Tag: economia

  • Usura, a Vibo tassi di interesse al 257%

    Usura, a Vibo tassi di interesse al 257%

    L’usura ha raggiunto tassi di interesse al 257% nel Vibonese secondo il report di Caritas. Sono dati presenti nell’ultimo dossier su povertà ed esclusione sociale. E la percentuale di persone in condizioni economiche difficili che si rivolgono a parrocchie e diocesi registra un 49,6 % in più nel 2020.

    A Cosenza e nella Locride tassi al 200%

    Nella morsa degli strozzini non finiscono solo imprenditori che rischiano di chiudere bottega. «Lo spaccato offerto dalle inchieste giudiziarie almeno degli ultimi quindici anni è incredibile» – si legge nel report della Caritas. In provincia di Cosenza e nella Locride i tassi di usura hanno toccato il 200%.
    Numeri che fanno paura ma sono, paradossalmente, piccoli rispetto ad altri dati: 1500% annui raggiunto a Roma in alcune specifiche occasioni, i 400% a Firenze, i 150% a Milano, i 180% annui nel nord est padovano e fra il 120% ed il 150% nel Modenese. Negozianti, artigiani, piccoli imprenditori, divenuti improvvisamente incapaci di onorare i debiti che avevano contratto in tempi migliori, sarebbero sempre più tentati di cercare una illusoria e rapida via di fuga, cedendo alla proposta di chi è pronto a offrire soldi facili senza chiedere troppe garanzie in cambio, salvo poi far pagare a caro prezzo il denaro prestato o a impossessarsi dell’attività di chi non può pagare.

    La povertà nel rapporto Caritas

    L’incidenza delle famiglie in povertà assoluta si conferma più alta nel Mezzogiorno (salita al 9,4%, dall’8,6% del 2019). Anche se la crescita più ampia si colloca nelle regioni del Nord, dove la povertà familiare cresce dal 5,8% al 7,6%. Tale dinamica fa sì che se nel 2019 le famiglie povere del nostro Paese fossero distribuite quasi in egual misura al Nord (43,4%) e nel Mezzogiorno (42,2%). Nel 2020 si giunge rispettivamente al 47% e al 38,6%, con una differenza in valore assoluto di 167mila nuclei.

    Il Nord si conferma come la macro-area con il peggioramento più marcato, con un’incidenza di povertà assoluta che passa dal 6,8% al 9,3% (è il Nord-Ovest l’area maggiormente penalizzata, cosa che in qualche modo non stupisce). Sono così oltre 2 milioni 554mila i poveri assoluti residenti nelle regioni del Nord e 2 milioni 259 mila quelli del Mezzogiorno.

    usura-caritas-icalabresi.it

    Usura, l’odissea di Mario

     A 40 anni, sposato e con due figlie piccole, Mario (ma non è il suo vero nome) ha lavorato come magazziniere in provincia di Cosenza.
    Uno stipendio per mantenere la famiglia in modo dignitoso. Poi la crisi, la pandemia, le prime difficoltà anche del datore di lavoro che poi però alla fine si dimostrerà fondamentale per la sua rinascita insieme ai suoi parenti e soprattutto a Caritas e la Fondazione Don Carlo de Cardona.

    Licenziato, cerca la fortuna con il gioco

    Tutto inizia quando il suo contratto passa da full time a part time poco prima dell’insorgere dell’emergenza Covid 19. Non racconta niente alla moglie. Le cose precipitano rapidamente. Licenziato ma con la promessa che sarà riassunto appena possibile. E così sarà poi alla fine, ma passerà un anno. Dodici mesi in cui piano piano sprofonda nel suo incubo personale. All’inizio chiede piccoli prestiti alla banca e ad amici e parenti. Ma i soldi non bastano. Cerca di tirare su qualcosa con il gioco on line, ma ovviamente perde. Debiti su debiti.

    C’è sempre qualcuno che ti porta da loro

    Come succede spesso in queste storie, c’è sempre qualcuno che può metterti in contatto con chi può farti un prestito. Senza nessuna garanzia, se non quella di restituire i soldi mensilmente poco per volta. L’uomo cede e ottiene circa 10mila euro. Dopo pochi mesi si ritrova senza soldi e senza la possibilità di pagare le rate agli usurai. E “i cravattari” iniziano a perseguitarlo prima con telefonate, poi con appostamenti, sia sotto casa che sotto scuola dei figli. Le minacce si fanno sempre più pressanti.

    Riassunto dal datore di lavoro

    A quel punto la famiglia si accorge che c’è qualcosa che non va e lui, per fortuna, crolla e racconta tutto. Tramite l’intervento familiare ottiene dei soldi in maniere legale. Con i quali estingue i suoi debiti con “gli strozzini”. Non se la sente di sporgere denuncia, (motivo per il quale i dati ufficiali sull’usura reale sono sempre al ribasso). Successivamente, grazie a Caritas e alla Fondazione della Diocesi cosentina, riesce a risolvere anche la questione del debito con l’istituto di credito. Una storia che finisce con la sua riassunzione. Ma è solo un’eccezione fra i più che non si risollevano dal baratro.

  • Qui il denaro costa il doppio, la Calabria strozzata dalle banche

    Qui il denaro costa il doppio, la Calabria strozzata dalle banche

    Una impresa calabrese paga mediamente, secondo dati della Banca d’Italia, un tasso di interesse pari al doppio del livello nazionale e superiore di due terzi rispetto alle regioni settentrionali. L’accesso al credito in condizioni così onerose è un’autostrada per consegnare interi settori di attività economica alle tentazioni della criminalità organizzata.
    Il sistema creditizio della ‘Ndrangheta conduce istruttorie rapide, la burocrazia è ridotta al minimo, all’inizio non vengono richieste nemmeno garanzie reali. Poi, entrate dalla finestra del credito, le organizzazioni criminali si impadroniscono delle aziende passando per la porta principale, per gestire business, riciclare denaro e rafforzare il controllo sul territorio.

    Fare azienda in queste condizioni diventa davvero arduo. Pagare alle banche il denaro in modo così più elevato rispetto al resto del Paese rende le imprese calabresi molto più vulnerabili. E soprattutto molto più esposte alle sirene del denaro offerto in prestito dalla criminalità organizzata. Spezzare questa trappola costituisce una delle sfide che non si sono nemmeno cominciate.

    Tassi d’interesse per le imprese raddoppiati

    Dunque, la Calabria fa registrare un tasso di interesse per le imprese poco più che doppio rispetto alla media nazionale: 6,76% rispetto a 3,36%. È il valore più alto di tutto il Paese, ed anche nettamente. Solo il Molise e la Sardegna, registrano valori superiori al 5%, rispettivamente il 5.38% ed il 5,07%.
    La media dei tassi di interesse per le attività economiche nel Mezzogiorno è pari al 4,67%, comunque due punti sotto rispetto alla Calabria. Per non parlare di quello che accade nel resto delle regioni del Nord.

    Il costo del denaro per le aziende in Lombardia è pari sostanzialmente ad un terzo rispetto alla Calabria: 2,93%, con qualche altra regione settentrionale che si situa sotto la soglia del 3%, come accade anche all’intero Nord Est.
    Per le piccole imprese calabresi il tasso di interesse arriva addirittura al 9,55%; solo la Sardegna registra nell’intero Paese un valore leggermente più alto (9,57%), mentre per le piccole imprese del Mezzogiorno la media è pari all’8,39% ed al 6,48% per la media nazionale.

