Tag: giustizia

  • Depurazione, dieci misure cautelari nel Tirreno cosentino

    Depurazione, dieci misure cautelari nel Tirreno cosentino

    Stamane i carabinieri della compagnia di Scalea hanno eseguito dieci misure cautelari. Coinvolti anche un sindaco, un tecnico dell’Arpacal, imprenditori e tre funzionari degli uffici tecnici dei Comuni dell’Alto Tirreno cosentino.
    L’indagine, coordinata dal procuratore di Paola, Pierpaolo Bruni, riguarda una serie di illeciti in relazione a procedure ad evidenza pubblica nel settore della depurazione.

    Si ipotizzano condotte collusive e fraudolente finalizzate ad avvantaggiare uno o più operatori economici con riguardo ad appalti e affidamento di servizi in diversi comuni dell’Alto Tirreno Cosentino, anche in violazione dei criteri di rotazione nell’affidamento di lavori e aggirando il dovere di effettuare indagini di mercato.

    Dalle indagini emerge la condotta di taluni imprenditori che avrebbero violato gli obblighi contrattuali assunti con comuni della fascia tirrenica con riguardo ad appalti afferenti la gestione e la manutenzione dell’impianto di depurazione e degli impianti di sollevamento e hanno smaltito fanghi di depurazione senza adeguato trattamento nei terreni agricoli anziché mediante conferimento in discarica autorizzata, talora anche attraverso lo sversamento del refluo fognario in un collettore occulto.

    In alcune circostanze sono state immesse nelle acque sostanze chimiche in assenza di un preciso dosaggio rapportato alle caratteristiche microbiche delle acque, con la finalità di occultare la carica batterica delle acque prima dei previsti controlli, la cui esecuzione veniva in anticipo e preventivamente comunicata al soggetto da controllare da parte di un tecnico dell’Arpacal che, violando il segreto d’ufficio, concordava direttamente con i gestori degli impianti di depurazione le modalità di esecuzione dei controlli, oltre che la scelta del serbatoio da verificare, così determinando una alterazione della genuinità delle analisi effettuate.

    I dettagli dell’operazione saranno spiegati questa mattina alle 11:00 in una conferenza stampa alla quale parteciperanno il procuratore della Repubblica di Paola, Pierpaolo Bruni, il comandante provinciale di Cosenza, colonnello Piero Sutera, ed il comandante della Compagnia di Scalea, capitano Andrea Massari.

  • Ponte o traghetti? Sullo Stretto resta puzza di ‘ndrine

    Ponte o traghetti? Sullo Stretto resta puzza di ‘ndrine

    Una delle obiezioni più pratiche che oppongono i “no ponte sullo Stretto” è quella della sua inutilità per il collegamento delle due sponde dello Stretto. Basterebbe, a detta di costoro, implementare una rete efficace di traghetti e trasporto marittimo. Sulla carta, certamente un’idea condivisibile. Ma la pratica è ben altra cosa. La società Caronte & Tourist che si occupa del servizio di traghettamento dello Stretto da Villa San Giovanni a Messina, opera di fatto in regime di monopolio da decenni. Questo, ovviamente, comporta costi molto alti per l’attraversamento. Per intenderci, un biglietto di andata e ritorno per un’utilitaria arriva a costare 40 euro per il percorso nelle 24 ore. E il prezzo sale ancor di più se lo stacco tra un viaggio e l’altro si allunga.

    Ma c’è dell’altro rispetto al tema del ponte sullo Stretto e dei traghetti. La società, valutata mezzo miliardo di euro, è recentemente finita in amministrazione giudiziaria in seguito a un’indagine condotta dalla Dda di Reggio Calabria. I pm antimafia reggini sostengono che la ‘ndrangheta abbia infiltrato la Caronte&Tourist. In particolare, le potenti famiglie Buda e Imerti, già protagoniste della seconda guerra di ‘ndrangheta, avrebbero da tempo controllato quasi tutto. Parliamo infatti dell’azienda più grande che opera sul territorio reggino, con circa 1200 dipendenti. La Caronte & Tourist ha un capitale sociale di euro 2.374.310,00 e vanta numerose partecipazioni in altre società, insieme alle quali svolge, in massima parte, servizi di navigazione. Non solo sullo stretto di Messina, ma anche in ulteriori tratte tra la Sicilia e altre destinazioni. Il provvedimento emesso dai magistrati è mirato proprio a “bonificare” i vari settori su cui le cosche avrebbero esteso i propri tentacoli: dalla ristorazione alla ditta per le pulizie e la disinfestazione.

