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  • L’invasione delle ultrapale: sullo Jonio soffia vento di protesta

    L’invasione delle ultrapale: sullo Jonio soffia vento di protesta

    Iniziamo dai numeri. La Calabria consuma oltre 5 miliardi di kWh, ma ne produce ben 17. Il surplus di energia elettrica è enorme, quasi +180%. La stessa Calabria, però, è tra le regioni italiane che più consumano gas (oltre 2,5 milioni di metri cubi all’anno) per alimentare le centrali termoelettriche. Proviene da fonti rinnovabili solo un terzo della nostra energia. Il resto arriva da fonti tradizionali, quelle che prima o poi finiscono e che comunque ci tengono appesi alla geopolitica mondiale.

    C’è un altro dato oggettivo, per cui non servono rilevazioni statistiche ma bastano i nostri occhi: vaste porzioni di territorio sono state inesorabilmente modificate da centinaia di enormi pale che sembrano infilzare il paesaggio. In questo nuovo orizzonte calabrese oggi ci sono oltre 400 impianti eolici. Le vie del vento sono infinite, c’è però da chiedersi quali e quanti vantaggi ne traggano le comunità locali. In queste settimane molti Comuni sono in rivolta contro nuovi progetti di cui contestano l’esibita ecosostenibilità e a cui oppongono, paradossalmente, ragioni di tutela ambientale.

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    Dal sito della Guardia costiera di Crotone

    La nuova frontiera dell’eolico

    La nuova frontiera è l’eolico off-shore galleggiante. Secondo il Pniec (Piano nazionale integrato energia e clima) da qui al 2030 l’Italia dovrà installare pale in mare per 900 MW. Ad oggi non c’è ancora nessun impianto in funzione ma sono stati presentati almeno 40 progetti. Se si concretizzassero, produrrebbero 17mila MW, una potenza di quasi 19 volte superiore a quella prevista dal Pniec.

    Due colossi del settore vogliono installare un’ottantina di pale in Calabria, in un vasto tratto di mar Jonio che tocca tre province, da Crotone fino a Monasterace: 33 turbine eoliche per Repower Renewables, altre 45 per Minervia Energia, società creata ad hoc da Falck Renewables e BlueFloat Energy, che stanno provandoci anche in Puglia. I parchi galleggianti sorgerebbero nel primo caso tra 60 e 75 km dalla costa, nel secondo tra 13 e 29 km. Le aziende ne pubblicizzano i potenziali benefici in termini di mancate emissioni di anidride carbonica e di posti di lavoro. Gli scettici lanciano allarmi su possibili danni a un ecosistema marino importante proprio per la produzione di ossigeno.

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    L’area al centro del progetto della Repower Renewable s.p.a.

    C’è chi dice no

    Nella seconda categoria vanno annoverati i Comuni di Crotone e Isola Capo Rizzuto, nonché il Wwf Calabria. Il consiglio comunale crotonese ha deliberato a maggioranza di opporsi al rilascio della concessione. Un territorio «già compromesso nella sua integrità ambientale – si legge nella delibera – da numerosi impianti per la produzione di energia, dai pozzi per la coltivazione di idrocarburi, dalle discariche per rifiuti di vario tipo, dall’inquinamento del suolo e del sottosuolo, non può tollerare ulteriori pressioni sul patrimonio naturalistico».

    Non ci sono solo gli aerogeneratori in mare, ma anche gli elettrodotti: quello sottomarino e quello terrestre in parte interesserebbero il Sito di interesse nazionale “Crotone, Cassano e Cerchiara”. Il cavidotto attraverserebbe un habitat ad alta biodiversità («praterie di Posidonia oceanica») che serve anche da «salvaguardia della costa per il contributo alla fissazione dei fondali ed alla protezione delle spiagge dall’erosione». Toccherebbe poi due Zone speciali di conservazione. Sarebbe infine prossimo al Sic Colline di Crotone e all’area marina protetta di Isola Capo Rizzuto.