    Va meglio alle famiglie

    Per le famiglie consumatrici i tassi di interesse non registrano invece una significativa varianza tra le diverse regioni dell’Italia, e si collocano su livelli comunque molto bassi, molti più bassi rispetto al costo del denaro per le attività economiche. In Calabria le famiglie pagano alle banche un interesse dell’1,65%, più basso della media del Paese (1,69%) e del Mezzogiorno (1,73%). La situazione è in qualche modo simmetricamente opposta rispetto a quella che abbiamo analizzato per le attività economiche.

    Fare impresa in Calabria è molto più difficile. Pagare per l’approvvigionamento del denaro il doppio della media nazionale e due terzi in più del Nord alza la soglia delle convenienze. E spiazza soprattutto la nascita di aziende, che devono ricorrere maggiormente al capitale di debito per finanziare gli investimenti iniziali e l’avviamento.
    Per le attività economiche che sono già presenti sul mercato, tassi di interesse così elevati possono indurre a tentazioni di ricorso ad altre fonti di approvvigionamento, certamente meno burocratiche delle banche ma molto più pericolose.

    Le organizzazioni criminali, ed ovviamente la ‘Ndrangheta in Calabria, sono il vero rivale di un sistema bancario che gioca sulla difensiva e non si schiera a sostegno delle forze economiche e sociali che tentano una strada di riscatto basata sullo sviluppo. Nei passaggi cruciali per la vita di una impresa, poter contare sull’accesso al credito costituisce uno degli elementi vitali per affrontare un passaggio difficile di crisi, oppure per crescere realizzando investimenti.

    I rischi per le banche

    Ovviamente, non mancano le ragioni economiche per questo drammatico divario nel costo del denaro per le imprese della Calabria. Non conta il destino cinico e baro o la cattiveria delle banche. Il deterioramento del credito per le imprese calabresi è il più alto del Paese (2,6%), rispetto all’1,4% dell’Italia ed all’1,8% del Mezzogiorno.

    Le regioni italiane con il minore rischio di credito bancario sono la Valle d’Aosta (0,6%) ed il Friuli Venezia Giulia (0,7%). Va comunque notato che non si giustifica tutto il divario che abbiamo visto in termini di differenziale dei tassi di interesse per le imprese calabresi, ma non vi è dubbio che il rischio di svalutazione dei crediti per le banche è più elevato rispetto al resto del Paese.

    Il rischio di credito per le famiglie consumatrici calabresi è pari all’1,4%, leggermente migliore rispetto alla media del Mezzogiorno (1,5%), ma inferiore rispetto alla media nazionale (1,1%). Tra le regioni italiane il valore più alto di rischio creditizio per le famiglie si registra in Sicilia (1,9%). Sono due, invece, le regioni che si collocano al valore più basso dello 0,6%: Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia.

    Non si può non considerare questa del credito una delle maggiori emergenze che vanno affrontate per il futuro economico della Calabria. Non solo perché tassi di interesse così divergenti per le imprese del territorio limitano le prospettive di sviluppo. Ma anche perché questo assetto lascia spazio alle forze criminali per giocare un ruolo di condizionamento nei destini delle imprese.

  • Università della Calabria, senza dialogo con istituzioni e territorio non si cresce

    Università della Calabria, senza dialogo con istituzioni e territorio non si cresce

    Gentilissimo direttore,
    ho seguito con molto interesse il dibattito apertosi su I Calabresi inerente il ruolo che le università hanno nello sviluppo del nostro territorio e, dunque, sull’importanza di quella che viene definita “Terza Missione”: su come, cioè, gli atenei possono e devono svolgerla, interpretarla, interagendo con la società civile ed il mondo imprenditoriale, i cittadini.
    Mi permetta da cittadina calabrese che si è laureata presso l’Università della Calabria, ha lavorato e fatto impresa nella propria terra e che oggi ha l’onore di rappresentarla tra i banchi della Camera dei Deputati, di condividere con Lei ed i suoi lettori qualche appunto mentale sull’argomento e raccontarle anche alcune esperienze personali ad esso correlate.

    Serve più dialogo

    Il ruolo delle università, va da sé, – ma è comunque giusto ricordarlo – è assolutamente centrale per la crescita culturale, sociale ed economica dei territori. Per questa ragione le istituzioni – locali soprattutto ma anche centrali – dovrebbero a mio avviso potenziare maggiormente il dialogo con gli atenei e tessere un lavoro di contaminazione costante al fine non solo di tracciare le migliori e più aderenti politiche per la crescita del territorio in questione, quanto anche adoperarsi per consentire a tutte le fasce della popolazione, in particolar modo quelle più fragili, che oggi si sentono distanti e disamorate dalle aule universitarie, che addirittura considerano quasi controproducente l’accesso al sapere, di far propri quegli strumenti, pratici e cognitivi, che consentono una crescita personale e professionale tale da aggredire e non subire il mondo ed il mercato del lavoro.

    La cultura collegata alla comunità

    Da sottosegretario di Stato ai Beni Culturali nel Conte II, ho voluto fortemente coinvolgere l’Università della Calabria nella progettazione degli interventi per la riqualificazione del centro storico di Cosenza attraverso il Contratto istituzionale di sviluppo. Proprio per questo motivo ho chiesto all’Unical di sviluppare un progetto per la creazione di un incubatore per le imprese culturali e turistiche – che avrà sede all’interno dell’ex Convitto nazionale Telesio – con l’obiettivo di stimolare, attraverso la formazione e la diffusione della cultura di impresa, partendo dai bisogni del centro storico, nuove imprese di servizi proprio per la cultura e il turismo in grado di intercettare il mercato nazionale ed internazionale.

    La motivazione è semplice: l’università con il suo background nel campo della ricerca e dello sviluppo, non solo di spin-off, ma anche di startup innovative, è il soggetto più indicato per realizzare un percorso che colleghi i luoghi della cultura di Cosenza innanzitutto alla comunità cittadina, e del centro storico in particolare, e di tutti i cittadini dell’area urbana.

    Serve volontà politica

    La volontà politica, dunque, all’interno delle istituzioni, ad ogni livello, è fondamentale per innescare una collaborazione concreta e proficua con le università rafforzandone la capacità di connettersi al territorio e trasferire saperi, strumenti ed opportunità. In tal senso, con l’ultima Legge di bilancio varata dal Conte II, quella per il 2021, si è dato vita agli ecosistemi dell’innovazione per le regioni del meridione d’Italia, con l’obiettivo di stimolare la creazione di veri e propri hub dell’innovazione tra soggetti pubblici, le università e i privati, ovvero aziende nel campo dell’ICT, startup e imprese tradizionali.

    Guardare oltre le mura delle proprie aule

    È fondamentale, infatti, incentivare il dialogo tra pubblico e privato, soprattutto in una regione come la nostra che soffre ancora oggi di insani campanilismi, spinte individualiste e divisive. Se, dunque, la “politica” ambisce ad essere definita tale, quella cioè con la “P” maiuscola (io per prima finché vorrò portarla avanti attivamente), deve altresì impegnarsi per trovare la strada giusta e stimolare gli atenei calabresi a guardare oltre le mura delle proprie aule.

    Così come è responsabilità delle università accelerare sui percorsi della Terza Missione non solo lavorando in sinergia tra di loro, ma pensando alla Calabria come un territorio “unico” dove, potenzialmente, ogni giorno, potrebbero nascere progetti ed idee che, magari, hanno solo bisogno di trovare riferimenti seri per crescere e far crescere il contesto intorno a loro. Solo così, ritengo, avremo una Calabria fertile di saperi condivisi e solo così le nostre università potranno continuare a crescere e raggiungere traguardi sempre più alti nel campo dell’offerta formativa, della ricerca e del sapere umano.

