e le comunità della Piana non ne vogliono sapere. «Serve una politica seria, nero su bianco, che ponga come ultima fase la chiusura degli impianti di termovalorizzazione. Se ti dai questo obiettivo, diventi credibile» ci dice, polemico, Aldo Alessio, sindaco di Gioia Tauro, che era presente all’incontro. Qualche giorno prima, il 7 maggio, nella città c’è stata una prima manifestazione di protesta.
L’Azienda sanitaria provinciale di Reggio Calabria
Il territorio di Gioia è particolarmente sensibile al tema della salute. Nel 2018, uno studio dell’Asp di Reggio insieme ad Arpacal e all’Irccs di Bari ha attestato un tasso più alto di incidenza e di mortalità per le neoplasie polmonari nella città e, in generale, nell’area tirrenica. Se non è possibile collegarlo direttamente all’impianto, è vero che la zona della Piana presenta più siti ambientali a rischio.
Gli impianti di nuova generazione danno più garanzie, da questo punto di vista. Ma rimangono tanti dubbi sulle emissioni e sul ruolo che possono avere nel compromettere lo sviluppo della raccolta differenziata sul territorio.
Gioia Tauro, un termovalorizzatore a mezzo servizio
La gestione dell’impianto è la croce più grande che la città si è dovuta caricare sulle spalle, secondo il sindaco Alessio: «Non sono state fatte a dovere né le manutenzioni ordinarie né le straordinarie. E ora ci raccontano la barzelletta che con le nuove misure dovrebbe andare tutto bene. Perché dovrei credergli?». Le due linee che lo costituiscono sono ormai obsolete, sorpassate dagli impianti di nuova generazione, che permettono un controllo più stretto su cosa si brucia, e di inquinare meno.
A confermare il quadro tragico del termovalorizzatore in contrada Cicerna è un documento tecnico del dipartimento regionale Ambiente che è stato allegato alla manifestazione d’interesse per il project financing. Il documento parla di «continui fermi d’impianto» e di una produzione bassa. Le linee inceneriscono «quantitativi molto inferiori rispetto alla potenzialità autorizzata», che si attesta sulle 120mila tonnellate ogni anno.
Alessio non si fida più delle promesse: «Ci stanno raccontando delle favole. E le favole sono tutte belle. Anche 22 anni fa, quando sono state costruite la prima e la seconda linea, la favola era che non avremmo respirato sostanze nocive. E che avremmo avuto il teleriscaldamento. Ormai nessuno ne parla più».
La gestione dell’impianto attuale non è mai stata chiara. «Non c’è mai stata una gara pubblica con un assegnamento definitivo. La Regione l’ha consegnata ai privati. Rimaniamo nella transitorietà: le cose funzionano così in Calabria. E non fa scandalo, qui è tutto normale».
I nuovi impianti abbattono i rischi per la salute
Secondo molti studi sul tema, le nuove tecnologie permettono di ridurre significativamente sia le emissioni che i rischi per la salute, legati soprattutto agli impianti obsoleti ancora in funzione.
La pericolosità degli inquinanti per i cittadini è forse il tema che sta più a cuore alla comunità di Gioia Tauro. Come accennato all’inizio, da tempo si denuncia un aumento dell’incidenza e della mortalità di alcuni tipi di tumore. È complicato, però, trovarne le cause profonde.
Gli impianti di nuova generazione, da questo punto di vista, potrebbero essere un grande passo in avanti. Come si legge nel libro bianco italiano sull’incenerimento dei rifiuti, pubblicato nel 2021, «è scientificamente riconosciuto che le preoccupazioni sui potenziali effetti sulla salute degli inceneritori riconducibili a inquinanti potenzialmente presenti nelle emissioni, quali metalli pesanti, diossine e furani, sono da ricondurre a impianti di vecchia generazione e a tecniche di gestione utilizzate prima della seconda metà degli anni Novanta».
L’ingresso del campus dell’Imperial College di Londra
Una conclusione simile a quella di Anna Hansell, scienziata dell’Imperial College di Londra. In una ricerca, la professoressa non aveva escluso del tutto che i nuovi impianti possano avere delle conseguenze sulla salute (un’affermazione che sarebbe comunque difficile da verificare, a livello scientifico), ma «gli inceneritori moderni e ben regolamentati possono avere un piccolo, se non addirittura impercettibile, impatto sulle persone che vivono nelle loro vicinanze».
I dubbi sulle emissioni del termovalorizzatore di Gioia Tauro
Nella visione della Regione, le nuove linee abbatterebbero anche le emissioni di anidride carbonica. Occhiuto insiste soprattutto su un dato: il raddoppio del termovalorizzatore di Gioia Tauro, secondo i calcoli effettuati dagli uffici della Regione, potrebbe abbattere le emissioni inquinanti dell’88% rispetto a quelli attuali. Questi ultimi rimarrebbero comunque in funzione, quindi è un dato da prendere con le pinze.
Ma è vero che gli impianti di nuova generazione inquinano molto meno? La risposta breve è… nì.