    Castelli ed eolico

    Proprio il Comune di Isola, che può già vantare «il parco eolico più grande d’Europa», ha inoltrato nei giorni scorsi le sue osservazioni al Ministero: quattro pagine con motivazioni che vanno dalla «deturpazione paesaggistica del territorio» ai possibili danni al comparto pesca. «Probabilmente – sostiene l’amministrazione – chi propone ciò non ha mai visto il sole che tramonta alle spalle del Castello Aragonese di Le Castella, simbolo turistico della Calabria nel mondo. Che simbolo sarebbe con alle spalle un ammasso di pale eoliche a fargli da sfondo?».

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    Le Castella, uno dei luoghi simbolo della Calabria

    Nelle osservazioni depositate dal Wwf calabrese si legge che «il progetto è in grado di provocare effetti negativi plurimi su fauna e flora sia marina che terrestre». Si tratterebbe di «siti protetti dall’Unione Europea» che, in alcuni casi, hanno «come motivi istitutivi, il transito e la sosta di specie migratorie che si dirigono da e per l’Europa Orientale, partendo e/o approdando in Calabria».

    A chi tocca rispondere?

    Ma chi dovrebbe rispondere a questi rilievi? La procedura viaggia su un doppio binario. La richiesta di concessione demaniale marittima va al Ministero delle Infrastrutture e alla Capitaneria di porto. La Valutazione di impatto ambientale, per progetti che superano i 30 MW, spetta al Ministero dell’Ambiente, ma è la Regione che alla fine deve concedere l’autorizzazione. La Calabria non ha un assessore all’Ambiente. In un momento storico in cui il Pnrr destina alla «rivoluzione verde» quasi 60 miliardi di euro, dei quali 5,9 sono solo per le rinnovabili, la delega è rimasta in capo al presidente della Regione Roberto Occhiuto, che non ha certo molto tempo libero visto che è anche commissario alla Sanità.

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    Il Capitano Ultimo

    Ha designato come «uomo di raccordo tra la Regione e i Ministeri per il Pnrr» l’assessore supertecnico Mauro Dolce, a cui ha affidato però solo le Infrastrutture e i Lavori pubblici. Non che andasse meglio prima: nella Giunta precedente c’era il Capitano Ultimo, che a parole si è sempre schierato con i territori, ma ha annunciato uno stop ai nuovi impianti rimasto solo nelle rassegne stampa. Riuscendo così a scontentare sia gli ambientalisti che gli imprenditori del settore già pronti, dopo i suoi annunci, alla class action.

    Pecunia non olet

    In un limbo amministrativo simile la «transizione ecologica», declinata nel Pnrr a suon di «semplificazione delle procedure» e «potenziamento di investimenti privati», potrebbe anche tradursi in greenwashing. «Strategia di comunicazione o di marketing – è la definizione del dizionario Treccani – perseguita da aziende, istituzioni, enti che presentano come ecosostenibili le proprie attività, cercando di occultarne l’impatto ambientale negativo».

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    La Faggeta di Monterosso minacciata dalle pale eoliche (foto dalla pagina Facebook Kalabri Trekking)

    Intanto non mancano altre proteste per nuovi parchi eolici “tradizionali”: il più recente è quello di Monterosso, nel Vibonese, che per 3 aerogeneratori provocherebbe secondo le associazioni l’abbattimento di 4mila alberi. Ma ci sono anche i fautori dei vantaggi che deriverebbero dalle pale. Come il sindaco di San Sostene, Luigi Aloisio, che di recente ha annunciato un potenziamento dell’ormai storico impianto, di proprietà di una società controllata da Falck Renewables, che ricade nel suo Comune – ma in realtà più vicino alle Serre che al centro abitato della costa jonica – parlando di un introito medio di 400mila euro all’anno per l’ente da lui guidato.