    Anna Laura Orrico
    Deputato M5S – ex sottosegretario ai Beni Culturali

     

  • Aeroporto Minniti, Reggio è la cenerentola degli scali calabresi

    Aeroporto Minniti, Reggio è la cenerentola degli scali calabresi

    L’aeroporto Tito Minniti fu pensato per essere porta d’ingresso per le due città metropolitane, canale d’arrivo e di partenza privilegiato per una fetta di Sud da oltre un milione di abitanti. Ma è finito nell’angolino più angusto del sistema dei trasporti del fondo dello Stivale. Lo scalo di Reggio Calabria arranca tra un emorragia di passeggeri che non conosce sosta – è all’ultimo posto per utenti trasportati tra gli scali calabresi – e un’offerta anemica che si limita a Roma e Milano, con prezzi da tratte internazionali che dirottano su altri aeroporti (Catania e Lamezia) anche buona parte dell’utenza “domestica”.

    Il prezzo dell’incanto

    Incastrato tra le ultime ombre d’Aspromonte e la meraviglia dello Stretto, lo scalo reggino paga, tra le altre cose, una serie di limitazioni dettate proprio dalla posizione in cui lo hanno costruito e dalla difficoltà nelle manovre di atterraggio. Dotato di due piste (anche se i voli di linea atterrano e decollano solo su quella principale) è uno dei pochi scali italiani a prevedere un’abilitazione particolare per il pilota (in fase di atterraggio è necessaria una manovra gestita direttamente in cabina).

    Limitazione che si somma a quelle legate all’impossibilità di dotare lo scalo con i moderni sistemi di radiofaro per l’atterraggio strumentale degli aerei e che, di fatto, resta come un macigno sospeso sui progetti di sviluppo visto che molte compagnie, low cost in testa, preferiscono puntare su scali incatenati da minori restrizioni e quindi accessibili a costi più bassi.

    Uno scalo per due

    Reggio e Messina come bacino naturale, il Tito Minniti (in memoria dell’aviatore reggino protagonista della guerra colonialista d’Abissinia) non è mai riuscito a diventare veramente attrattivo per i viaggiatori in partenza e in arrivo dalla sponda siciliana dello Stretto. Più veloce e più comodo per l’area metropolitana di Messina (nonostante la maggiore distanza) raggiungere lo scalo catanese di Fontana Rossa, che garantisce una maggiore offerta e prezzi decisamente più competitivi.

    Oggi, se un utente messinese volesse decollare da Reggio servendosi di mezzi pubblici potrebbe scegliere tra: prendere un autobus (privato) dalla città peloritana che, attraversato lo stretto via traghetto fino a Villa, lo lasci in aeroporto dopo il tragitto in autostrada o, in alternativa, prendere un aliscafo fino al porto di Reggio e da lì raggiungere lo scalo con un mezzo Atm: in entrambi i casi, oltre un’ora di tragitto scomodo e costoso che scoraggerebbe anche il più entusiasta dei viaggiatori.

    Arrivare in aeroporto dal mare

    Eppure qualcosa era stato fatto in passato per migliorare il collegamento. Nata durante la primavera di Reggio con Italo Falcomatà, l’idea di dotare il Minniti con un approdo pensato per gli aliscafi, si concretizzò nell’era Scopelliti, ma le cose non andarono bene. Modificato il vecchio molo della stazione aeroporto e “sistemata” la via d’accesso diretta tra la stazione e il Minniti, il nuovo percorso che consentiva l’accesso diretto allo scalo (con check in possibile direttamente a Messina) non riuscì mai a sfondare.

    Troppo lungo il tragitto via mare (nell’entusiasmo di quei giorni un consigliere comunale arrivò a invocare l’adozione degli hovercraft per il collegamento super veloce delle due sponde dello Stretto), scomodo e lento il trasbordo sulla navetta dalla stazione. Il servizio rimase in piedi per una manciata di mesi soltanto. Poi, così come era venuta, l’idea di arrivare al Minniti dal mare è naufragata in fretta. E ha lasciato come (costosa) dote, un molo ristrutturato e ormai in disuso e un sottopassaggio inutilizzato prima vandalizzato da una discarica abusiva e poi mestamente chiuso al traffico.

    Scartamento ridotto

    Il Minniti è passato sotto la gestione di Sacal all’indomani del rovinoso fallimento della Sogas, la compartecipata pubblica che gestiva lo scalo andata a gambe per aria nel 2016 con uno strascico di 10 indagati. Ha evitato così una rovinosa chiusura grazie a una gestione provvisoria che gli ha consentito di non perdere le necessarie autorizzazioni. Ma l’aeroporto reggino ha continuato a perdere collegamenti e passeggeri in un’emorragia senza fine aggravata dal baratro Covid e dalle scelte di Sacal che, accusano da Reggio, «spinge Lamezia e lascia al palo Reggio e Crotone».

    Il biglietto costa il doppio di Lamezia

    Sul piatto restano i milioni del rinnovato piano industriale previsti dal gestore per i tre scali calabresi. Una fetta dovrebbe essere destinata a Reggio per l’adeguamento della pista e dell’aerostazione e il rilancio dello scalo: «Vogliamo portare Reggio a un milione di viaggiatori», disse l’allora facente funzioni Spirlì durante una conferenza stampa della scorsa estate.

     

    In attesa del milione di passeggeri, al Minniti, nel mese di ottobre, si sono avventurati poco più di 13 mila utenti che rendono lo scalo reggino ultimo tra i tre aeroporti calabresi per numero di passeggeri. Anche perché, prenotare per la settima di Natale, un andata e ritorno sia da Roma che da Milano (uniche tratte sopravvissute alla desertificazione dei voli) costa al malcapitato viaggiatore poco meno di 400 euro. Circa 200 euro in più delle medesime tratte in vendita, nel medesimo periodo, sullo scalo lametino.

  • Fendi si è fermato a Calopezzati: il paradosso della ginestra

    Fendi si è fermato a Calopezzati: il paradosso della ginestra

    È tutta di ginestra: raccolta, filata, tessuta, dipinta a mano. È la hit bag prodotta in Calabria per il progetto di Silvia Venturini Fendi Hand in hand. I suoi disegni stile Longobucco, con i misteriosi codici bizantini della tradizione di quelle terre, hanno i colori del glicine, del mallo di noce, dell’edera, della liquirizia, della curcuma e finanche della cocciniglia, colorante ricavato dalla femmina dell’omonimo insetto parassita.
    È una storia di extra lusso e di paradossi. Un’avventura calabrese, di artigianato resistente e vuoto intorno. C’è tanta ginestra, ma non c’è manodopera.
    Una borsa per pochissimi (e ricchissimi).

    Filippelli e Bossio

    È la storia del maestro tessitore Pasquale Filippelli, originario di Bocchigliero, selezionato con altri diciannove artigiani italiani dalla maison romana. Anche lui, come è stato per l’orafo trapanese Platimiro Fiorenza, che ha intessuto la baguette Sicilia di coralli, dovrebbe essere nominato dall’Unesco “tesoro umano vivente”. Filippelli ha partecipato a Hand in hand con la sodale fabbrica tessile Bossio di Calopezzati. Tessere di mano in mano, entrando nei piccoli scrigni delle botteghe delle regioni italiane, dove nascono meraviglie: questa la filosofia Fendi. Oggi la baguette Calabria è un oggetto d’arte per pochi eletti. La si può trovare esposta, insieme alle altre diciannove, al Palazzo della civiltà italiana di Roma, fino al 28 novembre (la mostra può essere visitata anche in modalità virtual)
    Sono soltanto quindici i pezzi calabresi, per adesso. Raffinata e glamour, la baguette di ginestra è destinata a clienti speciali e segretissimi, perché costa diverse migliaia di euro e anche per quello che racconta il suo ciclo produttivo: realizzata senza elettricità, senza chimica.