  • Il Gigliotti magico: la carriera lampo del prof in quota Morra

    Il Gigliotti magico: la carriera lampo del prof in quota Morra

    «Gigliotti? Si è trovato al posto giusto al momento giusto». Un professore che sa bene come vanno le cose nell’Università Magna Graecia di Catanzaro commenta così, chiedendo di restare anonimo, la folgorante carriera di Fulvio Gigliotti, ordinario di Diritto privato al Dipartimento di Giurisprudenza, economia e sociologia dell’ateneo del capoluogo e, dal luglio del 2018, componente del Csm.

    Nel massimo organo della magistratura Gigliotti ci arriva come membro “laico”, ovvero eletto dal Parlamento, in quota M5S. Ai grillini spettano all’epoca – sono i “bei” tempi in cui anche per questi incarichi bisogna passare dal voto sulla piattaforma Rousseau – tre caselle nel Csm. E dopo Alberto Maria Benedetti e Filippo Donati, il prof catanzarese supera di 76 clic il quarto candidato, Vito Mormando. Dopo qualche mese (ottobre 2018) c’è per lui un ulteriore scatto. Il plenum lo elegge quale componente laico della Sezione disciplinare, organismo permanente dello stesso organo costituzionale che si occupa dei procedimenti contro i magistrati ordinari. Giusto per capire quanto sia rilevante e delicata la funzione: Gigliotti presiede il collegio giudicante che espelle Luca Palamara dalla magistratura.

    Lupacchini, Palamara e i bordini bianchi

    Qualche passaggio ironico sulla sua scalata al Csm lo dedica di recente, intervistato da Nicola Porro a “Quarta Repubblica”, l’ex procuratore generale di Catanzaro Otello Lupacchini. Il quale a sua volta, nella seduta della commissione disciplinare – che poi ne avrebbe confermato il trasferimento a Torino per gli scontri con il procuratore capo Nicola Gratteri – viene interrotto spesso proprio da Gigliotti che lo invita a rimanere sull’argomento.

    L’ex magistrato Luca Palamara

    Ma l’ex segretario dell’Anm ne parla con toni non proprio lusinghieri già nel libro-intervista Il Sistema con Alessandro Sallusti. Palamara dice di essere stato avvicinato «direttamente e indirettamente» da Gigliotti – «uno sconosciuto professore calabrese uscito per magia, nella migliore delle ipotesi, dalle primarie che i Cinque Stelle avevano indetto su Internet per scegliere i candidati al Csm» – il quale sarebbe stato tra quanti avrebbero tentato di dividerlo da Cosimo Ferri, parlamentare renziano considerato fautore del “Patto del Nazareno” che, in quella fase di guerra correntizia tra toghe, avrebbe condiviso con Luca Lotti e lo stesso Palamara l’obiettivo di «sbarrare la strada all’ascesa dei Cinque Stelle nel governo della magistratura».

    Un’altra citazione Palamara gliela dedica raccontando un retroscena frivolo sull’elezione (settembre 2018) del nuovo vicepresidente del Csm: «Tra i candidati – meglio sarebbe dire autocandidati – c’è Fulvio Gigliotti, membro laico eletto dai Cinque Stelle. Sa qual è la battuta che circolava nelle sacre stanze del Csm che si erano indignate per Mesiano (il giudice dai calzini “strani” che condannò Fininvest, ndr)? Questa: “Uno che si presenta con scarpe blu con i bordini bianchi per definizione non può fare il vicepresidente”». Per la cronaca: a imporsi è David Ermini, deputato – «renzianissimo», tuonano all’epoca i 5 stelle – e avvocato penalista.

    Il curriculum di Gigliotti

    Per i curiosi interessati al curriculum vitae del professor Gigliotti viene in soccorso una rivista specializzata, “Giustizia Civile”, diretta da Giuseppe Conte – “quel” Giuseppe Conte – e Fabrizio Di Marzio. Nato a Catanzaro – si legge nella versione online del giornale – il 13 giugno 1966, Gigliotti si laurea a 24 anni con 110 e lode e dignità di pubblicazione della tesi. Dal 1994 è abilitato all’esercizio della professione forense mentre, nel 1999, entra nei ruoli universitari come ricercatore.

