Ma chi l’ha detto che cultura è solo il sapere ufficiale, pomposo, pesante e pedante. Di libri parliamo e di scrittori pure. Così come ci interessano le minoranze narrate nei libri di Carmine Abate. Elementi che facciamo convivere con le nuove forme di comunicazione delle giovani generazioni. Tik tok è cultura o meno? Noi non siamo così radicali e radical chic. Abbiamo spesso riflettuto sul ruolo delle nostre università. Palazzi fortificati che non dialogano con il territorio. E la scuola? Non può essere cartografata da statistiche elaborate da un computer.
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Che fine ha fatto Salutandonio? Nel suo ultimo post su Facebook, l’ex bambino fenomeno del web, masticato ed espulso dal tritacarne dei social, dopo un lungo silenzio riappare sorridente e in forma, appoggiato a un suv scintillante. «Niente è impossibile», recita la didascalia. Marco Morrone, 126mila follower gran parte dei quali impegnati a lapidarlo nei commenti, è tornato.
Gavino l’influencer
Se c’è un posto in cui la porta del successo è aperta a tutti, quello è il web. Sbirci dentro e trovi un party affollatissimo di personaggi, ma l’accento calabrese lo riconosci da lontano. «Non smetterò mai di ringraziarvi per il sogno che mi state facendo vivere». La citazione è di Gavino Piredda, 20 anni, 71mila follower su Instagram e 815mila su Tik Tok, praticamente una celebrità della rete. E così San Lucido, piccolo comune del tirreno cosentino, seimila abitanti quattro case e un forno, diventa grazie a lui il centro del mondo, perché il mondo è quello dei social network. Gavino sogna di entrare nel cast di “Amici”, balla e canta, ma l’x factor risiede forse in qualcos’altro, è quella variabile che traina i follower, che fa di un semplice video postato dalla propria cameretta o dal cortile sotto casa un trend, condiviso e virale.
Gavino Piredda
I soliti odiatori
Appena parte la “live” ovvero la condivisione di un video in diretta, è un tripudio di connessioni e poi di commenti: saluti, domande e naturalmente molte critiche, che sono quasi sempre direttamente proporzionali alla popolarità. «Le persone mi criticano senza conoscermi, si basano sul personaggio che vedono sul web, nella vita fuori dai social non è che sono diverso, ma sono un ragazzo sia serio che divertente» si racconta Gavino. Ecco, gli odiatori.
Da Serra Pedace con furore
La presilana Regina Rosycalabra
Regina.rosycalabra, spumeggiante cinquantenne di Serra Pedace, 26mila follower su Tik Tok, nei suoi video è quasi sempre impegnata a replicare alle offese che le vengono rivolte («Parla in italiano, buzzurra!», «Lavandaia» solo per citarne due), ma lei questo angolo di successo lo ha costruito proprio sulla capacità di restare impermeabile agli insulti, ai quali – nel suo accento silano che rende tutto più preciso, diretto, appuntito – risponde senza mai perdere la calma e con un saluto che è ormai il suo segno distintivo: «bongio’».
Eletto influencer più seguito di Calabria
Di tutt’altro tenore i commenti rivolti a Filippo Lombardo, reggino, 28 anni, modello con un passato da fashion blogger, eletto nel 2019 “l’influencer più seguito in Calabria”. Foto patinate, ciuffo scolpito a colpi di lacca, abiti e ambientazioni che inscenano una quotidianità fatta di lusso, viaggi, scatti “rubati” a momenti di intimità o riunioni di lavoro. La Calabria è solo uno dei tanti sfondi che incorniciano le foto e le stories, ma sul lungomare di Reggio o avvolti dal candore dei paesaggi innevati della Sila ci sono gli sprazzi più autentici della vita del fashion influencer.