    Il maestro Filippelli al lavoro, nella teca la baguette Fendi
    Il maestro Filippelli al lavoro; nella teca la baguette Fendi
    La Fendi per le dive green

    Finirà nel guardaroba di una diva green stile Angelina Jolie, o forse della moglie di un tycoon orientale, di una Carrie della Sex and the city newyorkese.
    Nella fabbrica tessile Bossio di Calopezzati, paese del cosentino, tra la Sila greca e il mare, poco più di 1300 abitanti, c’è tanto entusiasmo ma anche la cautela, saggia, paziente, pragmatica degli artigiani. Dalla capostipite Elisabetta alla figlia Elena, al genero Angelo, al nipote Vincenzo, in questo luogo di fili e macchinari, nato nel 1966, la vocazione è per i prodotti naturali. «Fai la qualità e stai tranquillo» è la raccomandazione tramandata da una generazione all’altra. «Fendi aveva richiesto venti baguette, ma noi siamo riusciti a realizzarne soltanto quindici, perché occorre tempo per creare i prototipi e ogni singolo pezzo e perché l’anello debole di tutto il processo – racconta Vincenzo Bossio, – è la filatura. Nella fase di produzione abbiamo anche provato a cercare sul territorio, senza successo, ginestra già filata».

    Vincenzo Bossio, uno dei proprietari della fabbrica tessile di Calopezzati
    Ma nessuno la fila

    E pensare che non bisognerebbe neanche coltivarla la ginestra, pianta ribelle che cresce dove vuole. Robusta e così audace da rinforzarsi ad ogni potatura, materia prima per realizzare filati che resistono ai secoli. «Abbiamo tessuti – racconta ancora Vincenzo – che hanno anche settanta anni e che sono sempre più belli. È una fibra capace anche di regolare l’umidità, tanto che veniva usata dai romani per le vele delle loro imbarcazioni». La ginestra è lì, infestante come la liquirizia, fiorisce rigogliosa a ogni primavera, ovunque in Calabria, dalla costa degli Dei alla Sila greca, ma non ha avuto la buona fortuna delle altre fibre liberiane, il lino e la canapa, di cui è stretta parente.
    «Ci troviamo in una situazione stimolante, ma difficile. Ci contattano molte aziende, sono incuriosite e affascinate da questo tipo di lavorazione, ma purtroppo non posso produrre il filato che mi viene richiesto».

    L’antico telaio della fabbrica Bossio di Calopezzati
    L’interesse dei giapponesi

    Vincenzo Bossio mostra il suo cellulare. Gli è appena arrivato un messaggio dal Giappone. «Ci scrivono diverse startup. Un marchio di scarpe di lusso ci ha appena proposto di realizzare le tomaie con le fibre di ginestra. Internet ci consente di stare sui mercati mondiali, i social amplificano i nostri orizzonti, ma in questo caso abbiamo bisogno di mani sapienti più che di macchine e di tecnologia».
    La ginestra, come dimostra Hand in hand, può essere un’alternativa green alle fibre sintetiche che infestano i mercati del tessile. Bassissimo costo della materia grezza (basta andare a raccoglierla, ce n’è tanta), il tessuto ottenuto non si deteriora, è resistente e versatile. Quindi? Quindi le lenzuola di ginestra continuiamo a trovarle solo nei musei etnografici, tra telai impolverati e ricostruzioni di ambienti rurali.

    Nel Dna delle tessitrici

    La produzione non può prescindere dal telaio di legno, come quello su cui Elena, figlia di Elisabetta e madre di Vincenzo, fin da bambina ha imparato a tirare la tela. Un’arte tramandata attraverso un codice orale fatto di parole e numeri, un lessico familiare che si traduce nei movimenti lenti e serrati che danno vita al filato, attraverso la griglia di trame e orditi su cui s’imprime il Dna. «E non per modo di dire – spiega Elena – ma perché si trascorrono ore e ore a lavoro sul telaio, concentrate nei propri pensieri, a scaricare la tensione, vedendo crescere il filato come una creatura a cui diamo la vita».

    La ginestra crea economia

    La filatura è la tessera mancante in questa partita della ginestra che potrebbe creare un indotto virtuoso nell’economia calabrese. È per questo che adesso l’azienda Bossio ha deciso di investire nella formazione: «Il settore tessile in Calabria è una nicchia e come tale non ha peso politico» è l’amara constatazione di Bossio. Ma non è rassegnazione perché ci sono grandi progetti in vista : «Non solo vogliamo formare nuovi filatori – annuncia – ma siamo pronti ad acquistare tutto ciò che viene realizzato». È ripartita proprio ieri una giovane allieva di una scuola di tessitura parigina che, nell’azienda di Calopezzati, ha svolto uno stage di tre mesi. Ha vissuto pure lei l’adrenalina del progetto Fendi, ma ha anche ascoltato le storie dei contadini che ammorbidivano i rami di ginestra nell’acqua del fiume: passato e presente dialogano e collegano mondi lontani.

    Filo di ginestra
    Con Fendi fino al 31 dicembre

    Il contratto con la fashion house romana si concluderà il 31 dicembre. «Ancora non so se continueremo la produzione. Il primo contatto c’è stato nel gennaio 2019. Un messaggio, poi silenzio. Fino a quando insieme con Pasquale Filippelli siamo andati con le nostre opzioni di tessuti artigianali nella sede della maison. Quale hanno scelto? Tutti».
    Ogni baguette è un puzzle di stoffe naturali. «Sappiamo che un esemplare lo ha riservato per sé Silvia Venturini Fendi, un altro andrà al museo della maison, il resto sarà acquistato dai clienti lusso. La griffe invia loro un video, mostrando come e da dove nascono le baguette artigianali. Il prezzo? Variabile, 25mila euro e oltre».

    Il lusso si è affacciato in questa realtà, dove la metafora colorata dell’ordito e della trama racconta un pezzo della regione, con i campi di ginestra, i bozzoli di seta nei cesti e i gelsi nei giardini, il telaio meccanico fabbricato dalla Società Nebiolo Torino nel 1960, l’orditoio che sembra un mostro buono, enorme e variopinto con 5600 fili uno accanto all’altro.
    Si è aperta una porta. Troppo piccola per adesso.

  • Imprese calabresi, oltre 99 su 100 irregolari per l’Inail

    Imprese calabresi, oltre 99 su 100 irregolari per l’Inail

    La Calabria è una terra di poco lavoro e spesso irregolare. Sono in diminuzione invece gli infortuni e le malattie professionali ma purtroppo sono in aumento le morti bianche. Questo il quadro che emerge dal lavoro ispettivo dell’Inail in un dossier annuale con dati aggiornati fino ad aprile scorso. Le ispezioni hanno interessato la nostra regione su un campione di 184 imprese. E ben 183 sono risultate irregolari. Le verifiche hanno avuto luogo nelle 5 province e sulla base dei seguenti criteri: l’emersione del lavoro nero o non regolare per contribuzione, previdenza e assicurazione e compensi, evasione fiscale, e infortuni sul lavoro e malattie professionali.