    Qui c’è il primo salto con tempistica definita «non comune» da chi conosce le dinamiche universitarie. Da ricercatore in Diritto della navigazione e dei trasporti diventa, nel giro di soli 2 anni, professore associato di Istituzioni di diritto privato (2001). Quindi l’altro passaggio «sorprendente». Nel 2005, a soli 6 anni da quando è entrato nei ruoli dell’ateneo, è professore ordinario di Diritto privato. Quindi entra nel Cda dell’Università e della Fondazione universitaria Umg. Insegna in (e dirige) diversi Master. Fa parte di commissioni di concorso per docenti e ricercatori universitari e in quelle per gli esami da avvocato e commercialista.

    Negli anni è anche componente del Consiglio giudiziario istituito presso la Corte d’Appello di Catanzaro, membro del Comitato di consulenza giuridico-amministrativa del Commissario delegato per l’emergenza ambientale in Calabria, consulente della Regione per la formazione del Quadro territoriale regionale e consulente della Field, fondazione regionale in house finita in una bufera giudiziaria per presunte «spese pazze» nell’era (Scopelliti) in cui a presiederla era Domenico Barile. È autore di molti saggi e pubblicazioni ma è ricordato anche per aver iniziato (dal 1993 e fino al 1999) l’attività di avvocato nell’Ufficio legale dell’Enel.

    Il mentore e la guerra in facoltà

    «Ha indubbiamente scritto molto – commenta ancora la nostra anonima fonte – e non metto in dubbio la qualità dei suoi lavori. Ma è altrettanto indiscutibile che nella sua ascesa abbia giocato un ruolo importante l’essere stato allievo di Ciccarello». Sebastiano Ciccarello è il (compianto, è scomparso nel 2017) preside della Facoltà di Giurisprudenza proprio negli anni in cui Gigliotti passa velocemente da ricercatore a professore associato.

    L’Università di Catanzaro

    A Catanzaro ha insegnato per più di un ventennio. Ha ricoperto l’incarico di direttore di Dipartimento (dal 1989 al 1995) e, appunto, di preside dal 1995 al 2001, anno in cui viene eletto alla guida della facoltà di legge a Reggio, dove è poi confermato anche per il mandato successivo. Ciccarello è espressione di quella “fazione” accademica che nei corridoi dell’ateneo del capoluogo identificano come «messinese», da sempre in contrasto con quella «napoletana» che invece governa il Dipartimento da qualche anno a questa parte. Si tratta di “scuole” potenti, i cui allievi hanno spesso fatto carriere veloci.

    Lo sponsor politico

    In politica invece su chi sia lo sponsor di Gigliotti non ci sono molti dubbi. Se lo si chiede off the record a diversi parlamentari calabresi del M5S rispondono tutti in coro che per farlo arrivare al Csm è stato decisivo il ruolo di Nicola Morra. Come presidente della Commissione Antimafia, si racconta nel sottobosco grillino locale, Morra ha sempre esercitato una sorta di ultima parola sulle nomine che contano. Ed è sempre riuscito anche ad avere una certa influenza su alcuni gruppi di attivisti che in determinati frangenti possono risultare decisivi nelle votazioni online.

    Pare che alcuni deputati pentastellati abbiano provato ad opporsi alla nomina al Csm di Gigliotti. In che modo? Utilizzando le voci, rimaste solo tali, su una sua presunta e mai confermata appartenenza alla massoneria. Sono i mesi in cui nel M5S scoppia il caso del candidato massone Bruno Azzerboni e qualcuno prova a fare leva su quelle dicerie per sbarrare la strada al prof catanzarese. Non c’è però nessuna conferma su quanto sussurrano all’orecchio di Alfonso Bonafede le malelingue istituzionali. Così l’allora ministro si adegua alle indicazioni di Rousseau. Quello scarto di 76 clic entra nella storia della magistratura italiana che, forse, nelle sue pieghe più nascoste è ancora tutta da scrivere.