Ci sono tanti fattori da considerare. In primis, abbiamo un problema di metodo. Di solito, i dati contano solo le emissioni di CO₂ fossile, come quello emesso quando viene incenerita la plastica, ad esempio. Ma esiste un altro tipo, la CO₂ biogenica, che deriva da fonti naturali, come il legno. Anche questa inquina, eppure non viene conteggiata nelle statistiche: una falla che non permette di capire realmente gli impatti di questi impianti. Inoltre, è difficile quantificarne l’impatto ambientale, se non si sa cosa verrà bruciato. Anche accettando il fatto che le emissioni di anidride carbonica e altri inquinanti calino con i nuovi impianti, è vero che non esiste l’impatto zero. Queste strutture continueranno ad inquinare.
Gioia Tauro ha un altro problema, molto più concreto: ci vorranno anni per finire l’allargamento del termovalorizzatore. Nel frattempo, le prime due linee continueranno ad inquinare, con una produzione aumentata.
Durante l’ultimo incontro, i sindaci della Città Metropolitana hanno portato una controproposta: dismettere le prime due linee del termovalorizzatore, quando le nuove saranno pronte. È stata bocciata.
C’è chi ha già cambiato idea: il dietrofront della Danimarca
Allargando lo sguardo, vediamo che la discussione sui termovalorizzatori tende a riproporsi nei contesti più vari. Negli ultimi giorni se ne sta parlando anche a Roma, dove la proposta ha un consenso decisamente più largo rispetto alla Calabria. Anche a livello internazionale, la pressione per la costruzione di nuovi impianti è forte. Molti stati vogliono fare in fretta, per liberarsi delle proprie discariche e aumentare la produzione di energia elettrica. Ma non mancano i ripensamenti.
Amager Bakke, il termovalorizzatore di Copenhagen celebre per ospitare una pista da sci
Uno degli stati più “entusiasti” ha fatto una brusca marcia indietro. La Danimarca, infatti, è uno dei paesi europei che ha investito di più nei termovalorizzatori. 23 impianti generano il 5% dell’energia elettrica prodotta nel paese, ed un quinto del teleriscaldamento.
I danesi, però, non producono abbastanza rifiuti da tenere in funzione le centrali. Ed è qui che si genera il paradosso: la Danimarca è costretta ad importare i rifiuti dall’estero, spingendo la produzione più in alto possibile e compromettendo i propri obiettivi climatici.
Se il termovalorizzatore inquina di più: il caso del Regno Unito
Come ha raccontato nel 2020 a Politico il ministro danese per il Clima Dan Jørgensen: «Importiamo rifiuti ad alto contenuto di plastica per utilizzare l’energia in eccesso generata dagli impianti. Il risultato è un aumento delle emissioni di CO₂».
Per questi motivi, il governo danese ha invertito la rotta. Nel prossimo decennio, verranno chiusi 7 inceneritori (su un totale di 23). Inoltre, la capacità di incenerimento dovrà scendere almeno del 30%. L’alternativa di lungo periodo è di puntare sul rafforzamento della raccolta differenziata.
Può anche succedere di scoprire dopo anni che gli impianti che utilizzi siano più inquinanti di quello che pensi. È quello che è successo in Regno Unito.
Secondo un report della società di consulenza Eunomia per ClientEarth, la produzione di energia dai termovalorizzatori inglesi è più inquinante di quella creata utilizzando il gas. Insomma, servirà un monitoraggio molto preciso, se vogliamo misurarne gli effetti sull’ambiente.
Il colpo di grazia alla raccolta differenziata?
Il problema più grosso è che i termovalorizzatori diventano un grosso ostacolo per la raccolta differenziata e, in generale, per l’idea dell’economia circolare.
Una volta creato un impianto, bisogna tenerlo in funzione. È difficile che venga dismesso dopo pochi anni.
Di solito, sono progettati per rimanere in attività per almeno 20 anni, e ci sono dei contratti da rispettare. Le scelte degli amministratori rischierebbero di essere vincolate al mantenimento degli impianti, e non agli obiettivi ambientali. Esattamente com’è successo in Danimarca.
L’ultima emergenza rifiuti nel centro storico di Cosenza (foto Alfonso Bombini)
Sappiamo, inoltre, che le alternative sono poche: dobbiamo ridurre la produzione di rifiuti. Per rispettare gli impegni degli accordi di Parigi, in Italia bisognerà riciclare almeno il 55% dei rifiuti urbani entro il 2025, e il 65% dei rifiuti da imballaggio. Percentuali che hanno soglie più alte per i 10 anni a venire.
In questo ambito, la Calabria è molto indietro. Tra le Regioni d’Italia, è la penultima per raccolta differenziata. Una percentuale intorno al 50%. E pensare che l’obiettivo regionale per il 2012 era quello di raggiungere il 65%.
Sarà fondamentale investire bene i fondi europei, per creare degli impianti che ci permettano di rispettare i nostri obiettivi. Sul termovalorizzatore si può anche discutere, ma non c’è alternativa al riciclo.
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