    Calabria sopra la media nazionale

    Nel 2020 il 99,46%, sono risultate irregolari. Il dato è 12,8 punti percentuali sopra il valore nazionale (86,57%). Dalle ispezioni effettuate sono stati accertati 2,8 milioni di premi omessi, il 28,30% in meno rispetto al 2018 ma il 43,00% in più rispetto al 2019. A livello nazionale si è registrato un calo del 27,96% rispetto al 2018 e un aumento del 6,28% rispetto al 2019. Nel 2020 in Calabria sono state rilevate 7.260 denunce di infortunio corrispondenti all’1,27% del totale nazionale, in calo rispetto sia al 2018 (-28,40%), sia al 2019 (-26,87%). A livello nazionale le denunce di infortunio sono diminuite rispetto al biennio precedente di oltre l’11%.

    I numeri delle denunce

    In Calabria nel 2020 sono state protocollate 1.545 denunce di malattia professionale, in diminuzione del 41,17% rispetto al 2018 e del 40,53% rispetto al 2019. A livello nazionale il dato è in calo del 24,40% rispetto al 2018 e del 26,55% rispetto al 2019. Le denunce di infortunio con esito mortale in Calabria sono state 42, in diminuzione rispetto al 2018 (-9 casi) ma in aumento rispetto al 2019 (+7 casi). Le malattie professionali riconosciute con esito mortale in Calabria nel 2020 sono state 13, 2 in più rispetto al 2018 (11) e 9 in meno rispetto all’anno precedente (22).

    Per quanto riguarda le denunce per infortunio sul posto di lavoro, la provincia di Cosenza fa registrare i numeri più alti a livello regionale purtroppo anche per quelli con esito mortale. Nessun dato invece per le presunte evasioni fiscali o per l’emersione di lavoro nero o irregolare per le quali sono in corso attività di indagine da parte della magistratura.

    Il Covid contratto nei luoghi di lavoro in Calabria

    Rispetto alla ultima data di rilevazione Inail del 31 agosto 2021 le denunce di infortunio sul lavoro da Covid-19 sono aumentate di 36 casi (+2,7%, superiore all’incremento nazionale pari allo 0,9%), di cui 16 avvenuti nel mese di settembre, 17 ad agosto, i restanti casi sono riconducibili ai mesi precedenti. L’aumento ha riguardato tutte le province, in particolare in termini assoluti emergono Cosenza e Reggio Calabria, in termini relativi Vibo Valentia e Cosenza.

    La distribuzione dei contagi per genere evidenzia che la quota maschile supera quella femminile, in controtendenza rispetto al dato medio nazionale. L’analisi nella regione evidenzia che il 63,5% dei contagi sono riconducibili all’anno 2020, il restante 36,5% ai primi nove mesi del 2021, l’incidenza regionale nell’anno in corso è superiore a quanto osservato a livello nazionale (18,5% delle denunce complessive). Il picco dei contagi professionali si rileva nel mese di novembre (29,4% di denunce).

    Dati più confortanti nel 2021

    Il 2021 è caratterizzato, sia a livello regionale che nazionale, da un’attenuazione del fenomeno, con la Calabria che registra sempre, nel corso dei nove mesi, percentuali più elevate rispetto alle medie nazionali con, in particolare, due risalite in corrispondenza di aprile (7,8% delle denunce complessive) ed agosto (aumento più contenuto pari al 2,4%). Gli eventi mortali non sono invece aumentati rispetto alla precedente rilevazione. Ovviamente la maggior parte delle denunce per Covid contratto sul posto di lavoro risulta nel settore sanitario: 53,6%. Seguono: commercio, 12,4%; trasporti e magazzinaggio, 11,4%; attività professionali, scientifiche e tecniche, 5,3%; costruzioni, 3,4%; amministrazione pubblica, 3,3%; Altre attività di servizi, 3,0%; altro, 7,6%.

    In collaborazione con le forze dell’ordine

    I controlli dell’Inail sono stati effettuati spesso in collaborazione con le forze dell’ordine. Per quanto riguarda le ipotizzate evasioni fiscali o il lavoro a nero sono state successivamente inviate dettagliate rendicontazioni alle autorità giudiziarie. Da quel momento in poi, con attività indagini in corso, l’Inail “perde” il contatto con i vari fascicoli, per ovvi motivi legati al segreto istruttorio. Inoltre, le azioni penali non riguardano più l’ente.

    Diverso è il discorso per le eventuali azioni civili di risarcimento dove l’Inail rappresenta sempre parte integrante del contenzioso perché deputato a stabilire i gradi di gravità, degli infortuni o delle malattie contratte sui luoghi di lavoro, con punteggi e tabelle ben precise e stabilite a livello nazionale.
    Il contenzioso penale e quello civile viaggiano su differenti binari e un’assoluzione penale non mette al riparo datori di lavoro ed enti da eventuali risarcimenti del danno o nel caso di morte del lavoratore, sia nel caso di morte sul posto di lavoro sia nel caso di successivo decesso per malattie professionali, di danni agli eredi.

  • Aeroporto Crotone, due milioni per un radiofaro inutilizzato

    Aeroporto Crotone, due milioni per un radiofaro inutilizzato

    Royalties da investire e radiofari da collaudare, rotte a singhiozzo e utenti inferociti. Nemmeno un bar dove prendere un caffè o un’edicola per un cruciverba e un quotidiano in attesa di uno dei (pochissimi) voli. È tratteggiato a tinte fosche il futuro del moribondo aeroporto Pitagora, lo scalo aereo più anziano (e più derelitto) della regione.

    Tra chiusure, riaperture, finti rilanci e progetti di sviluppo, si trascina in un limbo fatto di disservizi e incompiute. Relegato a Cenerentola tra i tre aeroporti calabresi (con cui condivide la governance sotto le insegne di Sacal), quello di Crotone ha vissuto un’esistenza estremamente travagliata cambiando più volte utilizzo e rimanendo chimera di un territorio già confinato agli ultimi posti delle graduatorie nazionali.

    Cronaca di un fallimento

    Costruito, primo in Calabria, nel comune di Isola Capo Rizzuto come aviosuperficie per le esigenze belliche del secondo conflitto mondiale, il Pitagora apre alle rotte commerciali alla metà degli anni ’60. Lega il suo nome alla compagnia Itavia, che garantisce le prime rotte su Roma e Bergamo. E inaugura a stretto giro anche il servizio cargo e una serie di tratte coperte da voli charter che collegano quel pezzo di Calabria a diverse destinazioni internazionali.cc

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    Il DC-9 Itavia precipitato ad Ustica

    Ma le cose sono destinate a durare poco. E quando, alla fine dei ’70, si inaugura lo scalo di Lamezia la situazione per Crotone cambia drasticamente. «Hanno trasferito la rappresentanza Itavia a Catanzaro, di notte. Poi – racconta Nicola Fodaro, per anni presidente dell’Aeroclub cittadino – hanno trasferito anche il servizio cargo spogliando San’Anna di ogni servizio. La chiusura era inevitabile, la tragedia di Ustica che ha mandato a gambe all’aria la compagnia ha fatto il resto».

    Sull’altare di Lamezia

    Sacrificato sull’altare della più appetitosa Lamezia e senza più traffico civile, l’aeroporto resta in piedi solo grazie all’aeroclub, che si garantisce un contratto con Alitalia per la prima formazione dei futuri piloti. Ma di prendere un volo per raggiungere una qualsiasi destinazione, neanche a parlarne. Si dovrà attendere il 1996, con l’arrivo di AirOne, per rivedere una aereo di linea atterrare a Crotone. Sembra la rinascita. Nel 2003 arriva l’inaugurazione del nuovo terminal, capace – almeno in teoria, visto che quei numeri non si sono mai raggiunti – di sopportare un traffico annuo di 250 mila passeggeri. Comunque l’aeroporto in quegli anni funziona e garantisce una serie di collegamenti (Venezia, Torino, la Germania) in grado di allentare l’isolamento di una città ristretta tra una statale da incubo e una linea ferroviaria da film in costume.