Il ginecologo di Polistena
Tra le star calabresi del web c’è anche un ginecologo, è il dottor Giuseppe Lupica noto come Peppe893, 28 anni e un seguito da record: 230mila follower su Instagram e Tik Tok. Originario di Polistena, ma in forze al policlinico di Bari, nei suoi video sfoggia il camice da chirurgo e un sorriso rassicurante, utilizza i social per fare informazione su tabù e pregiudizi intorno al sesso e alla gravidanza. E sul web è diventato una star. «C’è tanta ignoranza in materia medica. – dice – Con i miei tips voglio dare indicazioni base che naturalmente non possono sostituire una visita. Ma c’è bisogno di diffondere contenuti corretti e si può fare anche via social in modo diverso dal solito. E con una figura del medico magari inconsueta, ma adatta ai tempi moderni».
Il calvo catanzarese dal cuore tenero
Da Catanzaro, Pomiro84, 453mila seguaci su Tik Tok, ha conquistato il suo pubblico facendo autoironia sulla sua testa pelata. «Ma dici a me?» è la frase tormentone con cui apre ogni video in cui spesso è in compagnia di sua figlia. Un calvo dal cuore tenero, tra una battuta e un’altra lancia messaggi condivisibili sull’importanza di accettare i propri difetti perché, dice, «nessuno è perfetto ma dobbiamo svegliarci ogni mattina orgogliosi di essere come siamo». Lo fai per i soldi? Gli chiede qualcuno durante le dirette live, «no, quello che guadagno su Tik Tok – chiarisce – lo regalo ai miei nipotini così comprano qualche giocattolo e se vogliono mi offrono una pizza».
Pomiro84
Calabria food porn
C’è chi però un piedino dentro la pubblicità ce lo mette volentieri e allora da semplice passatempo, il web può rivelarsi vantaggioso anche economicamente. L’esperto è Wladi Nigro, cosentino, un ragazzone barbuto in stile Cannavacciuolo, ottima forchetta ma soprattutto grandi doti imprenditoriali poiché ha fatto della sua passione per il cibo un brand: Calabria food porn. Partiamo dai numeri: seguito da 13.400 persone su Facebook, 39mila su Instagram e 5.200 su Instagram. Le gallerie fotografiche delle sue pagine social trasudano olio, cipolla, peperoncino, ‘nduja, crema al pistacchio, perché Wladi – un diploma all’Alberghiero e una laurea in Scienze Turistiche – ha trovato la sua personalissima “chiave” per veicolare i sapori calabresi: entra nelle cucine, fotografa, mangia, recensisce e fa venire voglia di assaggiare, comprare, visitare.
Vlad creatore di Calabria Food Porn mentra addenta un “cuddrurieddru”, il fritto cosentino della vigilia dell’Immacolata
Noemi da Vibo
Glitter, paillettes e un accento inconfondibilmente calabrese che marca le T senza contegno: Noemi Spinetti da Vibo Valentia, ha 25 anni ma è già una veterana del web. Ha 139mila follower su Tik Tok, 41mila su Instagram, è giovane, sveglia, anche simpatica. La scrittura dei suoi testi non è mai banale: così si passa dagli stereotipi sui calabresi alla promozione del territorio (Palmi, Badolato, Reggio Calabria, Tropea, Camigliatello) con qualche incursione a scopo promozionale nei ristoranti e nei locali.
Blow Dry, benvenuti al Sud
Il filone ormai collaudato delle differenze tra Nord e Sud è quello scelto da Manuel Spizzirri in arte Blow Dry che ha un canale Youtube con 149mila iscritti e 56mila seguaci su Tik Tok. Le gag hanno un impianto visto e rivisto negli ultimi tempi: la mamma del Nord contro la mamma del Sud, per esempio. Un tema che evidentemente piace al pubblico dei social, a giudicare dai like.
La Diletta Leotta di Cosenza
Nel mare magnum delle pagine dedicate al calcio, una ventata di glamour e competenza calcistica arriva da Eleonora Cristiani, la Diletta Leotta cosentina, 11mila follower su Facebook, seimila su Tik Tok e 76mila like, attraverso i social propone la sua rubrica “Oltre il 90esimo” in cui intervista a fine partita i tifosi rossoblu, raccogliendo i commenti a caldo – e ovviamente senza filtri, pure troppo – dei tifosi in uscita dallo stadio.