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    Fasi di costruzione del parco eolico San Sostene (foto dal sito del Comune) (1)

    Che prezzo ha l’orizzonte?

    Peccato che, ormai oltre un decennio fa, le enormi pale abbiano modificato non poco quei boschi. I tir che le trasportavano sono entrati nella viabilità interna della montagna come un elefante in una cristalleria. E che gli appetiti sul business eolico pare siano stati tra i motivi scatenanti di una guerra di ‘ndrangheta, identificata come la seconda faida dei boschi, che ha insanguinato le Serre e il basso Jonio catanzarese.

     

    Le mafie non possono essere un alibi, certo, ma gli interessi mafiosi sull’eolico e le rinnovabili in generale non sono neanche un dettaglio trascurabile. Lo testimoniano indagini come “Via col vento” e “Imponimento”, già approdate a sentenze di primo grado con condanne in abbreviato per boss del calibro di Pantaleone “Scarpuni” Mancuso e Rocco Anello. E un altro episodio emerge da “Alibante”, recente indagine sui tentacoli delle ‘ndrine nella politica e nell’economia del territorio di Falerna e Nocera Terinese. Il presunto boss 80enne Carmelo Bagalà confidava a un suo uomo di fiducia che c’era una «ditta tedesca» interessata a investire nel settore. Erano alla ricerca di terreni, così Bagalà e il suo fedelissimo avevano individuato una zona del Monte Mancuso su cui installare delle pale eoliche. «Ma quelle enormi», commentavano. «Hanno detto che pagano un sacco di soldi…». Ma che prezzo ha l’orizzonte?

  • Aeroporto Crotone, due milioni per un radiofaro inutilizzato

    Aeroporto Crotone, due milioni per un radiofaro inutilizzato

    Royalties da investire e radiofari da collaudare, rotte a singhiozzo e utenti inferociti. Nemmeno un bar dove prendere un caffè o un’edicola per un cruciverba e un quotidiano in attesa di uno dei (pochissimi) voli. È tratteggiato a tinte fosche il futuro del moribondo aeroporto Pitagora, lo scalo aereo più anziano (e più derelitto) della regione.

    Tra chiusure, riaperture, finti rilanci e progetti di sviluppo, si trascina in un limbo fatto di disservizi e incompiute. Relegato a Cenerentola tra i tre aeroporti calabresi (con cui condivide la governance sotto le insegne di Sacal), quello di Crotone ha vissuto un’esistenza estremamente travagliata cambiando più volte utilizzo e rimanendo chimera di un territorio già confinato agli ultimi posti delle graduatorie nazionali.

    Cronaca di un fallimento

    Costruito, primo in Calabria, nel comune di Isola Capo Rizzuto come aviosuperficie per le esigenze belliche del secondo conflitto mondiale, il Pitagora apre alle rotte commerciali alla metà degli anni ’60. Lega il suo nome alla compagnia Itavia, che garantisce le prime rotte su Roma e Bergamo. E inaugura a stretto giro anche il servizio cargo e una serie di tratte coperte da voli charter che collegano quel pezzo di Calabria a diverse destinazioni internazionali.cc

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    Il DC-9 Itavia precipitato ad Ustica

    Ma le cose sono destinate a durare poco. E quando, alla fine dei ’70, si inaugura lo scalo di Lamezia la situazione per Crotone cambia drasticamente. «Hanno trasferito la rappresentanza Itavia a Catanzaro, di notte. Poi – racconta Nicola Fodaro, per anni presidente dell’Aeroclub cittadino – hanno trasferito anche il servizio cargo spogliando San’Anna di ogni servizio. La chiusura era inevitabile, la tragedia di Ustica che ha mandato a gambe all’aria la compagnia ha fatto il resto».