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    Un aereo fermo sulla pista del Pitagora

    Arrivano anche nuovi investimenti – la nuova torre di controllo, il sistema di radiofaro per gli atterraggi che però non entrerà mai in funzione – ma anche in questo caso la favola dura poco. La “Sant’Anna spa”, la società che gestisce lo scalo, comincia a mostrare il fiato corto e volare da Crotone torna ad essere piuttosto complicato con i collegamenti ridotti al lumicino. Fino al 2018 quando la società finisce in bancarotta, e dallo scalo di Sant’Anna partono, di fatto, solo i charter del Crotone calcio e qualche sparuto volo turistico. Poi il bando Enac e l’approdo, assieme a Reggio e Lamezia, sotto la gestione Sacal.

    Terno al lotto

    Oggi, partire da Crotone è un terno al lotto. Quattro voli settimanali con destinazione Bergamo, tre collegamenti con Bologna, in attesa della primavera e del nuovo, temporaneo, collegamento con Venezia. Devono bastare per un’utenza calcolata sulla carta in oltre 450 mila utenti (compresi nel dittico 100km/1h di spostamento) lungo tre province. Anche perché il bando per le nuove tratte indetto a dicembre 2020, nonostante gli aiuti di Stato che avevano garantito allo scalo la continuità territoriale così come succede in Sicilia e in Sardegna, è andato mestamente deserto. E di quello nuovo ancora non si è vista traccia.

    Due milioni di euro per nulla

    In attesa delle nuove, fantomatiche, tratte verso Roma e Torino, se si ha la fortuna di trovare un biglietto (prenotando online in questi giorni, un collegamento andata/ritorno con la Lombardia nella settimana di Natale varia tra i 250 e i 400 euro) si deve sperare di trovare una bella giornata. In caso di maltempo e di scarsa visibilità infatti gli aerei non possono atterrare nello scalo di Sant’Anna che tra le sue mille contraddizioni, è riuscito a dotarsi di un moderno sistema Ils che garantisce l’atterraggio strumentale ma non lo ha mai messo in funzione. Siglato il contratto d’utilizzo e ultimata l’installazione infatti, il radiofaro (costato oltre 2 milioni) non è mai stato collaudato e di conseguenza mai utilizzato. Con buona pace delle speranze di capacità attrattiva dello scalo.

    aeroporto_crotone

    Le royalties

    Eppure, per garantire i necessari collegamenti del crotonese con il resto del paese, qualcosa era stato fatto. Nel 2018, la Regione e i comuni del comprensorio (oltre al capoluogo, anche Crucoli, Isola, Cirò, Cutro, Strongoli e Melissa) avevano trovato un accordo con Sacal per la ripartizione di parte delle royalties (il 15% del totale) derivanti dallo sfruttamento in mare dei giacimenti di metano. Avrebbero dovute essere investite per la sopravvivenza dello scalo e lo sviluppo turistico dell’intera zona. Un gruzzolo di circa un milione di euro l’anno «che i comuni hanno garantito con la stipula di un formale protocollo, ma che è servito a ben poco» dice amareggiato Giuseppe Martino che da anni guida il comitato cittadino Crotone vuole volare.

  • I libri superano i videogame, sembra un miracolo ma è vero

    I libri superano i videogame, sembra un miracolo ma è vero

    «Tutto nasce da una libreria, in piazza dei Bruzi a Cosenza, dei miei genitori, Gustavo Brenner e Emilia Iaconianni, che nel secondo dopoguerra diventa casa editrice, con il primo libro pubblicato nel 1953. Dal disastro della guerra l’obiettivo era quello di avviare un risveglio culturale e riappropriarsi della identità culturale calabrese. Costruire una base da cui ripartire».
    Walter Brenner, 68 anni, racconta le origini della sua attività imprenditoriale, con l’omonima casa editrice.

    La libreria al tempo, dice, fungeva anche da biblioteca circolante fornendo testi a chi non poteva acquistarli e l’attività editoriale era principalmente rivolta alla riedizione di testi antichi locali attraverso la riproduzione fotomeccanica.

    Il rapporto umano con il libraio

    «Dal 1975 ho preso il timone della casa editrice – spiega ancora Brenner – Qui oggi trovi il punto vendita e luogo di incontro con gli scrittori e il pubblico. Vengono persone da Cosenza e da tutta la regione.

    Boom di vendite? Non è così per noi, le vendite sono assai limitate, nel periodo del lockdown le persone hanno però letto molto e, quindi, comprato più libri. Abbiamo sfruttato anche i benefici del web, per aumentare la nostra offerta, con un sito internet e appoggiandoci ai portali di vendita online. Preferisco l’acquisto nelle librerie fisiche e a mio avviso il rapporto con il personale adeguato nei punti vendita dà sicuramente migliore soddisfazione e indirizzo nella ricerca del libro stesso».

    «Negli ultimi tempi, comunque, stiamo pubblicando testi nuovi e seguiamo diversi filoni editoriali. Per il futuro, sperando di superare questo periodo pandemico, continuiamo a lavorare con la nostra bella comunità e siamo felici per le numerose proposte giunte dagli autori», conclude l’editore.

    Libri, un settore in crescita

    L’editoria è sicuramente un settore in crescita, supportato dai numeri sulla vendita nel 2021 dell’Associazione italiana editori (Aie), per il mercato dei libri a stampa di narrativa e saggistica, venduti nelle librerie fisiche e online e nella grande distribuzione, il giro d’affari è tra gli 1,6 e 1,7 miliardi di euro.

    Nel 2021 le librerie fisiche sono tornate a vendere di più delle librerie online, ha esultato il presidente di Aie, Franco Levi, durante il Salone del libro di Torino che si è svolto, dopo lo stop dell’anno scorso, nel mese di ottobre. Soddisfatto anche il presidente dell’associazione degli editori indipendenti, Marco Zapparoli, che sottolinea quanto siano le case più piccole, con un fatturato inferiore a 300mila euro, a registrare quest’anno una vera propria impennata di vendite.

    I libri superano i videogame

    Anche nel 2020, secondo le rilevazioni, sono arrivati ottimi risultati dal libro che nell’industria culturale è stato, dopo le pay-tv, il contenuto più acquistato e di molto superiore al mercato del videogame. A tal proposito va considerato sicuramente lo stop di cinema, concerti, teatri, mostre, con il propagarsi del virus. Durante il lockdown i comportamenti degli italiani hanno trainato questo settore: pensiamo alla prenotazione via telefono o alla possibilità/voglia di leggere di più e alla permanenza in casa che fornisce più “tranquillità”. Insomma, hanno comprato di più i clienti e oggi nelle piccole librerie si mantiene l’abitudine di prenotare e ordinare i testi telefonicamente, magari ricevendoli a domicilio.

    La Calabria che legge meno libri degli altri

    I dati Istat certificano, invece, per quanto riguarda la Calabria, bassissime percentuali (ultimi in Italia) in termini di lettori di giornali e libri, fruitori di biblioteche, spettacoli o concerti. Anche se la Calabria contribuisce alla vendita e alla diffusione del settore editoriale, sforna numerosi talenti nel campo della letteratura (Nuccio Ordine, Mimmo Gangemi, Carmine Abate), ospita una serie di festival ed eventi dedicati agli scrittori e al loro pubblico.

    Abbiamo dunque intrapreso un viaggio a più puntate per raccogliere una serie di testimonianze di piccole e grandi librerie, autori e imprenditori, su come hanno vissuto l’ultimo anno e per chiedere qual è la loro soluzione per sopravvivere in un futuro sempre più proiettato verso il digitale.