È calabrese, precisamente di Gioia Tauro, il Pancio nome d’arte di Andrea Panciroli, comico nato sul web, che è videomaker, autore, regista e montatore dei suoi lavori. Con numeri di tutto rispetto: la pagina Facebook conta quasi due milioni di seguaci, 629mila su Instagram, 101mila su Tik Tok: un vero fenomeno. Sesso, droga e paradossi nelle sue gag create ad arte titillando tic e manie comuni per poter essere condivise e diventare virali con l’aiuto degli hashtag.
Annibaluzzo, inventore di storie sui cessi
Una passione di famiglia quella per il web, stando alle fonti che attestano che Annibale Astio, nome d’arte Annibaluzzo, – 107 mila follower su Instagram e 7000 su Tik Tok, da Cutro in provincia di Crotone – è il cugino del Pancio. La partecipazione al programma Ciao Darwin lo ha consacrato star del web. Si definisce “comico e muratore” ma anche “inventore di storie sui cessi” che effettivamente sono spesso presenti nella scenografia dei suoi video realizzati sui cantieri.
Gioca con Martex
Ma il vero fenomeno calabrese del web non usa il dialetto e non ingurgita (o almeno non lo fa nelle dirette) cibo piccante. Sta seduto su una poltrona ergonomica e parla il linguaggio sconosciuto ai più del mondo dei videogiochi. Si chiama Simone Martello, in arte Martex, vive a Lamezia, ha 28 anni e sul web fa numeri da capogiro: ottocentomila iscritti al suo canale Youtube, 122mila follower su Instagram. Martex è un gamer, ovvero un giocatore professionista che trascorre ogni giorno diverse ore collegato e intrattiene il suo pubblico mentre supera i livelli di un videogame svelando segreti, bug e trucchi. E, visti i numeri, non è solo un passatempo ma un lavoro che può essere anche molto remunerativo.
Faccia da bravo ragazzo
Ha aperto il suo canale nel lontano 2007 quando era poco più che un bambino. La fama è arrivata con i video su Fortnite con cui spopola sul web. Nel 2018, per festeggiare i suoi 50mila iscritti, ha realizzato una live streaming di tre ore giocando on line con i suoi fan. Per intenderci, quando è ospite di eventi o fiere ha davanti la fila di chi gli chiede un autografo o una foto. Faccia da bravo ragazzo neanche troppo nerd, linguaggio misurato e mai sopra le righe, la sua forza, dice, è l’autenticità.
«Cerco sempre di lasciare un messaggio positivo a chi mi segue – ha detto in una intervista – sono cosciente di rivolgermi ad un pubblico così giovane che può essere condizionato e fuorviato facilmente». Martex parla da influencer, dall’alto dei suoi numeri, seguito e apprezzato da bambini e adulti. Ma come ogni influencer che si rispetti, le storie e le foto postate su Instagram svelano anche dettagli della sua vita privata: l’amore per il nipote e quello per la sua fidanzata a cui è legato da ben 11 anni.
Profumo di videogioco con DodoBax
Martex non è il solo influencer calabrese ad occupare un posto nell’olimpo dei gamer professionisti, accanto a lui troviamo DadoBax, nome d’arte di Corrado Cozza, 26 anni, di Rende. Il suo canale Youtube aperto nel 2012 conta 158mila iscritti (300mila visual) e su Instagram a seguirlo ci sono 12mila persone. Corrado è laureato in ingegneria informatica e ha da sempre una passione viscerale per i videogiochi che adesso si è evoluta in un lavoro, visto che collabora con importanti network. Tre gli scopi che si prefigge: arrivare a tutti, anche a chi non conosce i videogiochi, con un linguaggio facile e accessibile sia ai bambini che agli adulti; approfondire alcuni argomenti sfatando luoghi comuni che girano sul web e infine trasmettere la sua passione per i videogames. «Bisogna sentire il videogioco come se fosse un profumo – dice – come se fosse una musica. Sentirlo sulla pelle».
