L’analisi effettuata nel Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne potrà non piacere, potrà essere cruda e forse anche crudele in alcune considerazioni, ma fotografa una realtà basata su dati e numeri forniti da Istat, Censis e CNEL. Una realtà – e questa è la premessa – che è stata sottovalutata per decenni e sicuramente dal 2022 quando, durante una riunione del Cipess, è stata presentato l’aggiornamento della classificazione degli enti locali che raccontava di un aumento complessivo dei Comuni periferici e ultra-periferici: +7,9%. La faciloneria con cui alcuni hanno titolato che il piano del governo fosse di abbandonare le aree interne è stato un ruggito ideologico che, ahimè, prescinde dall’analisi della complessità dei contesti e dei processi in cui versano quelle aree. Aree che rispecchiano non solo una tendenza italiana all’emigrazione prima dalle ultra-periferie verso i centri e poi dai centri all’estero, ma soprattutto una condizione di denatalità di cui abbiamo il primato in Europa.

Il futuro che ci attende è vecchio
Invecchiamo come sistema-paese, non siamo nelle condizioni di garantire un efficace e strutturale ricambio generazionale, siamo poco attrattivi perfino per noi stessi. Questo accade al Nord, al Centro e al Sud (con maggiore intensità, viste le storiche ed endemiche disparità di cui questo disgraziato Paese soffre). Solo che lì – qui – la crisi è più forte perché ci sono meno lavoro, infrastrutture e servizi e la morfologia territoriale dominata dalla dorsale appenninica acuisce isolamento e difficoltà di progettazione e realizzazione di assi di comunicazione che, spesso, non hanno i numeri – la massa critica – per ritenersi sostenibili in termini di costi di realizzazione e conseguente impatto sociale.
Il Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne, prendendo spunto dagli errori del primo ciclo sperimentale della SNAI relativo al settennato 2014-2020, ne sottolinea i risultati metodologici (partenariato multi-livello e multi-attoriale, processi di co-progettazione integrata per ambiti settoriali e ridisegno dei percorsi di sviluppo locale), ne approfitta per intervenire laddove fondi, processi e procedure non hanno funzionato o lo hanno fatto poco e male e illustra come per il ciclo 2021-2027 gli strumenti di pianificazione, attuazione e governance siano stati migliorati di pari passo con un aumento dei fondi dedicati.

Contro l’ineluttabilità del destino
È vero poi che nel Piano si parla di una casistica dedicata a un «accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile», laddove si riscontri «un percorso di cronicizzato declino e invecchiamento in modo da renderlo socialmente dignitoso per chi ancora vi abita», ma – aggiunge Alessandro Rosina, il demografo dell’Università Cattolica che ha curato i dati inseriti nel Piano – «ogni Comune deve poter valutare in quale di queste quattro tipologie si colloca». (Per le tipologie si veda alle pag.. 44 e 45 del Piano, ndr.). E che, in ogni caso, «nessun Comune ha di fronte un destino ineluttabile in relazione alle coordinate geografiche in cui si trova, ma sono molti i Comuni che rischiano un percorso di marginalizzazione irreversibile per le dinamiche demografiche che li caratterizzano». Un po’ diverso dall’affermare che il Governo voglia lasciare per strada i 1.904 Comuni delle 124 aree di progetto, oltre 4 milioni di abitanti che vanno da Nord a Sud e che rappresentano una parte importante, se non cruciale, dell’Italia.