    Chiude la storica Domus

    Dal punto vendita di Walter Brenner, percorrendo la strada in discesa, si trovava un’altra storica attività cosentina nel campo dell’editoria, la libreria Domus. Punto di riferimento per lettori e studenti, il negozio è chiuso e sono ancora visibili i locali commerciali semi svuotati. «Una vera famiglia si vede dalla libreria presente in casa – dice Francesco Paolo Piro, antiquario con una bottega a pochi passi da lì – vedere le luci spente e tutto chiuso, in pieno centro cittadino, è una grande mancanza da tutti i punti di vista, Domus era un luogo di civiltà, ora anche visivamente è una pena».

    libri
    La crisi del mercato dei libri ha colpito anche la storica libreria Domus di Cosenza
    Da libraio a ristoratore 

    La sede principale della libreria, vicino l’autostazione cittadina, ha chiuso già nel 2014 e al suo posto ora si trova un supermercato di una grande catena.

    «Prima ha chiuso mio zio Franco – spiega Aldo Caldarola, 43, ex proprietario della libreria e ora ristoratore – nei primi mesi del 2018 ho cominciato a liquidare anche questa attività. Con la pandemia per me è arrivato il colpo definitivo. Ho provato a resistere la concorrenza delle catene ma ci siamo trovati di fronte ad un calo di vendite lento e costante soprattutto con l’ingresso nel mercato delle multinazionali dell’e-commerce. Il nostro commercio – aggiunge – si basava principalmente sulla vendita di testi per gli studenti che ormai si trovano in supermercati e autogrill a prezzi bassissimi, anche le scuole e le biblioteche ci hanno abbandonato limitando l’acquisizione di libri. L’Italia doveva imitare la Francia estendendo il tetto dello sconto al 5% (ora è al 15%) anche sui libri di scuola. Non ho più intenzione di continuare».

    Aldo Caldarola, ex libraio diventato ristoratore
    Il ritorno delle librerie

    Le librerie ricoprono un ruolo fondamentale, insieme a musei e biblioteche, nell’accesso e nel consumo culturale. Secondo i dati contenuti nell’analisi periodica del mercato che Aie realizza in collaborazione con Nielsen, le librerie fisiche, aiutate dal web, tornano a essere primo canale di vendita quest’anno: sono a quota 500 milioni, contro i 479 milioni delle librerie online e i 58 milioni della grande distribuzione.

    Il mercato dei bambini

    La filiale di Cosenza di un grande gruppo editoriale preferisce, invece, non ascoltare le nostre domande sullo stato dell’arte, allora il nostro approfondimento nel mondo dei libri continua verso un piccolo negozietto nato prima del lockdown. A dimostrare quanto l’editoria stia cambiando è il peso relativamente contenuto dei best seller, i primi 50 libri più venduti in Italia pesano sul mercato solo il 6%.
    «Abbiamo aperto la nostra libreria per bambini a Cosenza nel dicembre 2019 – spiega Valentina Mari, titolare del negozio Juna insieme ad altre due donne under 40 – con la pandemia ci siamo dovuti adeguare con letture e dirette sui social e vendite a domicilio (anche grazie ai canali di vendita nazionali)».

    La libreria per bambini, “Juna”
    Il lockdown è stato un alleato della lettura

    La filiera del libro – aggiunge Mari – è aumentata nettamente «e con il lockdown la lettura è stata di nuovo apprezzata dalla gente. I genitori hanno avuto più tempo per stare con i bambini – leggendo spesso insieme a loro – e questo ha facilitato la vendita di testi per i più piccoli. A ciò si è aggiunto il sostegno del ministero, che ci ha accreditato alle biblioteche del territorio, in un quadro dove la concorrenza delle librerie online è molto forte. Appena abbiamo potuto aprire – conclude la libraia – ci siamo dedicati ad attività culturali all’aperto e adesso nell’ottica di ritornare alla normalità, puntiamo ad aumentare il nostro impegno con laboratori artistici, teatrali e lettura animata».

  • L’assalto agli aeroporti calabresi, la Lega e il fuggi fuggi

    L’assalto agli aeroporti calabresi, la Lega e il fuggi fuggi

    Quando la politica si è svegliata l’assalto era già bell’e consumato. Qualcuno ci aveva già provato nel 2014 senza riuscirci, oggi invece la privatizzazione della società che gestisce la principale porta d’ingresso della Calabria si è concretizzata nell’indifferenza degli enti pubblici coinvolti. Solo a cose fatte Roberto Occhiuto, «un po’ arrabbiato», si è reso conto che proprio appena prima che lui diventasse presidente «il privato ha messo in atto strane procedure per trasformare l’assetto proprietario ed avere così la maggioranza delle quote» della Sacal, che gestisce i tre aeroporti calabresi.

    L’ira di Roberto Occhiuto

    Secondo il neo governatore la scalata sarebbe «contro la legge», secondo i privati che l’hanno condotta – i Caruso, famiglia di imprenditori lametini che possiede la società Lamezia Sviluppo –tutto sarebbe invece avvenuto nel rispetto della legge e dello statuto di Sacal «nell’interesse di salvaguardare i dipendenti e la continuità dell’azienda». Al di là delle rispettive convinzioni giuridiche e degli asseriti intenti filantropici, in questa storia il privato ha fatto il privato acquisendo le quote che gli enti pubblici hanno lasciato scoperte. Se lo abbia fatto legittimamente lo verificheranno, eventualmente, la Procura di Catanzaro, l’Antitrust e l’Autorità nazionale anticorruzione a cui l’Enac (Ente nazionale per l’aviazione civile) si è rivolta avviando il procedimento di revoca della concessione per l’aeroporto di Lamezia e proponendo la nomina di un commissario per la gestione operativa dello scalo.

    Il centrodestra gioca a scaricabarile

    Scoppiata la bomba è subito partito lo scaricabarile tra, per esempio, Comune/Provincia di Catanzaro – entrambi guidati da Sergio Abramo, approdato prima delle elezioni a “Coraggio Italia” – e la stessa Regione, guidata fino ad appena due settimane fa da Nino Spirlì, uomo di punta della Lega a cui Matteo Salvini fa spesso sapere di essere molto grato «per quello che ha fatto per la sua gente».

    Un tutti contro tutti che ha visto anche Mimmo Tallini criticare il sindaco di Catanzaro, a cui ha risposto anche lo stesso Spirlì sostanzialmente scaricando le responsabilità sul presidente Sacal Giulio de Metrio che però è stato voluto proprio dalla Lega. Insomma i vari Abramo, Spirlì, lo stesso Occhiuto che era già in piena campagna elettorale, erano distratti mentre i privati si prendevano Sacal e solo ora sono diventati loquaci.

    L’allarme inascoltato della Cgil

    Nessuno però può dire che non si sapesse quanto il rischio della privatizzazione fosse concreto. I Calabresi ne ha scritto a inizio agosto  quando Spirlì aveva assicurato il consiglio regionale che la maggioranza sarebbe rimasta pubblica. La Filt Cgil lanciava allarmi da mesi. E se non bastasse tutto ciò ci sono anche atti ufficiali come la delibera con cui il Comune di Lamezia, retto in quel momento da un commissario prefettizio, approvava per le quote una variazione di bilancio da 150mila euro, comunque non sufficienti a confermare il 19,2% dell’ente (maggior azionista) che oggi è sceso all’11%.