Ans..ia da cinema
Nasce dall’amore per le consolle anche la carriera di Antonello Santopaolo, cosentino, 27 anni, in arte Ans: oltre 12mila seguaci su Instagram. Studia da influencer e si sta specializzando nelle interviste ai doppiatori dei videogames più popolari. Occhi azzurri e capelli biondo cenere, nei suoi post mostra anche la sua passione per attori del cinema italiano come Paolo Villaggio e Ugo Tognazzi. Passato, presente e futuro che dialogano, come sempre nel web. E anche nella vita.
La fashion influencer Rossella
L’influencer della porta accanto si chiama Rossella Dattolo, vive a Rende, frequenta l’Unical e ha 49mila seguaci su Instagram e 4300 su Tik Tok. I suoi post sono una girandola di outfit griffati e, letta attraverso le stories, la sua vita assomiglia a quella di tante altre colleghe metropolitane che si fotografano negli ascensori dei grattaceli, pronte ad andare a divorarsi il mondo là fuori. Sono i dettagli – nelle foto meno costruite – che riportano al tepore di casa di una adolescente, con le sue fragilità e le sue imperfezioni. I due piani della realtà e dei suoi surrogati si alternano davanti e dietro gli schermi dei telefonini, nello sforzo – anch’esso funzionale all’accumulo di follower – di apparire autentici.
Ciao Omar
Forse ci era riuscito Omar Palermo, in arte YouTubo anche io, morto d’infarto a soli 42 anni ad agosto. Ingurgitava cibo per trattenere il suo pubblico e intanto si raccontava tra le righe, con pacatezza, imbarazzo, gentilezza. Alla fine di ogni abbuffata ringraziava la sua community per avergli tenuto compagnia, merendina dopo merendina è scivolato via.
Quando, era il 19 luglio, il nostro sito è apparso sul web per la prima volta sapevamo di dover affrontare una sfida. Conquistare lettori, specie in una regione dove i giornali online abbondano, è difficile. Riuscirci per un giornalista significa cercare di raccontare quello che accade in maniera diversa dai colleghi delle altre testate e noi in questi trenta giorni abbiamo provato a farlo. E a mantenere quanto, fin dal primo editoriale del nostro direttore Francesco Pellegrini – che vi riproponiamo in home page – avevamo promesso: non avere vincoli di alcun genere, essere immuni da pregiudizi.
Giudicare se ci siamo riusciti o meno non è certo compito nostro, ma di voi lettori. Quelli che come noi credono che «nessuno dei calabresi possa accettare passivamente che l’immagine della loro, della nostra splendida terra sia insozzata dal crimine mafioso, dalle connivenze occulte, più o meno deviate, da amministrazioni opache e autoreferenziali, da una politica – fatte le debite e non poche eccezioni – che si autoperpetua nella irrilevanza e nel discredito dei cittadini». Quelli a cui abbiamo chiesto di non lasciarci soli, aiutandoci a crescere insieme.
A un mese dalla prima uscita, i risultati de I Calabresi ci dicono che non mancano i cittadini disposti a sostenerci. E di ora in ora nuovi lettori si aggiungono a quelli che già avevamo: 100mila visitatori sul sito, oltre 12mila followers sulla nostra pagina Facebook. Numeri alti o bassi? Di certo numeri che non erano scontati prima di cominciare, di cui andiamo orgogliosi e che vogliamo far crescere ancora.
Se non ci avete mai letti prima, qui sotto potete trovare una piccola selezione degli articoli più apprezzati di questo primo mese. Non possiamo che ringraziarvi per l’attenzione che ci state dedicando in queste settimane. Cercheremo di meritarne ancora di più, giorno dopo giorno.
Ospitiamo con estremo piacere il contributo che Luciano Regolo, già direttore dell’Ora della Calabria e attuale condirettore di Famiglia Cristiana, ci ha voluto inviare in occasione della prima uscita online de I Calabresi.