  • Genova per noi | Il G8 e la Calabria, vent’anni dopo

    Genova per noi | Il G8 e la Calabria, vent’anni dopo

    Non ha mai smesso di viaggiare il treno che in quel luglio 2001 da Genova ci riportò in Calabria dopo il G8. Un elastico invisibile ci lega a quelle giornate. Con Gianfranco Tallarico rendemmo omaggio alla lapide per Carlo Giuliani nel primo anniversario. Pochi mesi dopo, ci arrestarono con l’accusa d’aver cospirato, sovvertito, impedito al Governo l’esercizio delle sue funzioni, ostacolato la globalizzazione dei mercati.

    Dal G8 di Genova al tribunale di Cosenza

    Nel 2001 Gianfranco assisteva i bambini disabili. Dopo le manette, perse il lavoro. In seguito fu prosciolto in fase preliminare. Adesso è istruttore di pugilato, plurilaureato, s’è costruito una palestra con le sue mani. Educa i ragazzi di quartiere al rispetto, coadiuva la riabilitazione delle persone disabili. Anch’io per 15 giorni fui sospeso dall’insegnamento. Ma la mia scuola di Lauropoli impose al Ministero di richiamarmi subito in servizio. A Cosenza 50mila persone manifestarono per chiedere la nostra liberazione. Nei tre gradi del lungo processo, fummo tutti assolti con formula piena.

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    L’ingresso del tribunale di Cosenza

    Nel processo il compianto avvocato Giuseppe Mazzotta, sarcastico, propose la convocazione in aula, come persone informate sui fatti, degli “otto grandi della Terra”. George Bush incluso. Il Pm non si oppose. È letteratura il controesame in corte d’Assise a Cosenza del teste d’accusa Spartaco Mortola, dirigente Digos nei giorni di Genova. L’avvocato Maurizio Nucci gli mostrò le immagini delle cariche dei carabinieri su corso Torino. E il poliziotto: «Quello fu un comportamento criminale».

    Uno specchio elastico lega il G8 di Genova ai due decenni successivi; non c’è istante di quelle giornate che non riverberi nel presente. La sequenza dell’assalto al carcere di Marassi di allora, se rivista, si riflette nei filmati di oggi sulla polizia penitenziaria che infierisce sui detenuti a Santa Maria Capua Vetere.

    Le vite parallele

    Hanno fatto carriera, senza separazione, le persone che ci arrestarono. Nadia Plastina era Gip, oggi fa il Pm; Domenico Fiordalisi era pm, adesso consigliere in Cassazione. La sua inchiesta costò allo Stato almeno tre milioni di euro. Polizia e Ros dei Carabinieri lavorarono in tandem. Tonino Gentile propose in Senato promozioni per loro. Il Ros ha poi vissuto momenti bui: sentenze del 2018 lo incastrano nella trattativa Stato-mafia negli anni di Falcone e Borsellino. L’ex senatore Gentile ha ottenuto più di un sottosegretariato prima di finire invischiato, da esterno al processo, nella vicenda Oragate e allontanarsi dai palcoscenici politici più in vista. La Procura di Cosenza è retta dai discepoli di chi la resse 20 anni fa.

    Oscar Greco, studioso di storia contemporanea, era in quei giorni nella città della Lanterna: «Rappresentarono insieme l’ultimo capitolo del ‘900 e il primo del secolo entrante». Abilitato all’insegnamento da associato, avendo rifiutato le clientele baronali nell’Università della Calabria, dopo tanti anni di gavetta oggi Oscar si ritrova senza cattedra.

    Francesco Cirillo si presentò in piazza con la valigia in cartone, emblema del sud migrante e ribelle ai diktat neoliberisti. Anche Francesco sarà arrestato e poi assolto. In questi 20 anni ha confezionato succosi romanzi, accompagnando con gioia gli squarci di ribellione in Calabria: manifestazioni in difesa dei beni comuni, onda studentesca, rivolta dei braccianti neri a Rosarno, occupazioni di case, movimenti femministi, mobilitazioni per la sanità pubblica. Tutti sogni concreti che già a Genova presero fiato ma furono respinti da gas tossici, proiettili, torture, manette.

    Il sesto senso del reggino Mimmo Tramontana ci salvò dalla mattanza. Per sfuggire agli agguati a freddo che le varie polizie stavano perpetrando sui manifestanti in uscita da Genova, l’ultima sera fummo tentati di fermarci a dormire nella scuola Diaz. E Mimmo: «Compa’, andiamocene da qui. C’è un’aria che non mi piace» Oggi, col Consorzio Equosud, da lui fondato, guida i forestieri sui sentieri narranti d’Aspromonte ed esporta prodotti alimentari calabresi, liberi da sfruttamento del lavoro, acquistabili nei mercatini solidali dell’Italia centrale.