    Aeroporti in crisi di liquidità

    La S.P.A. che gestisce i tre aeroporti calabresi si è trovata quest’anno in una crisi liquidità – secondo la stessa società e la Regione esclusivamente riconducibile al crollo del traffico aereo durante la pandemia – che ne ha messo a rischio la tenuta. Si è così arrivati a una ricapitalizzazione da circa 10 milioni di euro ed erano state anche fissate delle scadenze precise per i soci. Le riporta nero su bianco la stessa delibera del Comune di Lamezia, che risale ai primi di agosto: per la sottoscrizione dell’aumento di capitale il termine fissato era il 30 luglio; per l’esercizio del diritto di opzione sulle azioni non sottoscritte dagli aventi diritto il termine era al 30 settembre; per esercitare il diritto di prelazione sulle azioni rimaste inoptate la deadline era quella del 4 novembre.

    Cronaca di un assalto annunciato

    È la cronaca di un assalto annunciato. E mentre gli alleati di Occhiuto guardavano altrove i privati sono riusciti a fare ciò che non era stato possibile nel 2014. All’epoca era appena stato eletto Mario Oliverio ma non era ancora stato indicato per la guida della Sacal il superprefetto/poliziotto Arturo De Felice, chiamato a spendere il suo prestigio legalitario dopo la bufera dell’inchiesta “Eumenidi”.

    La Spa che ha accorpato gli aeroporti

    Sotto la sua presidenza, nel 2017, la Spa ha accorpato a sé anche agli aeroporti di Reggio e Crotone reduci dai fallimenti delle rispettive società di gestione. Da lì sono cominciati anche i problemi finanziari, sfociati nell’anno del Covid in una crisi di liquidità senza precedenti.
    La Regione ci ha dunque messo i soldi approvando in Consiglio la sottoscrizione da 927mila euro che doveva servire a confermare il 9,27% delle azioni, misteriosamente però oggi Occhiuto parla di una quota minore in capo alla Cittadella, ovvero il 7%.

    ll supermanager in quota Lega

    Spirlì aveva addirittura annunciato cantieri «per 60 milioni di euro» sui tre scali, forte dell’asse con il supermanager di area leghista chiamato alla guida di Sacal nell’era Santelli. De Metrio ha tenuto nascosto il Piano industriale e ingaggiato una lotta durissima con i sindacati che, indignati per il suo super stipendio da 240mila euro l’anno, in estate hanno chiesto certezze occupazionali per lavoratori stagionali e part time.

    A Lamezia, inoltre, ancora aspettano che sia de Metrio che la Regione trasformino in fatti le parole sulla nuova aerostazione: bocciato dalla Commissione europea un progetto da 50 milioni di euro, si è parlato di un altro che dovrebbe costare la metà. Il finanziamento da 25 milioni di euro però doveva arrivare dall’Europa passando proprio dalla Cittadella, ora invece non lo si potrà certamente destinare a un privato. Per non parlare del mitologico collegamento «multimodale» tra stazione ferroviaria e aeroporto, un ultimo miglio di cui si parla da anni e che ancora è solo sulla carta.

    La scalata agli aeroporti calabresi 

    Alla luce di questo quadro non proprio edificante, il rimpallo di responsabilità della classe dirigente che guida la Calabria da due anni risulta un’ulteriore beffa. La scalata dei privati è avvenuta nel momento in cui la governance della Sacal e quella della Regione erano appannaggio della Lega, che a quanto se ne sa è ancora oggi un’alleata di ferro di Occhiuto (con tanto di rappresentanza in Giunta e Presidenza del consiglio regionale già aggiudicata) e addirittura ora, con un certo sprezzo del ridicolo, «plaude» alla sua «azione di chiarezza» parlando di «malaffare» e di «lobby di potere» su una Sacal che sostanzialmente ha finora governato tramite i suoi uomini.

    Un fuggi fuggi indecoroso di fronte a uno scandalo enorme. Nessuno può dire di essersi accorto solo adesso degli «strani accordi» che hanno fatto finire in mano privata un settore di enorme interesse strategico per l’intera regione. E nessuno può negare che nel recente passato siano scattate inchieste e misure cautelari per molto meno.

  • Sacal, se la Regione privatizza a sua insaputa

    Sacal, se la Regione privatizza a sua insaputa

    Ci sono molti modi per privatizzare una società pubblica. Ne abbiamo viste di ogni colore e risma nel nostro Paese: dal nocciolino duro (Telecom) ai capitani coraggiosi (Alitalia). Per non parlare delle privatizzazioni ripubblicizzate con plusvalenza per i privati, sul modello autostradale. Eppure, mai prima era accaduto di veder portare a compimento una privatizzazione inconsapevole, una sorta di cessione della maggioranza della proprietà pubblica a propria insaputa.
    È accaduto così con la Sacal, la società regionale che gestisce gli aeroporti del territorio calabrese.

    Sacal, il socio privato conquista terreno senza sforzi

    Era stato deciso un aumento di capitale che ha visto i soci pubblici lasciare inoptate le quote, che sono state a quel punto acquisite da un socio privato. L’azionista privato a quel punto ha conquistato senza colpo ferire la maggioranza della società. E senza nemmeno pagare il sovrapprezzo che è normale venga valutato, e corrisposto, quando un soggetto acquisisce il potere di controllo su una impresa.

    Privatizzazione a propria insaputa

    Quali sono le conseguenze di questa privatizzazione a propria insaputa? Si tratta innanzitutto di una procedura per così dire insolita, che ha escluso il mercato da qualsiasi contendibilità. Solo gli azionisti presenti al momento dell’aumento di capitale potevano difatti optare le azioni dell’aumento di capitale. È stata evitata in questo modo ogni forma di pubblicità e di trasparenza. Si è creato il cerchio magico della possibile cessione della proprietà ai privati.

    Sacal, una privatizzazione da oligarchia postsovietica

    Procedere ad una privatizzazione chiusa al mercato è stata la prima anomalia. Nessuna forma di partecipazione di terzi alla operazione era possibile. E dunque è come se si fosse operato entro un recinto chiuso di interessi. Già questo fatto delinea gli elementi di una privatizzazione oligarchica, sul modello di quelle che sono state realizzate nella confusione post-sovietica degli anni Novanta del secolo passato.

    Un capitalismo amorale e familistico

    La seconda incredibile modalità, coerente con un capitalismo amorale e familistico, è stata quella di cedere la maggioranza delle azioni, non sottoscrivendo i soci pubblici l’aumento di capitale, senza riscuotere in questo modo il valore del premio per la maggioranza stessa.
    In questo caso siamo in presenza di un regalo vero e proprio, costruito nella forma di mancata sottoscrizione delle azioni da parte delle istituzioni pubbliche che fanno parte della compagine societaria. Una smemoratezza degna di approfondimento politico e legale.
    Infine, e non è questione irrilevante, la Sacal è una società concessionaria dello Stato che gestisce aeroporti. In quanto tale, è soggetta ad obblighi di trasparenza verso il concedente. Per questa ragione Enac ha sporto denuncia.

    Il precedente che mancava

    Il panorama italiano delle privatizzazioni, che già non presentava un pedigree particolarmente felice, si arricchisce ora di una perla di cui non si sentiva francamente il bisogno.
    Gli aeroporti sono un tassello strategico per la mobilità e la competitività di un territorio. Ancora una volta la Calabria rischia di fare l’ennesimo autogol. A segnare stavolta è un azionista privato che si frega le mani per l’affare che ha realizzato.
    Una stupidità così palese non si era mai vista da parte di un azionista pubblico. Al punto tale che è legittimo avanzare sospetti di interessi inconfessabili. Lo vedremo nelle prossime puntate di questa brutta storia.