Quando Francesco Pellegrini mi ha parlato del sogno e della sfida di questo nuovo giornale online, I Calabresi, ho subito pensato che bisogna proprio fare il tifo per questo progetto. Una informazione totalmente libera, una voce autenticamente critica sono ancora più importanti in una terra come la nostra, dove potentati, neppure più tanto occulti, sono in grado di provocare una stagnazione cronica nel tessuto socio-economico della comunità. Per smuovere la palude, la logica degli accorduni di stampo massonico, occorrono sassi scagliati da voci libere e coraggiose.
La sfida di Pellegrini e della sua squadra, in cui già ci sono due cronisti che io conosco bene, Alfonso Bombini e Camillo Giuliani, reduci come me dalla ferita dell’Oragate, mi ha riportato a galla emozioni contrastanti, la voglia che avevo quand’ero venuto a lavorare nella mia Calabria, la delusione provata dopo il cosiddetto “caso Gentile” e la chiusura del quotidiano che dirigevo, il dolore per la sentenza che, nel silenzio e nell’indifferenza generali ha lasciato impuniti i responsabili di un caso di censura degno di contesti dittatoriali.
Nel 2018, infatti, lo stampatore Umberto De Rose è stato assolto dal giudice del Tribunale di Cosenza, Manuela Gallo, dall’accusa di tentata violenza privata in riferimento al blocco delle rotative, nella notte fra il 18 e il 19 febbraio 2014, che non fece mai arrivare in edicola L’Ora della Calabria. Quella notte io registrai la telefonata che De Rose fece all’editore del quotidiano, Alfredo Citrigno, nella quale gli “consigliava” di non pubblicare la notizia su una indagine a carico del figlio del senatore Tonino Gentile, Andrea (per il quale per altro cadde poi ogni accusa in merito). Nella telefonata, è bene ricordarlo, si parlava di “cinghiali che feriti poi ammazzano tutti”, e si adoperavano termini minacciosi in una invettiva che Roberto Saviano ha definito una “summa della subcultura mafiosa”. Intervistata a caldo dai tg, Rosy Bindi invece dichiarò che quella conversazione «conteneva materialiutili per la Commissione Antimafia».
Al diniego del sottoscritto di togliere la notizia, secondo l’ordine di De Rose, che parlava dichiaratamente nella telefonata per nome e per conto dei Gentile, il giornale non uscì in edicola con la scusa di un guasto alla rotativa, che poi una perizia disposta dalla stessa Procura di Cosenza dimostrerà non essersi mai verificato.
La prima pagina dell’Ora della Calabria mai arrivata in edicola
Nel corso delle udienze del processo dell’Oragate durato ben quattro anni per concludersi con un nulla di fatto, il 16 gennaio 2017, si registrò pure l’ammissione del tecnico specializzato Davide Maxwell che dichiarò in aula che De Rose gli chiese di effettuare una perizia di parte falsa sul blocco della rotativa, certificando il guasto che non ci fu.
L’assoluzione è arrivata dopo la richiesta fatta dal pm Domenico Frascino, ma la cosa più sconcertante è che a questa richiesta si è associato anche il legale che allora mi seguiva, l’avvocato Giulio Bruno, senza avermene mai parlato, a mia totale insaputa. Gli chiesi spiegazioni e lui tirò in ballo la dottrina giurisprudenziale, la formulazione del capo di imputazione che sarebbe stata errata.
Un epilogo grottesco dopo quattro anni di lungaggini e strani rinvii, com’è grottesco che si si sia assolto per motivi formali o procedurali chi soffoca la libertà di stampa, perché in un quadriennio si sarebbe potuto facilmente procedere in maniera diversa. Ancora più doloroso fu il silenzio calato su questa vicenda da parte dei media, quel far finta di nulla che già avevo notato durante le udienze quando gli sparuti colleghi delle testate locali che venivano ad assistere a me chiedevano solo se mi mancava la Calabria, raccogliendo invece il “verbo” del difensore di De Rose.