    Sull’altare di Lamezia

    Sacrificato sull’altare della più appetitosa Lamezia e senza più traffico civile, l’aeroporto resta in piedi solo grazie all’aeroclub, che si garantisce un contratto con Alitalia per la prima formazione dei futuri piloti. Ma di prendere un volo per raggiungere una qualsiasi destinazione, neanche a parlarne. Si dovrà attendere il 1996, con l’arrivo di AirOne, per rivedere una aereo di linea atterrare a Crotone. Sembra la rinascita. Nel 2003 arriva l’inaugurazione del nuovo terminal, capace – almeno in teoria, visto che quei numeri non si sono mai raggiunti – di sopportare un traffico annuo di 250 mila passeggeri. Comunque l’aeroporto in quegli anni funziona e garantisce una serie di collegamenti (Venezia, Torino, la Germania) in grado di allentare l’isolamento di una città ristretta tra una statale da incubo e una linea ferroviaria da film in costume.

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    Un aereo fermo sulla pista del Pitagora

    Arrivano anche nuovi investimenti – la nuova torre di controllo, il sistema di radiofaro per gli atterraggi che però non entrerà mai in funzione – ma anche in questo caso la favola dura poco. La “Sant’Anna spa”, la società che gestisce lo scalo, comincia a mostrare il fiato corto e volare da Crotone torna ad essere piuttosto complicato con i collegamenti ridotti al lumicino. Fino al 2018 quando la società finisce in bancarotta, e dallo scalo di Sant’Anna partono, di fatto, solo i charter del Crotone calcio e qualche sparuto volo turistico. Poi il bando Enac e l’approdo, assieme a Reggio e Lamezia, sotto la gestione Sacal.

    Terno al lotto

    Oggi, partire da Crotone è un terno al lotto. Quattro voli settimanali con destinazione Bergamo, tre collegamenti con Bologna, in attesa della primavera e del nuovo, temporaneo, collegamento con Venezia. Devono bastare per un’utenza calcolata sulla carta in oltre 450 mila utenti (compresi nel dittico 100km/1h di spostamento) lungo tre province. Anche perché il bando per le nuove tratte indetto a dicembre 2020, nonostante gli aiuti di Stato che avevano garantito allo scalo la continuità territoriale così come succede in Sicilia e in Sardegna, è andato mestamente deserto. E di quello nuovo ancora non si è vista traccia.

    Due milioni di euro per nulla

    In attesa delle nuove, fantomatiche, tratte verso Roma e Torino, se si ha la fortuna di trovare un biglietto (prenotando online in questi giorni, un collegamento andata/ritorno con la Lombardia nella settimana di Natale varia tra i 250 e i 400 euro) si deve sperare di trovare una bella giornata. In caso di maltempo e di scarsa visibilità infatti gli aerei non possono atterrare nello scalo di Sant’Anna che tra le sue mille contraddizioni, è riuscito a dotarsi di un moderno sistema Ils che garantisce l’atterraggio strumentale ma non lo ha mai messo in funzione. Siglato il contratto d’utilizzo e ultimata l’installazione infatti, il radiofaro (costato oltre 2 milioni) non è mai stato collaudato e di conseguenza mai utilizzato. Con buona pace delle speranze di capacità attrattiva dello scalo.

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    Le royalties

    Eppure, per garantire i necessari collegamenti del crotonese con il resto del paese, qualcosa era stato fatto. Nel 2018, la Regione e i comuni del comprensorio (oltre al capoluogo, anche Crucoli, Isola, Cirò, Cutro, Strongoli e Melissa) avevano trovato un accordo con Sacal per la ripartizione di parte delle royalties (il 15% del totale) derivanti dallo sfruttamento in mare dei giacimenti di metano. Avrebbero dovute essere investite per la sopravvivenza dello scalo e lo sviluppo turistico dell’intera zona. Un gruzzolo di circa un milione di euro l’anno «che i comuni hanno garantito con la stipula di un formale protocollo, ma che è servito a ben poco» dice amareggiato Giuseppe Martino che da anni guida il comitato cittadino Crotone vuole volare.