    Tra gli anti-G8 del sud, anch’egli arrestato e poi assolto, c’era pure Michele Santagata. Adesso fa il giornalista. Di recente, un istante dopo aver subito un pestaggio mafioso che avrebbe voluto tarpargli la penna, ha smascherato i suoi aggressori avvalendosi del quarto potere nel web.

    La ragione dei vinti

    Oltre al settantasettino slogan “vogliamo tutto”, il movimento del 2001 ebbe l’inedita attitudine a proporre. Abolire i brevetti su farmaci e vaccini, tassare i profitti delle multinazionali: oggi siffatte rivendicazioni sono condivise dall’intera umanità. Dopo aver vissuto quelle giornate, qualsiasi partecipazione al gioco della rappresentanza, magari entrando nelle istituzioni, per molti di noi è divenuta improponibile. Ne ha approfittato Beppe Grillo, riciclando quei temi per catalizzare consenso e farsi Stato. Noi abbiamo perso, sì. Eppure è opinione quasi unanime che avessimo ragione. È raro, ma capita pure che siano gli sconfitti a scrivere la propria storia.

  • Morire di carcere è crudeltà di Stato

    Morire di carcere è crudeltà di Stato

    Battaglie di civiltà in carcere. Così le chiamano quanti, a parole, si preoccupano della sorte degli “ultimi”, ma poi si voltano dall’altra parte quando qualcuno, davvero, prova a sedersi dal lato sbagliato, nel posto più buio della società, per dare voce e diritti a chi non ne ha. Sandra Berardi, attivista storica della sinistra cosentina, affronta questo conflitto da almeno 15 anni. Cioè da quando con la sua associazione, ha cominciato a occuparsi delle condizioni di vita dei detenuti.

    Ha scoperto un universo di piccoli e grandi abusi, una costellazione di persone e storie che, con grande fatica, cerca di far emergere dal mondo di sotto. E che testimoniano come la Costituzione venga spesso usata come vessillo retorico per essere poi calpestata proprio da chi rappresenta lo Stato nei suoi anfratti più popolati ma meno visibili.

    Com’è si è incastrata la tua storia personale con la nascita di Yairaiha Onlus?

    «La storia di Yairaiha viene da lontano ed è trasversale a molte delle istanze sociali che maturano in contesti di marginalità. Addirittura la lotta per la casa parte da una lotta vincente di Yairaiha. Tutte le lotte sono “totalizzanti”, almeno per quanti ci credono e vi si dedicano con impegno. Sicuramente mantenere rapporti epistolari con centinaia di persone in carcere non è semplice. Spesso ti porta ad interiorizzare le problematiche che ti vengono sottoposte, ma l’aspetto più frustrante è il muro di gomma che ti trovi davanti il più delle volte».

     

    Sandra Berardi, a destra con Haidi Giuliani, ex parlamentare e mamma di Carlo ucciso al G8 di Genova

     

    Ricordi la prima volta che hai incontrato un detenuto in un carcere?

    «È stato nel 1997. Era il carcere minorile di Catanzaro, dove poi ho fatto la volontaria per 8 anni. Nel 2005 ho avuto modo di entrare nelle carceri per adulti: un mondo a parte in tutti i sensi. Nel minorile il “sovraffollamento” era di attività e di volontari. L’abbandono, il degrado, il tempo vuoto della pena, l’assenza di relazioni e finanche le mozzarelle scadute che ho visto negli adulti ha fatto sì che nascesse un’associazione che lottasse per i diritti dei detenuti».

    Decine di vostre denunce non sono bastate. C’è voluto un video “virale” perché tutta Italia si accorgesse di cosa fosse successo a Santa Maria Capua Vetere. E probabilmente non solo lì. Quanto è difficile tentare di rompere ogni giorno quel muro di gomma?

    «Per noi il video è stato solo un’ulteriore conferma di quanto già sapevamo e denunciamo da 15 mesi con il sostegno di pochi giornali (Il Dubbio e Il Riformista). Immagini analoghe sono andate in onda mesi fa, riferite ad un episodio del 2018 nel carcere di San Gimignano (inchiesta aperta a seguito di nostra denuncia pubblica). Però non suscitarono l’indignazione che invece è scaturita, finalmente, da queste immagini».