Lo stampatore, legato da lunga e vecchia amicizia con Tonino Gentile, non è mai stato querelato da quest’ultimo per come usò il suo nome, quella notte, per esercitare pressione e questo nonostante l’ex sottosegretario, abbia più volte sostenuto, a propria difesa, di essere stato vittima di un «complotto mediatico»: quelle frasi minacciose che io registrai, però, le pronunciò un suo sodale e non un suo nemico. Le pronunciò una persona che Gentile chiamò spontaneamente e ossessivamente più e più volte, per ottenere il suo scopo fino a tarda notte.
Io registrai quella conversazione trovandomi con l’editore nella sua auto, mentre De Rose lo chiamava dopo che avevo appena dato “l’ultimo visto si stampi” a quel numero del quotidiano. Chiamava per ricordare fra l’altro all’editore, Alfredo Citrigno che «loro», i Gentile, padre e figlio, dopo aver mandato «signali» di pace, «stanno aspettando una risposta», ossia volevano essere rassicurati sul fatto che io avrei «cacciatu sa’ notizia».
Da allora Gentile non prese mai pubblicamente le distanze dallo stampatore che all’epoca dell’orrenda telefonata era pure presidente di Fincalabra e aveva reclutato entrambi i figli del senatore in ben remunerate mansioni per la finanziaria regionale, poi finite (pure esse) nel mirino della magistratura. Angelino Alfano, ministro della Giustizia all’epoca dell’Oragate, difendendo il compagno di partito Tonino Gentile, costretto a dimettersi per lo scandalo da sottosegretario alle Infrastrutture pochi giorni dopo la nomina, disse: «Il suo diritto alla difesa è stato calpestato dall’onda mediatica, ora da persona libera si difenderà».
Ma Gentile, ripeto, non si è mai difeso querelando l’unica persona che l’ha dipinto come il cinghiale vendicativo: ossia il suo amico Umberto De Rose, col quale tra il 18 e il 19 febbraio parlò al cellulare, come risulta dai tabulati telefonici, fino a due minuti dopo la chiamata che io registrai, a notte fonda (risultano in totale una trentina d’impulsi, con tanto di frenetiche chiamate ripetute del senatore allo stampatore mentre la linea del primo era occupata, durante la conversazione con Citrigno che io registrai).
Quella registrazione fu la sola possibilità di difesa per i miei colleghi e per me. E anche se non è servita a ottenere giustizia (ricordo che quando consegnai l’audio originale agli agenti di polizia si commossero ringraziandomi perché “con questi gesti si dava un senso al loro lavoro”) resta tuttora l’unica traccia di una realtà oscura che si è voluto a tutti i costi insabbiare, di una situazione fosca che si è fatto di tutto per rendere sempre più confusa. Ma negli occhi di noi che abbiamo vissuto i due mesi di occupazione della redazione che seguirono alla chiusura della testata, o la nascita del blogl’Orasiamonoi quando ci fu oscurato anche il sito del giornale per impedirci di informare la comunità, resterà sempre impresso lo striscione che elaborammo per le nostre azioni di protesta: “L’Ora della dignità”.
Il direttore Luciano Regolo, l’ex segretario della FNSI Carlo Parisi e una parte della redazione de L’Ora della Calabria stendono il loro striscione sulle scale della Prefettura di Cosenza
Tanti sapevamo che la nostra rivolta non sarebbe durata, sapevamo che la nostra testata sarebbe morta, come il sogno di libertà che cullavamo. Ma sapevamo che così nessuno avrebbe potuto uccidere la nostra dignità o imbavagliare un pensiero che resterà sempre vivo. E me lo conferma oggi il progetto di Francesco Pellegrini e del suo team, ispirato alla stessa determinazione. Ci sarà sempre qualcuno che troverà la forza di alzare la testa e la voce contro i cinghiali di turno.
Luciano Regolo Giornalista e scrittore
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