Chiarito questo punto bisogna però raccontare l’altro pezzo di verità: il come sia stata effettuata la programmazione e l’attuazione degli interventi, come (e se) siano stati spesi i fondi disponibili, quale sia stata la qualità di quella spesa e quale sia il modello alla base. Calcolo sommario: tra le risorse dei cicli 14-20 e 21–27, senza considerare gli incrementi dei fondi solo parzialmente dedicati alle aree interne, si arriva a oltre 1,1 miliardi di euro, cui vanno aggiunti ulteriori 600 mila euro a valere sulla missione 5 del PNRR dedicata al Potenziamento servizi e infrastrutture sociali di Comunità e strutture sanitarie di prossimità.
Si è programmato bene? Si è attuato bene? Si è speso bene? Per le diverse mansioni che ricopro e per i rapporti che intrattengo ho avuto modo di parlare con diversi amministratori locali. Ad esempio, a Cardeto, comune periferico del Reggino, sono stati impiegati 2 milioni di euro per realizzare un asilo nido per un paesino che non ha neonato.
Dalla Regione altri 36 milioni
Qualche mese fa l’inserimento di altre tre aree SNAI calabresi nel ciclo di programmazione 21-27, ha portato la Regione a decretare un cofinanziamento di 36 milioni di euro da aggiungersi alle risorse nazionali destinate ai comuni del Versante Tirrenico Aspromonte, dell’Alto Jonio Cosentino e dell’Alto Tirreno Cosentino Pollino. Questo mentre Maria Foti, sindaca di Montebello Jonico, e nuova referente per la SNAI grecanica, raccontava lo scorso ottobre come quella strategia, dotata di 28 milioni di euro per il periodo 14-20, gestiti in gran parte dalla Città Metropolitana di Reggio Calabria, proseguisse a passo di lumaca e come l’attuazione dei suoi interventi si attestasse attorno al 4% a fronte di un 30% complessivo di realizzazione dell’intera strategia, mentre la Regione chiedeva che le obbligazioni giuridicamente vincolanti venissero presentate entro lo scorso 31 dicembre.

La Sintesi dello stato di attuazione Aree SNAI 2021-2027 redatta dal Settore “Strategie Aree interne, comuni in via di spopolamento, minoranze linguistiche” del Dipartimento Agricoltura di Regione Calabria, evidenziava un gap di programmazione e attuazione di 2 anni che rischiava di mandare i fondi a revoca, quando sarebbe invece dovuto già partire l’accordo di programma per il biennio 2025 – 2027: «Delle quattro Aree finanziate sul territorio regionale nel precedente periodo di programmazione, tre hanno firmato l’APQ solo nel 2022. Il riconoscimento di Aree interne e il finanziamento a livello nazionale di queste Aree è avvenuto, infatti, solo a fine 2019, e il successivo ritardo nel compimento delle fasi di progettazione e definizione procedurale, a livello locale, hanno dilatato i tempi della programmazione territoriale»

Denatalità e disinteresse delle istituzioni sono i due nemici
Ma, volendo pure mettere da parte i tecnicismi, non si può procedere ad alcun ragionamento senza considerare due dimensioni: il disinteresse dei governi e delle Regioni nel programmare e attuare politiche di mitigazione delle crisi e di sviluppo locale per aree considerate appendici da dimenticare, con un destino segnato; e la tendenza, oggi divenuta drammatica realtà, alla denatalità. E qui arriviamo al punto: perché senza nuovi nati, senza giovani, non c’è vita, non ci sono prospettive di crescita, non ci sono strade, servizi o prospettive di invecchiamento attivo che tengano.
Ripensare presto il modello di intervento
Il modello allora va ripensato dalla base: le aree interne non sono luoghi da turismo esperienziale, trattorie, amenità naturalistiche o residenze di artista. Sono luoghi reali, con opportunità concrete, che vanno ricalibrate. Sono i luoghi dell’allevamento, dell’agricoltura 5.0 e quelli delle risorse primarie. Sono i posti dove la qualità di vita può essere migliore, dove il paradigma digitale, ancora agli albori, può fare una differenza che noi nemmeno ancora immaginiamo. Ma sono soprattutto i luoghi che hanno bisogno di figli, di uomini, donne, ragazze, ragazzi in grado di attivare processi di produzione e promuovere strategia di vita sostenibili e lungimiranti. Strade e servizi arrivano appresso, ma arrivano meglio quando viene messa una visione concreta di futuro.

Un processo lungo e per nulla scontato, ma necessario
Il processo è lungo e complesso e la sua riuscita non è scontata. Bisogna però cominciare a lavorare affinché si creino le condizioni per vivere, rimanere e prolificare. E noi possiamo contare su un formidabile alleato: gli immigrati. Sono loro che fanno figli, che non temono la fatica, il lavoro nei campi o con gli animali. Portarli nelle aree interne, dove è più facile interagire e riconoscersi, promuovere progetti di imprenditorialità legati all’agricoltura, all’allevamento, alla zootecnia, può dare una nuova chance di vita a loro, a noi e ai territori. A patto che a questo si aggiunga la consapevolezza che siamo di fronte a una sfida epocale che come tale va trattata. Con idee e risorse capaci di programmare e agire a 360 gradi. Perché che manchino strade e servizi è sotto gli occhi di tutti, ma bisogna porre le condizioni e le necessità affinché siano realizzati.








