    Come si lotta contro la retorica della colpa?

    «Quando si parla di carcere e diritti violati la maggior parte delle persone vede i detenuti con molta diffidenza, presuppone che “se stanno in carcere qualcosa devono aver fatto”. I sentimenti che accompagnano molti sono infarciti di pregiudizi e da una buona dose di “retorica della colpa” secondo la quale chi delinque lo fa perché è nato delinquente e vuole delinquere. Periodicamente organizziamo incontri tematici in collaborazione con università, camere penali, circoli culturali, ultimamente anche online. Riscontriamo un grande interesse anche tra la gente “comune” e non solo tra gli addetti ai lavori, tra gli studenti o tra i familiari».

    I media orientano l’opinione pubblica verso una deriva giustizialista?

    «Il problema principale sta nella cattiva informazione che contribuisce a formare l’opinione pubblica in chiave giustizialista e nelle infelici uscite di certi politici che pur di cavalcare i sentimenti che toccano la “pancia del paese” difendono a spada tratta i torturatori. La maggior parte dei media tratta l’argomento carcere in maniera tale che la società non vada oltre l’equazione: “Ha sbagliato? Si buttino le chiavi!”. La politica ha delegato la magistratura a gestire e regolare i meccanismi socio-economici determinando un approccio penalistico alla risoluzione di problemi che necessiterebbero di risposte altre».

    Ora in molti vi cercano, ma le responsabilità dei media nella spettacolarizzazione della cronaca sono innegabili. Quante colpe hanno anche la sinistra italiana, magari quella “radicale”, e il mondo “impegnato” della cultura, per aver snobbato la questione delle carceri?

    «Le forze politiche di “sinistra” hanno avuto la capacità di disperdere un patrimonio di temi e lotte che gli erano proprie per inseguire le forze politiche reazionarie sul piano del giustizialismo. L’ultimo esempio ci è dato dall’affossamento del progetto di riforma Orlando per paura di perdere consenso elettorale. Dopodiché abbiamo assistito alla cancellazione di alcuni temi. Basti pensare al vergognoso silenzio da parte di tutto l’arco parlamentare sui 13 morti e sulle mattanze nelle carceri della scorsa primavera. Non più di tre parlamentari hanno presentato interrogazioni su sollecitazione delle associazioni».

    Solo la sinistra radicale si batte per un carcere più umano?

    «La cosiddetta “sinistra radicale” ha ben presente la questione carceraria, ma sono lontani i tempi in cui entravamo quotidianamente nelle carceri, quando avevamo parlamentari “nostri” come Haidi Giuliani o Francesco Caruso. Non a caso l’ultima parlamentare con la quale abbiamo collaborato è stata Eleonora Forenza (Prc), che purtroppo non è al governo. I parlamentari attuali hanno rinunciato completamente al diritto/dovere di ispezionare le carceri. Quanto al mondo della cultura e dei movimenti, quelli che continuano a mettere genuinamente al centro delle proprie azioni la questione carceraria sono pochi. Molti di più, invece, sono quelli che speculano sull’esistenza delle carceri e dei detenuti spesso destinatari di progetti che soddisfano l’ego dei proponenti più che i bisogni dei destinatari».

    Qual è la storia che più ti ha segnato in tutti questi anni?

    «Purtroppo sono tante, e non saprei davvero da quale iniziare. Tante si sono concluse in modo tragico. La storia di Carmelo Terranova è emblematica: morto a settembre dello scorso anno nel carcere di Parma dove era stato riportato a seguito del decreto Bonafede, varato in tutta fretta per placare le ire di Giletti e del falso scoop sulle “scarcerazioni dei boss”. Ma lui non era uscito per effetto della circolare del Dap. Aspettava già dall’inverno precedente l’esito dell’istanza di sospensione della pena per motivi di salute».

    Tanti hanno i giorni contati in carcere per motivi di salute…

    Carmelo lo avevamo incontrato per ben due volte, a distanza di tre anni, nel carcere di Bari, assieme a Forenza; e prima ancora nel carcere di Palmi e di Siano. La sua vita, da tempo, dipendeva da una macchina per l’ossigeno giorno e notte. Negli anni passati gli erano già stati accordati i domiciliari per motivi di salute; domiciliari che gli furono revocati per le visite dei parenti, peraltro nemmeno pregiudicati. Nel 2019 segnalavamo per iscritto che aveva tre bypass ed era sottoposto ad ossigenazione continua. Ci siamo soffermati a lungo nella sua cella prima e nel corridoio poi, ci mostrò orgoglioso tutta la rassegna stampa sull’attesa delle sentenze di Strasburgo e delle Corte Costituzionale sull’ergastolo ostativo. Le aspettava fiducioso, come tanti. Riusciva ad avere i nostri articoli tramite una parente perché le sue lettere indirizzate all’Associazione Yairaiha, e viceversa, si smarrivano “misteriosamente”. Il comandante che ci accompagnava si sorprese ma non poté smentire il controllo incrociato».

    E poi come è andata a finire la storia di Carmelo?

    Le speranze di Carmelo avevano il fiato corto. Un suo compagno ci prese da parte dicendoci che anche se non lo dava a vedere, non gli rimaneva molto da vivere. I suoi polmoni erano ormai esangui e ridotti notevolmente nel volume. Carmelo sapeva che non ce l’avrebbe fatta a superare in vita l’ergastolo ostativo. Ci volle salutare con un forte abbraccio e un bacio sulle guance, come si fa con un amico che già si sa di non poter rivedere mai più, e la promessa che ci sarebbe venuto a trovare appena libero. Ma non è andata così».

    Come spiegheresti al papà di un ragazzino innocente ucciso “per sbaglio” da un killer di ‘ndrangheta, e che invoca le pene più dure per gli assassini del figlio, la battaglia per l’abolizione dell’ergastolo ostativo?

    «Non sono indifferente davanti a un simile dolore, ma la giustizia di Stato si propone di superare la vendetta. E se la condanna diventa più crudele del reato che si vuole punire non è più giustizia, ma vendetta. Il dolore delle vittime sembra essere diventato un elemento che concorre a stabilire la pena. Sono d’accordo, invece, con Fiammetta Borsellino quando afferma che il dolore dei familiari delle vittime è soggettivo e che per prevenire i fenomeni criminali bisogna intervenire a monte prevenendo la formazione di culture criminali che oggi, nonostante la propaganda securitaria e antimafia, rimane molto una dichiarazione di intenti senza che vi sia applicazione concreta. Poi c’è un’altra cosa che mi sono sempre chiesta, non trovando risposta. Perché la morte provocata in contesto criminale pesa di più di una morte causata da un altro fenomeno (guida in stato di ubriachezza, omicidio domestico, malasanità, eccesso colposo di legittima difesa, ecc.)? Un omicidio è un omicidio».

    Sostenere che si debba abolire il carcere come istituzione a molti sembra un’utopia. Come ci si dovrebbe comportare nei confronti di chi commette atti terribili? Qual è la strada che voi indicate?

    «Partiamo dalla nostra Costituzione. Essa non prevede il carcere come pena a fronte dei reati commessi, ma percorsi di accompagnamento e di ricostruzione dei legami sociali infranti con il reato. Poi ci sarebbe da rivedere il codice penale, ristabilire cosa è reato. In Italia abbiamo oltre 5000 fattispecie penali, ma non tutti possono essere considerati reato. Molti sono reati di sopravvivenza puniti penalmente, ad esempio i parcheggiatori abusivi.

    Quanto incidono le politiche proibizioniste sul sovraffollamento delle carceri?

    «Penso all’ipocrisia di fondo delle politiche proibizioniste rispetto all’uso e consumo delle droghe che alimenta condotte violente e criminali per il controllo del mercato. Di contro, laddove l’uso e il commercio delle droghe è stato legalizzato i benefici sono stati, e continuano ad essere, molteplici. Si va dalla riduzione del danno in senso farmacologico alla riduzione della violenza e degli scontri tra bande per il controllo del mercato, fino alla chiusura delle carceri per mancanza di “criminali”».

    Il carcere ha fallito il suo obiettivo?

    «Ritengo che la prevenzione sia alla base di una società sana e libera dal crimine. Non abbiamo formule, ma sappiamo con certezza che il carcere ha fallito il suo obiettivo. E non è con l’introduzione di nuovi reati o con l’inasprimento delle pene che si ottengono risultati positivi. Di contro, ci sono tanti esempi, come le comunità educanti o la giustizia riparativa, che aiutano le persone a comprendere e superare il male fatto e subito».